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BIOLOGIA EVOLUTIVA Che cos'è una eb specie: Ancora oggi gli scienziati non hanno una risposta conclusiva a questa domanda. Una migliore definizione di specie potrebbe influire sull'elenco degli animali in pericolo di estinzione IN SINTESI All'inizio i sistemi tassonomici formali identificavano le specie sulla base di caratteristiche visibili, come pinne e pellicce. In seguito, la concezione di specie è cambiata, specificando che gli organismi appartenenti alla stessa specie devono essere interfecondi. Oggi è possibile accertare la diversità biologica esaminando il DNA e ricostruendo il modo in cui diverse specie hanno avuto origine per discendenza da un antenato comune. II dibattito sulla definizione di specie, tuttavia, è tutt'altro che concluso, ed è ben più di un'erudita controversia fra accademici. Un'esatta classificazione è infatti essenziale per stabilire quali siano le specie a rischio di estinzione. di Cari Zimmer S e si visita l'Algonquin Provincia! Park, nell'Ontario, può capitare di sentire l'ulu- lato dei lupi. Con un po' di fortuna, si può persino cogliere per un istante la corsa attraverso i boschi di un branco lontano. Ma poi, quando tor- niamo a casa a sciorinare agli amici le nostre fo- to sfocate, qual è la specie che possiamo vantarci di aver visto? Le risposte possono essere diverse a seconda dello scienziato cui si pone la domanda. E qualcuno di loro potrebbe anche darci risposte dif- ferenti, tutte in una volta. Nel XVIII secolo i naturalisti europei diedero il nome di Canis lycaon ai lupi del Canada e de- gli Stati Uniti orientali, perché sembravano diver- si da Canis lupus, il lupo grigio diffuso in Euro- pa e in Asia. Ai primi del Novecento, i naturalisti dell'America settentrionale avevano invece deci- so che erano anch'essi lupi grigi. Ma negli ulti- mi anni alcuni ricercatori canadesi che hanno analizzato il DNA dei lupi sono tornati all'antico: secondo loro, i lupi grigi vivono esclusivamente nella parte oc- cidentale del Nord America. Quelli dell'Algonquin Provincia! Park appartengono invece a una specie diversa e separata, che vogliono tornare a chiama- re C. lycaon. Altri studiosi non credono che vi siano pro- ve sufficienti per suddividere C. lupus in due spe- cie. E tutti concordano sul fatto che la questione dell'identità dei lupi dell'Algonquin è diventata di gran lunga più confusa in seguito a fenome- ni di ibridazione reciproca. I coyote (un'altra spe- cie del genere Canis) si sono infatti espansi verso est, e hanno cominciato a ibridarsi con C. lycaon. A questo punto una frazione non trascurabile di questi coyote orientali reca DNA di lupo, e vice- versa. Nel frattempo, C. lycaon si è ibrida- to con il lupo grigio sul confine occidenta- le della sua area di insediamento. Quindi gli animali dell'Algonquin non stanno soltanto mescolando il DNA di C. lycaon con quello di C. lupus: stanno anche trasmettendo a quest'ultimo il DNA dei coyote. Anche ammesso che C. lycaon fosse, a suo tem- po, una specie, la si può ancora definire tale? Molti ricercatori ritengono che la cosa migliore sia con- siderare una specie come una popolazione i cui membri si riproducono prevalentemente fra loro, così da rendere quel gruppo geneticamente distin- to da altre specie. Se si parla di lupi e coyote, pe- rò, è difficile dire dov'è, di preciso, che finisce una specie e comincia l'altra. «Ci piacerebbe chiamar- lo minestrone di Canis», dice Bradley White, della Trent University dell'Ontario. Il dibattito non è una semplice questione di no- mi. I lupi degli Stati Uniti sud-orientali sono consi- derati una specie separata, il lupo rosso (Canis ru- fus), e sono stati oggetto di un gigantesco progetto destinato a salvarli dall'estinzione, con sforzi di ri- produzione in cattività e un programma di reinse- rimento nell'ambiente selvatico. Ma gli scienzia- ti canadesi sostengono che in realtà il lupo rosso è soltanto una popolazione meridionale isolata di C. lycaon. Se è così, allora il Governo degli Stati Uniti non ha cercato di salvare una specie dall'estinzio- ne: migliaia di esemplari della stessa specie conti- nuano a prosperare in Canada. Come dimostra il caso dei lupi dell'Algonquin, il modo in cui si definiscono le specie può avere un effetto rilevante nel determinare se un certo grup- po di animali in pericolo sarà o meno oggetto di protezione, e se un particolare habitat si salverà o I LUPI SONO UN BUON ESEMPIO delle perplessità associate alla classificazione in specie. Canis lycaon era una specie di lupo che vagabondava nei boschi dell'Ontario nel XVIII secolo. Ai primi del Novecento i biologi riclassificarono questi animali nella specie C. lupus, per poi tornare a chiamarli a lycaon negli ultimi anni. Oggi alcuni esperti li considerano una miscela di diverse specie, fra cui il coyote (C. latrans) e il lupo grigio. 52 LE SCIENZE 480 agosto 2008 www.lescienze.it LE SCIENZE 53

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BIOLOGIA EVOLUTIVA

Che cos'èuna • ebspecie:

Ancora oggi gli scienziati non hannouna risposta conclusiva a questadomanda. Una migliore definizione dispecie potrebbe influire sull'elencodegli animali in pericolo di estinzione

IN SINTESI

• All'inizio i sistemi

tassonomici formali

identificavano le specie

sulla base di caratteristiche

visibili, come pinne e

pellicce. In seguito, la

concezione di specie è

cambiata, specificando che

gli organismi appartenenti

alla stessa specie devono

essere interfecondi.

• Oggi è possibile accertare

la diversità biologica

esaminando il DNA

e ricostruendo il modo in cui

diverse specie hanno avuto

origine per discendenza

da un antenato comune.

• II dibattito sulla definizione

di specie, tuttavia, è

tutt'altro che concluso,

ed è ben più di un'erudita

controversia fra accademici.

Un'esatta classificazione

è infatti essenziale

per stabilire quali siano

le specie a rischio di

estinzione.

di Cari Zimmer

S

e si visita l'Algonquin Provincia! Park,nell'Ontario, può capitare di sentire l'ulu-lato dei lupi. Con un po' di fortuna, si può

persino cogliere per un istante la corsa attraverso iboschi di un branco lontano. Ma poi, quando tor-niamo a casa a sciorinare agli amici le nostre fo-to sfocate, qual è la specie che possiamo vantarcidi aver visto? Le risposte possono essere diverse aseconda dello scienziato cui si pone la domanda. Equalcuno di loro potrebbe anche darci risposte dif-ferenti, tutte in una volta.

Nel XVIII secolo i naturalisti europei diederoil nome di Canis lycaon ai lupi del Canada e de-gli Stati Uniti orientali, perché sembravano diver-si da Canis lupus, il lupo grigio diffuso in Euro-pa e in Asia. Ai primi del Novecento, i naturalistidell'America settentrionale avevano invece deci-so che erano anch'essi lupi grigi. Ma negli ulti-

mi anni alcuni ricercatoricanadesi che hanno analizzato ilDNA dei lupi sono tornati all'antico: secondo loro,i lupi grigi vivono esclusivamente nella parte oc-cidentale del Nord America. Quelli dell'AlgonquinProvincia! Park appartengono invece a una speciediversa e separata, che vogliono tornare a chiama-re C. lycaon.

Altri studiosi non credono che vi siano pro-ve sufficienti per suddividere C. lupus in due spe-cie. E tutti concordano sul fatto che la questionedell'identità dei lupi dell'Algonquin è diventatadi gran lunga più confusa in seguito a fenome-ni di ibridazione reciproca. I coyote (un'altra spe-cie del genere Canis) si sono infatti espansi versoest, e hanno cominciato a ibridarsi con C. lycaon.A questo punto una frazione non trascurabile diquesti coyote orientali reca DNA di lupo, e vice-

versa. Nel frattempo, C. lycaon si è ibrida-to con il lupo grigio sul confine occidenta-le della sua area di insediamento. Quindi gli

animali dell'Algonquin non stanno soltantomescolando il DNA di C. lycaon con quello di C.lupus: stanno anche trasmettendo a quest'ultimoil DNA dei coyote.

Anche ammesso che C. lycaon fosse, a suo tem-po, una specie, la si può ancora definire tale? Moltiricercatori ritengono che la cosa migliore sia con-siderare una specie come una popolazione i cuimembri si riproducono prevalentemente fra loro,così da rendere quel gruppo geneticamente distin-to da altre specie. Se si parla di lupi e coyote, pe-rò, è difficile dire dov'è, di preciso, che finisce unaspecie e comincia l'altra. «Ci piacerebbe chiamar-lo minestrone di Canis», dice Bradley White, dellaTrent University dell'Ontario.

Il dibattito non è una semplice questione di no-mi. I lupi degli Stati Uniti sud-orientali sono consi-derati una specie separata, il lupo rosso (Canis ru-fus), e sono stati oggetto di un gigantesco progettodestinato a salvarli dall'estinzione, con sforzi di ri-produzione in cattività e un programma di reinse-rimento nell'ambiente selvatico. Ma gli scienzia-ti canadesi sostengono che in realtà il lupo rosso èsoltanto una popolazione meridionale isolata di C.lycaon. Se è così, allora il Governo degli Stati Unitinon ha cercato di salvare una specie dall'estinzio-ne: migliaia di esemplari della stessa specie conti-nuano a prosperare in Canada.

Come dimostra il caso dei lupi dell'Algonquin, ilmodo in cui si definiscono le specie può avere uneffetto rilevante nel determinare se un certo grup-po di animali in pericolo sarà o meno oggetto diprotezione, e se un particolare habitat si salverà o

• I LUPI SONO UN BUON ESEMPIO

delle perplessità associate allaclassificazione in specie. Canis lycaon

era una specie di lupo che

vagabondava nei boschi dell'Ontario

nel XVIII secolo. Ai primi del Novecento

i biologi riclassificarono questi animali

nella specie C. lupus, per poi tornare

a chiamarli a lycaon negli ultimi anni.

Oggi alcuni esperti li considerano

una miscela di diverse specie, fra cui

il coyote (C. latrans) e il lupo grigio.

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SAPERITRADIZIONALII sistemi di classificazionetradizionali, ancora in uso pressopopoli indigeni come i San,designano piante e animaliin base alle loro caratteristicheosservabili. Ma spesso anchemetodi più sofisticati, come latassonomia di Linneo, operanocategorizzazioni simili.

Esistonoalmeno 26

concetti diversi,tutti pubblicati,

per definireche cosa siauna specie

andrà perduto. «Da un lato, è un argomento dav-vero esoterico, ma in un altro senso è una questio-ne molto pratica - dice Alan Templeton della Wa-shington University di St. Louis - e persino unaquestione legale».

L'imbarazzo della scelta

Può essere una sorpresa vedere che gli scienziatinon riescono a mettersi d'accordo su una questionebasilare come i criteri con cui decidere se un certogruppo di organismi costituisca o meno una specie.Forse sarà l'uso del latino a dare ai nomi delle spe-cie un'aria di certezza assoluta, e a far credere, er-roneamente, che le regole siano semplici. Forse saràil milione e ottocentomila specie a cui gli scienzia-ti hanno dato un nome negli ultimi secoli. O ma-gari saranno le leggi protezionistiche, come l'En-dangered Species Act degli Stati Uniti, che dannoper scontato che si sappia cos'è una specie. In re-altà, il concetto stesso di specie ha fatto discutereper decenni «Non c'è alcun consenso generale tra ibiologi su che cosa siano le specie», dice JonathonMarshall, biologo della Southern Utah University.Secondo l'ultimo conteggio, erano in circolazione,pubblicate, almeno 26 definizioni di specie.

Ciò che rende ancora più notevole questo disac-cordo è che, a proposito del modo in cui la vita sievolve in nuove forme, oggi gli scienziati sannomolto di più di quando ebbe inizio il dibattito sullaspecie. Fino a non molto tempo fa, gli esperti di tas-sonomia potevano valutare una nuova specie solobasandosi su quel che appariva allo sguardo: cosecome pinne, pellicce, piume. Oggi invece possonoleggere sequenze di DNA, in cui stanno scoprendouna ricchezza nascosta di diversità biologica.

Templeton e altri esperti credono che la discus-sione possa essere finalmente giunta a un puntodi svolta. Ritengono infatti che oggi sia possibilecombinare molte delle concezioni in competizionein un'unica idea complessiva. Il risultato dell'unifi-cazione si potrebbe applicare a ogni forma di vita,dall'uccello mimo ai microrganismi Nella speran-za che questo porti a realizzare strumenti efficaciper riconoscere nuove specie.

Gli esseri umani davano nomi alle specie mol-to prima che nascesse la scienza: per dare la cac-cia agli animali e raccogliere le piante bisognavapur sapere di che cosa si stava parlando. La tas-sonomia, cioè la moderna scienza dei nomi del-le specie, emerse nel Seicento, e raggiunse una suamaturità nel secolo successivo, in larga parte gra-zie all'opera del naturalista svedese Carl Linnaeus(Linneo nella forma italianizzata). Linneo inven-tò un sistema per suddividere gli esseri viventi ingruppi, a loro volta suddivisi in altri gruppi. Ogni

membro di un certo gruppo doveva avere in co-mune con gli altri determinati tratti essenziali. Gliesseri umani appartenevano alla classe dei mam-miferi, e all'interno di quella classe all'ordine deiprimati, e all'interno di quell'ordine al genere Ho-

mo, e all'interno di quel genere alla specie Homo

sapiens. Linneo dichiarò che ogni specie esistevadal momento della creazione. «Vi sono tante spe-cie quante sono le forme che produsse al principiol'Essere Infinito», scrisse.

Il nuovo ordinamento stabilito da Linneo facili-tò molto il lavoro dei tassonomisti, ma spesso trac-ciare linee di separazione tra una specie e l'altra sirivelò frustrante. Due specie di topi, per esempio,potevano incrociarsi nelle zone di sovrapposizio-ne dei rispettivi areali, facendo sorgere il proble-ma del nome da dare agli ibridi. Ma poteva esserciconfusione anche all'interno di una singola specie.In Irlanda, per esempio, la pernice bianca nordi-ca ha un piumaggio leggermente diverso da quel-lo dei conspecifici in Scozia, e ancora diverso daquello diffuso in Finlandia. I naturalisti non riusci-vano a mettersi d'accordo se appartenessero a spe-cie di pernice diverse o se fossero semplici varietà -sottogruppi, in altre parole - di un'unica specie.

Charles Darwin trovava queste dispute piutto-sto buffe. «È davvero ridicolo vedere quali diffe-renti idee prevalgano nelle menti dei vari natura-listi, quando parlano di specie», scrisse nel 1865.«Tutto ciò nasce, credo proprio, dal tentativo di de-finire l'indefinibile.» Le specie, obiettava Darwin,non erano fisse dal giorno della creazione: si eranoevolute. Ognuno dei gruppi di organismi che noichiamiamo specie ha inizio come varietà di unaspecie più antica. Con il tempo, la selezione natu-rale li trasforma, man mano che si adattano al lo-ro ambiente. Altre varietà, nel frattempo, si estin-guono; a un certo punto una delle varietà finisceper essere nettamente differente da tutti gli altri or-ganismi, diventando ciò che noi consideriamo unaspecie. «Io considero il termine "specie" come untermine assegnato arbitrariamente, per comodità, aun gruppo di individui che si assomigliano stretta-mente fra loro», dichiarò Darwin.

Come i tassonomisti che l'avevano preceduto,però, Darwin poteva studiare le specie solo visiva-mente, osservando il colore di una piuma d'uccel-lo o contando le piastre di un cirripede. Si dovevaarrivare ai primi del XX secolo perché gli scien-ziati potessero cominciare a esaminare le diffe-renze genetiche tra le specie. Queste nuove ricer-che portarono a un nuovo modo di pensare: ciòche rendeva tale una specie erano le barriere chele impedivano di riprodursi con altre specie. I ge-ni potevano fluire tra i suoi membri durante l'ac-

coppiamento, ma in genere le barriere riproduttivemantenevano gli individui all'interno della specie.Specie diverse deponevano le uova in periodi dif-ferenti dell'anno o non erano attratte dai canti dicorteggiamento di altre specie, o i loro DNA eranosemplicemente incompatibili.

Tra i vari modi in cui si evolvono queste bar-riere, il più noto e studiato è l'isolamento: alcu-ni membri di una specie già esistente - una popo-lazione - perdono la possibilità di accoppiarsi conil resto della specie stessa; per esempio perché unghiacciaio si estende fino a dividere in due l'area diinsediamento. Nella popolazione così isolata evol-vono nuovi geni, alcuni dei quali possono rende-re difficile, o addirittura impossibile, l'incrocio. Nelcorso di centinaia di migliaia di anni, si evolvonocosì tante barriere che alla fine la popolazione iso-lata diventa una specie distinta.

La comprensione del modo in cui evolvono lespecie condusse a una nuova concezione di ciòche significa essere una specie. Ernst Mayr, un or-nitologo tedesco, dichiarò che le specie non eranoetichette di comodo ma entità reali, come le mon-tagne o le persone. Nel 1942 definì la specie comeun pool di geni, attribuendo il nome a un insiemedi popolazioni in grado di riprodursi con succes-so fra loro e incapaci di riprodursi con altre popo-lazioni. Il concetto biologico di specie divenne lostandard accademico.

Col tempo, però, molti cominciarono a esserneinsoddisfatti, ritenendolo troppo debole per aiuta-re a dar senso al mondo dei viventi. Per esempiola definizione di Mayr non dà alcuna indicazio-ne su quanto debba essere riproduttivamente iso-lata una specie per qualificarsi come tale. I biolo-gi continuano a lambiccarsi il cervello su specieche pur essendo abbastanza distinte si incrocianoregolarmente; di recente, per esempio, in Messicosi è scoperto che due specie di scimmie separatesitre milioni di anni fa da un antenato comune con-tinuano ancora a incrociarsi. Non faranno tropposesso per qualificarsi come due specie diverse?

Ma se alcune specie fanno un po' troppo ses-so, altre non ne fanno abbastanza. I girasoli, peresempio, vivono in popolazioni estremamente iso-late sparse per tutto il Nord America, ed è mol-to raro che dei geni passino da una popolazio-ne all'altra. Seguendo alla lettera la concezione diMayr si potrebbe considerare ogni popolazione digirasoli come una specie a parte.

I problemi più seri, comunque, li pongono lespecie che di sesso non ne fanno affatto. Prendia-mo una specie di microscopici animali marini chia-mati rotiferi bdelloidei. La maggior parte dei rotife-ri si riproduce sessualmente, ma i rotiferi bdelloidei

L'universo di LinneoLinneo

animali,

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è biologico

collezione

sviluppò le basi della moderna tassonomia nel Settecento, ripartendo

in gruppi ordinati gerarchicamente che vanno dal livello del regno

piante, funghi) fino alla singola specie, ciascuna delle quali presenta

unica di tratti osservabili.

tutto ciò che

(come

una propria

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Regno n̂ In a

Animalia - . • • .Organismi mobili pluricellulari

incapaci di sintetizzare il

proprio nutrimento (eterotrofi)

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PhylumChordata

Organismi dotati di vergascheletrica flessibile(notocorda) e cordone nervoso

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ClasseAmphibiaor

semi-acquaticia sangue freddo, senzauova amniotiche

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OrdineAnuraAdulti privi di codacon cute floscia e cintopettorale osseo I

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GenereLitoriaRaganelle con pupilleorizzontali (non rotonde)

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Spesso i naturalisti incontrano difficoltà

nel distinguere una specie dall'altra. La .

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ha, in Scozia, un piumaggio diverso da

quello che presenta in Finlandia (a

sinistra), ma non è chiaro se questa

differenza giustifichi una suddivisione •

di questi animali in due specie separate. ..... ...-

. ...

54 LE SCIENZE

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www.lescienze.it

LE SCIENZE 55

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La biologia è destinoI libri di testo definiscono una specie come un gruppo di organismi che condividono un insieme

di geni. Secondo il concetto biologico di specie i membri di una popolazione sono in grado di

accoppiarsi con successo fra loro e con quelli di altre popolazioni della stessa specie,

ma non con gli individui di altre specie.

Ma...

Alcuni organismi - come i rotiferi bdelloidei - non

fanno sesso. E due specie di scimmie urlatrici

messicane (nella foto), la cui divergenza da un

antenato comune risale a tre milioni di anni fa, si

accoppiano ancora regolarmente fra loro.Popolazione

Alouattapatriota>

Specie di uccelli n. 1

Alouattapigra>

Specie di uccelli n. 2

Linneo, versione 2.0Il concetto filogenetico di specie emerse a partire da un nuovo approccio alla

classificazione delle forme di vita, detto sistematica filogenetica, che, contrariamente al

sistema di Linneo, tiene conto della storia evolutiva. Ignorando la questione della possibilità

o meno di accoppiamento tra due popolazioni, si definisce una specie come un gruppo di

organismi che condivide un antenato comune con altre specie ma se ne distingue per aver

acquisito in seguito dei tratti caratteristici. Un albero filogenetico, spesso chiamato albero

della vita, mostra come le diverse specie si diramino da un antenato comune, man mano

che acquisiscono tratti di cui l'antenato era privo. L'albero qui sotto elenca alcuni dei tratti

accumulati da pesci e animali terrestri nel corso dell'evoluzione.

Antenato •comune

Polliceopponibile

StazioneerettaTratti distintivi

Arti Peli

Ma...

Alcuni critici sostengono che

l'approccio filogenetico porta a

un eccesso di suddivisione.Per esempio il leopardo nebulosodel Borneo è stato recentementeclassificato come specie a causadel peculiare manto scuro, ma

alcuni ritengono che questa

caratteristica potrebbe non

essere di per sé sufficiente a

giustificarne il raggruppamento

come specie separata dagli altri

leopardi nebulosi dell'Asia

meridionale.

L'AUTORE

CARL ZIMMER scrive di evoluzione

per il «New York Times», il «National

Geographic» e altre pubblicazioni.

Ha scritto sei libri, il più recente dei

quali è intitolato: Microcosm: E. coli

and the New Science of Life.

56 LE SCIENZE

hanno abbandonato il sesso circa 100 milioni dianni fa Tutti i rotiferi bdelloidei sono femmine,e producono embrioni senza bisogno di sperma.Stando al concetto biologico di specie, questi roti-feri sono passati dall'essere una specie al non esse-re più una specie: qualunque cosa ciò significhi.

Un'equazione senza sesso

Tutto questo ha portato a escogitare nuovi modiper definire una specie. Uno dei più accreditati ri-vali del concetto biologico di Mayr, il concetto fi-logenetico di specie, esclude il sesso dall'equazionee mette al suo posto la discendenza da un antena-to comune.

Gli organismi imparentati tra loro hanno deitratti in comune perché hanno in comune gli an-tenati. Esseri umani, giraffe e pipistrelli discendo-no tutti dagli antichi mammiferi, e di conseguenzasono tutti dotati di peli e secernono latte. All'in-terno del gruppo dei mammiferi, gli esseri uma-ni condividono con gli altri primati un'ascenden-za più prossima. Dall'antenato comune, gli odierniprimati hanno ereditato altri tratti, come gli occhiorientati in avanti. In questo modo, restringendosempre di più il campo di analisi, si possono in-dividuare gruppi di organismi sempre più ristret-

ti. Alla fine, però, non si può più andare avanti:ci sono organismi che formano gruppi che non sipossono suddividere ulteriormente. Questi gruppi,secondo il concetto filogenetico, sono appunto lespecie. In un certo senso, questa concezione partedall'originario sistema di Linneo e lo aggiorna allaluce dell'evoluzione.

Il concetto filogenetico è stato accolto con fa-vore da chi ha bisogno di identificare le specie, piùche di contemplarle. Per riconoscere una specie sideve trovare un gruppo di organismi che condivi-dono tratti ben determinati, senza basarsi su qua-lità incerte come l'isolamento riproduttivo. Peresempio, di recente i leopardi nebulosi del Borneosono stati elevati a specie autonoma, distinta daglialtri leopardi nebulosi dell'Asia meridionale, per-ché condividono alcuni tratti che non si ritrovanonei felini del continente.

Secondo alcuni però, oggi c'è la tendenza a sud-dividere un po' troppo. «Il problema di questa defi-nizione è che non ci dà un livello naturale cui fer-marsi», dice Georgina Mace dell'Imperial Collegedi Londra. In teoria, basterebbe un'unica mutazio-ne a definire un piccolo gruppo di animali comespecie autonoma. Mace sostiene inoltre che unapopolazione andrebbe considerata distinta anche

480 agosto 2008

in termini ecologici - geografia, clima e relazionidi predazione - prima che si possa decidere che èuna nuova specie.

Altri pensano invece che bisogna andare do-ve portano i dati, anziché preoccuparsi di esage-rare con le suddivisioni. «L'idea che debba esistereuna specie di tetto limite al numero delle specie -sottolinea John Wiens, biologo della Stony BrookUniversity - non sembra molto scientifica».

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Più confusione che sostanzaQualche anno fa, queste interminabili dispu-

te hanno convinto Kevin de Queiroz, biologo del-la Smithsonian Institution, che il dibattito sul con-cetto di specie si era spinto troppo in là. Moltediscussioni non riguardavano questioni di sostan-za, erano semplice confusione. In effetti la mag-gior parte delle definizioni di specie concorda sualcuni aspetti fondamentali, per esempio la nozio-ne che una specie è una linea distinta di discen-denza in evoluzione. Per de Queiroz, è questa ladefinizione fondamentale di specie, e il disaccor-do non è su che cosa sia una specie, ma su come sifa a riconoscerla. De Queiroz ritiene che a secondadei casi funzionino meglio metodi diversi. Un for-te isolamento riproduttivo è una buona prova cheuna popolazione di uccelli costituisce una specie,ma non è l'unico criterio che si può usare. Per i ro-tiferi bdelloidei, che non si riproducono sessual-mente, vanno usati criteri d'altro genere.

Molti altri esperti (ma non tutti) condivido-no l'ottimismo di de Queiroz, e invece di cercareuno standard universale sottopongono le possibilinuove specie a più criteri diversi di indagine. JasonBond, biologo della East Carolina University, conAmy Stockman, ha adottato questo approccio nel-lo studio di un enigmatico genere di ragni, Promyr-mekiaphila. È da un pezzo che ci si affanna per sta-bilire quante siano le specie di Promyrmekiaphila,cosa non facile perché all'aspetto sono quasi identi-ci. D'altra parte è noto da tempo che probabilmenteformano popolazioni assai isolate, in larga misuraperché ogni individuo ha poche chance di allon-tanarsi molto da casa. «Una volta che si è scavatauna buona tana con la sua brava botola e il rivesti-mento di seta, è improbabile che una femmina tra-slochi», dice Bond, che ha scavato tane di Promyr-mekiaphila contenenti tre generazioni di femmine,che vivevano lì da anni. I maschi lasciano le tanein cui nascono, ma non si allontanano molto pri-ma di accoppiarsi con una femmina di una delletane del vicinato.

Per identificare le specie di questi ragni, Bonde Stockman hanno studiato la storia evolutiva diPromyrmekiaphila, misurato il flusso genico frale popolazioni e caratterizzato il ruolo ecologicodi questi ragni. Per ricostruirne la storia evolutiva,hanno decifrato la sequenza di alcune parti di duegeni in 222 ragni per poi esaminarne il DNA incerca di marcatori che mostrassero il grado di pa-rentela tra i vari ragni. Poi hanno cercato versionidiverse dei geni in popolazioni differenti per avereprove del flusso genico. E infine hanno registratole condizioni climatiche in cui vive ciascun gruppodi ragni. Alla fine, sono riusciti a identificare sei

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Mettere insiemeil meglioVista la confusione, alcuni ricercatori

hanno cominciato a costruire

classificazioni filogenetiche andando

al di là della storia evolutiva, per

combinarla con dati molecolari,

ecologici, comportamentali e

biologici. Per esempio Jason Bond e

una sua studentessa, alla East

Carolina University, hanno studiato

un genere di ragni,

Promyrmekiaphila (sotto) che si

trova in California. I due hanno

analizzato la storia evolutiva e il

ruolo ecologico dei ragni, hanno

decifrato le sequenze geniche di 222

esemplari raccolti in 78 siti, e infine

hanno sfruttato le informazioni

raccolte per raggruppare gli animali

in sei specie.

Sezione trasversale di una zolla di trecentimetri cubi di un tappeto costituito

interamente di microbi raccoltanella Octopus Spring di Yellowstone

• Diverse specie del batterio

Synechococcus si stabiliscono a

diverse profondità (quelli giallo-verdi in superficie e quelli verdescuro in uno strato inferiore)all'interno del millimetro superiore

del tappeto microbico.albe

Tappeto microbico

Ma i microbi appartengono a... ?I biologi hanno sempre trovato difficoltà nel raggruppare in specie i microrganismi. I

batteri non hanno rapporti sessuali, si limitano a dividersi in due. E le differenze genetiche

tra batteri che si vuole appartengano alla stessa specie in base alla somiglianza

dell'aspetto esteriore e del comportamento possono essere enormi. Secondo alcuni

ricercatori i batteri possono essere classificati in specie separate in base alla genetica e

alla nicchia ecologica che occupano. In una sorgente calda dello Yellowstone National Park

(nella foto), diverse specie del cianobatterio Synechococcus si trovano a diverse profondità

o in aree a temperatura diversa (nicchie).

alla lontana: una versione microbica delle barriereche separano le specie animali

L'analogia presenta però alcuni problemi. Pian-te e animali possono scambiarsi i geni ogni vol-ta che si riproducono, mentre i microbi lo fannomolto di rado. E quando poi si scambiano geni lofanno con stupefacente promiscuità. Nell'arco dimilioni di anni possono acquisire un gran nume-ro di geni, provenienti non solo dai parenti pros-simi ma anche da organismi appartenenti a regni

E completamente diversi. Un po' come se nel nostrogenoma si ritrovassero centinaia di geni prove-

3 nienti da millepiedi, betulle e tartufi. Questo flusso

LettureEvoiution: The Triumph of an Idea.

Zimmer C., HarperCollins, 2006.

What Evo lution Is. Mayr E., Basic

Books, 2001.

Speciation. Coyne J.A. e Orr H.A.,

Sinauer Associates, 2004.

Sito web sull'evoluzione realizzato dal

Museo di paleontologia dell'Università

della California: http://evolution.berkeley.edu/evolibrary/home.php.

Due speciedi batteristrettamenteimparentatepossono esserepiù diverse traloro di quantogli esseri umanisiano diversida tutti gli altriprimati

specie che rispondono a tutti e tre i criteri. Se fos-sero accettati, questi risultati raddoppierebbero ilnumero delle specie di Promyrmekiaphila.

Questo approccio permette di studiare organi-smi che un tempo erano difficili da collocare inuna qualunque definizione di specie. Dato che nonfanno sesso, i rotiferi bdelloidei non rientrano benenella definizione biologica. Il gruppo di Tim Bar-raclough, all'Imperial College di Londra, ha usatoaltri metodi per determinare se i rotiferi si suddi-vidano in gruppi simili a specie. Prima ha deter-minato le sequenze di DNA e costruito un alberoevolutivo: il risultato è stato un albero con pochirami lunghi, in cima a ognuno dei quali c'era unciuffo di corti ramoscelli. Poi ha esaminato il cor-po dei rotiferi di ogni ciuffo, scoprendo che ave-vano forme simili. La diversità dei rotiferi, in altreparole, non è affatto confusa. Gli animali forma-no gruppi che sono probabilmente il risultato di li-nee di discendenza diverse adattate a nicchie eco-logiche diverse. Se questi gruppi non sono specie,ci somigliano molto.

Il posto dei microbi

La maggior parte del lavoro sull'idea di spe-cie negli ultimi anni ha riguardato animali e pian-te. È un pregiudizio che nasce dalla storia: anima-li e piante erano le sole cose che potevano studiareLinneo e i primi tassonomisti. Oggi però sappiamoche la percentuale di gran lunga prevalente di di-versità genetica si trova nel mondo invisibile deimicrorganismi, che da tempo costituiscono l'enig-ma più intricato in tema di concetto di specie.

Nell'Ottocento, quando cominciarono a darenomi alle specie, i microbiologi non avevano piu-me o fiori da studiare come gli zoologi e i botanici.In genere i microrganismi si somigliano moltissi-mo. Alcuni sono a forma di bastoncino, altri sonopiccole sfere. Per distinguere tra due batteri a for-ma di bastoncino i microbiologi ne studiavano ilmetabolismo: un tipo di microbi poteva essere ingrado di nutrirsi, diciamo, di lattosio, e l'altro no.A partire da indizi di questo genere, i microbiolo-gi riuscirono a descrivere specie come Escherichiacoli o Vibrio cholerae. Alla base, tuttavia, non c'eraalcuna chiara idea di che cosa significasse appar-tenere a una specie per un microrganismo. Quan-do poi Mayr tirò fuori il suo concetto biologico dispecie, molti microbi sembrarono restarne esclu-si. Dopotutto i batteri non sono divisi in maschi efemmine che devono riprodursi sessualmente: pos-sono semplicemente dividersi in due.

La confusione aumentò quando si iniziò adanalizzarne il DNA. Per valutare quanto fossero di-versi i DNA di due specie microbiche se ne sele-

zionarono piccoli frammenti da confronta-re fra loro. E si scoprì, con grande sorpresa,

che le differenze potevano essere enormi. Duespecie di batteri collocate nello stesso gene-

re in base al loro metabolismo poteva-no rivelarsi più diverse fra loro di quan-

to lo siano gli esseri umani da tutti gli altri primati.E batteri della stessa specie potevano condurre lapropria vita in modi radicalmente differenti. Alcu-ni ceppi di Escherichia coli, per esempio, vivononel nostro intestino senza fare danni, mentre altripossono causare malattie mortali. «La variazionegenetica all'interno di una stessa specie è talmen-te enorme che nel caso di batteri e Archaea il ter-mine "specie" non ha lo stesso significato che perle piante o gli animali pluricellulari», dice JonathanEisen dell'Università della California a Davis.

Alcuni ricercatori hanno sostenuto che forseanche i microrganismi rientrano nel concetto bio-logico di specie, ma a modo loro. I batteri non siaccoppiano, ma anch'essi si scambiano geni. I vi-rus possono trasportare geni da un ospite all'altro,o può avvenire che i batteri incorporino DNA nu-do, e che questo vada poi a finire nel loro genoma.C'è qualche prova che i ceppi strettamente impa-rentati scambino più geni di quelli imparentati più

di geni, secondo alcuni, mina qualsiasi idea di spe-cie nei microrganismi.

Ma altri ricercatori prendono le specie micro-biche più seriamente, sostenendo che i micro-bi, come i rotiferi, non variano in modo confusoma si presentano in gruppi adattati a particolarinicchie ecologiche. La selezione naturale impedi-sce che questi gruppi si confondano favorendo inuovi mutanti che risultano ancor meglio adatta-ti alle proprie nicchie. «C'è un'unica sottile linea didiscendenza che va avanti», dice Frederick Cohandella Wesleyan University. Quella sottile linea didiscendenza, sostiene, è appunto una specie.

Cohan e i colleghi hanno trovato specie micro-biche di questo tipo nelle sorgenti calde dello Yel-lowstone National Park. I microbi formano gruppigenetici e gruppi ecologici. Ciascun gruppo di mi-crobi geneticamente imparentati vive in una certanicchia all'interno delle sorgenti calde: per esem-pio preferisce una certa temperatura, o ha bisognodi una determinata quantità di luce solare. Secon-do Cohan, questo basta a giustificare che si dia ilnome di specie a un gruppo di microbi. Insiemeai suoi collaboratori, è impegnato nel tradurre gliesperimenti in un insieme di regole, che speranosaranno adottate anche da altri quando si tratta didare un nome a nuove specie.

Queste regole spingeranno probabilmente gliscienziati a suddividere un certo numero di tra-dizionali specie microbiche in parecchie altre. Perevitare confusioni, Cohan non propone nomi deltutto originali, ma vuole invece aggiungere alla ti-ne del nome tradizionale un nome «ecovar» (chesta per «variante ecologica»). Per esempio il cep-po batterico che causò il primo episodio epidemicomai registrato di legionellosi, a Philadelphia, do-vrebbe essere chiamato Legionella pneumophilaecovar Philadelphia.

Capire la natura delle specie microbiche potreb-be essere utile agli operatori di sanità pubblica perprepararsi alle nuove malattie che potranno emer-gere nel futuro, dice Cohan. I batteri responsabi-li di malattie spesso evolvono a partire da microbirelativamente innocui che vivono tranquillamen-te all'interno dell'ospite. Possono volerci decennidi evoluzione prima che organismi di questo ge-nere causino un'epidemia abbastanza vasta da es-sere registrata. Una classificazione di queste nuovespecie potrebbe permettere di prevedere e anticipa-re lo scoppio degli episodi epidemici, e dare il tem-po di preparare una risposta.

Risolvere il mistero della specie, quindi, non èimportante solo per capire la storia della vita o perproteggere la biodiversità: potrebbe dipenderne lanostra stessa salute. •

58 LE SCIENZE

480 agosto 2008

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