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Dottorato in Storia e analisi delle culture musicali XXVI ciclo Struttura e memoria nellopera di Morton Feldman Dottorando: Marco Crescimanno Tutor: Prof. Pietro Misuraca Co-tutor: Prof. Giampiero Moretti ____________ Anno Accademico 2013-2014

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Dottorato in Storia e analisi delle culture musicali XXVI ciclo

Struttura e memoria nell’opera di Morton Feldman

Dottorando: Marco Crescimanno

Tutor: Prof. Pietro Misuraca

Co-tutor: Prof. Giampiero Moretti

____________

Anno Accademico 2013-2014

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In copertina: Morton Feldman a Palermo, 1968. Fotografo ignoto.

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Con molti pezzi di Feldman, se non li puoi ascoltare, dubito che studiare la partitura possa aiutare a comprenderli.

F. O’Hara, Nuove direzioni della musica: Morton Feldman

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Ringraziamenti Senza il contributo di molte persone questa tesi non sarebbe mai stata scritta. Finalmente è arrivato il momento in cui posso esprimere a tutti loro la mia vera e profonda riconoscenza. Innanzitutto voglio ringraziare il mio tutor Pietro Misuraca e tutto il collegio dei docenti del dottorato per come hanno saputo incoraggiarmi, per come hanno saputo accogliere le mie preoccupazioni, e per la pazienza con la quale hanno sopportato tutti i miei ritardi nelle consegne. Devo ai miei primi professori Amalia Collisani, Paolo Emilio Carapezza e Federico Incardona la cornice etica e interpretativa attraverso la quale ho imparato a guardare il mondo, la musica e la musicologia. Sono infinitamente grato a Marco Lenzi, Carmelo Calì, Elena Dubinets, Wilhoite Meghann, Pierluigi Billone, per la generosità con la quale mi hanno messo a disposizione prezioso materiale di studio e riflessione. Sono ancora riconoscente a molti amici e amiche il cui caloroso affetto mi è stato di conforto quand’ero in preda allo sconforto o che mi hanno offerto con cordiale ospitalità un tetto, un letto e un pasto caldo nelle mie trasferte romane: Zhanna Agalakova, Valentina Alberti, Francesca Arici, Sara Bagnati, Andrea Balduini, Clelia Bartoli, Valentina Bertolani, Olga Borovik, Ulrike Brand, Marco Brigaglia, Erica Capizzi, Claudia Cimino, Gaia Colombo, Emilio Corallino, Ruggero Cortini,

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Andrea Cusumano, Nicola Cusumano, Paolo Cuttitta, Maria De Simone, Angela Fodale, Lucia Galluzzo, Gabriele Garilli, Emanuele Giarrusso, Matteo Giuggioli, Ilaria Grippaudo, Massimiliano Guido, Marco Gurrieri, Irene Ientile, Hans W. Koch, Francesco La Licata, Dario Lo Cicero, Marco Lo Cicero, Silvia Lombardi, Stefano Lombardi Vallauri, Giuseppe Lomeo, Faro Maltese, Luca Mancini, Giada Marsadri, Anna Morris, Federico Muciaccia, Elisa Novara, Rocco Pellino, Renato Perina, Gabriele Politi, Stefan Preyer, Monika Prusak, Ingrid Pustijanac, Eileen Quinn, Jacopo Radice, Elisabetta Ragusa, Nicolò Rizzi, Claudio Rizzoni, Ilaria Sainato, Giulia Sajeva, Claudia Savona, Giorgio Savona, Alessandra Sciabica, Alessandro Sinopoli, Gilmo Sorrentino, Francesca Spirio, Agnese Toniutti, Matteo Vaccaro, Letizia Viola, Andreas Wagner, Eloisa Zoia. Grazie anche ad Angela Davì, Elisa Faraci, Francesco Ferraro, Vera Gargano, Fabio Seminerio, Giovanni Vivacqua, Calogero Lo Piccolo e Maria Teresa Napoli. Loro sanno perché. Un debito di riconoscenza inesauribile mi lega alla mia famiglia che mi sostiene da quando esisto e inoltre, infine, a Florinda.

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INDICE

Ringraziamenti p. 3

Premessa p. 6 Parte prima – La posizione di Feldman e le prospettive degli studi musicologici sulla sua opera

1.1. Su alcune idee di Feldman p. 8 1.2. La ricerca musicologica su Feldman p. 16

Parte seconda – Prospettive metodologiche. Memoria e percezione nella musica

2.1. Sul funzionamento della memoria umana p. 35 2.2. L’Auditory Scene Analysis p. 46

Parte terza – L’analisi

3.1. Le opere degli anni Cinquanta-Sessanta p. 71 3.1.1. Notazione convenzionale p. 72

3.1.2. Graph pieces p. 107

3.1.3. Free durational music p. 112

3.2. Le opere degli anni Settanta p. 121

3.3. Le opere degli anni Ottanta p. 134 3.4. Conclusioni p. 166

Bibliografia generale p. 172

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Premessa Il ruolo della memoria nella musica di Morton Feldman è stato tematizzato da

Feldman stesso fin dagli anni Ottanta e poi da molti contributi musicologici sulla sua opera. Tuttavia è mancata nella maggior parte dei casi una prospettiva più specificamente cognitivista, basata sul riconoscimento della relazione tra percezione, schemi strutturali e memoria.

Gli studi sulla memoria hanno dimostrato come essa dipenda fortemente dalla presenza di schemi strutturali tra gli elementi con i quali entriamo in relazione. La presenza di una struttura riconoscibile che metta in relazione i vari elementi di una certa sequenza permette cioè di ricordare quella sequenza più facilmente rispetto ad un’altra in cui non vi siano collegamenti strutturali riconoscibili. Questo vale per sequenze di numeri, come per lettere, parole o suoni.

Il modo in cui determinate caratteristiche sonore producono – a vari livelli – relazioni strutturali significative alla percezione è stato indagato tra gli altri in modo particolarmente approfondito da Albert Bregman che nei suoi studi su quella che viene definita Auditory Scene Analysis descrive i meccanismi che consentono al nostro sistema uditivo di rintracciare/riconoscere/costruire relazioni strutturali significative tra i suoni.

In questo lavoro analizzerò alcune opere di Feldman appartenenti ai diversi periodi compositivi che si possono delineare all’interno della sua produzione, contraddistinte da caratteristiche affatto diverse. I principi dell’ASA saranno alla base della mia analisi che in questa prospettiva metterà in evidenza come le

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scelte compositive operate da Feldman in alcuni casi tendano ad assecondare la formazione di strutture percettive significative ed in altri invece a contrastare la formazione di relazioni strutturali. Nella sua produzione più tarda Feldman sembra infine tentare una paradossale ossimorica sintesi tra questi estremi. I principi dell’ASA forniranno inoltre una cornice esplicativa all’interno della quale dare ragione delle conseguenze di queste scelte sulla percezione e sulla memoria.

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Parte prima

La posizione di Feldman e le prospettive degli studi musicologici sulla sua opera

1.1. Su alcune idee di Feldman

It was not that long ago that Morton Feldman’s music […] was considered (more or less) resistant to analysys.1

Questo è l’esordio col quale apre la sua dissertazione Catherine Costello

Hirata nel 2003. L’idea che la musica di Feldman sia in qualche modo «resistente all’analisi»

è stata certamente alimentata da diverse dichiarazioni fatte dallo stesso Feldman in varie occasioni. Per esempio in Boola Boola (1966) Feldman ironizza sulle metodologie usate nelle università americane per l’insegnamento della composizione:

[…] an article in The Nation […] informed me that the most advanced music in

America is being written in certain colleges throughout the country, and that a sort of musical Renaissance is taking place in these colleges […].

What it all boils down to is this. If a man teaches composition in a university, how can he not be a composer? […]

It becomes increasingly obvious that to these fellows, music is not an art. It is a process of teaching teachers to teach teachers. […]

1 Catherine Costello Hirata, Analyzing the Music of Morton Feldman, PhD Dissertation, Columbia

University, 2003, p. 1.

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Have you ever looked into the eyes of a survivor from the composition department of Princeton or Yale? He is on his way to tenure, but he’s a drop-out in art.2 In The Anxiety of Art (1965) polemizza con i “sistemi” e l’“artigianato”

compositivo opponendoli alla “sensibilità al suono”:

[…] the real tradition of twentieth-century America, a tradition evolving from the empiricism of Ives, Varèse and Cage, has been passed over as “iconoclastic” – another word for unprofessional. In music, when you do something new, something original, you’re an amateur. Your imitators – these are the professionals.

It is these imitators who are interested not in what the artist did, but the means he used to do it. This is where craft emerges as an absolute, an authoritarian position that divorces itself from the creative impulse of the originator.

[…] What composers apparently seek today is an infallible technical position. Altough they claim to be so selective, so responsible for their choices, what they really choose is a system or a method that, with the precision of a machine, chooses for them.

[…] Of course, the history of music has always been involved in controls, rarely

with any new sensitivity to sound.3 In Predeterminate/Indeterminate (1965) pone in opposizione l’approccio

“decontrollato” della New York School4 con l’approccio sistematico di Boulez e Stockhausen:

2 Morton Feldman, Boola Boola, in Id., Give My Regards to Eight Street. Collected Writings of Morton Feldman, ed. by B. H. Friedman, Exact Change, Cambridge, MA, 2000, pp. 45-48. 3 Morton Feldman, The Anxiety of Art, in Id., Give My Regards to Eight Street, pp. 23-27. 4 La definizione “New York School” è stata storicamente applicata sia a un gruppo di pittori astratti

americani (Rothko, De Kooning, Kline, Pollock ecc.), sia ad una tendenza letteraria (che raccoglieva le figure di O’Hara, Ashbery, Koch, Schuyler), come pure infine ai compositori John

Cage, Morton Feldman, Earle Brown, Christian Wolff insieme col pianista David Tudor. Per altro gli scambi tra i tre gruppi erano diversi, intensi e fecondi (cfr. Marco Lenzi, L'estetica musicale di Morton Feldman, Ricordi-Lim, Milano, 2009, pp. 16-17; Steven Johnson (ed. by), The New York Schools of Music and Visual Arts. John Cage, Morton Feldman, Edgard Varèse, Willem de Kooning, Jasper Johns, Robert Rauschenberg, Routledge, New York, 2002; Will Montgomery, ‹In

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[…] Boulez […] is everything I don’t want art to be. It is Boulez, more than any other composer today who has given system a new prestige – Boulez, who once said in an essay that he is not interested in how a piece sounds, only in how it is made.

[…] Between 1950 and 1951 four composers – John Cage, Earl Brown, Christian Wolff and myself – became friends, saw each other constantly – and something happened. Joined by the pianist David Tudor, each of us in his own way contributed to a

concept of music in which various elements (rhythm, pitch, dynamics, etc.) were de-controlled.

[…] Up to now the various elements of music (rhythm, ptch, dynamics, etc.) were only recognizable in terms of their formal relationship to each other. As controls are given up, one finds that these elements lose their initial, inherent identity. But it is just because of this identity that these elements can be unified within the composition. Without this identity there can be no unification. […] This catastrophe we allowed to take place. Behind it was sound – which unified everything. Only by “unfixing” the elements […] could the sounds exist in themselves – not as symbols, or memories which were memories of other music to begin with.

Though indeterminate music was decried as antiintellectual and even irrational, the methods used to arrive at it began, after a time, to arouse a certain interest. A number

of influential composers […] as Karlheinz Stockhausen had begun to incorporate these new “techniques” in their own thinking. Paradoxically, these were now used as new criteria for control. Stockhausen assumes, for example, that an indeterminate process will have the same effect in a “statistical” way as the most complex and accurate notation. Evidently he feels what we were trying to devise was some new way of coming upon the old result.5 In Between categories (1969) emerge un altro aspetto peculiare del pensiero

di Feldman. Oltre al suo approccio antimetodico e antisistematico nei confronti degli aspetti strutturali e costruttivi dell’opera musicale, Feldman rivendica qui un

Fatal Winds›: Frank O’Hara and Morton Feldman, in Frank O'Hara Now: New Essays on the New York Poet, ed. by Robert Hampson and Will Montgomery, Liverpool University Press, Liverpool, 2010). 5 Morton Feldman, Predeterminate/Indeterminate, in Id., Give My Regards to Eight Street, pp. 33-

36.

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approccio analogamente antimetodico nei confronti del controllo delle strutture temporali di un’opera musicale.

I once had a conversation with Karlheinz Stockhausen, where he said to me, “You

know, Morty – we don’t live in heaven but down here on earth.” He began beating on the table and said: “A sound exists either here – or here – or here.” He was convinced that

he was demonstrating reality to me. That the beat, and the possible placement of sounds in relation to it, was the only thing the composer could realistically hold on to. The fact that he had reduced it to so much a square foot made him think Time was something he could handle and even parcel out, pretty much as pleased.

Frankly, this approach to Time bores me. I am not a clockmaker. I am interested in getting to Time in its unstructured existence.6 In una conversazione del 1972 tra Earle Brown, Heinz-Klaus Metzger e

Feldman, quest’ultimo riguardo alla propria musica tra le altre cose affermava:

[…] the music seems to float, doesn’t seem to go in any direction, one doesn’t

know how it’s made, there doesn’t seem to be any type of dialectic, going alongside it, explaining it.7

In Crippled Symmetry (1981) descrive in questi termini il suo metodo di

lavoro con i pattern:8 6 Morton Feldman, Between Categories, in Id., Give My Regards to Eight Street, p. 87. 7 La registrazione e la trascrizione integrale della conversazione si trovano nel cofanetto di 4 LP

Music Before Revolution, EMI Electrola, 1C 165-289 54/57, 1972. Il frammento citato è in Morton Feldman, Earle Brown and Heinz-Klaus Metzger in Discussion, sul sito web «Morton Feldman Page», Morton Feldman Texts: http://www.cnvill.net/mfmetzgr.htm. Altri estratti si trovano in Morton Feldman, Earle Brown, Heinz-Klaus Metzger, Aus einer Diskussion, «Musik-Konzepte»,

48/49, Edition Text+Kritik, München 1986, pp. 148-154. 8 Un pattern è una struttura sonora minima, costituita da pochi elementi che possono essere

sottoposti a ripetizione, permutazione, o variazione. Forme di proto-pattern possono essere rintracciate localmente già nelle opere degli anni Cinquanta, ma a partire dagli anni Ottanta la presenza dei pattern si farà sempre più intensiva e Feldman creerà una serie di opere costruite

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My concern is: what is its scale when [the pattern are] prolonged, and what is the best method to arrive at it? My past experience was not to “meddle” with the material, but use my concentration as a guide to what might transpire. I mentioned this to Stockhausen once when he asked me what my secret was. “I don’t push the sounds around.” Stockhausen mulled this over, and asked, “Not even a little bit?”.9 Da un approccio così dichiaratamente conflittuale nei confronti di metodi e

sistemi compositivi deriva naturalmente anche una forma di distanza dall’analisi musicale. In A Life without Bach and Beethoven (1964) Feldman scrive:

For myself, most of my observations about my work are after the fact, and a

technical discussion of my methodology would be quite misleading.10

Idee analoghe erano per altro comuni negli ambienti della New York School

attorno a Feldman. Per esempio, Christian Wolff in un’intervista a William Duckworth dichiarava:

Feldman’s music, in my view, is unanalyzeable. You can’t do a normal analitical

number on it.11 John Cage nel suo articolo History of Experimental Music in United States

(1959) ricorda come Henry Cowell presentò un concerto con opere di Wolff, Brown, Feldman e Cage

Cowell remarked at New School before a concert of works by Christian Wolff, Earle

Brown, Morton Feldman, and myself, that here were four composers who were getting attraverso un uso omnipervasivo di questa tecnica. Vedremo più avanti in dettaglio l’uso dei

pattern da parte di Feldman e la loro funzione nella sua musica. 9 Morton Feldman, Crippled Symmetry, in Id., Give My Regards to Eight Street, pp. 142-143. 10 Morton Feldman, A Life without Bach and Beethoven, in Id., Give My Regards to Eight Street, p. 17. 11 William Duckworth, Talking Music, Schirmer, New York, 1995, p. 189.

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rid of glue. That is: where people had felt the necessity to stick sounds together to make a continuity, we four felt the opposite necessity to get rid of the glue so the sounds would be themselves.12 E Frank O’Hara nelle note per un disco della Columbia13 scriveva:

[…] this “metaphysical place”, this land where Feldman’s pieces live, […] where the form of a work may develop its inherent originality and the personal meaning of the composer may become explicit […] is the space which must be cleared if the sensibility is to be free to express its individual preference for sound and to explore the meaning of this preference. That the process of finding this metaphysical place of unpredictability and possibility can be drastic one is witnessed by the necessity Feldman felt a few years ago to avoid the academic ramifications of serial technique. Like the artists involved in the new American painting, he was pursuing a personal search for expression which could not be limited by any system.

This is in sharp contrast to the development of many of Feldman’s European contemporaries, for example Boulez and Stockhausen, whose process has tended

toward elaboration and systematization of method. Unlike Feldman’s their works are eminently suited to analysis […].14

Un altro aspetto per noi significativo del pensiero di Feldman è nelle sue

riflessioni sul ruolo della memoria in musica.15 Questo tema fa già una sua

12 John Cage, History of Experimental Music in United States, in Silence, Wesleyan University

Press, Middletown, CT, 1961, p. 71 (ed. it. Storia della musica sperimentale negli Stati Uniti, in Silenzio, trad. Giancarlo Carlotti, Shake Edizioni, Milano, 2010, p. 91). 13 New Direction in Music 2, Columbia Records, ML 5403/MS 6090, 1959. 14 Frank O’Hara, New Directions in Music: Morton Feldman, in M. Feldman, Give My Regards to Eight Street, p. 212. 15 Nell’introdurre l’argomento della memoria non possiamo evitare di segnalarne l’inesauribile

complessità e vastità. Molti sono i modi del ricordare (e del suo doppio negativo, l’obliare), e molte le funzioni della memoria nell’esperienza umana. Il fenomeno della memoria infatti è caratterizzato da molteplici aspetti che ne fanno un nodo controverso e contraddittorio al centro di diversi interessi interdisciplinari. Negli ultimi decenni vari studiosi hanno approfondito diversi

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precoce comparsa in uno scritto del 1962, Autobiography, dove a proposito dell’opera Projection 2 per flauto, tromba, violino, violoncello e pianoforte (1951)16 leggiamo:

My desire here was not to “compose”, but to project sounds into time, free from a

compositional rhetoric that had no place here. In order not to involve the performer (i.e.,

myself) in memory (relationships), and because the sounds no longer had an inherent symbolic shape, I allowed for indeterminacies in regard to pitch.17

Lo ritroviamo in una conversazione del 1976 tra Walter Zimmermann e

Feldman:

[Zimmermann:] I see in your pieces that every chord which follows tries to establish a completely different world from the former one.

[Feldman:] Yes. Actually now I just try to repeat the same chord. I’m reiterating the same chord in inversions. I enjoy that very much, to keep the inversions alive in a sense

where everything changes and nothing changes. Actually before I wanted my chords in a sense to be very different from the next, as if almost to erase in one’s memory what happened before. That’s the way I would keep the time suspended… by erasing the

aspetti di questo complesso fenomeno, interrogando tra l’altro la relazione tra memoria e scrittura, memoria e identità personale, memoria e identità collettiva, memoria e conoscenza mistico-esoterica, memoria, oblio e verità (cfr. p. e. Aleida Assmann, Ricordare. Forme e mutamenti della memoria culturale, trad. it. Simona Paparelli, Bologna, Il Mulino, 2002; Jan Assmann, La memoria culturale. Scrittura, ricordo e identità politica nelle grandi civiltà antiche, trad. it. Francesco De Angelis, Einaudi, Torino, 1997; Frances A. Yates, L’arte della memoria, Einaudi, Torino, 1972; Harald Weinrich, Lete. Arte e critica dell’oblio, trad. it. Francesca Rigotti, Il Mulino, Bologna, 1999). In questo lavoro ci limiteremo a prendere in considerazione la memoria da un punto di vista psicologico e fisiologico. Il nostro approccio sarà qui specificamente

cognitivista e riguarderà in particolare la funzione della memoria nell’ascolto musicale e il suo ruolo nella percezione temporale. 16 Morton Feldman, Projection 2, Edition Peters, EP 6940, New York, 1962. 17 Morton Feldman, Autobiography, in Id., Morton Feldman. Essays, hrsg. von Walter

Zimmermann, Beginner Press, Kerpen, 1985, p. 38.

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references and where they came from. You were very fresh into the moment, and you didn’t relate it.18

Ma è soprattutto dagli anni Ottanta che la memoria diventa una questione

centrale nel pensiero compositivo di Feldman. Nel sopra citato saggio Crippled Symmetry (1981) vi è un passaggio particolarmente illuminante, in cui Feldman mette in relazione memoria e forma musicale:

Musical forms and related processes are essentially only methods of arranging

material and serve no other function than to aid one’s memory. What Western musical forms have become is a paraphrase of memory. But memory could operate otherwise as well. In Triadic Memories [per pianoforte, 1981],19 a new piano work of mine, there is a section of different types of chords where each chord is slowly repeated. One chord might be repeated three times, another, seven or eight – depending on how long I felt it should go on. Quite soon into a new chord I would forget the reiterated chord before it. I then reconstructed the entire section: rearranging its earlier progression and changing the number of times a particular chord was repeated. This way of working was a

conscious attempt at “formalizing” a disorientation of memory.20

In una intervista con Michael Whiticker realizzata a Darmstadt nel 1984

Feldman afferma:

Music is essentially built upon primitive memory structures. The average listener doesn’t even feel that a piece has form unless something comes back with a certain slight variation: ternary - ABA - form, for example.

In my String Quartet [n. 2, 1983]21 – often I do things to alienate memory. For example, I might have something return, but it returns in a different ordering. It seems only a little familiar.

18 Walter Zimmermann, Epilog. Conversation between Morton Feldman and Walter Zimmermann,

in Morton Feldman, Morton Feldman. Essays, p. 230. 19 Morton Feldman, Triadic Memories, Universal Edition, UE 17326, London, 1981. 20 Morton Feldman, Crippled Symmetry, in Id., Give My Regards to Eight Street, p. 137. 21 Morton Feldman, String Quartet 2, Universal Edition, UE 17650, 1983.

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[…] So I put things into a different ordering. Some material might even return in another key […]. Or it might come back in another place where the instrumentation differs in only a very, very small way. So there’s the possibility for infinite variation. Actually, I have to work harder in constructing pieces these days because I don’t want “baby food” memory: I want real good, very sophisticated memory.22

E in una conferenza del 6 luglio 1986 a Middelburg dice:

I’m very involved with memory since I read a book eight years ago […]. it’s by […] Frances Yates and it’s called The Art of Memory23 […].

the function of memory in relation to musical forms was very, very important. […] I began to rethink memory, and it’s very apropos the violin concerto [1979].24

Because I finished reading the book at that time, I was very impressed with the book, and it was the beginning of my long pieces. […] This book made it possible for me to rethink musical forms […].25

1.2. La ricerca musicologica su Feldman Con i problemi sollevati dalle riflessioni di Feldman e con le particolari

«resistenze all’analisi» che la sua musica certamente pone, si sono confrontati molti studiosi, che nonostante le difficoltà poste specificamente dalle opere di Feldman, hanno mostrato come queste siano

22 Michael Whiticker, Morton Feldman: Conversation without Cage, «Ossia: a journal of

contemporary music», vol. 1, 1989, pp. 6-9. 23 Frances A. Yates, The Art of Memory, Routledge and Kegan Paul, London, 1966 (ed. it. L’arte della memoria, trad. di Albano Biondi, Einaudi, Torino, 1972, 1993). 24 Morton Feldman, Violin and Orchestra, Universal Edition, UE 16382, 1979. 25 Morton Feldman, Doing it one way and doing it another way. Lecture, 6 July 1986, in Id., Morton Feldman in Middelburg. Words on Music. Lectures and Conversations, ed. by Raoul Mörchen, MusikTexte, Köln, 2008, pp. 472-476.

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indeed carefully organized, planned and designed, in ways that cannot be adequately explained as the product of intuitive or chance procedures.26

E Noble sottolinea inoltre che

altough Feldman was not a college or university-educated composer […] he had

spent the better part of a decade studying with two very skilled and highly regarded composers in turn: Wallingford Riegger and Stefan Wolpe. The complexity and technical sophistication of Feldman’s works of the late 1940s […] is such as to confound any notion of Feldman’s naivety as a composer. Reading these pieces [Illusions per piano, 1948]27 in 1950, even Pierre Boulez found them ‘very finely developed’.28

Le difficoltà poste dalla musica di Feldman si ritrovano a diversi livelli. Oltre alla apparente omnipervasiva asistematicità della distribuzione

temporale degli eventi e delle loro relazioni nelle partiture con notazione convenzionale, un’ulteriore difficoltà è costituita dai particolari sistemi di notazione indeterminata che Feldman adotta in molte opere tra gli anni Cinquanta e Sessanta.

Per esempio nella serie delle Projections 1-5 (1950-51),29 o delle

26 Alistair Noble, Composing Ambiguity: The Early Music of Morton Feldman, Ashgate, Farnham,

2013, p. 7. 27 Morton Feldman, Illusions, New Music. A Quarterly of Modern Composition, New York, 1951. 28 A. Noble, Composing Ambiguity, p. 7. Il riferimento a Boulez proviene da The Boulez-Cage Correspondence, ed. by Jean-Jacques Nattiez and Robert Samuels, Cambridge University Press, Cambridge, 1993, p. 58 (ed. it. Pierre Boulez, John Cage. Corrispondenza e documenti, a cura di Jean-Jacques Nattiez, trad. di W. Edwin Rosasco, Archinto, Milano, 2006, p. 109). 29 Oltre alla già citata Projection 2 la serie delle Projections comprende: Projection 1 per

violoncello (1950), EP 6945, 1962; Projection 3 per due pianoforti (1951), EP 6961, 1964; Projection 4 per violino e pianoforte (1951), EP 6913, 1959; Projection 5 per tre flauti, tromba, tre violoncelli e due pianoforti (1951), EP 6962, 1964. Le partiture sono pubblicate da Edition Peters, New York. Le date tra parentesi si riferiscono all’anno di composizione.

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Intersections 1-4 (1951-53),30 o in altre opere come Atlantis (1959),31 …Out of ‹Last Pieces› (1961),32 The Straits of Magellan (1961),33 The King of Denmark (1964),34 o In Search of an Orchestration (1967),35 la partitura prescrive solo i registri da usare (acuto, medio e grave), alcune caratteristiche timbriche (p. e. pizzicato, armonico, flatterzunge), quanti suoni produrre simultaneamente, le durate dei suoni (o l’intervallo di tempo nel quale agire), e le dinamiche da usare,36 ma lascia aperta la determinazione delle altezze effettive da realizzare da parte dell’interprete.

30 La serie delle Intersections comprende: Intersection 1 per orchestra (1951), EP 6907, 1962;

Intersection 2 per pianoforte (1951), EP 6922, 1962; Intersection 3 per pianoforte (1953), EP 6915, 1962; Intersection 4 per violoncello (1953), EP 6960, 1964. Esiste anche una Marginal Intersection per grande orchestra (1951), EP 6909, 1962, e una Intersection for Magnetic Tape (1953), EP 6947, 1962. Le partiture sono pubblicate da Edition Peters, New York. Le date tra parentesi si riferiscono all’anno di composizione. 31 Morton Feldman, Atlantis per 17 strumenti, Edition Peters, EP 6906, New York, 1962. 32 Morton Feldman, …Out of ‹Last Pieces› per orchestra, Edition Peters, EP 6910, New York,

1962. 33 Morton Feldman, The Straits of Magellan per flauto, corno, tromba, arpa, chitarra elettrica,

pianoforte e contrabbasso, Edition Peters, EP 6919, New York, 1962. 34 Morton Feldman, The King of Denmark per percussioni, Edition Peters, EP 6963, New York,

1965. 35 Morton Feldman, In Search of an Orchestration per orchestra, Universal Edition, UE 15324,

London, 1969. 36 Nella serie delle Projections le dinamiche sono genericamente very low. Nelle Intersections

l’interprete è libero di scegliere any dynamic.

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M. Feldman, Projection 2 per flauto, tromba, violino, violoncello e pianoforte (1951), p.1

M. Feldman, In Search of an Orchestration per orchestra (1967), p. 1

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In un altro tipo di notazione indeterminata adottata dalla seconda metà degli anni Cinquanta, come nella serie delle Durations 1-5 (1960-61),37 dei Vertical Thoughts 1-6 (1963),38 o in opere come Piece for Four Pianos (1957),39 Intervals (1961),40 For Franz Kline (1962),41 o De Kooning (1963),42 le altezze dei suoni vengono al contrario prescritte esattamente, mentre le durate sono lasciate alla decisione degli interpreti, così da rendere il decorso temporale complessivo del brano indeterminato.

In alcuni casi viene adottata una notazione mista, convenzionale-indeterminata, in cui si possono trovare sia durate individualmente libere, sia sincroni strumentali vincolati verticalmente ma con ritmo libero, sia momenti precisamente ritmizzati.

37 La serie delle Durations comprende: Durations 1 per flauto contralto, pianoforte, violino e

violoncello (1960), EP 6901, 1961; Durations 2 per violoncello e pianoforte (1960), EP 6902, 1961; Durations 3 per violino, tuba e pianoforte (1961), EP 6903, 1962; Durations 4 per vibrafono, violino e violoncello (1961), EP 6904, 1962; Durations 5 per corno, vibrafono, arpa, pianoforte (e

celesta), violino e violoncello (1961), EP 6905, 1962. Le partiture sono pubblicate da Edition Peters, New York. Le date tra parentesi si riferiscono all’anno di composizione. 38 La serie dei Vertical Thoughts comprende: Vertical Thoughts 1 per due pianoforti (1963), EP

6952, 1963; Vertical Thoughts 2 per violino e pianoforte (1963), EP 6953, 1963; Vertical Thoughts 3 per soprano, flauto (e ottavino), corno, tromba, trombone, tuba, percussioni, pianoforte (e celesta), violino, violoncello e contrabbasso (1963), EP 6954, 1963; Vertical Thoughts 4 per pianoforte (1963), EP 6955, 1963; Vertical Thoughts 5 per soprano, tuba, percussioni, celesta e violino (1963), EP 6956, 1963. Le partiture sono pubblicate da Edition Peters, New York. Le date tra parentesi si riferiscono all’anno di composizione. 39 Morton Feldman, Piece for Four Pianos, Edition Peters, EP 6918, New York, 1962. 40 Morton Feldman, Intervals per basso-baritono, trombone, vibrafono, percussioni e violoncello,

Edition Peters, EP 6908, New York, 1962. 41 Morton Feldman, For Franz Kline per corno, campane tubolari, pianoforte, soprano, violino e

violoncello, Edition Peters, EP 6948, New York, 1962. 42 Morton Feldman, De Kooning per corno, percussioni, pianoforte (e celesta), violino e

violoncello, Edition Peters, EP 6951, New York, 1963.

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M. Feldman, Durations 3 per violino, tuba e pianoforte (1961), p. 1, primo sistema

M. Feldman, Vertical Thoughts 2 per violino e pianoforte (1963), p. 1, primo e secondo sistema

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Un caso particolare e unico di notazione indeterminata è quello di Intermission 6 (1953),43 la cui partitura è costituita da 15 eventi distribuiti su un foglio (7 altezze singole, 2 bicordi, 4 tricordi e 2 tetracordi) che possono essere eseguiti in qualunque ordine da uno o due pianisti.

M. Feldman, Intermission 6 per uno o due pianoforti (1953)

43 Morton Feldman, Intermission 6 per uno o due pianoforti, Edition Peters, EP 6928, New York,

1963.

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In un articolo del 2004 Dora Hanninen riassume i vari ostacoli che un analista può incontrare nell’opera di Feldman. In primo luogo vengono prese in considerazione le difficoltà legate alle notazioni indeterminate

What is it about Feldman’s music that makes it difficult to analyse? […]

Indeterminate notation is an obvious challenge. The notation for Projection 1 (1950), for

example, specifies instrument, articulation, register, time frame and instrumental coordination, but not actual pitches or durations;44 Piece for Four Pianos (1957) specifies pitch but not duration or synchronization among instruments. Notation for two late works, Why Patterns? (1978)45 and Crippled Symmetry (1983)46 is precise with respect to pitch and duration, but synchronization is somewhat free.47

In relazione a questi problemi Dora Hanninen si interroga sui quali possano

essere i metodi di lavoro più efficaci, accostandosi anche a pratiche più simili a quelle degli etnomusicologi

44 Ipotizziamo qui un refuso giacché in Projection 1 le durate sono determinate (Feldman nelle

istruzioni premesse alla partitura scrive: «Duration is indicated by the amount of space taken up by the square or rectangle, each box being potentially 4 icti. The single ictus or pulse is at the tempo 72 or thereabouts.»); inoltre non è chiaro il senso di instrumental coordination trattandosi di un brano per violoncello solo. Forse Hanninen aveva in mente un brano della serie delle Intersection come Marginal Intersection per orchestra per il quale Feldman prescrive: «The performer may make his entrance on or within each given time duration». 45 Morton Feldman, Why Patterns? per flauto (e flauto contralto e flauto basso), glockenspiel e

pianoforte, Universal Edition, UE 16263, London, 1978. 46 Morton Feldman, Crippled Symmetry per flauto (e flauto basso), percussioni e pianoforte (e

celesta), Universal Edition, UE 17667, 1983. Anche For Philip Guston (del 1984, per flauto (e ottavino, flauto contralto e flauto basso), percussioni e pianoforte (e celesta), Universal Edition, UE 17967, 1984) e For Christian Wolff (del

1986, per flauto e pianoforte (e celesta), Universal Edition, UE 18475, 1986) condividono le caratteristiche dei due brani qui citati da Dora Hanninen. Gli esecutori iniziano insieme il brano, poi ognuno prosegue con la propria scansione metrica e metronomica. 47 Dora A. Hanninen, Feldman, Analysis, Experience, «Twentieth-Century Music», vol. 1, n. 2,

2004, p. 226.

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[…] each of these indeterminacies raises the question of whether, or to what extent, analysts can work solely with the score rather than with individual performances, and whether, in focusing on individual performances rather than score, analysts must venture into what remains relatively unexplored terrain.48

M. Feldman, Crippled Symmetry flauto, percussioni e pianoforte, (1983), p. 1, primo sistema

N. B. L’incolonnamento delle battute non tragga in inganno. Gli strumenti cominciano il brano insieme, ma

proseguono poi indipendentemente, ognuno con le sue proprie indicazioni metriche.

Un’altra difficoltà è legata alla problema della segmentazione. Continua la Hanninen:

Segmentation is difficult in much of Feldman’s early music; it remains so in certain

late works, but for different reasons In Extensions 4 (1952-3),49 for example, shifty surfaces characterized by strong sonic disjunctions […] offer many options for segment

boundaries, but little repetition is available to encourage pattern formation. […] By about 1980 the situation is roughly reversed: the meticulously notated ‘pattern

compositions’ of Feldman’s last years are rife with repetition, but sonic disjunctions rarely cut across the texture as a whole.

48 D. Hanninen, Feldman, Analysis, Experience, p. 226. 49 Morton Feldman, Extensions 4 per tre pianoforti, Edition Peters, EP 6914, New York, 1962.

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[…] Patterns in a Chromatic Field (1981)50 and For Christian Wolff (1986) [are] two pieces that proceed by layering and realigning short pattern repeated within individual instruments. The result is a composite texture with a fluid sonic surface in which pervasive repetition affords multiple, overlapping segmentations rather than one definitive one.51

M. Feldman, Extensions 4 per tre pianoforti (1952-3), p. 1, primo e secondo sistema

50 Morton Feldman, Patterns in a Chromatic Field per violoncello e pianoforte, Universal Edition,

UE 17327, 1981. 51 D. Hanninen, Feldman, Analysis, Experience, pp. 226-227.

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M. Feldman, Patterns in a Chromatic Field per violoncello e pianoforte (1981), pag. 40, terzo sistema

La lunghezza estrema delle ultime opere di Feldman costituisce un’ulteriore

difficoltà,52 ma Hanninen sottolinea che il problema è qualitativo prima che quantitativo, e che minimo sarebbe il vantaggio di analizzare Coptic Light (1985)53 della durata di circa 25 minuti, piuttosto che String Quartet 2 (1983) della durata di circa 6 ore. Il problema piuttosto è «the identification of salient features that support memory and conceptualization».54 Infatti nelle opere tarde di Feldman secondo Hanninen

pattern extension tends to involve not literal repetition but semblances of repetition

– numerous, often uncoordinated, adjustments in duration, timbre, and pitch. Feldman’s penchant for pattern extension by near repetition poses a distinct cognitive challenge: the proliferation of near repetitions frustrates attempts to prioritize events by distinctive features, and thereby to categorize, or even remember, individual istances. The result is a superabundance of nuance that eludes conceptualization, leaves listeners with little to report, analysts with little to say.55

52 Si possono incontrare opere come Triadic Memories per pianoforte (1981) di un’ora e mezza, o

For Philip Guston per flauto, percussioni e pianoforte (1984) della durata di quattro ore, o il secondo quartetto per archi (1983) di cinque-sei ore. 53 Morton Feldman, Coptic Light per orchestra, Universal Edition, UE 18435, London, 1986. 54 D. Hanninen, Feldman, Analysis, Experience, p. 227. 55 D. Hanninen, Feldman, Analysis, Experience, p. 227. Nella parte dedicata all’analisi

osserveremo più in dettaglio le caratteristiche di queste near repetitions e il loro ruolo sulla memoria nell’ascolto.

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Enigmatica è infatti la parola con la quale Zimmermann si riferisce alla musica di Feldman nella già citata intervista del 1976

[Zimmermann:] Your pieces seem to me very enigmatic in a certain sense. If one

tries to find out, he won’t find out. You really don’t know how Morton Feldman composes.56

Questa forma di ‘alterità’ della musica di Feldman da forme e strutture

interamente razionali e/o razionalizzabili viene riconosciuta in generale anche da quegli analisti che si sono impegnati a dimostrare che la sua musica è tuttavia «indeed carefully organized, planned and designed»57

Thomas DeLio, in un saggio del 197758 in cui analizza il terzo movimento di

Last Pieces (1959),59 dopo aver diviso la composizione in due parti, ognuna suddivisa in tre regioni, connotate da determinate classi di intervalli e densità di texture degli eventi sonori, e dopo aver dedotto dall’analisi delle classi di intervalli che

a simple hierarchy is estabilished in which interval class 3 dominates all vertical

sound structures. This primary linguistic element is, then, slowly transferred to the horizontal domain where it is used to link successive sonorities to one another60

riconosce comunque che

56 W. Zimmermann, Epilog, p. 229. 57 A. Noble, Composing Ambiguity, p. 7. 58 Thomas DeLio, Last Pieces #3 (1959), in The Music of Morton Feldman, ed. by Thomas DeLio,

Greenwood Press, Westport, CT, 1996, pp. 39-67. 59 Morton Feldman, Last Pieces per pianoforte, Edition Peters, EP 6941, New York, 1963. In quest’opera le durate sono indeterminate. 60 T. DeLio, Last Pieces #3 (1959), p. 65.

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The sonic connections exist, but must be extracted by the listener himself without the aid of surface relationships.

The composer’s goal, then, seems to be to create a music free of all rhetoric. Toward this end, he tends to avoid all procedures which might reveal his own presence consciously shaping the surface of the music for the listener. […]

Feldman’s is a music in which there is no apparent structuring of sound prior to its

actual unfolding in time.61

Michael Hamman nella sua analisi62 di Three Clarinets, Cello and Piano (1971)63 parte dalla considerazione che nelle opere di Feldman

systemic modes of organization are avoided so that sonic materials alone may act

as source and catalyst for a composition’s evolution.64

Alla ricerca di questi processi evolutivi interni all’opera, Hamman riconosce

una breve sezione introduttiva di sette misure nella quale «four short events each of which may be characterized by one, distinct sonic quality»65 forniscono il materiale ripreso nelle tre ampie sezioni successive denominate gestures. Queste sono costruite su due «somewhat overlapping chromatic sets x and y» e sono contraddistinte dal diverso tipo di relazione che si instaura tra i due differenti chromatic sets (più o meno distinct o blurring).66 Per Hamman la successione dei tre gesture forma un processo su larga scala sul piano delle altezze, della texture, del timbro e dei registri.

61 T. DeLio, Last Pieces #3 (1959), pp. 66-67. 62 Michael Hamman, Three Clarinets, Cello and Piano (1971), in The Music of Morton Feldman,

ed. by T. DeLio, pp. 71-95. 63 Morton Feldman, Three Clarinets, Cello and Piano, Universal Edition, UE 15492, Canada,

1978. Quest’opera è in notazione convenzionale. 64 M. Hamman, Three Clarinets, Cello and Piano (1971), p. 71. 65 M. Hamman, Three Clarinets, Cello and Piano (1971), p. 94. 66 M. Hamman, Three Clarinets, Cello and Piano (1971), p. 93.

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Sul piano delle altezze Hamman individua una tendenza al completamento di gruppi cromatici (chromatic sets); sul piano della texture agisce un processo di interazione tra due texture: una basata su strutture verticali e un’altra basata su strutture orizzontali; sul piano timbrico vi è una interazione tra due tipologie caratterizzate da un attacco minimo e da un attacco massimo; infine sul piano dei registri vi sono processi di espansione e contrazione dello spazio sonoro.67

Gianmario Borio assume una posizione estrema in un articolo del 1987.68

Nella storia della Nuova Musica il nome di Morton Feldman è indissolubilmente legato a uno stile pianistico caratterizzato da una dinamica estremamente ridotta e da un lento procedimento di eventi musicali privi di relazioni strutturali. […]

Così come le opere di Feldman non si lasciano analizzare né secondo i criteri formali e armonici della tradizione né secondo i sistemi schenkeriani e fortiani, risulterà altrettanto vano ogni tentativo di classificarle secondo la ripartizione in “fasi” dell’evoluzione stilistica di un autore praticata dalla storiografia musicale.

[…] nella sua produzione pianistica si può parlare solamente di ricorrenza di determinate questioni poste all’apparato estetico della Nuova Musica. Per questa ragione, anziché escogitare nuovi metodi analitici per composizioni che nella loro fattura esercitano critica al giudizio analitico unificante, preferisco soffermarmi su alcune di queste questioni […].

La parola chiave degli anni Cinquanta […] era struttura. […] La tecnica compositiva era tacitamente guidata dall’idea utopica della razionalizzazione dell’intero spazio musicale […]. Rispetto a questa esigenza d’ordine […] la musica di Feldman assume i caratteri di una drastica destrutturazione. Questo processo di negazione della struttura […] si concretizza […] nella formulazione di una logica musicale decentralizzata e asimmetrica che libera i suoni da ogni sistema preordinato non rinunciando però al senso musicale. […]

Questo equilibrio nell’assoluta asimmetria è dovuto a un senso globale dell’opera che risiede primariamente a livello intuitivo e pertanto non si dà nella compilazione di

67 M. Hamman, Three Clarinets, Cello and Piano (1971), pp. 75-93. 68 Gianmario Borio, Le miniature pianistiche di Morton Feldman, «Quaderni Perugini di Musica

Contemporanea», n. 11/13, 1987, pp. 11-16.

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tabelle o nella preformazione del materiale e non è enucleabile dal musicologo con operazioni analitiche.69

Qualche anno dopo Borio torna ad occuparsi di Feldman in un saggio del

1996.70 In questo lavoro, pur mantenendo il giudizio sulla «logica asimmetrica e decentralizzata lontana dal pensiero strutturale che Milton Babbit, Pierre Boulez, Karlheinz Stockhausen e Luigi Nono sviluppano in quello stesso periodo»,71 lo sguardo analitico si inoltra più profondamente nelle partiture esaminate rilevando come per esempio in Intermission 5 (1952)72 l’unità basica di controllo della struttura temporale sia basata sul numero sei e i suoi multipli (6 x 4, 6 x 7, 6 x 5, 6 x 2 e 6 x 9).73

Mark Janello comincia la sua disamina di Clarinet and String Quartet (1983)74

rilevando acutamente che

The nature of Feldman’s material, the transformations to which it is subject, and, most importantly, the unique twilight musical space-time on the edges of which they are presented create a world in which what happens is paradoxically both justified and uncalled for.75

69 G. Borio, Le miniature pianistiche di Morton Feldman, pp. 11-12. Tutti i corsivi miei, tranne

quello sottolineato, originale nel testo. 70 Gianmario Borio, Morton Feldman e l’espressionismo astratto, in Itinerari della musica americana, a cura di G. Borio e Gabrio Taglietti, Lim-Una Cosa Rara, Lucca, 1996, pp. 119-134. 71 Gianmario Borio, Morton Feldman e l’espressionismo astratto, p. 121. Borio si riferisce qui alle

«miniature pianistiche degli anni Cinquanta». 72 Morton Feldman, Intermission 5 per pianoforte, Edition Peters, EP 6935, New York, 1962. 73 G. Borio, Morton Feldman e l’espressionismo astratto, pp. 121-123. 74 Morton Feldman, Clarinet and String Quartet, Universal Edition, UE 17665, 1983. 75 Mark K. Janello, The Edge of Intelligibility: Late Works of Morton Feldman, PhD Dissertation,

University of Michigan, 2001, p. 40.

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Ciò che emerge dalla letteratura fin qui presa in esame, è una tensione irrisolta (e forse irresolubile) nell’opera di Feldman tra il momento della struttura ‘asimmetrica-decentralizzata-intuitiva-asistematica’, e il momento della struttura ‘simmetrica-pianificata-razionale-ordinata. Più avanti torneremo nel merito e più nel dettaglio di questa dialettica, e avanzeremo una possibile ipotesi esplicativa delle ragioni di questa tensione.

Un altro aspetto che è stato oggetto di riflessione in molti contributi

musicologici su Feldman, è quello legato alla particolare temporalità che emerge dalle sue opere e alla sua relazione con la memoria.

Philip Gareau per esempio, riferendosi alla musica di Feldman in generale,

parla di ‘tempo non strutturato’ e lo mette in relazione al concetto di ‘tempo

assoluto’ elaborato da Comte-Sponville: un tempo costituito da un unico

presente, che dura e si mantiene incessantemente; un tempo senza memoria,

che cancella tutto al suo passaggio e non lascia alcun indizio di futuro.

En supposant que le temps non structuré de Feldman soit bel et bien un temps absolu, ne serait-il pas permis de penser, à la suite des réflexions de Comte-Sponville, que la musique de Feldman se déroulerait dans un présent éternel, dans le présent de ce temps absolu?76

Hermann Sabbe parla di eventi sonori percepiti in un presente ‘assoluto e

unico’

The immediacy, the im-mediate presence of each single and unique sonority or sound event […] is absolute and unique. It cannot be repeated (‘re-petitioned’). It irreversibly belongs to a present that has been. (Feldman takes the time, each time, to estabilish a present). If it returns, happens to return, it is being experienced as a new

76 Philip Gareau, La musique de Morton Feldman ou le temps en liberté, L’Harmattan, Paris,

2006, p. 110.

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present–full, absolute and unique in its own right. A chain of presents. Non corrections of the past, no predetermination of the future.77

E similmente Catherine Laws parla di ‘presente esteso’.

The smaller-scale movement from one moment to the next effects the sense of an extended present tense: Feldman attempts to evoke the inescapable directness of the not-quite-apprehendable “now”.78

Anche Jean-Yves Bosseur sottolinea come nella musica di Feldman siano

messe in atto strategie per sfuggire all’azione della memoria ed isolare

nell’ascolto il presente dal passato e dal futuro:

Déjà le processus utilisé pour Intersection 3 permettait […] d’echapper autant que possible à l’action de la mémoire et de favoriser une concentration sur le moment présent. Lorsque Feldman déclare que l’on n’a pas besoin de système pour vivre dans le présent, il met en évidence le paradoxe d’une cœxistence possible entre l’élaboration conceptuelle d’un système de relations et le désir d’une experience effective du

moment. […] La relative immobilité des processus de Feldman, particulièrement au niveau

temporel, fait que l’auditeur n’est plus projeté vers un avenir hypothétique de l’oeuvre, et n’a pas besoin non plus de se référer à ce qu’il vient d’entendre.79

Jonathan Kramer nel suo libro The Time of Music: New Meanings, New Temporalities, New Listening Strategies80 oppone un senso del tempo ‘lineare’ a 77 Hermann Sabbe, The Feldman Paradoxes: A Deconstructionist View of Musical Aesthetics, in The Music of Morton Feldman, ed. by T. DeLio, pp. 11-12. 78 Catherine Laws, Morton Feldman’s Neither. A Musical Translation of Beckett’s Text, in Samuel Beckett and Music, ed. by Mary Bryden, Clarendon Press, Oxford, 1998, p. 67. 79 Jean-Yves Bosseur, Monographie, in Morton Feldman, Écrits et paroles, textes réunis par

Jean-Yves Bosseur et Danielle Cohen-Levinas, L’Harmattan, Paris, 1998, p. 59. 80 Jonathan D. Kramer, The Time of Music: New Meanings, New Temporalities, New Listening Strategies, Schirmer, New York, 1988.

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uno ‘verticale’; e il senso del tempo espresso dalla musica di Feldman viene portato a esempio paradigmatico di quello che lui definisce ‘tempo verticale’

music cast in vertical time can scarcely be analyzed, in the usual sense of term

[…]. It is essentially pointless to explicate a holistic, timeless experience in terms of sequential logic. Thus most discussions of nonteleological music are more descriptive –

or prescriptive – than analytic. It is not simply that adequate analytic tools have not been developed. There is a fundamental incompatibility between the nature of vertical time and the process of music analysis, at least as it is traditionally construed. Many of the things analysis values most are what vertical time pointedly denies: tonal rhythmic and metric hierarchies; contrast; closure; development. […]

Vertical music denies the past and the future in favor of an extended present. The past is defeated because the music is in a certain fundamental ways unchanging, nonlinear, and ongoing. It appears to have come from nowhere other than where it presently is. Its refusal to provide cues for chunking makes remembering specific events or information difficult, if not irrilevant. Such music tries to thwart memory in order to focus on the present, the now. […]

The composer whose music perhaps best epitomizes vertical time was Morton Feldman. […] Feldman simply put down one beautiful sound after another. Feldman’s aesthetic had nothing to do with teleology. 81

Dai testi presi in considerazione abbiamo potuto osservare come tutti i

problemi sollevati dal pensiero e dalla musica di Feldman fin qui esaminati, la memoria, la forma musicale, il tipo di temporalità espressa dalla musica, la sua costruzione per via razionale o intuitiva, la sua analizzabilità o inanalizzabilità, siano tutti strettamente intrecciati tra loro.

Ma cosa vuol dire esattamente, da un punto di vista musicale, «sfuggire

all’azione della memoria»?82 Cosa vuol dire «svolgersi in un presente eterno»?83

81 J. Kramer, The Time of Music, pp. 375-388. 82. Cfr. J.-Y. Bosseur, Monographie, vedi sopra, p. 32. 83 Cfr. P. Gareau, La musique de Morton Feldman ou le temps en liberté, vedi sopra, p. 31.

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Come possiamo avere, da un punto di vista musicale, una «esperienza

atemporale»?84

E cosa vuol dire ancora, da un punto di vista musicale, che «la memoria può

anche funzionare diversamente»?85 Cosa vuol dire tentare di «formalizzare il

disorientamento della memoria»?86

Feldman ha sempre cercato questo «disorientamento della memoria»? E ha

cercato di ottenerlo sempre allo stesso modo?

Esistono elementi all’interno della musica, effettivamente rilevabili all’analisi,

dai quali poter dedurre un tipo di ‘temporalità verticale’? E quali sono

esattamente?

Nei prossimi capitoli affronteremo queste domande da una prospettiva

cognitivista, appoggiandoci in particolare agli studi sul funzionamento della

memoria e ai principi della Auditory Scene Analysis.

84 Cfr. J. Kramer, The Time of Music, vedi sopra, p. 33. 85 Cfr. M. Feldman, Crippled Symmetry, vedi sopra, p. 15. 86 Cfr. M. Feldman, Crippled Symmetry, vedi sopra, p. 15.

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Parte seconda

Prospettive metodologiche. Memoria e percezione nella musica

2.1. Sul funzionamento della memoria umana Nei processi cognitivi e percettivi legati alla musica, la memoria ha un ruolo

fondamentale. La comprensione della musica dipende fortemente dalla memoria dell’ascoltatore e la capacità di ricordare eventi sonori è cruciale per la nostra comprensione musicale. Come scrive John A. Sloboda,

Il modo in cui si ascolta la musica dipende crucialmente da quanto si riesce a

ricordare degli eventi passati della musica stessa che si sta ascoltando. Una

modulazione a una nuova tonalità si ode solo se si ricorda la tonalità precedente. Un tema si ode come trasformato solo se se ne può ricordare la versione originale, di cui è una trasformazione. E così via. Una nota, o un accordo, non sono significativi dal punto di vista musicale, altro che in rapporto agli eventi che lo hanno preceduto o che lo seguiranno. Percepire musicalmente un evento (riconoscere cioè, almeno parte della sua funzione musicale), consiste nel metterlo in rapporto con gli eventi passati. È perciò importante per noi sapere che capacità abbiamo di ricordare gli eventi musicali passati, e conoscere quali siano i fattori alla base di quel che ricordiamo.87

La memoria quindi è essenziale durante l’ascolto per la comprensione e la

ricostruzione interiore delle relazioni formali dell’opera e del loro significato.

87 John A. Sloboda, La mente musicale, a cura di Riccardo Luccio, trad. it. Gabriella Farabegoli, Il

Mulino, Bologna, 1998, 2008, pp. 272-273 (ed. or. The Musical Mind. The Cognitive Psychology of Music, Oxford University Press, Oxford, 1985).

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Per comprendere un’opera musicale è necessario poter ricordare i suoi elementi costitutivi e le sue strutture così da riconoscere le relazioni di uguaglianza, somiglianza, differenza e contrasto tra questi elementi e strutture mentre queste si svolgono nel tempo dell’ascolto.88

Del fatto che la memoria avesse una funzione fondamentale per l’ascolto (e

quindi anche per la composizione e la strutturazione formale di un’opera musicale) era già consapevole, tra gli altri, Arnold Schönberg, che nel suo trattato Der musikalische Gedanke und die Logik, Technik, und Kunst seiner Darstellung scrive:

Il comprendere si basa sul ricordare. Il ricordare si basa sulla capacità di conservare un’impressione e di riportarla alla

coscienza in modo volontario o involontario. […] non siamo in condizione di capire qualcosa se non abbiamo serbato memoria

dei suoi elementi costitutivi. Il comprendere si basa infatti sulla presa di coscienza delle

funzioni di tali elementi, e nessuno che li abbia dimenticati può comprendere pienamente la necessità, possibilità o ammissibilità dei risultati derivanti da queste funzioni. […]

In musica, le ripetizioni di certe parti minime (motivi, figure, frasi) danno prima di tutto la possibilità di riconoscere queste piccole parti come legate da un’affinità.

Il ricordare si basa sul riconoscere [Erkennen] e conoscere di bel nuovo [Wiedererkennen].89

88 Le relazioni di uguaglianza, variazione e contrasto, con le diverse gradazioni intermedie, sono

poste alla base di ogni operazione analitica da Ian Bent: «Centro dell’esperienza analitica è pertanto la verifica dell’identità. E ciò dà luogo alla quantificazione delle differenze o alla graduazione delle somiglianze, cioè alle due operazioni che servono a evidenziare i tre procedimenti costruttivi fondamentali, della ricorrenza, del contrasto e della variazione.» Cfr. Ian

Bent, William Drabkin, Analisi musicale, a cura di Claudio Annibaldi, trad. it. di Claudio Annibaldi et al., EDT, Torino, 1990, p. 4 (ed. or. Analysis, Macmillan Publishers, London, 1980). 89 A. Schönberg, Il pensiero musicale e la logica, tecnica e arte della sua presentazione, ed.

critica di Hartmut Krones e Nikolaus Urbanek, ed. it. e trad. di Francesco Finocchiaro, Astrolabio, Roma, 2011, pp. 101-103 (corsivi originali). Questo trattato, abbozzato da Schönberg a più

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Come abbiamo visto anche Feldman è consapevole della funzione della memoria nella musica e della sua relazione con la forma.90

Più avanti approfondiremo questo argomento, e vedremo come Feldman abbia assecondato od ostacolato i meccanismi della memoria nell’arco della sua produzione, e in che modo, nella sua estrema fase creativa, abbia cercato soprattutto di forzare quei meccanismi91 alla ricerca di strategie formali che fossero «a conscious attempt at “formalizing” a disorientation of memory.»92

Lo studio scientifico della memoria è iniziato circa cento anni fa.93 Da allora

sono stati elaborati vari modelli relativi al suo funzionamento, fra i quali ha avuto riprese tra il 1923 e il 1936 è rimasto incompiuto e inedito sino al 1995. In quell’anno ha visto la luce la prima edizione moderna in traduzione inglese (The Musical Idea and the Logic, Technique, and Art of Its Presentation, ed., transl. and commented by Patricia Carpenter and Severine Neff, Columbia University Press, New York, 1995). La traduzione italiana è basata sull’edizione critica del testo tedesco curata da H. Krones e N. Urbanek per la prossima pubblicazione della Kritische Gesamtausgabe der Schriften Arnold Schönbergs promossa dal

Fonds zur Förderung der Wissenschaftlichen Forschung, dalla Ernst von Siemens Stiftung, dalla Universität für Musik und darstellende Kunst e dall’Arnold Schönberg Center di Vienna, con la direzione scientifica di H. Krones, T. Muxeneder e G. Gruber. Il frammento citato risale al giugno 1934. 90 Cfr. i brani sopra citati alle pp. 15-16: «Musical forms and related processes are essentially

only methods of arranging material and serve no other function than to aid one’s memory. What Western musical forms have become is a paraphrase of memory.» (M. Feldman, Crippled Symmetry, in Id., Give My Regards to Eight Street, p. 137.); «The function of memory in relation to musical forms was very, very important.» (M. Feldman, Doing it one way and doing it another way. Lecture, 6 July 1986, in Id., Morton Feldman in Middelburg. p. 474). 91 Cfr. sopra, p. 15: «memory could operate otherwise as well.» (M. Feldman, Crippled Symmetry,

in Id., Give My Regards to Eight Street, p. 137.); «often I do things to alienate memory» (Michael

Whiticker, Morton Feldman: Conversation without Cage, p. 6). 92 Cfr. sopra, p. 15, M. Feldman, Crippled Symmetry, in Id., Give My Regards to Eight Street, p.

137. 93 Le informazioni seguenti sui modelli dei sistemi di memoria e sul loro funzionamento sono

desunte da Alan D. Baddeley, La memoria umana. Teoria e pratica, trad. it. A. Berti, rev. di

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particolare influenza quello di Atkinson e Shiffrin (riprodotto nella figura seguente).94

Questo modello assume l’esistenza di due sistemi di memoria separati: un sistema di memoria a breve termine (MBT) che opera con i contenuti di un magazzino a breve termine (MaBT) e un sistema di memoria a lungo termine (MLT) che opera su un magazzino a lungo termine (MaLT). Secondo questo modello l’informazione ricevuta dal registro sensorio passa attraverso il magazzino della memoria a breve termine (MaBT) dove viene codificata e trasmessa al magazzino della memoria a lungo termine (MaLT).

Modello seriale di memoria a due componenti di Atkinson e Shiffrin

Cesare Cornoldi, Il Mulino, Bologna, 1992 (ed. or. Human Memory. Theory and Practice, Lawrence Erlbaum Associates, London 1990) e da Alan D. Baddeley, Michael W. Eysenck, Michael C. Anderson, La memoria, a cura di Cesare Cornoldi, trad. it. Maurizio Riccucci, Il Mulino,

Bologna, 2011 (ed. or. Memory, Psychology Press, Hove, 2009). 94 Richard C. Atkinson, Richard M. Shiffrin, Human memory: a proposed system and its control processes, in The psychology of learning and motivation: advances in research and theory, vol. 2, ed. by Kenneth W. Spence e Janet T. Spence, Academic Press, New York, 1968, pp. 89-195, cit. in A. Baddeley, La memoria umana, p. 75-76.

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Inizialmente la MBT era considerata per lo più come un sistema di memoria unitario, ma tra gli anni Sessanta e Settanta diversi studi produssero dati in favore di una spiegazione della MBT basata piuttosto su una molteplicità di sistemi interagenti. Questo ha portato a ipotizzare l’esistenza di strutture differenti per la codifica e l’elaborazione di stimoli verbali, uditivi o visuali.95

I modelli bi-componenziali della memoria sono stati perciò progressivamente sostituiti da modelli multicomponenziali più complessi.

Il magazzino di memoria a breve termine è stato suddiviso in diverse componenti: una fonologica, deputata al mantenimento e all’elaborazione di informazioni verbali e acustiche, ed una visuospaziale responsabile del mantenimento e della manipolazione del materiale visuo-spaziale.96 Anche all’interno della MLT sono state individuate componenti funzionalmente indipendenti; essa è stata pertanto suddivisa in sistemi responsabili dei ricordi consapevoli (memoria esplicita o dichiarativa)97 e sistemi che agiscono attraverso processi non consapevoli (memoria implicita o non dichiarativa).98 All’interno del sistema dichiarativo sono state operate ulteriori suddivisioni in memoria episodica,99 memoria semantica100 e memoria autobiografica.101

Sono stati inoltre proposti diversi modelli della cosiddetta memoria di lavoro (MDL) che assume l’esistenza di un sistema atto alla ritenzione e alla manipolazione temporanea dell’informazione.102 Uno dei modelli più significativi e

95 Cfr. A. Baddeley, M. Eysenck, M. Anderson, La memoria, p. 42. 96 A. Baddeley, M. Eysenck, M. Anderson, La memoria, pp. 43-58. 97 A. Baddeley, M. Eysenck, M. Anderson, La memoria, pp. 23-25. 98 A. Baddeley, M. Eysenck, M. Anderson, La memoria, pp. 25-26. 99 A. Baddeley, M. Eysenck, M. Anderson, La memoria, pp. 125-146. 100 A. Baddeley, M. Eysenck, M. Anderson, La memoria, pp. 149-174. 101 A. Baddeley, M. Eysenck, M. Anderson, La memoria, pp. 177-205. 102 A. Baddeley, M. Eysenck, M. Anderson, La memoria, p. 23.

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fecondi è stato elaborato da Baddeley e Hitch nel 1974.103 Pur conservando alcune caratteristiche della MBT (capacità limitata e mantenimento temporaneo delle informazioni), tale modello ne integra le componenti in un sistema più complesso, funzionale alla elaborazione degli input sensoriali e allo svolgimento di diversi compiti cognitivi. Secondo questo modello, un sistema attentivo di controllo (l’esecutivo centrale) elabora e manipola le informazioni provenienti dalle diverse componenti (il loop fonologico e il taccuino visuo-spaziale) e le integra attraverso il buffer episodico104 con schemi e informazioni provenienti dalla MLT.105 La MDL viene definita come l’insieme delle componenti cognitive che permettono agli individui di comprendere e rappresentare mentalmente l’ambiente circostante, di ritenere informazioni sulle loro esperienze recenti, di acquisire nuove conoscenze, di risolvere problemi e di formulare, collegare, e raggiungere obiettivi specifici.

Quanti elementi possono essere immagazzinati e trattenuti per l’elaborazione

dal nostro sistema di memoria? Esperimenti fatti su sequenze di cifre casuali indicano uno span di memoria per le cifre che per la maggior parte delle persone è limitato a sei o sette cifre.106 Se però le cifre vengono strutturate in un certo

103 Alan D. Baddeley e Graham J. Hitch, Working memory, in The psychology of learning and motivation: advances in research and theory, vol. 8, ed. by Gordon H. Bower, Academic Press, New York, 1974, pp. 47-89, cit. in A. Baddeley, M. Eysenck, M. Anderson, La memoria, p. 23. 104 Il buffer episodico «è un sistema di immagazzinamento che può mantenere circa quattro

chunks [raggruppamenti o blocchi] di informazione in un codice multidimensionale. Grazie alla sua capacità di mantenere l’informazione relativa a più dimensioni, il buffer episodico è in grado di mettere in comunicazione fra loro i diversi sistemi della memoria di lavoro e di collegare questi sottosistemi con l’informazione proveniente dalla MLT e dalla percezione. Queste fonti di

informazione usano codici differenti, che però è possibile combinare nel buffer multidimensionale» (A. Baddeley, M. Eysenck, M. Anderson, La memoria, p. 80). 105 Cfr. A. Baddeley, M. Eysenck, M. Anderson, La memoria, pp. 61-93. 106 A. Baddeley, M. Eysenck, M. Anderson, La memoria, pp. 34-35. Lo span di memoria è stato

riconosciuto e quantificato nel 1956 da George Miller in uno studio che è da allora uno dei pilastri

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modo la quantità di elementi memorizzabili può aumentare.107 Un primo livello elementare di strutturazione è il raggruppamento, che può anche essere prodotto dal ritmo della presentazione di una sequenza di item, per esempio interponendo una pausa ogni tre item durante la lettura di nove cifre: 791 – 684 – 352 è più facile da ricordare di 791684352,108 ed è comune l’esperienza di riuscire a ricordare in questo modo numeri telefonici anche più estesi.109

della psicologia cognitiva, e le cui conclusioni, pur con le dovute correzioni, sono state confermate da ulteriori esperimenti fino ai giorni nostri (George A. Miller, The magical number seven, plus or minus two. Some limits on our capacity for processing information, «Psychological Review», 63, 1956, pp. 81-97). Lo ‘span of attention’ cioè la capacità di stimare istantaneamente, senza contare, il numero di oggetti che ci vengono presentati è stato stimato da Miller in ± 7. Analoga stima viene fatta per lo ‘span of absolute judgment’, cioè il «clear and definite limit to the accuracy with which we can identify absolutely the magnitude of a unidimensional stimulus variable» come ad esempio l’altezza di un tono musicale, che, come segnala Gianluca Valenti (G. Valenti, Il ruolo del “magico numero sette” nella canzone d’autore italiana, «Cognitive Philology», 4, 2011, http://ojs.uniroma1.it/index.php/cogphil/article/view/9351/9233) non a caso nella sua partizione

elementare è costituito da sette note. Anche lo ‘span of immediate memory’ (la memoria di lavoro nella modellizzazione di Baddeley) è stata quantificata intorno a sette elementi. 107 Miller infatti ha rilevato la nostra predisposizione per «organizing or grouping the input into

familiar units or chunks». La ricodificazione degli elementi in chunk sempre più grandi ci consente di aumentare la quantità di informazione che possiamo ritenere (G. Miller, The magical number seven, plus or minus two. p. 92). Così, «ciò che realmente determina la nostra capacità percettivo-mnemonica è dunque la possibilità di organizzare l’informazione in segmenti a noi familiari, sempre che non eccedano la misura fissa di sette più o meno due elementi» (G. Valenti, Il ruolo del “magico numero sette” nella canzone d’autore italiana, «Cognitive Philology», 4, 2011, http://ojs.uniroma1.it/index.php/cogphil/article/view/9351/9233). Vedremo tra breve come la possibilità di organizzare l’informazione acustica in chunk è condizionata dai principi percettivi dell’Auditory Scene Analysis studiati da Albert Bregman. 108 A. Baddeley, M. Eysenck, M. Anderson, La memoria, p. 36. 109 Principi organizzativi espliciti risultano ancor più efficaci per la memorizzazione di una

sequenza di cifre (come ad esempio una sequenza prodotta da un incremento alternato di +3 e +4 come 5, 8, 12, 15, 19, 22, 26, 29, 33, 36, 40, 43, 47), cfr. A. Baddeley, La memoria umana, p. 209.

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Anche con le lettere si verificano fenomeni simili. LTAIILTNFSRO risulta mediamente più difficile da ricordare di FANTOLLISTRI: le due sequenze sono composte dalle stesse dodici lettere, ma la seconda può essere pronunciata come una successione di sillabe secondo le regole fonetiche italiane, il che ci permette di suddividerla in quattro gruppi di tre lettere.110

Un livello di strutturazione ancor più efficace si ha quando l’organizzazione produce unità di senso. La sequenza di sedici lettere ZGNIORAEPIARZPDEAN risulta certo più semplice da memorizzare se riorganizzata sillabicamente in ZORAGNEPIARIPEZAND, ma il miglior risultato si produce quando le lettere sono strutturate in un ordine che produce senso: ORGANIZZA E APPRENDI.111

Gli stessi fenomeni si verificano, a un livello strutturale superiore, con sequenze di parole. La seguente lista di parole irrelate:

virtù, storia, silenzio, vita, speranza, valore, matematica, dissenso, idea

risulta ad esempio più difficile da ricordare di una lista costituita da parole più

strettamente collegate da un punto di vista semantico: filo, spillo, cruna, cucitura, aguzzo, punta, aculeo, ditale, pagliaio, spina,

ferita, iniezione, siringa, stoffa, lancetta La memorizzabilità aumenta se, oltre ad essere correlate semanticamente, le

parole possono essere ordinate in gruppi: rosa, verde, azzurro, porpora – mela, ciliegia, limone, prugna – leone, zebra,

mucca, coniglio

110 A. Baddeley, M. Eysenck, M. Anderson, La memoria, p. 36. 111 A. Baddeley, La memoria umana, p. 203.

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e ancora una volta diventa massima quando le parole sono organizzate in modo da produrre senso:

grandi, elefanti, grigi, terrorizzati, da, fiamme, crepitanti, calpestarono,

minuscoli, conigli, indifesi112 Secondo Baddeley,

L’idea che l’organizzazione possa essere importante per l’apprendimento è sostenuta da evidenze di tre tipi: 1) la dimostrazione che il materiale organizzato è più facile da ricordare di quello disorganizzato; 2) l’esistenza di dati a favore del fatto che se ai soggetti viene presentato del materiale casuale i soggetti spontaneamente tentano di organizzarlo e 3) la dimostrazione che l’istruzione di organizzare il materiale aumenta l’apprendimento.113

L’importanza dell’organizzazione del materiale sembra valere anche in

ambito musicale: fenomeni analoghi a quelli osservati per le sequenze di cifre, di lettere e di parole si possono infatti rilevare anche per sequenze di suoni. Consideriamo le due sequenze della figura seguente:114

Due sequenze di note (a e b) con diverso grado di organizzazione strutturale

Come osserva Sloboda,

112 A. Baddeley, M. Eysenck, M. Anderson, La memoria, pp. 131-139. 113 A. Baddeley, La memoria umana, p. 210. 114 Tratta da J. Sloboda, La mente musicale, p. 288.

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Basta impiegare solo pochi secondi a studiarle, con l’obiettivo di poi riprodurle, ed appare subito evidente che (b) è molto più facile da ricordare di (a). E ciò malgrado i seguenti fatti: 1) (a) inizia con una sequenza di tre note che specifica in modo univoco la tonalità di sol maggiore, al contrario di (b); 2) (a) contiene solo note della scala di sol maggiore, mentre (b) contiene due note cromatiche (do# e la#); 3) (b) è più lungo di (a).115

Sloboda cita, tra gli altri, gli studi di Deutsch116 e di Deutsch e Feroe117 nei

quali vengono ipotizzate una serie di strutture gerarchiche operanti. Nel caso della sequenza (b), al vertice della struttura ci sarebbe la nota sol alla quale si applica il modello dell’arpeggio discendente maggiore e successivamente il modulo di discesa e risalita di un grado secondo il modello della scala cromatica come raffigurato nello schema della figura seguente:118

Strutture gerarchiche alla base della sequenza (b)

115 J. Sloboda, La mente musicale, p. 288. 116 Diana Deutsch, The processing of structured and unstructured tonal sequences, «Perception

and psychophysics», 28, 1980, pp. 381-389. 117 Diana Deutsch, John Feroe, The internal representation of pitch sequences in tonal music,

«Psychological Review», 86, 1981, pp. 503-522. 118 Adattata da J. Sloboda, La mente musicale, p. 290.

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I risultati delle esperienze di Diana Deutsch119 mostrano che per sequenze melodiche strutturate come (b) le rievocazioni erano corrette al 94% contro il 52% delle sequenze non strutturate. Se poi le sequenze erano segmentate, mediante una breve pausa, in gruppi di tre note (in corrispondenza delle suddivisioni gerarchiche), la prestazione saliva al 99%. Al contrario, se la segmentazione era a gruppi di quattro (in opposizione alle suddivisioni gerarchiche), la prestazione cadeva al 69%.

Sloboda cita anche una serie «veramente completa» di ricerche sulla memoria che Diana Deutsch ha effettuato sulle note singole.120 In questi esperimenti, gli ascoltatori udivano due note separate da un intervallo di cinque secondi e dovevano giudicare se avessero o meno la stessa altezza. L’intervallo di cinque secondi poteva essere riempito da: silenzio; numeri pronunciati (da ricordare o ignorare); note casuali situate nella stessa ottava delle note test o in quella superiore o inferiore. I risultati «suggeriscono delle conclusioni decisamente pessimistiche sulla memoria musicale».121 Infatti «il ricordo per le singole altezze sembra incredibilmente mediocre»122 e «non è in grado di sopravvivere a poche note che si succedono».123 Com’è allora possibile

ricordare le note nell’arco di strutture delle proporzioni di una sinfonia, contenenti

decine di migliaia di note? La risposta generale a questo problema sembrerebbe risiedere nelle opportunità offerte dalla maggior parte della musica agli ascoltatori di classificare e organizzare quello che odono.124

119 D. Deutsch, The processing of structured and unstructured tonal sequences, cit in J. Sloboda,

La mente musicale, pp. 289-290. 120 J. Sloboda, La mente musicale, pp. 273-274. 121 J. Sloboda, La mente musicale, p. 274. 122 J. Sloboda, La mente musicale, p. 274. 123 J. Sloboda, La mente musicale, p. 274. 124 J. Sloboda, La mente musicale, p. 274. Cioè di raggruppare gli elementi in chunk sempre più

ampi.

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La caratteristica principale della musica, infatti,

consiste nel fatto che i suoni si pongono in relazioni reciproche significative, e non hanno significato se isolati. Nella percezione della musica, quindi, gli ascoltatori devono prima di tutto rilevare queste relazioni, e identificare i raggruppamenti significativi. A livello superiore, questi raggruppamenti saranno ampi e complessi, corrispondenti alle

strutture formali di un’opera; a livello inferiore, saranno relativamente semplici, caratteristiche della configurazione sonora che caratterizzano piccoli gruppi di note.125

In questa cornice risulta coerente e comprensibile che le possibilità di

memorizzazione siano infime nel caso di note isolate, basse nel caso di sequenze non strutturate come quelle della sequenza (a) e decisamente migliori nel caso di sequenze organizzate come quelle della sequenza (b) le cui caratteristiche strutturali rendono più immediato, da un punto di vista percettivo, il raggruppamento degli elementi della sequenza in chunk. Una sequenza di note organizzata in una melodia infatti viene facilmente riconosciuta anche quando è stata trasposta, anche quando cioè tutte le sue altezze sono mutate, ma le relazioni intervallari tra gli elementi sono rimaste identiche.

2.2. L’Auditory Scene Analysis La domanda cruciale allora è: «quali sono i meccanismi naturali e le

predisposizioni del sistema uditivo che possono determinare il modo in cui udiamo il raggrupparsi dei suoni musicali?».126

A questo punto emerge con forza il problema della percezione, conseguenza abbastanza ovvia se si considera che la memoria umana è in effetti

125 J. Sloboda, La mente musicale, p. 244. 126 J. Sloboda, La mente musicale, p. 244.

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un sistema atto ad immagazzinare e recuperare l’informazione che viene acquisita attraverso i sensi. Il fatto che noi percepiamo attraverso la vista, l’udito o l’olfatto ovviamente influenza ciò che noi ricordiamo in seguito poiché i nostri ricordi sono, in un certo senso, registrazioni di percezioni.127

Ne L’istinto musicale Philip Ball scrive:

In gran parte, quello che riceviamo dalla musica dipende dalla nostra capacità di estrarre strutture da sequenze di note: individuare schemi e legami, allusioni e abbellimenti. Per questo l’ascolto della musica si basa sulla memoria.128

Un altro aspetto fondamentale e necessario per la comprensione della

musica, oltre alla capacità di ricordare, è dunque la capacità di estrarre, durante l’ascolto (e cioè da ciò che percepiamo), strutture da sequenze di note.

Ma per estrarre strutture da sequenze di note (e più in generale dai segnali acustici che ci circondano),129 e dare così un senso a ciò che ascoltiamo, la nostra mente deve compiere una serie estremamente complessa di operazioni. 127 A. Baddeley, La memoria umana, p. 25, il corsivo è mio. 128 Philip Ball, L’istinto musicale. Come e perché abbiamo la musica dentro, trad. it. di David

Santoro, introd. di Franco Fabbri, Edizioni Dedalo, Bari, 2011, p. 151 (ed. or. The music instinct. How music works and why we can’t do without it, Bodley Head, London, 2010). 129 Può essere utile a questo punto chiarire concettualmente la differenza tra suono e segnale acustico. Bregman scrive: «We will use different terms to refer to the physical acoustic signals from those used for the mental structures and qualities to which they give rise. In the physical category, we will refer to acoustic sources and acoustic signals […]. These will have properties or features, such as fundamental frequency, amplitude, spectral shape, etc. By acoustic source, we mean any physical object or process that generates an acoustic signal by creating audible vibrations. By properties, or features, we mean physical properties (to be contrasted with

perceptual qualities). Examples of acoustic sources include a person speaking, a violin playing, the wind howling, and a bird singing. In the mental category, we will refer to sounds (not signals). These will have qualities (not properties), such as pitch, loudness, timbre, etc. So in our terminology, a signal has no pitch until the brain makes one or more sounds out of it, and assigns pitches to some of them. Timbre is a quality of sound, not a property of a spectrum.» (Albert S.

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Nella vita di tutti i giorni, nelle normali condizioni di ascolto, quando ci troviamo in una sala da concerto o nel salotto di casa di fronte al nostro impianto stereofonico, non accade praticamente mai che il nostro sistema uditivo venga sollecitato da un unico segnale acustico alla volta.

Normalmente veniamo investiti da un conglomerato di differenti segnali acustici provenienti da molteplici sorgenti, diversificati per ampiezza, spettro, frequenza fondamentale, durata, posizione nello spazio: una folla di segnali che si sovrappongono spesso l’uno all’altro, ognuno con il proprio momento di attacco e di estinzione. Per renderci conto della complessità delle operazioni che il nostro sistema uditivo è chiamato a compiere osserviamo brevemente la natura fisica dei segnali acustici e il funzionamento del nostro sistema uditivo.

Ogni sorgente acustica crea un segnale acustico mettendo in vibrazione le

molecole che la circondano creando cioè una serie di compressioni e rarefazioni delle molecole (un’onda di pressione).130 A partire dalla sorgente acustica la vibrazione si trasmette meccanicamente alle molecole contigue in modo che la vibrazione si diffonda nello spazio.131

Bregman, Auditory Scene Analysis, in Audition, ed. by Peter Dallos and Donata Oertel, Vol. III of The Senses. A Comprehensive Reference, ed. by Allan I. Basbaum, Akimichi Kaneko, Gordon M. Shepherd, Gerald Westheimer, Voll. I-VI, Academic Press, San Diego, 2007, p. 862. 130 Questa e le successive informazioni sulla fisica delle onde sonore sono desunte da: Gino

Moncada Lo Giudice, Silvio Santoboni, Acustica, Casa Editrice Ambrosiana, Milano, 2000; Andrea Frova, Fisica nella musica, Zanichelli, Bologna, 1999; John R. Pierce, La scienza del suono, Zanichelli, Bologna, 1987; Pietro Righini, L’acustica per il musicista. Fondamenti fisici della musica, Zanibon-Ricordi, Milano, 19948. 131 Un segnale acustico dunque si produce solo se la sorgente è in un mezzo elastico capace di

raccogliere le vibrazioni della sorgente e trasferirle alle sue molecole. Nel vuoto infatti non si produce alcun segnale. La velocità di propagazione del segnale dipende soprattutto dalla natura del mezzo elastico – gassoso, liquido o solido – e secondariamente dalle caratteristiche del mezzo (come la densità, la temperatura, la pressione), dalla frequenza del segnale, o anche, nell’atmosfera terrestre, dal vento.

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A partire dal segnale acustico tre sono le attività che il nostro sistema uditivo svolge in successione:132 1) trasmissione dell’energia meccanica vibratoria del segnale acustico;133 2) trasduzione dell’energia meccanica vibratoria in energia nervosa (cioè in segnali elettrochimici);134 3) trasferimento dell’energia nervosa e sua trasformazione in sensazione acustica.135 132 Il sistema uditivo umano è costituito dall’apparato auricolare, dai nervi acustici

(vestibolococleari) e dalla corteccia uditiva primaria del cervello. L’apparato auricolare è suddiviso in: orecchio esterno (costituito dal padiglione auricolare e dal meato uditivo esterno); orecchio medio (costituito dalla membrana timpanica, dagli ossicini - martello, incudine e staffa - e dalla finestra ovale); orecchio interno (costituito dalla coclea e dal ganglio spirale che si sviluppa nel nervo cocleare e poi nel nervo acustico vestibolococleare). I nervi acustici collegano l’apparato auricolare alla corteccia uditiva primaria del cervello. Questa e le successive informazioni sul funzionamento del sistema uditivo umano sono desunte da: Giovanni Rossi, Morfologia funzionale e patologica otorinolaringologica, Minerva Medica, Torino, 1996; Eric R. Kandel, James H. Schwartz, Thomas M. Jessell, Principi di neuroscienze, ed. it. a cura di Virgilio Perri, Giuseppe Spidalieri, Casa Editrica Ambrosiana, Milano, 1988 (ed. or. Principles of neural science, Elsevier Science Publishing, New York, 19852; McGraw-Hill, New

York, 20004); A. Frova, Fisica nella musica. 133 L’energia meccanica vibratoria del segnale acustico viene raccolta dal padiglione auricolare e

convogliata attraverso il canale uditivo al timpano. Questo raccoglie gli impulsi vibratori dell’aria e li trasmette meccanicamente attraverso la catena degli ossicini alla finestra ovale. Da questa il segnale acustico giunge infine alla coclea. 134 Il processo di trasduzione delle vibrazioni meccaniche in segnali nervosi avviene nella coclea

«autentico gioiello di ingegneria micromeccanica» (A. Frova, Fisica nella musica, p. 107). All’interno della coclea si trova l’organo spirale del Corti, l’apparato specifico di trasduzione delle vibrazioni meccaniche in segnali nervosi. Nell’organo del Corti vi sono tre file di cellule ciliate esterne e una fila di cellule ciliate interne che compiono effettivamente la trasduzione del segnale vibratorio in segnale nervoso. Quando le vibrazioni meccaniche arrivano alla coclea vengono trasmesse alle cellule ciliate. L’oscillazione delle cilia provoca l’apertura dei canali ionici a

controllo meccanico e il passaggio di ioni che ne consegue produce un segnale elettrochimico. A questo punto l’impulso vibratorio è finalmente convertito in un segnale nervoso che viene raccolto dal nervo acustico e trasmesso sino alla corteccia uditiva primaria del cervello. Si deve anche notare che a causa delle sue caratteristiche morfologiche la coclea risponde in maniera differenziata alle diverse frequenze dei segnali acustici, e anche le cellule ciliate e le fibre

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L’analisi e la trasformazione che il nostro apparato uditivo opera sulle frequenze vibratorie dell’aria trasmettendole in ultimo alla corteccia uditiva primaria dove si genera la sensazione del suono è un momento fondamentale per la ricostruzione mentale dell’ambiente sonoro circostante. Ma non è ancora sufficiente.

Abbiamo detto che sono le molecole d’aria, in collisione col nostro timpano, a generare attraverso il complesso meccanismo del nostro sistema uditivo la sensazione del suono. Ma quando le molecole in vibrazione colpiscono il nostro timpano e questo comincia a tendersi alternativamente verso l’interno e verso l’esterno (innescando così il processo di trasduzione che abbiamo descritto), non vi è nulla in quelle molecole che dica al nostro timpano (e al nostro cervello) quale sia l’origine della loro vibrazione.

afferenti del ganglio del Corti con le quali esse sinaptano rivelano una specifica sensibilità a determinate frequenze. Così la coclea, oltre a operare la trasduzione delle vibrazioni meccaniche in segnali nervosi, effettua anche, ad un primo livello, una analisi spettrale dei segnali ricevuti e dei rapporti temporali e di ampiezza delle frequenze dello spettro.

Cellule ciliate interne ed esterne nell’organo del Corti Dettaglio dei fascetti delle cellule ciliate esterne

(immagini ottenute da microscopio elettronico a scansione, riprodotte da E. Kandel, J. Schwartz, T. Jessell, Principles of neural science, McGraw-Hill, New York, 20004)

135 La trasformazione finale dei segnali nervosi elettrochimici trasmessi dal nervo acustico in

suono (nell’accezione specifica di Bregman, cfr. sopra, n. 129) avviene a livello della corteccia uditiva primaria del cervello. Sulla neurofisiologia dell’apparato uditivo cfr. Eric R. Kandel, James H. Schwartz, Thomas M. Jessell, Principi di neuroscienze, ed. it. a cura di Virgilio Perri, Giuseppe Spidalieri, Casa Editrica Ambrosiana, Milano, 1988 (ed. or. Principles of neural science, Elsevier Science Publishing, New York, 19852; McGraw-Hill, New York, 20004).

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Nel suo libro This is your brain on music136 Daniel Levitin immagina un comune scenario acustico domestico. Siamo nel nostro salotto e il nostro orecchio è raggiunto da diversi segnali acustici: il sibilo del sistema di riscaldamento (o del condizionatore se siamo in una stagione calda), il ronzio del frigorifero dalla cucina, il traffico delle strade vicine (a sua volta composto da differenti segnali: diversi tipi di motori, freni, clacson…), versi di animali dall’esterno (uccelli che cinguettano, cani che abbaiano), ragazzi che tirano calci ad un pallone incitandosi, il brusio del meccanismo dell’ascensore dal pianerottolo, i passi di un amico, il nostro gatto che miagola, e per finire i preludi di Debussy dal nostro impianto stereofonico.

Sound137 is transmitted through the air by molecules vibrating at certain

frequencies. These molecules bombard the eardrum, causing it to wiggle in and out depending on how hard they hit it (related to the volume or amplitude of the sound) and on how fast they’re vibrating (related to what we call pitch). But there is nothing in the molecules that tells the eardrum where they came from, or which ones are associated

with which object. The molecules that were set in motion by the cat purring don’t carry an identifying tag that says cat, and they may arrive on the eardrum at the same time and in the same region of the eardrum as the sounds from the refrigerator, the heater, Debussy, and everything else.138 Tutte queste sorgenti producono segnali complessi con spettri composti da

diverse componenti di frequenza. In una normale scena acustica svariate 136 Daniel J. Levitin, This is your brain on music. The science of a human obsession, Dutton, New

York 2006 (ed. it. Fatti di musica. La scienza di un'ossessione umana, trad. Susanna Bourlot, Le Scienze, Roma, 2008). 137 Si noti che in questo contesto Levitin usa il termine sound in un senso più ampio (potremmo

dire “intuitivo”) di quello specifico adottato da Bregman (vedi sopra, n. 129), i cui risultati sono comunque sostanzialmente accolti da Levitin. Il senso del testo citato rimane chiaro, ma noi dovremmo conservare la consapevolezza della differenza tra segnale acustico (esistente nella realtà fisica) e suono (inteso come costruzione mentale). 138 D. Levitin, This is your brain on music, p. 100-101.

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sorgenti possono essere attive allo stesso momento.139 Ciò che raggiunge l’orecchio dunque non è un preciso segnale acustico riferibile ad una specifica sorgente con determinate proprietà. Quello che il nostro timpano in effetti riceve (e a sua volta trasmette) è la sommatoria di tutte le frequenze degli spettri dei vari segnali.

In the natural world that surrounds us […] it is rarely the case that only one sound

at a time is present. What reaches our ears is a mixture of all the sounds present at a given moment: a voice speaking, the recorded music in the background, a car passing by, a bird singing. If you ask people how they can hear an individual sound in this mixture, they say that they just focus their attention on whatever they want to listen to. This answer, however, ignores a fundamental difficulty. The mixture that reaches each of our ears is a single pressure waveform that is the moment-by-moment arithmetic sum of the pressure patterns that arise from individual events.140

Per chiarire il problema di cui ci stiamo occupando può essere utile osservare

uno spettrogramma, cioè la rappresentazione visiva di come le frequenze di un complesso di segnali acustici cambiano nel tempo. Uno spettrogramma è un diagramma in cui l’asse orizzontale rappresenta il tempo (come in una partitura musicale) e quello verticale rappresenta la frequenza. La quantità di energia del segnale, per ogni momento temporale e per ogni frequenza, è rappresentata dalla chiarità o scurità in quel punto del diagramma.

Nella figura seguente si può vedere lo spettrogramma complesso141 formato da: 1) tre parole pronunciate in successione (one, two, three); 2) la voce di una

139 Anche in una normale sala da concerto la scena acustica può risultare spesso complessa:

oltre ai segnali acustici prodotti dall’orchestra e/o dai solisti è frequente udire colpi di tosse, porte

che cigolano, commenti bisbigliati, scartocciamenti di caramelle, squilli di cellulare ecc. 140 Albert S. Bregman, Auditory Scene Analysis, in Encyclopedia of Neuroscience, ed. by Larry R.

Squire, Academic Press, Oxford, 2009, pp. 1049-1050. 141 Riprodotto da: Albert S. Bregman e Wieslaw Woszczyk, Controlling the perceptual organization of sound: Guidelines derived from principles of auditory scene analysis, in Audio

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persona che canta su tre sillabe (da-da-da); 3) un’altra persona che fischia; 4) la ventola del computer.142

Spettrogramma complesso formato da voce che parla, voce che canta, fischio e ventola di computer.

Nella figura successiva possiamo invece osservare lo spettrogramma della

voce isolata che pronuncia le tre parole one, two, three.143

Anecdotes: Tools, Tips and Techniques for Digital Audio, ed. by Ken Greenebaum, Ronen Barzel, A. K. Peters, Natick, MA, 2004, p. 36. 142 Ricordiamo, come viene mostrato peraltro dallo spettrogramma, che ognuno di questi suoni

“semplici” è formato in realtà da un ampio insieme di componenti frequenziali che ne

costituiscono lo spettro armonico e ne definiscono il timbro. 143 Riprodotto dal sito web di Albert S. Bregman: «Al Bregman. Auditory Scene Analysis. McGill

Auditory Research Laboratory», ASA Theory, Outline, http://webpages.mcgill.ca/staff/Group2/abregm1/web/asaoutline.htm (ASA è l’acronimo per Auditory Scene Analysis).

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Spettrogramma della voce isolata che pronuncia tre parole one, two, three

Se realizzassimo uno spettrogramma per ognuna delle sorgenti acustiche su

fogli di plastica trasparenti e poi li sovrapponessimo, otterremmo uno spettrogramma più o meno simile al primo. Se adesso mettiamo a confronto i due spettrogrammi potremmo anche riuscire a rintracciare sul primo le forme degli spettri della voce isolata che parla visibili nel secondo. Ma osservando il primo spettrogramma è piuttosto difficile dire d’acchito quali componenti spettrali abbiano qualità specifiche tali da implicare la loro separazione dalle altre componenti e la loro integrazione nella formazioni dei suoni che all’ascolto attribuiamo alla voce che parla, o alla voce che canta, o al fischio, o alla ventola del computer.

Eppure da questo insieme eterogeneo di frequenze che il nostro timpano raccoglie complessivamente, il nostro sistema uditivo riesce in qualche modo ad estrarre dei pattern che gli consentono di separare e integrare alcune specifiche frequenze rispetto ad altre in modo da potere riconoscere, nell’atto dell’ascolto, differenti suoni come generati da differenti segnali acustici provenienti da differenti sorgenti acustiche.

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Come riesce il nostro sistema uditivo a creare una scena mentale in cui suoni provenienti da diverse sorgenti acustiche sono percepiti coerentemente come distinti e separati? Cosa ci permette di integrare un determinato insieme di componenti spettrali e separarle da altri complessi spettrali per creare la sensazione di suoni timbricamente diversi? E soprattutto (per quello che ci riguarda nel presente studio) perché, nell’ascolto musicale, alcuni suoni vengono tendenzialmente percepiti come parti di unità o al contrario rimangono isolati?

Per più di vent’anni Albert Bregman si è occupato di questi problemi

producendo un ampio corpus di saggi e ricerche che nel 1990 sono confluite nel suo ampio volume Auditory scene analysis. The perceptual organization of sound.144 In questo volume Bregman fornisce un’ampia, coerente e persuasiva teoria che descrive e spiega i processi mediante i quali riusciamo, da ascoltatori, a dare senso al mondo acustico che ci circonda.

La domanda di partenza di Bregman è: qual è lo scopo della percezione? La sua risposta è che il nostro sistema percettivo si è evoluto per consentirci una rappresentazione utile della realtà, cioè per permetterci di valutare cosa, quando e dove accade qualcosa intorno a noi. Quindi il compito primario del nostro sistema uditivo è quello di ordinare la selva di frequenze che ci circondano per trarne sottoinsiemi coerenti che corrispondano ad eventi effettivi.

Se eccezionalmente possono darsi eventi che producono segnali acustici unici e puntiformi (per esempio una porta che sbatte o una pietra che cade al suolo) nella realtà è frequente (come abbiamo già detto) che segnali acustici relativi a diversi eventi si sovrappongano nel tempo. E anche eventi sonori discreti (come una serie di passi sul selciato o di gocce da un rubinetto) possono in effetti essere prodotti da una stessa attività continua nel tempo.

144 Albert S. Bregman, Auditory Scene Analysis. The Perceptual Organization of Sound, MIT

Press, Cambridge, 1994.

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La maggior parte dei suoni ha quindi una propria “storia” che si evolve nel tempo. Le immagini mentali che ci formiamo di queste “linee sonore” che si evolvono nel tempo sono chiamate da Bregman ‘flussi sonori’ (auditory streams).

Sound is created when things of various types happen. The wind blows, an animal

scurries through a clearing, the fire burns, a person calls. […] If we are to react to them

as distinct, there has to be a level of mental description in which there are separate representations of the individual ones.

I refer to the perceptual unit that represents a single happening as an auditory stream. Why not just call it a sound? There are two reasons why the word stream is better. First of all a physical happening (and correspondingly its mental representation) can incorporate more than one sound […]. A series of footsteps […] can form a single experienced event, despite the fact that each footstep is a separate sound. A soprano singing with a piano accompaniment is also heard as a coherent happening, despite being composed of distinct sounds (notes). Furthermore, the singer and piano together form a perceptual entity – the “performance” – that is distinct from other sounds that are occurring. Therefore, our mental representations of acoustic events can be multifold in a

way that the mere word “sound” does not suggest. By coining a new word, “stream”, we are free to load it up with whatever theoretical properties seem appropriate.

A second reason for preferring the word “stream” is that the word “sound” refers indifferently to the physical sound in the world and to our mental experience of it. It is useful to reserve the word “stream” for a perceptual representation, and the phrase “acoustic event” or the word “sound” for the physical cause.145

145 A. Bregman, Auditory Scene Analysis. The Perceptual Organization of Sound, p. 10. Si noti

che in questa pagina Bregman pone chiaramente la dicotomia evento fisico vs rappresentazione mentale, anche se usa il termine stream ad indicare la rappresentazione mentale di un suono (o di un flusso sonoro) in opposizione ad acoustic event o sound per indicare l’aspetto fisico del fenomeno. Più tardi, come abbiamo visto alla n. 129, sound (come rappresentazione mentale) sarà opposto ad acoustic signal (come fenomeno fisico). Sound e stream rimangono comunque gia adesso concetti ben distinti.

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Il termine auditory stream denota dunque «the perceptual experience of a single coherent sound activity that maintains its singleness and continuity with respect to time.»146

Inoltre, come abbiamo visto, ogni singolo segnale acustico è (quasi sempre)147 costituito da un complesso di frequenze che sollecitano tutte insieme e allo stesso tempo la nostra coclea.

Il problema che si trova ad affrontare il nostro sistema uditivo è quello di capire quali frequenze (simultanee o/e successive) vanno messe insieme ad altre in quanto provenienti da una stessa sorgente acustica. A questo scopo il sistema uditivo effettua una ‘analisi dello scenario uditivo’ (auditory scene analysis) il cui risultato sarà un auditory streaming, cioè l’estrazione di flussi sonori diversi dall’insieme di frequenze analizzate.

L’auditory streaming comporta due processi complementari: la separazione (segregation) di alcune frequenze da altre, e il raggruppamento (integration) di determinate frequenze in insiemi coerenti.

Il modo in cui i suoni si congiungono a formare una sensazione di continuità riguarda i processi di integrazione. Il modo in cui flussi sonori conservano la propria identità e riconoscibilità in opposizione a quella di altri concomitanti flussi sonori riguarda i processi di segregazione.

Lo studio dell’auditory streaming è dunque lo studio di come la mente raggruppi o separi alcuni gruppi di frequenze (simultanee o/e successive) da altri gruppi di frequenze.

Se il riconoscimento degli eventi acustici dipende dal corretto assegnamento delle diverse proprietà uditive alle differenti sorgenti sonore, i processi di separazione e raggruppamento che il nostro sistema uditivo opera sull’insieme di

146 David Huron, Tone and Voice: A Derivation of the Rules of Voice-leading from Perceptual Principles, «Music Perception», vol. 19, n. 1, 2001, p. 10. 147 In effetti, in particolari condizioni di laboratorio si possono produrre eccezionalmente suoni

sinusoidali puri.

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frequenze che lo raggiungono sono fondamentali anche nella percezione della musica.

In generale i suoni tendono a fondersi in un singolo percetto in proporzione diretta alle relazioni fisiche che condividono. I fattori che contribuiscono all’integrazione dei suoni in un flusso sono il timbro (la forma spettrale), la prossimità delle frequenze fondamentali, la prossimità temporale, l’intensità e l’origine spaziale. Inoltre quando gruppi di frequenze si trasformano nel tempo in maniera simile (e quindi condividono una somiglianza nella modificazione) i relativi processi di integrazione sono ampiamente governati dal principio del destino comune.148

Nel processo complessivo di integrazione-segregazione dei flussi sonori (l’auditory streaming) il nostro sistema uditivo si basa sulle regolarità statistiche del mondo sonoro che forniscono dei vincoli operativi (constraints) che possono essere di due tipi: innati (in relazione a determinate proprietà costanti del mondo fisico condivise da ogni essere umano in qualsiasi ambiente) e appresi (in relazione a determinati modelli condivisi ― lawful patterns, learned rules ― costanti in specifici ambienti culturali di cui il linguaggio o la musica sono due esempi). Si parlerà allora di primitive auditory streaming (o primitive auditory

148 Il principio del destino comune è uno dei fattori strutturanti che sono stati identificati dagli

studiosi di psicologia della forma o della Gestalt (dal tedesco «forma», «figura» «configurazione»), corrente della psicologia contemporanea sviluppata a partire dal 1912 dapprima in Germania (intorno alla rivista «Psychologische Forschung» fondata da Max Wertheimer, Kurt Koffka e Wolfgang Köhler) e poi diffusasi nel resto d’Europa e in America. Per la psicologia della forma i processi mentali della conoscenza e della percezione si organizzano in configurazioni la cui totalità è qualitativamente differente dalla somma dei singoli elementi. Altri fattori strutturanti secondo Wertheimer si esprimono nei principi della vicinanza, della

somiglianza, della buona continuazione (o della continuità di direzione), della pregnanza (o della buona forma), della chiusura. Cfr. Wolfgang Köhler, La psicologia della Gestalt, Feltrinelli, Milano 1983. Gli studiosi di psicologia della forma hanno elaborato le loro teorie e i principi di organizzazione formale soprattutto nel campo dalla percezione visiva. Bregman ha trovato che molti dei loro principi si sono rivelati validi ed efficaci anche nel campo della percezione uditiva.

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scene analysis) in opposizione a schema-based auditory streaming (o schema-based auditory scene analysis). Il primitive auditory streaming è quindi basato direttamente sui dati acustici e potrebbe essere un processo pre-attentivo149 sviluppato e incorporato dal sistema uditivo attraverso processi evolutivi. Al contrario lo schema-based auditory streaming dipende da fattori esperienziali e cognitivi ed è caratterizzato da un ascolto attivo e intenzionale.

Poiché lo schema-based auditory streaming si basa su regole apprese nell’interazione individuo-ambiente, e diversi ambienti sollecitano diversamente gli individui con diversi linguaggi, musiche, voci, animali, ecc., differenti individui svilupperanno differenti capacità riguardo allo schema-based auditory streaming, anche se potranno avere alcuni aspetti in comune.

Si dovrebbe perciò comprendere che i processi di streaming attraverso i quali il nostro sistema uditivo forma una ‘immagine uditiva mentale’ non generano una copia fedele del mondo che ci circonda, e non solo perché le regolarità statistiche conoscono eccezioni e il sistema uditivo può esserne ingannato (le illusioni acustiche, come le illusioni visive, sono conseguenza di questi inganni).

In effetti il cervello costruisce la propria rappresentazione interna degli eventi fisici esterni dopo averne analizzato varie caratteristiche. Come ha sottolineato Vernon Mountcastle, «la sensazione è un’astrazione, non una replica, del mondo reale».150

149 Questa era l’ipotesi che Bregman faceva nel 1990 (anno di pubblicazione del volume Auditory scene analysis). Ricerche più recenti hanno messo in questione il ruolo dell’attenzione nei processi di streaming senza però arrivare a conclusioni definitive. Nel già citato articolo Auditory Scene Analysis Bregman scrive: «The role of attention in ASA is still in question and there have

been some recent attempts to resolve this issue by means of brain recordings as well as behavioral studies. However, a decisive picture has yet to emerge» (A. Bregman, Auditory Scene Analysis, in Audition, ed. by P. Dallos and D. Oertel, in The Senses, ed. by A. Basbaum, A. Kaneko, G. Shepherd, G. Westheimer, pp. 869-870). 150 Citato in E. Kandel, J. Schwartz, T. Jessell, Principi di neuroscienze, p. 303.

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Torniamo ora ad osservare il primo spettrogramma col suo complesso di segnali acustici e relative frequenze che appaiono e scompaiono in maniera indipendente e asincrona. Quello che ci occorre per un’interpretazione adeguata dell’ambiente sonoro circostante non è semplicemente una descrizione percettiva delle frequenze coincidenti ad un dato istante. Tale operazione (che, come abbiamo visto alla n. 134, la nostra coclea è in grado di compiere), è necessaria ma non ancora sufficiente al nostro scopo. Scrive Bregman:

What is needed for an appropriate response to the events around us is not a

perceptual description of this happenstance mixture, but separate descriptions of the individual acoustic sources. Unfortunately, examining a short stretch of the waveform, or even its spectrum cannot tell us how the mixture was formed, since there are an enormous number of ways of decomposing it. The problem can only be solved by examining a longer window of time, analyzing the changes that occur over time, making use of some a priori constraints on the plausibility of particular decomposition.151

Esaminando una finestra temporale sufficientemente ampia possono

emergere infatti alcune delle varie regolarità statistiche sulle quali si basa l’ASA (Auditory Scene Analysis) per dar forma agli auditory streams.

ASA takes advantage of regularities that cut across environments regardless of the

provenance or meaning of the signal. For example, the various frequency components arising from an individual acoustic source (such a voice or instrument) tend to start and stop at the same time. While not true without exception, this statistical regularity holds in deserts, jungles, households, in music, speech, and on Mars.152

Questa è una delle regolarità sfruttata dall’ASA per l’integrazione di

componenti frequenziali simultanee. 151 A. Bregman, Auditory Scene Analysis, in Audition, ed. by P. Dallos and D. Oertel, in The Senses, ed. by A. Basbaum, A. Kaneko, G. Shepherd, G. Westheimer, p. 863. 152 A. Bregman, Auditory Scene Analysis, in Audition, ed. by P. Dallos and D. Oertel, in The Senses, ed. by A. Basbaum, A. Kaneko, G. Shepherd, G. Westheimer, p. 864.

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Spectral or simultaneous organization also makes use of general regularities. […] Accordingly, one of the principles used by ASA to organize simultaneous components is: ‘if energy in different frequency regions or in different parts of space change in amplitude in the same direction at the same time, assign these to the same auditory stream’.153

Un’altra regolarità è quella relativa ai suoni armonici:

Many natural vibrations, including the human voice, animal calls, and insect flying, are harmonic. That is, they are formed of a fundamental frequency and many harmonics of that fundamental. The ASA system can use this as a constraint which favors the grouping of simultaneous components as part of the same perceived sound if they appear to be harmonics of the same fundamental.154

Un esempio di regolarità usata invece per l’integrazione sequenziale:

Most sounds change slowly if the proper timescale is chosen. […] It is probable

that successive wave patterns arising from the same source will resemble one another, though their properties may change slowly over time. This is not true without exception, but it is generally true, especially if you consider sufficiently short periods of time […] The strategy derived from this regularity is: ‘if patterns of spectral energy, not too far apart in time resemble one another, they should be assigned to the same auditory stream’. This resemblance can be in terms of fundamental frequency, spectral center of gravity, spectral shape, intensity, temporal dynamics, spatial position, and perhaps other acoustic features.155

153 A. Bregman, Auditory Scene Analysis, in Audition, ed. by P. Dallos and D. Oertel, in The Senses, ed. by A. Basbaum, A. Kaneko, G. Shepherd, G. Westheimer, p. 864. 154 A. Bregman, Auditory Scene Analysis, in Audition, ed. by P. Dallos and D. Oertel, in The Senses, ed. by A. Basbaum, A. Kaneko, G. Shepherd, G. Westheimer, p. 864. 155 A. Bregman, Auditory Scene Analysis, in Audition, ed. by P. Dallos and D. Oertel, in The Senses, ed. by A. Basbaum, A. Kaneko, G. Shepherd, G. Westheimer, p. 864.

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Tuttavia, anche se queste strategie colgono regolarità effettive ed importanti della realtà sonora che ci circonda e possono perciò efficacemente servirci per decomporre la mistura di suoni che raggiunge il nostro orecchio, ognuna di loro può rivelarsi inaffidabile. Per esempio quando occasionalmente le proprietà di un segnale proveniente da una singola sorgente cambiano rapidamente anziché lentamente (come nello yodel), oppure se la sincronia o l’asincronia dell’energia d’attacco su differenti parti dello spettro viene offuscata in un ambiente molto riverberante. Secondo Bregman questa possibile inaffidabilità

can be dealt with by not depending too much on any individual regularity, but

allowing them to collaborate and compete in determining the organization that emerges. If a process analogous to a voting system is used, so that the perceptual grouping is controlled by the greatest number of votes supplied by different strategies, the reliability of the system as a whole can be improved.156

Non solo può accadere che differenti regolarità (come la prossimità spaziale

e la prossimità frequenziale) competano per la determinazione dello streaming; anche l’uso di uno stesso vincolo di regolarità può generare competizione tra streaming alternativi. Bregman porta ad esempio un’esperienza di ascolto schematizzata nei due diagrammi della figura seguente.157

156 A. Bregman, Auditory Scene Analysis, in Audition, ed. by P. Dallos and D. Oertel, in The Senses, ed. by A. Basbaum, A. Kaneko, G. Shepherd, G. Westheimer, p. 865. 157 A. Bregman, Auditory Scene Analysis, in Audition, ed. by P. Dallos and D. Oertel, in The Senses, ed. by A. Basbaum, A. Kaneko, G. Shepherd, G. Westheimer, p. 865.

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Diagrammi di esperienze di ascolto con streaming alternativi

Nell’esperimento il suono B segue il suono A ad una certa distanza in frequenza e tempo. La domanda è: A e B, due suoni di un pattern di quattro suoni ripetuti ciclicamente, saranno unificati in uno stesso flusso o separati in due diversi flussi dai processi dell’ASA? La risposta dipende dalle proprietà degli altri suoni presenti. Nel diagramma a sinistra (sull’asse orizzontale il tempo, sull’asse verticale la frequenza) A e B sono distanti in frequenza da X e Y, e in questo caso l’ASA isola A e B in un flusso, e X e Y in un altro (le linee tratteggiate nel diagramma indicano gli streaming risultanti).

In questo caso quindi l’ascoltatore sente nella regione acuta la sequenza ripetuta AB – – AB – – … (in cui i tratteggi rappresentano le durate di X e Y che risultano come silenzi nel flusso “AB”), e nella regione grave la sequenza ripetuta – – XY– – XY … (dove i tratteggi rappresentano invece i silenzi sulle durate di A e B nel flusso “XY”). Nel diagramma a destra invece A e B sono assorbiti in flussi diversi. Qui X e Y sono nella stessa regione di A e B, e X è più ora vicino ad A di B, mentre Y è più vicino a B di A. In queste condizioni A e X vengono integrati all’ascolto in un flusso col ritmo A – X – A – X … , mentre B e Y formano un altro flusso col ritmo – B – Y – B – Y … . Si noti che la separazione in frequenza e

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tempo di A e B è rimasta identica nei due casi. Se ci fosse un grado fisso di separazione/prossimità che determina quando due suoni sono assegnati ad uno stesso flusso, lo streaming di A e B rimarrebbe lo stesso in entrambe le condizioni. Al contrario si osserva che le prossimità frequenziali entrano in competizione e l’ASA cerca di formare gruppi più stretti possibile nello spazio frequenziale.

Un altro aspetto critico che influenza la formazione di immagini uditive è

quello della continuità temporale del flusso uditivo. Sono stati riconosciuti diversi fattori che influenzano la percezione della continuità di un auditory stream.

In generale un’immagine uditiva (una sensazione sonora) tende a permanere per qualche istante dopo la cessazione dello stimolo.158 Tuttavia la percezione uditiva tende a decadere rapidamente con l’inesorabile degradazione di questo registro sensoriale. Diversi esperimenti hanno cercato di stimare la durata della memoria ecoica. Le misure riscontrate variano da meno di 1 secondo a meno di 5 secondi; ma la media della maggior parte degli esperimenti si attesta attorno ad 1 secondo. Le ricerche condotte da van Noorden159 dimostrano che con suoni brevi (40 ms di durata) il senso di continuità temporale degrada gradualmente con l’incremento dell’intervallo temporale tra due suoni oltre gli 800 ms.160 158 Questo tipo di memoria sensoriale è stato chiamato da Neisser memoria ecoica. (Ulrich

Neisser, Cognitive psychology, Appelton-Century Crofts, New York, 1967; ed. it. Psicologia cognitivista, trad. Giovanni Vicario, A. Martello-Giunti, Firenze, 1976. Cit. in Baddeley, Eysenck, Anderson, La memoria, p. 21). L’equivalente della memoria ecoica nel campo visivo, la memoria iconica, è il fenomeno alla base dell’illusione visiva sulla quale si fonda il cinematografo. 159 Leon P. A. S. van Noorden, Temporal coherence in the perception of tone sequences, PhD

dissertation, University of Technology, Institute for Perception Research, Eindhoven, 1975, p. 29

(la tesi è inedita ma estesamente citata da Bregman nel suo libro Auditory Scene Analysis. The Perceptual Organization of Sound). 160 Sulla base delle ricerche di van Noorden si può concludere che un’immagine uditiva stabile

temporalmente è prodotta più facilmente da suoni prolungati o interrotti solo molto brevemente. Cfr. A. Bregman, Auditory Scene Analysis. The Perceptual Organization of Sound, pp. 143-164.

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Per riassumere, la teoria proposta da Bregman postula l’esistenza di un processo di formazione del flusso sonoro (auditory stream-forming process) responsabile di diversi fenomeni di streaming come quelli che ci permettono di riconoscere una macchina in avvicinamento quando attraversiamo la strada o una voce solista in un gruppo strumentale. Bregman documenta un ampio numero di esperienze (condotte da lui stesso e da molti altri)161 che si integrano in un quadro coerente e persuasivo, ma è importante osservare, come Bregman stesso avverte, che

This is not the type of theory that is likely to be accepted or rejected on the basis of

one crucial experiment. Crucial experiments are rare in psychology in general. This is because the behavior that we observe in any psychological experiment is always the result of a large number of causal factors and is therefore interpretable in more than one way. When listeners participate in an experiment on stream segregation, they do not merely perceive; they must remember, choose, judge, and so on. Each experimental result is always affected by factors outside the theory, such as memory, attention,

learning, and strategies for choosing one’s answer. The theory must therefore be combined with extra assumptions to explain any particular outcome. Therefore it cannot easily be proven or falsified.162

Teorie come questa

do not perform their service by predicting the exact numerical values in experimental data. Rather they serve the role of guiding us among the infinite set of experiments that could be done and relationships between variables that could be

161 Nel 1996 Bregman ha anche pubblicato, insieme a Pierre A. Ahad, un cd audio con 41

esempi, Demonstrations of Auditory Scene Analysis: The Perceptual Organization of Sound,

prodotto dal Auditory Perception Laboratory della McGill University, e distribuito dal MIT Press. Gli esempi sono consultabili sul sito web di Albert S. Bregman: «Al Bregman. Auditory Scene Analysis. McGill Auditory Research Laboratory», ASA Demos, Table of Contents, http://webpages.mcgill.ca/staff/Group2/abregm1/web/downloadstoc.htm 162 A. Bregman, Auditory scene analysis. The perceptual organization of sound, p. 43.

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studied. The notion of stream segregation serves to link a number of causes with a number of effects163

e varie esperienze possono mostrare come

stream segregation is affected by the speed of the sequence, the frequency

separation of sounds, the pitch separation of sounds, the spatial location of sounds and many other factors. In turn the perceptual organization into separate streams influences a number of measurable effects, such as the ability to decide on the order of events, the tendency to hear rhythmic patterns within each segregated stream, and the inability to judge the order of events that are in different streams.164

Nello studio dell’ASA sono stati utilizzati soprattutto paradigmi semplificati da

laboratorio. In generale le esperienze prevedono schemi di stimoli semplici che possono essere percepiti in due modi differenti in funzione dell’organizzazione percettiva. Negli esperimenti si variano le caratteristiche di parti dello stimolo per osservare gli effetti sui suoni percepiti. Ma come Bregman afferma

since the goal is to come to conclusions that are valid in the natural world, the

relevance of the laboratory simplification has to be established by verifying whether the principles discovered in the laboratory are also found in the real world […] [and] can be applied to music, to speech, and to auditory displays.165

Della verifica dei principi percettivi sulla pratica musicale si è occupato, tra gli

altri, David Huron in un suo ampio saggio pubblicato nel 2001.166

163 A. Bregman, Auditory scene analysis. The perceptual organization of sound, p. 44. 164 A. Bregman, Auditory scene analysis. The perceptual organization of sound, p. 44. 165 A. Bregman, Auditory Scene Analysis, in Audition, ed. by P. Dallos and D. Oertel, in The Senses, ed. by A. Basbaum, A. Kaneko, G. Shepherd, G. Westheimer, p. 866. 166 David Huron, Tone and Voice: A Derivation of the Rules of Voice-leading from Perceptual Principles, «Music Perception», vol. 19, n. 1, 2001, pp. 1-64.

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Huron mette in relazione le regole di condotta delle parti della musica occidentale con alcuni principi percettivi stabiliti sperimentalmente.

Egli parte dalla premessa che lo scopo principale delle regole di condotta delle parti sia di creare linee musicali percettivamente indipendenti («Over the centuries, a number of theorists have explicitly suggested that voice-leading is the art of creating independent parts or voices»).167

Tenendo per fermo tale scopo egli individua sei principi fondamentali che si dimostrano alla base della maggior parte delle regole tradizionali di condotta delle parti ricavate da trattati teorici sia storici che contemporanei (come ad esempio l’uso di una gamma di frequenze limitata, la tendenziale distribuzione a parti late degli accordi, l’evitare i moti paralleli tra le parti, soprattutto nel caso delle ottave e delle quinte, e così via).168 Tutte queste pratiche si dimostrano efficaci nel migliorare l’integrazione interna di ogni linea e la segregazione tra le diverse linee.

167 D. Huron, Tone and Voice, p. 6. Tra gli innumerevoli teorici e compositori che hanno scritto

trattati sull’armonia e la condotta delle parti Huron cita Aldwell & Schachter, 1989; Berardi, 1681; Fétis, 1840; Fux, 1725; Hindemith, 1944; Horwood, 1948; Keys, 1961; Morris, 1946; Parncutt, 1989; Piston, 1978; Rameau, 1722; Riemann, 1903; Schenker, 1906; Schoenberg, 1911; Stainer, 1878. 168 I principi fondamentali alla base delle regole tradizionali di condotta delle parti individuati da

Huron sono: principio della toneness (la capacità di un suono di generare una chiara percezione dell’altezza); principio della continuità temporale; principio del minimo mascheramento; principio della fusione tonale; principio della prossimità frequenziale; principio di co-modulazione della frequenza. Da questi principi fondamentali Huron deriva anche alcune regole non tradizionali che

danno conto di alcuni aspetti finora inosservati nella prassi della condotta delle parti. Inoltre descrive quattro ulteriori principi ausiliari (principio della sincronia d’attacco; principio della densità limitata; principio di differenziazione timbrica; principio della distribuzione spaziale delle fonti acustiche) che hanno un ruolo più occasionale nella pratica musicale e forniscono delle opzioni compositive che generano strutture musicali dalle qualità percettive specifiche.

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Nel suo saggio Huron dimostra così che alla base di molte pratiche musicali si possono effettivamente rintracciare i principi percettivi dell’ASA e che questi possono essere utili per spiegare determinate prassi compositive.

I principi percettivi identificati, raccolti e sistematizzati teoricamente da

Bregman e confermati nella pratica musicale da Huron, sono alla base di un approccio analitico estremamente interessante che vorremmo far nostro, quello adottato da Emilios Cambouropoulos e Costas Tsougras nella loro analisi di Continuum di Ligeti.169

A proposito dell’analisi Bent scrive che

Analizzare una struttura musicale significa scinderla in elementi costitutivi relativamente più semplici, e studiare le funzioni di questi elementi all’interno della struttura data. […] si pensi a come, dietro ogni aspetto della pratica analitica, ci sia il fondamentale punto di contatto fra la mente umana e la materia sonora, ossia la

percezione musicale.170

A proposito di questo ‘fondamentale punto di contatto’ Cambouropoulos e

Tsougras sostengono tuttavia che

Despite the fact that music perception research has grown significantly in the last decades and has established itself as an important discipline within musicology, links with the domain of musical analysis/theory are still relatively weak; music analytic methodologies based on perceptual/cognitive approaches cover a relatively small area of musical analysis (e.g. Meyer, Huron, Zbikowski, Temperley). Musical analysis seems to be preoccupied with aspects of compositional design (what the composer had in mind

when composing a certain piece), mathematical/formal relations between musical 169 Emilios Cambouropoulos, Costas Tsougras, Auditory Streams in Ligeti's Continuum: A Theoretical and Perceptual Approach, «Journal of interdisciplinary music studies», vol. 3, n. 1/2, 2009, pp. 119-137. 170 I. Bent, W. Drabkin, Analisi musicale, pp. 1-2.

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materials (e.g. pc-set theory etc.), application of established analytic methodologies (Schenkerian, traditional harmonic analysis). ‘The fundamental point of contact between mind and musical sound’171 in the music analytic process is not usually explicitly the goal of analysis.172 La prospettiva di Cambouropoulos e Tsougras è invece proprio quella di

indagare questo fondamentale punto di contatto tra la mente e il suono musicale.

perceptual principles of auditory organization can be introduced in music analysis/theory to give a rich account of understanding of a musical work. Such principles are always at work during music listening as they are part of our general auditory apparatus, and underlie explicitly or implicitly common compositional practices.

[…] Principles of musical stream perception in the domain of auditory scene analysis173 may be used to understand of the way a listener ‘makes sense’ of a musical work. The way a musical work is perceived by a listener may be significantly different from the organization of notes suggested by a score, or even from analytic results given by different musical analytic methodologies.174

Auditory stream integration/segregation (in music) determines how successions of musical events are perceived as belonging to coherent sequences and, at the same time, segregated from other independent musical sequences. A number of general

171 Cambouropoulos e Tsougras fanno qui espicito riferimento al testo di Bent e Drabkin, Analisi musicale. 172 E. Cambouropoulos, C. Tsougras, Auditory streams in Ligeti's Continuum, p. 120. 173 Cambouropoulos e Tsougras fanno qui esplicito riferimento al libro di Bregman, Auditory Scene Analysis. The Perceptual Organization of Sound. 174 A questo proposito, concordiamo con David Lewin quando, rispondendo ad un articolo di

Thomas R. Demske (T. R. Demske, Relating Sets: On Considering a Computational Model of Similarity Analysis, «Music Theory Online», vol. 1, n. 2, 1995, sito web: «Music Theory Online», http://www.mtosmt.org/issues/mto.95.1.2/mto.95.1.2.demske.art.html), afferma che: «the word

“similarity” is being overworked these days in music analytic settings […] two musical segments are called “similar” when in the most perceptually immediate fashions they may be quite dissimilar» (cit. in Eric J. Isaacson, Issues in the Study of Similarity in Atonal Music, «Music Theory Online», vol. 2, n. 7, 1996, sito web: «Music Theory Online», http://www.mtosmt.org/issues/mto.96.2.7/mto.96.2.7.isaacson.html).

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perceptual principles govern the way musical events are grouped together in musical streams.175

Nel nostro studio faremo riferimento ai principi di funzionamento della

memoria (e in particolare ai limiti dello span di memoria) e ai principi percettivi dell’auditory scene analysis (e in particolar modo al principio della continuità temporale176 e al principio della prossimità frequenziale177)178 allo scopo di descrivere alcune strutture musicali della musica di Feldman e rendere conto delle significative differenze in termini percettivi tra i diversi periodi compositivi della sua produzione.

175 E. Cambouropoulos, C. Tsougras, Auditory streams in Ligeti's Continuum, pp. 120, 125. 176 Descritto brevemente da Huron nei seguenti termini: «In order to evoke strong auditory

streams, use continuous or recurring rather than brief or intermittent sound sources. Intermittent sounds should be separated by no more than roughly 800 ms of silence in order to ensure the perception of continuity.» (D. Huron, Tone and Voice, p. 12). 177 Che Huron descrive come segue: «The coherence of an auditory stream is maintained by

close pitch proximity in successive tones within the stream» (D. Huron, Tone and Voice, p. 24). La relazione tra la prossimità temporale e la prossimità frequenziale è stata studiata approfonditamente da van Noorden nella sua tesi di dottorato (L. van Noorden, Temporal coherence in the perception of tone sequences). In generale suoni più lunghi, con frequenze vicine e/o in successione lenta tendono a essere integrati in un flusso uditivo continuo. Al contrario suoni più brevi, con maggiore distanza frequenziale e/o in successioni più rapide

tendono a disgregare la percezione di continuità del flusso uditivo. 178 Il ruolo dei due principi di prossimità frequenziale e di prossimità temporale nell’ascolto è stato

specificamente studiato anche da Paolo Bozzi e Giovanni Vicario in Idd., Due fattori di unificazione fra note musicali: la vicinanza temporale e la vicinanza tonale, «Rivista di psicologia», anno LIV, n. IV, 1960, pp. 235-258.

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Parte Terza

L’analisi

3.1. Le opere degli anni Cinquanta-Sessanta Una prima fase stilistica personale viene a definirsi nella produzione di

Morton Feldman all’incirca nel 1950.179 In questa prima fase Feldman alterna, come abbiamo visto, opere scritte con notazione convenzionale ad opere notate su una griglia di quadrati nelle quali il parametro delle altezze viene lasciato indeterminato (dell’altezza viene specificato solo il registro: acuto, medio o grave).180 Successivamente Feldman alternerà a queste modalità di notazione anche un ulteriore sistema di notazione semi-convenzionale (su normali

179 Le opere precedenti il 1950 sono incluse da Sebastian Claren nella sezione Jugendwerke del

suo catalogo delle opere di Feldman (cfr. Werkverzeichnis in Sebastian Claren, Neither. Die Musik Morton Feldmans, Wolke Verlag, Hofheim, 2000, pp. 547-575). La maggior parte di queste rimangono inedite (a parte Journey to the End of the Night per soprano, flauto, clarinetto, clarinetto basso e fagotto (del 1947), Edition Peters, EP 6927, 1963; Only, per voce sola (del 1947), Universal Edition, UE 16519, 1976; e Illusions, per pianoforte (del 1948), pubblicata nel 1951). Una decina sono state registrate e pubblicate su cd. Veniero Rizzardi nelle note di accompagnamento del cd registrato da Debora Petrina, Morton Feldman. Early and Unknown Piano Works, pubblicato nel 2003 da OgreOgress (OO2003a) scrive: «Most of the music heard on this CD will contradict your expectations: “it does not sound like Morton Feldman”». Sul sito web curato da Chris Villars dedicato a Morton Feldman (http://www.cnvill.net/mfhome.htm) è consultabile un catalogo delle composizioni periodicamente aggiornato all’indirizzo

http://www.cnvill.net/mfworks.pdf. 180 Sono, come abbiamo visto, le opere della serie Projections I-V (1950-51), Intersections I-IV

(1951-53), Marginal Intersection per orchestra (1951) e Intersection + per pianoforte (1953, inedita). Questa modalità notazionale verrà usata ancora più avanti con diverse varianti fino a In Search of an Orchestration del 1967.

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pentagrammi), che però lascia indeterminate le durate dei suoni, in alcuni casi accordando completa libertà agli interpreti, in altri casi vincolandoli ad un determinato ordine di successione degli eventi e a precisi incontri verticali.181

Proprio di una delle prime opere di questo primo periodo, il Piece for Violin and Piano del 1950,182 Feldman affermerà, in una conferenza tenuta in Sudafrica più di trent’anni dopo, che essa costituisce una delle sue prime opere mature.183

3.1.1. Notazione convenzionale Piece for Violin and Piano così come le Two Intermissions per pianoforte

(1950)184 sono opere scritte in notazione convenzionale.185 181 Sono le opere della serie Durations I-V (1960-61), Vertical Thoughts I-V (1963), e varie altre

fino a Between Categories per due percussionisti, due pianisti, due violinisti e due violoncellisti (1969), Edition Peters, EP 6971, New York, 1969. Diversi anni dopo Feldman adotterà una variante di questa modalità notazionale nei tre trii per flauti, percussioni e pianoforte/celesta Why Patterns? (1978), Crippled Symmetry (1983), e For Philip Guston (1984), e in For Christian Wolff per flauto e pianoforte/celesta (1986). Un caso a sé è quello di Intermission 6 (per uno o due pianoforti, del 1953) nel quale, come abbiamo visto, Feldman distribuisce sulla pagina una costellazione di 15 eventi e l’interprete, o gli interpreti scelgono liberamente il loro percorso tra di essi, determinandone le durate e la successione (cfr. sopra, p. 22). A proposito di Intermission 6 Volker Straebel, nell’apparato critico da lui curato in Morton Feldman. Solo Piano Works 1950-64, commenta: «Feldman does not indicate whether all tones/chords must be played or whether they may be repeated.» (V. Straebel, Notes on the Edition, in Morton Feldman. Solo Piano Works). Tuttavia Feldman in un suo articolo del 1963 scriveva: «Intermission VI (for one or two pianos) was written in 1953. The pianist, or pianists, begins with any sound on the page, will hold until barely audible, then proceed to whichever other sound he may choose. Sounds may be repeated.» (Morton Feldman, Marginal Intersection, Intersection II, Intermission VI, in Id., Give My Regards to Eight Street, p. 11, corsivo mio). 182 Morton Feldman, Piece for Violin and Piano, Edition Peters, EP 6944, New York, 1962. 183 «The […] Piece for Violin and Piano actually was my introduction into the New York musical

world and […] it made me quite well known. […] A very important piece to me» (Morton Feldman, Johannesburg lecture 2: Feldman on Feldman, in Id., Morton Feldman Says. Selected Interviews and Lectures 1964-1987, ed. by Chris Villars, Hyphen Press, London, 2006, pp. 177-178).

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Come già accennato nella prima parte di questa tesi, in un saggio del 1996 Borio osservava, a proposito della produzione pianistica di Feldman di questi anni, che

Nelle miniature pianistiche degli anni Cinquanta Feldman persegue una logica

asimmetrica e decentralizzata lontana dal pensiero strutturale che Milton Babbit, Pierre

Boulez, Karlheinz Stockhausen e Luigi Nono sviluppano in quello stesso periodo. La configurazione del tempo non è determinata a priori, ma scaturisce immediatamente dall’oggetto sonoro; qualsiasi tipo di figura è escluso o neutralizzato in un lavoro compositivo che si rivolge soprattutto ai campi armonici e alle loro sonorità.186

Le costruzioni sonore di Feldman appaiono dunque a Borio il

prodotto di una logica lontana da un pensiero strutturale unificante, asimmetrica e decentralizzata.187 Questa opinione è stata condivisa da diversi studiosi dell’opera di Feldman.

Paul Steven Undreiner osserva che

184 Morton Feldman, Two Intermissions per pianoforte, Edition Peters, EP 6923, New York, 1962. 185 Le Two Intermissions sono presumibilmente di poco posteriori al Piece for Violin and Piano, e

secondo Claren si somigliano sia per la scelta dei materiali che per la loro disposizione temporale: «Das Piece for Violin and Piano, […] ähnelt den beiden Klavierstücken, sowohl in der Auswahl des Materials, als auch in seiner Anordnung in der Zeit […]». (S. Claren, Neither. Die Musik Morton Feldmans, p. 61). 186 G. Borio, Morton Feldman e l’espressionismo astratto, p. 121. 187 Come abbiamo visto Borio si era espresso alcuni anni prima in termini ancora più radicali (vedi

sopra, pp. 29-30): «Nella storia della Nuova Musica il nome di Morton Feldman è indissolubilmente legato a uno stile pianistico caratterizzato da […] eventi musicali privi di

relazioni strutturali. […] le opere di Feldman non si lasciano analizzare […]. [Le sue] composizioni […] esercitano critica al giudizio analitico unificante […]. [Il loro] equilibrio nell’assoluta asimmetria è dovuto a un senso globale dell’opera che risiede primariamente a livello intuitivo e pertanto […] non è enucleabile dal musicologo con operazioni analitiche» (G. Borio, Le miniature pianistiche di Morton Feldman, pp. 11-12. Tutti i corsivi miei).

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Many analysts have viewed Feldman’s early compositions as freely atonal works, in which the pitch material can be viewed as individual sounds alone, as some have put it, “the sounds themselves”.188

In questa linea si colloca pure Martin Erdmann, che nel suo saggio

Zusammenhang und Losigkeit. Zu Morton Feldmans Kompositionen zwischen 1950 und 1956, da un lato sottolinea la centralità del concetto di Zusammenhang189 per la musica in generale, e come la musica sia sempre stata concepita all’interno di

ein hierarchisches System von durch die Kategorien zeitlicher Kontinuität und

akustischer Homogenität geregelten Beziehungen akustischer Materialen190

fuori dal quale essa non era pensabile.

188 Paul Steven Undreiner, Pitch Structure in Morton Feldman’s Compositions of 1952, PhD

Dissertation, State University of New Jersey, 2009, pp. 44-45. Undreiner cita espressamente il

titolo di un saggio di Catherine Costello Hirata, The Sounds of the Sounds Themselves: Analyzing the Early Music of Morton Feldman, «Perspectives of New Music», vol. 34, n. 1, 1996, pp. 6-27. Il titolo del saggio di Hirata fa riferimento ad un concetto espresso in diversi luoghi da Feldman, per esempio in …Out of “Last Pieces”: «The discovery that sound in itself can be a totally plastic phenomenon, suggesting its own shape, design and poetic metaphor, led me to devise a new system of graphic notation.» (Morton Feldman, …Out of “Last Pieces”, in Id., Give My Regards to Eight Street, p. 19); o anche in The Anxiety of Art: «We were simply not concerned with historical processes. We were concerned with sound itself.» (Morton Feldman, The Anxiety of Art, in Id., Give My Regards to Eight Street, p. 22). 189 Il termine Zusammenhang è traducibile come coesione, connessione, concatenazione,

coerenza, interdipendenza, correlazione. Cfr. Martin Erdmann, Zusammenhang und Losigkeit. Zu Morton Feldmans Kompositionen zwischen 1950 und 1956, in Morton Feldman, hrsg. von

Metzger Heinz-Klaus, Riehn Rainer, «Musik-Konzepte», n. 48/49, 1986, pp. 67-94, in particolare alle pp. 76-77. 190 «un sistema gerarchico nel quale le categorie di continuità temporale e di omogeneità acustica

vengono regolate dalle relazioni del materiale sonoro» (M. Erdmann, Zusammenhang und Losigkeit, p. 77).

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D’altro canto Erdmann aggiunge però che questa condizione si è rivelata di fatto provvisoria, e che storicamente ha cominciato a mutare prima con le opere (musicali) di Duchamp e poi definitivamente con quelle di Brown, Cage, Feldman e Wolff degli anni Cinquanta.191 Per concettualizzare il risultato di questa abrogazione dei nessi compositivi Erdmann propone un nuovo termine: Losigkeit.192

Entrando nel merito della opposizione tra Zusammenhang e Losigkeit, Erdmann rileva però le profonde differenze tra l’attitudine di Cage («Da derjenige der genannten Komponisten, der am intensivsten und am längsten – bis heute – versucht hat, rein losige Musik zu schreiben, John Cage ist»)193 e quella di

191 M. Erdmann, Zusammenhang und Losigkeit, p. 77. 192 Erdmann trae questo termine dalla traduzione tedesca che Elmar Tophoven ha fatto di un

testo di Beckett del 1969. Il titolo originale francese è Sans. In inglese il titolo è stato tradotto con

Lessness. Il termine è costituito dalla radice los (staccato, slegato, sciolto) e dal suffisso keit che forma il sostantivo dall’aggettivo. Il termine può essere approssimativamente tradotto con sconnessione, separazione, dissociazione, mancanza di connessione (cfr. M. Erdmann, Zusammenhang und Losigkeit, p. 76). Come abbiamo fatto notare, a questo tipo di giudizi possono aver contribuito, oltre alle stesse opere di Feldman – al peculiare modo in cui sono scritte ed in cui effettivamente risuonano – anche molte sue dichiarazioni espresse in numerosi saggi, interviste, seminari e conferenze (vedi sopra, pp. 8-12). In diverse occasioni Feldman ha espresso la sua diffidenza verso le metodologie di controllo sul materiale musicale e il suo approccio anti-sistematico contrapposto a quello di compositori come Boulez e Stockhausen. Oltre ai luoghi già sopra citati si vedano in merito alcuni dei saggi raccolti in M Feldman, Give My Regards to Eight Street, e segnatamente: Sound, Noise, Varèse, Boulez, pp. 1-2, Some Elementary Questions, pp. 63-66, A Compositional Problem, pp. 109-111; come anche

Autobiography, in M. Feldman, Morton Feldman. Essays, pp. 36-40; e Soundpieces interview, in M. Feldman, Morton Feldman Says, pp. 87-96. 193 «Quello tra i compositori citati che più intensamente e a lungo – fino ad oggi – ha cercato di

scrivere musica rigorosamente priva di connessioni compositive (rein losige Musik) è John Cage.» (M. Erdmann, Zusammenhang und Losigkeit, p. 77).

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Feldman («Nun gibt es in bezug auf Losigkeit und Zusammenhang zwischen Cage und Feldman gravierende Unterschiede»).194 Per Erdmann infatti

Demgegenüber hat Feldman vielleicht nie den Versuch gemacht, rein losig zu

komponieren; in seinen Stücken finden wir vielmehr ein ständiges Schwanken und Vermitteln zwischen Losigkeit und Zusammenhang. Die beiden werden nicht, wie bei

Cage, als sich gegenseitig negierende, und daher auch dialektisch aufhebbare Gegensätze wahrgenommen, sondern als zwei Enden einer Skala, zwischen denen es unendlich viele Möglichkeiten der graduellen Abstufung gibt.195

E infatti, anche se risulta impossibile rintracciare nella musica di Feldman

strutture seriali o altri metodi rigorosi e sistematici di ordinamento del materiale196 vi sono comunque molti elementi di coerenza e compattezza che denunciano una intenzionalità organizzativa e strutturante nella costruzione delle sue opere: per esempio nella distribuzione del materiale armonico, nella scelta del materiale figurale, nel tipo di intervallistica.

Cominciamo a prendere in esame le Two Intermissions per pianoforte che

sono state eseguite per la prima volta da David Tudor nel 1951.197

194 «Ora, per quanto riguarda la mancanza di nessi (Losigkeit) e la presenza di connessioni

(Zusammenhang) vi è una profonda differenza tra Cage e Feldman.» (M. Erdmann, Zusammenhang und Losigkeit, p. 79). 195 «D’altro canto Feldman non ha forse mai fatto il tentativo di comporre in maniera del tutto

priva di nessi compositivi (rein losig); nei suoi pezzi ritroviamo piuttosto una continua oscillazione e mediazione tra mancanza di nessi compositivi e presenza di connessioni (Losigkeit und Zusammenhang). Queste [Losigkeit und Zusammenhang] non sono concepite, come in Cage, in negazione reciproca, e quindi annullantesi in contrapposizione dialettica, piuttosto come i due

estremi di una scala, tra cui vi sono infinite possibilità di gradazione» (M. Erdmann, Zusammenhang und Losigkeit, p. 79). 196 Cfr. l’opinione di Borio sopra, pp. 29-30 e p. 73, n. 187. 197 La serie completa delle Intermissions assomma a sei e sono tutte in notazione convenzionale

tranne l’ultima (cfr. sopra, p. 22 e p. 72 n. 181). Sono state composte tra il 1950 e il 1953 ed

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Questi brani sono contraddistinti da brevità e concentrazione weberniane.198 La prima Intermission consiste di 32 battute, la seconda di 28.

L’indicazione di metro è 3/8,199 il metronomo prescrive per la croma about 69 e la dinamica è very soft.200

hanno una storia un poco intricata che riassumiamo qui parzialmente. Il 5 luglio 1951, presso l’Università del Colorado a Boulder, Tudor eseguì le Intermissions n. 1, 2 e 3 con il titolo collettivo

di Three Intermissions. Il 10 febbraio 1952, presso il Living Theatre di New York, Tudor eseguì con lo stesso titolo (Three Intermissions) le Intermissions n. 3, 4 e 5. Quando Feldman nel 1962 ebbe la possibilità di essere pubblicato dalla Edition C. F. Peters di New York, inviò le Intermissions 1 e 2 da pubblicare insieme col titolo di Two Intermissions. Successivamente Feldman fece pubblicare Intermission 5 e Intermission 6, ma non pubblicò mai Intermission 3 e 4. La serie completa delle sei Intermissions è stata pubblicata per la prima volta solo nel 2000, nel volume Morton Feldman. Solo Piano Works 1950-64 (Edition C. F. Peters, EP 67976, 2000) edito da Volker Straebel che ne ha curato la prefazione, le note e gli apparati critici ai quali rimandiamo per ulteriori notizie. 198 In questi anni Webern rientrava sicuramente all’interno dell’orizzonte estetico di Feldman. Il

già citato catalogo online curato da Chris Villars riporta, proprio tra il Piece for Violin and Piano e

le Two Intermissions, un Trio inedito per due pianoforti e violoncello dedicato to the memory of Anton Webern (cfr. http://www.cnvill.net/mfworks.pdf). E nella già citata conferenza di Johannesburg, a proposito del Piece for Violin and Piano Feldman dice: «Obviously there was a kind of Webernesque infuence in it, but it’s not a Webernesque atmosphere.» (M. Feldman, Johannesburg lecture 2, in Id., Morton Feldman Says, p. 178). Inoltre ricordiamo che l’incontro di Feldman con Cage era avvenuto in quegli anni proprio sotto il segno di Webern (cfr. M. Feldman, Autobiography, in Id., Morton Feldman. Essays, pp. 36-37). 199 L’indicazione di metro ternaria è una costante nelle opere di questo periodo a notazione

convenzionale: da Two Intermissions (1950) fino a Eleven Instruments (per flauto, flauto contralto, corno, tromba, tromba bassa, trombone, tuba, vibrafono, pianoforte, violino e violoncello (1953), Edition Peters, EP 6929, New York, 1962) Feldman adotta stabilmente il 3/8. Da Three Pieces for Piano (1954, Edition Peters, EP 6937, New York, 1962) a Two Pieces for Six Instruments (per flauto, flauto contralto, corno, tromba, violino e violoncello (1956), Edition Peters, EP 6930, New York, 1964), il 3/16. Fanno eccezione alcuni brani per pianoforte: Nature Pieces (1951) e Variations (1951) (entrambi destinati alla danza), e Intermission 4 (1952). Queste opere però non erano state destinate alla stampa Feldman vivente (cfr. sopra, n. 197) e sono state pubblicate postume da V. Straebel in Morton Feldman. Solo Piano Works 1950-64).

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Entrambi i brani sono costituiti da brevi gruppi di due o tre suoni, suoni singoli e accordi, isolati e separati da pause anche di un’intera battuta.201 L’uso del silenzio ha in questi pezzi un ruolo rilevante da un punto di vista percettivo.

Nella prima Intermission, su un totale di 192/16, 108/16 sono costituiti da suoni (il 56,25%, distribuiti su 40 eventi) e 84/16 da silenzi (il 43,75%, distribuiti su 18 eventi);202 nella seconda, su un totale di 168/16, solo 61/16 sono costituiti da suoni (il 36,3%, distribuiti su 44 eventi) e 107/16 da silenzi (il 63,7%, distribuiti su 23 eventi).203

200 In questa prima fase le indicazioni dinamiche adottate da Feldman rimangono tra il p e il ppp,

e spesso sono indicate da espressioni generiche come quietly, softly, soft, very soft, extremely soft, soft as possible, dynamics are very low, dynamics are extremely low, dynamics are exceptionally low, extremely quiet. A volte possono apparire localmente improvvisi scarti dinamici verso la regione del forte (f, ff, fff, as loud as possible) come ad esempio in Piece for Violin and Piano (1950), Intermission 5 per pianoforte (1952), o Extensions 3 per pianoforte (1952) Edition Peters, EP 6925, New York, 1962. Nella serie delle Projections (1950-51) le dinamiche sono «very low» (a parte la prima che, non specificando nulla in merito, potrebbe forse lasciare libertà

di scelta all’interprete – ma potrebbe anche essere solo una dimenticanza). Nella serie delle Intersections (1951-53) l’interprete è libero di scegliere ogni dinamica («The player is free to choose any dynamic»). In Extensions 4, per tre pianoforti (1953) il contrasto di piani dinamici (p-f) viene esteso a tutto il pezzo, ma dopo questo exploit negli anni seguenti si assiste a una stabilizzazione dei piani dinamici che sarà mantenuta fino a The Viola in my life 1 per viola e strumenti (1970), Universal Edition, UE 15395, New York, 1972, che, come vedremo, appartiene ad una nuovo periodo compositivo. 201 Cfr. S. Claren, Neither. Die Musik Morton Feldmans, p. 59. 202 Non si è presa in considerazione la corona sulla nona battuta perché non esattamente

valutabile. Le proporzioni complessive non subirebbero comunque modifiche significative. 203 John P. Welsh rileva l’importanza del silenzio anche in Projection 1, (cfr. John P. Welsh,

Projection 1 (1950), in The Music of Morton Feldman, ed. by Thomas DeLio, Greenwood Press,

Westport, 1996, pp. 21-35). Nella sua analisi i silenzi maggiori sono adoperati per segmentare l’opera in sei sezioni. Dal suo computo si ricava un rapporto suono-silenzio di 42.2% contro 57.8%. In generale da Projection 1 (1950) fino a Two Pieces for Six Instruments (1956) il silenzio è intensivamente usato da Feldman per separare e isolare gli eventi sonori. L’uso del silenzio in questo senso sarà drasticamente ridimensionato a partire da Pieces for Four Pianos (1957).

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Dei 18 eventi di silenzio della prima Intermission il più breve è quello di semicroma a b. 22. Con una scansione metronomica di about 69 alla croma, una semicroma dura circa 434 ms. Questo valore è ancora al di sotto della soglia critica di 800 ms individuata da van Noorden e altri.204 Ma già dal valore successivo (la croma), si supera, anche se di poco, la soglia critica (869 ms).

Nella prima Intermission troviamo i seguenti eventi di silenzio ordinati per durate crescenti:

1 evento di semicroma (434 ms) = 5,89% (degli eventi totali) 3 eventi di crome (869 ms) = 17, 64% 3 eventi di crome puntate (1304 ms) = 17, 64% 4 eventi di semiminime (1792 ms) = 23,52% 1 evento di semiminima + semicroma (2226 ms) = 5,89% 3 eventi di semiminime puntate (2260 ms) = 17, 64% 1 evento di mimima (3584 ms) ) = 5,89% 1 evento di minima + semicroma (4018 ms) = 5,89%

Nella seconda Intermission troviamo i seguenti momenti di silenzio ordinati per durate crescenti:

2 eventi di semicrome (434 ms) = 9,09% (degli eventi totali) 1 evento di croma (869 ms) = 4,55% 5 eventi di croma puntata (1304 ms) = 22,72% 1 evento di semiminima (1792 ms) = 4,55% 5 eventi di semiminima + semicroma (2226 ms) = 22,72% 5 eventi di semiminima puntata (2260 ms) = 22,72% 1 evento di minima (3584 ms) = 4,55% 1 evento di minima + semicroma (4018 ms) = 4,55% 1 evento di minima + croma puntata (4888 ms) = 4,55%

204 Vedi sopra, p. 64.

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M. Feldman, Intermission 1 per pianoforte (1950)

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M. Feldman, Intermission 2 per pianoforte (1950)

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Osserviamo dunque che la gran maggioranza degli eventi di silenzio supera largamente la soglia critica oltre la quale il senso di continuità temporale comincia a degradare. Il silenzio cioè, frammenta continuamente il discorso, isola e separa gli eventi sonori, e come osserva ancora Borio

Proprio attraverso il silenzio le [sue]205 composizioni esercitano critica alla logica

musicale. Infatti nella musica tradizionale il silenzio era stato integrato sotto forma di pausa nel sistema sintattico del linguaggio musicale. La pausa aveva una funzione simile all’interpunzione del linguaggio discorsivo con cui si separano due pensieri o un pensiero e il suo sviluppo. Solo quando le pause cominciano a moltiplicarsi in modo inspiegabile o assumono una durata eccessiva, diventano problematiche e vengono percepite come inquietante silenzio. In Feldman il silenzio non è più un elemento di collegamento dei momenti sonori ma accresce la distanza tra quello che si è già detto e ciò che potrebbe seguire. Esso sottolinea l’autonomia dell’evento singolo, il fatto che il significato va ricercato nel suono e non in nessi strutturali sovraordinati.206

In queste opere appare già chiara quell’inclinazione di Feldman verso gli

intervalli di seconda minore (e con minore frequenza di seconda maggiore), con le loro inversioni e trasposizioni d’ottava che caratterizzeranno tutta la sua opera a venire.207 Nella seconda Intermission compare a battuta 13 l’accordo più denso, formato da otto suoni, che rappresenta un esempio caratteristico del pensiero armonico di Feldman. L’accordo è costruito da due segmenti cromatici: sib, si, do, do#, re e mi, fa, solb distribuiti su uno spazio di due ottave. Gli intervalli consonanti e dissonanti vengono combinati insieme all’interno di questi due campi cromatici: una quinta più che diminuita (omologa di una quarta giusta), due terze maggiori, una seconda maggiore e due seconde minori.208

205 Nel brano citato Borio scrive loro riferendosi complessivamente a Feldman ed Evangelisti. 206 G. Borio, Le miniature pianistiche di Morton Feldman, p. 14. 207 Cfr. S. Claren, Neither. Die Musik Morton Feldmans, p. 59. 208 Cfr. S. Claren, Neither. Die Musik Morton Feldmans, p. 59.

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Entrando più in dettaglio, l’analisi rivela che questa stessa logica governa l’intera struttura costruttiva delle due Intermissions.

Entrambe le opere sono costruite da una successione di cluster, segmenti cromatici di diversa ampiezza e densità, distribuiti nel tempo con diverse gradazioni tra i due opposti estremi: interamente sincronico – interamente diacronico 209. I cluster si susseguono secondo espansioni progressive non lineari nello spazio cromatico (cioè con possibili ripetizioni di altezze già esposte) fino al completamento del totale dei 12 semitoni. Spesso i cluster sono collegati da una o più altezze pivot in comune.

La prima Intermission è costituita dalla esposizione di due blocchi cromatici completi. Il primo si svolge dalla batt. 1 al fa# coronato di batt. 9; il secondo dal mib della stessa battuta fino alla fine del brano.

209 Col termine inglese cluster (gruppo, ammasso, grappolo) si designa solitamente un accordo

particolarmente denso, composto prevalentamente da intervalli di seconda. In questo contesto lo usiamo in un senso più ampio per indicare un insieme di altezze, prevalentemente di seconda, che può essere sincronico come un accordo, oppure distribuito variamente in un intervallo di tempo determinato.

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M. Feldman, Intermission 1 per pianoforte (1950)

I cerchi evidenziano i cluster che compongono i due blocchi cromatici completi.

Le altezze separate da trattino (-) indicano un segmento cromatico completo tra gli estremi indicati

(do-mi = do, do#, re, re#, mi). Le altezze non integrate in segmenti completi sono separate da una barra (/).

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Il primo blocco può essere suddiviso in 5 cluster costituiti dai seguenti segmenti cromatici (e altezze isolate):210

a) b. 1: si-mib b) b. 2-3: sol-si, re (pivot: re) c) b. 4-5: re-mib, fa, sol-sol# (pivot: sol, sol#, re) d) b. 6: do-reb e) b. 7-9: la-sib, re, mi, fa # Si noti che questi cluster sono essi stessi in relazione cromatica e che

possono essere raggruppati a formare cluster più grandi che includano le altezze prima isolate in segmenti cromatici maggiori:

a+b) b. 1-3: sol-mib c+d) b. 4-6: do-mib, fa, sol-sol# e) b. 7-9: la-sib, re, mi, fa# E ulteriormente: a+b) b. 1-3: sol-mib c+d+e) b. 4-9: do-sib Il secondo blocco può essere analogamente suddiviso in 6 cluster costituiti

dai seguenti segmenti cromatici (e altezze isolate): f) b. 9-11: re-mib, fa, sol-la, si (pivot: la, re) g) b. 12-13: mib-mi, sol#, sib (pivot: mib, sol#)

210 I segmenti cromatici sono indicati in senso ascendente con un trattino tra le due altezze

estreme: do-mi = do, do#, re, re#, mi. Le note isolate (non incluse in segmenti cromatici) sono separate dalla virgola.

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h) b. 14-15: fa, sol-sol#, sib-si (pivot: sib, sol#) i) b. 17-20: do#-re, mi-lab (pivot: lab, sol, fa) l) b. 21-27: fa-sib, do# (pivot: do#, fa, solb, sol, sol#) m) b. 29-30: fa#-sol, la-do, re# (pivot: fa#, la, la#, sol) Anche i cluster di questo secondo blocco possono essere raggruppati in

insiemi maggiori a completare segmenti cromatici più ampi. Per esempio: f+g) b. 9-13: re-fa, sol-si La seconda Intermission è costituita invece da quattro blocchi cromatici

completi. Il primo dalla batt. 1 alla batt. 9; il secondo contenuto tra la batt. 10 e la batt. 11; il terzo dalla batt. 13 alla batt. 20; il quarto dalla battuta 19 alla fine del brano. Il terzo e il quarto blocco hanno in comune un cluster con funzione pivot: l’ultimo cluster del terzo blocco è anche il primo del quarto blocco.

Di seguito diamo lo schema dei quattro blocchi. Primo blocco: a) b. 1: la#-si, re, mi b) b. 3: sol-la c) b. 4: mi-fa#, si d) b. 5-6: fa#-la, do e) b. 7: fa-la, do# f) b. 8: re#-mi, sib g) b. 9: mi-fa, lab, si Secondo blocco: h) b. 10-11: totale cromatico

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Terzo blocco: i) b. 13-14: sib-solb l) b. 16: re-mib, fa, sol, sib m) b. 17: do-reb n) b. 19-20: fa#-la, si Quarto blocco: n) b. 19-20: fa#-la, si (cluster pivot tra terzo e quarto blocco) o) b. 22-26: do-mi p) b. 28: fa-solb, sib, re Anche in questo caso i cluster sono in rapporto cromatico e possono essere

raggruppati per ampliare i segmenti cromatici fino a completare il totale. Sulla partitura annotata si possono vedere esemplificati i vari

raggruppamenti. Qui entreremo nel dettaglio solo del terzo e del quarto blocco per evidenziare la logica del pensiero armonico di Feldman e i suoi procedimenti costruttivi.

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M. Feldman, Intermission 2 per pianoforte (1950)

I cerchi evidenziano i cluster che compongono i quattro blocchi cromatici completi.

Le altezze separate da trattino (-) indicano un segmento cromatico completo tra gli estremi indicati

(do-mi = do, do#, re, re#, mi). Le altezze non integrate in segmenti completi sono separate da una barra (/).

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Il terzo blocco comincia a batt. 13 con l’accordo di otto suoni di cui abbiamo già parlato sopra, costituito dai due segmenti cromatici sib-re e mi-solb. Il mib della battuta successiva si integra con i due segmenti precedenti venendo così a costituire il segmento unico sib-solb. L’accordo successivo di batt. 16 è costituito dal segmento re-mib, e dalle altezze fa, sol, sib. Tutte queste erano già presenti nel cluster precedente ad eccezione del sol. Il campo continua quindi ad allargarsi ed ora si è venuto a costituire un segmento cromatico continuo sib-sol. Il cluster seguente di batt. 17, do-reb, era già presente nell’accordo di batt. 13: non produce quindi un’espansione dello spazio fin qui conquistato, ma costituisce un parziale allargamento del campo rispetto allo spazio delimitato dall’accordo precedente, in modo che lo spazio complessivo formato dai due accordi di batt. 16 e 17 viene ad essere costituito da do-mib, fa, sol, sib. L’ultimo cluster di batt. 19-20 è costituito dal segmento fa#-la e dal si, e completa il totale cromatico del terzo blocco con le altezze sol# e la dell’ultimo accordo.

Quest’ultimo cluster di batt. 19-20 è un pivot che fa da ponte tra il terzo e il quarto blocco (l’ultimo). Le note solitarie di batt. 22 (re) e di batt. 24 (mi) sembrano restare isolate e non integrarsi in nessun segmento cromatico, ma allargando lo sguardo all’accordo di batt. 26 le cose tornano in ordine. L’accordo di batt. 26 definisce lo spazio dei due segmenti do-do# e mib-mi. Il re precedente integra i due segmenti nel segmento complessivo do-mi. Adesso lo spazio complessivo delimitato dai cluster di batt. 19-20 e di batt. 22-26 è fa#-la e si-mi. L’ultimo accordo di batt. 28 (fa-solb, sib, re) porta a compimento l’ultimo blocco completando il totale cromatico con le altezze fa e sib.

Riguardo alla scelta del materiale armonico possiamo osservare quindi come Feldman privilegi gli intervalli di seconda (minori soprattutto e maggiori in secondo luogo)211 con le loro varie inversioni e trasposizioni d’ottava,212 e che 211 P. S. Undreiner nella sua analisi comparativa delle tre opere pianistiche del 1952 (Piano Piece 1952, Edition Peters, EP 6924, New York, 1962, Intermission 5 ed Extensions 3) rileva che «each of the pieces features a prevalent amount of (012) and (016) trichords» (P. S. Undreiner, Pitch Structure in Morton Feldman’s Compositions of 1952, p. 42). Undreiner adotta

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metodologicamente la Pitch-Class Set Theory elaborata più ampiamente e compiutamente da Allen Forte in The Structure of Atonal Music, Yale University Press, New Haven-London, 1973. In questa teoria si presuppone una completa equivalenza di ottava, per cui non si parla di altezze (un do, un do#, un re…) ma di classi di altezze (tutti i do, tutti i do#, tutti i re…, in qualunque registro risuonino). Nella codificazione di questa teoria le classi di altezze sono progressivamente identificate da un numero a partire dal do (do = 0, do# = 1, re = 2…). Analogamente, assumendo

inoltre l’equivalenza di inversione, si parla di sette classi di intervalli: ogni intervallo viene così identificato da un numero che rappresenta la distanza in semitoni tra due pitch-class (unisono = 0; seconda minore = 1; seconda maggiore = 2; fino al tritono = 6). Il tricordo (012) identifica un aggregato di due seconde minori contigue (per esempio do-do#-re o lab-la-sib); il tricordo (016) corrisponde ad un aggregato di una seconda minore ed una quarta contenuto nello spazio di un tritono (per esempio la-sib-mib o re-sol#-la). 212 Ancora Undreiner osserva che «it should be mentioned that Feldman’s usage of the (012)

trichord as a harmonic unit is consistent throughout his oeuvre» (P. S. Undreiner, Pitch Structure in Morton Feldman’s Compositions of 1952, p. 6). Feldman stesso, in una breve presentazione tenuta alla prima esecuzione americana di Triadic Memories nel 1982 afferma «the music is made of essentially just two different kinds of intervals: a minor second, a major second, which of course is also a minor seventh and a major seventh. And it is by superimposing other like

intervals that the chord formations are made» (Morton Feldman, Triadic Memories, in Id., Give My Regards to Eight Street, p. 155). Sempre Feldman, descrivendo il materiale armonico del suo String Quartet 2 (1983) dice: «Now as far as the pitches and the notes, I would say that the “II Stringquartet”, intervallically, is essentially an interest in the minor 2nd and the major 2nd. Those three notes.» (in Morton Feldman, Darmstadt-Lecture, in Id., Morton Feldman. Essays, p. 197). Vogliamo riportare anche un altro esempio tratto dalla sopra citata presentazione della prima americana di Triadic Memories perché ci sembra un modello significativamente esemplificativo dell’approccio di Feldman al materiale armonico. «Of course, any analysis of a piece is up for grabs, even if the composer says otherwise […]. For example, if I would have a chord like this:

It’s obvious that you have the sweet third here, and the fifths; and a tritone at top:

But in my thinking, it is:

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nella distribuzione di questo materiale nel tempo egli proceda per espansioni cromatiche progressive (anche se non rigorosamente lineari), sino a completare l’occupazione dell’intero spazio cromatico.213 Questo processo viene ripetuto variandone la densità temporale da un minimo di due battute (Intermission 2, batt. 10-11, secondo blocco cromatico) ad un massimo di ventidue (Intermission 1, batt. 9-30, secondo blocco cromatico).

La scelta delle figure di durata da distribuire nel tempo è estremamente parca

nelle due Intermission. Entrambe sono quasi esclusivamente costruite da due figure in opposizione: una breve – la semicroma – connotata da una qualità temporale di tipo puntuale/istantaneo, e una lunga – la semiminima puntata – connotata dalla qualità temporale della permanenza/prolungamento.214 Le uniche

Two major seventh chords with two minor seventh chord, creating its own type of, I wouldn’t call it stability, but it’s own kind of equilibrium» (M. Feldman, Triadic Memories, in Id., Give My Regards to Eight Street, pp. 155-156). Si può notare da questo esempio come Feldman ponga la sua attenzione anche e soprattutto alle relazioni armoniche indirette, privilegiando gli intervalli di settima su terze, quinte e tritono. 213 Alistair Noble ha rilevato un modo di procedere analogo in Intermission 5 (1952) per

pianoforte. La sua analisi individua quattro campi cromatici completi: il primo nell’accordo iniziale di 12 suoni; il secondo dal secondo ottavo della prima battuta sino a battuta 16; il terzo dalla battuta 17 alla 24; il quarto dalla battuta 25 sino alla fine (cfr A. Noble, Composing Ambiguity, pp.

49-54). Anche Borio ha parlato di «logica del riempimento del totale cromatico» a proposito di Extensions 3 (1952) per pianoforte (G. Borio, Morton Feldman e l’espressionismo astratto, p. 123). 214 Queste due figure vengono sovrapposte un’unica volta nella prima Intermission a b. 6.

Altrimenti sono giustapposte direttamente o più spesso separate da pause.

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eccezioni a questi due caratteri temporali sono tre crome nella prima Intermission,215 e due terzine di biscrome nella seconda Intermission.216

Tuttavia, a fronte della meticolosa strutturazione armonica e del rigore

ascetico nell’uso delle figure, all’ascolto di queste opere si percepisce una

musica [che] non si sviluppa, ma si estende nello spazio ricoprendone diverse zone; non vi sono né temi o figure caratteristiche né serie o fasce sonore; lo sguardo retrospettivo rammemorante è precluso dalla consapevole abolizione del nesso.217

In realtà come abbiamo visto questa musica è ricca di nessi e relazioni

strutturali che riguardano diversi parametri, eppure spesso all’ascolto è stata percepita in modo tutt’altro che strutturato. Le cause di questa apparente incongruenza si possono rintracciare ipotizzando due tipi diversi di struttura: una struttura costruttiva e una struttura percettiva, ovvero due polarità differenti di un campo in tensione dialettica: un aspetto costruttivo e un aspetto percettivo della struttura.

215 Sulla carta ci sarebbe una quarta croma, quella coronata a battuta 9 che chiude il primo

campo cromatico. Ma appunto la corona la prolunga indefinitamente, facendole perdere la sua qualità di figura intermedia tra la breve (la semicroma) e la lunga (la semiminima puntata) per avvicinarla piuttosto alla figura lunga. 216 Vi sono ancora sulla carta sei acciaccature; ma quella a battuta 8 della prima Intermission è

legata alla croma coronata e viene percepita in effetti come “nota lunga”; quella a battuta 1 della seconda Intermission si appoggia ad una battuta vuota e viene perciò percepita come “nota

breve”. Le quattro acciaccature restanti non instaurano in effetti un ulteriore grado di durata, ma piuttosto “colorano” percettivamente i suoni sulle quali sono appoggiate. 217 G. Borio, Le miniature pianistiche di Morton Feldman, p. 12 (ultimo corsivo mio). Nel passo

citato Borio esemplifica su Extensions 3 (1952) un discorso che rivolge in generale alla musica di Feldman.

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Da un punto di vista della struttura costruttiva abbiamo esaminato alcune relazioni intervallari, armoniche e figurali che gettano luce su alcuni procedimenti del pensiero compositivo di Feldman.

Se ora concentriamo la nostra attenzione alla struttura percettiva e ritorniamo ad osservare il materiale armonico utilizzato da Feldman alla luce dei principi di funzionamento dell’ASA e della memoria descritti nel capitolo precedente possiamo cominciare ad avanzare delle ipotesi di spiegazione della contraddizione prima rilevata.

Per esaminare specificamente il modo in cui gli intervalli risuonano effettivamente all’ascolto abbiamo estrapolato un profilo intervallare prendendo in considerazione l’ampiezza reale degli intervalli (al netto quindi delle equivalenze di ottava e di inversione).218

218 Si è scelto di estrapolare inizialmente un profilo intervallare “astratto”, senza prendere in

considerazione in questo momento i silenzi, che pure hanno un ruolo nella definizione percettiva

del profilo stesso. L’effetto dei silenzi sulla definizione di un auditory stream verrà preso in esame a seguire. Nel caso di aggregati sincronici si è scelto di prendere in considerazione l’intervallo formato dal suono più acuto dell’aggregato, presumendone il maggior rilievo percettivo. Vogliamo precisare che anche prendendo in considerazione intervalli formati da altri suoni degli aggregati i risultati sarebbero stati statisticamente simili.

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M. Feldman, Intermission 1 per pianoforte (1950)

Profilo intervallare estrapolato dalla successione dei suoni più acuti

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M. Feldman, Intermission 1 per pianoforte (1950)

Profilo intervallare estrapolato dalla successione dei suoni più acuti

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Questi sono gli intervalli reperiti nella prima e seconda Intermission (il numero che precede la parentesi indica le quantità totali del tipo di intervallo; in parentesi il tipo di intervallo: m = minore, M = maggiore, ott = ottava, Tr = tritono).

Intermission 1:

2 (unisoni) 1 (2m) 3 (3m) 3 (3M) 1 (4) 3 (Tr) 1 (5) 2 (7m) ---------------- 2 (2m+ott) 2 (2M+ott) 1 (3M+ott) 1 (4+ott) 2 (Tr+ott) 1 (6m+ott) 3 (7M+ott) ---------------- 2 (2M+2ott) 1 (3m+2ott) 1 (3M+2ott) 1 (5+2ott) 1 (6m+2ott) 1 (7m+2ott) ---------------- 1 (2M+3ott) 1 (3m+3ott) 1 (5+3ott) ---------------- 1 (4+4ott)

Intermission 2:

1 (unisono) 1 (2m) 2 (3m) 2 (3M) 3 (4) 3 (Tr) 1 (5) 3 (6m) 1 (6M) 1 (7m) 1 (7M) ---------------- 5 (2m+ott) 1 (2M+ott) 2 (3M+ott) 1 (4+ott) 2 (Tr+ott) 1 (6m+ott) 1 (7m+ott) 2 (7M+ott) ---------------- 1 (2M+2ott) 1 (3M+2ott) 1 (5+2ott) ---------------- 2 (2m+3ott) 1 (2M+3ott) 1 (3m+3ott) 2 (5+3ott) ---------------- 2 (2M+4ott)

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Dalle tabelle esposte si osserva una ridottissima presenza di intervalli congiunti (solo una seconda minore nella prima Intermission e un’altra nella seconda), pochi intervalli contenuti entro il tritono (nella prima Intermission sei terze, una quarta e tre tritoni; nella seconda quattro terze, tre quarte e tre tritoni), alcuni intervalli superiori al tritono (una quinta e due settime nella prima Intermission, una quinta, quattro seste e due settime nella seconda), e infine una larghissima maggioranza di intervalli superiori all’ottava (ventitre nella prima Intermission e ventisei nella seconda).

Riassumendo, i tipi di intervalli utilizzati in entrambe le Intermission sono: - Intervalli congiunti: 2 (2,4%) - Intervalli ≥ di terza e ≤ di tritono: 20 (24%) - Intervalli ≥ di quinta e ≤ di settima: 10 (12%) - Intervalli ≥ di ottava: 49 (60,6%) Ovvero due intervalli congiunti e settantanove intervalli disgiunti. I principi di funzionamento dell’ASA e della memoria esaminati nel capitolo

precedente inducono a pensare che le caratteristiche stilistiche delle opere prese in esame (intervallistica in generale estremamente ampia,219 sostanziale aperiodicità, silenzi che interrompono continuamente il flusso sonoro – in larga parte superiori alla soglia critica di 800ms, assenza quasi completa di ripetizioni220), tutte queste caratteristiche vadano a svantaggio dell’integrazione

219 Notiamo che anche i due intervalli congiunti (Intermission 1, bb. 23-25; Intermission 2, bb. 4-

5), tra i pochi che potrebbero favorire una percezione unitaria di figure, sono per altro separati da pause prolungate. 220 Cosa che (oltre a tutto quello che abbiamo detto) ulteriormente impedisce ai processi di

memoria di attivare raggruppamenti di elementi in chunk più riconoscibili e memorizzabili. Lo span di memoria cioè, è qui costantemente forzato e superato.

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dei suoni in un flusso uditivo continuo, e rendano perciò precaria, per il nostro sistema uditivo, la possibilità di rintracciare o formare schemi che permettano di fissare nella memoria quello che ascoltiamo.221

In questo caso dunque Feldman non sembra tanto cercare un «modo di funzionare diverso della memoria»222 (come avverrà, e vedremo in che modo, nell’ultima fase compositiva) quanto piuttosto di negarne effettivamente la possibilità. Questa inibizione dell’azione della memoria produce di conseguenza una sospensione della temporalità o perlomeno il suo problematico svolgersi.

Da un punto di vista percettivo dunque, le relazioni connettive sono in questo caso assai meno stringenti di quelle della struttura costruttiva.

Per riprendere l’opposizione di Erdmann potremmo dire che in questo caso la struttura costruttiva presenta una relativa Zusammenhang, mentre la struttura percettiva è connotata prevalentemente dalla Losigkeit.

In realtà queste due opposizioni, ‘struttura costruttiva’ vs ‘struttura percettiva’

e Zusammenhang vs Losigkeit, si sviluppano in maniera intrinsecamente dialettica. E se abbiamo visto come a livello costruttivo si possano rintracciare forti legami strutturali nella disposizione del materiale armonico (anche se ottenuti con metodologie asistematiche), analogamente in questo paesaggio sonoro nel quale in generale «qualsiasi tipo di figura è escluso o neutralizzato»,223 e «non vi sono né temi o figure caratteristiche né serie o fasce sonore»,224 emergono tuttavia in alcuni momenti quelli che Borio chiama «espedienti […] rilevanti per

221 Cfr. sopra, p. 92: «lo sguardo retrospettivo rammemorante è precluso dalla consapevole

abolizione del nesso.» (G. Borio, Le miniature pianistiche di Morton Feldman, p. 12). 222 Cfr. Sopra, p. 15: «Musical forms and related processes are essentially only methods of

arranging material and serve no other function than to aid one’s memory. What Western musical forms have became is a paraphrase of memory. But memory could operate otherwise as well.» (M. Feldman, Crippled Symmetry, in Id., Give My Regards to Eight Street, p. 137). 223 Cfr. Sopra, p. 73: G. Borio, Morton Feldman e l’espressionismo astratto, p. 121. 224 Cfr. Sopra, p. 92: G. Borio, Le miniature pianistiche di Morton Feldman, p. 12.

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una discussione sull’attribuzione di senso nella musica di Feldman»,225 o «tracce per l’orientamento temporale in un universo sonoro che […] si rivela e si definisce innanzitutto attraverso la dimensione spaziale».226 Emergono cioè segnali percettivamente pregnanti che possono attivare, anche se per un breve momento, i processi di riconoscimento o/e di memoria.

Nella prima Intermission si può segnalare la corona di batt. 9 che se adeguatamente sostenuta227 può costituire un momento di cesura reale.228

Nella seconda Intermission si possono segnalare le batt. 10-11, in cui si verifica un improvviso addensamento della texture.229

Ma sono soprattutto due ripetizioni che forniscono un segnale percettivamente eclatante all’ascolto: il sol tre volte ripercosso tra le batt. 21-22 della prima Intermission, e la figura di quattro suoni contenuta due volte tra le batt. 5-6 e parzialmente alla batt. 7 della seconda Intermission.230

Questa figura assume particolare rilievo alla luce di quelli che saranno i successivi sviluppi della produzione di Feldman. Qui infatti ci troviamo di fronte ad un vero e proprio pattern come quelli che Feldman userà poi pervasivamente per costruire le opere dell’ultimo periodo. La caratteristica più notevole di questa figura, e ciò che la rende strutturalmente affine ai pattern degli anni Ottanta, non è semplicemente la reiterazione, quanto quel peculiare processo di

225 G. Borio, Le miniature pianistiche di Morton Feldman, p. 12. 226 G. Borio, Morton Feldman e l’espressionismo astratto, p. 121. 227 Quando sia cioè significativamente superiore alla durata di semiminima puntata, valore

massimo dell’opera. 228 Corrispondente tra l’altro alla fine del primo blocco cromatico completo. 229 In corrispondenza tra l’altro del secondo blocco cromatico completo. 230 In questi casi infatti la memoria può improvvisamente attivarsi. Anche se per un breve

momento, riconosciamo percettivamente una struttura che possiamo comprendere all’interno del nostro span di memoria e questo ci mette in grado anche di superare le difficoltà legate alla discontinuità temporale e frequenziale.

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trasformazione della figura che produce sottili e inesauribili varianti231 (in questo caso viene alterato il ritmo di presentazione degli elementi della figura variando le pause tra le figure o introducendole tra gli elementi della stessa figura, e inoltre viene modificato il registro di alcuni elementi della figura).232

Prendiamo ora in esame un brano di qualche anno successivo, Extensions 4

per tre pianoforti (1953), che si presenta all’ascolto con alcune caratteristiche abbastanza diverse dalle Intermission fin qui analizzate.

Osservando le prime diciotto battute vediamo che anche qui non vi sono ripetizioni di strutture ritmiche o intervallari o di altro tipo e il ritmo è generalmente aperiodico. Qui però la scrittura è estremamente densa e il flusso sonoro degli eventi è nervoso e con continui scarti tra f e p. Gli unici segnali all’ascolto per una segmentazione sono dati dalle pause generali che intervengono a battuta 6, 10 e 15.

231 Usiamo qui intenzionalmente il termine variante in alternativa a variazione. Lo stesso Feldman

riteneva che il suo uso dei processi di trasformazione degli elementi avesse una funzione diversa dalla produzione di variazioni: «I don’t hate the term [variation]. I don’t use it. I’m not varying

anything. To me, variation is Beethoven and Schönberg. I’m not doing it that way.» (M. Feldman, Darmstadt-Lecture, in Id., Morton Feldman. Essays, p. 212). La questione verrà approfondita in seguito, quando affronteremo le opere degli anni Ottanta. 232 Esattamente queste (e altre) tecniche saranno all’opera nei lavori degli anni Ottanta come

vedremo per esempio in Triadic Memories, per pianoforte (1981).

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M. Feldman, Extensions 4 per tre pianoforti (1953), p. 1, bb. 1-12

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M. Feldman, Extensions 4 per tre pianoforti (1953), p. 2, bb. 13-18

Attraverso ascolti ripetuti si è cercato di rintracciare, al netto di qualche

imprecisione esecutiva e tenendo in considerazione in alcuni accordi il diverso peso dato dalle dinamiche e dai registri pianistici, un profilo intervallare per le prime 15 battute (in alcuni casi – con accordi a parti molto distanziate – si può rilevare una certa ambiguità su quale sia effettivamente la “nota guida” che stabilisce il profilo; ma dato il contesto, questo non cambia la sostanza del risultato).

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M. Feldman, Extensions 4 per tre pianoforti (1953), p. 1, bb. 1-12. Profilo intervallare

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M. Feldman, Extensions 4 per tre pianoforti (1953), p. 1-2, bb. 7-18. Profilo intervallare fino a b. 14

Nelle battute 1-5 si trovano i seguenti intervalli: 2 (3M) 1 (5) 2 (6M) 1 (7m) 1 (7M)

1 (5+ott) 1 (6m+ott) 1 (6M+ott) 1 (7M+ott)

1 (3M+3ott)

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Nelle battute 7-9 si trovano i seguenti intervalli: 1 (6M) 1 (7M)

1 (6M+ott)

1 (2m+2ott) 1 (Tr+2ott)

1 (Tr+3ott)

Nelle battute 11-14 si trovano i seguenti intervalli: 1 (3m) 1 (5) 1 (6M)

1 (2M+ott) 1 (3M+ott) 2 (Tr+ott) 1 (5+ott) 2 (7m+ott)

1 (3ott) 1 (5+3ott)

1 (3M+4ott) 1 (6M+4ott)

Totale degli intervalli nelle battute 1-14: 1 (3m) 2 (3M) 2 (5) 4 (6M) 2 (7m) 1 (7M)

1 (2M+ott) 1 (3M+ott) 2 (Tr+ott) 2 (5+ott) 1 (6m+ott) 2 (6M+ott) 2 (7m+ott) 1 (7M+ott)

1 (2m+2ott) 1 (Tr+2ott)

1 (3ott) 1 (3M+3ott) 1 (Tr+3ott) 1 (5+3ott)

1 (3M+4ott) 1 (6M+4ott)

In questo caso gli intervalli congiunti sono del tutto assenti; vi è una minima

presenza di intervalli di terza (tre = 9,3%), una notevole presenza di intervalli di

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quinta o superiori (nove = 28,2%), e una netta preponderanza di intervalli superiori all’ottava (venti = 62,5%).233

Analizzando poi la frequenza di distribuzione degli eventi nel tempo (al netto delle pause generali) troviamo nella prima sezione 13 eventi in ca 7 secondi, nella seconda sezione 7 eventi in ca 4 secondi, nella terza 12 eventi in ca 6 secondi per una media di ca 0.5 secondi per evento con valori minimi di 0.25 secondi ca. Con una scansione metronomica di 83 per la croma puntata, i silenzi rimangono qui in media al di sotto della soglia critica di 800 ms (fanno eccezione ovviamente le divisioni maggiori a bb. 6, 10 e 15), ma sequenze di suoni così rapide, con una distanza frequenziale molto ampia e continui scarti dinamici non favoriscono l’integrazione di suoni in un unico flusso. Anche il limite dello span di memoria è teso al limite e spesso superato (e la sua funzione quindi compromessa) dal numero di elementi privi di ripetizioni (o di altre caratteristiche che promuovano raggruppamenti superiori) che si trovano all’interno delle sezioni segmentate dai silenzi maggiori.

Anche in questo caso le caratteristiche dell’opera (prevalenza di intervalli disgiunti e molto ampi, frequenza di distribuzione degli eventi nel tempo generalmente molto rapida, scarti dinamici continui, assenza di ripetizioni, generale aperiodicità,)234 sfavoriscono l’integrazione dei suoni in un flusso unitario e allo stesso modo contrastano l’attivazione dei processi di memorizzazione.

233 Come abbiamo detto il risultato sarebbe sostanzialmente analogo anche se nelle situazioni di

ambiguità si scegliesse un profilo lievemente modificato. 234 Le stesse caratteristiche si ritrovano sostanzialmente anche nel resto dell’opera esaminata.

Nel corso del brano si rilevano (eccezionalmente e localmente) alcune ripetizioni di altezze e/o figure ritmiche (p. e. a batt. 34, secondo pf; o batt. 113-114, secondo e terzo pf). Queste vengono tuttavia subito riassorbite percettivamente nella texture generale dell’opera.

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3.1.2. Graph pieces In questo stesso periodo Feldman alternava alle opere scritte in notazione

convenzionale altre opere scritte su griglie quadrettate, i graph pieces.235 Queste opere lasciano indefinite le altezze esatte da produrre e si limitano,

con una grafia ridotta all’essenziale, a prescrivere i registri da usare (acuto, medio o grave), il numero dei suoni da eseguire, il modo timbrico di attacco (arco, ponte, armonico o pizzicato) e il riferimento metronomico.236 Per le dinamiche Feldman prescrive low, very low, extremely low (o altre indicazioni analoghe) nella serie delle Projection (1950-51)237 come negli altri brani con lo stesso tipo di notazione. Nella serie delle Intersection (1951-53) invece lascia libertà di scelta all’interprete (the player is free to choose any dynamic).

235 Feldman è stato il primo dei quattro compositori della New York School ad adottare una

notazione non convenzionale (cfr. David Nicholls, Getting Rid of the Glue. The Music of the New York School, in The New York Schools of Music and Visual Arts, p. 26; M. Lenzi, New York 1950 - 1952: la nascita della musica indeterminata, in John Cage. L’espressione si sviluppa in colui che la percepisce, Atti del Convegno di Studi di Riva del Garda, a cura di Franco Ballardini, Aldo Cutroneo, Emanuela Negri, Lim, Lucca, 2003, p. 41; Id., L'estetica musicale di Morton Feldman, pp. 17-18). La prima di queste opere è Projection 1 per violoncello, del 1950; l’ultima è In search of an orchestration per orchestra, del 1967. Il termine graph pieces è adoperato dallo stesso Feldman: «“Projection Nr. 2” […] – one of the first graph piece – was my first experience with this new thought.» (M. Feldman, Autobiography in Id., Morton Feldman. Essays, p. 38). 236 Nel corso del tempo Feldman renderà più articolata questa grafia ampliando le prescrizioni

strumentali (p. e. indicando glissandi, flatterzung ecc.), ma manterrà sempre l’indeterminazione delle altezze. 237 Ad esclusione di Projection 1 che, forse solo per una dimenticanza, non dà alcuna indicazione

in merito (vedi sopra, p. 78, n. 200).

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Prendiamo adesso in esame Intersection 4 (1953) per violoncello.238 Ai fini della nostra analisi prenderemo questa volta in considerazione esclusivamente la struttura percettiva, lasciando da parte l’aspetto costruttivo.239

M. Feldman, Intersection 4 per violoncello (1953), p. 1

238 Le indicazioni originali di Feldman sono: «Each box is equal to MM 80. Each system is

notated vertically as regards pitch: high, middle, low. The player is free to choose any dynamic and to make any rhythmic entrance within the given situation. Numbers indicate the amount of sounds to be played simultaneously (if possible). Sustained sounds, once played, must be held at the same dynamic level to the end of the given duration. All sounds are pizz. unless otherwise

notated. ♢ har.; A arco; etc. etc.» (M. Feldman, Intersection 4, Edition Peters, New York, 1964). 239 Segnaliamo comunque che anche nelle partiture con questo tipo di notazione è possibile

rintracciare aspetti e strutture specificamente costruttive Rimandiamo in tal senso p. e. all’analisi di Projection 1 di John P. Welsh (J. P. Welsh, Projection 1 (1950), in The Music of Morton Feldman, pp. 21-35), o a quella di Intersection 3 di Alistair Noble (A. Noble, Composing Ambiguity, pp. 141-172).

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M. Feldman, Intersection 4 per violoncello (1953), p. 2

Anche in questa partitura si rileva l’importante funzione del silenzio. Su un

totale di 240 box 137 sono di silenzio (57%) e solo 103 sono sonori (43%). I silenzi frantumano continuamente il decorso temporale e i momenti sonori sono per lo più ridotti nello spazio di pochi box come si osserva nella seguente tabella:

Momenti sonori: - su 1 box: 28 - su 2 box: 5 - su 3 box: 2 - su 4 box: 6 - su 5 box: 2 - su 6 box: 2 - su 13 box: 1

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Al contrario i momenti silenziosi tendono ad essere prolungati: Momenti silenziosi: - su 1 box: 8 (750 ms) - su 2 box: 12 (1500 ms) - su 3 box: 11 (2250 ms) - su 4 box: 7 (3000 ms) - su 5 box: 1 (3750 ms) - su 6 box: 3 (4500 ms) - su 7 box: 3 (5250 ms) Dunque solo 8 eventi silenziosi non superano (di poco) la soglia critica di 800

ms contro 37 eventi che la superano largamente. Nel caso di una partitura come Intersection 4 è ovviamente impossibile

analizzare l’ampiezza effettiva degli intervalli. Possiamo però esaminare la successione dei registri. Definita 0 la ripetizione di uno stesso registro, 1 la successione di due registri contigui (high-middle o middle-low) e 2 la successione di due registri discontigui (high-low), abbiamo la seguente tabella di successione dei registri:240

0) 22 (26,5%) 1) 40 (48,2%) 2) 21 (25,3%)

240 Basiamo la nostra analisi (come abbiamo fatto per i brani precedenti) sul registro di volta in

volta in rilievo percettivo. Poiché in questo caso le dinamiche sono liberamente scelte dall’interprete prendiamo in considerazione esclusivamente il registro in posizione più acuta.

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M. Feldman, Intersection 4 per violoncello (1953), p. 3

Solo nel 26,5% dei casi troviamo la ripetizione dello stesso registro241 contro

il 73,5% di registri contigui o discontigui.242 Anche nei graph pieces possiamo dunque vedere come le strutture

percettive messe in azione (caratterizzate da una intervallistica statisticamente ampia e dall’uso intensivo del silenzio, con momenti in maggior parte superiori alla soglia critica di 800 ms) siano sostanzialmente omogenee a quelle già

241 È appena il caso di rilevare che anche quando venga ripetuto lo stesso registro può darsi la

presenza di intervalli notevolmente ampi. 242 Si potrebbe obiettare per l’impropria equiparazione tra gli intervalli (tra registri) all’interno delle

“unità fraseologiche” e gli “intervalli morti”. Ma anche limitando l’analisi agli intervalli interni alle “unità fraseologiche” le percentuali che si ottengono sono analoghe. Considerate “unità fraseologiche” quelle separate da silenzi la tabella relativa risulterebbe: 0) 11; 1) 18; 2) 8, con il

29,7% di ripetizioni di registro contro il 70,3% di registri contigui e discontigui. Un’ulteriore obiezione potrebbe essere quella di aver considerato solo le successioni dei registri più acuti. Relativamente alla “unità fraseologica” più estesa (quella su 13 box a p. 3, primo sistema) la tabella relativa alle successioni di tutti i registri risulta: 0) 8; 1) 14; 2) 5, con il 29,6% di ripetizioni di registro contro il 70,4% di registri contigui e discontigui.

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verificate nelle opere a notazione convenzionale e producano tendenzialmente una analoga fratturazione del flusso sonoro e dei processi di memorizzazione.

3.1.3. Free durational music Nel 1957 Feldman comincia ad utilizzare un ulteriore sistema notazionale per

quella che chiamerà free durational music.243 Nelle partiture scritte con questo sistema di notazione le altezze tornano ad

essere precisamente prescritte mentre la durata degli eventi è lasciata alla libertà degli interpreti.244 Da Piece for 4 pianos (1957) fino a Between categories (1969) Feldman si concentra soprattutto su questo tipo di notazione tornando solo sporadicamente alla notazione dei graph pieces (in Ixion, 1958; Atlantis, 1959;

243 Feldman utilizza questa espressione nel 1984, durante un seminario a Francoforte: «When I

started to do my free durational music, I controlled the notes but I didn’t control the time.» (Morton Feldman, The Future of Local Music, in Id., Give My Regards to Eight Street, p. 173). Feldman

sembra riferire genericamente l’espressione free durational music alla sua produzione (relativamente) priva di controllo temporale. Tuttavia Sebastian Claren in base ad alcune considerazioni (non rigorosamente pertinenti all’argomento della nostra tesi) suddivide questa parte della produzione di Feldman in due categorie: Freie Dauern (da Piece for 4 pianos, del 1957 a The O’Hara Songs per basso-baritono, campana tubolare, pianoforte, violino, viola e violoncello del 1962, Edition Peters, EP 6949, New York, 1963), e Zeitstrukturen (da De Kooning, del 1963 a Between categories, del 1969) (cfr. S. Claren, Neither. Die Musik Morton Feldmans, pp. 70-81), in questo seguito sostanzialmente anche da Marco Lenzi (cfr. M. Lenzi, L’estetica musicale di Morton Feldman, pp. 53-70). 244 Una libertà sempre relativa. Accanto a indicazioni come «durations for each sound are chosen

by the performer», «all beats are slow and not necessarily equal» e simili Feldman prescrive ulteriormente slow, very slow, extremely slow. Solo in Last pieces (1959) si trovano le indicazioni

fast e very fast. In alcuni casi Feldman indica uno specifico intervallo metronomico più o meno ampio all’interno del quale agire: p. e. 76-92 in Duration 4 (1961); 76-92 nel primo movimento e 52-76 nel secondo movimento di Two Pieces for Clarinet and String Quartet (1961), Edition Peters, EP 6920, New York, 1962; 66-84 in The O’Hara Songs (1962); 66-88 in Piano Piece (to Philip Guston) (1963) Edition Peters, EP 6950, New York, 1963.

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…Out of “Last pieces”, 1961; The Straits of Magellan, 1961; The King of Denmark, 1964; In search of an orchestration, 1967) o alla notazione convenzionale (Structures for orchestra, 1960-62).

Durante questi 12 anni la notazione free durational subisce alcune modifiche che, pur lasciando sempre agli interpreti una certa libertà nella scelta delle durate, li vincola però a determinate successioni di eventi e a precisi incontri verticali; inoltre essa viene ibridata con la notazione convenzionale che può emergere localmente a determinare più precisamente le durate di (e i rapporti temporali tra) suoni, riverberi o silenzi.245

Inizieremo la nostra ricognizione della free durational music con il primo

movimento di Last Pieces per pianoforte (1959).246 Quello che appare eclatante dopo i pezzi che abbiamo già esaminato è che

nelle opere in notazione free durational Feldman riduce drasticamente il ruolo del silenzio quando non lo elimina del tutto come in questo caso. Inoltre nelle opere di questo periodo la durata degli eventi sonori è generalmente prolungata. Si passa quindi dalla prevalenza di eventi sonori brevi e puntuali delle opere precedenti ad una prevalenza di eventi più estesi nel tempo.

Nel primo movimento di Last Pieces le uniche soluzioni di continuità all’interno di un decorso sostanzialmente omogeneo connotato come slow e soft sono le tre corone (iniziale, centrale e finale) e le tre acciaccature (sul primo e terzo sistema).

L’analisi del profilo intervallare determinato in base alla successione delle altezze più acute dà il seguente risultato:

245 Sono queste le ragioni alla base della suddivisione di questo gruppo di opere nelle due

categorie di Freie Dauern e Zeitstrukturen operata da Claren (cfr. sopra, n. 243). 246 Nella nostra analisi ci limiteremo ad osservare le strutture percettive dell’opera. Per una

disamina degli aspetti costruttivi di una free durational music rimandiamo per esempio all’approfondita analisi del terzo movimento di Last Pieces di DeLio, Last Pieces #3 in Id., The Music of Morton Feldman, pp. 39-68).

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M. Feldman, Last pieces per pianoforte (1959), primo movimento

1 (unisono) 2 (3m) 2 (4) 1 (5) 2 (6m)

1 (7m) 4 (7M)

2 (ott) 1 (2m+ott) 3 (2M+ott) 1 (3m+ott) 4 (3M+ott)

1 (Tr+ott) 1 (5+ott) 3 (6m+ott) 3 (6M+ott) 1 (7M+ott)

1 (2ott) 1 (2m+2ott) 2 (3m+2ott) 1 (5+2ott) 1 (6M+2ott)

1 (3m+3ott)

1 (4+4ott) 1 (7m+4ott)

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Ancora una volta verifichiamo l’assenza di intervalli congiunti (come già visto in Extensions 4), solo quattro intervalli contenuti entro il tritono, otto contenuti entro la settima, e ventinove oltre la settima.247

Risultati sostanzialmente analoghi si possono verificare anche in un’opera

come Durations 3, per violino, tuba e piano (1961) della quale prendiamo in esame il secondo movimento. Le indicazioni per l’esecuzione recitano: «The first sound in each piece with all instruments simultaneously. The duration of each sound is chosen by the performer. All sounds should be played with a minimum of attack. Grace notes should not be played too quickly. Numbers between sounds indicate silent beats. Dynamics are very low […].»248

Solo l’attacco iniziale è dunque coordinato, mentre i successivi incontri verticali degli strumenti non sono controllati. Poiché in questo caso non è dunque possibile prevedere gli eventuali profili intervallari risultanti dall’intreccio degli strumenti limiteremo la nostra analisi al profilo intervallare autonomo di ogni strumento.249

247 Non si sono presi in considerazione gli intervalli formati dalle tre acciature. In ogni caso il

risultato sarebbe stato analogo a quello che abbiamo ottenuto. 248 M. Feldman, Durations 3, Edition Peters, EP 6903, New York, 1964. 249 In questa partitura sono indicati momenti di silenzio nelle parti individuali, ma la rinuncia al

coordinamento verticale degli eventi non permette di determinare se e quando, durante l’esecuzione, possano verificarsi momenti di silenzio effettivo, in ogni caso statisticamente non

molto probabili. Nella parte del violino vi sono infatti 20 ‘momenti sonori’ (17 semibrevi nere, 2 crome bianche, una acciaccatura finale) contro 15 ‘momenti silenziosi’; nella parte della tuba vi sono 24 ‘momenti sonori’ (21 semibrevi nere e 3 semibrevi nere coronate) contro 9 ‘momenti silenziosi’; nella parte del pianoforte vi sono 19 ‘momenti sonori’ (14 semibrevi nere e 5 semibrevi nere coronate) contro 14 ‘momenti silenziosi’.

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M. Feldman, Durations 3 per violino, tuba e piano (1961), secondo movimento

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Dall’analisi del profilo intervallare risulta:

per il violino: 2 (2m) 1 (3m)

2 (7m)

1 (2M+ott) 2 (3m+ott)

2 (Tr+ott) 1 (5+ott)

1 (4+2ott) 1 (6M+2ott)

2 (7m+2ott) 1 (7M+2ott)

2 (7m+3ott)

per la tuba: 1 (3M) 2 (Tr) 1 (5) 1 (6m) 1 (6M) 2 (7m)

1 (7M)

1 (2m+ott) 3 (2M+ott) 1 (Tr+ott) 3 (7m+ott) 2 (7M+ott)

1 (2M+2ott) 1 (Tr+2ott) 1 (5+2ott)

per il pianoforte: 1 (unisono) 1 (Tr) 1 (7M)

1 (4+ott) 1 (Tr+ott)

1 (2ott) 3 (2m+2ott) 1 (3m+2ott) 1 (5+2ott) 1 (7m+2ott)

1 (3m+3ott)

1 (6M+4ott)

1 (7m+5ott)

Riassumendo, i tipi di intervalli utilizzati dai tre strumenti risultano:

- Intervalli congiunti: 2 (3,8%) - Intervalli ≥ di terza e ≤ di tritono: 4 (7,6%) - Intervalli ≥ di quinta e ≤ di settima: 9 (17%) - Intervalli ≥ di ottava: 38 (71,6%)

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Come accennato in precedenza la notazione free durational subisce alcune modifiche nel corso degli anni, ma la distribuzione degli intervalli resta essenzialmente simile. Esaminiamo per esempio De Kooning, per piccolo ensemble (1963).

M. Feldman, De Kooning per ensemble (1963), prima pagina

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In questo caso gli interpreti sono vincolati ad una precisa successione di eventi (indicata dalle linee tratteggiate) e a determinati incontri verticali (indicati dalle linee continue).250

M. Feldman, De Kooning per ensemble (1963), terza pagina. Si noti l’emergenza della

notazione convenzionale

250 Come già accennato queste sono tra le caratteristiche che conducono Claren a includere De Kooning (come altre opere analoghe) nella categoria delle Zeitstrukturen, differenziandola da quella del Freie Dauern (cfr. sopra, n. 243). La notazione di questo tipo di opere è inoltre contraddistinta dall’ibridazione con la notazione convenzionale che può emergere localmente a determinare con maggior precisione le durate di suoni, silenzi o riverberi.

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Dall’analisi del profilo intervallare (condotta limitatamente ai due sistemi della prima pagina) ricaviamo:

3 (unisoni) 4 (2m) 1 (Tr) 1 (6m) 1 (7m)

2 (2m+ott) 1 (2M+ott) 1 (3m+ott) 1 (3M+ott) 1 (4+ott) 2 (Tr+ott) 1 (6M+ott) 3 (7M+ott)

1 (2m+2ott) 1 (3M+2ott) 1 (4+2ott) 1 (Tr+2ott)

1 (Tr+3ott) 1 (7m+3ott)

1 (7m+4ott)

I tipi di intervalli utilizzati dunque risultano: - Intervalli congiunti (o unisoni): 7 (24,1%) - Intervalli ≥ di terza e ≤ di tritono: 1 (3,4%) - Intervalli ≥ di quinta e ≤ di settima: 2 (6,8%) - Intervalli ≥ di ottava: 19 (65,7%) Torna in questa partitura il silenzio che era sparito dalle prime opere in

notazione free durational, anche se è ora molto ridimensionato rispetto alle opere precedenti. Data la natura di questa notazione non si può fare un calcolo preciso del rapporto suono-silenzio, tuttavia esso appare in proporzione esigua rispetto agli eventi sonori.

Anche le opere free durational prese in esame mostrano dunque modi di

organizzazione percettiva del suono analoghi a quelli verificati nelle opere precedenti a notazione convenzionale e nei graph pieces. Sebbene il ruolo del silenzio sia stato qui ridimensionato e le durate dei suoni siano generalmente più estese, le altre caratteristiche delle opere analizzate (intervallistica

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prevalentemente ampia, generale aperiodicità, sostanziale assenza di ripetizioni) ostacolano ancora l’integrazione degli eventi sonori in un flusso uditivo continuo e la loro memorizzabilità.

Nelle opere degli anni Cinquanta e ancora in quelle degli anni Sessanta il flusso sonoro rimane incerto e franto. La memoria continuamente obliterata. Il tempo sospeso.

Una svolta significativa si produrrà con alcune opere del decennio successivo.

3.2. Le opere degli anni Settanta. Già ad un semplice ascolto le opere degli anni Settanta appaiono molto

diverse da quelle che abbiamo visto finora. L’analisi mostrerà che qui ci troviamo di fronte a modalità di organizzazione dei suoni molto diverse rispetto alle opere precedenti, con esiti percettivi, a partire dal tipo di temporalità, affatto differenti.

Se la scrittura degli anni Cinquanta e Sessanta poteva rendere assai poco immediata e alquanto problematica l’operazione di delineare un profilo intervallare all’ascolto (come pure la formazione di un auditory stream), continuamente interrotto e atomizzato com’era dai silenzi, dall’intervallistica estremamente ampia, dalle continue intersecazioni timbriche o dagli scarti dinamici, nelle opere degli anni Settanta l’uso del silenzio è molto ridimensionato (come già di fatto avveniva nelle opere free durational), i piani timbrici sono ben differenziati, l’ampiezza dell’intervallistica viene ridotta, e l’uso delle dinamiche acquista profondità superando la semplice opposizione binaria forte(issimo)-piano(issimo) (comunque adoperata solo eccezionalmente nelle opere precedenti) per aprirsi a diverse gradazioni di f, p, crescendi e diminuendi251 251 Sono pochi i casi in cui ritorna un monocromatismo dinamico rigoroso, come per esempio in

Voices and Instruments per coro misto e strumenti (1972), Universal Edition, UE 15515, Canada, 1975 («very quiet, without the feeling of a beat»); Voices and Instruments II per 3 voci acute, flauto, 2 violoncelli e contrabbasso, (1972), Universal Edition, UE 16001, 1973 («soft as

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Da On Time and the Instrumental Factor per orchestra (1969)252 Feldman userà praticamente solo la notazione convenzionale.253

Per cominciare prendiamo in esame The Viola in My Life 3 (1970),254 per

viola e pianoforte. Osservando la partitura si nota immediatamente come i due piani timbrico-

strumentali siano qui ben distinti e separati. Il pianoforte procede per blocchi accordali mentre la viola ha movimenti intervallari orizzontali. La viola inoltre è caratterizzata da delicate forcelle di crescendo e diminuendo.255

Rispetto alla aperiodicità “diffusa” delle opere che abbiamo esaminato sinora qui emergono delle periodicità “locali”256 anche se tra queste permangono rapporti aperiodici.

possible»); Voices and Cello per due voci acute e violoncello (1973), Universal Edition, UE 15576, London, 1973 («very quiet»), o una opposizione dinamica binaria, come in Piano (1977) Universal Edition, UE 16516, London, 1981 tra ppp e fff. 252 Morton Feldman, On Time and the Instrumental Factor, Universal Edition, UE 15351, 1971. 253 Solo eccezionalmente Feldman utilizzerà di nuovo una forma di notazione free durational anche se fortemente ibridata con la notazione convenzionale, in cui parti individuali interamente o quasi interamente determinate procedono senza reciproca coordinazione, p. e. Pianos and Voices (1972) Universal Edition, UE 15500, 1972; Crippled Symmetry (1983), Why Patterns? (1978), For Philip Guston (1984), For Christian Wolff (1986). 254 Morton Feldman, The Viola in My Life 3, Universal Edition, UE 15402, New York, 1972. La

serie The Viola in My Life, oltre alle già citate The Viola in My Life 1 e 3 (1970), comprende The Viola in My Life 2 per viola e strumenti (1970) Universal Edition, UE 15400, New York, 1972, e The viola in my life 4 per viola e orchestra (1971), Universal Edition, UE 15408, New York, 1973. 255 Crescendo e diminuendo ricompaiono per la prima volta in The Viola in My Life 1 (1970) dopo

le opere giovanili degli anni Quaranta. 256 Per esempio la figura di crome alle bb. 8, 17 e 55; la quartina di b. 15; le tre minime puntate a

bb. 46-47.

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M. Feldman, The Viola in My Life 3 per viola e pianoforte (1970), bb. 1-23

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M. Feldman, The Viola in My Life 3 per viola e pianoforte (1970), bb. 24-56

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L’analisi del rapporto suono-silenzio assegna qui il 68,26% al suono contro il 31,74% del silenzio257 (in Intermission 2 avevamo il 36,3% di suono, in Projection 1 il 42,2%, in Intermission 1 il 56,25%, in Intersection 4 il 57%).

Anche qui vi è quindi un sostanziale ridimensionamento del ruolo del silenzio. Continua inoltre la tendenza all’estensione temporale degli eventi sonori. Infatti, a parte le batt. 8, 17 e 55 (che presentano una figura ricorrente di

dodici crome con l’indicazione metronomica della semiminima a 80), il valore di durata minimo qui è la semiminima a 66 di metronomo. Ma la maggior parte degli eventi sonori sono in realtà più estesi e superano anche la durata della semibreve (e come sappiamo dalle ricerche di van Noorden, queste caratteristiche facilitano la formazione di immagini uditive temporalmente stabili e quindi la continuità di un flusso uditivo).

Prendiamo ora in considerazione l’aspetto diastematico. Se analizziamo l’ampiezza degli intervalli del profilo intervallare della viola

troviamo:

257 Il calcolo è stato effettuato confrontando la somma dei valori delle figure (riferite alla loro

effettiva scansione metronomica) con la somma dei valori delle pause reali dell’opera (quelli cioè

in cui entrambi gli strumenti tacciono). Le figure sonore assommano a 189,5 semiminime a MM 66 + 18 semiminime a MM 80 per un totale di circa 3’5’’. I valori di pausa assommano a 90,5 semiminime a MM 66 + 4 semiminime a MM 80 per un totale di circa 1’26’’. Non si è presa in considerazione la corona a b. 32 perché non esattamente quantificabile. Essa tuttavia sbilancerebbe ulteriormente il rapporto a favore del suono.

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8 (unisoni) 9 (2m) 9 (2M) 10 (3m) 11 (3M) 9 (4)

8 (Tr) 2 (5) 2 (6m) 4 (7m)

1 (ott) 1 (2m+ott) 2 (2M+ott) 1 (Tr+ott) 1 (6m+ott) 1 (7M+ott)

1 (2M+2ott) 1 (6m+2ott) 1 (7m+2ott)

Gli intervalli usati qui risultano:

- Intervalli congiunti (o unisoni): 26 (31,7%) - Intervalli ≥ di terza e ≤ di tritono: 38 (46,3%) - Intervalli ≥ di quinta e ≤ di settima: 8 (9,8%) - Intervalli ≥ di ottava: 10 (12,2%)

Molto peso in percentuale si è qui spostato sugli intervalli congiunti, e ora solo il 12,2% di intervalli superano lo spazio di ottava (contro il 60,6% delle Two Intermissions, il 71,6% di Durations 3 o il 65,7% di De Kooning).

Anche in un’opera di qualche anno successiva, Voices and Cello del 1973, osserviamo caratteristiche simili. Torna qui il monocromatismo delle dinamiche (Feldman prescrive un generico very quiet). Il silenzio vi è in percentuali ancora minori che in The viola in my life 3: circa il 10% contro il 90% di suono. Le durate sono generalmente sostenute. Il valore minimo è la semiminima tra 63 e 66 di metronomo, ma vi sono prevalentemente durate maggiori.

L’analisi del profilo intervallare delle tre parti dà:258 258 Si è scelto in questo caso di analizzare i profili intervallari di ogni parte individualmente in

ragione della loro autonomia polifonico-timbrica. I pochi momenti di ambiguità in cui potrebbero

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M. Feldman, Voices and Cello (1973), bb. 1-60 emergere profili intervallari alternativi dall’incrocio delle parti non producono in ogni caso differenze statisticamente significative.

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M. Feldman, Voices and Cello (1973), bb. 61-120

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per la prima voce: 25 (unisoni)

12 (2m)

3 (2M)

9 (3m)

4 (3M)

4 (4)

7 (Tr)

2 (5)

2 (6m)

2 (6M)

2 (7m)

2 (7M)

1 (2m+ott)

1 (Tr+ott)

- Intervalli congiunti (o unisoni): 40 (52,6%) - Intervalli ≥ di terza e ≤ di tritono: 24 (31,6%) - Intervalli ≥ di quinta e ≤ di settima: 10 (13,2%) - Intervalli ≥ di ottava: 2 (2,6%)

per la seconda voce: 26 (unisoni)

15 (2m)

5 (2M)

6 (3m)

1 (3M)

1 (4)

10 (Tr)

3 (5)

1 (6m)

2 (6M)

2 (7m)

1 (7M)

- Intervalli congiunti (o unisoni): 46 (63%) - Intervalli ≥ di terza e ≤ di tritono: 18 (24,7%) - Intervalli ≥ di quinta e ≤ di settima: 9 (12,3%) - Intervalli ≥ di ottava: 0

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per il violoncello: 11 (unisoni)

21 (2m)

2 (3m)

2 (3M)

1 (4)

7 (Tr)

3 (7M)

1 ( ott)

1 (2m+ott)

2 (3m+ott)

1 (3M+ott)

2 (Tr+ott)

1 (7M+ott)

1 (2m+2ott)

1 (4+2ott)

2 (Tr+2ott)

1 (7m+2ott)

- Intervalli congiunti (o unisoni): 32 (53,3%) - Intervalli ≥ di terza e ≤ di tritono: 12 (20%) - Intervalli ≥ di quinta e ≤ di settima: 3 (5%) - Intervalli ≥ di ottava: 13 (21,7%) Anche se in questo caso la riduzione delle ampiezze può essere

parzialmente ricondotta alle differenze tra la natura vocale e quella strumentale delle parti, tuttavia l’inversione di tendenza rispetto alle opere degli anni Cinquanta e Sessanta rimane netta.

Vi è un momento in The Rothko Chapel (1971),259 per percussione, celesta,

viola, soprano, contralto e coro che rappresenta un caso limite particolarmente eloquente in questo senso.

Alle bb. 314-359 rimangono isolati il vibrafono e la viola. Il ritmo diventa perfettamente periodico. Il vibrafono ha un movimento

isocrono di crome (anche se l’uso del pedale con dinamica ppppp lo rende sfumato). La viola si muove nello stesso registro del vibrafono, ma la natura timbrica completamente diversa impedisce che i flussi dei due strumenti si confondano alla percezione.

259 Morton Feldman, The Rothko Chapel, Universal Edition, UE 15467, New York, 1973.

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M. Feldman, The Rothko Chapel (1971), bb. 314-339

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M. Feldman, The Rothko Chapel (1971), bb. 340-359

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L’analisi del profilo intervallare dà: 4 (2m) 24 (2M) 4 (3m) 8 (4) 2 (5) 1 (ott) In questa sezione non si supera l’ampiezza effettiva di una quinta (l’unico

intervallo superiore, l’ottava tra la b. 334 e la b. 340, è in realtà un “intervallo morto”), e i movimenti intervallari congiunti sono il doppio di tutti i movimenti disgiunti (28 movimenti di seconda contro 14 movimenti di terza, quarta e quinta).260 Se finora delineando i movimenti orizzontali di altezze abbiamo sempre parlato di profilo intervallare, in questo caso siamo di fronte ad un vero e proprio profilo melodico.

Abbiamo visto quindi come nelle opere degli anni Settanta cambiano molte

caratteristiche della scrittura di Feldman. Soprattutto appare mutato il ruolo del silenzio (che ora non viene più usato

per spezzare continuamente il flusso sonoro e può servire invece per separare frasi o brevi gruppi di suoni), le durate dei singoli eventi sonori si estendono temporalmente, ed è mutato il peso percentuale dell’ampiezza degli intervalli (che si sposta dagli intervalli superiori all’ottava verso gli intervalli contenuti entro l’ottava, e tra questi spesso agli intervalli congiunti).

260 Inoltre la viola delimita chiaramente uno spazio modale: prima insistendo ripetutamente sul

quinto grado all’inizio della frase; poi affermando il primo grado al limite acuto della frase; quindi discendendo nuovamente sul quinto e riaffermando ancora il primo grado al grave; infine soffermandosi sul quarto grado prima di chiudere la frase ridiscendendo sul primo. Replicando quindi tutto una quarta sopra.

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Questi elementi tendono tutti a favorire l’integrazione dei suoni in un flusso unitario, e il nostro sistema uditivo è messo così in grado di poter formare flussi uditivi che gli permettono di dare un senso percettivo a quello che ascoltiamo e quindi attivare i processi di memoria nell’ascolto, fino al caso limite esaminato in The Rothko Chapel.

Se la musica di Feldman si era finora manifestata sotto il segno di un tempo sospeso in un presente ininterrotto, adesso sembra volgersi più verso un tempo nuovamente in grado di scorrere.

L’ultima sorprendente svolta avverrà verso la fine degli anni Settanta.

3.3. Le opere degli anni Ottanta. Tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli anni Ottanta emergono nella

musica di Feldman alcuni elementi che connoteranno l’ultima parte della sua produzione.

In primo luogo l’impiego pervasivo dei pattern261 e dei principi di ripetizione e variazione a questo connessi.

261 Il termine si riferisce inizialmente all’ambito figurativo e indica un disegno decorativo ripetuto.

Per estensione, col significato di modello, schema, configurazione, viene applicato anche ad altri ambiti (matematica, informatica, antropologia, ecc.). Feldman usa esplicitamente il termine nel saggio Crippled Symmetry, riferendolo sia all’ambito visivo che a quello musicale: «What could best be used to accomodate, by equally simple means, musical color? Patterns. Rug patterns were either abstracted from symbols, nature, or geometric shapes – leaving clues from the real world. [...] “Why Patterns?” is a composition [...] consisting of a large variety of patterns.» (M. Feldman, Crippled Symmetry, in Id., Give My Regards to Eight Street, p. 139). In questo saggio

Feldman mette inoltre in relazione, relativamente alle opere di questo periodo, la sua tecnica del pattern (caratterizzata, come vedremo in seguito, dall’uso di microvarianti e minime disproporzioni della simmetria) con i disegni quasi-simmetrici dei tappeti delle regioni dell’Anatolia di cui era diventato in quegli anni un appassionato collezionista. Per le relazioni tra la musica di Feldman e l’estetica dei tappeti anatolici cfr. Sharon Ann Gelleny, Variation techniques and other theoretical

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L’uso di pattern non è una novità assoluta nella produzione di Feldman. Come abbiamo avuto modo di vedere un pattern compare già in Intermission 2 (alle b. 5-7), e pattern si ritrovano occasionalmente in opere di ogni periodo compositivo di Feldman.

Un’opera nella quale si fa un largo uso di processi di ripetizione e variazione

è Structures per quartetto d’archi (1951).262 In quest’opera sono già in azione alcuni procedimenti tipici che verrano più tardi ripresi e ampliati. Alcuni passaggi di quest’opera saranno ripresi quasi letteralmente da Feldman nei suoi due grandi quartetti per archi del 1979263 e del 1983.264 Qui il pattern è costituito da due diadi distribuite al primo e secondo violino, due pizzicati alla viola, un armonico (d’arco) e un pizzicato al violoncello. Ad ogni ripetizione ognuno di questi elementi viene spostato in una diversa posizione (sia rispetto alla griglia metrica che rispetto agli altri elementi del pattern), e variato nella durata.

issues in Morton Feldman’s “carpet” compositions, PhD Dissertation, State University of New York at Buffalo, 2000. 262 Morton Feldman, Structures, Edition Peters, EP 6912, New York, 1962. 263 Morton Feldman, String Quartet, Universal Edition, UE 16385, London, 1979. 264 Cfr. S Claren, Neither. Die Musik Morton Feldmans, p. 233-236.

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M. Feldman, Structures for string quartet (1951), bb. 71-79

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Anche nei graph pieces o in opere scritte in notazione free durational si possono trovare momenti costruiti attraverso ripetizione e variazione.

In Projection 1 (1950) all’inizio della terza pagina si ripete due volte un pattern costituito da quattro elementi: suono d’arco in reg. medio – pizz. grave – pizz. acuto – armonico in reg. medio. Ogni ripetizione varia le durate degli eventi e la distanza temporale tra essi.

M. Feldman, Projection 1 (1950), p. 3

Il sistema superiore prescrive la produzione di armonici, il sistema di mezzo prescrive la produzione di pizzicati, il

sistema inferiore l’uso dell’arco. Ogni sistema è a sua volta suddiviso in tre registri, dall’alto in basso: acuto, medio,

grave. Le durate sono indicate dalla quantità di spazio occupata dai quadrati o dai rettangoli. Ogni box (compreso tra

due linee verticali spezzate successive) è composto da quattro icti.

Nel primo movimento di Intervals (1961) gli interpreti ripetono costantemente un unico gesto, e in questo caso la variabilità delle durate che devono essere determinate dagli interpreti contribuisce al processo di variazione nella reiterazione delle altezze.

In The Viola in my Life 1 (1970), compare un pattern alle bb. 86-91 tra il

vibrafono, il pianoforte, la viola e il violoncello. Esattamente nello stesso modo che abbiamo già visto in Structures for string quartet, anche qui ogni ritorno degli elementi del pattern può essere variato nella durata e avviene in una diversa posizione, sia rispetto alla griglia metrica che rispetto agli altri elementi del pattern.

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M. Feldman, Intervals per voce, trombone, vibrafono, percussioni e violoncello (1961), primo movimento

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M. Feldman, The Viola in my Life 1 per viola e 5 strumenti (1972), p. 8, bb. 82-92

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Se però l’uso dei pattern era stato finora occasionale e circoscritto localmente a sezioni più o meno ampie di un brano, adesso diventerà sistematico e totalmente pervasivo, fino alla composizione di opere costruite integralmente per mezzo di pattern.

In virtù dell’uso omnipervasivo dei pattern inoltre, i principi della ripetizione e della variazione acquistano un’importanza assolutamente centrale, e diventano in sostanza i principi sui quali si fonda ora la musica di Feldman.265

Queste due categorie (come già accennato)266 vengono prese in considerazione e problematizzate dallo stesso Feldman:

I don’t hate the term [variation]. I don’t use it. I’m not varying anything. I don’t feel

I’m varying anything. I’m seeing it in another language. It’s another focus. It’s not like I’m taking a tune and varying it. It’s not that I’m doing that ([Feldman] hums a tune with a variation). […] No, I’m not involved with variation. Of course, it’s variation: I’m doing it one way, and then I’m doing it another way, with a different kind of focus. And I’m not involved with how I understand variation. To me, variation is Beethoven and Schönberg.

I’m not doing it that way. […] I’m working with two aspects which I feel are characteristic

265 Ripetizione e variazione sono due principi archetipi di strutturazione in musica. Schönberg li

nomina (Wiederholung e Veränderung-Abwechslung) insieme al principio dello sviluppo (Entwicklung) e del contrasto (Gegensatzes) tra i principi strutturali (Formbildende Prinzipien) della prima sezione, Zusammenhang, del suo trattato incompiuto (cominciato nel 1917) Zusammenhang, Kontrapunkt, Instrumentation, Formenlehre (cfr. Arnold Schoenberg, Coherence, Counterpoint, Instrumentation, Instruction in Form, ed. by Severine Neff, transl. by Charlotte M. Cross, University of Nebraska Press, Lincoln and London, 1994 pp. 36-37). Gli stessi principi vengono presi in considerazione anche nel trattato rimasto incompiuto abbozzato tra il 1923 e il 1936, Der musikalische Gedanke und die Logik, Technik und Kunst seiner Darstellung. Cfr. A. Schönberg, Il pensiero musicale e la logica, tecnica e arte della sua presentazione, pp. 124-129 e 164-177. Più diffusamente sono trattati nei primi capitoli di: A. Schönberg, Elementi di composizione musicale, rev. Gerald Strang e Leonard Stein, trad. it. Giacomo Manzoni, Edizioni Suvini Zerboni, Milano, 1969. 266 Vedi sopra, p. 100, n. 231.

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of the 20th century. One is change, variation. I prefer the word change. The other is reiteration, repetition. I prefer the word reiteration.267

[…] I use no names. I don’t describe it because the minute you say “variation” it

has a connotation for me. For example in Crippled Symmetry the way I manipulate my four notes over in different ways. If I thought I was varying it there would be no piece.

But I’m hearing it in a different light, in a different context as it moves. If it’s stationary, if it’s moving… I’m not hearing it as variation.268

Le riserve di Feldman verso i concetti di variazione e ripetizione non

mancano di ragioni, come vedremo quando esamineremo in dettaglio il suo uso dei pattern.269

In secondo luogo assistiamo a un dilatarsi estremo delle durate delle

composizioni: dai trenta minuti di For Stefan Wolpe (1986),270 alle quattro ore di For Philip Guston (1984), fino alle cinque-sei ore di String quartet 2 (1983).

Questa dilatazione delle durate è fatta oggetto di riflessione dallo stesso Feldman:

My whole generation was hung up on the 20 to 25 minute piece. It was our clock.

We all got to know it, and how to handle it. As soon as you leave the 20-25 minute piece behind, in a one-movement work, different problems arise. Up to one hour you think about form, but after an hour and a half it's scale. Form is easy – just the division of

267 M. Feldman, Darmstadt-Lecture, in Id., Morton Feldman. Essays, p. 212. 268 M. Feldman, I’m reassembling all the time, in Id., Morton Feldman in Middelburg, pp. 76-78. 269 In questo senso sarà forse più appropriato il termine variante nell’accezione che Schönberg

ne dà in Elementi di composizione musicale, p. 9: «Alcune variazioni sono peraltro puramente

delle “varianti” momentanee e hanno influenza scarsa o nulla sulla continuazione della composizione.» Vedremo in effetti che le varianti operate da Feldman nei pattern non hanno ‘conseguenze logiche’ sul decorso formale dell’opera. 270 Morton Feldman, For Stefan Wolpe per coro misto e 2 vibrafoni, Universal Edition, UE 18493,

London, 1986.

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things into parts. But scale is another matter. You have to have control of the piece – it requires a heightened kind of concentration. Before, my pieces were like objects; now, they're like evolving things.271

I personally feel the reason the pieces are long, is only because form, as I know it

no longer exists. […] And to me form, though you might feel it’s a simplification, is only

the separation of things into parts. Not the relationship in the separation of things into parts, but just separating things. […] So I am looking not so much for a new form, but I would rather substitute a word scale, or proportion, and it’s very difficult in music to make a distinction between the proportion of something and form. We don’t think of proportion. We don’t understand it. We don’t know how to articulate it.272

My pieces aren’t too long, most pieces are actually too short… If one listens to my

pieces, they seem to fit into the temporal landscape I provide. Would you say that the Odyssey is too long?273

Osserveremo ora più in dettaglio alcuni pattern tratti dalle opere degli anni

Ottanta, allo scopo di evidenziarne gli elementi strutturali, le caratteristiche del loro utilizzo, e quelle della loro funzione all’interno delle opere dell’ultimo periodo compositivo di Feldman.

Da un punto di vista musicale possiamo definire pattern un insieme determinato e circoscritto di elementi che possono essere sottoposti a ripetizione letterale o a variazione.274

271 Intervista di John Rockwell a Morton Feldman, A minimalist expands his scale, «The New

York Times», CXXXIV/46372, 7 aprile 1985, sezione 2, p. 23 e ss., anche sul sito web del «The New York Times», http://www.nytimes.com/1985/04/07/arts/a-minimalist-expands-his-scale.html. James Saunders nella sua tesi di dottorato riporta il passo attribuendolo ad una pubblicazione

della Universal Edition (cfr. James Saunders, Developing a modular approach to music, PhD Dissertation, University of Huddersfield, 2003, pp. 1, 4). 272 M. Feldman, I’m reassembling all the time, in Id., Morton Feldman in Middelburg, pp. 148-150. 273 Citato in Richard Toop, Triadic Memories, note per il cd registrato da Roger Woodward,

Morton Feldman – Piano works, Cd Etcetera KTC 2015, 1991.

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Gli elementi di un pattern possono essere costituiti da eventi sonori o anche da momenti di silenzio. Gli eventi sonori possono essere variati in tutti i parametri classici: altezza, durata, timbro, intensità. I silenzi possono essere variati nella durata. Gli elementi possono subire spostamenti sia all’interno della griglia metrica di riferimento sia nelle loro reciproche posizioni relative.

All’inizio del secondo quartetto per archi (1983) compare un pattern costituito

da quattro altezze su due durate e da un silenzio. Il re, mib e rex vengono ripetuti dai due violini e viola, omoritmicamente e isocronicamente, sul valore di semiminima puntata. Il do# è ripetuto dal violoncello su una croma puntata, alternato con un silenzio della stessa durata. Vi sono inoltre quattro livelli dinamici (ppp, mp, mfp, f) e tre modi timbrici di attacco (arco con sordina, arco su armonico e pizzicato).

In queste prime nove battute quello che viene sottoposto a variazione è il parametro dell’intensità. Mentre il violoncello rimane fisso sul ppp gli altri archi permutano i quattro livelli dinamici senza alcuna particolare sistematicità, ma seguendo il principio della massima varietà. Nessun livello dinamico infatti è replicato in senso orizzontale o verticale.275

274 Usiamo per il momento questi due termini, ripetizione e variazione, nel loro significato più

generico, consapevoli che Feldman, con buone ragioni, preferirebbe reiterazione (reiteration) e

cambiamento (change). Alla fine della nostra analisi speriamo di riuscire a dimostrare come le riserve di Feldman siano ragionevolmente giustificate dall’uso che egli fa dei pattern. 275 L’uso dei livelli dinamici come parametro costruttivo indipendente potrebbe essere fatto risalire

alle conquiste in tal senso del serialismo integrale, anche se evidentemente, in questo contesto, il valore delle permutazioni è specificamente armonico-timbrico e non seriale.

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M. Feldman, String Quartet 2 (1983), bb. 1-9

Nelle successive bb. 10-18 il violoncello introduce un ulteriore livello

dinamico (il mf), che viene alternato al ppp, mentre gli altri tre strumenti continuano a permutare i quattro precedenti livelli dinamici. L’introduzione di questo nuovo elemento al violoncello è concomitante con una diminuzione di varietà nelle permutazioni delle dinamiche degli altri strumenti, che ora si permettono ripetizioni orizzontali di livelli dinamici.

M. Feldman, String Quartet 2 (1983), bb. 10-18

Nelle successive bb. 19-27 viene allargato il campo timbrico. Il secondo

violino introduce l’arco sul tasto, mentre il violoncello acquisisce ora anche lui la

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modalità arco in alternanza al pizzicato e conquista i tre livelli dinamici finora di pertinenza degli altri tre strumenti. A questo punto le ripetizioni dei livelli dinamici si verificano anche in verticale.

M. Feldman, String Quartet 2 (1983), bb. 19-27

Per quello che riguarda il contenuto intervallare di questo pattern, tutte le

altezze sono racchiuse nell’ambito di una terza minore (da do# a rex). Di conseguenza anche il profilo intervallare che può emergere dal diverso peso dinamico delle varie altezze è ridotto agli intervalli di 2m, 2M e 3m.

Nel primo quartetto per archi (1979) un complesso di otto classi di altezza

(fa, fa#, sol, lab, la, la#, si, do) è distribuito su quattro diadi (la e la#, fa e do, si e fa#, sol e lab) che vengono ripetute isocronicamente, su quattro differenti strutture metriche permutate tra gli strumenti.

In questo caso è difficile determinare un profilo intervallare, ma rileviamo come le otto altezze siano di fatto distribuite su intervalli ridotti. Dal grave all’acuto: lab, la#, si (2m e 2M entro una 3m); fa, fa#, sol, la (2m, 2M e 3m entro una 3M); do.

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M. Feldman, String Quartet (1979)

Nelle prime battute (1-9) di Clarinet and String Quartet (1983) possiamo

osservare un caso più complesso. Il pattern è qui costituito da una collezione di sette classi di altezze contigue da fa# a do. Quattro classi (la, la#, si, do) sono riservate al clarinetto e al violoncello, mentre le tre rimanenti (fa#, sol, lab) sono affidate ai due violini e alla viola.

Violini e viola permutano le loro altezze ogni tre battute, anche con scambi di registro all’acuto o al grave. Il clarinetto e il violoncello hanno ognuno un proprio profilo intervallare, costituito da una diversa successione delle stesse quattro altezze. Questo profilo è mantenuto inalterato mentre viene replicato ad ogni battuta su continue permutazioni delle durate (croma, semiminima puntata o semiminima). Osservando più in dettaglio i profili del clarinetto e del violoncello dobbiamo però notare che anche se possono sembrare costituiti dalle stesse altezze temperate, lo spelling delle note è in realtà differenziato. Il clarinetto ha infatti dob, do, la, sib, mentre il violoncello ha si, rebb, solx, la#.

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M. Feldman, Clarinet and String Quartet (1983), bb. 1-9

Al di là del teorico temperamento equabile, questa scrittura non è certamente

casuale e indica qui chiaramente delle varianti microtonali che aggiungono un’ulteriore dimensione al principio di variazione applicato alle altezze del pattern.276 Dobbiamo notare che l’uso che Feldman fa di queste microvarianti intervallari è affatto personale. Non va infatti inteso nel senso di una suddivisione razionale e matematica del semitono, quanto nel senso di una ricerca di infinitesime sfumature sonore-timbrico-armoniche. Può essere utile riportare qui un breve accenno a questo aspetto citato da una conversazione avvenuta tra Cage e Feldman del 1983.

[Cage:] Secondo me, una delle cose più attraenti del tuo lavoro recente, Morty, è

stato questo tuo interesse per… [Feldman:] L’omologia.

276 Né siamo di fronte ad un caso isolato. Per esempio in Crippled Symmetry, nella parte del

flauto a p. 8, la classe di altezza do è notata anche come si# e rebb; la classe di altezza si anche come dob e lax; il solb anche come fa#; il sib anche come la#.

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[Cage:] Sì, il doppio bemolle, il doppio diesis e così via, che causano una musica microtonale. Abbiamo un assoluto e pressante bisogno di entrare in ogni interstizio della nostra intera esperienza.

[Feldman:] Ma il problema con Ben [Johnston, citato poco sopra a proposito del mondo della microtonalità] e con molti altri del mondo microtonale è che loro lo concettualizzano subito, non stanno ad ascoltare.277

Anche in questo caso, i profili intervallari del clarinetto e del violoncello sono

contenuti nell’ambito di una terza minore e sono ridotti agli intervalli di 2m, 2M e 3m.

All’inizio di Palais de Mari (1986)278 si può vedere un pattern caratterizzato da

una tipica disproporzione ritmica. L’opera si apre con un pattern costituito da due elementi alla mano destra

(lab, re#) che permutano due valori (3+2 o 2+3, in disproporzione ritmica), che si intrecciano ai tre elementi della mano sinistra (pausa, fa, mi, sottoposti a variazioni di durata), alternati a una battuta di pausa generale.

A b. 7 si presenta un nuovo pattern ambiguamente legato al precedente. Il disegno tra le due mani appare ora scambiato: la figura di pausa e 2m discendente è adesso alla mano destra, mentre la sinistra riempie in maniera integralmente sonora lo spazio della battuta con un re ripetuto isocronicamente. Notiamo che queste tre classi altezze (mi, re#, re) sono una replica di tre delle quattro classi di altezza del pattern precedente (fa, mi, re#) spostate verso il grave di una 2m.

277 Conversazione tra John Cage e Morton Feldman (con Bunita Marcus e Francesco Pellizzi), in

John Cage, a cura di Gabriele Bonomo e Giuseppe Furghieri, «Riga», 15, Marcos y Marcos, Milano, 1998 p. 199. 278 Morton Feldman, Palais de Mari per pianoforte, Universal Edition, UE 18497, London, 1986.

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M. Feldman, Palais de Mari per pianoforte (1986), bb. 1-18

A bb. 11-14 ricompare il primo pattern, tutto un’ottava più in basso. Torna la

disproporzione ritmica alla mano destra e tornano le variazioni di durata degli elementi alla mano sinistra. Anche le battute di pausa generale sono ora sottoposte a variazioni di durata.

A bb. 15-18 compare un nuovo pattern anche stavolta ambiguamente collegato con i precedenti. La disproporzione ritmica si estende adesso, omoritmicamente, a entrambe le mani. Le battute di pausa sono ancora sottoposte a variazioni di durata. Diverse relazioni legano il contenuto armonico di questo pattern a quelli precedenti (le classi di altezze lab e fa, si connettono al primo pattern; la classe di altezza re si connette al secondo pattern; le classi di intervalli di 2M – in verticale a b. 15, in orizzontale a b. 17 – si connettono allo stesso ambito espresso nel primo e nel secondo pattern.

In Violin and Orchestra (1979) i pattern a bb. 1-5 sono distribuiti per famiglie

orchestrali. Legni, ottoni e arpa adoperano durate sostenute, variandole tra

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croma puntata e semiminima puntata, e spostandone l’attacco all’interno della griglia metrica. Su queste durate i fiati reiterano gruppi accordali costituiti da nove classi di altezza contigue (la, sib, si, do, do#, re, re#, mi, fa), variandone il timbro complessivo con scambi di strumenti e registri. Gli archi utilizzano durate puntuali (semicrome), spostando continuamente gli attacchi sulla griglia metrica. Su queste durate gli archi reiterano gruppi accordali costituiti dalle stesse classi di altezze dei fiati, più il sol#. Su questo sfondo il violino si muove permutando continuamente le classi di altezza tra la e re#, sfruttando anche alcune omologie (la#-sib, si-dob, si#-do, re-dox,). In tutto questo pattern l’ampiezza degli intervalli del violino è contenuta tra la 2m e la 3M.

M. Feldman, Violin and Orchestra (1986), bb. 1-5, legni

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M. Feldman, Violin and Orchestra (1986), bb. 1-5, ottoni e archi

In The Turfan Fragments279 i pattern alle bb. 1-11 sono distribuiti per coppie

strumentali. Il contenuto armonico dei pattern è costituito da quattro classi di altezze (do, reb, re, mib) e tutti i pattern si muovono su intervalli di 2m o 2M con minime sfasature di attacco o/e di estinzione, spostando continuamente il punto di attacco rispetto alla griglia metrica e rispetto alla reciproca posizione delle

279 Morton Feldman, The Turfan Fragments per orchestra, Universal Edition, UE 16493, London,

1980.

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diverse coppie strumentali. Microvariazioni timbriche sono prescritte agli archi che alternano ponte e ord., armonici naturali e armonici artificiali. Feldman ottiene in questo modo una delicata e continua trascolorazione armonico-timbrica.

M. Feldman, The Turfan Fragments (1980), bb. 1-11, legni e ottoni

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M. Feldman, The Turfan Fragments (1980), bb. 1-11, archi

Dopo aver passato in rassegna diversi pattern da varie opere, e aver

osservato le loro caratteristiche strutturali e il tipo di variazioni che vengono applicate agli elementi, seguiremo adesso l’evoluzione di un pattern in una singola composizione, allo scopo di evidenziarne la funzione formale all’interno dell’opera.

Triadic Memories (1981) è un’opera di un’ora e mezza per pianoforte solo.

Comincia con un pattern di sei classi di altezze organizzate su due livelli registrici e due griglie metriche. Il sol e il sib si alternano isocronicamente alla mano destra sul valore di una semiminima puntata. Le due coppie do#, la e re, sol# sono permutate alla mano sinistra su una griglia metrica di quattro crome, alternando i valori di croma e croma puntata con pause di 1, 2, 3 o 4 semicrome in disproporzione ritmica. L’intero pattern è dunque costituito su due segmenti cromatici. Il primo: sol, sol#, la, sib. Il secondo: do#, re. L’ampiezza effettiva degli intervalli usati è 3m nello strato isocrono, Tr e 6m (con 2m e 5 come intervalli morti) nello strato con disproporzione ritmica.

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M. Feldman, Triadic Memories per pianoforte (1981), bb. 1-12

Gradualmente i due livelli del pattern subiscono, in maniera indipendente, degli spostamenti di registro. Il livello isocrono sol, sib si sposta verso il grave, mentre il livello in disproporzione ritmica si sposta verso l’acuto, fino allo scambio nella distribuzione manuale.

M. Feldman, Triadic Memories per pianoforte (1981), bb. 13-24

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Alle bb. 81-82 sulla stessa griglia ritmica di quattro crome sono introdotte due nuove altezze: solb e fa che allargano il segmento cromatico iniziale.

M. Feldman, Triadic Memories per pianoforte (1981), bb. 81-82

(mano sx, chiave di basso)

Alle bb. 92-94 la distribuzione dei valori nella griglia ritmica subisce alcune

varianti: prima il raddoppio di densità ritmica della texture, poi una rarefazione. Inoltre si presenta il raggruppamento sincronico di alcune classi di altezza del pattern (le classi di altezze impiegate restano comunque le stesse). A b. 97 è introdotta la prima consistente pausa nell’opera.

M. Feldman, Triadic Memories per pianoforte (1981), bb. 91-97.

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La scansione isocrona continua delle semiminime puntate si era intrecciata fino a b. 93 con le permutazioni aperiodiche in costante disproporzione ritmica della griglia di quattro crome. La scansione di semiminime puntate si era sfaldata interrompendosi momentaneamente alle bb. 94, 97, 99, 100 e 102. Ora, a b. 103 (e poi ancora a b. 114), appare il primo momento completamente isocrono dell’opera:

M. Feldman, Triadic Memories per pianoforte (1981), b. 103

(mano sx e dx, chiave di violino)

È un evento dotato di una potenziale ambiguità: se per la prima volta lo strato

in disproporzione ritmica diventa isocrono, il contenuto armonico resta però identico (do#, re, sol#, la; anche se la permutazione produce qui una successione di due quinte in relazione reciproca di 2m), e tanto più ciò appare chiaro se allarghiamo lo sguardo al contesto nel quale esso viene inserito dove a b. 101 è appena risuonata (ancora con con disproporzione ritmica aperiodica) la stessa quinta (do#, sol) e la quarta (+doppia ottava) la, re.

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M. Feldman, Triadic Memories per pianoforte (1981), bb. 101-104

(primo e secondo sistema, chiave di violino terzo sistema, chiave di basso) Ci troviamo allora di fronte a un nuovo pattern, o è piuttosto una derivazione,

una variante, del pattern iniziale? La domanda è in realtà indecidibile e la risposta potrebbe essere sì a entrambe le alternative. Non vi sono ragioni dirimenti per farci propendere per l’una o l’altra possibilità, e in realtà siamo in una situazione di sottile ambiguità nella quale coesistono strette relazioni tra i due pattern (o le due varianti dello stesso pattern).

La figura di b. 103 (nuovo pattern o variante che sia) tornerà di nuovo a b.

114 e poi mai più nel corso dell’opera. Solo dopo quasi 300 battute, a partire da b. 438, appariranno nuovamente

pattern isocroni su crome, e nuovamente il loro contenuto armonico stabilirà strette relazioni con i precedenti pattern.

La variante del pattern che avevamo osservato alla b. 92 (con l’incremento

della densità ritmica della texture), è alla base di molte successive reiterazioni del pattern.

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158

M. Feldman, Triadic Memories per pianoforte (1981), bb. 105-110

A b. 119 lo strato isocrono di semiminime puntate viene diminuito in crome

puntate producendo un’ulteriore incremento ritmico della texture complessiva:

M. Feldman, Triadic Memories per pianoforte (1981), bb. 117-122.

In questa nuova forma (uno strato isocrono di crome – o più occasionalmente

di semiminime puntate – e due strati in disproporzione ritmica su una griglia di quattro crome) questo pattern procederà quasi ininterrottamente fino a battuta 249 (e sarà ripreso ancora diverse volte nel seguito dell’opera).

Il flusso ritmico del pattern si interrompe una prima volta alle bb. 134-139.

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M. Feldman, Triadic Memories per pianoforte (1981), bb. 129-140

Finora possiamo osservare in generale che il contenuto armonico del pattern,

nelle sue numerose varianti, è sempre basato su segmenti cromatici che possono allargarsi, restringersi o scivolare cromaticamente. Per esempio qui, alle bb. 129-132 troviamo i due segmenti cromatici fa-si e do#-mib. Da b. 133 il do amplia e unisce i due segmenti precedenti nel segmento fa-mib. A b. 137 il mi completa il totale cromatico. Questi procedimenti armonici (analoghi a quelli che abbiamo visto all’opera in Intermission 1 e 2) mantengono tutte le varianti in stretta e reciproca relazione.

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Il flusso ritmico si interrompe di nuovo momentaneamente a bb. 188-194. Le bb. 188-193 sono basate sui due segmenti cromatici sol-la e do#-re. A b. 194 il segmento sol-la viene ampliato fino a si.

M. Feldman, Triadic Memories per pianoforte (1981), bb. 188-194

Analoghi procedimenti armonici e permutazioni ritmiche proseguono fino a b.

253, quando compare una nuova texture.

M. Feldman, Triadic Memories per pianoforte (1981), bb. 253-257

(mano dx, chiave di violino)

Questa figura tornerà identica alle battute 292-297 e poi ancora, ma

sottoposta a varianti.

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Da un punto di vista puramente acustico l’apparizione improvvisa di quattro suoni che si muovono su triple ottave parallele crea certamente una texture molto differente da quanto ascoltato finora. Tuttavia vi sono varie relazioni che possiamo rintracciare tra questa figura e alcuni eventi precedenti: 1) la scansione isocrona di semiminime puntate che apre l’opera nello stesso registro sovracuto; 2) la figura isocrona isolata su due crome puntate nello stesso registro sovracuto a b. 138; 3) il contenuto armonico basato sempre su due (micro) segmenti cromatici: la#-si e re-reb.

Gli elementi ritmici, armonici e di texture dei pattern che abbiamo visto finora

continuano ad essere variati e permutati per altre 450 battute. Da b. 773 compare un pattern che consiste in una permutazione delle

altezze del segmento cromatico do-mib. Viene cioè esposto in un flusso orizzontale continuo ciò che prima era distribuito tra diversi pattern e su diversi livelli:

M. Feldman, Triadic Memories per pianoforte (1981), bb. 773-776

(mano dx, chiave di violino)

Quella che può essere considerata un’ulteriore variazione di questa forma

appare per la prima volta a b. 819

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M. Feldman, Triadic Memories per pianoforte (1981)

b. 819 (mano dx e sx, chiave di violino)

In questa forma il contenuto di due segmenti cromatici (mi-fa e sol-la) viene

slanciato verso l’acuto. Se osserviamo le bb. 935-938 appare più chiara la relazione tra queste due

forme:

M. Feldman, Triadic Memories per pianoforte (1981) bb. 935-938

(mano dx, chiave di violino)

e la forma che appare a bb. 1028-1029, in cui il contenuto del segmento

cromatico la-re + sol viene di nuovo proiettato su diversi registri.

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M. Feldman, Triadic Memories per pianoforte (1981) bb. 1028-1029

(mano dx e sx, chiave di violino)

L’ultima forma che assume il pattern appare da b. 908 ed è costituita da

gruppi di accordi, basati su diversi segmenti cromatici, ripetuti isocronicamente a diverse velocità, interrotti da differenti pause, e variabili per densità, contenuto armonico, registri.

M. Feldman, Triadic Memories per pianoforte (1981) bb. 908-918

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I pattern e le variazioni finora osservate sono solo una parte delle trasformazioni che avvengono nel corso dell’opera. I processi di variazione e trasformazione degli elementi sono qui continui e omnipervasivi e sono alla base della costruzione dell’intero brano.

A questo punto possiamo fare alcune considerazioni. Dall’osservazione dei pattern presi in esame, dal tipo di trasformazioni ai

quali vengono sottoposti, dal modo in cui essi si succedono temporalmente nel corso di un’opera sembrano emergere alcune caratteristiche.

In primo luogo il tipo di trasformazioni alle quali sono sottoposti i pattern sembra seguire prevalentemente una logica permutativa. Le variazioni dei pattern non sono ottenute cioè attraverso forme di elaborazione cellulare, motivica o tematica. Non vi è sviluppo di potenzialità melodiche o armoniche, né vi è una forma primitiva del pattern e una tensione verso forme di maggiore densità o complessità o al contrario verso forme più semplici o rarefatte. Vi è invece permutazione continua di elementi e delle loro varianti su diversi parametri. Se la logica della variazione è quella dell’esplorazione delle possibilità melodico-motivico-armoniche di una cellula (e significativamente Feldman la riferisce a Beethoven e a Schönberg), con i pattern abbiamo a che fare piuttosto con l’esplorazione delle possibilità permutative e delle possibili varianti degli elementi minimi del pattern. In questo senso possiamo quindi capire le riserve di Feldman nei confronti del concetto di variazione usato per descrivere il proprio modo di operare sui pattern, e la sua preferenza piuttosto per il termine change.

In secondo luogo Feldman utilizza di preferenza varianti minimali dei parametri: abbiamo osservato in effetti microvariazioni di dinamiche, di timbro, di altezza, di durate, minime disproporzioni di simmetria, sottili forme di aperiodicità ritmica.280 Da un punto di vista armonico i pattern sono basati generalmente su

280 Soprattutto a confronto col tipo di aperiodicità degli anni Cinquanta-Sessanta, risalta la

sottigliezza delle sfumature ritmiche praticate adesso nei pattern.

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segmenti cromatici più o meno estesi, continuamente ampliati, ridotti o spostati nello spazio tonale. Le ampiezze reali degli intervalli sono in generale molto contenute, anche se possono presentarsi intervalli più grandi.281

La stessa logica permutativa alla base delle trasformazioni dei pattern si ritrova nella loro articolazione formale all’interno dell’opera. Anche da questo punto di vista non troviamo ‘premesse’ la cui elaborazione porta a delle ‘conseguenze logiche’. Non vi è un arco formale costruito per esempio attraverso una crescente complessità dei pattern, o attraverso una esplorazione sempre più approfondita di qualche loro aspetto. Le diverse varianti dei pattern si equivalgono, emergono, scompaiono, ritornano, si interrompono, vengono permutate e si susseguono sempre paratatticamente. In questo senso pensiamo si possano descrivere efficacemente le trasformazioni dei pattern di Feldman col termine ‘varianti’ nell’accezione già sopra citata di Schönberg.282

281 La preferenza per questo tipo di aggregati armonici tipicamente atonali con classi di altezze

contigue, e per costruzioni ritmiche complessivamente aperiodiche è una costante, come

abbiamo potuto vedere, dell’intera produzione di Feldman. In questo egli rimane molto distante dalle pratiche minimaliste sviluppate sin dagli anni Sessanta da compositori come Glass, Reich, e Riley (solo per rimanere in territorio americano) caratterizzate all’opposto dalla predilezione per armonie triadiche di terze dal colore tonale/modale e da un generale nervosismo motorico-ritmico tendenzialmente periodico/isocrono. Dario Oliveri nota in merito: «Forse si potrebbe anche parlare di una certa affinità col minimalismo, sia pure a condizione di pensare la musica di Morton Feldman nei termini di un minimalismo rarefatto e sublimato […]. Feldman predilige un linguaggio di tipo cromatico e si sottrae, almeno in apparenza, alla dimensione evolutiva e di costante sovrapposizione ritmica che caratterizza invece i processi graduali del minimalismo: la sua è una musica decisamente non-tematica e tendente all’informale; una musica distesa e sospesa dove il ritmo assume un rilievo marginale e la materia sonora scaturisce invece da un ambito quasi sempre assai distante dalla sfera tonale.» D. Oliveri, L’altro Novecento. Il minimalismo nella musica del nostro tempo, Novecento, Palermo, 2005, p. 59. 282 Cfr. sopra, p. 141, n. 269: «Alcune variazioni sono peraltro puramente delle “varianti”

momentanee e hanno influenza scarsa o nulla sulla continuazione della composizione.» (Schönberg, Elementi di composizione musicale, p. 9). In questo senso le diverse varianti dei pattern non hanno effettivamente ‘conseguenze logiche’ sul decorso formale dell’opera.

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A questo proposito Feldman scrive:

The most interesting aspect for me, composing exclusively with patterns, is that there is not one organizational procedure more advantageous than another, perhaps because no one pattern ever takes precedence over the others. The compositional concentration is solely on which pattern should be reiterated and for how long, and on

the character of its inevitable change into something else. […] Some of the patterns repeat exactly – others, with slight variations either in

their shape or rhythmic placement. At times, a series of different patterns are linked together on a chain and then juxtaposed by simple means.

[…] A modular construction such as the above [Feldman si riferisce qui a un pattern da Spring of Chosroes [1977]283 could be a basic device for organic development. However, I use it to see that patterns are “complete” in themselves, and in no need of development – only of extension.284

Le riserve di Feldman per il concetto di ripetizione in opposizione a quello di reiterazione hanno forse ragioni meno evidenti, ma vorremmo comunque avanzare un’ipotesi e notare che, se convenzionalmente la ripetizione riguarda unità formali simmetriche e chiuse (semifrasi, frasi, periodi, sezioni di un’opera), nel caso di Feldman al contrario essa si applica a strutture formali assai più fluide che non instaurano simmetrie regolari e che possono estendersi additivamente al di fuori di schemi formali chiusi. Queste ragioni potrebbero forse spiegare le riserve di Feldman all’applicazione del concetto di ripetizione alla propria modalità compositiva.

3.4. Conclusioni. A questo punto vogliamo fare alcune riflessioni sugli effetti che possono

avere sulla percezione e la memoria pattern con le caratteristiche che abbiamo 283 Morton Feldman, Spring of Chosroes per violino e pianoforte, Universal Edition, UE 16530,

London, 1979. 284 M. Feldman, Crippled Symmetry, in Id., Give My Regards to Eight Street, pp. 140-142.

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finora osservato. Torniamo quindi brevemente sul pattern all’inizio di Triadic Memories.

Tutta la prima sezione di 90 battute è basata come abbiamo visto su un unico pattern, continuamente reiterato e sottoposto a varianti. Da un punto di vista armonico il pattern si estende su due battute, ma gli elementi ritmici sono già completi nella prima battuta.

Osserviamo quindi le caratteristiche strutturali di questo pattern da un punto di vista percettivo.

All’inizio abbiamo due linee ben separate in registri diversi del pianoforte. Questo ci consente di riconoscere e distinguere bene due differenti flussi: uno con un movimento isocrono di terza minore (sol, sib) che inizia all’acuto e alla mano destra; un altro con un flusso aperiodico in permutazione continua di quattro durate (primariamente di 2 o 3 semicrome, secondariamente di 1 o 4 semicrome) su una configurazione di pausa-suono-suono e su due coppie di altezze (do#, la e re, sol#) che inizia al grave e alla mano sinistra. Per tutta questa sezione i due flussi mantengono chiaramente la loro identità anche quando vengono progressivamente spostati tra i vari registri del pianoforte (ad eccezione delle bb. 43-50 in cui vi è una momentanea sovrapposizione di registri).

Sempre da un punto di vista percettivo notiamo che il pattern è costituito da un numero limitato di sei elementi che vengono continuamente ripetuti. Inoltre esso è facilmente segmentabile all’ascolto in due sotto-unità di soli tre elementi dallo schema ‘una nota più lunga all’acuto seguita da due note più brevi al grave’ (che più tardi diventerà ‘una nota più lunga al grave seguita da due note più brevi all’acuto’).

In questa forma iniziale il pattern, che dura circa due secondi, si estende per quattro-cinque minuti.

Alcune caratteristiche del pattern (la sua brevità; il numero limitato dei suoi elementi – inferiore al limite di 7 ± 2 dello span di memoria – ulteriormente raggruppabili grazie ad una segmentazione percettivamente evidente; la continua

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isocronia dell’intervallo sol, sib; la netta distinzione delle due linee; i profili intervallari ridotti a pochi intervalli di ampiezza contenuta; il contenuto armonico limitato a sei sole classi di altezza; la stessa reiterazione del pattern) ci vengono naturalmente incontro, assecondando i principi di funzionamento della memoria e del nostro sistema uditivo. La memoria sembra così potersi attivare e la nostra percezione del tempo scorrere.

Allo stesso tempo vi sono altre caratteristiche del pattern che confondono la memoria e la rendono incerta. Esse si concentrano all’inizio sulla linea che risuona dapprima al grave: in primo luogo vi è una continua variabilità del profilo intervallare della linea – ora ascendente, ora discendente; ma soprattutto è in azione la tecnica delle microvarianti che in questo pattern assumono la forma di microvarianti ritmiche, per cui un valore di semicroma può essere aggiunto o sottratto alle figure della linea generando una continua e instabile aperiodicità.

La tecnica delle microvarianti in generale tende a confondere la percezione, agendo ad un livello quasi subliminale in cui sembra di intuire che qualcosa sia stato variato, ma non abbiamo l’esatta percezione di cosa e come sia variato.285

285 Feldman appare ben consapevole di questi aspetti percettivi e del loro effetto sulla memoria.

Nel passo già parzialmente citato (vedi sopra, p. 15) proprio a proposito di Triadic Memories scrive: «In Triadic Memories, a new piano work of mine, there is a section of different types of chords where each chord is slowly repeated. One chord might be repeated three times, another, seven or eight – depending on how long I felt it should go on. Quite soon into a new chord I would forget the reiterated chord before it. I then reconstructed the entire section: rearranging its earlier progression and changing the number of times a particular chord was repeated. This way of working was a conscious attempt at “formalizing” a disorientation of memory. Chords are heard

repeated without any discernible pattern. In this regularity (though there are slight gradations of tempo) there is a suggestion that what we hear is functional and directional, but we soon realize that this is an illusion; a bit like walking the streets of Berlin – where all the buildings look alike, even if they're not.» (M. Feldman, Crippled Symmetry, in Id., Give My Regards to Eight Street, pp. 137-138).

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Ma ciò che soprattutto forza le capacità della memoria oltre limiti mai prima sperimentati è l’estrema estensione delle durate, che in queste opere arrivano e superano i novanta minuti fino ad arrivare a sei ore continuative.

Cosa succede dunque alla nostra percezione, al nostro ascolto, di fronte ad

un’opera come questa, costruita nel modo che abbiamo analizzato, per mezzo di pattern con le caratteristiche che abbiamo osservato, e che si estende per un’ora e mezza o più? Come funziona la nostra memoria e la nostra percezione del tempo in questo caso?

Se paragoniamo un’opera come Triadic Memories alle opere degli anni Cinquanta e Sessanta che abbiamo studiato, (le Two Intermissions, Extensions 4, Intersection 4, Last Pieces, Durations 3, De Kooning), ci accorgiamo subito che il senso di completo disorientamento temporale che provavamo in quei casi non è quello che sperimentiamo adesso. Le caratteristiche di quelle opere (il tipo di strutturazione degli intervalli su ampiezze estreme, la aperiodicità complessiva, il flusso sonoro continuamente disgregato dai silenzi, o dalle escursioni dinamiche, o dalla frammentazione timbrica, il continuo superamento dei limiti dello span di memoria nella pressoché totale assenza di ripetizioni che permettessero il raggruppamento degli elementi sonori), erano tutti fattori che sfavorivano l’integrazione degli eventi sonori in flussi uditivi distinguibili e riconoscibili. Le possibilità della memoria erano perciò fortemente compromesse e la sua funzione nell’ascolto inibita. La qualità temporale di quelle opere appariva così sospesa e inafferrabile e, nell’accezione di Kramer, eravamo di fronte ad un ‘tempo verticale’.

In quelle opere Feldman sembrava più alla ricerca di un modo per abolire la funzione della memoria piuttosto che di un «modo diverso di funzionare della memoria.»286

286 Cfr. sopra, p. 15.

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Ma anche a paragone con le opere degli anni Settanta che abbiamo osservato (The viola in my life 3, Voices and Cello, Rothko Chapel) le opere degli anni Ottanta aprono paesaggi temporali completamente diversi.

Le caratteristiche delle opere degli anni Settanta mostrano tendenze opposte a quelle degli anni Cinquanta e Sessanta. In queste opere viene sensibilmente ridotta l’ampiezza dell’intervallistica (si passa infatti dall’uso prevalente di intervalli di ampiezza molto superiori all’ottava, all’uso prevalente di intervalli entro l’ottava). Il ruolo del silenzio inoltre viene fortemente ridimensionato, e non è più usato per atomizzare continuamente il flusso sonoro.

In generale, se nelle opere degli anni Cinquanta e Sessanta le sequenze di suoni erano costruite attraverso continue intersecazioni di differenti timbri, differenti modi di attacco e produzione del suono, differenti registri, differenti dinamiche, ora le sequenze di suoni (e le sovrapposizioni di sequenze) sono tendenzialmente più omogenee, timbricamente separate, e meglio distinte.

Queste caratteristiche, come sappiamo, tendono a favorire l’integrazione dei suoni in flussi uditivi, e così la funzione della memoria viene qui talvolta quasi convenzionalmente recuperata. La qualità temporale di queste opere sembra più volgere verso un ‘tempo orizzontale’.

Nelle opere degli anni Ottanta invece Feldman adotta strategie compositive che, pur essendo conflittuali e contraddittorie, si rivelano tuttavia estremamente produttive e feconde.

Se da una parte la tecnica delle continue microvarianti dei pattern, e dall’altra parte le durate estreme rappresentano una sfida impossibile per la nostra memoria e le nostre capacità percettive, nello stesso momento i pattern vengono però costruiti con caratteristiche che ci consentono l’integrazione degli eventi sonori in flussi distinguibili e riconoscibili.

Attraverso queste strategie conflittuali Feldman giunge in queste opere alla creazione di paesaggi temporali inauditi, in una sorta di sintesi ossimorica paradossale.

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Se negli anni Cinquanta e Sessanta la memoria era semplicemente abolita, e se negli anni Settanta veniva quasi convenzionalmente recuperata, adesso Feldman, nello stesso momento in cui usa strutture che permettono l’attivarsi della memoria, ne forza però le possibilità al limite e oltre il limite dell’umano, in un equilibrio impossibile.

Nei pattern con cui Feldman costruisce i suoi paesaggi sonori di abissale, visionaria vastità vibra una tensione irriducibile tra l’oblio dentro un ora assoluto e lo svolgersi della memoria attraverso il tempo che scorre.

Così il tempo appare sospeso ma noi non siamo perduti. I pattern ci guidano anche se continuiamo a vagare senza direzione e senza meta negli sterminati paesaggi sonori di Feldman. Il tempo è sospeso, ma ritroviamo sentieri che possiamo percorrere.

La memoria può anche funzionare diversamente.

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Bibliografia generale

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Testi musicologici

Testi di M. Feldman: scritti, conferenze, conversazioni, interviste CAGE JOHN

• Conversazione con Morton Feldman (Bunita Marcus e Francesco Pellizzi), trad. it. Franco Nasi, in John Cage, a cura di Gabriele Bonomo e Giuseppe Furghieri, «Riga», 15, Marcos y Marcos, Milano, 1998, pp. 188-215 (ed. or. Bunita Marcus, Francesco Pellizzi, Conversation with Morton Feldman, John Cage, «RES. Journal of Anthropology and Aesthetics», vol. 6, autumn 1983, pp. 112-135).

CAGE JOHN, FELDMAN MORTON

• Radio Happenings. Conversations – Gespräche, hrsg. von Gisela Gronemeyer, Reinhard Oehlschlägel, Edition MusikTexte, Köln, 1993.

FELDMAN MORTON

• Four musicians at work: Morton Feldman, Pierre Boulez, John Cage, Christian Wolff, «trans/formation», 1, 1952, pp. 168-172.

• A Note on “Five Pianos”, (1972), sito web di Chris Villars: «Morton

Feldman Page», Morton Feldman Texts, http://www.cnvill.net/mfpianos.htm.

• To have known Stefan Wolpe, (1983), sito web di Chris Villars:

«Morton Feldman Page», Morton Feldman Texts, http://www.cnvill.net/mfwolpe.htm.

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• Morton Feldman. Essays, hrsg. von Walter Zimmermann, Beginner Press, Kerpen, 1985.

• Écrits et paroles, textes réunis par Jean-Yves Bosseur et Danielle

Cohen-Levinas, précédés d’une monographie par Jean-Yves Bosseur, L’Harmattan, Paris, 1998.

• Give My Regards to Eight Street. Collected Writings of Morton

Feldman, ed. by and introd. Bernard Harper Friedman, Exact Change, Cambridge, MA, 2000

• Violin and Orchestra, «Musica Viva», 3, 2001, p. 14.

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• The Musical Idea and the Logic, Technique, and Art of Its

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• Il pensiero musicale e la logica, tecnica e arte della sua

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Testi scientifici

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• Acustica, Casa Editrice Ambrosiana, Milano, 2000. PIERCE JOHN R.

• La scienza del suono, Zanichelli, Bologna, 1987 (ed or. The Science of Musical Sound, Scientific American Books, New York, 1983).

RIGHINI PIETRO

• L’Acustica per il musicista. Fondamenti fisici della musica, Zanibon-Ricordi, Milano, 1970, 19948.

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Testi sulla memoria ASSMANN ALEIDA

• Ricordare. Forme e mutamenti della memoria culturale, trad. it. Simona Paparelli, Il Mulino, Bologna, 2002 (ed. or. Erinnerungsraume. Formen und Wandlungen des kulturellen Gedachtnisses, C. H. Beck, München, 1999).

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ASSMANN JAN • La memoria culturale. Scrittura, ricordo e identità politica nelle grandi

civiltà antiche, trad. it. Francesco De Angelis, Einaudi, Torino, 1997 (ed. or. Das kulturelle Gedächtnis. Schrift, Erinnerung und politische Identität in frühen Hochkulturen, C. H. Beck, München, 1992).

ATKINSON RICHARD C., SHIFFRIN RICHARD M.

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• La memoria umana. Teoria e pratica, trad. it. A. Berti, rev. di Cesare Cornoldi, Il Mulino, Bologna, 1992, ed. riv. 2003 (ed. or. Human Memory. Theory and Practice, Lawrence Erlbaum Associates, London 1990, revised ed. 1997).

BADDELEY ALAN D., EYSENCK MICHAEL W., ANDERSON MICHAEL C.

• La memoria, a cura di Cesare Cornoldi, trad. it. Maurizio Riccucci, Il Mulino, Bologna, 2011 (ed. or. Memory, Psychology Press, Hove, 2009).

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MILLER GEORGE A. • The magical number seven, plus or minus two. Some limits on our

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PAPAGNO COSTANZA

• Come funziona la memoria, GLF Editori Laterza, Roma-Bari, 2003, 2008.

VALENTI GIANLUCA

• Il ruolo del “magico numero sette” nella canzone d’autore italiana, «Cognitive Philology», 4, 2011,

http://ojs.uniroma1.it/index.php/cogphil/article/view/9351/9233 WEINRICH HARALD

• Lete. Arte e critica dell’oblio, trad. it. Francesca Rigotti, Il Mulino, Bologna, 1999, 2010 (ed. or. Lethe. Kunst und Kritik des Vergessens, C. H. Beck, München 1997, 2000).

YATES FRANCES A.

• L’arte della memoria, trad. it. Albano Biondi, Einaudi, Torino, 1972, 1993 (ed. or. The Art of Memory, Routledge and Kegan Paul, London, 1966).

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Testi di psicologia e psicologia della musica AVANZINI GIULIANO, LONGO TITO, MAJNO MARIA, MALAVASI STEFANO, MARTINELLI

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nell’evoluzione delle specie animali e nello sviluppo umano, Atti del Convegno della Fondazione G. E. Ghirardi e della Fondazione Pierfranco e Luisa Mariani, Franco Angeli, Milano, 2012.

BALL PHILIP

• L’istinto musicale. Come e perché abbiamo la musica dentro, trad. it. di David Santoro, introd. di Franco Fabbri, Edizioni Dedalo, Bari, 2011 (ed. or. The music instinct. How music works and why we can’t do without it, Bodley Head, London, 2010).

BENASSI-WERKE MARIANA E., QUEIROZ MARCELO, GERMANO NAYANA G., OLIVEIRA

MARIA GABRIELA M. • Melodic memory and its dependence on familiarity and difficulty,

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203

Testi di neurofisiologia e di fisiologia del sistema uditivo KANDEL ERIC R., SCHWARTZ JAMES H., JESSELL THOMAS M.

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Partiture di Morton Feldman (consultate per la stesura della presente tesi) EP = Edition Peters, New York UE = Universal Edition, L = London, NY = New York, C = Canada

Illusions (1948) per pianoforte, New Music. A Quarterly of Modern Composition, New York, 1951.

Durations 1 (1960) per flauto contralto, pianoforte, violino e

violoncello, EP 6901, 1961. Durations 2 (1960) per violoncello e pianoforte, EP 6902, 1961. Durations 3 (1961) per violino, tuba e pianoforte, EP 6903, 1962. Durations 4 (1961) per vibrafono, violino e violoncello, EP 6904,

1962. Durations 5 (1961) per corno, vibrafono, arpa, pianoforte (e celesta),

violino e violoncello, EP 6905, 1962. Atlantis (1959) per due flauti, ottavino, clarinetto, clarinetto

basso, fagotto, controfagotto, corno, tromba, trombone, tuba, arpa, xilofono, vibrafono, pianoforte, violoncello e contrabbasso, EP 6906, 1962.

Intersection 1 (1951) per orchestra, EP 6907, 1962.

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205

Intervals (1961) per basso-baritono, trombone, vibrafono, percussioni e violoncello, EP 6908, 1962.

Marginal Intersection (1951) per grande orchestra, EP 6909, 1962. …Out of ‹Last Pieces› (1961) per orchestra, EP 6910, 1962. Structures (1951) per quartetto d’archi, EP 6912, 1962. Projection 4 (1951) per violino e pianoforte, EP 6913, 1962. Extensions 4 (1953) per tre pianoforti, EP 6914, 1962. Intersection 3 (1953) per pianoforte, EP 6915, 1962. Piece for Four Pianos (1957) EP 6918, 1962. The Straits of Magellan (1961) per flauto, corno, tromba, arpa, chitarra elettrica,

pianoforte e contrabbasso, EP 6919, 1962. Two Pieces for Clarinet and String Quartet (1961) EP 6920, 1962. Intersection 2 (1951) per pianoforte, EP 6922, 1962. Two Intermissions (1950) per pianoforte, EP 6923, 1962. Piano Piece 1952 EP 6924, 1962. Extensions 3 (1952) per pianoforte, EP 6925, 1962.

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206

Eleven Instruments (1953) per flauto, flauto contralto, corno, tromba, tromba bassa, trombone, tuba, vibrafono, pianoforte, violino e violoncello, EP 6929, 1962.

Intermission 5 (1952) per pianoforte, EP 6935, 1962. Four Songs to e. e. cummings (1951) per soprano, violoncello e pianoforte, EP 6936,

1962. Three Pieces for Piano (1954) EP 6937, 1962. Two Instruments (1958) per corno e violoncello, EP 6938, 1962. Projection 2 (1951) per flauto, tromba, violino, violoncello e

pianoforte, EP 6940, 1962. Piece for Violin and Piano (1950) EP 6944, 1962. Projection 1 (1950) per violoncello, EP 6945, 1962. Intersection for Magnetic Tape (1953) EP 6947, 1962. For Franz Kline (1962) per corno, campane tubolari, pianoforte,

soprano, violino e violoncello, EP 6948, 1962.

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207

Journey to the End of the Night (1947) per soprano, flauto, clarinetto, clarinetto basso e

fagotto, EP 6927, 1963. Intermission 6 (1953) per uno o due pianoforti, EP 6928, 1963. Last Pieces (1959) per pianoforte, EP 6941, 1963. The O’Hara Songs (1962) per basso-baritono, campana tubolare,

pianoforte, violino, viola e violoncello, EP 6949, 1963.

Piano Piece (to Philip Guston) (1963) EP 6950, 1963. De Kooning (1963) per corno, percussioni, pianoforte (e celesta),

violino e violoncello, EP 6951, 1963. Vertical Thoughts 1 (1963) per due pianoforti, EP 6952, 1963. Vertical Thoughts 2 (1963) per violino e pianoforte, EP 6953, 1963. Vertical Thoughts 3 (1963) per soprano, flauto (e ottavino), corno, tromba,

trombone, tuba, percussioni, pianoforte (e celesta), violino, violoncello e contrabbasso, EP 6954, 1963.

Vertical Thoughts 4 (1963) per pianoforte, EP 6955, 1963.

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208

Vertical Thoughts 5 (1963) per soprano, tuba, percussioni, celesta e violino, EP 6956, 1963.

Two Pieces for Six Instruments (1956) per flauto, flauto contralto, corno, tromba, violino

e violoncello, EP 6930, 1964. Intersection 4 (1953) per violoncello, EP 6960, 1964. Projection 3 (1951) per due pianoforti, EP 6961, 1964. Projection 5 (1951) per tre flauti, tromba, tre violoncelli e due

pianoforti, EP 6962, 1964. The King of Denmark (1964) per percussioni, EP 6963, 1965. In Search of an Orchestration (1967) per orchestra, UE 15324 L, 1969. Between Categories (1969) per due percussionisti, due pianisti, due violinisti

e due violoncellisti, EP 6971, 1969. On Time and the Instrumental Factor (1969) per orchestra, UE 15351, 1971. Madame Press Died Last Week at Ninety (1970) per due flauti, corno, tromba, trombone tuba,

campane tubolari, celesta, due violoncelli e due contrabbassi, UE 15373 L, 1971.

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The Viola in My Life 1 (1970) per viola e strumenti, UE 15395 NY, 1972. The Viola in My Life 2 (1970) per viola e strumenti, UE 15400 NY, 1972. The Viola in My Life 3 (1970) per viola e pianoforte, UE 15402 NY, 1972. Pianos and Voices (1972) UE 15500, 1972. The viola in my life 4 (1971) per viola e orchestra, UE 15408 NY, 1973. The Rothko Chapel (1971) per percussione, celesta, viola, soprano,

contralto e doppio coro misto, UE 15467, 1973. For Frank O’Hara (1973) per flauto (e ottavino, flauto contralto), clarinetto,

percussioni, pianoforte, violino e violoncello, UE 15574 L, 1973.

Voices and Cello (1973) per due voci acute e violoncello, UE 15576,

1973. Voices and Instruments II (1972) per 3 voci acute, flauto, 2 violoncelli e

contrabbasso, UE 16001, 1973. String Quartet and Orchestra (1973) UE15599, 1974. Voices and Instruments (1972) per coro misto e strumenti, UE 15515 C, 1975. Cello and Orchestra (1972) UE 15495 C, 1976

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Routine Investigations (1976) per oboe, tromba, pianoforte, viola, violoncello e contrabbasso, UE 16515, 1976.

Only (1947) per voce sola, UE 16519, 1976. Chorus and Orchestra 1 (1971) per soprano solo, doppio coro misto e orchestra,

UE 15496 C, 1977. Instruments 3 (1977) per flauto (e ottavino, flauto contralto), oboe (e

corno inglese) e percussioni, UE 16526, 1977. Three Clarinets, Cello and Piano (1971) UE 15492 C, 1978. Piano and Orchestra (1975) UE 16076 C, 1978. Why Patterns? (1978) per flauto (e flauto contralto e flauto basso),

glockenspiel e pianoforte, UE 16263 L, 1978. Violin and Orchestra (1979) UE 16382, 1979. String Quartet (1979) UE 16385 L, 1979. Spring of Chosroes (1977) per violino e pianoforte, UE 16530 L, 1979. The Turfan Fragments (1980) per orchestra, UE 16493 L, 1980. Piano (1977) UE 16516 L, 1981. Triadic Memories (1981) per pianoforte, UE 17326 L, 1981.

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211

Patterns in a Chromatic Field (1981) per violoncello e pianoforte, UE 17327, 1981. Principal Sound (1980) per organo, UE 17621, 1981. String Quartet 2 (1983) UE 17650, 1983. Clarinet and String Quartet (1983) UE 17665, 1983. Crippled Symmetry (1983) per flauto (e flauto basso), percussioni e

pianoforte (e celesta), UE 17667, 1983. For Philip Guston (1984) per flauto (e ottavino, flauto contralto e flauto

basso), percussioni e pianoforte (e celesta), UE 17967, 1984.

For Bunita Marcus (1985) per pianoforte, UE 17966 L, 1985. Piano and String Quartet (1985) UE 17972 L, 1985. Coptic Light (1985) per orchestra, UE 18435 L, 1986. For Christian Wolff (1986) per flauto e pianoforte (e celesta), UE 18475,

1986. For Stefan Wolpe (1986) per coro misto e 2 vibrafoni, UE 18493 L, 1986. Palais de Mari (1986) per pianoforte, UE 18497 L, 1986.

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Nature Pieces (1951) per pianoforte, EP 67976, 2000. Variations (1951) per pianoforte, EP 67976, 2000. Intermission 4 (1952) per pianoforte, EP 67976, 2000.

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213

Discografia ARGO

Cello and Orchestra (1972) Piano and Orchestra (1975) Coptic Light (1985) CD 448 513-2, 1998

BIS

Principal Sound (1980) CD-510, 1991

BRILLIANT CLASSICS

Two Pieces [For Danny Stern] (1948) Projection 1 (1950) Four Songs to e. e. cummings (1951) Intersection 4 (1953) Two Instruments (1958) Durations 2 (1960) Voices and Cello (1973) Patterns in a Chromatic Field (1981) CD 94012013

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CADENZA

Chorus and Instruments II (1967) CAD 800 893, 1994

COL LEGNO

Triadic Memories (1981) WWE2CD 31873, 1994 Crippled Symmetry (1983) WWE2CD 31874, 1994 For Bunita Marcus (1985) WWE1CD 31886, 1996 Neither (Opera in One Act) (1977) WWE1CD 20081, 2000 Piano and Orchestra (1975) Piano (1977) Palais de Mari (1986) WWE1CD 20070, 2001 Violin and Orchestra (1979) Coptic Light (1985) WWE1CD 20089, 2004

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CPO

Cello and Orchestra (1972) Piano and Orchestra (1975) Oboe and Orchestra (1976) Flute and Orchestra (1978) CPO 999 483-2, 1997

DOG W/A BONE

The Turfan Fragments (1980) For Samuel Beckett (1987) DWAB04, 2001

ECM NEW SERIES

The Viola in My Life 1 (1970) The Viola in My Life 2 (1970) The Viola in My Life 3 (1970) The Viola in My Life 4 (1971) ECM 1798, 2008

EDITION RZ

Extensions 3 (1952) Intermission 5 (1952) Intersection 3 (1953) Piano Piece 1956 A (1956) Piano Piece 1956 B (1956) Piano Three Hands (1957)

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Vertical Thoughts 2 (1963) Instruments 1 (1974) Four Instruments (1975) RZ 1010 1994

ELEKTRA NONESUCH

Madame Press Died Last Week at Ninety (1970) 7559-79249-2, 1991 Piano and String Quartet (1985) 7559-79320-2, 1993

ETCETERA

Piano Three Hands (1957) Two Pianos (1957) Piano Four Hands (1958) Piano (1977) Triadic Memories (1981) KTC 2015, 1991

Only (1947) Projection 1 (1950) Intersection 2 (1951) Projection 2-5 (1951) Intersection 3-4 (1953) Piece for Four Pianos (1957) Two Pianos (1957) Piano Four Hands (1958)

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Durations 1-2 (1960) Durations 3-6 (1961) Vertical Thoughts 1-5 (1963) Piano Piece 1964 (1964) Instruments 1 (1974) Voice and Instruments 2 (1974) Voice, Violin and Piano (1976) Instruments 3 (1977) Bass Clarinet and Percussion (1981) KTC 3003, 1997

HÄNSSLER CLASSIC

Christian Wolff in Cambridge (1963) Rothko Chapel (1971) For Stefan Wolpe (1986) CD 93.023, 2002

HAT HUT

Intermission 5 (1952) Piano Piece (to Philip Guston) (1963) Vertical Thoughts 4 (1963) Piano (1977) Palais de Mari (1986) ART CD 6035, 1990 For Bunita Marcus (1985) ART CD 6076, 1991

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Why Patterns? (1978) Crippled Symmetry (1983) ART CD 60801/2, 1991 For Philip Guston (1984) ART CD 61041/4, 1992 Intersection 2 (1951) Intersection 3 (1953) The King of Denmark (1964) ART CD 6146, 1994 For Samuel Beckett (1987) ART 142, 2007 For Christian Wolff (1986) ART CD 61201/3, 1992 Two Intermissions (1950) Intermission 5 (1952) Piano Piece 1952 (1952) Intermission 6 (1953) Last Pieces (1959) Five Pianos (1972) ART CD 6143, 1994 Patterns in a Chromatic Field (1981) ART CD 61451/2, 1995

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219

Piano, Violin, Viola, Cello (1987) ART CD 6158, 1995 Two Pieces for Clarinet and String Quartet (1961) Clarinet and String Quartet (1983) ART CD 6166, 1995 Trio, per violino, violoncello e pianoforte (1980) ART CD 6195, 1997 Atlantis (1959) String Quartet and Orchestra (1973) Oboe and Orchestra (1976) ART 116, 2000 String Quartet 2 (1983) ART 4-144, 2001 String Quartet 1 (1979) ART 167, 2007

KAIROS

For Samuel Beckett (1987) 0012012 KAI, 1999 Music for the film “Jackson Pollock” (1951) Music for the film “The Sin of Jesus” (1960) Something Wild in the City: Mary Ann’s Theme (1960)

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De Kooning (1963) Music for the film “Room Down Under” (1963) Music for the film “American Samoa: Paradise Lost?” (1968) For Aaron Copland (1981) 0012292 KAI, 2002

MODE RECORDS

Illusions (1949) Two Intermissions (1950) Extensions 3 (1952) Piano Piece 1955 (1955) Piano Piece (to Philip Guston) (1963) Piano (1977) Palais de Mari (1986) MODE 54, 1996 Piece for Violin and Piano (1950) Two Intermissions (1950) Extensions 1 (1951) Intermission 3 (1951) Music for the film “Jackson Pollock” (1951) Nature Pieces (1951) Variations (1951) Extensions 3 (1952) Intermission 4-5 (1952) Extensions 4 (1953) Intermission 6 (1953) Intersection for Magnetic Tape (1953) MODE 66, 1999

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Piece for Violin and Piano (1950) Extensions 1 (1951) Projection 4 (1951) Vertical Thoughts 2 (1963) Spring of Chosroes (1977) For John Cage (1982) MODE 82/83, 2000 Projection 1 (1950) Projection 2 (1951) Projection 3 (1951) Projection 4 (1951) Projection 5 (1951) Two Pieces for Six Instruments (1956) Durations 1 (1960) Durations 2 (1960) Durations 3 (1961) Durations 4 (1961) Durations 5 (1961) The Straits of Magellan (1961) MODE 103, 2002 Journey to the End of the Night (1947) Four Songs to e. e. cummings (1951) Intervals (1961) The O’Hara Songs (1962) Four Instruments (1965) Between Categories (1969) Three Clarinets, Cello and Piano (1971) MODE 107, 2002

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String Quartet 2 (1983) MODE 112, 2002 Projection 1 (1950) Intersection 1 (1951) Intersection 2 (1951) Marginal Intersection (1951) Projection 2 (1951) Projection 3 (1951) Projection 4 (1951) Projection 5 (1951) Intersection 3 (1953) Intersection 4 (1953) Out of ‘Last Pieces’ (1961) The Straits of Magellan (1961) In Search of an Orchestration (1967) MODE 146, 2005

MONTAIGNE

Structures, per quartetto d’archi (1951) MO 782010, 1993 The Viola in My Life 1 (1970) The Viola in My Life 2 (1970) I Met Heine on the Rue Fürstenberg (1971) For Frank O’Hara (1973) Routine Investigations (1976) MO 782018, 1994

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Samuel Beckett, Words and Music (1987) MO 782145 (2001)

NAXOS

String Quartet 1 (1979) 8.559190, 2006

NEW ALBION

Three Voices (1982) NA018 CD, 1989 Rothko Chapel (1971) Why Patterns? (1978) NA039 CD, 1991 Only (1947) For Franz Kline (1962) Vertical Thoughts 5 (1963) Pianos and Voices (1972) Voices and Cello (1973) Voice, Violin and Piano (1976) NA085 CD, 1996

NEW CLASSICAL ADVENTURE

Trio, per violino, violoncello e pianoforte (1980) MA 96 12 824, 1997

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OGREOGRESS PRODUCTIONS

First Piano Sonata [To Bela Bartok] (1943) Preludio (1944) Self Portrait (1945) For Cynthia (195?) Three Dances (1950) Two Pieces for Three Pianos (1966) OO2003a, 2003

WERGO

For Franz Kline (1962) The O’Hara Songs (1962) De Kooning (1963) Piano Piece (to Philip Guston) (1963) Four Instruments (1965) For Frank O’Hara (1973) WER 6273-2, 1996

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225

Sitografia «Morton Feldman Page» a cura di Chris Villars: http://www.cnvill.net/mfhome.htm «official site of composer Gavin Bryars» a cura di Gavin Bryars: http://www.gavinbryars.com/ «Society for Music Theory»: http://societymusictheory.org/ «Music Theory Online»: http://www.mtosmt.org/ «Page of the Auditory Research Laboratory» a cura di Albert Bregman: http://webpages.mcgill.ca/staff/Group2/abregm1/web/ «Sound and Music Computing»: http://smcnetwork.org/ «The New York Times»: http://www.nytimes.com/