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ALMA MATER STUDIORUM UNIVERSITÀ DI BOLOGNA Scuola di Scienze Corso di Laurea in Scienze Ambientali STUDIO DELLA CONNETTIVITÀ TRA LE AREE MARINE PROTETTE DEL MAR MEDITERRANEO Tesi di Laurea in Oceanografia Fisica Relatore: Presentata da: Prof.ssa NADIA PINARDI MICHELA BALLARDINI Correlatrice: Dott.ssa SIMONA SIMONCELLI Sessione Unica Anno Accademico 2016/2017

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ALMA MATER STUDIORUM

UNIVERSITÀ DI BOLOGNA

Scuola di Scienze

Corso di Laurea in Scienze Ambientali

STUDIO DELLA CONNETTIVITÀ TRA LE

AREE MARINE PROTETTE DEL MAR

MEDITERRANEO

Tesi di Laurea in Oceanografia Fisica

Relatore: Presentata da:

Prof.ssa NADIA PINARDI MICHELA BALLARDINI

Correlatrice:

Dott.ssa SIMONA SIMONCELLI

Sessione Unica

Anno Accademico 2016/2017

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Alla mia nonna Lia

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ABSTRACT

Questa tesi si basa sulla ricerca bibliografica per lo studio della connettività tra le Aree Marine

Protette (AMP) del Mar Mediterraneo. Lo scopo è di individuare lo stato dell’arte delle conoscenze

in tale ambito e mettere in luce diverse criticità in merito alla metodologia utilizzata, al grado di

affidabilità dei risultati ottenuti mediante la modellistica biofisica. Le AMP sono considerate

strumenti indispensabili per difendere la biodiversità e sostenere la pesca, ma il loro successo

dipende dalla connettività. Esistono varie metodologie per studiarla, tra cui la modellistica biofisica

che si applica alle più vaste scale spaziali. Per comprendere meglio tale metodologia, abbiamo

approfondito la conoscenza dell’oceanografia operativa e del sistema di previsione del Mar

Mediterraneo e del servizio marino europeo Copernicus. Grazie all’avvento dell’oceanografia

operativa sono stati resi disponibili i dati dei modelli idrodinamici necessari come forzanti per lo

studio della connettività, dando un notevole slancio a questo campo di ricerca. Per comprendere

meglio gli effetti della circolazione sugli studi di connettività, è stata condotta una esercitazione

pratica per il download, il processamento, la visualizzazione e l’analisi dei dati oceanografici. Nella

tesi si sono volute mettere in luce diverse criticità riguardanti la modellistica biofisica utilizzata

nello studio della connettività. Il limite principale riscontrato riguarda la componente larvale, che in

nessun caso viene considerata all’interno del modello biofisico. Le particelle vengono considerate

passive e solo alcuni fattori vengono considerati nelle ipotesi iniziali. Un altro aspetto critico

emerso è l’utilizzo di dati di corrente non validati opportunamente con osservazioni, dunque senza

conoscerne l’accuratezza. La tematica della connettività è molto recente, multidisciplinare e ad oggi

ancora in cerca di un metodo di riferimento valido.

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SOMMARIO

CAPITOLO 1 Introduzione ........................................................................................................ 5

1.1 Obiettivi della tesi ...................................................................................................................... 10

CAPITOLO 2 Le Aree marine protette ................................................................................. 11

2.1 Le Aree Marine protette in Italia ........................................................................................... 11

2.2 Le Aree Marine Protette in ambito internazionale ed europeo .............................................. 12

2.2.1 Convenzione sulla Diversità Biologica ....................................................................................... 12

2.2.2 Piano Strategico per la Biodiversità ........................................................................................... 14

2.2.3 La rete Natura 2000 ................................................................................................................... 15

2.2.4 Marine Strategy Framework Directive (MFSD) .......................................................................... 16

2.2.5 Regional Sea Convenctions (RSC) .............................................................................................. 17

2.2.6 Progetti Europei ......................................................................................................................... 18

CAPITOLO 3 La Connettività tra Aree marine protette ........................................................ 20

3.1 Metodi per lo studio della connettività ................................................................................. 21

3.2 La Modellistica Biofisica ....................................................................................................... 21

3.3 Il servizio di previsione europeo per il Mar Mediterraneo ..................................................... 24

3.4 Analisi di variabilità della circolazione nel Mar Mediterraneo ................................................ 35

CAPITOLO 4 Recenti Studi sulla connettività delle AMP nel Mar Mediterraneo ................... 43

4.1 Modelli Idrodinamici forzanti ............................................................................................... 43

4.2 Disegno sperimentale........................................................................................................... 45

4.3 Analisi dei Risultati Ottenuti ................................................................................................. 47

4.4 Discussione .......................................................................................................................... 51

CAPITOLO 5 Conclusioni ....................................................................................................... 55

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CAPITOLO 1 Introduzione

Il Mar Mediterraneo circonda e bagna la penisola italiana, è un mare semi-chiuso, estremamente

navigabile e ricco di biodiversità marina, che comunica con il Mar Rosso per mezzo del Canale

artificiale di Suez e con l’Oceano Atlantico per via dello Stretto di Gibilterra. Inoltre, ha uno

scambio di acque con il Mar Nero attraverso lo Stretto dei Dardanelli e lo stretto del Bosforo. È

suddiviso in Mediterraneo orientale e occidentale: la corrente atlantica entra nel Mar Mediterraneo

tramite lo Stretto di Gibilterra e attraversa tutta la parte occidentale fino a toccare anche la zona

orientale.

La sua superficie è circa 2.51 milioni di Km quadrati e ha uno sviluppo massimo lungo i paralleli di

circa 3700 Km. La lunghezza totale delle sue coste è di 46000 Km, la sua profondità media si aggira

sui 1500m, mentre quella massima è di 5270m presso le coste del Peloponneso. La salinità media

oscilla dal 36.2% al 39%.

Numerose sono le risorse che il mare offre e molte sono le attività che in esso si svolgono, da quelle

più tradizionali, tra cui la pesca, il trasporto, il turismo, a quelle più recenti, come la produzione di

energia mediante attività estrattive sulle piattaforme offshore, o innovative, legate allo sfruttamento

delle differenti tipologie di energia rinnovabile presenti in mare e fornite, ad esempio, dalle correnti

(incluse quelle di marea), dal moto ondoso o dal gradiente termico tra superficie e fondali.

Da molti decenni queste attività hanno subito un influsso crescente e incontrollato tanto da mettere

a rischio l’intero ecosistema marino, infatti si parla di pressioni antropiche. Ultimamente l’attività di

pesca da artigianale si è rapidamente trasformata in un’attività industriale, con importanti

conseguenze sulla conservazione degli stock ittici commerciali. Le alterazioni della costa

determinate dalla realizzazione di un crescente numero di infrastrutture (porti, condotte, piattaforme

offshore, opere di difesa costiera), contribuiscono all’aumento del rischio della perdita di habitat

fondamentali, indispensabili per la riproduzione, il rifugio e il nutrimento delle specie animali e

vegetali del Mediterraneo. L’inquinamento rappresenta una tra le principali fonti d’impatto

sull’ambiente marino: quello che deriva dalle acque reflue, domestiche, urbane, industriali, agricole

e dalle emissioni atmosferiche, quello dovuto alle attività svolte direttamente in mare come il

traffico marittimo (inquinamento sonoro oltre che chimico), le attività di estrazione ad esempio del

gas e del petrolio, gli sversamenti accidentali di sostanze (idrocarburi petroliferi o sostanze tossico-

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nocive), quelle che derivano da rifiuti, quali manufatti o materiali solidi a lenta degradazione,

abbandonati nell’ambiente marino. Inoltre si aggiunge l’inquinamento di tipo fisico, dovuto al

rilascio di masse d’acqua a temperatura diversa da quella delle acque marine. L’alterazione delle

caratteristiche dell’ambiente marino è causato anche dal rilascio di anidride carbonica in atmosfera,

che porta ad un progressivo innalzamento del grado di acidità dell’acqua: questo fenomeno può

indurre una modifica nei processi di calcificazione degli organismi marini con conseguenze dirette

esempio su plancton, molluschi e crostacei. Anche i cambiamenti climatici hanno un’importante

influenza sull’ecosistema marino, infatti il Mar Mediterraneo sta subendo un fenomeno di

tropicalizzazione cioè un innalzamento della temperatura dell’acqua che influisce sulla

distribuzione delle specie animali. Questa variazione può favorire l’insediamento e la diffusione di

specie non indigene che meglio si adattano alle mutate condizioni climatiche o talora far aumentare

il rischio di estinzione di alcune specie animali e vegetali, esempio di tale fenomeno è il pesce

Luna, il cui nome scientifico è “Mola mola”, appartenente al gruppo dei Tetrodontiformi,

caratterizzati dal possedere le ossa mascellari che formano una sorta di becco che sta migrando dal

Mar Rosso al nostro.

L’ambiente marino costituisce un patrimonio prezioso che deve essere protetto, salvaguardato e,

ove possibile, ripristinato al fine di tutelare la biodiversità dagli effetti dell’eccessivo sviluppo delle

attività marittime e delle pressioni antropiche. A tal proposito sono state approvate alcune direttive

in favore del mantenimento di un buon stato ambientale.

Con la Convenzione di Barcellona del 1976 a cui aderiscono sedici paesi europei, si stabiliscono

sette protocolli tra cui uno sulle Aree Marine Protette (AMP) per la tutela della biodiversità nel

Mediterraneo: tali paesi sono invitati a stabilire delle AMP creando delle reti. Le AMP

rappresentano un importante strumento per garantire una conservazione a lungo termine della natura

e dei servizi eco-sistemici. Esse sono spazi geografici chiaramente definiti, conosciuti e gestiti

attraverso leggi e mezzi efficaci. Si parla di rete di AMP quando esistono connessioni tra le singole

aree che permettano all’ecosistema di rigenerarsi e sostenersi grazie al trasporto di larve e

propaguli. Le varie AMP dovrebbero essere equamente distribuite sui diversi habitat che

caratterizzano l’ambiente marino, sia costiero che di mare aperto, e rappresentative della

biodiversità marina.

Il 17 giugno 2008 il Parlamento Europeo ed il Consiglio dell’Unione Europea hanno emanato la

Direttiva 2008/56/CE (direttiva quadro sulla strategia per l’ambiente marino) che istituisce un

quadro per l’azione comunitaria nel campo della politica per l’ambiente marino, successivamente

recepita in Italia con il d.lgs. n. 190 del 13 ottobre 2010. La Direttiva rappresenta il pilastro della

futura politica ambientale marina dell’Unione Europea, mediante un approccio integrato. Essa pone

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come obiettivo agli Stati membri di raggiungere entro il 2020 un buono stato ambientale (GES,

“Good Environmental Status”) per le proprie acque marine. Ogni Stato deve quindi, mettere in

atto, per ogni regione o sotto-regione marina, una strategia che consta di una “fase di preparazione”

e di un “programma di misure” da attuare. La Direttiva ha suddiviso le acque marine europee in 4

regioni: Mar Baltico, Oceano Atlantico nordorientale, Mar Mediterraneo e Mar Nero, e per alcune

di queste ha provveduto ad un’ulteriore suddivisione individuando delle sotto-regioni. Nel

Mediterraneo sono state individuate quattro sub-regioni: a) il Mediterraneo occidentale b) il mar

Adriatico c) il mar Ionio e Mediterraneo centrale d) il Mediterraneo Orientale. La Direttiva quadro

stabilisce che gli Stati membri elaborino una strategia marina che si basi su una valutazione iniziale,

sulla definizione del buono stato ambientale, sull’individuazione dei traguardi ambientali e

sull’istituzione di programmi di monitoraggio. Per buono stato ambientale delle acque marine si

intende la capacità di preservare la diversità ecologica, la vitalità dei mari e degli oceani affinché

siano puliti, sani e produttivi mantenendo l’utilizzo dell’ambiente marino ad un livello sostenibile e

salvaguardando il potenziale per gli usi e le attività delle generazioni presenti e future.

La “Blue Economy” nasce dal concetto di sviluppo sostenibile basato sui quattro pilastri:

economia, società, ambiente e cultura. L’economista belga Guntur Pauli fondatore di “Zero

Emissions Research Iniziative” è il padre di questa teoria di sviluppo che parte dal dato di fatto che

la superficie della Terra è costituita per i tre quarti da acqua (oceani, acque interne e ghiaccio),

perciò nessun programma di sviluppo futuro della società umana può ignorare questa realtà. I mari,

i laghi, i fiumi devono essere protetti e salvaguardati dall’inquinamento e da azioni predatorie

dell’uomo nei confronti della sua biodiversità. La Blue Economy ha l’obiettivo di portare la società

in equilibrio con le risorse reali del pianeta, quindi creare un ecosistema globale sostenibile grazie

alla trasformazione di sostanze precedentemente sprecate in merce redditizia, si basa sull’imitazione

dei sistemi naturali, mira a riutilizzare continuamente le risorse con zero rifiuti e zero sprechi.

In particolare il buono stato ambientale richiede che:

La struttura e le funzioni degli ecosistemi consentano di mantenere la loro resilienza (cioè la

capacità di una materia vivente di auto ripararsi dopo un danno, o quella di una comunità o

un sistema ecologico di ritornare al suo stato iniziale, dopo essere stata sottoposta ad una

perturbazione che ha modificato quello stato) ad un cambiamento ambientale dovuto alle

attività umane;

La biodiversità venga salvaguardata e protetta;

Le attività umane per la produzione di energia, non siano fonte di inquinamento, e il rumore

sia compatibile con il corretto funzionamento degli ecosistemi.

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Gli effetti ecologici attesi in seguito all’istituzione di una AMP sono:

la protezione delle specie esistenti;

il recupero della struttura di popolazione;

l’aumento di fecondità e di produzione di uova e larve;

l’esportazione di biomassa;

la protezione della biodiversità;

l’aumento di stabilità e di resilienza.

Oggi il maggior numero di AMP si trova nel Mediterraneo settentrionale, come si può notare dalla

mappa in Figura 1, elaborata nell’ambito del progetto europeo "Towards COast to COast

NETworks of marine protected areas (from the shore to the high and deep sea), coupled with sea-

based wind energy potential (CoCoNet, http://www.coconet-fp7.eu/). Una mappa più completa è

quella di Figura 2, elaborata nell’ambito del progetto EMODnet MedSea Checkpoint

(http://www.emodnet-mediterranean.eu/portfolio/marine-protected-areas/), in cui si distinguono i

siti internazionali da quelli nazionali. In entrambe le mappe si può notare la maggior concentrazione

di AMP lungo le coste europee, rispetto a quelle dei paesi africani. Un’altra mappa delle AMP

(Figura 3) di tutti i mari europei è accessibile dal portale EMODnet Human Activity

(http://www.emodnet.eu/human-activities). Si può notare anche qui come la costa dell’Africa sia

ancora in gran parte sconosciuta.

Figura 1 - Aree Marine protette nel mar Mediterraneo dal Progetto CoCoNet (http://www.coconet-

fp7.eu/images/download/AMP-Map-HighRes.jpg).

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Figura 2 - Inventario delle aree marine protette elaborato nell’ambito del progetto EMODnet MedSea

Checkpoint, Challenge 2, dedicato alla rete di AMP nel Mar Mediterraneo. In rosa i siti internazionali, in

rosso i siti nazionali.

Figura 3 - Mappa delle Aree Marine Protette (AMP) del Mar Mediterraneo (http://www.emodnet.eu/human-

activities).

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1.1 Obiettivi della tesi

L’obiettivo della tesi è di analizzare lo stato dell’arte degli studi sulla connettività tra le aree marine

protette a scala di bacino nel Mar Mediterraneo che utilizzano la modellistica biofisica ed

individuare e analizzare alcune emergenti criticità, quali ad esempio il grado di affidabilità dei

risultati ottenuti mediante l’uso della modellistica numerica o la carenza di conoscenze adeguate

dello stadio larvale.

L’analisi è stata condotta attraverso la ricerca bibliografica di articoli scientifici recenti e la

consultazione di siti web di interesse scientifico.

La tesi è così strutturata:

Capitolo 2: descrizione delle AMP: come sono istituite, quali sono i gradi di tutela suddivisi

per ogni tipo di AMP, le AMP in Italia e in ambito europeo, le convenzioni che sono nate

per la protezione delle AMP. Vengono descritti anche tutti quegli strumenti per la protezione

della biodiversità come ad esempio la Rete Natura 2000 e la Marine Strategy Framework

Directrive (MFSD). Vengono elencati i criteri per la progettazione di un’AMP.

Capitolo 3: descrizione del concetto di connettività, dei suoi metodi di studio alle varie scale

spazio-temporali, in particolare della modellistica biofisica per lo studio della connettività a

scala di bacino basata su tre componenti fondamentali: il modello idrodinamico, lagrangiano

e il comportamento larvale. In questo capitolo viene anche descritto il ruolo

dell’oceanografia operativa e dell’avvento del servizio di previsione marino europeo per il

Mar Mediterraneo nello sviluppo di applicazioni quali i modelli biofisici. In fine, nel

paragrafo 3.4 è stata condotta una semplice analisi della variabilità della circolazione su base

intra ed inter annuale considerando 2 sistemi di previsione distinti per mettere in evidenza

gli impatti che diversi data sets potrebbero avere come forzanti di modelli biofisici.

Capitolo 4: analisi dello stato dell’arte sulla connettività a scala di bacino basata su recenti

pubblicazioni scientifiche. Vengono confrontate le strategie sperimentali adottate, i risultati

ottenuti ed analizzate le principali criticità.

Capitolo 5: conclusioni dell’elaborato.

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CAPITOLO 2 LE AREE MARINE PROTETTE

2.1 Le Aree Marine protette in Italia

In Italia sono state istituite 27 AMP (Figura 4), ai sensi della legge n.979 del 1982 e n.394 del 1991

con un Decreto del Ministro dell’Ambiente che contiene la denominazione e la delimitazione

dell’area, gli obiettivi e la disciplina di tutela per cui è finalizzata la protezione.

Figura 4 - Aree Marine Protette lungo le coste Italiane elaborata dal Progetto CoCoNet (http://www.coconet-

fp7.eu/images/download/AMP-Map-HighRes.jpg- CoCoNet).

Ogni area è suddivisa in tre tipologie di zone con diversi gradi di tutela:

Zona A di riserva integrale, interdetta a tutte le attività che possono arrecare danno o

disturbo all’ambiente marino; quest’area è il cuore della riserva, qui è consentita solo

l’attività di ricerca scientifica e di servizio.

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Zona B non molto estesa, di riserva generale, dove sono consentite attività che determinino

il minor impatto possibile.

Zona C di riserva parziale rappresenta la fascia tampone tra le zone di maggior valore

naturalistico e i settori esterni all’area marina protetta, dove sono consentite e disciplinate

dall’organismo di gestione, le attività di fruizione sostenibile del mare di modesto impatto

ambientale. La maggior estensione dell’area protetta in genere ricade nella zona C.

Per poter istituire un’area marina protetta, un tratto di mare deve essere innanzitutto individuato per

legge quale “area marina di reperimento”. Poi occorre disporre di un aggiornato quadro di

conoscenze sull’ambiente naturale d’interesse oltre ai dati necessari sulle attività socio-economiche

che si svolgono nell’area. Il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio, Servizio Difesa

del Mare per l’acquisizione di tali conoscenze e dati può anche avvalersi di istituti scientifici,

laboratori ed enti di ricerca. Gli studi sono generalmente divisi in due fasi: nella prima è esaminata

la letteratura già esistente sull’area; nella seconda fase sono eseguiti gli approfondimenti necessari

per un quadro conoscitivo concreto ed esaustivo.

Successivamente gli Esperti della Segreteria tecnica per le Aree Marine Protette (art.2, co.14 L. n.

426 del 1998) possono avviare l'istruttoria istitutiva. Gli esperti arricchiscono l'indagine conoscitiva

con sopralluoghi mirati e con confronti con gli enti e le comunità locali. La definizione di

perimetrazione dell'area (i confini esterni), la zonazione al suo interno (le diverse zone A, B e C) e

la tutela operata attraverso i diversi gradi di vincoli nelle tre zone, sono parte dello schema di

decreto istitutivo redatto alla fine dell'istruttoria.

Il Decreto Ministeriale entra in vigore il giorno successivo dalla pubblicazione sulla Gazzetta

Ufficiale. La gestione delle aree marine protette è affidata a enti pubblici, istituzioni scientifiche o

associazioni ambientaliste riconosciute, anche consorziate tra di loro. Nella maggior parte dei casi

le aree marine protette sono gestite dai comuni interessati.

2.2 Le Aree Marine Protette in ambito internazionale ed europeo

In ambito internazionale e in Europa, la designazione aree marine protette è in continua evoluzione,

dalla protezione di singoli siti con caratteristiche particolari, a una visione più olistica che consideri

una rete di aree marine protette.

2.2.1 CONVENZIONE SULLA DIVERSITÀ BIOLOGICA

La Convenzione sulla Diversità Biologica (Convention on Biological Diversity, CBD,

https://www.cbd.int/), trattato internazionale sottoscritto a Rio de Janeiro il 5 giugno 1992 e

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rettificato in Italia il 14 febbraio 1994 con la legge n.124, è uno dei principali accordi adottati a Rio

e ha il fine di tutelare la diversità biologica. I leader mondiali hanno concordato una strategia

globale di “sviluppo sostenibile” per lasciare alle generazioni future un mondo sano e vitale.

La CBD è un trattato internazionale giuridicamente vincolante con tre principali obiettivi da

perseguire in conformità con le sue disposizioni pertinenti:

1. la conservazione della diversità biologica;

2. l’uso sostenibile dei componenti della diversità biologica;

3. la giusta ed equa ripartizione dei benefici derivanti dall’utilizzo delle risorse genetiche.

Aderiscono alla Convenzione 192 Paesi più l’Unione Europea (febbraio 2011). La Conferenza delle

Parti ha istituito 7 programmi di lavoro tematici (Biodiversità Agricola, Biodiversità delle terre

aride e sub umide, Biodiversità delle Foreste, Biodiversità delle acque interne, Biodiversità delle

isole, Biodiversità marina e costiera, Biodiversità delle montagne) che corrispondono ad alcuni dei

principali biomi del pianeta. Ogni programma definisce una visione dei principi di base per

orientare il lavoro futuro. Nell’ambito di tali programmi vengono altresì individuate questioni

specifiche su cui lavorare, con un relativo scadenzario e mezzi per raggiungere particolari obiettivi.

Nel febbraio 2004, le parti del CBD hanno reso gli impegni della zona protetta più completi e

specifici adottando il programma di lavoro sulle aree protette (PoWPA). Le aree protette sono

fondamentali per la conservazione della biodiversità; mantengono gli habitat chiave, forniscono

rifugi, permettono la migrazione e il movimento delle specie e garantiscono la manutenzione dei

processi naturali in tutto il paesaggio.

Il programma di lavoro CBD sulle aree protette costituisce un quadro globale accettato per la

creazione di sistemi di aree protette nazionali e regionali, gestite in modo efficace e sostenibile in

tutto il mondo. Il PoWPA sancisce lo sviluppo di sistemi nazionali e regionali di aree protette

partecipanti, ecologicamente rappresentative e gestite in modo efficace, ove necessario allungando i

confini nazionali. Dalla designazione alla gestione, il PoWPA può essere considerato come un

quadro definitivo o un "progetto" per le aree protette per i prossimi decenni. È un quadro per la

cooperazione tra governi, donatori, ONG e comunità locali, perché senza tale collaborazione i

programmi non possono avere successo e sostenibilità a lungo termine.

Un recente riepilogo dell'attuazione globale del programma di lavoro ha rilevato che dal 2004 sono

state istituite quasi 6.000 nuove aree protette che coprono più di 60 milioni di ettari. Oggi esistono

circa 130.000 aree protette, che coprono quasi il 13% della superficie terrestre mondiale e oltre il

6% delle aree marine territoriali. Molti di questi sono incorporati in reti nazionali e regionali

complete di aree e corridoi protetti collegati.

https://www.cbd.int/protected/

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https://www.cbd.int/protected/overview/

2.2.2 PIANO STRATEGICO PER LA BIODIVERSITÀ

Lo Strategic Plan for Biodiversity 2011-2020, contenente i 20 Aichi Biodiversity Targets (Figura

5), è articolata secondo diversi obiettivi:

Obiettivo strategico A (targets 1-4): affronta le cause di fondo della perdita di biodiversità.

Obiettivo strategico B (targets 5-10): vuole ridurre le pressioni dirette sulla biodiversità e

promuovere l’uso sostenibile delle risorse;

Obiettivo strategico C (targets 11-13): vuole migliorare lo stato della biodiversità

salvaguardando gli ecosistemi, le specie e la diversità genetica;

Obiettivo strategico D (target 14s-16): intende trarre benefici dalla biodiversità e dai servizi

degli ecosistemi;

Obiettivo strategico E (target 17s-20): intende ottimizzare l’implementazione del piano

strategico attraverso la pianificazione partecipativa, la gestione della conoscenza e lo

sviluppo delle capacità.

Il target 11 dell’Obiettivo Strategico C è fondamentale poiché introduce per la prima volta il

concetto di connettività tra le AMP:

…“By 2020, at least 17 per cent of terrestrial and inland water, and 10 per cent of coastal and

marine areas, especially areas of particular importance for biodiversity and ecosystem services,

are conserved through effectively and equitably managed, ecologically representative and well

connected systems of protected areas and other effective area-based conservation measures, and

integrated into the wider landscapes and seascapes”…

...”Entro il 2020, almeno il 17% delle acque terrestri e delle acque interne e il 10% delle zone

costiere e marittime, soprattutto le aree di particolare importanza per la biodiversità e i servizi

ecosistemici sono conservati attraverso sistemi efficaci, equamente gestiti, ecologicamente

rappresentativi e ben collegati in aree marine protette o altre efficaci misure di conservazione,

integrate in contesti terrestri e marini più ampi”…

I servizi ecosistemici, dall'inglese "ecosystem services", sono secondo la definizione data dalla

(Millennium Ecosystem Assessment (MA), 2005), i benefici multipli forniti dagli ecosistemi al

genere umano.

Questo Target pone l’attenzione al concetto di connettività che si sviluppa solo quando un’AMP è

ben gestita e la sua biodiversità è assicurata.

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Figura 5 - The Aichi Biodiversity Targets.

2.2.3 LA RETE NATURA 2000

La politica dell’Unione Europea utilizza la rete Natura 2000 come principale strumento per la

conservazione della biodiversità. Si tratta di una rete ecologica diffusa su tutto il territorio dell’UE,

istituita ai sensi della Direttiva 92/43/CEE “Habitat” per garantire il mantenimento a lungo termine

degli habitat naturali e delle specie di flora e fauna minacciati o rari a livello comunitario

(http://www.minambiente.it/pagina/rete-natura-2000). La rete Natura 2000 è costituita dai Siti di

Interesse Comunitario (SIC), identificati dagli Stati Membri secondo quanto stabilito dalla Direttiva

Habitat, che vengono successivamente designati quali Zone Speciali di Conservazione (ZSC), e

comprende anche le Zone di Protezione Speciale (ZPS) istituite ai sensi della Direttiva

2009/147/CE "Uccelli" concernente la conservazione degli uccelli selvatici. Le aree che

compongono la rete Natura 2000 non sono riserve rigidamente protette dove le attività umane sono

escluse. La Direttiva Habitat intende garantire la protezione della natura tenendo anche "conto delle

esigenze economiche, sociali e culturali, nonché delle particolarità regionali e locali" (Art. 2). Un

altro elemento innovativo è il riconoscimento dell'importanza di alcuni elementi del paesaggio che

svolgono un ruolo di connessione per la flora e la fauna selvatiche (art. 10). Gli Stati membri sono

invitati a mantenere o all'occorrenza sviluppare tali elementi per migliorare la coerenza ecologica

della Rete Natura 2000. In Italia, i SIC, le ZSC e le ZPS coprono complessivamente circa il 19% del

territorio terrestre nazionale e quasi il 4% di quello marino.

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2.2.4 MARINE STRATEGY FRAMEWORK DIRECTIVE (MFSD)

Nel contesto giuridico dell'Unione Europea, la Marine Strategy Framework Directive (MFSD) è

lo strumento normativo per la protezione del mare, finalizzato a conseguire entro il 2020 un buono

stato ecologico dell’ambiente marino mediante la modellistica di ecosistema per la valutazione delle

pressioni antropiche, la protezione dell’ambiente marino e l’utilizzo sostenibile delle risorse.

La MSFD considera la creazione di una rete di AMP tra le misure necessarie per conseguire un

buono stato ambientale affinché i mari risultino puliti sani e produttivi ecologicamente. La

creazione di reti di AMP può contribuire a proteggere l'ambiente in modo più efficace rispetto a

AMP isolate.

I criteri da considerare in fase di progettazione di una rete di aree marine protette sono:

“Rapresentativity”: un’area marina protetta deve essere rappresentativa cioè deve

presentare la biodiversità marina che si può trovare in quell’area e proteggerla.

“Adequacy”: si riferisce alla dimensione complessiva di una rete AMP e la proporzione tra i

gradi di protezione all'interno della rete AMP.

“Viability”: capacità da parte dell’AMP di mantenere l’integrità delle sue caratteristiche

(popolazione di specie, condizione e l’estensione degli habitat) e di essere auto-sostenibile

durante i cicli naturali.

“Connectivity”: la misura in cui le popolazioni in diverse parti di una serie di specie sono

collegate da uova, larve di movimento o altri propaguli, minori o adulti;

“Replication”: ovvero la protezione della stessa caratteristica su più siti considerando la

variazione biogeografica.

“Protection level”: la protezione a diversi livelli delle AMP intesa come limite di

accessibilità.

“Best available science” considerare la migliore scienza fino a oggi per studiare questo

fenomeno.

“No take” (no fishing) considerare quali aree sono riservate alla pesca eccetto alcuni siti

dove attività significative come la pesca industriale è consentita, se si ritiene che le attività

non costituiscono un rischio per il raggiungimento degli obiettivi di conservazione del sito.

“Well enforced” applicare le misure meglio definite al fine di soddisfare gli obiettivi di

conservazione.

“Age”: l’età è un fattore principale nel determinare l'efficacia di AMP. Gli effetti

sull’ambiente a volte possono essere visibili anche dopo pochi anni, per esempio i siti della

Rete Natura 2000 stanno raggiungendo un’età in cui ci si potrebbe aspettare risultati visibili.

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17

“Size”, per essere efficaci, le AMP dovrebbero essere grandi, di dimensioni superiori a 100

km quadrati.

“Isolation” quanto queste AMP devono essere distanti da attività umane esempio porti,

spiagge turistiche.

Una rete ecologica coerente di aree marine protette deve dunque:

rappresentare tutte le comunità naturali distinte all'interno della conservazione del paesaggio

e delle reti di aree protette;

mantenere i processi ecologici ed evolutivi che creano e sostengono la biodiversità;

mantenere popolazioni vitali di specie;

conservare blocchi di habitat naturali che siano adeguatamente estese;

resistere ai cambiamenti a lungo termine.

Per valutare gli effetti sulla biodiversità marina occorrono misure specifiche all'interno delle singole

aree marine protette in termini di densità e ricchezza di specie, biomassa, dimensioni. Questi

requisiti sono stati riconosciuti in una serie di accordi internazionali da parte delle Regional Sea

Convenctions, iniziative globali per la protezione degli ambienti marini e costieri.

2.2.5 REGIONAL SEA CONVENCTIONS (RSC)

In Europa ci sono quattro strutture di cooperazione che mirano a proteggere l'ambiente marino e

riunire gli Stati membri ed i paesi limitrofi che condividono le acque marine: Regional Sea

Conventions (RSC, http://ec.europa.eu/environment/marine/international-cooperation/regional-sea-

conventions/index_en.htm). La cooperazione tra gli Stati membri e con i paesi terzi è avvenuta

attraverso queste Convenzioni per più di 30 anni.

Le quattro Convenzioni del Mare Regionale Europee sono:

La Convenzione OSPAR per la protezione dell'ambiente marino nell'Atlantico nordorientale

del 1992 (oltre alle versioni precedenti del 1972 e del 1974) ;

La Convenzione di Helsinki sulla protezione dell'ambiente marino nell'area del Mar Baltico

del 1992 (in seguito alla versione precedente del 1974) la “Convenzione ” (HELCOM);

La Convenzione di Barcellona (UNEP-MAP) per la protezione dell'ambiente marino e della

regione costiera del Mediterraneo del 1995 (in seguito alla versione precedente del 1976)

La Convenzione di Bucarest per la protezione del Mar Nero del 1992.

Le RSC possono sostenere l’attuazione della MSFD in almeno tre modi principali:

attraverso il miglioramento della coerenza regionale e transregionale di attuazione a

livello nazionale;

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facendo strutture a lunga durata e stabilire le RSCs di cooperazione disponibili per

aumentare l’efficienza e l’efficacia di attuazione a livello nazionale;

offrendo possibilità concrete di mobilitazione e coordinamento delle attività dei paesi

terzi interessati.

Figura 6 - Percentuale della copertura delle reti delle AMP, nei mari regionali europei, includendo i siti di

Natura 2000 e delle RSC.

2.2.6 PROGETTI EUROPEI

A livello Europeo sono stati condotti negli ultimi anni diversi progetti dedicati completamente o in

parte al censimento delle AMP nel Mar Mediterraneo ed allo studio della rete di AMP a scala di

bacino.

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Il progetto CoCoNet (2012-2016, http://www.coconet-fp7.eu/), in particolare, è stato implementato

con l’obiettivo di produrre linee guida per la creazione di reti di aree marine protette basate sul

concetto di connettività nel Mar Mediterraneo e nel Mar Nero. Tali linee guida indicano di

aumentare la copertura geografica delle aree di protezione nel Mediterraneo e nel Mar Nero,

individuando gruppi di AMP (Figura 1, Figura 2) interconnesse tra loro, spostandosi dalle scale

locali (solo AMP) alle scale regionali (reti di AMP), a quelle di bacino (reti di reti).

L'identificazione delle connessioni fisiche e biologiche che avvengono mediante processi di

distribuzione della biodiversità, migliorerà le politiche di gestione mediante un'efficace protezione

ambientale, stabilendo se le AMP esistenti sono sufficienti per la rete ecologica e suggerendo come

progettare ulteriori sistemi di protezione basati sugli scambi che avvengono tra le aree protette. Uno

dei problemi principali individuati in CoCoNet deriva dai criteri utilizzati per istituire una

determinata area marina protetta. Infatti non bisogna garantire soltanto la loro bellezza naturale ma

anche il funzionamento dei loro ecosistemi per poter garantire la conservazione della biodiversità.

Il progetto EMODnet MedSea Checkpoint (http://www.emodnet-mediterranean.eu/) ha come

obiettivo principale la valutazione della adeguatezza del sistema di monitoraggio attuale a scala del

bacino Mediterraneo, prendendo in considerazione 7 diverse applicazioni (challenges) scelte tra i

vari settori della Blue economy, tra cui le AMP. I dati provenienti dalla attuale rete osservativa sono

stati valutati in termini di disponibilità, visibilità accessibilità ed adeguatezza nella elaborazione di

prodotti quali ad esempio mappe di connettività e rappresentatività delle AMP mediterranee.

L’obiettivo è analizzare su vasta scala l’adeguatezza della rete mediterranea di AMP mediante le

attuali conoscenze ambientali e socio-economiche. Questi challenges (http://www.emodnet-

mediterranean.eu/portfolio/marine-protected-areas/) mirano ad analizzare la rete mediterranea

esistente di AMP e determinare se la rete costituisce una rete rappresentativa e coerente come

descritto nell’articolo 13 della Direttiva quadro 2008/56/CE sulla strategia marina.

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CAPITOLO 3 LA CONNETTIVITÀ TRA AREE MARINE

PROTETTE

La connettività è un processo cruciale che determina la persistenza, la resilienza e la produttività

degli ecosistemi marini, incluse le specie marine sfruttate. In generale, la connettività rappresenta

un driver primario delle dinamiche della popolazione marina su scala sia locale che globale. Gli

studi di connettività si concentrano comunemente su habitat, fauna (pesci, tartarughe, cetacei), flora

(propaguli di mangrovie, fanerogame marine, alghe) ed oggetti mobili (plastica, l’olio e legni)

specifici e a varie scale spaziali e temporali.

Recentemente si riscontra un notevole sforzo della ricerca nel campo della dinamica di popolazione

dei pesci per poterne comprendere i flussi di entrata ed uscita specialmente in relazione alla

dispersione di propaguli. Comprendere e quantificare la connettività tra diversi habitat oppure

popolazioni spazialmente distanti è fondamentale per contribuire alla gestione sostenibile degli

ecosistemi e fornire dati su cui basare il processo decisionale. Questa consapevolezza è

indispensabile per poter allocare i giusti sforzi di conservazione verso le aree che fungono da nodi

principali all’interno di una rete di aree marine protette. Fino ad ora invece le reti di aree marine

protette sono state istituite tenendo poco in considerazione il concetto di connettività (Lagabrielle et

al., 2014).

Una definizione ampiamente condivisa di connettività è (Taylor et al. 1993): “degree to which the

(sea)scape facilitates or impedes movement among resource patches”. In questa tesi si considera

più specificamente invece la connettività come il flusso di individui attraverso sottopopolazioni

spazialmente separate, che occupano spazi distinti all’interno di una metapopolazione. La

connettività può essere inoltre:

strutturale, cioè legata alle relazioni di tipo fisico che sussistono tra le varie zone;

funzionale, cioè legata alla risposta biologica e comportamentale dell’individuo alla struttura

dell’ambiente e la sua dinamica.

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3.1 Metodi per lo studio della connettività

Esistono diversi metodi e strumentazioni per lo studio della connettività anche se, nessuno di questi

è stato ancora considerato valido ed efficace di per sé.

Nell’articolo di Lagabrielle et al. (2014) sono stati individuati otto challenges verso l’integrazione

dello studio della connettività nella gestione e pianificazione della rete AMP. Tre challenges

riguardano la ricerca scientifica in questo campo, altri quattro riguardano la parte gestionale.

Nel primo challenge sono riassunti e messi a confronto i diversi metodi per lo studio della

connettività:

“Direct observation”: l'osservazione è diretta quando il suo impiego non richiede la presenza

di strumenti o dispositivi che si frappongono tra l'osservatore e l'osservato, e si svolge senza

una dilazione temporale, ossia osservazione e registrazione dei dati sono effettuate

contemporaneamente.

“Mark-recapture techniques”: avviene quando un certo numero di individui sono

contrassegnati e poi rilasciati nella popolazione, in modo che possano essere identificati in

seguito. La popolazione viene successivamente riesaminata e vengono dedotte considerazioni

dal recupero di individui marcati.

“Acoustic telemetry”: insieme dei metodi di osservazione ottica o elettronica o acustica

finalizzati a fornire la misura della distanza di un oggetto dall'osservatore, quindi

l'osservazione a distanza di un fenomeno.

“Analysis of geochemicals and genetic markers”: un locus genico identifica univocamente

una regione cromosomica.

“Biophysical modelling”: analisi mediante metodi numerici per valutare la dispersione di

larve in mare.

3.2 La Modellistica Biofisica

La connettività insieme alla dispersione oceanica sono identificate come fattori fondamentali per la

strutturazione di popolazioni marine e la progettazione di aree marine protette (AMP). Infatti la

connettività non è altro che la misura in cui le popolazioni di diverse specie sono collegate

attraverso regimi di correnti tra le varie AMP. Questi collegamenti sono realizzati dallo scambio di

propaguli, uova, larve.

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La connettività si può quantificare mediante l’effetto di dispersione che è la probabilità o il tempo di

trasporto tra regioni distinte. Un’altra condizione per la realizzazione di connettività è la presenza di

una rete di habitat adeguati. Il mosaico di determinate condizioni (circolazione marina, habitat,

caratteristiche larvali di specie) determina una gradazione di interconnessione all’interno di una rete

di AMP, perciò bisogna cercare di considerare il maggior numero di possibili connessioni tra

diverse specie.

Il metodo utilizzato per lo studio della connettività a scala di bacino tra le AMP è quello della

modellistica biofisica. Tale metodo offre la possibilità di tracciare il percorso delle larve su grandi

scale spazio-temporali richiedendo la conoscenza di numerosi processi e parametri fisici e biologici

tramite lo studio di dati empirici.

La biofisica è la disciplina scientifica che realizza il collegamento concettuale e operativo tra la

fisica e la biologia. Il principale obiettivo che la biofisica si propone di raggiungere è quello di

capire che tipo di sistema fisico sia un organismo vivente, ossia di definire un modello fisico di

organismo che riesca a riprodurre, tutti quegli aspetti dei viventi studiati dalla biologia funzionale e

dalla biologia evolutiva.

Per studiare la connettività si considerano vari modelli: un modello è un insieme di teorie che

descrive un fenomeno in modo oggettivo; un oggetto, un metodo o un meccanismo utilizzato per

simulare un certo aspetto della realtà. L'obiettivo di un modello matematico è quello di poter

analizzare, studiare, comprendere, quantificare ed elaborare il fenomeno in questione. Per

comprendere le simulazioni dei modelli complessi dell’oceano si deve definirne prima le

dimensioni spazio-temporali: due dimensioni orizzontali x, y e una dimensione verticale z; la

stabilità di ogni modello numerico è determinata dalla sua risoluzione spaziale (si veda griglia in

Figura 7) rispetto alla sua risoluzione temporale. La griglia è rappresentata da un array di celle e

nodi ossia punti tra i quali intercorre uguale distanza.

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Figura 7 - Griglia cartesiana.

La modellistica biofisica si basa su tre componenti fondamentali:

Il modello idrodinamico che rappresenta il modello forzante;

Il modello lagrangiano che simula il processo dispersione delle particelle;

Il comportamento larvale che viene parametrizzato per conferire alle particelle disperse le

caratteristiche principali delle larve oggetto di studio.

Modello Idrodinamico: modello numerico utilizzato per risolvere su griglia regolare le equazioni

del moto per i movimenti oceanici e fornisce medie sulle correnti, sulla velocità, salinità. L'oceano è

un fluido che può essere descritto con una buona approssimazione dalle equazioni primitive, cioè le

equazioni di Navier-Stokes insieme ad un'equazione non lineare che coppia i due traccianti attivi

(temperatura e salinità) alla velocità del fluido. Le equazioni di Navier-Stokes, scritte e studiate in

due tempi diversi, distanti tra loro, dall’ingegnere francese Navier nel 1821-1822 e dal matematico

inglese Stokes negli anni 1840-1845, sono un sistema di equazioni differenziali alle derivate parziali

che descrivono il comportamento di un fluido dal punto di vista macroscopico, sono predittive,

ovvero permettono di pre-vedere l'andamento nel futuro del campo di velocità data una condizione

iniziale. In termini matematici, evidenziando la derivata temporale si scrive:

In questa forma, l'equazione sopra (estratte da Note, Versione 7.0 Pinardi, 2014) si può integrare nel

tempo dato il campo di velocità all'istante iniziale t0. Quindi la previsione al tempo t è data da:

Il modello idrodinamico rappresenta il forzante del modello di dispersione lagrangiano.

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Modello lagrangiano: sistema di coordinate mobile che segue gli spostamenti delle particelle di cui

si vuole riprodurre il comportamento (esempio in Figura 8). Nei modelli a particelle si simula

generalmente l’emissione di inquinanti (idrocarburi, microplastiche) con la generazione di un certo

numero di particelle emesse ad ogni nuovo passo temporale. Il campo di concentrazione delle

particelle ad ogni passo è ricostruito in funzione direttamente proporzionale al numero di particelle

che attraversano un certo volume di spazio. Le traiettorie orizzontali sono simulate integrando il

campo di velocità derivante da un modello idrodinamico, interpolata bilinearmente in ogni

particella. Le proprietà del flusso quindi saranno funzioni del particolare elemento fluido, oltre che

al tempo t. Se si identifica la particella mediante il vettore posizione Xo del suo centro di massa

all’istante iniziale t0, la sua velocità all’istante t sarà esprimibile come (ῡ)=ῡ (Xo, t).

Figura 8 - Dispersione Lagrangiana.

Comportamento larvale: esso viene parametrizzato per conferire alle particelle, disperse mediante

il modello lagrangiano, le principali caratteristiche delle larve oggetto di studio. Ad esempio si

considerano la capacità di movimento della larva (orizzontale e verticale), la sua durata, il suo

periodo riproduttivo. Le conoscenze sulla biologia delle larve rappresentano oggi un limite allo

studio della connettività mediante modelli biofisici, poiché’ limitate ad alcune specie o parziali.

3.3 Il servizio di previsione europeo per il Mar Mediterraneo

L’avvento dell’oceanografia operativa e l’istituzione del servizio marino europeo, Copernicus

Marine Environment Monitoring Service (CMEMS), hanno permesso lo sviluppo di applicazioni

quali lo studio della connettività grazie alla disseminazione dei dati di output dei modelli di

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previsione idrodinamici o delle rianalisi su lunga scala. Tali dati, oltre ad essere validati per

assicurarne una buona qualità, vengono distribuiti gratuitamente agli utenti. Questo importante

traguardo ha incentivato l’utilizzo di questi dati per applicazioni interdisciplinari quali lo studio di

dinamiche di popolazioni, la dispersione di larve e plastiche in mare e l’elaborazione per esempio di

mappe di rischio dovute al possibile sversamento di inquinanti in mare da navi o piattaforme.

L’oceanografia operativa nasce negli anni Novanta. In Europa nel 1994 numerose agenzie

governative e istituti di ricerca danno vita a EuroGOOS, un'associazione istituita per fornire servizi

di oceanografia operativa e condurre ricerche in mare. Nell'area mediterranea, invece, nel 1998

nasce il "Sistema di previsione del Mediterraneo" (Mediterranean Forecasting System - MFS), un

sistema integrato di osservazioni e modelli in grado di monitorare lo stato dell'oceano e le sue

possibili evoluzioni a breve termine.

Il sistema europeo di oceanografia operativa è nato nel programma GMES - Global Monitoring

for Environment and Security (Monitoraggio Globale per l'Ambiente e la Sicurezza), che

abbraccia tutti i comparti ambientali, da quello terrestre a quello marino e atmosferico. Il servizio di

monitoraggio dell'ambiente marino di GMES ha fornito informazioni sullo stato dei mari e degli

oceani attraverso il progetto europeo “MyOcean” (2009-2015), un network europeo in grado di

fornire, in maniera del tutto gratuita, informazioni accurate e in tempo reale sugli oceani e sul mar

Mediterraneo, sulla base di osservazioni satellitari e in situ e la loro integrazione in modelli 4D.

Temperatura, salinità, correnti, ghiacciai e ghiaccio , livello dei mari, venti e parametri

biogeochimici sono alcune delle variabili prese in considerazione. In particolare, MyOcean si

basava su quattro settori chiave (vedi Figura 9):

1. Sicurezza in mare (operazioni di recupero e salvataggio in mare, lotta alle dispersioni di

inquinanti in mare, rotte per le navi, difesa dei confini);

2. Risorse marine (gestione degli stock ittici);

3. Ambiente marino e costiero (qualità delle acque, inquinamento, attività di monitoraggio e

protezione degli habitat costieri);

4. Informazioni sul clima e previsioni stagionali.

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Figura 9 - Input e output di Copernicus.

Dopo aver coordinato con successo i progetti MyOcean europei dal 2009, Mercator Ocean è stato

ufficialmente affidato dalla Commissione europea all'11 novembre 2014 per attuare e gestire il

"Servizio di monitoraggio dell'ambiente marino di Copernicus", nell'ambito del programma europeo

di osservazione della terra, Copernicus. A partire da maggio 2015 CMEMS sta lavorando in

modalità operativa. Segue la fase di dimostrazione di MyOcean che ha permesso di aprire il servizio

in modalità preoperatoria durante 6 anni. Nell’ambito del programma europeo Copernicus di

osservazione della Terra, il Servizio Marino per il Mar Mediterraneo è gestito da un consorzio

formato da CMCC, INGV, OGS e HCMR. INGV è responsabile della componente fisica del

Mediterranean Monitoring and Forecasting Centre (Med-MFC) e la sua attività è incentrata sia su

aspetti di ricerca che su attività operative, volte al miglioramento della modellistica oceanografica, e

conseguentemente alla qualità dei prodotti offerti, congiuntamente alla loro messa a disposizione

per gli utenti finali.

INGV, responsabile della componente fisica del MED-MFC, produce quotidianamente, in maniera

operativa, analisi e previsioni a breve termine (10 giorni) dello stato del mare per i parametri fisici,

quali temperatura, salinità, correnti e fornisce anche “rianalisi” dello stato del mare dei passati 30 e

60 anni, in grado di descrivere la variabilità della circolazione e i processi che la determinano. Il

sistema di previsione è stato sviluppato negli ultimi 20 anni grazie a progetti finanziati dal

Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, dal Ministero degli Affari Esteri e

dalla Comunità Europea, e viene mantenuto operativo dal gruppo di oceanografia operativa

dell’INGV presso la sede di Bologna. Le previsioni vengono fatte ogni giorno per i 10 giorni

successivi. Vengono previsti, dalla superficie fino al fondo del mare, i campi di temperatura,

salinità, intensità e direzione delle correnti e livello del mare. All’interfaccia aria-mare vengono

previsti i campi di sforzo del vento, di anomalia dell’elevazione della superficie del mare e di flusso

di calore. I dati distribuiti da CMEMS sono disponibili nella forma di Open Data e sono ricercabili

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per mezzo di un apposito catalogo, utilizzato in questa tesi per scaricare i dati di previsione delle

correnti per gli anni 2014-2016.

Le previsioni fornite mediante CMEMS sono fatte usando i forzanti atmosferici messi a

disposizione dall’ECMWF (European Centre for Medium-Range Weather Forecasts,

organizzazione intergovernativa indipendente supportata da 34 stati).

INGV produce e mantiene anche il sistema Nazionale RitMare, il quale utilizza i forzanti messi a

disposizione dall’Aeronautica Militare italiana COSMO-ME. Entrambe le previsioni fisiche

prodotte da INGV sono visualizzate su un sito web dedicato (http://medforecast.bo.ingv.it/), che

viene aggiornato in tempo reale, che chiunque può utilizzare per ispezionare le previsioni

selezionando diversi parametri (si vedano ad esempio le figure dalla 10 alla 17). Anche i dati del

sistema nazionale RitMare sono resi disponibili da INGV su richiesta e sono stati anch’essi scaricati

per gli anni 2014-2016 al fine di analizzarne le principali differenze con il sistema CMEMS.

Il sistema di previsione mediterraneo consiste un modello idrodinamico accoppiato ad un modello

di onda ed un sistema assimilazione dati. Il modello NEMO è utilizzato per la parte idrodinamica,

WaveWatch-III (http://polar.ncep.noaa.gov/waves /index2.Shtml) viene utilizzato per le onde,

mentre lo schema di assimilazione si chiama Ocean Var. La griglia orizzontale del modello ha una

risoluzione orizzontale di 1 / 16˚ (6-7 km circa) e 72 livelli verticali distanziati in modo irregolare.

Il modello è annidato nell'Atlantico alle analisi globali di Copernicus (http: //marine.copernicus.eu

/). Le osservazioni da satellite di Sea Level Anomaly (SLA) e in situ (ARGO, CTD e XBT)

vengono assimilate quotidianamente con un ciclo settimanale che produce analisi quotidiane.

In tabella 1 vengono riassunte le principali differenze tra i sistemi operativi di Copernicus e di

RitMare:

Il sistema Copernicus (http://medforecast.bo.ingv.it/mfs-copernicus/) si basa sulla versione

del modello numerico SYS4e (MyOcean FO), usa come forzante atmosferico ECMWF ad

1/8° di risoluzione, circa 13km ed utilizza dati giornalieri del sistema di previsione globale

al contorno laterale nella Box Atlantica. Il modello considera la pressione atmosferica ed

utilizza una formulazione esplicita della superficie libera. Il time step è stato ridotto a 300

secondi.

il sistema RitMare (http://medforecast.bo.ingv.it/mfs-ritmare/) si basa sulla versione del

modello numerico SYS4c (MyOceano V3) e ha come forzante COSMO-ME ad 1/16°

risoluzione, circa 6/7km ed utilizza dati climatologici calcolati dal sistema di previsione

globale al contorno laterale nella Box Atlantica. Questo sistema rappresenta una versione

più vecchia del sistema Copernicus e non considera come forzante la pressione atmosferica.

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Tabella 1 - http://medforecast.bo.ingv.it/system/.

Le variabili rilasciate da entrambi i sistemi di previsione sono riassunte in tabella 2. Il sistema

Copernicus rilascia medie giornaliere centrate alle 00:00, mentre il sistema RitMare rilascia dati

orari che nel portale vengono visualizzati alle 18:30, 00:30, 06:30 e 12:30.

INGV fornisce inoltre una valutazione della qualità della previsione attraverso il confronto dei dati

da modello con le osservazioni da satellite o in situ disponibili mediante il servizio marino

Copernicus. Tale validazione garantisce un elevato standard di qualità a tutti i prodotti rilasciati

mediante CMEMS, che vengono sottoposti ad un esame approfondito prima della loro

disseminazione.

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Tabella 2 - Prodotti di uscita dei dati di Copernicus e RitMare.

In seguito vengono presentati i risultati della previsione prodotta da entrambi i sistemi di previsione

europeo ed italiano in data 28 agosto 2017 ed alcuni esempi di validazione estratti dal sito

http://medforecast.bo.ingv.it/. L’obiettivo è quello di evidenziare che esistono differenze di

soluzione e prestazione tra i due sistemi e che questi avrebbero un impatto in caso questi dati

venissero utilizzati come forzanti di un modello biofisico.

Figura 10 mostra la previsione della Temperatura Superficiale per il giorno 28/08/2017 per i sistemi

Copernicus (media giornaliera 00:00) e RitMare (00:30 media oraria). I campi, visibilmente diversi,

non possono però esse direttamente confrontati poiché le figure hanno diverse scale di colore.

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Figura 10 – Previsione della Temperatura Superficiale per il giorno 28/08/2017: (in alto) sistema Copernicus;

(in basso) sistema RitMare.

Figura 11 presenta invece la validazione dei dati di temperatura superficiale ottenuta mediante il

confronto dei dati del modello con le osservazioni della temperatura superficiale da satellite. Tale

confronto viene fatto calcolando il BIAS, cioè la differenza media a livello di bacino tra i due

campi, e l’errore quadratico medio (RMS, Root Mean Square error). Il BIAS per gli anni 2014-2017

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oscilla in media attorno allo zero, indicando che non esiste un errore sistematico del modello

rispetto alle osservazioni. A partire dalla metà del 2015 si osserva un incremento del BIAS che

tendenzialmente presenta valori positivi, indicando che il modello prevede temperature più alte di

quelle osservate. Tale incremento è più ampio per il sistema Copernicus che per il sistema RitMare.

Per quanto riguarda il RMS, entrambi i sistemi oscillano attorno a 0.5˚C.

Figura 11 – Root Mean Square Error e BIAS relativi alla temperatura superficiale del mare calcolati

confrontando i dati del modello e le osservazioni da satellite dal 2014 al 2017: (in alto) sistema Copernicus;

(in basso) sistema RitMare.

Figura 12 mostra la previsione della salinità superficiale per il giorno 28/08/2017 per i sistemi

Copernicus (media giornaliera centrata alle 00:00) e RitMare (media oraria centrata alle 18:30). I

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campi di salinità, visibilmente diversi, non possono però essere direttamente confrontati poiché le

figure hanno diverse scale di colore.

Figura 12 - Previsione della Salinità alla superficie per il giorno 28/08/2017: (in alto) sistema Copernicus; (in

basso) sistema RitMare.

La validazione della salinità con le osservazioni in situ provenienti da boe Argo e CTD in Figura 13

presenta invece il valore di RMS medio di bacino calcolato utilizzando tutte le osservazioni

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disponibili a 8 metri di profondità. Per entrambe i sistemi il valore oscilla intorno a 0.2 psu con

oscillazioni tendenzialmente più piccole per RitMare.

Figura 13 - Root Mean Square Error e BIAS relativi alla salinità superficiale del mare calcolati confrontando

i dati del modello e le osservazioni in situ provenienti da boe ARGO e CTD dal 2014 al 2017: (in alto)

sistema Copernicus; (in basso) sistema RitMare.

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Figura 14 presenta invece i campi delle correnti superficiali ottenuti dai sistemi di previsione

Copernicus e RitMare, in colore il modulo della velocità e i vettori mostrano la direzione del

campo. In questo caso i campi possono essere confrontati grazie alla stessa scala di colore impiegata

per rappresentare l’intensità della corrente, tenendo comunque in considerazione che stiamo

confrontando una media giornaliera ed una media oraria. Le mappe mostrano come le velocità

differiscono nei due diversi sistemi di previsione: in RitMare le correnti sono molto più forti nel

Western Alboran Gyre, lungo la costa dell’Algeria, lungo la Asian Minor Current (Pinardi et al.,

2015) e nello IeraPetra Gyre. In RITMARE la Liguro-Provenal-Catalan Current (LPCC) appare

indebolita e frammentata rispetto alla soluzione Copernicus.

Figura 14 – Previsione delle correnti superficiali per il giorno 28/08/2017 Copernicus: (in alto) sistema

Copernicus; (in basso) sistema RitMare.

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3.4 Analisi di variabilità della circolazione nel Mar Mediterraneo

In questo paragrafo viene effettuata un’analisi sulla variabilità inter ed intra annuale della

circolazione superficiale ottenuta dai sistemi di previsione europeo Copernicus ed italiano RitMare

sviluppati e gestiti dal gruppo di oceanografia operativa dell’INGV di Bologna. L’obiettivo è quello

di mettere in luce le differenze che emergono nelle soluzioni dei modelli idrodinamici e di

comprendere come queste differenze possano altamente influenzare le applicazioni che studiano la

connettività mediante l’utilizzo della modellistica biofisica. Per quanto riguarda la circolazione non

sono stati forniti al momento i dati sugli errori relativi alle correnti. Nessuno dei due sistemi è mai

stato validato a scala di bacino utilizzando osservazioni delle correnti, ma è stata verificata la

consistenza della circolazione media con studi in letteratura. In questo caso si considera come

riferimento lo schema di circolazione riportato in Figura 15, estratto da Pinardi et al., (2015). La

Tabella 3 riporta la nomenclatura associata alle strutture di circolazione in Figura 15.

I dati giornalieri delle correnti per gli anni 2014-2015-2016 di Copernicus sono stati scaricati dal

catalogo online http://marine.copernicus.eu/services-portfolio/access-to-products/, mentre i dati

RitMare sono stati scaricati dal portale dell’INGV di Bologna. Le medie annuali e stagionali sono

state calcolate mediante NCO (http://nco.sourceforge.net/nco.html), un pacchetto di comandi per

l’elaborazione dei files netCDF di output dei modelli di previsione. Le mappe annuali e stagionali

sono state invece prodotte utilizzando MatLab, un linguaggio ad alto rendimento per la

computazione tecnica.

Figura 15 - Schema della circolazione generale alla superficie per il Mar Mediterraneo ottenuta da dati di

rianalisi per il periodo 1987-2007 (estratto da Pinardi et al., 2015).

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Tabella 3 - Nomenclatura associate alle strutture principali della circolazione del Mar Mediterraneo in Figura

15 (estratto da Pinardi et al., 2015).

Nelle mappe annuali in Figura 16, Figura 17 e Figura 18 si può notare come varia la circolazione

media superficiale (1.5m di profondità) da un anno all’altro e come le differenze tra i due sistemi

siano in molte zone dell’ordine di 0.1m/s. Le correnti annuali hanno un’intensità che varia

tendenzialmente tra 0.05 m/s e 0.3 m/s, dunque le differenze riscontrate non sono affatto

trascurabili. Valori minimi caratterizzano gran parte del bacino mentre i valori massimi evidenziano

le strutture della circolazione più energetiche e persistenti (si faccia riferimento a Figura 15 e

Tabella 3):

le correnti a getto, quali ad esempio l’Algerian Current, la Liguro Provencal Catalan

Current, l’Atlantic Ionian Stream, la Western Adriatic Coastal Current, Eastern Southern

Adriatic Coastal Current, la Cretan Passage Southern Current, il Mid Mediterranean Jet e la

Asian Minor Current.

i giri e vortici, quali ad esempio l’Almeria-Oran Cyclonic eddy, il South-Western

Tyrrhenian Gyre, North Tyrrhenian Gyre, il South Adriatic Gyre, il Rhode Gyre, lo Ierapetra

Gyre.

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Figura 16 mostra le mappe delle correnti annuali superficiali ottenute dai sistemi di previsione

Copernicus (in alto), RitMare (al centro) e la loro differenza (in basso) per l’anno 2014. Si può

notare che in Copernicus le correnti sono più forti lungo la costa dell’Algeria, tra lo stretto di

Gibilterra, lungo la costa liguro-provenzale ed il Golfo del Leone, dove sono presenti numerose

AMP e nel Canale di Sicilia. In RitMare sono presenti le stesse strutture della circolazione ma con

ampiezza o posizione differente. Il Mersa Matruh Gyre appare ben formato in entrambi i sistemi ma

più intenso in RitMare nella sua porzione meridionale.

I campi di circolazione superficiale per l’anno 2015 in Figura 17 mostrano le differenze principali

nel Mare di Alboran, lungo la costa liguro-provenzale, nel nord Tirreno, nel Canale di Sicilia dove

la Atlantic Ionian Stream è molto meno intensa in Copernicus rispetto a RitMare. In RitMare la

circolazione è più intensa, nello Ionio meridionale, lungo la costa meridionale di Creta e lungo la

Cretan Passage Southern Current.

Nel 2016 (Figura 18) i campi delle correnti superficiali presentano grandi differenze negative nel

bacino levantino, supponendo correnti più intense nella soluzione RitMare rispetto a Copernicus. Al

centro dello Ionio RitMare presenta un giro anticiclonico ben delineato, che in Copernicus è appena

accennato. Anche nel bacino Levantino il Mersa Matruh Gyre System appare diverso.

I campi delle correnti superficiali ottenuti dai sistemi di previsione Copernicus e RitMare sono

consistenti con le correnti principali del Mediterraneo presentate in Pinardi et al. (2015). Le

differenze tra i due sistemi sono significative anche in zone dove sono presenti AMP, come ad

esempio nel Golfo del Leone o nel sud dell’Adriatico.

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Figura 16 - Mappe di circolazione superficiale annuali del Mar Mediterraneo per il 2014: Copernicus (in

alto), RitMare (centro), le differenze (in basso).

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Figura 17 - Mappe di circolazione superficiale annuali del Mar Mediterraneo per il 2015: Copernicus (in

alto), RitMare (centro), le differenze (in basso).

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Figura 18 - Mappe di circolazione superficiale annuali del Mar Mediterraneo per il 2016: Copernicus (in

alto), RitMare (centro), le differenze (in basso).

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Figura 19- Mappe climatologiche stagionali del Mediterraneo calcolate sui tre anni 2014-2016 alla

superficie (1.5m): Copernicus (sinistra), RitMare (al centro), differenze (destra). In alto le mappe invernali, a

seguire primavera, estate e autunno in basso.

Nella Figura 19 sono riprodotte le mappe climatologiche stagionali calcolate come media dei tre

anni 2014, 2015, 2016 per i due sistemi Copernicus (sinistra) e RitMare (al centro) e le relative

differenze (destra). In queste mappe si può notare come varia la circolazione media nell’arco

dell’anno, tra inverno (gennaio, febbraio, marzo), primavera (aprile, maggio, giugno), estate (luglio,

agosto, settembre) e autunno (ottobre, novembre, dicembre) alla superficie (1.5m di profondità). Le

correnti climatologiche hanno un’intensità che varia tendenzialmente tra 0.05 m/s e 0.3 m/s. Valori

minimi caratterizzano gran parte del bacino mentre i valori massimi evidenziano le strutture della

circolazione più energetiche.

Le correnti climatologiche stagionali prodotte dal sistema Copernicus mostrano che:

in inverno l’Algerian Current, la Liguro Provencal Catalan Current e la Cretan Passage

Southern Current hanno intensità massima;

la Western Adriatic Coastal Current ha massima intensità tra l’estate e l’autunno, mentre la

Eastern Southern Adriatic Coastal Current si intensifica durante il periodo autunnale;

il South-Western Tyrrhenian Gyre appare ben delineato in estate e in autunno;

l’Atlantic Ionian Steream perde di intensità in autunno;

l’Almeria-Oran Cyclonic eddy è ben definito in primavera ed estate;

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lo Ierapetra Gyre è ben formato in primavera ed estate;

risulta più estesa e avente maggiore forza la corrente nel Mar Egeo.

Le correnti climatologiche stagionali prodotte dal sistema RitMare mostrano in generale una

circolazione molto simile a quella prodotta dal più evoluto sistema europeo Copernicus.

La mappa di differenze suggerisce che le correnti RitMare in inverno sono meno intense (in rosso) a

Gibilterra, lungo la costa liguro-provenzale, nel sud Adriatico e tendenzialmente lungo le fasce

costiere. Le differenze negative, che indicano ove le strutture RitMare sono più intense, sono invece

maggiormente concentrate nello Ionio centrale e all’interno del bacino levantino, ad indicare una

possibile dislocazione delle principali strutture della corrente. In primavera la Atlantic Water

Current e la Cretan Passage Southern Current appaiono più intense in RitMare, come anche le

correnti lungo le coste della Corsica, a sud di Creta e nello Ionio centrale. In estate si notano

differenze nella circolazione a nord delle Baleari, lungo il percorso della Atlantic Ionian Stream ed

in tutto il bacino Levantino. In autunno le differenze sono maggiori nella regione liguro-provenzale,

lungo la costa algerina, nello Ionio meridionale e nel levantino.

Dall’analisi qualitativa della circolazione superficiale effettuata si può dedurre che le soluzioni

ottenute sono diverse per i due sistemi di previsione considerati e che in assenza di una validazione

con le osservazioni sia impossibile definire quale delle due soluzioni sia migliore dell’altra. La

circolazione varia di anno in anno e di stagione in stagione suggerendo che per avere stime di

connettività a scala di bacino si debba valutare attentamente il periodo da tener in considerazione

nella fase di disegno sperimentale. Questo ha implicazioni sulle ipotesi a priori del periodo

riproduttivo delle specie in esame (stagione) e sulla significatività statistica dei risultati ottenuti.

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CAPITOLO 4 RECENTI STUDI SULLA CONNETTIVITÀ

DELLE AMP NEL MAR MEDITERRANEO

Durante il periodo di tirocinio svolto presso la sezione di Bologna dell’Istituto Nazionale di

Geofisica e Vulcanologia (INGV) è stato condotto uno studio bibliografico sullo stato dell’arte della

connettività a scala di bacino tra le AMP del Mediterraneo che ha portato alla selezione di tre

articoli scientifici: Andrello et al. (2013), Berline et al. (2014) e Rossi et al. (2014). In questo

capitolo si analizzano le metodologie ed i risultati da questi ottenuti con lo scopo di individuarne le

principali criticità. Come precedentemente descritto il metodo principale per lo studio della

connettività su larga scala è quello della modellistica biofisica che utilizza modelli numerici per

poter simulare la dispersione delle larve. I tre studi hanno implementato diversi disegni sperimentali

partendo da un modello idrodinamico per forzare e quello Lagrangiano imponendo diverse

assunzioni sulle particelle (larve) considerando in maniera più o meno realistica il comportamento

dello stadio larvale.

4.1 Modelli Idrodinamici forzanti

In tabella 3 vengono riassunte le principali caratteristiche dei modelli idrodinamici impiegati come

forzanti al trasporto delle larve nei tre articoli presi in considerazione.

Nell’articolo di Andrello et al. (2013) viene utilizzato il modello idrodinamico NEMOMED12 in

modalità di hindcast, quindi senza assimilazione di dati, nella configurazione regionale del Mar

Mediterraneo implementata da Beuvier et al. (2012). NEMO risolve le equazioni primitive.

NEMOMED12, sotto questa configurazione, è stato utilizzato per studiare la diffusione delle masse

d'acqua profonda nel Mediterraneo occidentale. Ha anche mostrato la sua capacità di riprodurre

bene la variabilità inter-annuale e gli eventi estremi delle caratteristiche termoaline in tutto il

Mediterraneo con simulazioni a lungo termine. Il modello ha una risoluzione spaziale di 1/12°

corrispondenti a circa 8 Km, la quale potrebbe essere troppo grossolana per risolvere la circolazione

su piccola scala soprattutto intorno a caratteristiche topografiche complesse. Il modello ha 50 livelli

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verticali, distanziati in modo irregolare da uno spessore di 1 m in superficie a 450 mt nella parte

profonda, con 35 livelli nei primi 1000 m. Il forzante atmosferico utilizzato è il data set ARPERA

(Herrman and Somot 2008) che ha una risoluzione spaziale di 50km. NEMOMED12 ha prodotto

campi medi giornalieri di velocità, temperatura potenziale, salinità, densità potenziale ed elevazione

della superficie del mare, dall’1 ottobre 1998 al 31 dicembre 2008.

Anche Berline et al. (2014) utilizzano un modello idrodinamico basato sul codice NEMO, nella sua

implementazione PSY2V3, sviluppata da Mercator Ocean (Francia). Il modello ha una risoluzione

orizzontale di 1/12° corrispondenti a 8Km, con 50 livelli verticali. Berline et al. (2014) hanno

considerato l’intero bacino del Mediterraneo per un periodo dal 2007 al 2010. I dati di output

riguardano campi 3D giornalieri: velocità, temperatura potenziale, salinità, elevazione della

superficie, densità. Il forzante atmosferico utilizzato è la rianalisi atmosferica ERA40 ad una

risoluzione di 125km prodotta da ECMWF, anche se il data set copre solo gli anni 1957-2002, per

cui si ritiene questa informazione non corretta.

Rossi et al. (2014) utilizzano la rianalisi del Mediterraneo (Simoncelli et al. 2014, 2016) prodotta

dal gruppo di oceanografia operativa dell’INGV di Bologna. Il data set è disponibile dal catalogo

online del servizio marino europeo Copernicus (CMEMS, http://marine.copernicus.eu/services-

portfolio/access-to-products/). La rianalisi si basa sul codice NEMO. Il modello ha una risoluzione

orizzontale di 1/16° corrispondenti a circa 6.5Km, con 72 livelli verticali. Rossi et al. (2014) hanno

considerato l’intero bacino del Mediterraneo per un periodo dal 2002 al 2011. Il forzante

atmosferico utilizzato è ERAInterim (80km). I dati di output riguardano i campi 3D giornalieri di

velocità, temperatura, salinità, elevazione della superficie, densità. La rianalisi assimila dati di

elevazione della superficie e dati in situ di temperatura e salinità, garantendo una buona qualità del

prodotto.

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Tabella 4 - Caratteristiche principali dei tre articoli presi in cosiderazione Andrello et al. (2013), Berline et

al. (2014) e Rossi et al. (2014) improntato sul modello idrodinamico.

Andrello et al. (2013) Berline et al. (2014) Rossi et al. (2014)

MODELLO

IDRODIMAMICO NEMOMED12 NEMO (PSY2V3)

NEMO

(CMEMS MEDREA)

RISOLUZIONE

SPAZIALE

1/12° (~8km)

50 livelli verticali

1/12° (6-8km)

50 livelli verticali

1/16° (~6.5km)

72 livelli verticali

Forzante atmosferico ARPERA (50km) ECMWF ERA40

reanalysis (125km) ERAInterim (80km)

Assimilazione dati NO SI SI

PERIODO 1998-2008 2007-2010 2002-2011

Output

Campi 3D giornalieri:

velocità, temperatura

potenziale, salinità,

elevazione della

superficie, densità

Campi 3D giornalieri:

velocità, temperatura

potenziale, salinità,

elevazione della

superficie, densità

Campi 3D giornalieri:

velocità, temperatura,

salinità, elevazione

della superficie, densità

4.2 Disegno sperimentale

Tabella 4 riassume invece i modelli lagrangiani utilizzati ed i dettagli relativi ai disegni sperimentali

condotti, mettendo in evidenza:

la specie considerata per condurre gli esperimenti;

il periodo riproduttivo delle larve rilasciate;

il numero dei rilasci delle particelle;

il numero delle particelle considerate in questi esperimenti;

i periodi in cui si sono svolti gli esperimenti;

la profondità del rilascio delle particelle;

gli output;

la durata del trasporto delle larve in base alla durata della larva (Pelagic Larval Duration,

PLD);

tipologia di particelle: attive o passive.

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Tabella 5 - Caratteristiche principali sul modello Lagrangiano dei tre articoli presei in considerazione

Andrello et al. (2013), Berline et al. (2014) e Rossi et al. (2014).

Andrello et al. (2013) Berline et al. (2014) Rossi et al. (2014)

MODELLO

LAGRANGIANO Ichthyop3.1 Ariane

Runge-Kutta4

algorithm

Ipotesi specie considerata

Dusky grouper

Epinephelus

marginatus

No no

Periodo riproduttivo

Larve rilasciate ogni 3

giorni:

1-28 Agosto

1-28 Luglio

1-28 Settembre

Larve rilasciate ogni

3 giorni: 1-25 di

ogni mese

30-60 giorni:

1 gennaio

1 luglio

Rilascio particelle 10 rilasci per APM 1 particella ogni

10km

1 particella per ogni

punto griglia del

modello idrodinamico

Numero particelle 1000 per ogni AMP 25646 (0.5m)

23770 (50-100m)

Periodo 5 anni 3 anni

(2007-2009)

10 anni

(2002-2011)

Profondità rilascio 20 cm 0.5-50-100m 8m

Output 24h 24h

Durata trasporto larve

(in base alla PLD) 20/30/40 giorni 1 anno 30/45/60 giorni

Il modello lagrangiano utilizzato per simulare la dispersione larvale in Andrello et al. (2013) è

Ichthyop 3.1. Nell’esperimento si rilasciano le larve ogni tre giorni in tre periodi distinti scelti in

base al periodo di riproduzione del Dusky grouper osservato nel Mediterraneo nord-occidentale: 1)

1-28 luglio; 2) 1-28 agosto; 3) 1-28 settembre. Sono dieci eventi di rilascio per periodo, ciascuno

comprendente 1000 larve che danno 10.000 larve rilasciate per AMP all’anno. Per analizzare la

variabilità inter-annuale dovuta alle correnti marine, Andrello et al. (2013) hanno ripetuto la

dispersione delle larve per cinque anni, mantenendo le stesse ipotesi, questo significa che hanno

utilizzato 50.000 larve per AMP (5750000 larve in totale). Le larve sono state rilasciate a 20 cm di

profondità. Le velocità delle correnti sono state interpolate sulla posizione di ogni larva e le

posizioni delle larve sono state registrate ogni 12 iterazioni (24 h). La durata del trasporto delle

larve è stata settata a 20, poi a 30 ed in fine a 40 giorni in base ai dati di vita della larva osservati in

laboratorio. Le larve sono soggette solo a dispersione passiva dovuta all’effetto delle correnti. In

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Ichthyop 3.1, le larve che intercettano i limiti esterni del dominio sono state considerate perse; le

larve che raggiungono la superficie del mare sono state considerate perse; le larve che raggiungono

la superficie del mare sono state mandate in acqua. Le larve che raggiungono l’interfaccia tra mare

e terra sono state mantenute in atto. Anche uno scenario che considera il movimento verticale delle

larve è stato valutato, in cui le larve sono state costrette a salire a 20 cm di profondità alle 8pm e

scendere a 50m di profondità alle 8am. Andrello et al. (2013) hanno eseguito 10 repliche di ogni

scenario e confrontato i risultati utilizzando il test t di Student.

Per quanto riguarda il modello Lagrangiano Berline et al. (2014) hanno utilizzato ARIANE ed

hanno effettuato esperimenti senza considerare un periodo riproduttivo in particolare ma rilasciando

le particelle dal giorno 1 al 25 di ogni mese ogni tre giorni su una griglia regolare di 10 Km di

risoluzione e su tre livelli, 0.5, 50 e 100m, per un totale di 25646 particelle a 0.5m e 23770

particelle a 50 e 100m. L’esperimento è stato condotto per un periodo di tre anni dal 2007 al 2009.

La durata del trasporto delle larve è di un anno, per poter coprire l’intero bacino ed avere una stima

della connettività. In questo modo Berline et al. (2014) hanno ottenuto 3 insiemi di traiettorie, una

per ciascuna profondità.

Infine, Rossi et al (2014) hanno utilizzato come modello Lagrangiano l’algoritmo Runge-Kutta4,

con un approccio di ecosistema, senza dunque considerare una specie in particolare nei loro

esperimenti. Hanno ipotizzato una durata larvale di 30, 45 e 60 giorni e considerato 2 diversi periodi

riproduttivi, uno invernale con inizio il 1 gennaio, ed uno estivo con inizio il 1 luglio per 10 anni dal

2002 al 2011. Il rilascio delle particelle avviene su ciascun punto della griglia del modello

idrodinamico. Il rilascio delle particelle avviene ad una profondità di 8m, che gli autori ritengono

rappresentativa della dinamica dello strato superficiale e dove ipotizzano che le larve si

distribuiscano omogeneamente. Le particelle sono soggette a dispersione passiva, dunque no nuoto

o migrazione verticale e nessuna parametrizzazione della mortalità o dell’insediamento (settlement).

4.3 Analisi dei Risultati Ottenuti

Andrello et al. (2013) hanno implementato diverse metriche per analizzare i risultati ottenuti dagli

esperimenti condotti: 1) la larval dispersal distance (distanza ortodromica tra il punto di rilascio e il

punto finale della traiettoria); 2) la matrice di connettività (C) formata dalle probabilità di

connessione tra le varie AMP; 3) connectance (la connessione cioè il numero di elementi di C divisi

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per la dimensione quadrata di C); 4) local retenction fraction (la frazione di ritenzione locale

definita come la frazione delle larve rilasciate da un AMP di origine che risale a quella AMP); 5)

self-recruitment fraction (la frazione di auto-reclutamento è stata definita come la frazione delle

reclute in ciascuna AMP); 6) subsidy recruitment fraction (la frazione di reclutamento era la

frazione delle reclute totali). Inoltre hanno applicato la teoria dei grafi (oggetti discreti che

permettono di schematizzare una grande varietà di situazioni e di processi e spesso di consentirne

delle analisi in termini quantitativi e algoritmici) per quantificare la connettività all’interno della

rete di AMP. Le AMP e le traiettorie delle larve rappresentano rispettivamente i vertici e gli spigoli

del grafo. Le due metriche calcolate dall’analisi dei dati sono la neiborhood size e la betweeness

centrality (misura la percentuale dei percorsi più brevi che passano attraverso un determinato nodo).

I principali risultati di Andrello et al. (2013) sono:

La distanza media di dispersione va da 14 a 522km, la distanza massima di dispersione va da

73 a 906km, di conseguenza AMP distanti tra loro più di 1000km non possono essere

direttamente connesse, mentre le altre sono potenzialmente connesse. La distanza di

dispersione aumenta linearmente con la PLD.

Le probabilità di connessione tra le AMP sono davvero scarse: su 13.225 possibili

connessioni la connectance è pari a 0.0482. La probabilità di connessione tra le AMP è

molto bassa, si stima lo 0.00001% come si può notare in Figura 20, ma solo il 31% circa

delle connessioni (1.5% di tutte le possibili connessioni) ha una probabilità superiore allo

0.001. La probabilità di connessione aumenta con la PLD, ma aumenta anche la frazione di

larve che finisce in mare aperto rispetto a quella che rimane sulla piattaforma continentale.

Al termine del trasporto larvale il 56% delle larve si trova in mare aperto, il 44% sulla

piattaforma continentale. Solo il 2% delle larve si trova all’interno di AMP.

L’esportazione di larve sulla piattaforma continentale è limitata con il 22% della fascia

costiera che non riceve larve. Nella restante frazione l’abbondanza di larve che arriva è

molto piccola ed influenzata dal numero di particelle rilasciate all’interno di ciascuna AMP.

Alcune AMP possono rivestire un ruolo chiave nella connettività dell’intero network.

La migrazione verticale della larva riduce la probabilità di connessione tra le AMP.

Il mese di riproduzione considerato influenza lievemente il pattern spaziale ma nelle aree a

più alta concentrazione l’abbondanza di larve è massima in luglio e decresce in agosto e

settembre.

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Figura 20 - Probabilità di connessioni tra le AMP (da Andrello et al., 2013). La scala di colore rappresenta la

probabilità di connessione: A) PDL (Pelagic Larval Duration)=20; B) PDL=30; C) PDL=40.

Berline et al (2014) hanno diviso il dominio in celle di 50km, formando la griglia di connettività ed

ogni cella contiene 25 particelle alla data di rilascio. Per quantificare la connettività è stata calcolato

il tempo medio di connessione, il tempo di transito dalla cella i alla cella j, creando una matrice con

tutti i tempi di transito tra le varie coppie di celle. Poi è stata calcolata la distanza oceanografica

come il minimo tempo medio di connessione associato a ciascuna coppia di celle. La tecnica del

clustering gerarchico viene poi applicata alle matrici di distanza oceanografica per ottenere una

regionalizzazione del dominio considerato. La miglior stima di regionalizzazione è stata ottenuta

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mediante una matrice con le distanze oceanografiche su tutti e tre i livelli verticali considerati. In

base alla circolazione generale del bacino sono state scelte 22 clusters, visualizzati in Figura 21. I

contorni delle regioni possono essere più o meno stabili.

Figura 21 - Mappa dei 21 confini dei 22 clusters ottenuti dalla matrice delle distanze oceanografiche da

Berline et al. (2014). Le frecce indicano le correnti medie calcolate nel periodo 2007-2010 sui tre livelli

considerati (0.5, 50, 100m).

Ogni regione in Figura 21 contiene celle che sono connesse a scale temporali più corte rispetto alle

altre regioni. I contorni delle varie regioni sono in buon accordo con lo schema generale di

circolazione proposto da Pinardi et al. (2015) e riportato in Figura 15.

Rossi et al. (2014) hanno studiato il processo di dispersione utilizzando il transport network, in cui i

nodi (node) corrispondono a province geografiche del dominio ed i collegamenti (link)

corrispondono al trasporto di massa da parte delle correnti oceaniche tra due province in un certo

intervallo di tempo. Ogni collegamento è direzionale in base alla direzione del flusso e viene pesato

in base alla quantità di acqua che fluisce da un’area all’altra. Anche in questo caso, come in Berline

et al (2014), il risultato finale è quello di suddividere il Mediterraneo in province idrodinamiche in

cui le larve/particelle si disperdono maggiormente al proprio interno piuttosto che nelle regioni

limitrofe. Comunità sono state identificate con un algoritmo Infomap (Rosvall and Bergstrom,

2008) in base alla matrice di connettività, infatti le particelle si muovono nel network in base alla

descrizione statistica del flusso contenuta all’interno della matrice. Inoltre per valutare la

significatività di tali province è stato calcolato un indice di coerenza (ρ) che rappresenta la frazione

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di particelle rilasciate inizialmente in una provincia e che rimangono al suo interno fino alla fine

dell’integrazione. Figura 22 è la mappa delle province individuate nel Mar Mediterraneo.

Figura 22 - Mappa di regionalizzazione del Mediterraneo ottenuta da Rossi et al. (2014). Ogni provincia è

colorata in base al suo indice di coerenza (ρ). Le linee bianche rappresentano il flusso medio durante il

periodo di integrazione: a) 1-30 gennaio 2011; b) 1 luglio-29 agosto 2011.

4.4 Discussione

Le AMP sono considerate sempre più come strumenti efficaci per difendere la biodiversità e

sostenere la pesca, ma il loro successo dipende dalla connettività e dalla dispersione delle larve. Si

può intuire dagli studi esaminati che l’argomento della connettività è tuttora in via di sviluppo e che

i risultati ottenuti non siano ancora abbastanza robusti da poter essere utilizzati nella pianificazione

di nuove AMP e nella gestione delle AMP.

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Andrello et al. (2013), Berline et al., (2014) e Rossi et al., (2014) hanno implementato disegni

sperimentali utilizzando modelli idrodinamici accoppiati a quelli lagrangiani. Si rileva che in tutti e

tre gli articoli non si è considerato l’aspetto biologico delle particelle che possono essere attive o

passive. Le particelle sono attive nel caso in cui si consideri la vita della larva che quindi nasce

cresce si riproduce e muore, mentre sono passive quando le larve sono considerate come organismi

privi di vita e di movimento.

Nei tre articoli non si è considerato che i modelli idrodinamici possono essere soggetti a errori di

diverso tipo, esempio l’errore sistematico è definito come lo scostamento della media di un set di

valori replicati ed il valore reale della grandezza studiata ed è indice dell'accuratezza dei dati. In

Figura 11 e Figura 13 sono stati mostrati il BIAS ed il RMS per temperatura alla superficie e

salinità da cui si evince che il risultato cambia a seconda del sistema di previsione e dunque il

modello idrodinamico considerato, Copernicus o RitMare in questo caso.

Per Andrello et al. (2013) le limitazioni evidenziate sono:

1. Il modello idrodinamico impiegato ha una risoluzione (1/12º, 8km circa) non sufficiente a

modellare i processi e le dinamiche che incidono sulla connettività, specialmente nelle zone

costiere.

2. Le larve sono state soggette solo a correnti marine (dispersione passiva) senza simulare

nuoto attivo o migrazione verticale. La capacità di nuoto della larva, meccanismi di

orientamento e interazione con i predatori possono cambiare completamente i risultati

ottenuti con l’ipotesi di trasporto passivo, ma studi sul comportamento delle larve sono

carenti.

3. L’ipotesi che tutte le AMP siano soggette a limitazioni dell’attività di pesca comportando

una sovrastima nella produzione di larve.

4. Le larve nate al di fuori delle AMP non vengono considerate.

5. I risultati si applicano soltanto al dusky grouper, che ha uno dei PLD più lunghi. Ciò implica

una riduzione di connettività se si considerano PLD inferiori.

6. La mancanza di dati sulla produttività all’interno delle AMP limita il realismo dei risultati

ottenuti con la modellistica biofisica.

7. Il periodo di riproduzione effettivo può variare in tutta la zona di distribuzione del tipo di

larva preso in considerazione, ma la conoscenza corrente è insufficiente a modellare questa

variazione.

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In Berline et al. (2014) l’identificazione di regioni nel Mediterraneo in base alle probabili

connessioni oceanografiche dovrebbe aiutare nell’interpretazione della distribuzione spaziale di

proprietà che vengono passivamente trasportate dalle correnti, come ad esempio proprietà fisiche

conservative, sostanze inquinanti e organismi planctonici. In quest’ultimo caso i confini

idrodinamici diventano confini faunistici per larve ed organismi bentonici. Gli autori ritengono che

data la risoluzione spaziale della griglia adottata le matrici ottenute siano applicabili agli organismi

planctonici con un ciclo vitale più lungo di 10 giorni, dunque di molte specie zooplanctoniche.

Comunque, gli organismi viventi come lo zooplancton risentono anche di altre condizioni

ambientali quali la temperatura, dunque la sola circolazione non è sufficiente a spiegare la

distribuzione spaziale delle varie specie. Inoltre si ritiene che la durata dell’esperimento di soli tre

anni (2007-2009) renda i risultati non generalizzabili e che considerando un periodo temporale più

lungo, o utilizzando diversi modelli, come abbiamo mostrato, si possano ottenere risultati diversi

che permettano una stima dell’incertezza associata a questa tipologia di applicazioni.

Rossi et al. affermano che a causa dell’importante variabilità della circolazione dell’Oceano le

regioni e i loro confini sono oggetti dinamici che si evolvono nello spazio e nel tempo con diverse

dimensioni, forme e posizioni (Figura 22). Il metodo applicato definisce un numero elevato di

comunità (province idrodinamiche) nella rete di AMP. In media le comunità rilevate risultano 61,

46 e 36 per PDL=30, 45, 60 giorni. Entrambi i tempi di rilascio e la durata del trasporto, simulati

rispettivamente dall'inizio e la durata della fase larvale) influenzano il partizionamento spaziale. Le

province idrodinamiche sono delimitate da intense strutture di mesoscala come getti, meandri, i

fronti e i vortici. Queste strutture della circolazione, che influenzano la topologia della rete di

trasporto, e quindi la definizione della comunità, influenzano dunque fortemente la connettività.

L’insieme degli esperimenti svolti da Rossi et al. portano all’identificazione di sistemi frontali

ricorrenti e unità idrodinamiche relativamente stabili che organizzerebbero la dispersione delle

larve. Nella maggior parte delle regioni costiere superficiali, i confini si verificano in varie posizioni

e orientamenti. La struttura geografica della dispersione delle larve nel dominio preso in esame

influenza in gran parte la connettività delle riserve marine, anche se questo studio si concentra sulle

larve passive, tralasciando dunque fattori importanti legati alla biologia larvale e al suo

comportamento. Le AMP situate all'interno di unità idrodinamiche grandi e stabili sono

interconnesse, in ottimo accordo con Andrello et al, (2013) che hanno identificato clusters di AMP

simili lungo la costa algerina, in Adriatico e nel Mar Tirreno. Le connessioni larvali e le potenzialità

di dispersione sono molto variabili tra le AMP del Mediterraneo. Le riserve nei mari del Mar Egeo e

Adriatico sono caratterizzate da una piccola superficie di dispersione, ciò suggerisce una bassa

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connettività che si riflette anche nelle poche AMP interconnesse nonostante la loro densità

relativamente elevata. Circolazione complessa comporta una moderata connettività e un’elevata

variabilità temporale. Le AMP istituite all'interno di piattaforme continentali strette, limitate da

correnti energetiche, sono caratterizzate da province piuttosto grandi come la Provenza influenzata

dalla corrente liguro-provenzale, la costa catalana con la corrente settentrionale, le coste

marocchine/algerine colpite dalla corrente algerina, e nel bacino levantino orientale la cui

circolazione è caratterizzata da numerosi giri. La connettività elevata è guidata principalmente dalle

correnti a getto che favoriscono la dispersione larvale. Nel complesso, Rossi et al, 2014 affermano

che le AMP del Mediterraneo non sono distribuite in modo uniforme in base alla loro suddivisione

spaziale del paesaggio marino.

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CAPITOLO 5 Conclusioni

Questo elaborato sul tema della connettività tra le Aree Marine Protette (AMP) del Mar

Mediterraneo si è basato sulla ricerca bibliografica di articoli scientifici recenti, con la finalità di

analizzare lo stato dell’arte della ricerca in questo campo. In particolare si è considerata la

metodologia della modellistica biofisica, l’unica che permetta lo studio della connettività del

network di AMP a scala di bacino.

In primis si è studiato la nascita delle aree marine protette e come si istituiscono in Italia, quali sono

i loro scopi, le loro caratteristiche e l’importanza che rivestono nella tutela della biodiversità e di un

buono stato ambientale. Le AMP nel contesto internazionale ed europeo sono al centro di numerose

convenzioni e direttive finalizzate alla loro ottimizzazione sia gestionale che in termini di tutela

ambientale. Le convenzioni e le direttive le più importanti sono state elencate e descritte.

Successivamente si è introdotto il concetto di rete di area marina protetta e quello di connettività.

Le AMP sono considerate sempre più come strumenti efficaci per difendere la biodiversità e

sostenere la pesca, ma il loro successo dipende dalla connettività. Esistono varie metodologie per

studiarla, tra cui la modellistica biofisica che si applica alle più vaste scale spaziali. La modellistica

biofisica si basa su tre componenti principali, un modello idrodinamico forzante, un modello

lagrangiano per simulare la dispersione di particelle (larve) e la modellazione del comportamento

larvale. Per comprendere meglio tale metodologia, abbiamo approfondito la conoscenza

dell’oceanografia operativa e del sistema di previsione del Mar Mediterraneo (europeo ed italiano) e

del servizio marino europeo Copernicus. Grazie infatti all’avvento dell’oceanografia operativa e del

servizio marino europeo sono stati resi disponibili i dati dei modelli idrodinamici necessari come

forzanti per lo studio della connettività, dando un notevole slancio a questo campo di ricerca. I

sistemi di previsione europeo Copernicus ed italiano RitMare, prodotti da INGV, sono stati

brevemente descritti insieme ad alcuni esempi di prodotti rilasciati (temperatura superficiale,

salinità, correnti) e la loro validazione con le osservazioni. Per comprendere meglio gli effetti della

circolazione sugli studi di connettività, è stata condotta una esercitazione pratica per il download, il

processamento, la visualizzazione e l’analisi dei dati di questi due sistemi di previsione. Sono state

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prodotte mappe annuali e stagionali delle correnti su vari livelli verticali che hanno permesso di

capire come la circolazione varia a scale inter ed intra annuali e che diversi sistemi di previsione

generino diversi risultati con diverse accuratezze.

Si è passati poi all’analisi dei tre articoli selezionati Andrello et al. (2013), Berline et al. (2014) e

Rossi et al (2014) per capire se ci possa essere un’effettiva connessione tra le diverse AMP del

Mediterraneo e per comprendere meglio i vari disegni sperimentali (modello idrodinamico forzante,

modello lagrangiano di dispersione delle particelle, quantità di particelle rilasciate, modalità di

rilascio, profondità di rilascio e di trasporto, durata di vita della larva o tempo di integrazione) messi

in atto ed i risultati da essi ottenuti. Il limite principale riscontrato riguarda la componente larvale,

che in nessun caso viene considerata, dunque parametrizzata all’interno del modello biofisico. Le

particelle vengono considerate passive e solo alcuni aspetti vengono considerati nelle ipotesi iniziali

come il tempo di vita delle larve (PLD) e il periodo di riproduzione. I risultati ottenuti da Andrello

et al. (2013) evidenziano una scarsa connettività all’interno della rete di AMP del Mediterraneo, ma

descrivono l’effetto di diversi fattori sulla connettività, dando significativi spunti per il futuro.

Berline et al. (2014) e Rossi et al (2014) invece ottengono come risultato delle mappe di

regionalizzazione del bacino Mediterraneo strettamente legate alla circolazione nei periodi

temporali considerati. Nessuna particolare assunzione viene fatta sulle particelle determinando la

validità di tale regionalizzazione anche per traccianti passivi quali ad esempio microplastiche. Un

altro aspetto critico emerso è l’utilizzo di dati di corrente (modelli idrodinamici forzanti) non

validati opportunamente con osservazioni, dunque senza conoscerne l’accuratezza. Infatti

dall’analisi dei dati provenienti dai 2 sistemi di previsione abbiamo osservato consistenti differenze

nelle soluzioni che si rifletterebbero eventualmente sui risultati di connettività.

In questa tesi si sono volute mettere in luce diverse criticità riguardanti la metodologia della

modellistica biofisica utilizzata per lo studio della connettività. La tematica della connettività è

molto recente, multidisciplinare e ad oggi ancora in cerca di un metodo di riferimento valido.

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RINGRAZIAMENTI

Il primo ringraziamento va alla mia famiglia che mi ha sempre supportato, sopportato nei momenti

meno facili e dato amore incondizionato, ai miei genitori forti e presenti a mia sorella Alice, la più

piccola di casa, che è meravigliosa e mi capisce con uno sguardo, sempre pronta ad aiutarmi. Alla

mia nonna Lia, una donna che mi ha sempre dato la forza di continuare e raggiungere la fine di

questo percorso di studi e alla quale è dedicato il lavoro.

Ringrazio la Prof.ssa Pinardi che mi ha dato la possibilità di realizzare un sogno che è diventato

realtà, una persona che stimo molto per il suo lavoro e la sua forza d’animo.

Ringrazio tutto il SINCEM che mi ha accolto come fossi una di loro; al Dott. Luca Giacomelli

sempre disponibile e pronto a risolvere ogni problema, ad Augusto per i preziosi consigli, alla

Dott.ssa Claudia, Jacopo e Sara ma in particolare vorrei dire un GRAZIE gigante a lei, la mia tutor,

la Dott.ssa Simoncelli Simona che mi ha insegnato come si struttura un documento scientifico, è

sempre stata presente per chiarimenti e spiegazioni, presente anche durante il mio tirocinio

all’INGV e perché ha sempre trovato un po’ di tempo per me tra tutti i suoi mille impegni, la

ringrazio inoltre perché non c’è stato solo un rapporto studentessa-tutor ma non sono mancate

chiacchierate, confronti e consigli per affrontare il futuro ancora da scrivere. Grazie perché, questo

laboratorio, questo mondo a parte che studia questa disciplina straordinaria, l’Oceanografia, mi ha

regalato insegnamenti, aiuto e risate.

Inoltre ringrazio chi è stato partecipe in questo cammino, i compagni di corso, senza i quali sarebbe

stato tutto molto più difficile: Ale, Linda, Marta, Marco, Nico, Vitto, Alex, Marti, Francia, Simo,

Franci e infine a te Lu, la persona con cui ho legato dal primo giorno entrata in quell’aula, quello

era solo l’inizio di una grande amicizia diventata a tutti gli effetti, ricorderò sempre le nostre risate

in aula, le serate brave, i momenti di studio condivisi anche con discussioni, perché testarda tu,

testarda io!

Grazie anche ai nuovi amici che ho incontrato lungo il percorso, al mitico gruppo “Kraken”: sempre

carico, sempre sorridente, sempre pronto ad aiutare; a “Califfe”, anche loro diventate grandi amiche

per i momenti di forza fatti a vicenda nel momento di mettersi sui libri e non solo.

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Grazie inoltre alle amiche di sempre: quelle con cui condividi tutte le prime esperienze che

nonostante percorsi di vita diversi si riesce a non perdersi, comprendersi e supportarsi sempre. A

“Macarenaontour”, le migliori discotecare della riviera, quelle che non mollano mai perché “a casa

non ci torno se fuori non è giorno”, ma dove la serietà di ognuna di queste persone ti porta negli

abissi più profondi.

Un ringraziamento speciale va a lei, l’Amica №1 Anna che in tutti questi anni e sono parecchi, mi è

sempre stata accanto nei momenti belli e brutti della vita, grazie perché hai saputo accompagnarmi

in questo percorso e mi hai saputo sorreggere di fronte agli ostacoli. Grazie perché hai sempre

saputo dirmi parole di conforto e perché hai creduto in me.

Grazie inoltre a tutte quelle persone che ho incontrato in questo percorso, ognuna a suo modo mi ha

fatto crescere e apprezzare ogni singolo attimo perché la vita è un dono prezioso.