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L’Osservatore Romano il Settimanale Città del Vaticano, giovedì 26 aprile 2018 anno LXXI, numero 17 (3.941) Sui luoghi di don Tonino Bello

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L’Osservatore Romanoil SettimanaleCittà del Vaticano, giovedì 26 aprile 2018anno LXXI, numero 17 (3.941)

Sui luoghidi don Tonino Bello

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L’Osservatore Romanogiovedì 26 aprile 2018il Settimanale

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L’OS S E R VAT O R E ROMANO

Unicuique suum Non praevalebunt

Edizione settimanale in lingua italiana

Città del Vaticanoo r n e t @ o s s ro m .v a

w w w. o s s e r v a t o re ro m a n o .v a

GI O VA N N I MARIA VIAND irettore

GIANLUCA BICCINICo ordinatore

PIERO DI DOMENICANTONIOProgetto grafico

Redazionevia del Pellegrino, 00120 Città del Vaticano

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Qualche tempo fa, in Francia, chiesi la cortesiaalla signora che mi accoglieva all’entratadell’albergo di ricaricare il mio computer. Allamia domanda mi guardò strano. E capii subitoche il problema, nella mia frase in francesecomprensibile, era proprio la parola “compu-ter”. Diamine, come potevo aver scordato chein Francia non si può dire “computer”? Nonperché sia vietato, ma perché la parola è inmassima parte inutilizzata, e dunque intima-mente sconosciuta. Occorre dire ordinateur. Danoi sarebbe risibile ostinarsi a dire “calcolato-re ”, anche perché quella macchinetta ormainon fa più solo calcoli. E tuttavia un che dipatetico continuo a vederlo in quelli che miinvitano a un lunch o chiedono una pausa peril coffee break o mi convocano per un b ra i nstorming o mi dicono che quella cosa è f r i e n d l y.

Di solito mi capita di rispondere annuncian-do i miei p ro l e g o m e n i , scusandomi per i para-lipomeni, e via discorrendo. Sì, lo so, sono co-se da bastian contrario. E invece la questione èseria. Non perché sia intervenuta nientemenoche l’accademia della Crusca a bacchettare ilministro italiano dell’istruzione e dell’universi-tà per l’uso eccessivo e qualche volta a vanveradi termini inglesi nei documenti ufficiali, maperché alla base della querelle — chiedo scusa,ma a me il francese piace — sta la solidità cul-turale e, dunque, linguistica di un intero paesee, direi, di un intero popolo, a cominciare daigiovani.

Basta frequentare con qualche assiduità leaule di un’università per accorgersi immediata-mente della povertà lessicale degli studenti,della loro incapacità di comprendere testi com-plessi, della confusione semantica che regnanelle loro teste, per cui usano, nell’e s p r i m e reconcetti, parole inappropriate, cui affidano si-gnificati a caso, inventati lì per lì. Però sannoche cos’è un teaser (annuncio pubblicitario“stuzzicante”) e parlano di slide senza cono-scerne il corrispettivo italiano, e cioè “diap osi-tiva”.

Come sempre, in Italia le questioni radicalisi trasformano in polemica, creano le tifoseriee lanciano il pendolo dei pro e dei contro agliestremi. Difendiamo la lingua nazionale odobbiamo tutti sapere l’inglese (e con inse-gnanti madrelingua). Mah, tutto vero e tuttogiusto. Ma anche tutto astratto e terribilmentefinto, come finto rischia di essere il mondoculturale che andiamo proponendo ai nostrigiovani. Perché la questione a mio avviso è in-

nanzitutto quella della costruzione di un mon-do e di un immaginario linguistici, di una per-tinenza lessicale con la realtà che permetta aigiovani di consolidare l’alfabeto dei significati,dei giudizi, delle decisioni, delle scelte e perfi-no delle divagazioni. Pare invece di vedere —nelle scelte di politica scolastica degli ultimianni — una sorta di cultura del post-it (dalmarchio del diffusissimo foglietto coloratod’appunti), in cui tradizione e innovazione sigiocano una battaglia a chi appiccica meglio edi più.

La lingua serve a comprendere e descrivereil mondo, a possederlo nell’universo culturaleche è proprio di ciascuno. Non è lo strumento,così piccolo-borghese, per selezionare porzionidi società, esattamente come si fece decenni orsono con i dialetti. Una lingua non va difesa,come fosse un panda, magari con uno sguardodi altezzosa commiserazione: ma come può unministro affermare che l’italiano va consolidatoe promosso? Una lingua va curata, sviluppata,arricchita, animata perché lingua e linguaggiosono innanzitutto strumenti di amore e di veri-tà. In un mondo giovanile che ormai moltospesso è ridotto al grugnito, che si autodefini-sce in linguaggi suoi propri, veloci, sintetici,simbolici, il rischio non è che non si sappial’inglese e nemmeno che si dimentichi l’italia-no; il rischio è che non si sappia più definirsinel mondo e trovare in esso il proprio posto.

Non sappiamo più leggere un libro, e se loleggiamo non ne comprendiamo il significato.A questo è arrivato il nostro popolo, e in granparte il popolo dei nostri giovani, anche diquelli che accedono a quella sorta di finzioneche si chiama università.

Mi pare di rivedere la povera Maria Anto-nietta, che, senza rendersi conto che di lì apoco avrebbe perso la testa, rispondeva a chile faceva presente che il popolo chiedeva panee che di pane non ce n’era, di dare loro lebrioches.

L’imp overimentodell’italiano

#editoriale

di GIACOMO SCANZI

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di ANTONIOZANARDI LANDI

Mentre si trascina il dibattito, vivace e al tempostesso stanco, sulla formazione del nuovo go-verno italiano, caratterizzato da poche idee,scarse proposte politiche e molti personalismi,il mondo si trova di fronte giornate importantie delicate. Abituati a seguire le vicende di unaparte del globo in declino demografico, conuna popolazione di età media elevata e contassi di sviluppo rallentati, rischiamo di nonvedere quello che accade a cinque o dieci oredi volo dall’Europa, in paesi giovani, con tassidi sviluppo economico e demografico tumul-tuosi, e soprattutto con una grandissima capa-cità di innovazione e potenzialità tali da spo-stare il baricentro dello sviluppo.

Narendra Modi sarà a Hubei il 27 e 28 apri-le per un incontro a quattr’occhi con Xi Jin-ping, un mese prima di una già programmatavisita in Cina, fatto questo assai inusuale.L’importanza dell’incontro è sottolineata dalfatto che i due leader non saranno assistiti daalcun ministro o collaboratore. Un’o ccasioneperfetta per cercare un’intesa, o appianare ledifficoltà, su tutta una serie di questioni deli-cate: le ricorrenti tensioni confinarie nel Do-klam, un atteggiamento indiano che vadall’aperta contrarietà al sospetto nei confrontidelle iniziative della Nuova Via della Seta, ilrapporto con Washington e l’impostazione in-do-pacifica nella geopolitica di Trump a scapi-to del tradizionale interesse sull’Asia orientale,la crisi afghana, dove si succedono attentatimolto sanguinosi e per cui gli Stati Uniti ve-dono un ruolo indiano, mentre è inevitabileche Pechino, prima o poi, entri nella partita.

Vi sono poi i temi di politica commerciale,con i loro rimbalzi su economie in svilupporapido, più tutti gli altri argomenti che nonpossono essere ignorati da due paesi che insie-

me rappresentano oltre un terzo della popola-zione mondiale. È chiaro che per Pechino ilproblema di fondo è capire quanto Delhi sivoglia prestare a un gioco americano che lavorrebbe come antemurale, se non per conte-nere almeno per bilanciare la crescita e lamaggior assertività cinese.

Da un punto di vista europeo è importanteseguire l’andamento della visita di Macron aWashington, in particolare per temi delicaticome l’accordo sul nucleare iraniano e i dazidi recente introdotti da parte statunitense. Ma,in fondo, il punto politico maggiore della visi-ta è il rapporto privilegiato e diretto tra Ma-

cron e Trump. Abbiamo visto gli sforzi delpresidente francese di accreditarsi come capodell’Unione europea, talvolta assai direttonelle sue critiche a Washington, ma anchepronto a schierarsi al suo fianco in Mediooriente, causando tra l’altro il danno collatera-le di un non lieve appannamento della figuradell’Alto rappresentante europeo per la sicu-rezza comune.

Lavrov a Pechino celebra con il suo omolo-go Wang Yi livelli “mai raggiunti prima” nellerelazioni sino-russe, a margine della riunioneministeriale della Shanghai Cooperation Orga-nization, che costituisce il principale foro per itemi della sicurezza tra Russia, Cina, repubbli-che dell’Asia centrale, India e Pakistan, mache non avremmo pensato raggiungesse un li-vello di rilevanza come quello attuale, in rela-zione principalmente alle tensioni russo-ameri-cane, oltre quelle nel Mar Cinese Meridionale.

Molte situazioni di crisi, dalla Siria alla pe-nisola coreana, sembrano oggi vicine a unpunto critico e sono auspicabili evoluzioni po-sitive. Ma il mondo che il politologo ame-ricano Ian Bremmer descrive senza leader rico-nosciuti e disposti a esercitare una funzione diguida rende ogni processo pericoloso e in-certo.

Punto critico

I presidenti Trump e Macronin occasione della visita

del capo di stato francesealla Casa Bianca (Reuters)

#ilpunto

Ma n c a n oleaderriconosciutie dispostia esercitareuna funzionedi guida

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di JEAN-PIERRE DENIS

UGeografiaspirituale

n docente universitario molto francese pocotempo fa ha riscosso un buon successo pubbli-cando un saggio erudito ma piacevole, dal ti-tolo Comment parler des livres qu’on n’a pas lu(“Come parlare dei libri che non si sono let-ti”). Un libro di cui hanno subito parlato tutti,spesso senza averlo letto. È d’altronde un attodi banale pigrizia nella conversazione mediati-ca commentare opere o lunghi testi ufficiali apartire da un semplice comunicato stampa.Questo cibo di scadente qualità basta ad ali-mentare le voci che circolano. È più desueto,ma più interessante, leggere i libri e parlarnesolo dopo aver fatto questa fatica. Come gior-nalista pratico ancora felicemente quest’arteche alcuni giudicano ridicola. Mi piace anche,prima o dopo la lettura, riprendere i libri ri-leggendo le citazioni, i riferimenti, le note apie’ di pagina. Vi si scopre spesso un immagi-nario, un paesaggio intellettuale, l’ambito stes-so di una ispirazione.

Ho fatto così con l’esortazione apostolicaGaudete et exsultate. Dopo aver letto l’i n t e rotesto, l’ho ripreso con in mano un evidenziato-re. Cosa cercavo? Nomi e luoghi. Nomi legatia luoghi, a culture. «Non esiste piena identitàsenza appartenenza a un popolo» ricorda lostesso Papa nel testo. «Sembra che i miei fra-telli cardinali sono andati a prenderlo [il Papa]quasi alla fine del mondo» aveva detto scher-zosamente dalla loggia di San Pietro a Roma,la sera della sua elezione. Ma allora, quale

può essere la geografia personale dell’a u t o redell’esortazione apostolica? Quale via sceglieper giungere alle idee, per arrivare fino a noi?Quali sono gli uomini e le donne ai quali fariferimento? E soprattutto, quali sono i santi ele sante? Io non ho la pretesa d’inventare unascienza. Ma se fosse necessario, forse la chia-meremmo “agiogeografia” e cercheremmo disperimentarla con questo testo.

Non ci si sorprenderà di trovare diverse vol-te in questa geografia spirituale il Poverello (econ lui Antonio da Padova). E quattro volteIgnazio di Loyola, di cui una per ricordare ilcelebre invito gesuitico alla «santa indifferen-za». E altri due gesuiti, il cardinale Martini e,più “ratzingeriano”, Hans Urs von Balthasar.E poi padri e dottori della Chiesa: Agostino,Tommaso d’Aquino, Bonaventura, Basilio Ma-gno, Giovanni Crisostomo... E papi natural-mente: Giovanni Paolo II e Paolo VI. Simili ri-ferimenti sono inerenti a questo tipo di docu-mento. Cercare di tracciare, sulla loro base,una cartografia interiore originale non porte-rebbe molto lontano. Più significativamente,gli ordini votati alla mendicità e alla carità so-no ricordati attraverso tradizioni e periodi di-versi: i francescani, i fondatori dei servi di Ma-ria, o ancora l’amica di Giovanni Paolo II, Te-resa di Calcutta. Infine l’ineludibile presenzadel fiorentino Filippo Neri, fondatore dellacongregazione dell’Oratorio. Non perché siastato una figura importante della Controrifor-ma, ma perché era soprannominato «il santodella gioia».

Il testo è destinato a mettere la santità allaportata di tutti, quasi in modo pratico, talvoltain tono colloquiale. Nasce allora un parados-so: è la grande mistica a dominare queste pa-gine. Una mistica che ha dato al cristianesimoalcuni dei suoi principali capolavori spirituali,ma anche letterari o poetici. Va sottolineatal’importanza che occupa qui la spiritualità car-melitana, in ogni sua forma. Anzitutto Gio-vanni della Croce, menzionato quattro volte;con lui Teresa d’Ávila, Teresa Benedetta dellaCroce, vale a dire Edith Stein; e poi Teresa diLisieux, citata o ricordata quattro volte. PapaFrancesco attinge a tutte le fonti cristiane, co-me i Racconti di un pellegrino russo. Ma sembramostrare un interesse particolare per la misticafemminile.

Nel corso del testo s’incrociano Ildegarda diBingen, Brigida di Svezia, Caterina da Siena oFaustina Kowalska, per non parlare “delle” Te -rese che ho appena ricordato. Nessuna di loroaveva una personalità scialba. Molte aiutaronoil papato a superare le sue debolezze e le suecrisi. Papa Francesco ricorda inoltre «stili fem-minili di santità», sottolineando la loro impor-tanza «anche in epoche nelle quali le donnefurono maggiormente escluse». Nel testo figu-rano personalità femminili molto diverse comesanta Monica e suor Maria Gabriella Saghed-du, una trappista italiana beatificata da Gio-vanni Paolo II.

Il direttoredel settimanalefrancese «La Vie»ha lettoper «L’O s s e r v a t o reRomano»l’esortazioneapostolica

Padre Reginald EmmanuelPycke, «Donne sante» (2014)

#gaudeteetexsultate

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Ritorniamo alla cartografia per fare un’altraosservazione: l’agiogeografia di Papa France-sco rimane quasi esclusivamente europea. Horicordato prima Faustina Kowalska, beatificatae poi canonizzata da Giovanni Paolo II, dive-nuta la santa forse più emblematica del ponti-ficato di Wojtyła. Attraverso la festa della Di-vina misericordia, la religiosa, morta a Craco-via il 5 ottobre 1938, sembra dunque tendereun filo invisibile tra l’argentino e il polacco.Ci riporta verso il Vecchio Continente.

Lungo le pagine di Gaudete et exsultate nonci si allontanerà granché da lì. Non si navighe-rà sulle acque del Río de la Plata, ma si pere-grinerà vicino alle rive della Vistola, del Reno,dell’Arno e del Tevere, o del Tamigi con Tom-maso Moro. Si salirà spesso sugli austeri alti-piani della Castiglia. Si cavalcherà attraversola Spagna poetica e mistica, quella che percor-sero Teresa d’Ávila e Giovanni della Croce.Non si scoprirà quindi molto il Nuovo Mon-do.

L’unica concessione a una “biogeografia” sa-rà il ricordo del “santo prete Brochero”, il sa-cerdote argentino morto di lebbra che France-sco ha canonizzato nel 2016. Al di là di questocaso particolare, e del ricordo del cardinalevietnamita François-Xavier Nguyên VanThuân, bisogna attendere il paragrafo 141 (su

177) per lasciare l’Europa per un cattolicesimoglobalizzato, raggiungendo Paolo Miki inGiappone, Andrea Kim Taegon in Corea oRocco González e Alfonso Rodríguez in Ame-rica meridionale.

Mi sia concesso di sottolineare infine chel’agiogeografia di Papa Francesco risulta moltofrancese. Al primo posto c’è Teresa di Lisieux,indubbiamente la santa francese più universa-le, patrona delle missioni. Ma l’esortazioneapostolica abbonda di riferimenti intellettualie spirituali alla figlia primogenita della Chiesa.Al punto che vi si può praticamente l e g g e rel’abbozzo di una storia e di una geografia reli-giosa della Francia. Vi si incontra la tradizionemonastica con Bernardo di Chiaravalle, la cari-tà missionaria con Vincenzo de’ Paoli, la dol-cezza apostolica con il savoiardo Francesco diSales. Fatto importante, si attraversa il Medi-terraneo per ritrovare Charles de Foucauld e imonaci di Tibhirine, di cui Papa Francesco hadeciso la beatificazione con altri martiri dell’Al-geria. A questa lista di santi francesi, si devonoaggiungere un romanziere caduto nell’oblio,Joseph Malègue, e uno scrittore che tutti cono-scono ma che nessuno o quasi ha purtroppoletto, l’indomito Léon Bloy. Con un simile pae-saggio interiore, una visita di Papa Francescoin Francia mi sembra che s’imp onga.

#gaudeteetexsultate

Coincidenza o segno dei tempi? Il giorno stesso incui è stata presentata l’esortazione apostolica ilpresidente della Repubblica francese ha pronunciatoun discorso storico di fronte alla Conferenzaepiscopale. Sotto le volte medievali del Collège desBernardins, divenuto un centro culturale inauguratoda Benedetto XVI, Emmanuel Macron non hamancato di ricollocare l’eredità cattolica in quelloche viene a volte chiamato, a rischio di generarepolemiche, il racconto nazionale. Ha ricordatoscrittori e intellettuali così diversi come Pascal ePaul Claudel, ma non Léon Bloy. E neppure santi ebeati, a parte Giovanna d’Arco, figura diriconciliazione tra la Francia religiosa e la Francialaica. Tuttavia, i due testi, quello del papa e quellodel presidente, s’inseriscono nello stesso contesto ein un certo senso, visti dalla Francia, “fanno epoca”.Emmanuel Macron ha ricordato la sconvolgentestoria di padre Hamel. Si può pensare che, traqualche tempo, verrà riconosciuto il martirio diquesto anziano prete assassinato da due giovaniterroristi mentre celebrava la sua messa mattutinanella chiesa di Saint-Etienne-du-Rouvray, vicino aRouen in Normandia. Tra l’altro si sa quanto ilPapa sia stato colpito dalla morte di padre Hamel.Il capo di Stato ha anche ricordato il sacrificio deltenente colonnello Arnaud Beltrame, un gendarmeucciso dopo aver preso il posto di una giovanedonna tenuta in ostaggio in un supermercato diTrèbes, vicino Carcassonne, nel sud della Francia.«Non si può capire il suo sacrificio se lo si separadalla sua fede personale. È il gesto di un gendarmee il gesto di un cristiano. Per lui le due cose sonolegate, non si possono separare l’una dall’altra» miha confidato Marielle, la moglie di Beltrame, duegiorni dopo la sua morte.Mentre la Repubblica rendeva un omaggionazionale al gendarme, in Francia si è aperto unampio dibattito sull’eroismo e il dono di sé, e sullacomponente cristiana di un simile atto, mentreun’obbedienza massonica rivendicava l’appartenenzadel tenente colonnello a una delle sue logge.Personalmente, fin dall’inizio di quella che sarebbepoi diventata una tragedia, ho visto nel gesto diArnaud Beltrame quello di un cristiano che offreliberamente la propria vita. Si può addiritturainserire nella tradizione dei trinitari e dei mercedarimedievali che riscattavano i prigionieri, a volte arischio della vita. Ma in ultima analisi il mistero diun simile atto resta noto solo a Dio, e la sua

grandezza dipende anche dal fatto che nessuno lopuò recuperare, mentre tutti se ne possonoa p p ro p r i a re .Quali che siano le letture che si possono o sivogliono fare, se la santità e l’eroismo appartengonoa due ordini diversi, il bisogno d’identificazione configure esemplari rinasce quasi per caso in un’ep o caritenuta appiattita, immanente e indifferente. PapaFrancesco lo ricorda nelle prime righe di Gaudete etexsultate, Gesù non vuole che «ci accontentiamo diun’esistenza mediocre, annacquata, inconsistente».Secolarizzata o religiosa, l’agiografia ha dunque bei

Coincidenza o segno dei tempi?

giorni dinanzi a sé. Mentre aumentano le tentazioniautoritarie e ritornano le logiche di potere nellerelazioni internazionali, non permettiamo ai“malvagi” di diventare le sole figure identificabili!Rallegriamoci perché la Francia ha già dimenticatoil nome del suo assassino ma si ricorda di quello diArnaud Beltrame, al quale molti comuni hannodedicato una via. Sembrerebbe che, persino inculture secolarizzate, la comunione dei santi abbiaancora un senso. Come nella poesia del comunistaAragon (La rose et le réséda), la mistica del dono di sériunisce «colui che credeva nel cielo e colui che nonci credeva». A maggior ragione in epoche agitate,demoralizzate e divise.

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di ROBERTORIGHETTO

«La Repubblica riconosce e garantisce i diritti in-violabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelleformazioni sociali ove si svolge la sua persona-lità, e richiede l’adempimento dei doveri inde-rogabili di solidarietà politica, economica e so-ciale». L’articolo 2 della Costituzione italiana,elaborato su proposta di Giorgio La Pira, fuispirato da Emmanuel Mounier, alle cui teoriepersonaliste il professorino guardò. Il richiamoesplicito alla persona intesa nella sua integrali-tà fu una costante del pensatore francese(1905-1950), una delle più importanti figure delmondo culturale europeo del secolo scorso,che con l’opera e l’azione è stato un punto diriferimento costante per intellettuali credenti enon.

Fu amico di Maritain e di Guitton, anche sea volte le scelte politiche li divisero, e maestrodi Ricoeur, tanto per fare tre nomi che hannosegnato il pensiero cristiano contemporaneo.Ma Mounier è legato soprattutto alla fonda-zione di «Esprit», tuttora la più rilevante rivi-sta culturale d’Europa. Testata che secondoMaritain doveva esprimere «l’immensità delcristianesimo» e che sopravvisse al regime diVichy e alla soppressione temporanea dellepubblicazioni voluta dai nazisti.

Sono tanti gli elementi di attualità del suopensiero, tenuto vivo dalla moglie Paulette peroltre cinquant’anni dopo la morte prematuradi Emmanuel. Come la sua riflessione sullasofferenza, sperimentata di persona dopo lanascita della figlia Françoise, colpita da ence-falite sette mesi dopo la nascita e rimastane se-gnata. Sull’argomento si possono leggere leLettere sul dolore, edito in Italia da Città Armo-niosa negli anni ottanta e di cui Rizzoli hapubblicato un’antologia nel 2005.

L’occasione di parlare di Mounier è offertadall’uscita di un suo volumetto intitolato Il fu-turo dell’Africa (Medusa, prefazione di Riccar-do De Benedetti), che raccoglie il suo diariodi viaggio in alcuni paesi del continente fra il1946 e il 1947, oltre una Lettera a un amico afri-cano in cui egli riflette sul rapporto tra Africaed Europa. È per l’appunto il concetto di Eu-rafrica che colpisce innanzitutto nella riflessio-ne del fondatore di «Esprit», ben prima che siimponesse nel dibattito culturale e politico (sipensi al recente vertice di Abidjan tra i princi-pali paesi europei e africani per concordare li-nee di sviluppo comune).

Mounier capisce che i destini dei due conti-nenti sono legati. Negli anni che avvieranno apoco a poco la decolonizzazione il pensatoreassiste alla formazione della prima classe diri-gente africana, che tende eccessivamente aemulare l’intellettualità europea dimenticandole proprie radici. «Vorrei — scrive — che moltiafricani istruiti ritornassero a queste sorgentiprofonde e lontane dell’essere africano, nonper riempirsi di folclore e poi, disorientati, ca-scare nel mondo moderno, ma per riconsidera-re e sperimentare le radici africane della civiltà

eurafricana dei vostri figli, ponendo in risalto ivalori permanenti dell’eredità africana, affin-ché l’élite africana non sia una élite di sradica-ti». Mounier auspica una borghesia nera me-diatrice fra la scuola e il popolo e invita a nondisprezzare i lavori manuali: «È urgente for-mare, per cominciare, un’élite contadina africa-na. Come riuscirci, se si usano soltanto i li-bri?». E presenta come modello i benedettini

del medioevo, «dottori in teologia che lavora-vano la terra varie ore al giorno». Ma è benconsapevole anche dei guasti del colonialismoe delle colpe dell’occidente, che vede manife-starsi in Liberia nelle piantagioni di caucciù diFirestone, totalmente sfruttate dagli americani.

E il suo grido arriva con un’esclamazione disdegno dalla forza profetica: «Non ci si sba-razza così facilmente dell’Africa!».

Il futurodell’Africa

Nel diariodi viaggio

di EmmanuelMo u n i e r

temi ancora attualinonostante

la decolonizzazione

#scaffale

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di PABLO D’ORS

Oggi nessuno può mettere in dubbio che il Cri-stianesimo in occidente sia in declino. Non sitratta solo di ammettere che le chiese sonosempre meno frequentate perché c’è quasi unsenso di sospetto nei confronti delle istituzio-ni. Non è solo una reazione ai molti abusi ec-clesiastici e statali che l’uomo di oggi — noi —sia diventato allergico a qualunque tipo di isti-tuzione. La cosa va molto oltre. Teorici ricono-sciuti hanno dichiarato l’ambiguità delle reli-gioni, causa di innumerevoli disordini e ingiu-stizie: ideologie fanatiche, manipolazioni dellacoscienza, guerre di religione... Lo scetticismogeneralizzato, perciò, non influisce solo su ciòche è ecclesiale, ma anche su ciò che è religio-so e di fatto considerato superato e irrazionale.Ciò spiega perché i cristiani di oggi vivanocon imbarazzo in un’Europa che non nascon-de un certo rifiuto al cristianesimo, a voltequasi un disprezzo. Tutti sappiamo bene chetutto ciò si traduce in una indifferenza genera-lizzata, e un’esclusione dei cristiani dalla vitapubblica, ironia serpeggiante, fino a diventareumiliazione esplicita. C’è tuttavia, sfortunata-mente, qualcosa di più. Questa critica sistema-tica, sistematicamente diffusa dai mezzi di co-municazione sociale, ha fatto sì che il sospettodi fronte a ciò che è religioso gravi non solosui riti, i miti e le parole della fede cristiana,ma anche sui suoi pilastri fondamentali: lostesso Gesù Cristo generalmente non è più vi-sto come il figlio di Dio, ma solo come ungran maestro, perciò allo stesso livello di altrimaestri di altre tradizioni. La questione alloraè che cosa stiamo facendo noi e che cosa sia-mo disposti a fare.

Siamo eredi di un patrimonio spirituale diprimissimo ordine ed è estremamente impor-tante, per dovere di fronte alla cultura e perfedeltà al nostro passato, non solo conservarlocome una reliquia, ma anche rinnovarlo perchépossa continuare a portare vita. Rinnovare si-gnifica rivisitare, naturalmente, capire bene

quello che si è fatto, però anche riconsideraree cercare nuove formule che, rispettando latradizione, non solo la mantengano, ma per-mettano di raggiungere livelli più alti per ri-spondere alle necessità spirituali delle persone.Questo è l’obiettivo del patrimonio spiritualeche, se non alimenta la nostra interiorità, an-che se buono non ha vita. È certo tuttavia chequesto passato cristiano sembra troppo pesan-te e fastidioso per le nostre spalle, e perciò cene stiamo distaccando. Stiamo rinunciando al-la nostra eredità, non possiamo negarlo. El’uomo che rinuncia al suo passato, può saperedove sta oggi e dove si dirige per il futuro?

Qualcuno, chissà noi stessi, più che rifiutarel’eredità — attitudine tipica dei ribelli — sele-zioniamo ciò che ci interessa, lasciando daparte, quasi sempre per pigrizia o per incom-prensione, ciò che ci sembra inattuabile oggi.Questo atteggiamento sincretico, che non rie-sce a fecondare una sapiente tradizione conun’altra, ma che si limita ad una capricciosacontrapposizione, ha generato quello che i so-ciologi hanno denominato “Spiritualità allacarta”, che definisce la maggior parte dei co-siddetti “cercatori spirituali”. Questa scelta, co-me non potrebbe essere altrimenti, non è soloegocentrica, in quanto mette al centro l’indivi-duo, ma egoista perché, ponendo la centralitànell’individuo, non si preoccupa realmentedell’altro. Una meditazione che non sia dettatadalla compassione non è meditazione cristiana,né buddista o di qualunque altra religione. Al-terare il significato di “spiritualità” riducendo-la a puro benessere fisico e psichico è moltofrequente oggi. L’obiettivo finale della spiri-tualità non è semplicemente la pace interiore,ma piuttosto l’amore verso gli altri. E questodeve essere sempre molto chiaro per generare,tra di noi, non una specie di aristocrazia dellospirito, ma piuttosto un maggior senso diumanità.

Una domandaper vivere

Florence GM, «Eredità» (2016)

Riflessionesulla trasmissionedell’e re d i t àcristiana

#culture

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Tutto ciò che è cristiano oggi è consideratoin occidente, dobbiamo ammetterlo, insignifi-cante e quasi disprezzabile. Qualcosa da la-sciare definitivamente indietro, un controsensoin una società evoluta come la nostra, un para-dosso rispetto al pensiero tecnico e altamentecivilizzato. Mostrarsi orgogliosi di essere cri-stiani o, senza arrivare a questo punto, testi-moniare tranquillamente la propria convinzio-ne religiosa, si considera oggi “p oliticamentenon corretto”, quasi una provocazione. Questo“humus” si è esteso in tal modo che si può di-re, senza esagerare, che oggi in Europa regnaun’ignoranza assoluta su tutto ciò che si riferi-sce al patrimonio biblico, teologico, liturgico espirituale che offre il cristianesimo. Questaignoranza con gli anni guadagna terreno.

La principale responsabile di questa deplo-revole situazione è — secondo me — la stessaChiesa che durante secoli ha lottato più per lasua sussistenza come istituzione che per il re-gno di Dio. La chiesa cattolica è la prima re-sponsabile, anche se — naturalmente — nonl’unica, di aver ceduto, per dirlo in termini diPapa Francesco, all’autoreferenzialità, cioè peravere guardato al proprio interno invece diguardare al mondo. Questo è il principale pec-cato, questo è ciò che come chiesa dobbiamoredimere. E per questo, che lo sappiamo o no,siamo venuti a questo ritiro: per cominciare unmodesto ma necessario rinnovamento religiosoed ecclesiale. Secondo il mio punto di vista,noi, Gli Amici del Deserto, siamo coloro, as-sieme ad altri, che sono chiamati a realizzarequesto compito.

Rispondere oggi per rendere possibile unavita interiore non sarà possibile se prima nonascoltiamo e rispondiamo a una domanda.Quando, dopo la resurrezione, Gesù Cristoappare ai suoi discepoli alla riva del lago Ti-beriade, e pone a Simon Pietro per tre voltequesta domanda che formula anche oggi anoi: «Pietro, figlio di Giovanni, mi ami?»

(Giovanni 21, 15-17). Alle sue risposte affermati-ve, Gesù risponde sempre con le stesse parole«pasci le mie pecore», cioè prenditi cura dellepersone che ti stanno vicine. L’amore per il Si-gnore si realizza nel prendersi cura dei proprisimili.

Pietro è l’uomo che ha rinnegato Gesù e siè purificato con le sue lagrime, questo lo sap-piamo. Però Pietro non è semplicemente unuomo focoso e spaccone, ma qualcuno che havissuto l’esperienza della propria debolezza.Perciò, umile e più se stesso che mai, ora è ca-pace di rispondere: Signore tu che sai tutto,sai che ti amo. È una risposta che viene dalcuore, non dal cervello né dalle viscere. È unarisposta che guarda all’orizzonte più nobile —l’amore — però con la coscienza dei propri li-miti e della debolezza della carne.

Tutte le dichiarazioni d’amore scaturisconoda un insuccesso amoroso. Il nostro sì alla me-ditazione cristiana, la nostra accettazione diquesta immensa eredità spirituale sarà affidabi-le perché sappiamo che non si può costruiresopra le nostre capacità o i nostri meriti — co-me hanno tentato le generazioni che ci hannopreceduto — ma solo su di Lui. E quindi, fis-sando il nostro sguardo su di Lui, e non su dinoi, questa è la vocazione al deserto alla qualesiamo stati convocati. Questo è il punto: solomeditando possiamo arrivare a sperimentare losguardo trasformatore di Gesù, quello sguardoche fa di noi uomini e donne nuovi. Solo così,meditando, si realizza il grande miracolo: Diodialoga con Dio, in silenzio, nello scenariodell’anima umana. Il sogno di essere un uomoche ha in sé Dio sta per compiersi. Siamopronti per svegliarci. Perciò sederci a meditaregiorno dopo giorno, con incrollabile fedeltà econ umiltà messa alla prova, è il segno incon-testabile che vogliamo ascoltare questa doman-da: Pietro, figlio di Giovanni, mi ami? La vitache conduciamo, solo quello, sarà la nostra ri-sp osta.

Céline Connac, «Trasmissione»(particolare, 2018)

#culture

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VLa santitàdei piccoli gestiquotidiani

i saluto tutti con affetto. Grazie per la vostrapresenza tanto festosa! Con questa visita pres-so la tomba di Pietro voi ricambiate quella dame compiuta alle vostre Comunità diocesane il1° ottobre dello scorso anno. Ve ne sono moltograto.

Saluto l’Arcivescovo di Bologna, Mons.Matteo Zuppi, e il Vescovo di Cesena-Sarsina,Mons. Douglas Regattieri, tanto premurosidurante la mia visita. Vi ringrazio, cari fratelli,per le vostre parole che ravvivano in me il ri-cordo di quella giornata. Porgo il mio benve-nuto alle Autorità civili qui presenti, come pu-re ai sacerdoti, alle persone consacrate e ai fe-deli laici, con un pensiero speciale per tutticoloro che si uniscono spiritualmente a questopellegrinaggio, in particolare per i malati e is o f f e re n t i .

Conservo viva la memoria degli incontri cheho vissuto nelle vostre città. Non dimenticol’accoglienza che mi avete riservato e i mo-menti di fede e di preghiera che abbiamo con-diviso, ai quali hanno preso parte fedeli prove-nienti da ogni parte delle vostre rispettiveDiocesi. È stato un dono della Provvidenzaper confermare e rafforzare il senso della fedee dell’appartenenza alla Chiesa, che chiede ne-cessariamente di tradursi in atteggiamenti egesti di carità, specialmente verso le personepiù fragili. I vostri Vescovi hanno sottolineatocome la mia visita pastorale sia stata motivo dirinnovato impegno da parte di tutte le compo-nenti delle vostre Comunità. Ringrazio Dioper questo e vi esorto a continuare con corag-gio nel cammino intrapreso.

Nella città di Cesena abbiamo commemora-to il terzo centenario della nascita del PapaPio VI, con un pensiero anche per Pio VII. Ilricordo di questi due Vescovi di Roma, en-trambi cesenati, ha costituito per voi che com-ponete quella Comunità diocesana un’o ccasio-ne propizia per riflettere sul camminodell’evangelizzazione percorso fino ad oggi esui nuovi traguardi missionari che vi attendo-no. Eredi di queste e altre importanti figure dipastori e di evangelizzatori, siete chiamati a

cordato nella recente Esortazione apostolicaGaudete et exsultate, «condividere la Parola ecelebrare insieme l’Eucaristia ci rende più fra-telli e ci trasforma via via in comunità santa emissionaria» (n. 142). L’Eucaristia, infatti, fa laChiesa, la aggrega e la unisce nel vincolodell’amore e della speranza. Il Signore Gesùl’ha istituita perché rimaniamo in Lui e for-

proseguire su questa stessa strada, impegnan-dovi generosamente ad annunciare il Vangeloai vostri concittadini e testimoniandolo con leopere, che non necessariamente devono esseregrandi. I cristiani sono lievito di amore, di fra-ternità, di speranza con tanti piccoli gesti quo-tidiani. Amate i piccoli gesti quotidiani. Picco-li, sono piccoli come il lievito, piccolo, ma fan-no tanto bene.

L’occasione della visita a Bologna fu offerta,come voi ben sapete, dalla conclusione delCongresso Eucaristico Diocesano. Il fervoresuscitato da quell’evento ecclesiale, che ha rac-colto numerose persone intorno a Gesù eucari-stico, possa prolungarsi nel tempo, non affie-volirsi ma accrescersi e portare frutti, lasciandoun’impronta indelebile nel cammino di fededella vostra Comunità cristiana. Come ho ri-

Udienza a fedelidi Bolognae di Cesena

Migliaia di fedeli delle diocesidi Bologna e di Cesena-Sarsinahanno partecipato all’udienzadi sabato mattina, 21 aprile,in piazza San Pietro, perricambiare la visita compiutadal Papa il 1° ottobre 2017

#francesco

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miamo un solo corpo, da estranei e indifferen-ti gli uni agli altri diventiamo uniti e fratelli.

L’Eucaristia ci riconcilia e ci unisce, perchéalimenta il rapporto comunitario e incoraggiaatteggiamenti di generosità, di perdono, di fi-ducia nel prossimo, di gratitudine. L’Eucari-stia, che significa “rendimento di grazie”, ci fapercepire l’esigenza del ringraziamento: ci facapire che «si è più beati nel dare che nel rice-vere» (At 20, 35), ci educa a dare il primatoall’amore e a praticare la giustizia nella suaforma compiuta che è la misericordia; a saperringraziare sempre, anche quando riceviamociò che ci è dovuto. Il culto eucaristico ci inse-gna anche la giusta scala dei valori: a nonmettere al primo posto le realtà terrene, ma ibeni celesti; ad avere fame non solamente delcibo materiale, ma anche di quello «che duraper la vita eterna» (Gv 6, 27).

«Piazza Grande»: le note della splendida canzonedi Lucio Dalla, riproposte come omaggio a Bolognada Gianni Morandi, sono risuonate in San Pietro.Da una piazza all’altra. Dagli abbracci festosi che,lo scorso 1° ottobre, circondarono il Papa in visitapastorale a Cesena e a Bologna, al simbolicoabbraccio del colonnato del Bernini che, la mattinadi sabato 21 aprile, ha accolto i fedeli delle duediocesi, giunti per restituire la visita al Ponteficedurante il loro pellegrinaggio alla tombadell’apostolo. «Una gioia che si rinnova»: così èstato intitolato l’incontro che ha animatol’assolatissima piazza romana. Perché, hannoricordato gli organizzatori, «la visita a Cesena e aBologna non è stato un evento isolato, ma unagiorno di felicità che ha lasciato il segno».Circa dodicimila pellegrini intorno alle 10.30 hannodato inizio al loro programma di preghiera, canti etestimonianze in attesa dell’arrivo del Pontefice. Suimaxi-schermi sono stati riproposti i momentisalienti della visita del 1° ottobre. Sul sagrato dellabasilica vaticana i cantanti Debora Vezzani eBenedetto Chieffo hanno portato le loro preghierein musica insieme alle corali delle due diocesi.Monsignor Stefano Ottani, vicario generale per lasinodalità della diocesi di Bologna, ha poi guidatola preghiera comune che ha preceduto letestimonianze. Da Cesena, Carlo Battistini,vicesindaco, e Liviana Siroli, presidente del Centro

Cari fratelli e sorelle, gli uomini e le donnedel nostro tempo hanno bisogno di incontrareGesù Cristo: è Lui la strada che conduce alPadre; è Lui il Vangelo della speranza edell’amore che rende capaci di spingersi finoal dono di sé. Ecco la nostra missione, che èad un tempo responsabilità e gioia, eredità disalvezza e dono da condividere. Essa richiedegenerosa disponibilità, rinuncia di sé e abban-dono fiducioso alla volontà divina. Si tratta dicompiere un itinerario di santità per risponde-re con coraggio all’appello di Gesù, ciascunosecondo il proprio peculiare carisma. «Per uncristiano non è possibile pensare alla propriamissione sulla terra senza concepirla come uncammino di santità, perché “questa infatti èvolontà di Dio, la vostra santificazione” (1 Ts4, 3). Ogni santo è una missione; è un proget-to del Padre per riflettere e incarnare, in unmomento determinato della storia, un aspettodel Vangelo» (Gaudete et exsultate, 19).

Vi incoraggio a far risuonare nelle vostre co-munità la chiamata alla santità che riguardaogni battezzato e ogni condizione di vita. Nel-la santità consiste la piena realizzazione diogni aspirazione del cuore umano. È un cam-mino che parte dal fonte battesimale e portafino al Cielo, e si attua giorno per giorno ac-cogliendo il Vangelo nella vita concreta. Conquesto impegno e con questo slancio missiona-rio, destinato a ridare nuovo impulso all’evan-gelizzazione delle vostre Diocesi, darete un se-guito concreto alle esortazioni che vi ho rivol-to nel corso della mia visita. Non stancatevi dicercare Dio e il suo Regno al di sopra di ognicosa e di impegnarvi al servizio dei fratelli,sempre in stile di semplicità e di fraternità. LaVergine Maria, «la santa tra i santi, la più be-nedetta, colei che ci mostra la via della santitàe ci accompagna» (ibid., 176), sia il sicuro pun-to di riferimento nel vostro itinerario pastoralee missionario.

Vi ringrazio ancora per questo incontro. Vichiedo per favore di continuare a pregare perme, e di cuore vi imparto la Benedizione Apo-stolica, che estendo a tutti coloro che compon-gono le vostre Comunità diocesane. Grazie.

volontari della sofferenza, da Bologna GiampietroMonfardini, presidente della fondazione GiovanniBersani, hanno ricordato con emozione i momentidella visita del Papa. Durante lo spazio musicaleche ha alimentato il clima di attesa festosa, GianniMorandi ha cantato «Si può dare di più!»,accompagnato a squarciagola da tutti i presenti. Lasua non è stata l’unica presenza artistica d’eccezionein piazza San Pietro: discreto, come nel suo stile,c’era anche il cantautore Francesco Guccini, autorenegli anni Sessanta della canzone Dio è morto che,censurata dalla Rai, venne per la prima volta fattaascoltare al grande pubblico da Radio Vaticana. IlPapa si è unito alla festa delle due diocesi alle 12.In piedi sulla papamobile, accompagnato dal suonodei campanari bolognesi e dal canto delle corali, haattraversato più volte la piazza per salutare davicino tutti i fedeli. Quindi, salito sul sagrato, hasalutato i pastori delle due diocesi e con loro ancheil vescovo Ernesto Vecchi, già ausiliare di Bologna,e il vescovo missionario Giorgio Biguzzi, originariodi Cesena. Poi, attorniato da un gruppo di bambinie ragazzi, ha ascoltato gli indirizzi d’omaggiodell’arcivescovo di Bologna, Matteo Zuppi, e delvescovo di Cesena-Sarsina, Douglas Regattieri.Dopo aver salutato il Papa, la festa delle duecomunità diocesane si è conclusa con lacelebrazione della messa. (giampaolo mattei)

I cantantiGianni Morandi e FrancescoGuccini salutano il Pontefice

#francesco

Piazza Grande

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e Letture che abbiamo ascoltato presentanodue elementi centrali per la vita cristiana: ilPane e la Parola.

Il Pane. Il pane è il cibo essenziale per vive-re e Gesù nel Vangelo si offre a noi come Panedi vita... Che cosa significa? Che per la nostravita è essenziale entrare in una relazione vitale,personale con Lui. Carne e sangue. L’Eucari-stia è questo: non un bel rito, ma la comunio-ne più intima, più concreta, più sorprendenteche si possa immaginare con Dio: una comu-nione d’amore tanto reale che prende la formadel mangiare. La vita cristiana riparte ognivolta da qui, da questa mensa, dove Dio ci sa-zia d’amore. Senza di Lui, Pane di vita, ognisforzo nella Chiesa è vano, come ricordavadon Tonino Bello: «Non bastano le opere dicarità, se manca la carità delle opere. Se man-ca l’amore da cui partono le opere, se mancala sorgente, se manca il punto di partenza cheè l’Eucaristia, ogni impegno pastorale risultasolo una girandola di cose».

Gesù ... è Pane spezzato per noi e chi lo rice-ve diventa a sua volta pane spezzato, che nonlievita d’orgoglio, ma si dona agli altri: smettedi vivere per sé, per il proprio successo, peravere qualcosa o per diventare qualcuno, mavive per Gesù e come Gesù, cioè per gli altri.Vivere per è il contrassegno di chi mangia que-sto Pane, il “marchio di fabbrica” del cristiano.Vivere per. Si potrebbe esporre come avvisofuori da ogni chiesa: “Dopo la Messa non sivive più per sé stessi, ma per gli altri”. Sareb-be bello che in questa diocesi di don ToninoBello ci fosse questo avviso, alla porta dellechiese, perché sia letto da tutti: “Dopo la Mes-sa non si vive più per sé stessi, ma per gli al-tri”. Don Tonino ha vissuto così: tra voi è sta-to un Vescovo-servo, un Pastore fattosi popo-lo, che davanti al Tabernacolo imparava a farsimangiare dalla gente. Sognava una Chiesa af-famata di Gesù e intollerante ad ogni monda-nità, una Chiesa che «sa scorgere il corpo diCristo nei tabernacoli scomodi della miseria,della sofferenza, della solitudine». Perché, di-ceva, «l’Eucaristia non sopporta la sedentarie-tà» e senza alzarsi da tavola resta «un sacra-mento incompiuto»...

Il Pane di vita, il Pane spezzato è anche Pa-ne di pace. Don Tonino sosteneva che «la pacenon viene quando uno si prende solo il suopane e va a mangiarselo per conto suo. La pa-ce è qualche cosa di più: è convivialità». È

Non per se stessima per gli altri

A Molfettail Papa esortai cristiania essere portatoridi speranza

Nella mattina di venerdì 20 aprileventicinquesimo anniversario della morte di don Tonino Belloil Pontefice si è recato in visita ad Alessano e a MolfettaIn quest’ultima tappa in terra di Pugliail Papa ha pronunciato l’omelia di cui pubblichiamo ampi stralci

#copertina

L«mangiare il pane insieme con gli altri, senzasepararsi, mettersi a tavola tra persone diver-se», dove «l’altro è un volto da scoprire, dacontemplare, da accarezzare». Perché i conflittie tutte le guerre «trovano la loro radice nelladissolvenza dei volti». E noi, che condividia-mo questo Pane di unità e di pace, siamo chia-mati ad amare ogni volto, a ricucire ognistrappo; ad essere, sempre e dovunque, co-struttori di pace.

Insieme col Pane, la Parola. Il Vangelo ri-porta aspre discussioni attorno alle parole diGesù... Non capivano che la Parola di Gesù èper camminare nella vita, non per sedersi aparlare di ciò che va o non va. Don Tonino,proprio nel tempo di Pasqua, augurava di ac-cogliere questa novità di vita, passando final-mente dalle parole ai fatti. Perciò esortava ac-coratamente chi non aveva il coraggio di cam-biare: «gli specialisti della perplessità. I conta-bili pedanti dei pro e dei contro. I calcolatoriguardinghi fino allo spasimo prima di muover-si». A Gesù non si risponde secondo i calcolie le convenienze del momento; gli si rispondecol “sì” di tutta la vita. Egli non cerca le no-stre riflessioni, ma la nostra conversione. Pun-ta al cuore.

... La prima cosa da evitare è rimanere a ter-ra, subire la vita, restare attanagliati dalla pau-ra. Quante volte don Tonino ripeteva: “In pie-di!”, perché «davanti al Risorto non è lecitostare se non in piedi». Rialzarsi sempre, guar-dare in alto, perché l’apostolo di Gesù nonpuò vivacchiare di piccole soddisfazioni.

Il Signore ... a ciascuno di noi dice: “Va ’,non rimanere chiuso nei tuoi spazi rassicuran-ti, rischia!”. “Rischia!”. La vita cristiana va in-vestita per Gesù e spesa per gli altri. Dopoaver incontrato il Risorto non si può attende-re, non si può rimandare; bisogna andare,uscire, nonostante tutti i problemi e le incer-tezze. Vediamo ad esempio Saulo che, dopoaver parlato con Gesù, sebbene cieco, si alza eva in città. Vediamo Anania che, sebbene pau-roso e titubante, dice: «Eccomi, Signore!»...Siamo chiamati tutti, in qualsiasi situazione citroviamo, a essere portatori di speranza pa-squale, “cirenei della gioia”, come diceva donTonino; servitori del mondo, ma da risorti,non da impiegati. Senza mai contristarci, sen-za mai rassegnarci. È bello essere “corrieri disp eranza”, distributori semplici e gioiosidell’alleluia pasquale...

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S Fiori tra le bianchep i e t re

Tra le bianche pietre aforma di gradinate checircondano la lapide di donTonino Bello, nel cimiterosalentino di Alessano, PapaFrancesco ha pregato insilenzio venerdì mattina, 20aprile, nella prima tappadella visita ai luoghi delvescovo pugliese morto asoli cinquantotto anni. Unasosta in privato ricca disignificato quella delPontefice nel piccolocamposanto baciato dal solee sferzato dal vento. Qui, inquesto paesino, quasiall’estrema punta dellaregione, don Tonino nacquee qui volle essere sepoltoaccanto a sua madre Maria,che il Papa ha ricordatocitandola nel suo discorso —che pubblichiamointegralmente in questapagina — e visitandone latomba. Ma è soprattutto suquella del presule amico deipoveri che il Pontefice hapregato a lungo, deponendoun mazzo di fiori bianchi egialli sulla lastra di marmoche reca la semplice scritta:«Don Tonino Bello,terziario francescano,vescovo di Molfetta-Ruvo-Giovinazzo-Terlizzi». Dovel’appartenenza all’ordine disan Francesco viene primaancora della dignitàepiscopale, quasi a volersottolineare la scelta dellapovertà a regola di vita.Il Papa si è fermato qualcheminuto davanti alla tombacircondata da un piccoloprato di vivida erba verde.Accanto a lui il vescovo diUgento - Santa Maria diLeuca, sul cui territorio sitrova questo piccolo paesedel Salento, e il sindaco,che avevano accolto ilPontefice al suo arrivo inelicottero nel parcheggio delcamposanto. Il velivolo eradecollato poco prima daGalatina di Lecce, dovel’aereo papale era giunto,proveniente dallo scaloromano di Ciampino.Sempre in elicotteroFrancesco ha poi raggiuntoMolfetta, dove ha celebratola messa. E il giubilo dellagente è stato doppiamentegrande, perché era la primavolta che un Papa visitava ladiocesi di Molfetta-G i o v a n i z z o - R u v o - Te r l i z z inella sua storia bimillenaria.(nicola gori)

ono giunto pellegrino in questa terra che hadato i natali al Servo di Dio Tonino Bello. Hoappena pregato sulla sua tomba, che non si in-nalza monumentale verso l’alto, ma è tuttapiantata nella terra: Don Tonino, seminatonella sua terra — lui, come un seme seminato—, sembra volerci dire quanto ha amato questoterritorio. Su questo vorrei riflettere, evocandoanzitutto alcune sue parole di gratitudine:«Grazie, terra mia, piccola e povera, che mihai fatto nascere povero come te ma che, pro-prio per questo, mi hai dato la ricchezza in-comparabile di capire i poveri e di potermi og-gi disporre a servirli»1.

Capire i poveri era per lui vera ricchezza,era anche capire la sua mamma, capire i poveriera la sua ricchezza. Aveva ragione, perché ipoveri sono realmente ricchezza della Chiesa.Ricordacelo ancora, don Tonino, di fronte allatentazione ricorrente di accodarci dietro ai po-tenti di turno, di ricercare privilegi, di adagiar-ci in una vita comoda. Il Vangelo — eri solitoricordarlo a Natale e a Pasqua — chiama a unavita spesso scomoda, perché chi segue Gesùama i poveri e gli umili. Così ha fatto il Mae-stro, così ha proclamato sua Madre, lodandoDio perché «ha rovesciato i potenti dai troni,ha innalzato gli umili» (Lc 1, 52). Una Chiesache ha a cuore i poveri rimane sempre sinto-nizzata sul canale di Dio, non perde mai lafrequenza del Vangelo e sente di dover tornareall’essenziale per professare con coerenza cheil Signore è l’unico vero bene.

Don Tonino ci richiama a non teorizzare lavicinanza ai poveri, ma a stare loro vicino, co-me ha fatto Gesù, che per noi, da ricco cheera, si è fatto povero (cfr 2 Cor 8, 9). Don To-nino sentiva il bisogno di imitarlo, coinvolgen-dosi in prima persona, fino a spossessarsi disé. Non lo disturbavano le richieste, lo ferival’indifferenza. Non temeva la mancanza di de-naro, ma si preoccupava per l’incertezza dellavoro, problema oggi ancora tanto attuale.Non perdeva occasione per affermare che alprimo posto sta il lavoratore con la sua digni-tà, non il profitto con la sua avidità. Non sta-va con le mani in mano: agiva localmente perseminare pace globalmente, nella convinzioneche il miglior modo per prevenire la violenza eogni genere di guerre è prendersi cura dei bi-sognosi e promuovere la giustizia. Infatti, se laguerra genera povertà, anche la povertà generaguerra2. La pace, perciò, si costruisce a comin-ciare dalle case, dalle strade, dalle botteghe, làdove artigianalmente si plasma la comunione.Diceva, speranzoso, don Tonino: «Dall’offici-na, come un giorno dalla bottega di Nazareth,uscirà il verbo di pace che instraderà l’umani-tà, assetata di giustizia, per nuovi destini»3.

Cari fratelli e sorelle, questa vocazione dipace appartiene alla vostra terra, a questa me-ravigliosa terra di frontiera — f i n i s - t e r ra e — cheDon Tonino chiamava “terra-finestra”, perchédal Sud dell’Italia si spalanca ai tanti Sud delmondo, dove «i più poveri sono sempre piùnumerosi mentre i ricchi diventano sempre piùricchi e sempre di meno»4. Siete una «finestraaperta, da cui osservare tutte le povertà che in-combono sulla storia»5, ma siete soprattuttouna finestra di speranza perché il Mediterraneo,storico bacino di civiltà, non sia mai un arcodi guerra teso, ma un’arca di pace accoglien-te6.

Don Tonino è uomo della sua terra, perchéin questa terra è maturato il suo sacerdozio.Qui è sbocciata la sua vocazione, che amavachiamare evocazione: evocazione di quanto fol-

smo, il suo impegno nell’azione»11, della genteche non separa mai preghiera e azione. Carodon Tonino, ci hai messo in guardia dall’im-mergerci nel vortice delle faccende senza pian-tarci davanti al tabernacolo, per non illudercidi lavorare invano per il Regno12. E noi ci po-tremmo chiedere se partiamo dal tabernacoloo da noi stessi. Potresti domandarci anche se,una volta partiti, camminiamo; se, come Ma-ria, Donna del cammino, ci alziamo per rag-giungere e servire l’uomo, ogni uomo. Se ce lochiedessi, dovremmo provare vergogna per inostri immobilismi e per le nostre continuegiustificazioni. Ridestaci allora alla nostra altavocazione; aiutaci ad essere sempre più unaChiesa contemplattiva, innamorata di Dio e ap-passionata dell’uomo!

Cari fratelli e sorelle, in ogni epoca il Si-gnore mette sul cammino della Chiesa dei te-stimoni che incarnano il buon annuncio di Pa-squa, profeti di speranza per l’avvenire di tut-ti. Dalla vostra terra Dio ne ha fatto sorgereuno, come dono e profezia per i nostri tempi.E Dio desidera che il suo dono sia accolto,che la sua profezia sia attuata. Non acconten-tiamoci di annotare bei ricordi, non lasciamociimbrigliare da nostalgie passate e neanche dachiacchiere oziose del presente o da paure peril futuro. Imitiamo don Tonino, lasciamoci tra-sportare dal suo giovane ardore cristiano, sen-tiamo il suo invito pressante a vivere il Vange-lo senza sconti. È un invito forte rivolto a cia-scuno di noi e a noi come Chiesa. Davvero ciaiuterà a spandere oggi la fragrante gioia delVa n g e l o .

Adesso, tutti insieme, preghiamo la Madon-na e dopo vi darò la benedizione, d’a c c o rd o ?

[Ave Maria e benedizione]

Il Mediterraneo sia un’arca di pace

In preghierasulla tomba

di don ToninoBello

ad Alessano

#copertina

dola in eredità ai suoi sacerdoti. Diceva:«Amiamo il mondo. Vogliamogli bene. Pren-diamolo sotto braccio. Usiamogli misericordia.Non opponiamogli sempre di fronte i rigoridella legge se non li abbiamo temperati primacon dosi di tenerezza»7. Sono parole che rive-lano il desiderio di una Chiesa per il mondo:non mondana, ma per il mondo. Che il Signoreci dia questa grazia: una Chiesa non mondana,al servizio del mondo. Una Chiesa monda diautoreferenzialità ed «estroversa, protesa, nonavviluppata dentro di sé»8; non in attesa di ri-cevere, ma di prestare pronto soccorso; mai asso-pita nelle nostalgie del passato, ma accesad’amore per l’oggi, sull’esempio di Dio, che«ha tanto amato il mondo» (Gv 3, 16).

Il nome di “don Tonino” ci dice anche lasua salutare allergia verso i titoli e gli onori, ilsuo desiderio di privarsi di qualcosa per Gesùche si è spogliato di tutto, il suo coraggio diliberarsi di quel che può ricordare i segni delpotere per dare spazio al potere dei segni9. DonTonino non lo faceva certo per convenienza oper ricerca di consensi, ma mosso dall’esempiodel Signore. Nell’amore per Lui troviamo laforza di dismettere le vesti che intralciano ilpasso per rivestirci di servizio, per essere«Chiesa del grembiule, unico paramento sacer-dotale registrato dal Vangelo»10.

Da questa sua amata terra che cosa don To-nino ci potrebbe ancora dire? Questo credentecon i piedi per terra e gli occhi al Cielo, e so-prattutto con un cuore che collegava Cielo eterra, ha coniato, tra le tante, una parola origi-nale, che tramanda a ciascuno di noi unagrande missione. Gli piaceva dire che noi cri-stiani «dobbiamo essere dei contempl-attivi, condue t, cioè della gente che parte dalla contem-plazione e poi lascia sfociare il suo dinami-

lemente Dio predilige, ad una ad una, le no-stre fragili vite; eco della sua voce d’amore checi parla ogni giorno; chiamata ad andare sem-pre avanti, a sognare con audacia, a decentrarela propria esistenza per metterla al servizio; in-vito a fidarsi sempre di Dio, l’unico capace ditrasformare la vita in una festa. Ecco, questa èla vocazione secondo don Tonino: una chia-mata a diventare non solo fedeli devoti, maveri e propri innamorati del Signore, con l’ar-dore del sogno, lo slancio del dono, l’audaciadi non fermarsi alle mezze misure. Perchéquando il Signore incendia il cuore, non sipuò spegnere la speranza. Quando il Signorechiede un “sì”, non si può rispondere con un“forse”. Farà bene, non solo ai giovani, ma atutti noi, a tutti quelli che cercano il senso del-la vita, ascoltare e riascoltare le parole di DonTo n i n o .

In questa terra, Antonio nacque Tonino edivenne don Tonino. Questo nome, semplice efamiliare, che leggiamo sulla sua tomba, ciparla ancora. Racconta il suo desiderio di farsipiccolo per essere vicino, di accorciare le di-stanze, di offrire una mano tesa. Invitaall’apertura semplice e genuina del Vangelo.Don Tonino l’ha tanto raccomandata, lascian-

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Papa Francesco lo ripete spesso: non dimentica-te le radici. E così la mattina di domenica 22aprile a San Pietro, dopo aver ordinato sedicisacerdoti (undici dei quali per la diocesi diRoma), al termine della messa non solo li havoluti incontrare per baciare le mani che avevapoco prima consacrato, ma ha voluto conosce-re e salutare anche i loro genitori, per ringra-ziarli di essere stati il terreno in cui è nata ecresciuta la vocazione di ognuno dei nuovip re s b i t e r i .

Non a caso il Pontefice è solito inserireun’aggiunta al rito dell’ordinazione: quando ildiacono promette «filiale rispetto e obbedien-za», egli risponde: «Dio che ha iniziato in tela sua opera da bambino, la porti a compi-mento». Quella specificazione, “da bambino”,richiama la storia intera di una vita che giungeal crocevia di una scelta fondamentale.

E domenica 22 aprile, cinquantacinquesimagiornata mondiale di preghiera per le vocazio-ni, si sono dipanate sedici storie, sedici itinera-ri che da tutto il mondo — Europa, Asia, Ame-rica, India e Africa — si sono incontrati lì,sull’altare della Confessione. Il più giovane, 26anni, era Michele Ferrari: una vocazione gio-vane, maturata attraverso l’esperienza del se-minario minore di Roma e poi confluita nellaformazione al Maggiore. Dal seminario del Pa-pa provenivano anche altri quattro diaconi: ilventottenne Massimo Cunsolo, Gabriele Nasca(29 anni), Emilio Cenani (32 anni), entrato in

si al collegio diocesano Redemptoris Mater.Storie che affondano le loro radici a migliaiadi chilometri di distanza dalla diocesi del Pa-pa. In Vietnam, come per il trentasettennePhaolo Do Van Tan, in Myanmar, dove è natoil coetaneo Peter Dass Thein Lwin, in Colom-bia, terra d’origine di Fabio Alejandro Perdo-mo Lizcano (36 anni), in El Salvador, patria diMoises Pineda Zacarias (28 anni), e in Mada-gascar, dove è nato il ventisettenne ThierryRandrianantenaina. Due i sacerdoti provenien-ti dalla vecchia Europa: il trentasettenne croa-to Juraj Baškovi, anch’egli formatosi al Re-demptoris Mater, e il trentunenne romenoFrancisc Lacatuş, della Piccola Opera dellaDivina Provvidenza.

Grandi distanze per i quattro nuovi sacerdo-ti della congregazione della Famiglia dei disce-poli. Uno di loro è peruviano: si tratta di Wil-liam Humberto Mezones Shelton (33 anni).Gli altri tre presbiteri provengono tutti dall’In-dia, dallo Stato meridionale di Tamil Nadu: sitratta di Sathiyaraj Amalraj (31 anni), di Pra-deep Antony Babu Edwin Amalraj (32 anni) edi Joseph Mariaraj (30 anni). Prima della mes-sa il Papa li ha incontrati tutti nella cappelladella Pietà, e poi, durante l’omelia rituale pre-vista dal Pontificale Romano per l’o rd i n a z i o n edei presbiteri — integrata con alcune aggiuntepersonali — si è raccomandato di mettere le lo-ro storie al servizio di Dio per il bene dellagente. Con un segno distintivo: «Siate miseri-c o rd i o s i ! » .

Infine anche al Regina caeli, recitato con ifedeli presenti in piazza San Pietro, il Pontefi-ce ha ricordato la celebrazione della giornatadi preghiera per le vocazioni e le ordinazionisacerdotali conferite poco prima. Per l’o ccasio-ne con lui si sono affacciati dalla finestra delPalazzo apostolico quattro dei sedici nuovipresbiteri: Gabriele Nasca, Thierry Randra-nantenaina, Phaolo Van Tan Do e Peter DassThein Lwin.

L’imp ortanzadelle radici

Il Pontefice ordinasedici sacerdoti

#francesco

seminario dopo essersi lau-reato in Medicina, e RenatoTarantelli Baccari che, con isuoi 41 anni, era il “decano”del gruppo: vocazione piùadulta, nata nel cuore di unavvocato, docente di dirittotributario, segnato — lo rac-conta lui stesso —«dall’esperienza dirompentedel cammino da Lourdes aSantiago di Compostela».Un pellegrinaggio, ripetutoanche recentemente, a ridos-so dell’ordinazione, quasi asuggellare la scelta di unavita.

Il cammino neocatecume-nale ha segnato, invece, lestorie dei presbiteri formati-

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Vorrei esprimere tutta la mia considerazione ericonoscenza per il rilevante contributo che iBenedettini hanno apportato alla vita dellaChiesa, in ogni parte del mondo, per quasimillecinquecento anni. In questa celebrazionedel Giubileo della Confederazione Benedettinavogliamo ricordare, in modo speciale, l’imp e-gno del Papa Leone XIII, che nel 1893 volleunire tutti i Benedettini fondando una casa co-mune di studio e preghiera, qui, a Roma. Rin-graziamo Dio per questa ispirazione, perchéciò ha portato i Benedettini di tutto il mondoa vivere un più profondo spirito di comunionecon la Sede di Pietro e tra di loro.

La spiritualità benedettina è rinomata per ilsuo motto: Ora et labora et lege. Preghiera, la-voro, studio. Nella vita contemplativa, Diospesso annuncia la sua presenza in manierainaspettata. Con la meditazione della Parola diDio nella lectio divina, siamo chiamati a rima-nere in religioso ascolto della sua voce per vi-vere in costante e gioiosa obbedienza. La pre-ghiera genera nei nostri cuori, disposti a rice-vere i doni sorprendenti che Dio è semprepronto a darci, uno spirito di rinnovato fervoreche ci porta, attraverso il nostro lavoro quoti-diano, a ricercare la condivisione dei doni del-la sapienza di Dio con gli altri: con la comuni-tà, con coloro che vengono al monastero perla loro ricerca di Dio (“quaerere Deum”), e conquanti studiano nelle vostre scuole, collegi euniversità. Così si genera una sempre rinnova-ta e rinvigorita vita spirituale.

Alcuni aspetti caratteristici del tempo litur-gico di Pasqua, che stiamo vivendo, quali l’an-nuncio e la sorpresa, la risposta sollecita, e ilcuore disposto a ricevere i doni di Dio, inrealtà sono parte della vita benedettina di ognigiorno. San Benedetto vi chiede nella sua Re-gola di «non anteporre assolutamente nulla aCristo» (n. 72), perché siate sempre vigili,nell’oggi, pronti ad ascoltarlo e seguirlo docil-

nalmente e comunitariamente, l’incontro con ilSignore risorto.

Se San Benedetto fu una stella luminosa —come lo chiama San Gregorio Magno — nelsuo tempo segnato da una profonda crisi deivalori e delle istituzioni, ciò avvenne perchéseppe discernere tra l’essenziale e il secondarionella vita spirituale, ponendo saldamente alcentro il Signore. Possiate anche voi, suoi figliin questo nostro tempo, praticare il discerni-mento per riconoscere ciò che viene dallo Spi-rito Santo e ciò che viene dallo spirito delmondo o dallo spirito del diavolo. Discerni-mento che «non richiede solo una buona ca-pacità di ragionare e di senso comune, [ma] èanche un dono che bisogna chiedere allo Spi-rito Santo. Senza la sapienza del discernimen-to possiamo trasformarci facilmente in buratti-ni alla mercé delle tendenze del momento»(Esort. ap. Gaudete et exsultate, 166-167).

In quest’epoca, nella quale le persone sonocosì indaffarate da non avere tempo sufficienteper ascoltare la voce di Dio, i vostri monasterie i vostri conventi diventano come delle oasi,dove uomini e donne di ogni età, provenienza,cultura e religione possono scoprire la bellezzadel silenzio e ritrovare sé stessi, in armoniacon il creato, consentendo a Dio di ristabilireun giusto ordine nella loro vita. Il carisma be-nedettino dell’accoglienza è assai prezioso perla nuova evangelizzazione, perché vi dà mododi accogliere Cristo in ogni persona che arriva,aiutando coloro che cercano Dio a ricevere idoni spirituali che Egli ha in serbo per ognu-no di noi.

Ai Benedettini, poi, è sempre stato ricono-sciuto l’impegno per l’ecumenismo e il dialogointerreligioso. Vi incoraggio a continuare inquest’opera importante per la Chiesa e per ilmondo, ponendo al servizio di essa anche lavostra tradizionale ospitalità. In effetti, non c’èopposizione tra la vita contemplativa e il servi-zio agli altri. I monasteri benedettini — sia nel-le città sia lontani da esse — sono luoghi dipreghiera e di accoglienza. La vostra stabilità èimportante anche per le persone che vengonoa cercarvi. Cristo è presente in questo incon-tro: è presente nel monaco, nel pellegrino, nelbisognoso.

Vi sono grato per il vostro servizio in cam-po educativo e formativo, qui a Roma e intante parti del mondo. I Benedettini sono co-nosciuti per essere “una scuola del servizio delS i g n o re ”. Vi esorto a dare agli studenti, insie-me con le necessarie nozioni e conoscenze, glistrumenti perché possano crescere in quellasaggezza che li spinga a ricercare continua-mente Dio nella loro vita; quella stessa saggez-za che li condurrà a praticare la comprensionevicendevole, perché siamo tutti figli di Dio,fratelli e sorelle, in questo mondo che ha tantasete di pace.

In conclusione, cari fratelli e sorelle, auspicoche la celebrazione del Giubileo per l’anniver-sario della fondazione della ConfederazioneBenedettina sia un’occasione proficua per ri-flettere sulla ricerca di Dio e della sua sapien-za, e su come trasmettere più efficacemente lasua perenne ricchezza alle generazioni future...

Contemplativial serviziodegli altri

Dal discorso allac o n f e d e ra z i o n ebenedettina

#francesco

L’udienza di giovedì 19nella Sala Clementina, ai monaci

e alle monachedella Confederazione benedettina

nel centoventicinquesimoanniversario della fondazione

mente (cfr ivi, Prologo). Il vostro amore per laliturgia, quale fondamentale opera di Dio nel-la vita monastica, è essenziale anzitutto per voistessi, permettendovi di stare alla vivente pre-senza del Signore; ed è prezioso per tutta laChiesa, che nel corso dei secoli ne ha benefi-ciato come di acqua sorgiva che irriga e fecon-da, alimentando la capacità di vivere, perso-

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GIOVEDÌ 19L’evangelizzazione non si fa

in poltrona«L’evangelizzazione non si fa in poltrona» ba-sandosi su «teorie», ma lasciando fare alloSpirito Santo. Lo stile giusto è andare verso lepersone ed essere loro vicini, partendo sempredalle «situazioni concrete»: quasi «un corpo acorpo» che si fa con la vita e la parola. È un«trattato» semplice e diretto sull’evangelizza-zione quello proposto da Francesco nella mes-sa del mattino.

«Dopo il martirio di Stefano — ha fatto pre-sente Francesco riferendosi ai racconti degliAtti degli apostoli proposti dalla liturgia —scoppiò una grande persecuzione a Gerusa-lemme: i cristiani erano perseguitati e anchePaolo andava con loro, e li prendeva da casa,da una parte all’altra». Così, ha affermato ilPapa, «i discepoli si dispersero un po’ dapp er-tutto, per tutte le regioni della Giudea, dellaSamaria». Proprio «quel vento della persecu-zione» ha fatto in modo «che i discepoli an-dassero oltre», ha confermato il Pontefice ri-lanciando questa immagine efficace: «Come fail vento con i semi delle piante, li porta oltre esemina, così è successo qui: loro sono andatioltre, col seme della parola, e hanno seminatola parola di Dio». Così, ha aggiunto, «possia-mo dire, un po’ scherzando, è nata P ro p a g a n -da fide».

È «da una persecuzione, da un vento» che«i discepoli portarono l’evangelizzazione». Loconferma, del resto, proprio il «passo che oggiabbiamo letto», tratto dagli Atti (8, 26-40).Un brano che «è di una bellezza grande», haosservato il Papa definendolo «un vero trattatodi evangelizzazione: così evangelizza il Signo-re, così annunzia il Signore, così vuole il Si-gnore che evangelizziamo». Francesco ha indi-cato «tre parole chiave» per comprendere finofondo il senso e il modo dell’evangelizzazione.Anzitutto, ha rilevato, «è lo Spirito che spin-ge» e «dice a Filippo “àlzati”, prima parola;“accostati”, seconda parola; e terza parola,“parti dalla situazione”».

Esattamente «con queste tre parole si strut-tura tutta l’evangelizzazione», ha affermato ilPontefice. È lo Spirito, infatti, «che incomin-cia e sostiene l’evangelizzazione». Perché«l’evangelizzazione non è un piano ben fattodi proselitismo: “Andiamo qui e facciamo tantiproseliti, di là, e tanti”». In realtà, ha precisatoFrancesco, «è lo Spirito che ti dice come tu

devi andare per portare la parola di Dio, perportare il nome di Gesù». Perciò «incominciadicendo: “àlzati e va’”» in quella direzione.Con la consapevolezza che «non esisteun’evangelizzazione “da poltrona”». Dunque«“àlzati e va’”, in uscita sempre, “vai”, in mo-vimento, vai nel posto dove tu devi dire la pa-rola». Il Papa ricordato «tanti uomini e donneche hanno lasciato la patria, la famiglia e sonoandati in terre lontane per portare la parola diDio». E molti di loro «tante volte» non eranoneppure «preparati fisicamente, perché nonavevano gli anticorpi per resistere alle malattiedi quelle terre, e morivano giovani, a qua-rant’anni o morivano martirizzati».

A questo proposito Francesco ha condivisoil racconto di «un grande cardinale» — che «èvivo ancora, bravo» — il quale ha l’incarico diandare nelle terre di missione. E, ha racconta-to, «quando lui va in quei posti, la prima cosache fa è andare al cimitero e guardare i nomidei missionari e la data della morte: tutti gio-vani». Per lui «tutti questi vanno canonizzati:sono martiri, martiri dell’evangelizzazione».

Insomma, ha rilanciato il Pontefice, «vai,non preoccuparti», tenendo ben presente chela «prima parola di una vera evangelizzazioneè “àlzati e va’”». Perciò, ha raccomandato,«non portare il vademecum della evangelizza-zione, perché non serve». Va invece vissuta la«seconda parola: “accostati”». Che significa«vicinanza». Dunque, ha suggerito il Papa,«accostati per guardare cosa succede». Propriocome «fa Filippo. Vede quel carro che viene elo Spirito gli dice: “Va ’ avanti e accostati” p ervedere cosa succede lì dentro». Gli Atti rac-contano che «Filippo corse innanzi». Si misea correre, dunque, «e udì che quel signore cheera nel carro, un ministro dell’economia, leg-geva Isaia». Filippo «ascoltò bene e intuì, perla grazia dello Spirito Santo, che quell’uomonon capiva bene». E «lì Filippo sentì che do-veva fare l’altro passo: lo Spirito dice: “vaiavanti ancora”». Così «comincia a parlare e ladomanda è: “capisci quello che stai leggen-do?”». Ecco che l’uomo fa salire «Filippo sulcarro» per dirgli che non era capace di capire,perché nessuno glielo aveva spiegato. E «Fi-lippo, prendendo la parola e partendo da quelpasso, “parte dalla situazione”»: ecco la «terzaparola». Dunque «“àlzati”, “accostati”, “partidalla situazione”: non partire dalla teoria» mada «quella domanda che lo Spirito suscita.Non si può evangelizzare in teoria». Perché«l’evangelizzazione è un po’ corpo a corpo,persona a persona: si parte dalla situazione,non dalle teorie». Con questo stile Filippo«annuncia Gesù Cristo e il coraggio dello Spi-rito lo spinge a battezzare» il suo interlocuto-re: «Va’ oltre, va’, va’, fino a che senti che è fi-nita la sua opera».

«Così si fa l’evangelizzazione» ha rilanciatoil Papa, riproponendo le «tre parole» che «so-no chiave per tutti noi cristiani», chiamati a«evangelizzare con la nostra vita, con il nostroesempio e anche con la nostra parola». E allo-ra «àlzati, accostati, vicinanza, e parti dalla si-tuazione, quella concreta: un metodo semplice,ma è il metodo di Gesù» che «evangelizzavacosì, sempre in cammino, sempre sulla strada,sempre vicino alla gente e sempre partiva dallesituazioni concrete, dalle concretezze».

Quindi, ha ricordato il Pontefice, «si puòevangelizzare soltanto con questi tre atteggia-menti, ma sotto la forza dello Spirito: senza loSpirito neppure questi tre atteggiamenti servo-no; è lo Spirito che ci spinge ad alzarci, ad ac-costarci e a partire dalle situazioni».

In conclusione Francesco ha invitato a pre-gare «per tutti noi cristiani che abbiamo l’ob-bligo di evangelizzare, la missione di evange-lizzare». Che il Signore «ci dia la grazia di es-sere ascoltatori dello Spirito».

Le omeliedel Pontefice

#santamarta

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MARTEDÌ 24Come la bicicletta

L’equilibrio della Chiesa ricorda quello dellabicicletta che cade se sta ferma ma «va bene»se è in movimento. Ed è proprio dall’immobi-lismo, dalla rigidità del «si è sempre fatto co-sì» che rende «prigionieri delle idee», dalle re-sistenze ideologiche a ogni cambiamento sug-gerito dallo Spirito, che Papa Francesco hamesso in guardia durante l’omelia mattutina.«Quando a causa della persecuzione scoppiataa Gerusalemme i discepoli si sono dispersi eseminarono la parola di Dio — ha spiegato ilPontefice — incominciò il dialogo fra loro e lagente che non era del loro popolo, gente conun’altra cultura, un altro pensiero, un’altra fi-losofia, un’altra lingua, ma loro sono andatiavanti».

In particolare, ha proseguito, alcuni disce-poli «incominciarono a predicare il Vangelo aquesta gente che non era ebrea, del popolo diDio». La predicazione del Vangelo ai «paganiera una novità: una delle prime novità dellaChiesa». Ma «davanti alle novità di Dio ci so-no atteggiamenti diversi» ha riconosciuto ilPapa. «Noi oggi ne vediamo due, ambedue diresistenza». E così, ha detto riferendosi al pas-so degli Atti degli apostoli (11, 19-26), «questodi predicare Gesù Cristo ai pagani è una novi-tà e non entrava nella testa del popolo diDio». E perciò «quelli di Gerusalemme sonorimasti un po’ inquieti e hanno inviato Barna-ba» ad Antiochia a controllare. Dunque Bar-naba «ha fatto lì una visita canonica». È lostesso «problema che ha avuto Pietro quandoè entrato da Cornelio» ha proseguito il Ponte-fice, citando un altro episodio raccontato negliAtti degli apostoli e richiamando «lo scandaloche poi gli hanno fatto quelli di Gerusalemme:è dovuto andare lì, spiegare cosa era succes-so». Ma «dopo il dialogo hanno sentito che lìc’era una cosa di Dio; che era proprio lo Spiri-to che li spingeva a questa novità».

Così «hanno pregato, hanno cercato la lucedel Signore, hanno saputo discernere i segnidei tempi» ha rilanciato Francesco. Dunque,«c’è lo Spirito che dava loro questa sapienzanuova e così si sono aperti e la Chiesa è anda-ta avanti e i pagani sono stati ammessi senzapassare per i riti di iniziazione ebraica». E«questa è la grande prima novità». Con «unaprima resistenza, ma aperta: è normale».

In realtà «loro — ha affermato il Pontefice —sono rimasti docili allo Spirito Santo per fareuna cosa che era più di una rivoluzione, uncambiamento forte: al centro c’era lo SpiritoSanto, non loro; non la legge». Così «la Chie-sa era una Chiesa in movimento, andava oltrese stessa». Cioè «non era un gruppo chiuso dieletti ma una Chiesa missionaria: anzi, l’equili-brio della Chiesa, per così dire, è proprio nellamobilità, nella fedeltà allo Spirito Santo».

«Qualcuno diceva che l’equilibrio dellaChiesa assomiglia all’equilibrio della bicicletta:è ferma e va bene quando è in moto; se tu lalasci ferma, cade» ha detto il Papa, rimarcan-do che è «un esempio buono» perché ci ricor-da di «andare in movimento secondo lo Spiri-to». Che è «il centro», rende «liberi, con la li-bertà dei figli di Dio».

L’altro esempio «è la resistenza dei dottoridella legge, che si vede bene all’inizio del Van-gelo» ha rilanciato Francesco in riferimento albrano di Giovanni (10, 22-30). «Già alla finedella vita, era inverno, Gesù camminava neltempio, nel portico di Salomone» ha spiegato

hanno fatto ideologizzando la legge del Signo-re». Questa è una «resistenza tanto difficile daguarire, ci vuole una grazia tanto grande delloSpirito» ha affermato il Pontefice. Tanto che,«dopo tre anni» passati ad «ascoltare Gesù, adiscutere, a vedere i miracoli», gli domandano:«Ma allora fino a quando ci terrai nell’incer-tezza?». Insomma, «non hanno capito, nonhanno lasciato entrare niente di Gesù: chiusi».E «questa chiusura diventa rigidità. Non sonoliberi figli di Dio: al centro» mettono «se stes-si, chiusi», vivendo «con quel modo di difen-dere la rivelazione di Dio, che era ideologico enon era aperto allo Spirito Santo che stava fa-cendo tanti cambiamenti». Era «gente chesempre tornava sullo stesso e nessuna cosa lifaceva felici».

È «l’ortodossia di questa gente che chiude ilcuore alle novità di Dio, allo Spirito Santo»ha insistito il Papa. «Questa gente — ha ag-giunto — non sa discernere i segni dei tempi.Volevano una Chiesa chiusa rigida, non apertaalle novità di Dio». Invece «l’altro atteggia-mento, quello dei discepoli, degli apostoli, èun atteggiamento di libertà».

il Papa. Allora «i giudei gli si fecero attorno equesto gruppetto gli diceva: “Fino a quando citerrai nell’incertezza? Se tu sei il Cristo, dillo anoi apertamente”. E Gesù li guardava e rispo-se loro: “Ve l’ho detto e non credete. Le opereche io compio”».

Ma loro, ha proseguito il Papa, «tornanosulla stessa domanda, sono incapaci di uscireda quel mondo chiuso, sono prigionieri delleidee. Hanno ricevuto la legge che era vita mal’hanno “distillata”, l’hanno trasformata inideologia e così girano, girano e sono incapacidi uscire e qualsiasi novità per loro è una mi-naccia». E «per questo hanno finito per ucci-dere Gesù. Sono attaccati alla lettera delle co-se, sono attaccati a quella chiusura che loro

Umberto Boccioni, «Dinamismodi un ciclista»

#santamarta

Ve n t i q u a t t re s i m ariunionedel Consigliodi cardinali

Alla messa di martedì 24hanno partecipato icardinali consiglieriimpegnati in Vaticanonella ventiquattresimariunione con il Pontefice.I lavori, iniziati lunedì 23,sono proseguiti finoa mercoledì 25 e sono statidedicati alla rilettura dellabozza della nuovaCostituzione apostolicadella Curia romana. Altermine della stesura deldocumento, che richiederàancora un po’ di tempo, iporporati approveranno iltesto da consegnare alPontefice per le sue ulterioriconsultazioni e perl’approvazione finale. Lo hariferito nella tarda mattinatadi mercoledì 25 il direttoredella Sala stampa dellaSanta Sede, Greg Burke, nelcorso di un briefing con igiornalisti accreditati. Tra ivari temi che andranno aformare la nuovaCostituzione apostolica,molti dei quali sono statigià ampiamente affrontatinelle precedenti sessioni, nesono stati evidenziati alcunidi particolare importanza: laCuria romana al servizio delSanto Padre e delle Chieseparticolari; il caratterepastorale delle attivitàcuriali; l’istituzione e ilfunzionamento della Terzasezione della Segreteria diStato; l’annuncio delVangelo e lo spiritomissionario comeprospettiva che caratterizzal’attività di tutta la Curia.Il cardinale Sean PatrickO’Malley ha aggiornato ipartecipanti circa i numerosisforzi che vengono compiutiin tutto il mondo per laprotezione dei minori edegli adulti vulnerabili. Iporporati hanno ascoltatomonsignor Lucio AdrianRuiz, segretario dellaSegreteria per lacomunicazione, che haaggiornato il Consiglio sullostato attuale della riformadel sistema comunicativovaticano. La prossimariunione del Consiglio avràluogo nei giorni 11, 12 e 13giugno prossimi.

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Venerdì 20Francesco ha inviato un videomessaggio aipartecipanti all’incontro dei responsabili dellapastorale giovanile di Cuba, svoltosi presso lacasa sacerdotale dell’Avana. L’appuntamento èstato organizzato dalla commissione nazionaledella pastorale giovanile, presieduta da monsi-gnor Álvaro Julio Beyra Luarca, vescovo diSantísimo Salvador de Bayamo y Manzanillo.«Cari giovani, vi incoraggio a innamorarvi diGesù e ad assumere un impegno sempre piùconcreto al servizio della Chiesa in questa Cu-ba concreta di oggi, senza paura di ascoltare lachiamata di Dio nelle situazioni che si presen-tano tutti i giorni. Da buoni patrioti, amate lavostra terra, amate la vostra patria! Siate gene-rosi e aprite il vostro cuore al Signore! Che la

prossima Giornata mondiale della gioventù aPanamá e quella di Cuba a Santiago non sia-no il fine dello sforzo che state compiendo,ma che vadano al di là. Che possiate scoprireche è un’opportunità per approfondire i pro-cessi di fede di ognuno e per costruire la Chie-sa cubana di oggi e di domani, la Patria cuba-na di oggi e di domani; sapendo che non sietesoli e che costruiamo soltanto a partire dallacomunità alla quale apparteniamo, concreta,dove c’impegniamo nella vita e c’incoraggiamonella vocazione. Vi invito ad andare sempreavanti: guardate avanti, amate la vostra terra,amate Gesù e che la Vergine si prenda cura divoi. Coraggio!».

Sabato 21Amore a Dio e amore al prossimo: sono le

«due pietre miliari» indicate dal Papa alla co-munità del venerabile collegio inglese di Ro-ma, ricevuta in udienza nella Sala del Conci-storo. Nello stesso giorno è stato reso noto cheFrancesco ha costituito lo scorso 27 marzo la

«Commosso per le preghiere e la vasta solidarietàin favore del piccolo Alfie Evans, rinnovo il mio appello

perché venga ascoltata la sofferenza dei suoi genitorie venga esaudito il loro desiderio di tentare nuove

possibilità di trattamento

@Pontifex 23 aprile

Il prossimo 7 luglio PapaFrancesco si recherà a Bari perpregare per la pace in Mediooriente. Lo ha reso noto mercoledì25 aprile un comunicato dellaSala stampa della Santa Sede,in cui si specifica che il Ponteficesarà nel capoluogo pugliese«finestra sull’Oriente checustodisce le reliquie di SanNicola, per una giornata diriflessione e preghiera sullasituazione drammatica del Mediooriente, che affligge tanti fratelli esorelle nella fede». Si tratta,prosegue la nota, di un «incontroecumenico per la pace» che sisvolgerà di sabato, al qualeFrancesco «intende invitare i capidi Chiese e comunità cristiane diquella regione». Perciò «fin daora» il Pontefice «esorta apreparare questo evento con lap re g h i e ra » .

”Il discorso al Venerabile

collegio inglese

Regina caeliin piazza San Pietro

Rete mondiale di preghiera del Papa (Aposto-lato della preghiera) come «opera pontificia,con sede legale nello Stato della Città del Va-ticano e ne ha approvato i nuovi statuti». Èstato l’arcivescovo Angelo Becciu, sostitutodella Segreteria di Stato, a comunicarlo allaCompagnia di Gesù in una lettera datata 10aprile. Si è concluso così il processo di revisio-ne e aggiornamento degli statuti, iniziato do-po la nomina da parte del Pontefice del nuovodirettore internazionale della Rete, il gesuitaFrederic Fornos. Presente in 98 paesi, anchecon il Movimento eucaristico giovanile, la Re-te ha tra i suoi progetti più conosciuti il videomensile del Papa (www.ilvideodelpapa.org).

Domenica 22La fine delle violenze in Nicaragua è stata

invocata da Papa Francesco al Regina caeli re-citato con i fedeli presenti in piazza San Pietroper la preghiera mariana di mezzogiorno.Esprimendo la sua preoccupazione «per quan-to sta accadendo in questi giorni» nel paesecentramericano, dove «in seguito a una prote-sta sociale, si sono verificati scontri, che hannocausato anche alcune vittime», il Pontefice haassicurato la sua «vicinanza nella preghiera»alla popolazione. In precedenza aveva offertouna riflessione sul passo evangelico del buonp a s t o re .

Lunedì 23Oltre tremila gelati sono stati offerti dal ve-

scovo di Roma ai poveri della città nel giornoin cui la Chiesa ricorda san Giorgio martire. IlPontefice ha voluto festeggiare così il proprioonomastico insieme ai più bisognosi e ai sen-zatetto, incaricando l’elemosineria apostolicadi distribuire i gelati alle persone che vengonoquotidianamente accolte nelle mense, nei dor-mitori e nelle strutture caritative.

#7giorniconilpapa

«Seguiamo l’esempiodi san Francesco d’As s i s i :

abbiamo cura della nostra Casacomune». È il tweet lanciato

sull’account @Pontifex domenica22 in occasione della Giornata

mondiale della terra

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Continuiamo la nostra riflessione sul Battesimo,sempre alla luce della Parola di Dio.

È il Vangelo a illuminare i candidati e a su-scitare l’adesione di fede: «Il Battesimo è inmodo tutto particolare “il sacramento della fe-de”, poiché segna l’ingresso sacramentale nellavita di fede» (Catechismo della Chiesa Cattolica,1236). E la fede è la consegna di sé stessi al Si-gnore Gesù, riconosciuto come «sorgente diacqua […] per la vita eterna» (Gv 4, 14), «lucedel mondo» (Gv 9, 5), «vita e risurrezione»(Gv 11, 25), come insegna l’itinerario percorso,ancora oggi, dai catecumeni ormai prossimi aricevere l’iniziazione cristiana. Educatidall’ascolto di Gesù, dal suo insegnamento edalle sue opere, i catecumeni rivivono l’esp e-rienza della donna samaritana assetata di ac-qua viva, del cieco nato che apre gli occhi allaluce, di Lazzaro che esce dal sepolcro. Il Van-gelo porta in sé la forza di trasformare chi loaccoglie con fede, strappandolo dal dominiodel maligno affinché impari a servire il Signo-re con gioia e novità di vita.

Al fonte battesimale non si va mai da soli,ma accompagnati dalla preghiera di tutta laChiesa, come ricordano le litanie dei Santi cheprecedono l’orazione di esorcismo e l’unzioneprebattesimale con l’olio dei catecumeni. Sonogesti che, fin dall’antichità, assicurano quantisi apprestano a rinascere come figli di Dio chela preghiera della Chiesa li assiste nella lottacontro il male, li accompagna sulla via del be-ne, li aiuta a sottrarsi al potere del peccato perpassare nel regno della grazia divina. La pre-ghiera della Chiesa. La Chiesa prega e pregaper tutti, per tutti noi! Noi Chiesa, preghiamoper gli altri. È una cosa bella pregare per glialtri. Quante volte non abbiamo alcun bisognourgente e non preghiamo. Noi dobbiamo pre-gare, uniti alla Chiesa, per gli altri: “S i g n o re ,io ti chiedo per quelle che sono nel bisogno,per coloro che non hanno fede…”. Non di-menticatevi: la preghiera della Chiesa sempre èin atto. Ma noi dobbiamo entrare in questapreghiera e pregare per tutto il popolo di Dioe per quelli che hanno bisogno delle preghie-re. Per questo, il cammino dei catecumeniadulti è segnato da ripetuti esorcismi pronun-ciati dal sacerdote (cfr. CCC, 1237), ossia dapreghiere che invocano la liberazione da tuttociò che separa da Cristo e impedisce l’intimaunione con Lui. Anche per i bambini si chiedea Dio di liberarli dal peccato originale e con-sacrarli dimora dello Spirito Santo (cfr. Ritodel Battesimo dei bambini, n. 56). I bambini.Pregare per i bambini, per la salute spiritualee corporale. È un modo di proteggere i bam-bini con la preghiera. Come attestano i Vange-li, Gesù stesso ha combattuto e scacciato i de-moni per manifestare l’avvento del regno diDio (cfr. Mt 12, 28): la sua vittoria sul poteredel maligno lascia libero spazio alla signoria diDio che rallegra e riconcilia con la vita.

Il Battesimo non è una formula magica maun dono dello Spirito Santo che abilita chi lo ri-ceve «a lottare contro lo spirito del male», cre-dendo che «Dio ha mandato nel mondo il suo

Figlio per distruggere il potere di satana e tra-sferire l’uomo dalle tenebre nel suo regno diluce infinita» (cfr. Rito del Battesimo dei bambi-ni, n. 56). Sappiamo per esperienza che la vitacristiana è sempre soggetta alla tentazione, so-prattutto alla tentazione di separarsi da Dio,dal suo volere, dalla comunione con lui, perricadere nei lacci delle seduzioni mondane. Eil Battesimo ci prepara, ci dà forza per questalotta quotidiana, anche la lotta contro il diavo-lo che — come dice San Pietro — come un leo-ne cerca di divorarci, di distruggerci.

Oltre alla preghiera, vi è poi l’unzione sulpetto con l’olio dei catecumeni, i quali «ne ri-cevono vigore per rinunziare al diavolo e alpeccato, prima di appressarsi al fonte e rina-scervi a vita nuova» (Benedizione degli oli, Pre-messe, n. 3). Per la proprietà dell’olio di pene-trare nei tessuti del corpo portandovi benefi-cio, gli antichi lottatori usavano cospargersi diolio per tonificare i muscoli e per sfuggire più

facilmente alla presa dell’avversario. Alla lucedi questo simbolismo i cristiani dei primi seco-li hanno adottato l’uso di ungere il corpo deicandidati al Battesimo con l’olio benedetto dalVescovo [Ecco la preghiera di benedizione,espressiva del significato di quest’olio: «ODio, sostegno e difesa del tuo popolo, benedi-ci quest’olio nel quale hai voluto donarci unsegno della tua forza divina; concedi energia evigore ai catecumeni che ne riceveranno l’un-

Pace per tuttoil popolo coreano

Ap p e l l oin vista

dell’i n c o n t rodi Panmunjeom

#catechesi

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Si chiama moskaña il dolce preparato da poveri per ipoveri e offerto a Papa Francesco dai giovaniboliviani che «hanno trovato proprio nella cucina ilriscatto da una vita tra gli scarti di periferia». Sonoi protagonisti del progetto della fundación meltingpot, diretta dallo chef Claus Meyer, che sta dandoloro «un’opportunità concreta di dignità e futuro».Ad accompagnarli all’udienza generale di mercoledì25 aprile in piazza San Pietro, anche in occasionedella giornata internazionale della madre terracelebrata tre giorni prima, l’ambasciatore presso laSanta Sede, Julio Cesar Caballero Moreno. Ilmoskaña, hanno spiegato i giovani a Francesco, «ècucinato con i prodotti tipici della Bolivia, inparticolare con gli alimenti che da semprecostituiscono il pasto dei più poveri».Con particolare affetto il Papa ha accolto i bambiniammalati e le loro famiglie, ascoltando le lorostorie. E così ha abbracciato Loris De Bortoli, diprofessione pasticcere, che ha pedalato per millechilometri lungo la via Francigena, da Pordenone aRoma, per consegnare personalmente a Francesco lalettera scritta da Pietro Leone, un bambino diquattro anni con un tumore al cervello, con i suoigenitori Omar e Anna. Una coppia in prima linea

Il dolce dei poveri

zione, perché illuminati dalla tua sapienza,comprendano più profondamente il Vangelo diCristo; sostenuti dalla tua potenza, assumanocon generosità gli impegni della vita cristiana;fatti degni dell’adozione a figli, gustino lagioia di rinascere e vivere nella tua Chiesa»:Benedizione degli oli, n. 21.], al fine di signifi-care, mediante questo «segno di salvezza», chela potenza di Cristo Salvatore fortifica per lot-tare contro il male e vincerlo (cfr. Rito del Bat-tesimo dei bambini, n. 105).

È faticoso combattere contro il male, sfuggi-re ai suoi inganni, riprendere forza dopo unalotta sfiancante, ma dobbiamo sapere che tuttala vita cristiana è un combattimento. Dobbia-mo però anche sapere che non siamo soli, chela Madre Chiesa prega affinché i suoi figli, ri-generati nel Battesimo, non soccombano alleinsidie del maligno ma le vincano per la po-tenza della Pasqua di Cristo. Fortificati dal Si-gnore Risorto, che ha sconfitto il principe diquesto mondo (cfr. Gv 12, 31), anche noi pos-siamo ripetere con la fede di san Paolo: «Tuttoposso in colui che mi dà la forza» (Fil 4, 13).Noi tutti possiamo vincere, vincere tutto, macon la forza che mi viene da Gesù.

Al termine della catechesi il Pontefice hapronunciato il seguente appello.

Venerdì prossimo, 27 aprile, a Panmunjeom siterrà un Summit Inter-Coreano, al quale pren-deranno parte i Leader delle due Coree, il Si-gnor Moon Jae-in e il Signor Kim Jong-un.Tale incontro sarà un’occasione propizia peravviare un dialogo trasparente e un percorsoconcreto di riconciliazione e di ritrovata frater-nità, al fine di garantire la pace nella PenisolaCoreana e nel mondo intero.

Al Popolo Coreano, che desidera ardente-mente la pace, assicuro la mia personale pre-ghiera e la vicinanza di tutta la Chiesa. LaSanta Sede accompagna, sostiene e incoraggiaogni iniziativa utile e sincera per costruire unfuturo migliore, all’insegna dell’incontro edell’amicizia tra i popoli. A coloro che hannoresponsabilità politiche dirette, chiedo di avereil coraggio della speranza facendosi “artigiani”di pace, mentre li esorto a proseguire con fidu-cia il cammino intrapreso per il bene di tutti.E siccome Dio è Padre di tutti e Padre di pa-ce, vi invito a pregare il nostro Padre, Dio, Pa-dre di tutti, per il popolo coreano, sia quelliche sono al Sud sia quelli che sono al Nord.[Padre nostro...]

con l’associazione Maruzza «per garantire una seriaassistenza domiciliare ai più piccoli», con lo slogan«a casa è più meglio». E con un bacio il Papa haincoraggiato Matteo Coveri, nove anni, in curaall’ospedale Meyer di Firenze per un tumore chesembra resistere a tutte le terapie. Matteo haconsegnato al Papa una lettera, con un cuore alcentro, per chiedergli una preghiera per sé e nonnaLoretta, anch’essa ammalata. «Pur con ladisperazione negli occhi» mamma Daniela stavivendo con il marito Leonardo questa esperienzacon uno spirito di fede incrollabile: «Siamo venutida Francesco per far sì che Gesù entri ancora di piùnel cuore del nostro Matteo». Il curato di Ars-sur-Moselle, padre Cédric Triponey, affetto dallamalattia neurologica di Charcot-Marie-Thoot, hapresentato al Papa «il più entusiasta e originalegruppo di chierichetti del mondo»: quindicibambini, con varie disabilità — autismo e sindromedi Asperger e di Down — e con storie familiaridifficili che vanno dall’abbandono all’adozione. «Ilservizio della messa infonde loro fiducia in se stessi— dice il parroco francese — e costituisce anche unaformidabile scuola per imparare a gestirsi e acrescere in un servizio a contatto con gli altri».

#catechesi

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di GUA LT I E R OBASSETTI

La Chiesa in uscita prende forma anche dal sen-tiero di spiritualità che il Papa sta percorrendoin Italia: don Mazzolari e padre Puglisi, donMilani e don Tonino Bello. Tutti in apparenzaaccomunati dall’essere definiti «preti scomo-di». Una definizione giornalistica di successo,ma che in realtà non restituisce molto dellaprofondità spirituale e pastorale di questi sa-cerdoti. La cui caratteristica principale non ètanto la scomodità — tratto ineludibile del cri-stianesimo più autentico — ma lo spirito profe-tico. Quello di chi annuncia Cristo senza com-promessi con la mondanità, di chi non si rin-chiude nelle sicurezze terrene e riesce a vedereoltre l’orizzonte delle aspettative umane.

Questi preti, spesso in solitudine, hannodunque tracciato un cammino di fede che leintemperie del tempo non hanno cancellato nérimosso e che l’anima popolare non ha dimen-ticato. Sono tracce, insegnamenti e spunti peril mondo attuale che Francesco sta raccoglien-do e rilanciando. Questi sacerdoti italiani han-no lasciato, infatti, un’eredità preziosa che nonsi può esaurire nel momento commemorativoo nella riflessione intellettuale. Non si tratta diun’eredità culturale da confinare nei libri distoria o di apologetica, ma di un’eredità viva,attuale, concreta: una luce per i nostri giorni.

Un esempio si è avuto durante la recentecommemorazione del venticinquesimo anniver-sario della morte di don Tonino Bello. Parlan-do davanti a migliaia di fedeli, il Papa non hasolo ricordato le sue virtù esemplari, ma pren-dendo spunto dalle sue opere e dalle sue paro-le ha lanciato un vigoroso appello per la pacenel Mediterraneo. Da quella terra, che donTonino Bello chiamava una «terra-finestra» dacui poter «osservare tutte le povertà che in-combono sulla storia», è possibile agire con-

cretamente oggi per contribuire a trasformarequesto «bacino di civiltà» da «arco di guerrateso» in «arca di pace accogliente» affermaFrancesco. Parole attualissime proprio oggiche la Chiesa in Italia è impegnata nel costrui-re un Mediterraneo di pace per superare i con-flitti dei paesi rivieraschi e le morti dei mi-granti in mare. Bisogna poi osservare come leparole di don Tonino Bello parlino al mondoattuale ma al tempo stesso si leghino con altre

visioni del passato. La «terra-finestra» di donTonino Bello rimanda, infatti, in alcuni tratti,alla «storiografia del profondo» di La Pira. El’identica propensione a costruire un mondopacificato trova nel Mediterraneo un croceviadi eccezionale importanza per l’E u ro p a .

Così come l’amore per i bisognosi di donTonino Bello rimanda alla visione di Mazzola-ri che vedeva nei poveri una sorta di fratellicarnali di Gesù. E la cura dei giovani accomu-na don Puglisi e don Milani seppur da pro-spettive lontane.

Pace, poveri, giovani. Tre dimensioni socialidi vivere la fede.

Tre campi di azione missionaria in cui que-ste figure hanno dato tutto se stessi senzarisparmiarsi, senza volgere lo sguardo dall’altraparte, senza alzare i muri dell’indifferenza o ilvelo di una fede ipocrita. Si tratta ovviamentedi esperienze diverse, vissute in periodi storicidifferenti e in luoghi diversi, ma che delineanoun’Italia cristiana e popolare su cui è op-portuno meditare e da cui bisogna prendereesempio.

In definitiva, il sentiero che sta indicando ilPapa in Italia è un mosaico variopinto di espe-rienze di fede, vissute in pienezza e originalità,tra sofferenze e scarse gratificazioni. Ma conun unico comune denominatore: essere deiprofeti per il nostro tempo.

P ro f e t idel nostro tempo

Fedeli salutano il passaggiodella papamobile nel porto

di Molfetta il 20 aprile scorso

#dialoghi

Pace, poverie giovanitre dimensioniper viverela fede oggi

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di ENZOBIANCHI

NIl comandamentonuovo

6 maggiosesta domenica

di PasquaGiovanni 15, 9-17

Nikola Sarić, «La risurrezionedi Gesù» (2017)

ei «discorsi di addio» (cfr. Giovanni 13, 31-16,33), attraverso i quali Giovanni ci svela le pa-role del Signore risorto alla sua comunità, perdue volte viene annunciato il «comandamentonuovo», cioè ultimo e definitivo: «Vi do uncomandamento nuovo: che vi amiate gli unigli altri. Come io ho amato voi, così amatevianche voi gli uni gli altri» (Giovanni 13, 34);“Questo è il mio comandamento: che vi amia-te gli uni gli altri come io ho amato voi” (Gio-vanni 15, 12, all’interno del brano di questa do-menica).

Sono parole certamente consegnate ai disce-poli, ai discepoli di Gesù che in ogni tempo loseguono, ma questo comandamento non è li-mitante, non è riduttivo delle parole sull’amo-re comandato da Gesù addirittura verso i ne-mici e i persecutori (cfr. Ma t t e o 5, 44; Luca 6,27-28.35). L’amore è sempre amore di chi dà lavita per i propri amici, è sempre amore che haavuto la sua epifania sulla croce, dunque amo-re di Dio per il mondo, per tutta l’umanità( c f r. Giovanni 3, 16). Questo amore è innanzi-tutto ciò che Dio è, perché «Dio è amore» (1Giovanni 4, 8.16); è ciò che è vita del Padre edel Figlio nella comunione dello Spirito santo;è amore che Gesù di Nazaret ha vissuto «sinoalla fine» (èistèlos), «fino all’estremo» (Giovan-ni 13, 1). L’amore, dunque, ha origine in Dio eda Dio discende, creando una relazione dina-mica nella quale ogni persona è chiamata adaccogliere il dono dell’amore, a lasciarsi amareper poter diventare soggetto di amore.

Per noi l’abisso di amore estatico che è Diostesso è incommensurabile, e riusciamo solo aleggerlo guardando alla vita e alla morte diGesù, che avendo «spiegato» Dio (exeghèsatoin Giovanni 1, 18) ci ha narrato il suo amore.Con tutta l’autorevolezza di chi ha vissutol’amore fino all’estremo, Gesù ha potuto dire:“Come il Padre ha amato me, così anche io hoamato voi”. Ancora una volta queste parole diGesù ci dovrebbero scandalizzare, perché ap-paiono come una pretesa: Gesù pretende diaver amato i suoi discepoli come Dio sa amaree di questo amore di Dio dice di avere cono-scenza, di averne fatto esperienza.

Come può un uomo dire questo? Eppure ilkýrios risorto lo afferma e lo dice a noi che lo

ascoltiamo. In questi nove versetti per novevolte risuonano le parole «amore» e «amare»e per tre volte la parola «amici»: questo amorediscende da Dio Padre sul Figlio, dal Figliosui discepoli suoi amici e dai discepoli suglialtri uomini e donne. È un amore che si incar-na e si dilata per poter raggiungere tutti. Èquasi impossibile seguire adeguatamente il di-scorso di Gesù; possiamo però almeno segna-lare che in lui l’amore di Dio è diventato amo-re dei discepoli, i quali possono rispondere aquesto amore discendente, donato a loro gra-tuitamente, dimorando in tale amore, ossia re-stando saldi nel realizzare la volontà di Gesù,ciò che egli ha comandato.

E questa volontà consiste, in estrema sintesi,nell’amare l’altro, ogni altro. Riusciamo a capi-re cosa Gesù ci chiede nel farci dono del suoamore? Non ci chiede innanzitutto che amia-mo lui, che ricambiamo il suo amore, amando-lo a nostra volta. No, la risposta al suo amoreè l’amare gli altri come lui ci ha amati e li haamati. La restituzione dell’amore, il contro-do-no, che è la legge dell’amore umano, deve es-sere amore rivolto verso gli altri. Allora questoamore fraterno è compiere la volontà di Dio,dunque amarlo in modo vero, come Dio desi-dera essere amato. Gesù ha risposto all’a m o re

#meditazione

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del Padre amando noi, e noi rispondiamoall’amore di Gesù amando l’altro, gli altri. Perquesto tutta la Legge, tutti i comandamentisono ridotti a uno solo, l’ultimo e il definitivo,che relativizza tutti gli altri: l’amore del prossi-mo. Lo ha detto Gesù: dai comandamentidell’amore di Dio e del prossimo, cioèdell’amore dell’altro vissuto come Dio vuole ecome Gesù ha testimoniato, «dipendono tuttala Legge e i Profeti» (Ma t t e o 22, 40). E Paololo ha ulteriormente ribadito: «Tutta la Legge

l’unico segno di riconoscimento del discepolocristiano nel mondo (cfr. Giovanni 13, 35):null’altro, anzi il resto offusca l’identità delcristiano e non permette di vederla.

Che cosa dunque fare come discepoli di Ge-sù? Credere all’amore (cfr. 1 Giovanni 4, 16),amare gli altri perché Dio ci ha amati per pri-mo (cfr. 1 Giovanni 4, 19) e non cedere mai al-la tentazione di pensare che ci basti nutrire unamore di desiderio o di attesa per Dio: no, lo

nella sua pienezza è riassunta nell’unica parola“amerai”» (cfr. Galati 5, 14; cfr. anche Romani13, 8-10).

Gesù ci consegna dunque un criterio ogget-tivo per valutare il nostro rapporto di discepo-li con lui e con il Padre: l’amore fattivo, con-creto verso gli altri. Solo mettendoci a serviziodegli altri, solo facendo il bene agli altri, solospendendo la vita per gli altri, noi possiamosapere di dimorare, di restare nell’amore diGesù, come egli sa di restare nell’amore delPa d re .

Senza questo amore fattivo non c’è possibi-lità di una relazione con Gesù e neppure conil Padre, ma c’è solo l’illusione religiosa di unarelazione immaginaria e falsa con un idolo danoi forgiato e quindi amato e venerato.

In questa pagina del quarto vangelo Gesùha anche l’audacia di reinterpretare il rapportotra Dio e il credente tracciato da tutte le Scrit-ture prima di lui. Il credente è certamente unservo (termine che indica un rapporto di sot-tomissione e di obbedienza) del Signore, maGesù dice ai suoi che ormai non sono più ser-vi, bensì sono da lui resi amici: «Non vi chia-mo più servi (...) ma vi ho chiamati amici (phì-loi), perché tutto ciò che ho udito dal Padremio l’ho fatto conoscere a voi». Intimità piùprofonda di quell’amicizia di Abramo (cfr.Giacomo 2, 23) o di Mosè (cfr. Esodo 33, 11)con Dio; intimità che è comunione di vita, co-munione di amore.

Il discepolo di Gesù, che fa innanzituttol’esperienza di essere amato dal Signore, puòdiventare a sua volta un amante del Signore:non è semplicemente qualcuno chiamato a es-sere servo per svolgere un’azione, ma è unamico che entra in relazione con il Signore.Egli riconosce che non vi è amore più grandeche dare la vita per gli amici, e in tale amoreconcreto è reso partecipe della parola, dell’inti-mità, della rivelazione del Signore. Il discepo-lo di Gesù è stato da lui scelto, l’amore di Cri-sto lo ha preceduto e il frutto che Cristo atten-de è l’amore per gli altri. Questo sarà anche

amiamo se realizziamo il comandamento nuo-vo dell’amore reciproco, a immagine di quellovissuto da Gesù. L’amore presente nel deside-rio di Dio può essere una grande illusione, eGiovanni lo ribadisce con forza: «Se uno dice:“Io amo Dio” e odia suo fratello, è un bugiar-do. Chi infatti non ama il proprio fratello chevede, non può amare Dio che non vede» (1Giovanni 4, 20).

Ecco, noi cristiani, comunità del Signore nelmondo e tra gli uomini, dobbiamo avere laconsapevolezza di essere originati dalla carità,dall’amore di Dio. Ecclesia ex caritate: la Chie-sa nasce dalla carità di Dio e solo se dimora intale carità può anche essere chiesa che opera lacarità, sapendo che l’amore non può mai esse-re disgiunto dall’obbedienza al Signore. Infattiè il «comandamento» che sa indirizzare e pla-smare il nostro amore in conformità all’a m o redi Cristo, che ci spinge addirittura ad amare ilnon amabile, a operare la carità verso il nemi-co o verso chi ha commesso il male nei nostric o n f ro n t i .

In questo dono da parte di Gesù del co-mandamento nuovo, del suo comandamentoper eccellenza, c’è la costituzione della sua co-munità, della chiesa. Questa deve essere unacasa dell’amicizia, un’esperienza di amicizia; icristiani restano certamente servi del Signore,nell’obbedienza, ma sono amici del Signorenella condivisione della sua vita più intima,nella conoscenza di ciò che il Padre comunicaal Figlio e di ciò che il Figlio dice al Padre inquella comunione di vita e di amore che è loSpirito santo. Sì, il comandamento nuovo nonci viene dato come una legge ma come un do-no che ci fa partecipare alla vita di Dio stesso.C’è qui il grande mistero cristiano della grazia,dell’amore gratuito e preveniente, dell’a m o reche non si deve mai meritare ma che va soloaccolto con stupore e riconoscenza. Si legge inun detto apocrifo attribuito a Gesù: «Hai vi-sto il tuo fratello? Hai visto Dio!». Parole chepossono anche essere comprese come segue:«Hai amato il tuo fratello? Hai amato Dio!».

#meditazione

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Ancora una volta «L’Osservatore Romano»esprime gli auguri più affettuosi al Pontefice

per il suo onomasticocon un’immagine di san Giorgiorealizzata da Vasilij Kandinskij.

E proprio nel giorno della sua festa è statapresentata a Roma la traduzione italiana

del libro di Dominique Woltonin cui l’intellettuale francese ha raccolto

i suoi incontri con il Papa.«Il talento» di Bergoglio «è la sua capacità

di essere compreso da tutti»sottolinea lo studioso in un articolo scritto

per il quotidiano della Santa Sede.Si tratta — aggiunge Wolton — di «un

discorso “laico” che raggiunge tuttie che fa di lui realmente il papa

della mondializzazione»

23 aprile

#controcopertina