STUDIO DEL COMPORTAMENTO ALIMENTARE DEGLI IBRIDI … · Dal momento che tutte le specie del genere...
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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PISA
FACOLTA’ DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI
CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN CONSERVAZIONE ED
EVOLUZIONE
STUDIO DEL COMPORTAMENTO ALIMENTARE
DEGLI IBRIDI LUPO-CANE IN AMBIENTE
APPENNINICO
Laureanda:
Ilaria Firmo
Relatore interno:
Prof. Baldaccini
Relatore esterno:
Prof. Apollonio
Anno Accademico 2014-2015
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INDICE
Riassunto …………………………………………………………………...4
Introduzione ……………………………………………………………......6
1. Biologia della specie: ………………………………………………….........9
1.1) Origini e sistematica ……………………………………………......10
1.2) Stato di conservazione ……………………………………………..12
1.3) Morfologia: ………………………………………………………...16
Nel mondo
In Italia
1.4) Habitat ……………………………………………………………...18
1.5) Socialità ……………………………………………………….........19
1.6) Territorialità ………………………………………………………..22
1.7) Dispersione ………………………………………………………....24
1.8) Comportamento riproduttivo ……………………………………….26
1.9) Comunicazione …………………………………………………......28
Marcatura odorosa
Marcatura uditiva
1.10) Ecologia trofica …………………………………………………….32
2. L’ibridazione: …………………………………………………………......36
2.1) Cos’è l’ibridazione …………………………………………………37
2.2) Cause principali dell’ibridazione ………………………………......39
2.3) Il problema dei cani liberi ……………………………………….....40
2.4) Come identificare un ibrido…………………………………………41
2.5) Il problema dell’ibridazione ………………………………………..43
3. Aree di studio: ………………………………………………………….....45
3.1) Alpe di Catenaia …………………………………………………...46
3.2) Alpe di Poti ………………………………………………………...49
4. Materiali e Metodi: …………………………………………………….....51
4.1) Campionamento: …………………………………………………...52
Line-transect
3
Snow-tracking
Wolf-howling
4.2) Analisi dell’ecologia alimentare: …………………………………..57
Raccolta escrementi
Lavaggio ed essicamento
Riconoscimento delle componenti
Metodi di analisi
4.3) Analisi statistica: …………………………………………………...63
Indice di Kendal
Indice di Levin
Indice di Pianka
Test del Chi quadro
5. Risultati ……………………………………………………………………66
6. Discussione ………………………………………………………………...71
Bibliografia ………………………………………………………………..77
Ringraziamenti ……………………………………………………………89
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RIASSUNTO
L’obiettivo della presente tesi consiste nello stabilire se tra i lupi (Canis lupus italicus)
con diversa introgressione di geni canini, esista sovrapposizione di nicchia trofica e,
quindi, competizione alimentare.
Questo studio di confronto di dieta è stato effettuato all’interno della provincia di
Arezzo, in due distinte aree di studio: Alpe di Poti, ospitante il branco ad elevato tasso
di introgressione, ed Alpe di Catenaia, dov’è presente il branco con un minore livello di
introgressione.
A partire dall’inverno 2004/2005 fino all’inverno 20012/2013, lungo i 7 transetti
presenti in ciascuna area e lungo le piste di impronte su neve (snow tracking), sono stati
raccolti 799 campioni di escrementi, di cui 400 in Alpe di Poti e 399 in Alpe di
Catenaia.
Per stabilire la composizione della dieta dei lupi è stata effettuata un’ analisi visiva
delle feci, attraverso l’analisi macroscopica dei resti organici trovati all’interno dei
campioni.
I dati così ottenuti sono stati riportati in un database Excel, mostrando le percentuali di
resti organici appartenenti alle diverse specie-preda, suddivise a loro volta in classi di
peso o di età.
Essendo il campione dell’Alpe di Catenaia di dimensioni maggiori, si è proceduto ad
estrarre casualmente un sotto-campione delle dimensioni uguali a quello di Alpe di
Poti, in modo da avere dati confrontabili tra loro.
L’ecologia trofica è stata descritta in termini di frequenza di occorrenza, volume medio
percentuale e due modelli di biomassa (Weaver e Ciucci).
Inoltre sono stati calcolati i seguenti indici: l’Indice di Kendall, per stabilire se i metodi
di analisi utilizzati danno risultati concordanti tra di loro, l’Indice di Levin, per valutare
le dimensioni della nicchia trofica e l’Indice di Pianka, per verificare se vi sia
sovrapposizione di nicchia trofica tra le due popolazioni. Infine è stato effettuato il test
del Chi-quadro per verificare se la composizione della dieta sia significativamente
diversa tra i due branchi.
In entrambe le aree le specie-preda cacciate dai lupi sono risultate essere gli ungulati
selvatici, in particolar modo cinghiale (Sus scrofa) e capriolo (Capreolus capreolus), ed
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inoltre non sono state osservate differenze nelle composizioni delle diete dei due diversi
branchi.
I risultati del presente studio hanno mostrato che, indipendentemente dal grado di
introgressione, gli ibridi lupo-cane mantengono le stesse abitudini alimentari del
predatore selvatico, evidenziando quindi un’effettiva sovrapposizione di nicchia trofica
ed una preoccupante competizione alimentare.
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INTRODUZIONE
Il lupo italiano, Canis lupus italicus, originariamente presente in tutto il nostro
territorio, a partire dalla seconda metà del ‘700 ha subito una forte persecuzione da parte
dell’uomo che lo portò, nei primi decenni del XX secolo, a scomparire dall’arco alpino
[Cagnolaro et al., 1974].
Durante gli anni ’70 del secolo scorso, venne raggiunto il minimo storico di presenze,
con il lupo ormai confinato in poche zone degli Appennini a causa, da un lato dell’astio
e della paura nei suoi confronti da parte della gente e dall’altro, a causa delle modifiche
al territorio in seguito all’intensa attività antropica nelle aree montane.
In questo scenario, il lupo iniziò a modificare le proprie abitudini alimentari,
cominciando a nutrirsi di risorse di origine antropica, quali spazzatura e bestiame,
avvicinandosi sempre di più ai centri abitati e non facendo che aumentare l'odio nei suoi
confronti [Ragni et al., 1985].
Alla fine degli anni ’70, grazie all’introduzione di numerose “leggi di protezione”, come
la Legge 968 del 1977 e la Convenzione di Berna sottoscritta dall’Italia nel 1981, si è
potuto assistere ad una inversione di tendenza.
Infine, nel 1992 con la Legge 157, il lupo divenne specie a protezione speciale e venne
posto sotto tutela. Nello stesso tempo iniziarono efficaci azioni di ripopolamento degli
ungulati, naturale preda del lupo, che, oltre a portare ad un progressivo abbandono da
parte del predatore dell’utilizzo di risorse antropiche come fonte di cibo, ne favorì la
crescita demografica. Infatti, nel 2000 la popolazione italiana di lupo fu stimata essere
tra i 400-500 individui, con una tendenza di crescita [Boitani 2003].
La riconquista dei territori abbandonati è stato un processo lungo e difficoltoso,
continuamente ostacolato da azioni antropiche, volontarie ed involontarie, e dalle ormai
irreversibili modifiche che hanno subito l'ambiente ed il territorio. Tale azione negli
ultimi decenni è stata ulteriormente complicata dal fenomeno, sempre più crescente, dei
cani inselvatichiti, sia padronali che randagi, i quali abitano gli stessi spazi occupati dai
lupi ed adottano strategie comportamentali, quali lo spostamento e la caccia in branco,
proprio come i lupi [Boitani et Ciucci, 1995]. Questi animali, spesso aggressivi, sono di
difficile gestione e possono provocare danni alla zootecnia, facendo poi ricadere la
responsabilità sui lupi.
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Dal momento che tutte le specie del genere Canis sono geneticamente vicine [Wayne et
al., 1997], e poiché la discendenza dei cani dai lupi è avvenuta in tempi evolutivamente
recenti, un ulteriore problema è dato dal possibile incrocio tra questi ultimi ed i cani
inselvatichiti, che porta alla produzione di ibridi fertili [Gray, 1954], spesso di difficile
identificazione.
Infatti, avendo una storia comune, l’ibridazione tra lupi e cani non viene ostacolata da
incompatibilità fisiologica, ma può essere impedita solo grazie alla presenza di barriere
geografico-ambientali, che nei casi di coesistenza di cani inselvatichiti e lupi nei
territori montani, diventano quasi inesistenti.
L’ibridazione è un fenomeno naturale, che prevede l’incrocio tra individui appartenenti
a popolazioni distinte, con la formazione di prole avente caratteristiche intermedie
rispetto alle specie parentali. Tali ibridi, se fertili, possono poi andare a re-incrociarsi tra
di loro, creando popolazioni di ibridi, oppure re-incrociarsi con le popolazioni parentali,
fenomeno che prende il nome di introgressione. In quest’ultimo caso si può osservare la
formazione degli “sciami ibridi”, causata dall’elevata e continua introgressione, che
porta alla diffusione dei geni ibridi nell’intera popolazione parentale [Anderson, 1949;
Rhymer et Simberloff, 1996].
Diversi fattori sono causa dell’ibridazione tra animali selvatici e domestici, tra cui la
tendenza delle due forme a condividere parzialmente o totalmente gli habitat, il ritorno
alle zone montuose da parte della popolazione umana e la sempre maggiore tendenza
delle specie selvatiche ad avvicinarsi ai centri abitati. Attualmente è possibile osservare
questo fenomeno di ibridazione tra lupo e cane in diverse aree del mondo [Godinho et
al., 2011; Godinho et al., 2014].
L’ibridazione introgressa sta causando inquinamento genico nelle popolazioni di lupi di
quasi tutto il mondo ed in Italia è un problema che, nel lungo termine, porterebbe alla
scomparsa di una sottospecie endemica. Pur essendo di per sé un fenomeno naturale,
l’ibridazione tra lupi e cani può essere considerata un fenomeno con forti basi
antropiche ed essendo, se non in rari casi, un fenomeno involontario, deve essere
monitorato e studiato in modo da poter prendere delle misure di conservazione idonee a
salvaguardare il patrimonio genetico della forma selvatica lupo.
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I branchi di cani inselvatichiti hanno le stesse dinamiche socio-comportamentali dei
branchi di lupi [Boitani et Ciucci, 1995] ed è quindi ragionevole pensare che gli ibridi
lupo-cane mantengano tali caratteristiche. Si viene quindi a creare un ulteriore possibile
problema all’inquinamento genetico, ovvero la competizione tra i branchi di lupi ed i
branchi di ibridi per le medesime risorse trofiche.
Non essendoci molti studi etologici relativi alle popolazioni di ibridi lupo-cane, tutte
queste considerazioni restano quindi semplici ipotesi.
Il presente studio è stato condotto attraverso l’analisi degli escrementi invernali di due
branchi presenti in regioni distinte, ma contigue, della provincia di Arezzo. Tali branchi
si differenziano per il diverso livello di introgressione di geni canini, come dimostrato
dalle analisi genetiche.
Dagli studi genetici è, infatti, stato possibile verificare l’elevato tasso di introgressione
presente nei lupi di Alpe di Poti, ed il basso e più recente livello di introgressione del
branco di Alpe di Catenaia.
L’obiettivo di questo studio è stato quello di descrivere l’ecologia trofica dei suddetti
branchi e stabilire se vi sia tra essi sovrapposizione di nicchia trofica.
Questa tesi risulta essere di grande importanza in quanto ci permette di capire, da un
punto di vista conservazionistico, se i branchi di ibridi lupo-cane possano competere
con quelli dei lupi per le risorse trofiche e, di conseguenza, creare problemi alla
conservazione di quest'ultimi.
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CAPITOLO 1
BIOLOGIA DELLA SPECIE
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1.1) ORIGINI e SISTEMATICA:
Durante il Cretaceo inferiore (100-120 MA), nell’emisfero settentrionale, era presente il
gruppo animale dal quale si sono evolute le due grandi linee di mammiferi: carnivori ed
erbivori.
Circa 60 milioni di anni fa si originarono poi i carnivori primitivi, i Creodonti, animali
di grossa taglia, plantigradi, pentadattili, provvisti di una lunga coda ed encefalo ben
sviluppato. Questi animali erano in grado di percorrere lunghe distanze ed erano
provvisti di denti ferini grandi e taglienti.
Dai Creodonti, circa 55 milioni di anni fa, si differenziò il genere Miacis, da cui 30-40
milioni di anni fa si separarono le linee evolutive di Ursidi e Canidi. All’interno di
quest’ultimo gruppo comparve il genere Cynodictis, che possedeva formula dentaria
simile a quella dell’attuale lupo, ma era di piccola taglia e con corpo allungato.
Fig. 1.1 Albero evolutivo del Lupo (Canis lupus)
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Circa 15-30 milioni di anni fa, nel Miocene inferiore, comparvero infine i primi
carnivori con caratteristiche simili agli attuali Canidi, come Cynodesmus e Tomarctus:
coda corta, arti sviluppati, zampe allungate e compatte, dito interno vestigiale nell’arto
posteriore e molto ridotto in quello anteriore.
La prima specie appartenente al genere Canis, si pensa abbia fatto la sua comparsa nel
Pleistocene (5-9 milioni di anni fa), a cui seguì la progressiva speciazione, che portò alla
comparsa di tutte le forme di Canidi oggi presenti (lupo, coyote e sciacallo).
Circa un milione di anni fa comparve infine l’attuale specie Canis lupus (Linnaeus
1758), mammifero placentato appartenente all’ordine Carnivora, famiglia Canidae.
Questo animale presenta caratteristiche tipiche di una dieta ricca di proteine animali,
quali dentatura specializzata, con canini appuntiti e denti ferini sviluppati, apparato
digerente semplice, unghie taglienti e arti possenti e slanciati adatti alla corsa.
Il lupo possiede inoltre un encefalo sviluppato ed elevate capacità associative, tipiche
dei predatori.
Dall’addomesticazione di questo predatore, iniziata dall’uomo ancora 20 mila anni fa, si
evolse il cane, Canis lupus familiaris, classificato come sottospecie domestica del lupo
[Wilson et Reeder, 1993]. Tale vicinanza evolutiva favorisce l’insorgere di fenomeni di
ibridazione tra questi due Canidi.
Grazie all’ampio e variegato areale di distribuzione e all’elevata adattabilità che
possiede, il lupo mostra una forte variabilità fenotipica e genetica, che lo ha portato alla
suddivisione in numerose sottospecie [Mech, 1970; Novark, 1995].
Il lupo italiano, a causa della grande differenza con le altre sottospecie europee e
dell’isolamento geografico favorito dall’arco Alpino, rappresenta una sottospecie
endemica, Canis lupus italicus. I dati provenienti dall’analisi genetica del
DNAmitocondriale, ne hanno confermato lo status [Boitani, 1981; Boitani et Fabbri,
1983; Ciucci et Boitani, 1998; Nowak et Federoff, 2002; Randi et al., 2000].
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1.2) STATUS DI CONSERVAZIONE DELLA SPECIE:
- Nel mondo: un tempo il lupo aveva un distribuzione “oloartica circumpolare”,
estendendo il proprio areale in tutto il nord America, in Europa e in Asia,
Giappone incluso.
Le continue persecuzioni da parte dell’uomo, hanno però portato ad una drastica
riduzione e frammentazione dell’areale di distribuzione del predatore, che ha
mantenuto una certa continuità e numerosità sole nelle aree più settentrionali.
Grazie ai provvedimenti legislativi apportati dalla seconda metà degli anni ’70,
le popolazioni di lupo hanno avuto negli ultimi vent’anni un generale
incremento, con la riconquista di parte dell’areale perso.
In Nord America, oggi giorno il lupo mostra una distribuzione continua nella
parte settentrionale, con popolazioni stabili in Canada e Alaska.
Fig. 1.2 Distribuzione attuale del lupo in Nord America
In Asia ha invece una distribuzione non omogenea, con Stati che presentano
popolazioni grandi e stabili di Canis lupus, Russia, Mongolia, ex repubbliche
sovietiche, Afghanistan, Pakistan e Turchia, e Stati ospitanti popolazioni ridotte
del predatore, come Sira, Giordania, Libano, Israele, Iraq, Iran e Penisola
Arabica.
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Fig. 1.3 Distribuzione attuale del lupo in Asia
In Europa, fino al XVIII secolo, il lupo era presente in tutto il territorio, fatta
eccezione per la Gran Bretagna, ma a causa delle forti persecuzioni del XIX
secolo, raggiunse l’estinzione in tutti i Paesi dell’Europa Settentrionale e
Centrale. Oggi è presente con popolazioni più o meno abbondanti nelle zone
meridionali (Portogallo, Francia, Italia, Grecia, Paesi dell’ex Jugoslavia e Paesi
Scandinavi), mentre mostra una distribuzione continua negli Stati orientali
(Estonia, Lettonia, Lituania, Polonia; Slovacchia, Ungheria, Romania e
Bulgaria).
Fig. 1.4 Distribuzione attuale del lupo in Europa
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Il lupo è una specie protetta da molte convenzioni internazionali a scopo
conservazionista:
o CITES (Convention on International Trade in Endangered Species of the
Wild Fauna and Flora del 3.3.1973) pone il lupo in Allegato II, ad
eccezione di Bhutan, Pakistan, India e Nepal, dove viene incluso in
Allegato I (specie a rischio d’estinzione);
o Convenzione di Berna (Convenzione del 19/09/1979 sulla conservazione
della flora e fauna selvatica europea e dei suoi habitat naturali) inserisce
la specie in Allegato II;
o Direttiva Habitat dell’UE (92/43 del 21.5.1992) pone il lupo in Allegato
II e in Allegato IV. In alcune zone della Spagna e della Grecia è però
inserito in Allegato V;
o
- In Italia: fino alla prima metà del Settecento il lupo era largamente diffuso nel
territorio italiano, eccezion fatta per la Sardegna dove non risulta essere mai
stato presente [Cagnolaro et al., 1974]. Nei primi decenni del XX secolo
scomparve però dall’arco alpino e dalla Sicilia, mantenendosi solo sugli
Appennini, dall’Emilia Romagna alla Calabria [Cagnolaro et al., 1974].
Il minimo storico venne raggiunto durante gli anni Settanta a causa
dell’incremento dell’attività antropica nelle aree montane, che portò alla
modificazione degli ambienti naturali e alla diminuzione delle sue specie preda,
gli ungulati. Questo modificò le abitudini alimentari del predatore, che si vide
costretto a sfruttare le risorse di origine antropica per sopravvivere, aumentando
conseguentemente l’ostilità nei suoi confronti [Ragni et al., 1985].
Fig. 1.5 Distribuzione storica del lupo in Italia
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Le numerose leggi di protezione, come la Legge 968 (1977) e la Legge 157
(1992), il progressivo abbandono delle montagne da parte dell’uomo ed i
progetti di ripopolamento e di reintroduzione degli ungulati selvatici, permisero
al lupo italiano un aumento demografico ed una progressiva espansione
geografica.
Nei primi anni ’80 la specie era ormai nuovamente presente in gran parte della
penisola, compreso l’arco alpino Occidentale (Alpi Marittime) [Boscagli, 1985].
Fig. 1.6 Distribuzione attuale del lupo in Italia
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1.3) MORFOLOGIA:
La specie Canis lupus ha dimensioni maggiori rispetto agli altri appartenenti alla
famiglia Canidae, con variazioni che seguono la Regola di Bergman.
In Italia, un maschio adulto ha dimensioni molto simili a quelle di un cane di medio-grossa
taglia, con peso variabile tra 25 e 35 Kg, lunghezza di 110-148 cm senza coda ed altezza al
garrese tra i 50 e i 70 cm. Le femmine mostrano misure tendenzialmente del 20% inferiori a
quelle dei maschi [Ciucci et Boitani, 1998] e possiedono 5 paia di mammelle.
La corporatura è robusta e slanciata, con arti lunghi, torace possente, fianchi stretti,
testa ampia, muso appuntito, collo corto e robusto. Gli arti, che appaiono compressi
nel torace, hanno il gomito ruotato verso l’interno e le zampe verso l’esterno,
permettendo così alle zampe anteriori e posteriori dello stesso lato di muoversi
lungo la medesima linea. Questa conformazione garantisce al lupo l’andatura al
trotto e gli consente di effettuare movimenti agili e veloci, con poco dispendio
energetico [Hildebrand, 1952].
La postura è digitigrada, con cinque dita anteriori, di cui uno non tocca terra, e
quattro posteriori. Ciascun dito possiede un polpastrello calloso ed un’unghia
robusta e non retrattile, visibile nelle impronte, che permette di distinguere le tracce
lasciate da lupi e da cani.
Posteriormente è presente un cuscinetto plantare grande e lobato.
La testa appare ampia, con il muso, allungato terminante con un callo nasale nudo, e
collo corto e massiccio.
Sul capo sono presenti i tipici occhi gialli, con pupilla rotonda, posizionati
frontalmente, in modo da avere un ampio angolo visivo (250°) ed un’eccellente
visione notturna [AA.VV., 2005]. Le orecchie hanno forma triangolare, con base
larga, e sono lunghe in media 10-11 cm.
Il cranio del lupo è largo e massiccio, con un rostro lungo (23-28 cm) e scatola
cranica fortemente ossificata: presenta arcate zigomatiche ampie e robuste e cresta
sagitale ben sviluppata, che consentono l’ancoraggio dei potenti muscoli masseteri e
temporali.
Un ulteriore carattere distintivo tra lupi e cani è l’angolo orbitale, che nei primi
misura tra i 40° e i 45°, conferendo al cranio un aspetto schiacciato ed affusolato
[Iljin, 1941], mentre nella maggioranza delle razze di cani ha un’ampiezza compresa
tra i 53° e i 60°.
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Fig 1.7 Distinzione dell’angolo orbitale tra il cranio di lupo e quello di cane
Il lupo possiede infine due formule dentarie distinte, una “da latte” e una
“definitiva”: la prima presenta 28 denti (I 3/3 C 1/1 P 2/2 M 1/1) e viene sostituita
tra la sedicesima e la ventiseiesima settimana da quella definitiva, che comprende
invece 42 denti (I 3/3 C 1/1 P 4/4 M 2/3). I “denti ferini” (P4 e M1), raggiungono i
22-25 cm e consentono una meccanica di masticazione di tipo tagliente, atta a
rompere ossa lunghe, a lacerare tendini e muscoli e ad asportare grossi pezzi di
carne [Toschi, 1965; Boscagli, 1985].
La combinazione di cranio massiccio, muscoli potenti e forte dentizione rendono il
lupo un predatore eccellente, in grado di nutrirsi di prede di grosse dimensioni.
Per quel che riguarda il mantello, esso presenta una colorazione molto variabile, sia
all’interno dell’areale di distribuzione, che nella medesima popolazione.
Canis lupus italicus ha il mantello grigio-fulvo durante l’inverno e con tonalità
marrone-rossicce nel periodo estivo [Apollonio et al., 2004]. Presenta inoltre
evidenti bandeggi scuri e chiari in diverse parti del corpo. I primi, tendenti al nero,
si posizionano lungo gli arti anteriori, sul dorso e sulla punta di orecchie e coda,
mentre le zone ventrali ed addominali e le superfici interne delle zampe risultano
essere più chiare, color crema.
Ai lati del muso è poi presente la caratteristica “mascherina facciale”, di colore
bianco, tipica della specie Canis lupus.
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1.4) HABITAT:
Osservando l’ampiezza dell’areale di distribuzione del lupo, si può facilmente
concludere che esso non sia una specie con esigenze ecologiche ristrette, ma che, anzi,
sia in grado di adattarsi agli habitat più diversificati. Il lupo è infatti presente nella
maggior parte degli ambienti dell’emisfero settentrionale [Carbyn, 1987; Mech, 1970].
I principali fattori che limitano la distribuzione di questa specie sono strettamente
correlati all’azione antropica: persecuzioni dirette ed indirette da parte dell’uomo,
distruzione e frammentazione degli habitat naturali, oltre ovviamente alla disponibilità
di specie preda [Fuller, 1995].
Storicamente, il lupo in Italia era presente in una grande varietà di habitat, dal livello del
mare fino alle catene montuose più alte [Cagnolaro et al., 1974], distribuzione
osservabile ancora oggi, anche se in misura più ristretta [Ciucci et Boitani, 1998].
Attualmente infatti Canis lupus italicus, pur avendo habitat variegati, occupa
prevalentemente aree montane con una buona copertura forestale e una scarsa presenza
antropica [Zimen et Boitani, 1975].
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1.5) SOCIALITA’:
Il lupo è un animale fortemente sociale, la cui struttura è basata sul branco: gruppo di
individui che cacciano, si nutrono, riposano, si spostano, difendono il territorio e
allevano la prole insieme, in libera associazione, ma uniti tra loro da vincoli sociali
[Mech, 1970].
Il branco, anche detto pack, è un’unità famigliare, che si origina quando due individui
adulti di sesso opposto si incontrano in un territorio favorevole e si riproducono [Fritts
et Mech, 1981; Rothman et Mech, 1979]. È costituito dalla coppia parentale e dai
giovani dei 3 anni precedenti, e solo raramente si formano associazioni di più famiglie,
l’incorporazione di un singolo lupo non imparentato o la sostituzione di un genitore con
un individuo estraneo [Fritts et Mech, 1981; Mech, 1970; Mech et al., 1998; Murie,
1944; Rothman et Mech, 1979; Van Ballemberghe, 1993].
L’unità del branco è garantita dai forti legami sociali presenti tra i membri, che vengono
rafforzati durante situazioni particolari: corteggiamento, accoppiamento e allevamento
dei piccoli [Mech, 1970].
La tendenza del lupo all’aggregazione in branchi, è stata osservata anche in altri
carnivori sociali. Tale comportamento viene interpretato come un adattamento
necessario ai predatori per la caccia di animali di grossa taglia [Bekoff et Wells, 1980;
Kleiman, 1966; Zimen, 1976]. Ciò nonostante, sono stati registrati casi di individui
solitari che hanno abbattuto grandi mammiferi.
Le dimensioni del pack, secondo Mech (1970), sono influenzate principalmente da 4
fattori:
- Numero minimo di lupi necessario per individuare ed abbattere la preda;
- Numero massimo di lupi che la preda è in grado di sfamare;
- Numero di individui con cui ciascun membro può stabilire legami sociali;
- Grado di competizione sociale che ciascun individuo è in grado di sopportare.
Successivamente, Schmidt e Mech (1997) hanno proposto l’Ipotesi della “kin
selection”: gli individui adulti investono sulla progenie attraverso la condivisione del
cibo in esubero ed attraverso l’insegnamento. In questo modo si ha la massimizzazione
dell’efficienza energetica nell’eredità genetica.
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Un altro fattore di regolazione della dimensione del branco è la disponibilità di prede, in
quanto influenza direttamente il tasso di sopravvivenza e la produttività del pack, ed
indirettamente il grado di competizione tra i membri [Zimen, 1976].
La dimensione del branco è inoltre in funzione del tasso di mortalità, del tasso di
produttività e dell’età media in cui gli individui vanno in dispersione.
Alla luce di tutte queste osservazioni, le dimensioni di un branco di lupi sono altamente
variabili, con oscillazioni dai 2 ai 21 esemplari ed una media di 7 individui [Mech,
1970]. Esistono poi rari casi di branchi molto numerosi, osservati in Alaska e in Isle
Royale [Jordan et al., 1967; Rausch, 1967].
In Italia, secondo le stime disponibili, i branchi sono composti da un numero variabile
tra i 2 e i 10 individui [Apollonio et al., 2004; Capitani et al., 2004; Ciucci et al., 2003;
Gazzola et al., 2005; Schenone et al., 2004].
Grazie a numerosi studi condotti in cattività, si è potuta descrivere la struttura sociale
del branco, che è stata definita come “una gerarchia lineare di dominanza che interessa i
componenti di entrambi i sessi” [Rabb et al., 1967; Van Hoff et al., 1987; Zimen, 1976],
le cui relazioni individuali vengono regolate da comportamenti ritualizzati [Mech, 1970;
Zimen, 1976]. In questo modo si ha una riduzione dell’aggressività ed un incremento
dell’intesa e dell’integrazione funzionale tra i membri del branco.
Proprio a causa di questa “gerarchia sociale”, all’interno del pack ciascun membro
presenta ruoli distinti: il rango superiore è detenuto da due individui di sesso opposto
(coppia alfa), che sono gli unici che si riproducono e che dominano gli altri membri,
chiamati beta, gamma, etc.
Vi sono due punti di vista diametralmente opposti per quanto riguarda il ruolo sociale
che i vari individui occupano:
- Fox (1975) ritiene che la posizione sociale sia innata, o comunque determinata
molto precocemente, soprattutto per quanto riguarda il ruolo di alfa;
- Mech (1999) sostiene che il ruolo sociale non sia permanente e che qualunque
membro può elevarsi al rango alfa nel momento in cui si riproduce.
Nonostante i lupi siano animali fortemente sociali, vi sono individui che per periodi più
o meno lunghi vivono come “solitari”. Tale condizione può riguardare individui in età
avanzata che hanno perso il compagno o che sono stati cacciati dal branco, oppure
giovani in dispersione. In quest’ultimo caso si tratta di individui maturi sessualmente
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che si sono distaccati volontariamente dall’unità familiare alla ricerca di un nuovo
territorio e di un compagno per riprodursi [Gese et Mech, 1991; Mech et al., 1998;
Messier, 1985].
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1.6) TERRITORIALITA’:
I lupi sono, inoltre, animali territoriali che si nutrono di specie-preda stanziali ed il cui
territorio comprende: aree di caccia e di rifugio, siti di riproduzione e le zone di
spostamento che le collegano [Mech, 1970].
Ciascun branco difende attivamente il proprio territorio da eventuali incursioni e ne
marca i confini attraverso l’utilizzo di segni di presenza acustici e olfattivi.
I primi permettono una comunicazione immediata anche su lunghe distanze [Harrington
et Mech, 1979-1983], mentre i secondi comprendono escrementi, urine e raspate, che
perdurano nel tempo come segnali chimico-visivi [Peterson et Mech, 1975; Rothman et
Mech, 1979]. Tali marcature vengono ripetute periodicamente dai membri del branco, in
modo da mantenere i confini facilmente individuabili e ridurre il rischio di scontri diretti
e cruenti con altri branchi.
Accade sovente che territori di packs confinanti si sovrappongano parzialmente,
andando a creare le buffer-zones, aree cuscinetto frequentante in momenti diversi da
entrambi i branchi. Proprio a livello di queste zone, le marcature odorose sono molto
frequenti e rappresentano un indice del tempo che è trascorso dall’ultimo passaggio dei
packs [Fritts et Mech, 1981; Mech, 1970; Peters et Mech, 1975;].
Le dimensione del territorio dipendono da fattori differenti, quali la densità e la
distribuzione delle prede, le dimensioni del branco, la densità intraspecifica, la
morfologia dell’area e la presenza antropica. Variazioni nella dimensione del territorio
le si possono avere anche in relazione alla stagione. Durante l’estate, a causa delle cure
parentali, gli spostamenti dell’intero branco sono limitati e le attività concentrate negli
home-sites [Okarma et al., 1998].
Stagionale risulta essere anche l’utilizzo che viene fatto del territorio, che varia in
risposta alla distribuzione delle specie preda, ed alla fase riproduttiva del predatore.
Durante il periodo estivo, come già detto, l’attività del branco è concentrata negli home-
sites e prevede movimenti radiali da parte di individui singoli o in coppia, che fanno
ritorno alle aree di rifugio alla fine della giornata [Okarma et al., 1998]. I movimenti dei
lupi si concentrano prevalentemente nelle ore notturne, probabilmente in relazione
all’attività di foraggiamento delle specie preda e alla minore temperatura [Ciucci et al.,
1997; Mech, 1970].
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Con l’inizio del periodo invernale il branco inizia la fase di coesione, le separazioni
diventano sempre più rare e l’attività diventa erratica, con l’utilizzo casuale del
territorio [Harrington et Mech, 1978b - 1979 - 1982b; Mech, 1970; Murie, 1944;
Okarma et al., 1998].
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1.7) DISPERSIONE:
Con dispersione si intende lo spostamento definitivo di un animale dal luogo di nascita
al sito di riproduzione [Howard, 1960], dove darà origine ad un nuovo branco o si unirà
ad uno già esistente.
Le cause di tale fenomeno sono state individuate da Grese e Mech (1991) in tre fattori
principali:
- Competizione per il partner, che aumenta lo stress sociale;
- Competizione per il cibo, che causa aggressività intraspecifica;
- Fenomeno dell’inbreeding, che deve essere ridotto per favorire la dispersione dei
geni.
La dispersione è un processo dinamico e graduale, caratterizzato da una serie di
spedizioni solitarie extraterritoriali, intervallate dal ricongiungimento con il branco
[Gese et Mech, 1991; Messier, 1985; Van Ballenberghe, 1983]. Tale tendenza indica,
probabilmente, il fallimento nel trovare un compagno e/o un territorio libero [Van
Ballenberghe, 1983] ed è particolarmente diffusa in ambienti con scarsità di prede ed
abbondanza di conspecifici.
Durante l'anno si verificano due picchi di dispersione, uno tra febbraio ed aprile e l'altro
tra ottobre e novembre [Gese et Mech, 1991; Fritts et Mech, 1981], e interessano
tendenzialmente i giovani sessualmente maturi di 2-3 anni e quelli di età compresa tra i
10 e gli 11 mesi. Sembra inoltre che gli individui maschi manifestino la tendenza ad
allontanarsi dal branco familiare prima delle femmine, coprendo distanze maggiori
[Mech et Boitani, 2003b].
Nel corso della fase di dispersione gli individui possono percorrere distanze che variano
dagli 8 ai 354 Km [Gese et Mech, 1991], con punte massime di 670 Km in soli 80
giorni nel Nord America [Van Camp et Glukie, 1978] e 90 km in 7 giorni tra la Maiella
e il Parco dell’Abruzzo [Boitani, 1986].
Si stima che il 7-20% della popolazione di una determinata regione sia costituito da lupi
isolati ed erranti [Fuller, 1989; Fuller et Keith, 1980; Mech, 1977], che si muovono
lungo i confini degli areali occupati da branchi stabili [Peters et Mech, 1975]. Tali
individui solitari, possono stabilirsi in un territorio libero, occuparlo stabilmente e
riprodursi, dando origine ad un nuovo branco.
Secondo Fuller (1989), il successo di tale dispersione può dipendere da diversi fattori
quali:
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- Disponibilità delle prede;
- Disponibilità di aree non ancora occupate da branchi;
- Incontro con un potenziale compagno/compagna;
- Esperienza e maturità sessuale dell’individuo [Gese et Mech, 1991].
È proprio durante la fase di dispersione che i lupi aumentano la probabilità di incorrere
in cani liberi e formare con essi, anziché con propri conspecifici, una coppia.
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1.8) COMPORTAMENTO RIPRODUTTIVO:
In natura, il lupo raggiunge la maturità sessuale intorno al secondo anno d’età e presenta
un'unica fase riproduttiva, a differenza dei cani che ne hanno invece una ogni sei mesi.
L’inizio dell’estro è strettamente legato a fattori climatico-ambientali e latitudinali, che
condizionano il decorso della stagione degli accoppiamenti [Mech, 1970]: in Italia tale
periodo può iniziare da Febbraio fino a Marzo, a seconda della regione.
La gestazione dura circa due mesi, periodo a metà del quale la femmina inizia la ricerca
di un luogo adatto per partorire, dove realizzerà la tana, che spesso viene ricavata da
cavità naturali (tronchi e anfratti rocciosi) o da rifugi abbandonati da altri mammiferi
(istrice, volpe o tasso). Qui la madre attenderà il momento del parto [Fuller, 1989;
Jordan et al., 1967; Young, 1944].
Da uno studio di Ciucci e Mech, condotto nel Minnesota (1992), è stato evidenziato il
forte legame esistente tra la posizione della tana e l’ampiezza del territorio: in territori
estesi la tana è posta centralmente, così da minimizzare le distanze tra i vari punti,
mentre se il territorio è relativamente piccolo la sua disposizione risulta essere casuale.
Al termine dei due mesi di gestazione, la femmina partorisce da uno a undici piccoli,
anche se mediamente le cucciolate sono da sei [Mech, 1974].
Solitamente la riproduzione è prerogativa della coppia alfa, in modo che gli individui
adulti che non si riproducono ed i giovani della stagione riproduttiva precedente,
possano aiutare la coppia dominante nella cura della prole, aumentando la probabilità di
sopravvivenza dei piccoli.
I cuccioli appena nati sono, infatti, totalmente dipendenti dalla madre, nutrendosi per le
prime tre settimane esclusivamente di latte materno. Successivamente iniziano a
mangiare cibo predigerito e rigurgitato dai componenti del branco [Mech et al., 2003] e
solo dopo 40 giorni riescono a nutrirsi in autonomia ed ad uscire dalla tana.
L’allontanamento definitivo dalla tana avviene dopo 7-8 settimane e, da questo
momento in poi, l’intera attività del branco si concentra nelle aree di svezzamento, i
rendez-vous sites, dove viene portata a termine la fase di sviluppo dei piccoli e dove è
possibile trovare molti escrementi, utili per l’analisi della dieta.
I lupi hanno uno sviluppo fisico molto rapido e già tra Settembre ed Ottobre i giovani
avranno raggiunto una maturità fisica tale da permettergli di seguire gli adulti durante
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gli spostamenti. A questo punto si ha l’abbandono dei rendez-vous sites da parte
dell’intero branco.
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1.9) COMUNICAZIONE:
Essendo i lupi animali fortemente sociali, necessitano di forme di comunicazione che
mantengano il branco in contatto. Tale esigenza può essere soddisfatta attraverso
l’utilizzo di due differenti tipologie di segnale: odorose ed uditive.
Marcatura odorosa: forma di comunicazione olfattiva, in cui il lupo lascia
volontariamente il suo odore in una posizione strategica, ben visibile, in modo che altri
conspecifici possano in seguito ispezionarla [Mech, 1970].
Secondo Kleiman (1966), un secreto viene definito “marcatura” quando è orientato
verso particolari oggetti, quando è stimolato da riferimenti del paesaggio noti e quando
è ripetuto periodicamente sullo stesso punto.
Le informazioni olfattive possono essere rilasciate attraverso [Asa et al., 1985a-1985b;
Fox, 1975; Peters et Mech, 1975; Vilà et al., 1993]:
- Orinazione: presenta tre distinte posture stereotipate [Kleiman, 1966] ed è valida
anche come segnale visivo se rilasciato nella neve;
- Defecazione: nelle regioni con copertura scarsa o assente sostituisce la
marcatura con orinazione, che sarebbe meno efficace per la scarsa visibilità
[Vila et al., 1994];
- Raspature: rilascio di secrezioni ghiandolari attraverso il raschiamento del
terreno con le zampe, rappresenta anche una marcatura visiva e viene praticata
solo dalla coppia dominante [Harrington et Asa, 2003; Peters et Mech, 1975];
- Secrezioni della ghiandola anale: rilasciata volontariamente con le feci dal
maschio alfa, conferisce agli escrementi di lupo un inconfondibile odore forte e
pungente [Asa et al., 1985; Peters et Mech, 1975].
Tale ghiandola anale, detta precaudale, si trova alla base della coda, circondata
da un ciuffo di peli rigidi e dalle punte scure, e nei cani è atrofizzata
[Hildebrand, 1952], forse a causa della selezione avvenuta durante
l’addomesticazione [Nowak, 2003], mentre è presente negli ibridi lupo-cane.
Talvolta la secrezione avviene anche singolarmente, senza quindi il rilascio di
feci, ma in quest’ultimo caso viene interpretata come sintomo di stress [Asa et
al., 1985].
29
Le defecazioni non vengono sempre considerate “marcature”, in quanto spesso hanno
un significato puramente fisiologico, come i numerosi escrementi rinvenuti vicino alle
prede o nei pressi dei rendezvous sites [Peters et Mech, 1975].
Il significato della marcatura con le feci è stato tuttavia talvolta messo in discussione,
perché la secrezione della ghiandola anale è presente solo nel 10% degli escrementi
[Asa et al., 1985], ed inoltre, a differenza della minzione, non è caratterizzata da una
postura stereotipata.
Per la minzione, come detto, sono state individuate tre differenti posture [Kleiman,
1966]:
- Tre zampe a terra e una alzata, detta RLU (rised leg urination). Esclusiva degli
individui alfa, fornisce informazioni sul sesso, sullo stato riproduttivo e sulla
dominanza dell’individuo [Peters et Mech, 1975] ed assume un ruolo importante
nel mantenimento del territorio: frequenza maggiore nelle zone di confine tra i
branchi e nelle buffer zones [Lewis et Murray, 1993; Peters et Mech, 1975].
Un altro ruolo importantissimo a carico dalla marcatura RLU risulta essere
inoltre l’aspetto di formazione e mantenimento dei legami di coppia. Nelle
coppie di recente formazione infatti si è osservato un aumento del tasso di
produzione di urina ed un aumento della doppia marcatura (urinazione
sovrapposta dei membri della coppia) durante il corteggiamento e subito dopo la
riproduzione. Tale comportamento sembra rafforzare il legame di coppia e
consentire la sincronizzazione fisiologica e comportamentale, così da migliorare
il successo riproduttivo. Una volta che la coppia è divenuta stabile, il tasso di
marcatura RLU tende a diminuire [Asa et al., 1985; Mech et al., 1987; Ryon et
Brown, 1990].
- Una zampa flessa sotto il corpo, detta FLU (flex leg urination), esclusiva degli
individui alfa.
- Quattro zampe a terra leggermente divaricate, detta SQU (squot urination), ha
funzione quasi esclusivamente escretiva [Peters et Mech, 1975];
Le raspature rappresentano infine una marcatura sia visiva che olfattiva: lo
strofinamento delle zampe sul terreno provoca la formazione di solchi facilmente
individuabili e, nello stesso tempo, le ghiandole del cuscinetto plantare rilasciano secreti
[Harrington et Asa, 2003].
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Da studi in cattività si è visto che tale forma di marcatura viene eseguita solo dalla
coppia dominante, rappresentando in questo modo una forma di comunicazione interna
al branco, atta probabilmente a mantenere lo stato gerarchico [Harrington et Asa, 2003;
Peters et Mech, 1975].
Marcatura uditiva: si tratta di espressioni vocali atte alla comunicazione tra
conspecifici, sia appartenenti al medesimo branco che a branchi diversi. Nel lupo sono
state identificate da Joslin (1967) quattro tipologie principali di vocalizzi: ringhio
(growl), abbaio (bark), uggiolio (whimper) ed ululato (howling). L’uggiolio è stato poi
suddiviso ulteriormente da Theberge e Falls (1967) in guaito (yelp) e piagnucolio
(whining).
- Il ringhio, con frequenza compresa tra 250 e 1500 Hz, è un vocalizzo aspro e
profondo, utilizzato come segnale di minaccia o di allarme [Fox, 1975]. E’ una
forma comunicativa che ristabilisce ed aumenta le distanze fisiche e sociali
all’interno del branco [Harrington et Mech, 1978a] ed è spesso associato a
posture di dominanza [Harrington et Asa, 2003; Harrington et Mech, 1978].
- L’abbaio, con frequenza compresa tra 320 e 904 Hz, risulta essere piuttosto raro.
Solitamente viene emesso al termine di un ululato [Harrington et Mech, 1983;
Joslin, 1967], oppure può essere utilizzato come indice di tensione sociale
[Boscagli, 1985], o ancora, rappresentare un segnale di localizzazione o
sollecitazione [Rutter et Pimlott, 1968]. Tale vocalizzo è utilizzato dai cani e
presenta un elevato tasso di presenza nelle generazioni F1 di ibridi lupo-cane.
- L’uggiolio, con frequenza compresa tra 1300 e 4500 Hz, è solitamente utilizzato
in situazioni non aggressive e sembra avere la funzione di ridurre le distanze
fisiche e sociali all’interno del branco [Harrington et Asa, 2003; Harrington et
Mech, 1978].
- L’ululato, che negli individui adulti ha frequenza compresa tra 150 e 780 Hz e
fino a 12 armoniche superiori, è un suono continuo della durata di alcuni secondi
(0,5-11) [Theberge et Falls, 1967]. A differenza dei vocalizzi precedenti,
l’ululato può coprire grandi distanze [Harrington et Asa, 2003; Harrington et
Mech, 1978; Mech, 1970], rappresentando in questo modo la forma di
comunicazione con il maggior numero di funzioni:
Mantiene in contatto i membri del medesimo branco [Woolpy, 1968],
che riconoscono il vocalizzo di ciascun individuo;
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Coordina le partenze, le riunioni e i movimenti degli individui
all’interno del loro territorio;
Afferma la presenza e il possesso del territorio, evitando gli scontri con
branchi adiacenti [Harrington, 1989; Harrington et Asa, 2003;
Harrington et Mech, 1978; Mech, 1970; Rutter et Pimlott, 1968].
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1.10) ECOLOGIA TROFICA:
Il lupo è un predatore perfetto, dotato di forza muscolare, velocità, abilità e grande
intelligenza. Tutti questi aspetti fanno sì che abbia un elevata capacità adattativa, che gli
ha permesso di adattarsi alle nuove situazioni e di sfruttare le risorse disponibili presenti
nei diversi contesti ambientali, compresi quelli antropizzati.
Nonostante dal punto di vista evolutivo, il lupo possa essere considerato un predatore
specializzato nella caccia di grosse prede [Ballard et al., 1987; Bjarvall et Isakson, 1982;
Fritts et Mech, 1981; Jedrzejewski et al., 1992 - 2000; Mech, 1970; Peterson et al.,
1984; Smietana et Klimek, 1993; Voigt et al., 1976], dal punto di vista ecologico esso è
decisamente opportunista e può ampliare la sua dieta ad altre categorie alimentari, quali
frutta, vegetali e rifiuti [Boitani, 1982; Castroviejo et al., 1981; Meriggi et al., 1991;
Patalano et Lovari, 1993; Peterson et Ciucci 2003; Salvador et Abad, 1987].
Queste ultime categorie nutritive rappresentano una componente importante solo in
condizioni sfavorevoli, ovvero quando la densità delle specie-preda subisce delle forti
riduzioni.
A causa dell’ampio areale di distribuzione, le popolazioni di lupo che vivono in aree
geografiche diverse utilizzano specie-preda differenti:
- In Alaska la dieta si basa su Alce (Alces alces) e Caribou (Rangifer tarandus
caribou);
- In Canada e negli Stati Uniti viene maggiormente predato Cervo dalla coda
bianca (Odocoileus virginianus);
- In Svezia il lupo basa la sua dieta su Renna (Rangifer tarandus tarandus) e Alce;
- In Europa Orientale si hanno predazioni per lo più su Capriolo (Capreolus
capreolus), Cinghiale (Sus scrofa) e Cervo (Cervus elaphus).
Inoltre, da numerosi studi condotti in diverse aree del mondo, in condizioni naturali
ottimali, con disponibilità di varie specie-preda selvatiche, la dieta del lupo si basa su
una o due specie principali [Ballard et al., 1987; Bjarvall et Isakson, 1982; Fritts et
Mech, 1981; Jedrzejewski, et al., 1992; Mattioli et al., 1995; Mech, 1970; Peterson,
1974; Smietana et Klimek, 1993; Thompson, 1952; Voigt et al., 1976].
È stato inoltre stimato che in natura, un lupo consumi mediamente 3-5 kg di carne al
giorno [Carbyn, 1987; Mech, 1974], alternano i periodi di caccia con lunghi periodi di
digiuno.
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La diversa rappresentatività delle varie specie-preda nella dieta del lupo, dipende
principalmente dall’abbondanza relativa, dall’accessibilità e dalla fruibilità della specie,
intesa come apporto di biomassa in relazione all’energia ed al tempo impiegati per
ottenerlo [Huggard, 1993].
Canis lupus effettua inoltre una selezione dell’individuo da cacciare, sia da un punto di
vista della facilità di cattura e abbattimento, quindi neonati e malati, [Ballard et al.,
1987; Bjarvall et Isakson, 1982; Fritts et Mech, 1981; Jedrzejewski, et al., 1992;
Mattioli et al., 1995; Mech, 1970; Peterson et al., 1984; Poulle et al., 1997; Salvador et
Abad, 1987; Smietana et Klimek, 1993; Thompson, 1952; Voigt et al., 1976], sia in
relazione alla disponibilità stagionale ed annuale delle specie-preda [Bjarvall et Isakson,
1982; Fritts et Mech, 1981; Peterson et al., 1984; Voigt et al., 1976].
Durante l’estate si avrà quindi una dieta basata prevalentemente sui cuccioli, mentre nel
periodo invernale si vedrà un incremento della componente adulta ed anziana [Fritts et
Mech, 1981; Mech, 1970; Peterson et Ciucci, 2003; Poulle et Lonchampt, 1997].
È stato inoltre osservato che i branchi possiedono una specie-preda preferenziale,
strettamente correlata alla tecnica di caccia favorita dalla coppi alfa, anche se
ovviamente si tratta di una propensione variabile, in relazione sia alle dinamiche sociali
del branco, sia agli andamenti delle popolazioni delle specie-preda [Mech et Peterson,
2003].
Nel territorio italiano, il lupo mostra un’alimentazione fortemente diversificata,
riflettendo l’accessibilità e la disponibilità delle risorse presenti nelle varie regioni
[Avanzinelli et al., 2003; Capitani et al., 2004; Ciucci et al., 1997; Ciucci et Boitani,
1998a, 1998b; Gazzola et al. 2005, 2007; Marucco et.al. 2008; Mattioli et al., 1995]:
- In Umbria ed Abruzzo prediligono ungulati domestici;
- In Italia centrale cacciano prevalentemente cinghiali (Sus scrofa);
- Sulle Alpi mostrano preferenze per cervi (Cervus elaphus) e caprioli (Capreolus
capreolus).
Durante gli anni ’70, l’Appennino centrale mostrava una notevole scarsità di prede
selvatiche, fatto che ha portato il lupo ad aumentare l’utilizzo di rifiuti e di altre
categorie di origine antropica nella sua dieta. In Abruzzo il 60-70% della dieta di questo
predatore si basava sull’impiego delle discariche come fonte alternativa di cibo,
trasformandolo in un mangiatore di rifiuti (60-70%) [Boitani, 1982], mentre in Umbria
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le specie domestiche rappresentavano il 90% delle risorse alimentari [Ragni et al.,
1985].
Il successivo incremento durante gli anni ’80 degli ungulati selvatici, grazie ai
ripopolamenti messi in atto dallo Stato italiano ed alla migliore gestione della caccia, ha
portato ad un ripristino delle naturali abitudini alimentari di Canis lupus italicus
[Capitani et al., 2004; Mattioli et al., 2004; Patalano et Lovari, 1993; Ragni et al., 1985 -
1992], riducendo i conflitti con la zootecnia.
In regioni in cui sono presenti contemporaneamente ungulati selvatici e alternative
antropiche (bestiame, rifiuti e frutta), si sono osservate delle situazioni intermedie
[Boitani et Ciucci, 1995; Meriggi et al., 1991, 1996; Patalano et Lovari, 1993,], nelle
quali il lupo preda animali domestici solo in condizioni di carenza di selvatici. Secondo
gli studi del Dottor Meriggi e del Professor Lovari (1996), infatti, in condizioni ottimali
il predatore avrebbe un rischio troppo elevato di incorrere nell’intervento umano.
Le specie domestiche hanno perso la loro capacità di difesa nei confronti dei predatori,
sia da un punto di vista fisico che comportamentale, a causa del processo di
domesticazione. Inoltre la loro tendenza ad un aggregazione agglomerata e prevedibile
garantisce al lupo una caccia semplice, diventando quindi una preda “più vulnerabile
della più malata e debilitata preda selvatica” [Mech, 1970].
Per questi motivi, le predazioni del lupo sono molto differenti se agiscono su animali
selvatici o domestici, ed implicano modelli gestionali del tutto diversi [Ciucci e Boitani,
1998a].
In Italia le specie domestiche predate maggiormente sono pecore e capre, e in misura
minore giovani bovini ed equini [Cozza et al. 1996; Gazzola et al., 2008; Meriggi et al.,
1991; Meriggi et Lovari, 1996].
Il lupo tende in questi casi a mangiare solo parzialmente le prede e ad abbandonare le
carcasse non completamente esaurite, sia per la maggiore accessibilità delle prede, che
per il disturbo antropico (comportamento più raro nel caso di ungulati selvatici) [Mech,
1970].
Si verificano inoltre episodi di surplus killing, con l’uccisione di un numero di individui
maggiore di quello effettivamente utilizzato. Si tratta di un comportamento raro, che
sembra essere scaturito da anomale reazioni da parte delle prede, quali la mancata
dispersione, e da condizioni ambientali sfavorevoli, come scarsa visibilità e neve
profonda [Ciucci et Boitani, 1998a].
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Nonostante tutti queste osservazioni, l’impatto economico causato dai lupi nei confronti
della zootecnica è modesto: tra il 1991 e il 1995, in Toscana solo lo 0,35% degli
attacchi agli ovini è stata attribuibile al lupo [Ciucci et Boitani, 1998a], mentre la
restante parte era a carico dei numerosi cani liberi in territorio montano. È emerso infatti
che, il 64% degli episodi verificatisi in Toscana, erano avvenuti in aree dove le ASL
avevano accertato la presenza di cani vaganti, ed in Abruzzo è stata stimata la presenza
di 3000/15500 cani randagi [Ciucci et Boitani, 1998a].
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CAPITOLO 2:
IBRIDAZIONE LUPO-CANE
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2.1) COS’E’ L’IBRIDAZIONE:
Il termine ibridazione può essere inteso sia come “l’incrocio tra individui appartenenti a
specie differenti, in grado di generare prole fertile”, sia come “l’incrocio tra individui
appartenenti a due popolazioni distinguibili grazie a uno o più caratteri ereditabili”
[Shwartz, 2014].
Si tratta di un fenomeno naturale, che causa miglioramenti nella popolazione grazie alla
ricombinazione genetica, alla riduzione del fenomeno dell’inbreeding, all’aumento
dell’eterozigosi ed a miglioramenti nell’adattamento [Allendorf et Luikart, 2007].
L’ibridazione di specie selvatiche con quelle domestiche porta inoltre ad una maggiore
capacità di sopravvivere nell’ambiente antropizzato [Mallet, 2005; Kyle et al., 2006].
Nello stesso tempo però causa perdita del patrimonio genetico, diminuzione della
fitness per depressione da esoincrocio e, se il fenomeno non è contenuto, può portare
all’estinzione dei taxa parentali.
L’ibridazione interspecifica causa spesso la nascita di ibridi sterili, con la conseguente
presenza sul territorio solo di ibridi di generazione F1 (prima generazione). Nel caso
invece che gli ibridi siano fertili, questi potranno dare origine a generazioni future di
ibridi, accoppiandosi tra loro (F2, F3 etc) o con individui appartenenti alle specie
parentali (B1, B2, etc).
L’ibridazione viene classificata in relazione al grado di intervento antropico ed in
relazione agli eventuali fenomeni di introgressione, ovvero al flusso genico tra le
popolazioni che si ha quando gli ibridi fertili si incrociano con le popolazioni parentali
[Anderson, 1949; Rhymer et Simberloff, 1996].
In quest’ultimo caso si può osservare la formazione dei così detti “sciami ibridi”,
causati dall’elevata e continua introgressione, che porta alla diffusione dei geni ibridi
nell’intera popolazione parentale [Rhymer et Simberloff, 1996].
E’ possibile osservare il fenomeno dell’ibridazione tra specie selvatiche e domestiche in
numerosi casi, quali gli incroci tra cinghiale (Sus scrofa) e maiale (Sus scrofa
domesticus), coyote (Canis latrans) e cane (Canis lupus familiaris), gatto selvatico
(Felis silvestris) e gatto domestico (Felis catus). Tutti questi incroci portano ad una
perdita di purità genetica per le specie selvatiche, causando alterazioni anche a livello
comportamentale.
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Si tratta di un problema diffuso in tutto il mondo in quanto è sempre più frequente la
condivisione parziale o totale degli habitat a causa, sia del ritorno nelle zone montuose
della popolazione umana, sia della tendenza delle specie selvatiche ad avvicinarsi ai
centri abitati.
Tutte le razze Canine esistenti, derivano dal processo di domesticazione dei lupi, che ha
condotto alla formazione di una sotto-specie differente, Canis lupus familiaris.
Nonostante siano sottospecie distinte, tra lupi e cani permangono ancora molte affinità,
che gli permettono l’ibridazione, dando origine ad individui con caratteristiche
intermedie ed ereditabili.
Dagli studi condotti su questo tema, è stata osservata una tendenza all’asimmetria tra i
sessi negli accoppiamenti tra lupi e cani, coinvolgendo preferenzialmente la femmina di
lupo e il maschio di cane [Ciucci et al., 2003; Iacolina et al., 2010; Randi et al., 2000;
Randi et Lucchini, 2002; Verardi et al., 2006].
In realtà tali risultati potrebbero essere dettati da vari fattori:
- Minore probabilità di un accoppiamento inverso a causa della stagione
riproduttiva più breve per i lupi, rispetto ai cani;
- Minore tasso di sopravvivenza dei cuccioli ibridi allevati da femmine di cane, in
quanto queste non vengono aiutate dal maschio;
- Motivi sociali, che porterebbero ibridi inversi a difficoltà d’inserimento in una
popolazione di lupi;
- La recettività sessuale degli ibridi inversi si presenta una sola volta all’anno,
come nei lupi, ma anticipata di circa 2-3 mesi, cosa che diminuisce il rischio di
introgressione con la popolazione di lupi.
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2.2) CAUSE PRINCIPALI DELL’IBRIDAZIONE:
Il fenomeno dell’ibridazione risulta essere in forte aumento negli ultimi decenni,
rappresentando uno dei principali problemi nella conservazione delle specie protette.
Per quel che riguarda l’ibridazione lupo-cane, i fattori maggiormente responsabili di tale
incremento sono tre, di cui solo il primo di origine non antropica:
1) Forte tendenza del lupo all’espansione e alla ricolonizzazione degli antichi areali
di distribuzione [Boitani, 2003], fatto che aumenta il numero di branchi di lupi a
contatto con ambienti antropizzati e quindi con cani domestici;
2) Elevato numero di cani randagi nei territori montani, soprattutto nei paesi
dell’Europa meridionale ed orientale [Andersonet al., 2002; Randi et Lucchini,
2002];
3) Incremento del commercio di ibridi tra lupo e cane [Hope, 1994].
In Italia il fenomeno dell’ibridazione del lupo è causato principalmente dall’elevato
numero di cani randagi, inselvatichiti e vaganti presenti tanto nelle città, quanto nelle
campagne e nelle aree montane [Ciucci, 2012].
Risulta quindi essere di fondamentale importanza saper identificare gli ibridi lupo-cane,
in modo da poter attuare misure conservazionistiche idonee a salvare il patrimonio
genetico dei lupi.
40
2.3) IL PROBLEMA DEI CANI LIBERI
Per quel che riguarda i cani, la loro azione sull’ecosistema risulta essere fortemente
impattante, in quanto disturbano e cacciano le popolazioni di ungulati selvatici [Mustoni
et al., 2000].
I Canis lupus familiaris presenti sul territorio possono essere categorizzati in vaganti,
randagi o inselvatichiti.
Nei primi due casi si tratta di cani ancora parzialmente subordinati all’uomo per
l’alimentazione e che, quindi, attaccano gli ungulati saltuariamente e solo spinti
dall’istinto. In questi casi i danni maggiori li subiscono i caprioli, animali molto
sensibili allo stress, che spesso sono portati alla morte accidentalmente, e non dà vere e
proprie azioni di caccia [Tosi et Toso, 1992]. Gli attacchi nei confronti degli ungulati
selvatici, risultano in questi casi privi di motivazioni trofiche e rivolti principalmente al
bestiame [Mustoni et al., 2000; Natoli, 2005; Tosi et Toso, 1992].
I cani inselvatichiti invece, sono totalmente indipendenti dall’uomo e cacciano in
branco, con strategie simili a quelle del lupo [Natoli, 2005]. Nonostante ciò
rappresentano un grosso problema per la fauna selvatica e per la zootecnia perché,
contrariamente ai lupi, sono privi dei meccanismi di auto-regolazione della popolazione
in reazione alle risorse disponibili [Tosi et Toso, 1992], rendendosi complici di una
caccia e di una crescita demografica incontrollate [Amici et al., 2011; Tosi et Toso,
1992].
Da uno studio condotto da Genovesi e Dupré nel 2000, si è osservato che i cani predano
indistintamente individui sani o malati, creando non pochi problemi alla popolazione di
capriolo.
I cani appartenenti a questa categoria, hanno un’alimentazione simile a quella del lupo,
diventandone dei competitori diretti. Inoltre, con la loro maggiore tolleranza nei
confronti dell’uomo e la minor paura dei cani a guardia alle greggi, spesso si spingono a
razziare il bestiame [Bocedi et Bracchi, 2004].
Avendo lupi e cani inselvatichiti le medesime tecniche di caccia, solo attraverso
l’analisi genetica dei segni di presenza trovati in loco, è possibile discriminare il
responsabile degli attacchi.
Purtroppo, il più delle volte, la colpa ricade erroneamente sul lupo, aumentando così
l'astio nei suoi confronti da parte dell'uomo.
41
2.4) COME IDENTIFICARE UN IBRIDO:
Per discriminare i lupi dagli ibridi lupo-cane, si possono usare sia strategie di analisi
genetica, che l’osservazione degli aspetti morfologici, anche se risultano essere i dati
molecolari gli unici realmente discriminanti [Ciucci, 2012].
Esistono quindi due tipologie di caratteri potenzialmente utilizzabili per
l’identificazione degli ibridi: i marcatori morfologici, o più in generale fenotipici, ed
i marcatori genetici.
- Da un punto di vista morfologico vi sono alcuni caratteri facilmente
identificabili in natura, che permettono di riconoscere l’ibridazione.
Esempi di fenotipi propri degli ibridi lupo-cane, comprovati da dati genetici,
sono il manto melanico [Anderson et al. 2009, Greco 2009], la presenza di
speroni sulle zampe posteriori [Ciucci et al. 2003] e le unghie depigmentate
[Greco 2009].
Altre caratteristiche fenotipiche che contribuiscono all’identificazione degli
ibridi sono: la depigmentazione totale o parziale del tartufo, dei cuscinetti
plantari e delle gengiva, la coda arcuata o a bandiera, provvista di pelo
eccessivamente lungo, la mascherina facciale e le macchie oculari assenti o con
bordi cromatici molto marcati, una minor consistenza delle vibrisse nasali e
l’assenza di labiale e sottogola color crema. In questi casi è però necessaria una
conferma genetica, così da aumentare l’affidabilità dei dati (Tabella 1) [Ciucci,
2012].
Tabella 2.1: Marcatori fenotipici in attesa di riscontro genetico
42
- Per quel che riguarda l’identificazione degli ibridi lupo-cane tramite analisi
genetica, inizialmente si utilizzarono come marcatori genetici i mtDNA.
In realtà, però, tali marcatori tengono conto solo dell’apporto materno,
ignorando l’eventuale introgressione per via paterna [Anderson et al., 2002;
Godinho et al., 2011; Lucchini et al., 2004; Randi et Lucchini, 2002].
Per questo motivo, a partire dal 2000 sono stati utilizzati marcatori genetici
nucleari biparentali, anche affiancati all’uso del mtDNA, che hanno permesso di
identificare nuovi casi di introgressione in diverse parti del modo.
I marcatori nucleari biparentali, sono marcatori ereditabili da entrambi i genitori,
che comprendono allozimi, microsatelliti (DNA microsatellite), DNA
polimorfico ad amplificazione casuale (RAPD) e nucleotidi singoli polimorfici
(SNPs) [Allendof et Luikart, 2007; Raymer et Simberloff, 1996].
I più utilizzati sono i microsatelliti, in quanto hanno il maggior tasso di
variabilità: ciascun locus microsatellite è caratterizzato da una breve sequenza di
nucleotidi (da 1 a 6), che viene ripetuta per un numero variabile di volte.
Grazie all’utilizzo di primer specifici, ciascun locus viene individuato,
amplificato tramite PCR ed infine analizzato tramite lettura elettroforetica
[Allendof et Luikart, 2007].
Nonostante l’elevato polimorfismo, anche con l’analisi dei microsatelliti è
possibile identificare con certezza gli ibridi solo fino alla prima generazione
(F1).
Da tutte queste osservazioni, è possibile concludere che per una migliore identificazione
degli individui ibridi risulta necessario combinare gli studi genetici a quelli morfologici;
in questo modo sarebbe anche possibile far corrispondere a ciascun aspetto morfologico
anomalo una caratterizzazione di tipo genetico.
43
2.5) IL PROBLEMA DELL’IBRIDAZIONE:
In cattività sono stati svolti studi su ibridi cane-coyote, che hanno mostrato nella forma
selvatica la tendenza a comportamenti tipici canini, come: l’assenza di cure parentali da
parte del maschio [Mengel, 1971; Silver et Silver, 1969], un maggiore tasso di
aggressività [Fox, 1978; Mahan et al., 1978; Mengele, 1971; Silver et Silver, 1969] e
una maggiore tendenza ad utilizzare il vocalizzo abbaio (bark) [Silver et Silver, 1969].
Tutte queste osservazioni sono state ragionevolmente attribuite anche agli ibridi lupo-
cane, soprattutto alla luce delle prove relative ad una maggiore aggressività di questi
individui, in condizione di sinantropia [Bibikov, 1985].
Il fenomeno dell’ibridazione è in continuo aumento e non rallenterà finché non verrà
risolto il problema dei cani vaganti.
La frammentazione dell’habitat infatti, rende la dispersione complicata e rischiosa,
costringendo i lupi ad oltrepassare zone fortemente antropizzate, in cui l’elevata
presenza di cani randagi gli rende più facile trovare come partner individui appartenenti
alla sotto-specie Canis lupus familiaris, dando origine a nuovi branchi di ibridi lupo-
cane.
Diversi ricercatori hanno dimostrato, attraverso i loro studi, che la presenza di fenomeni
d’ibridazione, siano essi introgressi o meno, è una minaccia per la sopravvivenza della
specie Canis lupus.
Le principali problematiche che si registrano nella popolazione di lupo sono:
- Perdita di frequenze alleliche coadatte ad adattamenti ecologici e
comportamentali;
- Aumento dei rischi di depressione da esoincrocio [Randi 2008];
- Diffusione di varianti genomiche di Canis lupus familiaris [Boitani et Ciucci,
1995];
- Diffusione di malattie tipiche dei cani [Ambrogi et al., 2002].
Il lupo italiano, Canis lupus italicus, è rimasto isolato dalle popolazioni di lupi sloveni,
austriaci e francesi grazie alla presenza dell’arco alpino, che ne ha da sempre ridotto gli
spostamenti, portandolo a diventare una sottospecie a se stante.
Nel caso del lupo italiano, quindi, tutte queste problematiche si tradurrebbero nella
scomparsa di un intera sottospecie.
44
L’inquinamento del patrimonio genetico delle specie selvatiche, causa da un lato la
perdita degli adattamenti all’ambiente naturale, e dall’altro, una maggiore tendenza ad
avvicinarsi alle zone antropiche.
Pertanto, gli ibridi lupo-cane risultano essere avvantaggiati nell’ambiente antropizzato,
facendo aumentare, di conseguenza, gli attacchi nei confronti del bestiame.
Attuando però le medesime tecniche di caccia risulta impossibile distinguere le
predazioni attuate da ibridi, cani inselvatichiti o lupi, causando un aumento dell’astio
nei confronti di quest’ultimo, da parte della popolazione.
Gli ibridi lupo-cane potrebbero inoltre rappresentare dei competitori importanti per il
lupo, se si dovesse dimostrare che vi è anche sovrapposizione di nicchia trofica.
45
CAPITOLO 3:
AREA DI STUDIO
46
Lo studio è stato effettuato in due distinte, ma limitrofe, aree di ricerca, site nella
provincia di Arezzo, aventi caratteristiche morfologiche ed ambientali simili.
Il clima, risulta essere di tipo continentale, con elevati tassi di umidità e piovosità
durante tutto l’anno, e la morfologia è tendenzialmente dolce e regolare, con rari casi di
pendii scoscesi ed incisioni fluviali.
Le due aree contigue sono l’Alpe di Catenaia, ospitante il branco con il minor tasso di
introgressione e l’Alpe di Poti, ospitante il branco a maggiore introgressione.
3.1) ALPE DI CATENAIA:
L’Alpe di Catenaia comprende i comuni di Anghiari, Chiusi della Verna, Caprese
Michelangelo, Chitignano e Subbiano. Si diparte dalla dorsale appenninica principale, a
livello del Monte Penna e prosegue verso sud-ovest, raggiungendo il corso del fiume
Arno.
La catena montuosa separa il versante occidentale del Casentino, in cui scorre il fiume
Arno, dal versante orientale della Val Tiberina, dove scorre il fiume Tevere. Infine, il
torrente Rassina costituisce il confine naturale a nord-ovest, mentre a sud-est i Monti
Rognosi si spingono verso la piana di Arezzo.
Alpe di Catenaia consta di 120 Km2, 27 Km2 dei quali rappresentati dall’Oasi di
Protezione Alpe di Catenaia, mentre nella restante area limitrofa è consentita l’attività
venatoria.
L’altitudine della catena montuosa varia tra i 490 m e i 1.414 m, con la massima
rappresentata dalla vetta di Monte Castello.
Le vegetazione dell’area di Alpe di Catenaia comprende praterie, arbusteti e soprassuoli
forestali.
- Le Praterie sono costituite da “Nardeti”, caratterizzati dalla dominanza di
Nardus striata, presenti soprattutto nella zone meridionale ad altitudini superiori
di 1200 m, e dai più numerosi “Brometi”, con dominanza di Bromus erectus.
Queste praterie sono definite “magre” e si accrescono su substrati calcarei in
quota, spesso in associazione con specie di grande valore ecologico, come le
“Orchideaceae”.
- Gli Arbusteti comprendono “Pteridio-ginestreti”, avente come specie dominanti
la ginestra comune (Spartium junceum) e la ginestra dei carbonai (Cytisus
47
scoparius), e come specie a media diffusione la felce aquilina (Pteridium
aquilinum) ed il rovo (Rubus spp.).
Le prime specie di ricolonizzazione forestale sono invece il ciliegio (Prunus
avium) e il cerro (Quercus cerris).
- I soprassuoli forestali vengono ulteriormente suddivisi in faggeti, castagneti e
cerro-ostrieti,
La copertura boscosa comprende circa 70% di tutta l’area, mentre il restante 30% è da
ridistribuirsi tra le precedenti tipologie e tra campi coltivati, frutteti, oliveti, vigneti e
aree antropizzate.
La composizione forestale è costituita per lo più da “bosco ceduo di latifoglie”, con
prevalenza di specie quali cerro (Quercus cerris), castagno (Castanea sativa), faggio
(Fagus sylvatica), carpino (Ostrya carpinifolia) e roverella (Quercus pubescens).
Tra i 500 e 900 m di altezza sono invece presenti formazioni di conifere impiantate
dall’uomo, costituire da pino nero (Pinus nigra) ed abete bianco (Abies alba), e
dall’esotica douglasia (Pseudotsuga menziesii) proveniente dal Nord America.
Il sottobosco è formato prevalentemente da ginestre (Spartium junceum e Cytisus
scoparius), erica (Erica spp.), rovo (Rubus spp.), felce aquilina (Pteridium aquilinum),
ginepro (Juniperus spp.), rosa selvatica (Rosa spp.), biancospino (Crataegus spp.) e
prugnolo (Prunus spinosa).
Per quel che riguarda la fauna, è presente una grande varietà di specie, appartenenti sia a
carnivori, che ad erbivori ed insettivori.
Gli ungulati maggiormente presenti sono cinghiale (Sus scrofa) e capriolo (Capreolus
capreolus), che ha subito immissioni dopo la guerra, con capi provenienti dalle Foreste
Casentinesi, mentre cervi (Cervus elaphus) e daini (Dama dama) hanno iniziato ad
essere avvistati solo dal 2007.
All’interno dell’Oasi sono presenti inoltre ungulati domestici, come cavalli (Equs
caballus), pecore (Ovis aries) e bovini (Bos tauros). Questi animali pascolano allo stato
brado durante il periodo estivo, mentre durante l’inverno vengono, per la maggior parte
del tempo, ricoverati nelle stalle.
Il Lagomorfo più rappresentativo è la lepre comune (Lepus europaeus), presente su tutta
l’area e spesso soggetta ad immissioni per scopi venatori, mentre tra gli Insettivori le
specie più comuni sono il riccio europeo (Erinaceus europaeus), la talpa cieca (Talpa
caeca), la talpa europea (Talpa europaea), il toporagno comune (Sorex araneus), il
48
toporagno appenninico (Sorex samniticus), il toporagno nano (Sorex minutus), il
toporagno d’acqua (Neomys fodiens), la crocidura dal ventre bianco (Crocidura
leucodon), la crocidura minore (Crocidura suaveolens) ed il mustiolo (Suncus etruscus).
Tra i Roditori più comuni troviamo l’istrice (Histrix cristata), ritenuto in fase di
espansione, lo scoiattolo rosso (Sciurus vulgaris), il ghiro (Myoxus glis), il quercino
(Eliomys quercinus), il moscardino (Muscardinus avellanarius), larvicola rossastra
(Clethrionomys glareolus), il topo selvatico (Apodemus sylvaticus), il topo selvatico dal
collo giallo (Apodemus flavicollis) e il ratto nero (Rattus rattus).
Infine tra i Carnivori ritroviamo diversi mustelidi, quali il tasso (Meles meles), la
donnola (Mustela nivalis), la faina (Martes foina), la puzzola (Mustela putorius), e
canidi selvatici, quali la volpe (Vulpes vulpes) e il lupo (Canis lupus italicus).
49
3.2) ALPE DI POTI:
L’Alpe di Poti si trova quasi completamente nel comune di Arezzo, nei pressi della città
stessa, e confina a Nord-Est con il comune di Anghiari ed a Nord-Ovest con il comune
di Subbiano.
Si tratta di un complesso montuoso comprendente anche Monte Castellaccio, Monte
Favalto e Monte Dogana, e la cui altitudine maggiore la si trova su Monte Poti, 974m.
Quest’area di studio presenta un estensione di 283 Km2, il 76.4% del quale è
rappresentato da superficie boscosa.
Pur essendo interamente antropizzata e sfruttata per il pascolo e la coltivazione, l’Alpe
di Poti presenta alcune zone protette, come la ZPS (Zona a Protezione Speciale)
“Brughiere Alpe di Poti” e la ZRV (Zona di Rispetto Venatorio) Riserva di Sassino.
Fig. 3.1 Aree protette in Alpe di Poti
50
Il territorio dell’Alpe di Poti è costituita da latifoglie, conifere, boschi misti e zone
antropizzate.
- Le latifoglie rappresentano il 70,2% della vegetazione totale, con una prevalenza
di boschi di quercia (Quercus sp.) e castagno (Castanea sativa);
- Le conifere costituiscono solo il 4.1% della flora e la specie più rappresentativa
risulta essere l’Abete (Abies alba) e le specie utilizzate per il rimboschimento,
come il Pino nero (Pinus nigra);
- Le zone antropizzate comprendono sia aree urbane (5.4%), sia appezzamenti
adibiti al pascolo ed alla coltivazione.
Come per l’area di studio di Alpe di Catenaia, anche Alpe di Poti mostra una grande
varietà di specie faunistiche, pur rimanendo molto simili a quelle dell’area di studio
precedente.
Gli Ungulati rappresentano le specie di mammiferi maggiormente presenti, con una
predominanza di capriolo (Capreolus capreolus) e cinghiale (Sus scrofa), per quel che
riguarda le specie selvatiche, e di pecore (Ovis aries), per quanto concerne invece le
specie domestiche.
Tra gli Insettivori si ha una prevalenza di riccio europeo (Erinaceus europaeus), talpa
europea (Talpa europaea) e toporagni appartenenti a specie differenti, quali Sorex
araneus, Sorex samniticus e Sorex minutus.
Per quanto riguarda i Roditori le specie più comuni sono l’istrice (Histrix cristata), lo
scoiattolo rosso (Sciurus vulgaris), il ghiro (Myoxus glis) e larvicola rossastra
(Clethrionomys glareolus).
Infine, tra le specie di Carnivori, si possono osservare Mustelidi di specie differenti,
come tasso (Meles meles) e faina (Martes foina), e Canidi selvatici, come volpi (Vulpes
vulpes) e lupi (Canis lupus italicus).
51
CAPITOLO 4:
MATERIALI E METODI
52
4.1) CAMPIONAMENTO:
Lo studio ha compreso una consistente parte di lavoro su campo, che è stato condotto a
partire da Novembre 2004 fino ad Aprile 2013, nelle due aree di studio di Alpe di Poti e
Alpe di Catenaia.
Durante questo periodo sono state utilizzate tecniche di monitoraggio “non invasive”,
quali il line-transect e lo snow-tracking, e tecniche di monitoraggio diretto, quali il
wolf-howling.
Line-transect e snow-tracking sono state effettuate duranti i mesi invernali (da
novembre a aprile) e hanno permesso l’individuazione ed il prelievo dei segni di
presenza dei due branchi di lupi a diverso livello di introgressione di geni canini.
La tecnica del wolf-howling è invece stata attuata durante la stagione estiva (da luglio a
settembre) ed ha consentito la stima del numero minimo dei componenti dei branchi,
l’accertamento del successo riproduttivo degli stessi e l’individuazione delle zone
occupate dai branchi.
LINE TRANSECT
Consiste nel monitoraggio delle aree di studio, attraverso la percorrenza a piedi di
transetti-campione, durante i quali vengono marcati e, se possibile, prelevati i segni di
presenza del lupo (escrementi, urine, raspate, peli, piste di impronte, carcasse ed
osservazioni dirette).
I transetti vengono distribuiti uniformemente nelle due aree di studio, in modo da
monitorare in egual misura tutti gli ambienti e i tipi di vegetazione presenti.
In Alpe di Poti e in Alpe di Catenaia sono stati tracciati 7 transetti-campione, della
lunghezza media di 6 Km. La percorrenza di tali percorsi deve avere cadenza mensile,
in modo da individuare facilmente le aree maggiormente utilizzate dai lupi, e così da
datare con maggiore precisione gli escrementi, che, se raccolti freschi, possono essere
utilizzati nelle analisi genetiche.
Una volta individuati i segni di presenza, si deve procedere alla compilazione della
Scheda di Campo (Fig. 4.1), nella quale vengono riportati i dati relativi al luogo del
ritrovamento e alle caratteristiche del segno di presenza.
A ciascun segno di presenza viene attribuito un codice (numero progressivo e iniziali di
nome e cognome dell’operatore), che deve essere annotato insieme a data di
53
ritrovamento, data di deposizione (fresca o non fresca), area e località, tipologia di suolo
(strada asfaltata, strada sterrata, sentiero, fuori sentiero), posizione lungo la strada
(centrale o laterale) e nome dell’operatore.
Fig. 4.1 Scheda di Campo il monitoraggio del lupo
Qualora ci sia la possibilità di raccogliere i segni di presenza, come nel caso di
escrementi e peli, questi vengono posti in un sacchetto di plastica, sul quale vengono
riportati il codice del campione, la data e la località del ritrovamento.
Gli escrementi così raccolti verranno poi utilizzati per l’analisi della dieta, mentre i peli
e le eventuali fatte fresche, per le analisi genetiche.
Infine, per una corretta archiviazione dei dati su base cartografica, è stato utilizzato uno
strumento di rilevamento GPS (Garmin GPSmap 60CSx), che permette la
georeferenziazione dei dati.
54
SNOW-TRACKING
Questa tecnica di monitoraggio viene attuata durante la stagione invernale e consiste
nell’individuare e seguire le piste di impronte di lupo lasciate sulla neve.
Secondo il protocollo, la ricerca deve iniziare 24-48 ore dopo l’ultima nevicata, così da
aumentare la probabilità di rilevare sul manto nevoso le piste lasciare dagli animali.
Lo snow-tracking consente di avere informazioni relative all’utilizzo del territorio da
parte del predatore (aree di caccia, vie di spostamento e siti di riposo), di massimizzare
la raccolta dei segni di presenza [Bjarvall et Isakson, 1982; Ciucci, 2001] e di avere la
possibilità di effettuare una stima del numero minimo di animali in spostamento.
La zampa del lupo è caratterizzata dall’avere un cuscinetto centrale lobato di forma
triangolare e quattro cuscinetti digitali, con un’unghia non retrattile associata ad ogni
polpastrello, che risulta essere ben visibile nell’impronta.
Per distinguere l’impronta di lupo da quella di altri Canidi (Fig. 4.2), si tiene conto della
dimensione (adulto: 10-12 cm per 8-10 cm), della presenza dell’unghia non retrattile e
dalla linearità della pista, anche se forma e dimensione risultano essere discriminanti
valide solo per Canidi di piccola taglia.
Fig. 4.2 Impronta di lupo
55
Nei lupi, la linearità della pista è dettata da conformazioni anatomiche, che gli
consentono di sovrapporre la zampa posteriore con l’anteriore, e dall’abitudine di questo
predatore ad effettuare poche deviazioni e di camminare in fila indiana, ricalcando le
orme lasciate dal primo individuo.
In questo modo lo spostamento avviene con il minor dispendio energetico possibile, ma
rende difficile la stima del numero reale di individui appartenenti al branco.
L’operatore deve quindi sfruttare le situazioni durante le quali il branco rompe la fila e
si apre a ventaglio, come in prossimità di spiazzi o curve, oppure durante la caccia. Per
questo motivo, durante lo snow-tracking è necessario seguire le piste di impronte per
distanze sufficientemente lunghe, in modo da avere un’elevata probabilità di incorrere
in tali aperture (> 500m) [Boitani, 1982; Ciucci et Boitani 1998].
È stato inoltre osservato che i cani inselvatichiti, vivendo in modo simile ai lupi, attuano
le medesime strategie di spostamento ed è dunque presumibile pensare che, anche per
gli ibridi lupo-cane, vengano adottate le medesime strategie di spostamento.
Il lupo, così come l’ibrido lupo-cane, è un animale abitudinario, con un territorio stabile
e tecniche di spostamento che gli garantiscono il minor dispendio energetico possibile,
da cui la preferenza nell’utilizzo di strade durante gli spostamenti [Mech, 1970].
I percorsi utilizzati per effettuare la tecnica dello snow-tracking, sono stati quindi scelti
in relazione alle informazioni di distribuzione del lupo, provenienti da dati precedenti,
ed in base alle abitudini di questo predatore. Di conseguenza, sono state utilizzate le
strade sterrate ed asfaltate presenti nelle aree di studio, i transetti del line-transect che
attraversano i territori invernali degli ungulati e le zone nelle quali storicamente erano
state rilevate impronte.
I circuiti dello snow-tracking vengono percorsi con racchette da neve da uno o più
operatori, che al momento dell’individuazione di una pista d’impronte abbandonano il
transetto per seguire le orme, mantenendo una direzione opposta rispetto a quella del
branco.
Se vengono individuate lungo la pista una o più aperture a ventaglio sarà possibile
effettuare la conta del numero minimo di individui e verranno seguite le diverse nuove
piste.
Per ciascuna traccia d’impronte deve essere compilata una scheda di campo, nella quale
vengono riportate:
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- Codice del ritrovamento (numero progressivo e iniziali di nome e cognome
dell’operatore);
- Data e luogo;
- Nome dell’operatore;
- Stima dell’età delle tracce;
- Numero minimo di individui;
- Eventuali segni di presenza del Lupo (fatte, raspate, urina, peli, carcasse);
- Comportamento del branco lungo il tracciato (perlustrazione, caccia,
spostamento diretto).
Come per la tecnica del line-transect, la posizione della pista di impronte e l’intero
percorso, devono essere marcate con GPS e digitalizzate su ArcMap.
WOLF-HOWLING
La tecnica dell’ululato indotto rappresenta un importante fonte di informazioni per lo
studio della presenza del lupo e del suo successo riproduttivo.
Si basa sulla naturale tendenza di lupi, ed ibridi lupo-cane, a rispondere agli ululati, che
vengono emessi dall’operatore attraverso l’emissione di ululati registrati.
Al fine dello studio di confronto di dieta, le informazioni raccolte con il wolf-howling
durante le stagioni estive, sono state integrate alle informazioni raccolte con le altre
metodologie di indagine e sono state utilizzate per individuare le regioni di Alpe di
Catenaia e di Alpe di Poti nelle quali i due branchi erano maggiormente presenti.
In questo modo si è potuta ottimizzare la ricerca degli escrementi nelle due aree di
studio, creando transetti che attraversassero le regioni utilizzate dai pack, individuate
grazie al wolf-howling.
57
4.2) ANALISI DELL’ECOLOGIA ALIMENTARE
Lo studio della dieta del lupo prevede tre diverse fasi: raccolta, lavaggio e
riconoscimento delle componenti.
RACCOLTA ESCREMENTI
Si svolge durante il line-transect e lo snow-tracking, e per evitare di raccogliere fatte di
altri Canidi vengono utilizzati contemporaneamente più criteri di valutazione [Ciucci,
1994]:
- Selezione positiva per escrementi con diametro uguale o superiore a 3 cm. In
questo modo vengono esclusi escrementi di Canidi di piccola taglia, ma si
rischia di escludere anche quelle dei cuccioli di lupo;
- Selezione positiva per escrementi con odore acre ed intenso, dovuto alla
secrezione della ghiandola anale [Asa et al., 1985b]. Tale ghiandola è in parte o
completamente atrofizzata nei cani in seguito alla loro domesticazione e risulta
quindi essere un ottimo indice di valutazione;
- Selezione positiva per escrementi trovati in vicinanza di siti corrispondenti a
ritrovamenti precedenti;
- Selezione positiva per escrementi contenenti resti indigesti (peli, frammenti
ossei, unghie, cartilagini, ecc.);
- Selezione positiva per escrementi trovati in vicinanza di altri segni di presenza
(piste di impronte, urine, raspate, ecc.);
- Selezione negativa per escrementi con abbondante componente “a matrice”,
tipica di cani padronali. Tali cani hanno però talvolta abitudini alimentari simili
al lupo, cibandosi sia di selvaggina che di “cibo per cani”, fattore che rende
l’identificazione più difficoltosa.
E’ inoltre necessario che i campioni siano integri ed indipendenti l’uno dall’altro, in
modo da poter identificare tutti gli elementi ingeriti e da non rischiare di alterare la
composizione della dieta analizzando più feci rilasciate dallo stesso individuo, nel
medesimo pasto.
58
Fig. 4.3 Fatta di lupo
Le fatte così raccolte, come visto in precedenza, vengono poste in un sacchetto di
plastica trasparente e catalogate mediante la compilazione della Scheda di Campo.
Ciascun sacchetto viene poi posto in congelatore a –18°C, in attesa di essere analizzate
per lo studio della dieta o, nel caso si tratti di feci fresche, per le analisi genetiche.
LAVAGGIO ED ESSICAMENTO
Per poter analizzare visivamente il contenuto indigesto presente negli escrementi, è
necessario eseguire diverse fasi di preparazione del campione:
- Sterilizzazione: le fatte vengono parzialmente scongelate e poste in forno a
temperature di 60-80°C per almeno 5 minuti, in modo da inattivare le larve degli
endoparassiti presenti, quali ad esempio Echinococco granulosus [Guberti, et al.
1991]. Questa fase è molto importante per evitare il contagio da parte
dell’operatore.
- Lavaggio: l’escremento così sterilizzato, viene posto in acqua calda e disgregato
manualmente nei vari componenti, grazie anche all’utilizzo del sapone;
- Filtrazione: tramite un setaccio a maglia fine (0,5 mm) viene separata la materia
organica digerita, dal materiale indigesto [Reynolds et Aebischer, 1991]. A
questo punto la componente organica viene eliminata, mentre il materiale
indigesto (ossa, peli e materiale vegetale), viene separato mediante l’utilizzo di
pinzette e posto in vaschette di alluminio;
59
- Essicamento: le vaschette vengono inserite nel forno, ad una temperatura di
65°C per 24 ore, periodo necessario per una buona essiccazione dei materiali.
Per ciascun campione deve essere compilata, al momento del lavaggio, la Scheda
dell’Escremento (Fig. 4.4), nella quale vengono riportati i dati relativi al campione e al
materiale organico ed indigesto trovati all’interno.
Fig. 4.4 Scheda di laboratorio in cui vengono registrate le informazioni relative alle
componenti macroscopiche rinvenute nell’escremento
Una volta che la componente indigesta è completamente asciutta, viene imbustata in
sacchetti distinti di peli, ossa e materiale vegetale, che vengono uniti alla Scheda
dell’Escremento.
60
RICONOSCIMENTO DELLE COMPONENTI
Il riconoscimento dei peli degli ungulati avviene attraverso un esame morfologico
esterno, che tiene conto di forma, colore e dimensione del pelo, per determinare la
categoria alimentare, in relazione alla specie d’appartenenza, alla classe di peso o di età,
e alla stagione.
- Specie: il pelo di cinghiale (Sus scrofa) è corneo, con l’apice sfrangiato, mentre
quello dei Cervidi presenta bande di diverso colore, con tonalità e diametro che
variano nelle diverse specie, quali capriolo (Capreolus capreolus), daino (Dama
dama) e cervo (Cervus elaphus));
- Classe di peso o di età: la morfologia del mantello cambia in relazione al
periodo di sviluppo dell’individuo. Nel cinghiale fino a 10Kg è presente un
manto “striato”, con peli corti e fini, che diventano poi più grossi e “rossi” nei
giovani fino ai 35Kg, quando assumono il definitivo mantello spesso e coriaceo.
I Cervidi invece, nel primo mese di vita, presentano un mantello bruno a
macchie bianche o “pomellato”, che dal secondo mese viene gradualmente
sostituito dal mantello estivo. È possibile distinguere il pelo dei piccoli da quello
di individui giovani o adulti solo nei primi mesi di vita (giugno-luglio per il
capriolo, giugno-ottobre per il cervo), motivo per il quale nei Cervidi è spesso
impossibile stabilite l’età.
- Stagione: colore e forma dei peli subiscono delle modificazioni evidenti con il
cambio del manto estivo-invernale, mostrando anche la presenza del sottopelo
nei periodi invernali;
Nel presente studio, la quantificazione della dieta è effettuata sulla base di
macrocategorie alimentari, senza quindi tenere conto della differenziazione in classe di
peso e di età.
A causa di queste variazioni, è necessaria una collezione completa di peli, utili
all’identificazione di ciascun mammifero presente nelle aree di studio. Tale collezione
permette di determinare specie e classe di peso (<10, 10<x<35, >35 kg) e di età
(giovane o adulto) della preda alla quale appartengono i resti indigesti presenti
nell’escremento.
Oltre all’analisi visiva del manto, per una determinazione più accurata dell’età o della
classe di peso, vengono utilizzati gli eventuali denti, zoccoli e frammenti ossei presenti,
61
tenendo conto del loro grado di ossificazione.
Talvolta, per identificare la specie d’appartenenza, è inoltre necessaria l’analisi del pelo
al microscopio ottico, così da riuscire ad osservare alcune caratteristiche della struttura,
quali la corteccia e la medula, non evidenziabili ad occhio nudo.
Nel caso in cui sia con l’analisi visiva, che con l’analisi microscopica, non si riesca ad
identificare la specie d’appartenenze, il campione di pelo viene definito come
appartenente a “specie indeterminata”.
L’operatore, per poter effettuare tale riconoscimento delle componenti, deve aver
precedentemente superato un esame, detto Blind-Test [Ciucci, 1994; Fritts et Mech,
1981]: identificazione di 50 campioni di peli di diverse specie, attraverso il confronto
con campioni noti.
Una volta che vengono individuate le categorie alimentari presenti nell’escremento,
queste devono essere suddivise in classi volumetriche percentuali, così da avere una
stima del volume di ciascuna categoria. Tali classi, vengono valutate attraverso
l’utilizzo di una griglia di riferimento divisa in quattro quadranti uguali, ciascuno
rappresentante il 25% del totale (25%, 50%, 75% e 100%).
La frutta ed i vegetali vengono considerati come un’unica categoria alimentare, che
viene compresa nei calcoli di volume solo quando risulta essere ingerita di proposito.
Per quel che riguarda invece terriccio e sassi, come già detto, vengono esclusi dalla
stima della composizione della dieta, dal momento che non garantiscono un apporto
nutritivo e la loro ingestione risulta essere prevalentemente involontaria [Reynolds et
Aebischer, 1991].
METODI DI ANALISI
Una volta effettuata l’analisi visiva delle componenti, con la classificazione in diverse
categorie alimentari, si procede all’analisi statistica dei dati.
Per ciascuna categoria alimentare vengono, per prima cosa, calcolati la frequenza
d’occorrenza, il volume medio e la biomassa, grazie alle quali verranno poi calcolati gli
Indici statistici.
- Frequenza d’occorrenza percentuale: rappresenta la frequenza con cui
ciascuna categoria compare, e viene calcolata attraverso il rapporto tra il
62
numero di ricorrenze della categoria alimentare ed il numero di ricorrenze
totali, il tutto moltiplicato per cento;
- Volume medio percentuale: rappresenta la quantità di resti indigesti presenti
per ciascuna categoria alimentare e viene calcolato attraverso il rapporto tra
il volume cumulativo di una categoria ed il volume totale del campione, il
tutto moltiplicato per cento.
Il volume cumulativo altro non è che la sommatoria dei volumi relativi di
tutti gli escrementi per la categoria considerata.
- Biomassa: rappresenta la quantità di massa ingerita dal predatore per
ciascuna categoria alimentare e viene calcolata attraverso l’utilizzo di due
distinti modelli di biomassa, il modello di Weaver (1993) e il modello di
Ciucci et al., (2001).
I modelli di biomassa vengono calcolati grazie a specifici esperimenti condotti in
cattività: carcasse fresche, di specie e dimensioni differenti, vengono fornite ai lupi e gli
escrementi ottenuti dopo ciascun pasto vengono raccolti. È così possibile valutare il
rapporto tra il peso della preda consumata ed il numero di escrementi prodotti.
La relazione tra il valore ottenuto, espresso come Kg per ogni escremento raccolto e
peso della specie preda, è stata valutata tramite analisi di regressione.
Le rette di biomassa ottenute dal modello Weaver ed il modello Ciucci sono differenti
in quanto calcolate attraverso l’utilizzo di specie-preda diverse: Weaver utilizzò prede
di grandi dimensioni, come il cervo mulo (Odocoileus hemionus) e l’alce (Alces alces),
mentre Ciucci e colleghi utilizzarono prede tipiche italiane come il cinghiale (Sus
scrofa).
Le due rette di Weaver e Ciucci si basano sulla generica equazione y = mx + q ( y =
valore di biomassa di preda consumata per ogni escremento ritrovato et x = peso medio
vivo di ogni specie-preda) e sono rispettivamente:
Weaver: y = 0,008x + 0,439 (r²= 0,97; p< 0.001)
Ciucci: y = 0,009x + 0,39 (r² = 0,74 ; p<0.001)
Per ciascuna categoria alimentare, si moltiplica poi il valore della y così ottenuto, per il
valore del volume medio, ottenendo i valori di biomassa relativi alla presenza di
ciascuna categoria alimentare nella dieta del lupo.
Infine si moltiplica ciascun dato di biomassa per cento, così da avere i dati in
percentuale di biomassa.
63
4.3) ANALISI STATISTICA:
INDICE DI KENDAL (W)
Si tratta di un Coefficiente di concordanza, che permette di misurare il grado di
associazione presente tra due o più ranghi. I valori risultanti possono andare da 0 a 1,
dove 0 rappresenta l’assenza totale di concordanza tra i metodi utilizzati e 1 la
concordanza assoluta.
W = 12S/K2 (N3 - N)
S= somma dei quadrati delle deviazioni della media di Rj (Rj = somma dei ranghi di
ogni categoria)
K= numero delle serie di classificazioni
N= numero di ranghi totale
Tale Indice calcola quindi il rapporto tra il grado di associazione tra la serie di dati
forniti ed il massimo grado di associazione possibile per le stesse variabili.
INDICE DI LEVIN (B)
L’Indice di Levin viene utilizzato per calcolare l’ampiezza della nicchia trofica, tenendo
conto della frequenza della biomassa. Le categorie alimentari utilizzate sono: cinghiale,
capriolo, lepre, microroditore, pecora, capra e bovino.
Pi = frequenza di biomassa della categoria i-esima presente nella dieta del lupo
n = numero totale delle categorie alimentari considerate
Il valore dell’Indice di Levin può variare da 1 a n, con 1 rappresentante la minima
64
nicchia trofica possibile (predazione specialista verso un'unica categoria alimentare) e n
rappresentante la massima nicchia trofica possibile (predazione opportunistica su tutte le
categorie alimentari).
INDICE DI PIANKA (O)
L’Indice di Pianka è un Indice di sovrapposizione di nicchia e serve a rilevare le
similarità tra le diete dei due branchi. I valori possono variare da 0 ad 1, dove 0
rappresenta l’assenza di sovrapposizione di dieta ed 1 indica invece la sovrapposizione
totale.
n = numero totale delle categorie alimentari considerate
PEi = frequenza di biomassa consumata dal branco dell’area di Alpe di Catenaia per la
categoria i-esima
PIi = frequenza di biomassa consumata dal branco di Alpe di Poti per la categoria i-
esima
TEST DEL CHI-QUADRO (χ2)
Il Test del Chi-quadro è un test statistico non parametrico atto a verificare se i valori di
frequenza osservata siano significativamente diversi dalle frequenze attese ed è per
questo motivo detto anche “Test di bontà di adattamento”.
χ 2 = (O-E)2 / E
O = frequenza osservata
E = frequenza attesa
Nel presente studio questo test statistico è stato utilizzato per osservare se vi era una
differenza statisticamente significativa tra i due campioni.
65
Il grado di libertà (GDL) viene definito come n-1, dove n corrisponde al numero di
categorie considerate. Per decidere la soglia di significatività del valore, sono utilizzati i
valori contenuti in una tabella, scelti in base al grado di libertà del test.
Il limite di significatività delle analisi di questo studio è stato posto ad = 0,05.
66
CAPITOLO 5:
RISULTATI
67
Dall’esame della dieta invernale, effettuata analizzando gli escrementi raccolti tra
Novembre 2004 ed Aprile 2013, abbiamo ottenuto risultati molto interessanti.
Durante lo studio, concentrato prevalentemente negli inverni del 2011-2012 e 2012-
2013, sono state raccolte ed esaminate 399 fatte nell’area di Alpe di Catenaia e 400 fatte
in Alpe di Poti e sono state identificate 5 macro-categorie alimentari: cinghiale,
capriolo, lepre, microroditori e domestico, quest'ultimo comprendente pecora, capra e
bovino (Tabella 5.1, Grafico 5.1).
Come prima cosa si è osservato che, per ambedue i branchi, vi è una netta preferenza
per gli ungulati selvatici, dato confermato attraverso l’utilizzo di diversi metodi di
quantificazione della dieta (Tabella 5.1). In entrambe le aree, la specie preda più
rappresentativa risulta essere il cinghiale (frequenza di occorrenza 57.17% e 47.19%
rispettivamente per l’area di Alpe di Catenaia e per l’Alpe di Poti, Tabella 5.1),
immediatamente seguito dal capriolo (32.61% nell’Alpe di Catenaia e 44.99% nell’Alpe
di Poti, Tabella 5.1).
Le altre categorie alimentari presenti nella dieta del lupo, vengono considerate “specie
accessorie” a causa del basso consumo che ne viene fatto. Osservando la Frequenza
d’Occorrenza in Tabella 5.1 si può infatti vedere come lepre, microroditori e animali
domestici rappresentino nell’insieme solo lo 0.98% in Alpe di Poti e il 4.78% in Alpe di
Catenaia della dieta complessiva.
Freq. Occorrenza Volume Medio Biomassa Weaver Biomassa Ciucci
CATEGORI
E
Poti Catenaia Poti Catenaia Poti Catenaia Poti Catenaia
Cinghiale 47,19 57,17 47,41 60,63 50,15 62,43 50,27 62,42
Capriolo 44,99 32,61 47,56 31,57 48,5 31,67 48,31 31,52
Lepre 0 1,96 0 2,13 0 1,59 0 1,49
Microrodito
ri
0,24 0,65 0,15 0,39 0,11 0,28 0,1 0,26
Pecora 0,74 1,24 0,76 1,36 1,24 2,15 1,32 2,27
Capra 0 0,31 0 0,34 0 0,44 0 0,45
Bovino 0 0,62 0 0,68 0 1,45 0 1,58
Tabella 5.1: Quantificazione delle abitudini alimentari delle due aree di studio.
Tutti i dati sono espressi sotto forma di percentuali.
68
Grafico 5.1: Utilizzo delle diverse specie predate nell’area di Alpe di Poti e in Alpe di
Catenaia, quantificate con i diversi metodi (frequenza di occorrenza, volume medio e
biomassa di Weaver e Ciucci).
Confrontando le abitudini alimentari del branco di Alpe di Catenaia con il branco di
Alpe di Poti, si osserva che vi è una quasi totale sovrapposizione trofica (Grafico 5.1).
L’indice di concordanza di Kendall è risultato essere W = 0.925 in Alpe di Poti e W =
0.915 in Alpe di Catenaia, indicando un’ottima concordanza dei risultati ottenuti con le
diverse metodologie di quantificazione utilizzate.
L’ampiezza della nicchia trofica è stata valutata attraverso l’utilizzo dell’Indice di
Levin. Tale indice ha confermato i risultati ottenuti, mostrando un’alimentazione basata
prevalentemente su due categorie alimentari: cinghiale e capriolo.
Per Alpe di Catenaia e per Alpe di Poti, i valori minimi d’ampiezza sono
rispettivamente B = 2.04 e B = 2.05, mentre i valori massimi risultano essere B = 2.30 e
B = 2.32 (Tabella 5.2).
69
Frequenza occorrenza Volume Medio Biomassa Weaver Biomassa Ciucci
Poti Catenaia Poti Catenaia Poti Catenaia Poti Catenaia
INDICE
LEVIN
(B) 2,32 2,30 2,22 2,14 2,05 2,04 2,06 2,04
Tabella 5.2: Indice di Levin
Successivamente è stato valutato il grado di sovrapposizione di nicchia trofica tra le due
aree, attraverso l’Indice di Pianka, che ha evidenziato una quasi totale sovrapposizione
di dieta tra i due branchi: Omin = 0.953 per il volume medio (Tabella 5.3).
METODI DI ANALISI Freq. Occ.
Catenaia
Vol. medio
Catenaia
Biomassa Weaver
Catenaia
Biomassa Ciucci
Catenaia
Freq. Occ. Poti 0,97 / / /
Vol. medio Poti / 0,953 / /
Biomassa Weaver Poti / / 0,955 /
Biomassa Ciucci Poti / / / 0,955
Tabella 3: Risultati relativi al calcolo dell’indice di sovrapposizione di nicchia trofica di
Pianka.
Infine è stato condotto il test statistico del Chi-quadro, utilizzato per valutare eventuali
differenze tra le composizioni delle due diete (Tabella 5.4). I metodi di quantificazione
utilizzati per condurre il test, sono stati il volume medio e la retta di biomassa di
Weaver.
Per il Volume Medio, la classe “domestico” è stata accorpata in un'unica categoria ed il
test è stato applicato due volte: nel primo caso sono state utilizzate solo le macro-
categorie, senza distinzioni in classi di peso e di età; nel secondo caso cinghiale e
capriolo sono stati distinti nelle relative classi di peso e di età.
Per la Biomassa, invece, le specie di domestico sono state mantenute separate, così
come cinghiale e capriolo, considerati nelle relative classi di peso e di età.
70
χ2 GDL P-value
VOL MEDIO CASO 1 8.898 8 > 0.5
VOL MEDIO CASO 2 11.906 12 > 0.5
BIOMASSA 11.012 9 > 0.5
Tabella 5.4: Test del Chi-quadro per Volume Medio e Biomassa. Il “CASO 1” rappresenta la
situazione in cui non sono state fatte distinzioni di peso e di età per le specie principali
(cinghiale e capriolo), mentre nel “CASO 2”, si è mantenuta la separazione delle classi di
peso e di età.
I risultati ottenuti dal test del chi-quadro hanno confermato che non esistono differenze
statisticamente significative (P > 0.5) tra le diete delle due aree, quindi tra il
comportamento alimentare dei due branchi a diverso livello di introgressione.
71
CAPITOLO 6:
DISCUSSIONE
72
Come visto nel capitolo sull’ibridazione, lupi e cani inselvatichiti hanno dinamiche
socio-comportamentali simili [Natoli, 2005; Tosi et Toso, 1992] e questo ha fatto
ipotizzare che anche gli ibridi lupo-cane mantenessero le medesime caratteristiche.
Ad oggi però non era stata condotta nessuna ricerca che avvalorasse tale ipotesi.
Grazie a questo studio è stato fatto un passo avanti sulla conoscenza delle abitudini
alimentari degli ibridi lupo-cane.
Dai risultati ottenuti, si è osservato come gli ibridi che vivono in libertà mantengano le
medesime abitudini alimentari dei lupi, diventandone così dei competitori.
Mettendo a confronto i risultati ottenuti dal presente studio, con lavori di confronto di
dieta riguardanti branchi di lupi, di lupi non introgressi con geni canini e di ibridi lupo-
coyote, si possono osservare delle similarità nei risultati.
Capitani et al. (2004), hanno analizzato e confrontato la dieta di tre branchi del territorio
italiano, presenti in regioni distinte e con composizione di specie-preda differenti: Val
di Susa, Pratomagno e Val di Cecina. L’obiettivo dello studio era valutare la flessibilità
della dieta, in relazione alle diverse condizioni ecologiche.
I dati ottenuti dal volume medio percentuale, mostrano chiaramente come gli ungulati
selvatici fossero le prede preferenziali in tutte e tre le regioni: 91,4% in Val di Susa,
95.1% in Pratomagno e 89.4% in Val di Cecina.
Sono stati poi applicati l’Indice di Levin, per valutare l’ampiezza della nicchia trofica, e
l’Indice di Pianka per quantificarne la sovrapposizione.
Per quel che riguarda l’Indice di Levin, i risultati hanno mostrato la tendenza dei tre
branchi a utilizzare una sola categoria-preda, confermando la tendenza dei lupi
all’utilizzo di massimo due prede preferenziali [Ballard et al., 1987; Bjarvall et Isakson,
1982; Fritts et Mech, 1981; Jedrzejewski, et al., 1992; Mattioli et al., 1995; Mech, 1970;
Peterson, 1974; Smietana et Klimek, 1993; Thompson, 1952; Voigt et al., 1976].
L’Indice di Pianka mostra invece dei risultati differenti in relazione alle aree che si
mettono a confronto (O varia da 0.2 a 0.9): tali risultati dipendono ovviamente dalla
diversa abbondanza che le categorie-preda presentano nelle aree di studio.
Un altro studio di confronto di dieta è stato condotto in Canada, dal gruppo di ricerca
del Dottor David J. Huggard, analizzando gli escrementi di due branchi di lupi puri
[Huggard, 1993].
Ancora una volta, i risultati hanno mostrato una tendenza dei lupi all’utilizzo
preferenziale di una sola specie preda, rappresentata da ungulati selvatici. In questi due
73
branchi di lupi canadesi, la specie-preda preferenziale risultava essere per entrambi
l’alce (Cervus elaphus), con una media di biomassa totale consumata rispettivamente
del 79.4% e 77.6%. La seconda preda scelta era invece diversa: per un branco era l’alce
americana (Alces alces), mentre per l’altro era il cervo (Odocoileus virginianus e
Odocoileus hemionus), rispettivamente con il 15.1% e l’8.3% di media di biomassa
totale consumata.
Lievi differenze nella composizione della dieta sono quindi presenti anche tra questi
branchi, dimostrando come la scelta della specie dipenda da numerosi fattori, tra cui la
abbondanza relativa, l’accessibilità e la fruibilità, affiancati dalle preferenze del branco
e dalla tecnica di caccia prediletta dalla coppia alfa [Mattioli et al., 1995 e 2011;
Jedrzejewski et al., 2000; Mech et Peterson, 2003; Smith et al., 2004].
Un ulteriore prova della conformità della dieta nei diversi branchi di lupi, è data dallo
studio condotto dal 1998 al 2001, dal gruppo di ricerca del Dottor Reed. La dieta del
lupo grigio presente in Messico, Canis lupus baileyi, è stata paragonata a quella ottenuta
da studi precedenti sulle popolazioni di lupo grigio dell’Arizona.
Sono quindi state messe a confronto due popolazioni distante geograficamente, ma
appartenenti alla medesima sotto-specie.
Anche i risultati di questo studio hanno mostrato la tendenza dei lupi ad utilizzare
ungulati selvatici nella propria dieta: nei lupi grigi del Messico, le alci (Cervus elaphus
nelsoni) e altri ungulati selvatici nativi costituiscono rispettivamente il 72.8% ed il
15.8% della frequenza di occorrenza, con preferenza per gli individui adulti. Il lupo
grigio dell’Arizona mostra risultati simili, mantenendo però delle differenze relative
soprattutto all’età delle prede, che in quest’ultimo caso tendono ad essere predate in
giovane età [Reed et al., 2006].
Tutti questi risultati sono conformi ai nostri, dimostrando come le abitudini del lupo e
degli ibridi a diversi livelli di introgressione, siano le medesime e non dipendano dai
livelli di introgressione, ma dalla disponibilità delle prede e dalle preferenze del branco.
Oltre agli studi sulle diverse sottospecie di lupo, in Nord America sono inoltre stati
condotti numerosi studi relativi all’ecologia trofica degli ibridi tra lupo e coyote e tra
cane e coyote [Benson et Patterson, 2013; Fox, 1978; Mahan et al., 1978; Mengel, 1971;
Silver et Silver, 1969].
Il nostro caso di studio è leggermente diverso, per via della differenza di specie con la
quale il lupo si è incrociato e perché il cane, contrariamente al coyote, non risulta essere
74
una specie selvatica a rischio. I risultati ottenuti sono però simili.
Un esempio è portato dallo studio condotto dai ricercatori Benson e Patterson (2013), i
quali hanno indagato la dieta invernale di 10 branchi di coyote e di ibridi coyote-lupo.
Il coyote (Canis latrans) è un predatore opportunista che si nutre principalmente di
piccole prede e di carcasse, mentre il lupo canadese (Canis lycaon), pur essendo
anch’esso un predatore opportunista, è in grado di cacciare prede anche di grosse
dimensioni, come cervi (Cervus elaphus e Odocoileus virginianus), caribù (Rangifer
tarandus caribou) e alci (Alces alces).
Dai risultati ottenuti, è stato osservato che gli ibridi coyote-lupo mantengono la capacità
dei lupi di abbattere prede di grosse dimensioni, ma, nello stesso tempo, sfruttano la
disponibilità di carcasse e di spazzatura, comportamento tipico del coyote. Si tratta
quindi in tutto e per tutto sovrapposizione di nicchia trofica, rendendo gli ibridi coyote-
lupo dei competitori per entrambe le specie parentali.
Grazie a questi, e molti altri, studi condotti sulla dieta del lupo, si può affermare che in
un ecosistema produttivo e stabile, le prede principali, sia in Italia che all’estero, sono
gli ungulati selvatici [Ragni et al, 1982].
Inoltre, come si può facilmente dedurre dagli esempi appena riportati, la scelta della
preda non dipende dal grado di introgressione di geni canini, ma da fattori ambientali ed
interni al branco, che garantiscono tra le altre cose anche una certa variabilità tra
branchi limitrofi.
A tal proposito vi sono molti lavori che spiegano come il lupo scelga la preda.
È stato osservato che, quando vi è alta densità e variabilità di specie-preda, il lupo
sceglie in relazione alle dimensioni del branco cacciato [Mech et Peterson, 2003] e alla
sua vulnerabilità, dettati dall’età ed alla taglia degli individui che ne compongono la
popolazione-preda [Mattioli et al., 2011, Smith et al., 2004].
Da alcuni studi condotti in Canada è emerso che, pur essendo i cervi dalla coda bianca
(Odocoileus virginianus) la specie maggiormente presente, i lupi manifestando una
netta preferenza per alci (Alce canadensis) e castori (Castor canadensis) [Frenzel, 1974;
Voigth et al, 1976].
Lo stesso è emerso da uno studio italiano del 1995, dove la specie più abbondante
risulta essere il capriolo (Capreolus capreolus), ma quella maggiormente cacciata il
cinghiale (Sus scrofa) [Mattioli et al., 1995].
Questo ci fa dedurre che un importante parametro nella scelta della preda possa essere la
75
sua semplicità di essere individuata all’interno del territorio.
Anche la densità delle specie-preda disponibili influenza l’utilizzo delle stesse da parte
del lupo, come avviene in Polonia, dove la concentrazione di cervi fa sì che vari
sensibilmente la percentuale degli altri ungulati nella dieta del lupo [Jedrzejewski et al.,
2000].
Tornando all’Italia, grazie ad uno lavoro condotto nel Parco Nazionale delle Foreste
Casentinesi, si è osservato che più del 92% della dieta del lupo si basa su ungulati
selvatici, di cui il cinghiale (Sus scrofa) risulta essere la specie preferenziale [Mattioli et
al., 1995].
Questo risultato è stato confermato anche dal già citato studio della Dottoressa Capitani,
effettuato sul confronto di dieta in tre diverse aree italiane [Capitani et al., 2004].
Si può quindi concludere che il lupo, a prescindere dalla sottospecie e dalla
localizzazione, segue la legge del foraggiamento ottimale [Stephens et Krebs, 1986],
nutrendosi prevalentemente di ungulati selvatici.
Da questo studio è emerso come anche gli ibridi lupo-cane mantengano le medesime
abitudini alimentari, diventando così un competitore trofico del lupo, in aggiunta alla
competizione attuata dai numerosi branchi di cani inselvatichiti presenti nelle montagne.
I branchi di ibridi e di cani inselvatichiti competono con quelli di lupi, anche per il
possesso del territorio che, essendo stato fortemente frammentato per azione antropica,
rende le condizioni di sopravvivenza del predatore sempre più sfavorevoli. [Bocedi et
Brocchi, 2004].
Inoltre, cani inselvatichiti e ibridi con elevati tassi di introgressione, stanno portando
alla lenta scomparsa del lupo, che fatica a ricoprire il suo ruolo di regolatore ecologico,
permettendo così un incremento incontrollato delle popolazioni di ungulati [Ballard et
al., 1987; Fritts and Mech, 1981; Grasaway et al., 1983; Mech and Karns, 1977;
Peterson et al., 1984].
Il lupo italiano, Canis lupus italicus, è rimasto isolato dalle popolazioni di lupi sloveni,
austriaci e francesi grazie alla presenza dell’arco alpino che ne ha, da sempre, ridotto gli
spostamenti, portandolo a diventare una sottospecie a se stante
Nel caso del lupo italiano, quindi, tutte le problematiche riconducibili all’ibridazione, si
tradurrebbero nella scomparsa di un intera sottospecie.
Nel mio studio ho approfondito le sole abitudini alimentari, e sono giunta alla
76
conclusione che non vi è quasi nessuna differenza tra le abitudini alimentari di
popolazioni di ibridi lupo-cane e di lupi.
Questo lavoro risulta essere uno dei primi studi effettuati in natura sul confronto
dell’ecologia trofica tra lupi ed ibridi lupo-cane, ma non per questo deve essere
considerato un punto d’arrivo.
Anzi, molti altri studi andrebbero promossi dal mondo accademico, così da
approfondire le nostre conoscenze su questi due predatori. Per esempio sarebbe utile
analizzare le eventuali differenze tra il lupo ed il suo nuovo competitore nei
comportamenti riproduttivi, territoriali e sociali, sempre in condizioni naturali.
Andrebbe inoltre riconosciuta, da un punto di vista giuridico, l’esistenza degli ibridi, in
modo da poter emanare apposite leggi di regolamentazione e di tutela.
Oggi giorno il problema dell’ibridazione è fortemente diffuso e quasi tutte le
popolazioni selvatiche hanno, in qualche misura, dei geni domestici che rendono
difficile parlare di “individui geneticamente puri”. Bisognerebbe, di conseguenza,
decidere se stabilire a livello mondiale un grado di ibridazione limite tollerabile, oltre il
quale gli individui verrebbero trattati come sotto-specie alloctona e dannosa, oppure
accettare la presenza di queste nuove sotto-specie.
La risoluzione o l’accettazione del problema dell’ibridazione è quindi ancora distante e
necessita di numerose ricerche e riflessioni. Solo in questo modo saremo in grado di
capire al meglio questa nuova minaccia, riuscendo a gestirla in modo ottimale, così da
garantire al predatore a noi più vicino un roseo futuro.
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RINGRAZIAMENTI
Il mio primo ringraziamento va al professor Apollonio, che mi ha accolta nel suo centro
di studi, permettendomi non solo di effettuare questa tesi, ma anche di apprendere
nozioni nuove, vedere da vicino il mondo della ricerca e conoscere delle persone
straordinarie.
Grazie inoltre al professor Baldaccini, che nonostante la meritata pensione si è preso
l’onere di essere il mio relatore interno.
Grazie anche alla Dottoressa Bassi, per aver letto e corretto la mia tesi in tempi da
record ed al Dottor Mattioli, per avermi procurato molto materiale su cui lavorare.
Vorrei inoltre ringraziare i mie correlatori, il professor Boschian ed il professor Giunchi,
per avermi ascoltata parlare per 3 ore e, soprattutto, per aver letto la mia tesi ed avermi
suggerito alcune importanti modifiche.
Un ringraziamento particolare è per il Dottor Barbanera, sia per essere stato un grande
insegnate, sia per avermi ascoltata e consigliata nella Scelta. Grazie professore, non La
dimenticherò mai!
Grazie ai miei genitori, che hanno sacrificato molto per permettermi tutto questo, che mi
sono sempre stati vicini e mi hanno sostenuta nelle mie scelte, anche quando queste mi
hanno portata lontana da casa.
Come non ringraziare poi mio fratello Matteo, che era disposto a rinunciare alla sua
ultima festa della scuola per sentirmi parlare di lupi, e mia sorella Barbara, che anche se
esattamente dall’altra parte del mondo sicuramente ora mi sta pensando.
Grazie ai miei super nonni, Angela e Luigi, che si sono fatti per la seconda volta un
lungo viaggio per starmi accanto e che sono più di 26 anni che mi dimostrano cos’è
“tutto l’amore del mondo”.
Ringrazio ovviamente la persona che più di tutte ha letto questa tesi, che ha sopportato
le mie lamentele e le mie paure e che mi è stata accanto anche quando io stessa non mi
sopportavo. Grazie Gian, per aver accettato le mie strambe scelte, per avermi aiutata a
rendere la tesi comprensibile, per il tempo passato assieme e per tutto quello di
meraviglioso che ancora ci aspetta.
Altre mille persone andrebbero ringraziate, ma alcune è impossibile tralasciarle.
Ema, per essere sempre stata presente e disponibile, per i “consigli di sopravvivenza” e,
soprattutto, per il magnifico vestito, tanto cercato, che hai messo oggi.
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E grazie anche, a te, a Paolo e a Jimmy, per essermi venuta a salvare nel bosco!!!
Grazie a Camillo, per avermi fatto compagnia durante il lungo e puzzolente lavoro su
campo, ed a Elisa, l’unica veterinaria di fauna selvatica del mondo che fa le catture con
lo smalto rosa.
Un ringraziamento va ovviamente ai miei meravigliosi navigatori ed alla loro
incredibile bravura nel leggere le cartine: Mary, con cui ho sentito il primo ed
indimenticabile ululato, Nikko, con il quale mi sono impantanata in un bosco, e Noemi,
con cui mi sono inspiegabilmente ritrovata a Firenze. La certezza che, se anche avessi
vagato tutta la notte, sarei stata in ottima compagnia, mi ha aiuta a mettermi in auto ogni
sera.
Grazie Ale, perché anche se cinghialaio, infiltrato e sfruttato, hai accompagnato me ed il
resto dei fantastici 4 nella lunga estate stabbese.
E ovviamente grazie a tutti i cacciatori della provincia di Arezzo, per avermi insegnato
ad ululare ed avermi sfamata durante i censimenti, e soprattutto a Gabriele, per il suo
grande cuore.
La presenza di ciascuno di voi ha reso il soggiorno a Casa Stabby unico ed
indimenticabile. Vi voglio bene e vi porterò con me per sempre.
Grazie ai miei amici scemi, per essere così come siete: semplici e sempre presenti,
anche quando lontani.
E grazie a tutti quelli che si sono sorbiti un viaggio, lungo o breve che fosse, per essere
con me nel mio ultimissimo giorno di università.