Strumento di cultura, solidarietà e informazione pastorale · copia fuori commercio – non...

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sommario 1 Strumento di cultura, solidarietà e informazione pastorale A cura dell’associazione La Concordia, anno x, n.4 ottobre/dicembre 2012 - periodico - sped. in abb. postale (comma 20-lett. C art. 2 – legge 662/96) - copia fuori commercio – non vendibile (costo di una copia E 0,516) – tasse pagate – tassa riscossa – Pordenone Italy – in caso di mancato recapito rinvia- re all’ufficio PT di PN 33170, detentore del conto per la restituzione al mittente che si impegna a pagare la relativa tariffa. Finito di stampare a dicembre 2012 - d. lgs 196/2003 - tutela delle persone e rispetto trattamento dei dati personali. Indirizzo redazione: via Martiri Concordiesi, 2 - 33170 Pordenone 4 Auguri del Vescovo ............................................ Pag. 1 Editoriale............................................................ Pag. 2 Avvento - Natale 2012 ...................................... Pag. 3 Dossier Statistio Immigrazione 2012 .............. Pag. 4-5 Mostra Rotte Migranti ....................................... Pag. 6-7 “Il cammino celeste” ......................................... Pag. 8 Inaugurazione scuola materna in Emilia ......... Pag. 9 Mercati di Guerra ............................................. Pag. 10-11 Emergenze ......................................................... Pag. 12 Natalinsieme 2012 e Formazione ................... Pag. 13 Libri e riviste ...................................................... Pag. 14-15 Auguri di Natale ................................................. Pag. 16 La parola “crisi” risuona ormai con una antipatica insistenza nelle conversazioni della gente, nelle notizie, nei dati statistici; è un concetto che è presente con pesantezza nel pensiero di tanti, che si sentono toccati e segnati dalle preoccupazioni concrete della vita e del lavoro di ogni giorno. Qualcuno ormai ha decretato con una certa fierezza, e un senso di pessimismo: “Questo che sta per arrivare, sarà un Natale spento dalla crisi”. Come Vescovo delle genti di questa nostra Terra non posso rimanere indifferente davanti a questa situazione oggettiva che le famiglie si trovano a vivere, ma al tempo stesso non mi piace lasciare che siano solo i “profeti di sventura” a far sentire la loro voce, mentre ci si avvicina alle Festività. Mi domando, e lo faccio seriamente: le situazioni di difficoltà economica che sono ormai iscritte nelle nostre dinamiche di vita, che cosa andranno ad intaccare del nostro Natale? Certamente tutta quella cornice, scintillante e accattivante, che gli anni fiorenti del consumismo vi hanno costruito sopra. A risentirne saranno per primi i consumi, le scelte economiche, le spese, gli sprechi, gli eccessi… Ma davvero la crisi può avere il potere di spegnere del tutto la Fede? Può avere la forza di rendere sterile o buia la gioia – la gioia vera, quella che ha radice negli affetti, nelle relazioni sane e corrette, nel dialogo, nel sorriso, nei gesti belli dei giorni semplici? Il credente, lo dico in modo convinto, non può essere un disincarnato dalla storia! Non può non interessarsi anche del vivere sociale, dei criteri economici, di tutto ciò che fa parte del sociale, delle vicende politiche, delle scelte mosse per il bene comune. Ma ha il vantaggio, che gli viene dal Vangelo, che se sa vivere con cuore libero e spirito di Verità, non si lascia schiacciare da ciò che è strumento” e non deve mai divenire il “fine”. Il credente non rimane mai indifferente davanti alle fatiche e alle difficoltà delle nostre famiglie: e saprà sempre muoversi in modo discreto e coraggioso, intelligente e dinamico, per dare il più possibile risposte autentiche alle più diverse domande. Ma ha nel cuore, e nella mente, la risposta che da sola apre nuovi orizzonti di criterio: non si deve spegnere la Speranza. Non si può metterla a tacere. Non si può soffocarla. Il Natale sarà più sobrio nelle sue forme esteriori; sarà modesto negli accessori, nelle atmosfere, nelle suggestioni. Facciamo in modo, però, che rimanga autentico, vero, che possa consegnare a tutti, indistintamente, il suo Messaggio di sempre: Dio non lascia mai l’uomo da solo. Mai. Con questa parola, intendo rivolgere il mio augurio di Fede, in quest’anno che papa Benedetto ha dedicato alla cura e alla riscoperta di questo grande atteggiamento dell’uomo che crede. E da queste pagine, che parlano di amore, di gesti di solidarietà, di aiuti, di sorrisi, di mani tese, voglio poter raggiungere chi nei giorni di Festa sentirà maggiormente il peso freddo della solitudine, in tutte le sue forme, delle contingenze, delle scelte faticose o imposte. Auguro che nessuno possa lasciarsi vincere dalla paura, dallo sconforto, da pensieri di pessimismo. E chiedo ad ogni cristiano di buona volontà di essere capace, anche nei piccoli gesti, di dare testimonianza sincera di quella Carità che non è elemosina, ma che è ancor oggi il modo più vero di rendere visibile la Fede, di rendere presente, nel mondo ferito, il volto sorridente di un Dio che ci guarda attraverso lo sguardo di un Bambino e ci dice: non temete! Nella memoria dei cinquant’anni del Concilio Vaticano II mi piace concludere queste parole di augurio con quell’immagine – in bianco e nero, ma vibrante di vita – di papa Giovanni che guardando alla luna regala il gesto semplice di una carezza ai bambini. Un piccolo gesto di affetto concreto non è mai troppo povero: se troviamo questa semplicità di linguaggi e di concretezza il Natale non avrà perso il suo calore. Giuseppe Pellegrini vescovo

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1sommario

1Strumento di cultura, solidarietà e informazione pastorale

A cura dell’associazione La Concordia, anno x, n.4 ottobre/dicembre 2012 - periodico - sped. in abb. postale (comma 20-lett. C art. 2 – legge 662/96) - copia fuori commercio – non vendibile (costo di una copia E 0,516) – tasse pagate – tassa riscossa – Pordenone Italy – in caso di mancato recapito rinvia-re all’ufficio PT di PN 33170, detentore del conto per la restituzione al mittente che si impegna a pagare la relativa tariffa. Finito di stampare a dicembre 2012 - d. lgs 196/2003 - tutela delle persone e rispetto trattamento dei dati personali. Indirizzo redazione: via Martiri Concordiesi, 2 - 33170 Pordenone

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Auguri del Vescovo ............................................ Pag. 1

Editoriale ............................................................ Pag. 2

Avvento - Natale 2012 ...................................... Pag. 3

Dossier Statistio Immigrazione 2012 .............. Pag. 4-5

Mostra Rotte Migranti ....................................... Pag. 6-7

“Il cammino celeste” ......................................... Pag. 8

Inaugurazione scuola materna in Emilia ......... Pag. 9

Mercati di Guerra ............................................. Pag. 10-11

Emergenze ......................................................... Pag. 12

Natalinsieme 2012 e Formazione ................... Pag. 13

Libri e riviste ...................................................... Pag. 14-15

Auguri di Natale ................................................. Pag. 16

La parola “crisi” risuona ormai con una antipatica insistenza nelle conversazioni della gente, nelle notizie, nei dati statistici; è un concetto che è presente con pesantezza nel pensiero di tanti, che si sentono toccati e segnati dalle preoccupazioni concrete della vita e del lavoro di ogni giorno. Qualcuno ormai ha decretato con una certa fierezza, e un senso di pessimismo: “Questo che sta per arrivare, sarà un Natale spento dalla crisi”. Come Vescovo delle genti di questa nostra Terra non posso rimanere indifferente davanti a questa situazione oggettiva che le famiglie si trovano a vivere, ma al tempo stesso non mi piace lasciare che siano solo i “profeti di sventura” a far sentire la loro voce, mentre ci si avvicina alle Festività. Mi domando, e lo faccio seriamente: le situazioni di difficoltà economica che sono ormai iscritte nelle nostre dinamiche di vita, che cosa andranno ad intaccare del nostro Natale? Certamente tutta quella cornice, scintillante e accattivante, che gli anni fiorenti del consumismo vi hanno costruito sopra. A risentirne saranno per primi i consumi, le scelte economiche, le spese, gli sprechi, gli eccessi… Ma davvero la crisi può avere il potere di spegnere del tutto la Fede? Può avere la forza di rendere sterile o buia la gioia – la gioia vera, quella che ha radice negli affetti, nelle relazioni sane e corrette, nel dialogo, nel sorriso, nei gesti belli dei giorni semplici?

Il credente, lo dico in modo convinto, non può essere un disincarnato dalla storia! Non può non interessarsi anche del vivere sociale, dei criteri economici, di tutto ciò che fa parte del sociale, delle vicende politiche, delle scelte mosse per il bene comune. Ma ha il vantaggio, che gli viene dal Vangelo, che se sa vivere con cuore libero e spirito di Verità, non si lascia schiacciare da ciò che è “strumento” e non deve mai divenire il “fine”. Il credente non rimane mai indifferente davanti alle fatiche e alle difficoltà delle nostre famiglie: e saprà sempre muoversi in modo discreto e coraggioso,

intelligente e dinamico, per dare il più possibile risposte autentiche alle più diverse domande.

Ma ha nel cuore, e nella mente, la risposta che da sola apre nuovi orizzonti di criterio:

non si deve spegnere la Speranza. Non si può metterla a tacere. Non si può soffocarla.

Il Natale sarà più sobrio nelle sue forme esteriori; sarà modesto negli accessori, nelle atmosfere, nelle suggestioni. Facciamo in modo, però, che rimanga autentico, vero, che possa

consegnare a tutti, indistintamente, il suo Messaggio di sempre: Dio non

lascia mai l’uomo da solo. Mai.Con questa parola, intendo rivolgere

il mio augurio di Fede, in quest’anno che papa Benedetto ha dedicato alla cura e

alla riscoperta di questo grande atteggiamento dell’uomo che crede. E da queste pagine, che parlano di

amore, di gesti di solidarietà, di aiuti, di sorrisi, di mani tese, voglio poter raggiungere chi nei giorni di Festa sentirà maggiormente il peso freddo della solitudine, in tutte le sue forme, delle contingenze, delle scelte faticose o imposte. Auguro che nessuno possa lasciarsi vincere dalla paura, dallo sconforto, da pensieri di pessimismo. E chiedo ad ogni cristiano di buona volontà di essere capace, anche nei piccoli gesti, di dare testimonianza sincera di quella Carità che non è elemosina, ma che è ancor oggi il modo più vero di rendere visibile la Fede, di rendere presente, nel mondo ferito, il volto sorridente di un Dio che ci guarda attraverso lo sguardo di un Bambino e ci dice: non temete!

Nella memoria dei cinquant’anni del Concilio Vaticano II mi piace concludere queste parole di augurio con quell’immagine – in bianco e nero, ma vibrante di vita – di papa Giovanni che guardando alla luna regala il gesto semplice di una carezza ai bambini. Un piccolo gesto di affetto concreto non è mai troppo povero: se troviamo questa semplicità di linguaggi e di concretezza il Natale non avrà perso il suo calore.

† Giuseppe Pellegrinivescovo

Nel Natale della “crisi”, teniamo accesa la nostra Fede

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numero 04 ottobre/dicembre 2012

Quando mi venne chiesto di assumere l’impegno di direttore della Caritas diocesana, i primi sentimenti che provai furono un misto di smarrimento, timore e senso di inadeguatezza. Il compito mi sembrava immane per la mia piccola persona e soprattutto così diverso dalle competenze sviluppate in questi anni operando nelle parrocchie. Naturalmente ho accettato facendo un atto di fede. Poi, cercando motivazioni per affrontare il nuovo impegno, ho letto il brano del Vangelo di Matteo, capitolo 25, in particolare la frase “avevo fame e mi avete dato da mangiare, avevo sete e mi avete dato da bere, ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi”. Letta in questo contesto assunse per me una forza e una valenza del tutto particolare: Gesù si nasconde, si identifica, si lascia incontrare nei poveri, in particolare nei più poveri, negli ultimi, in coloro che nessuno vuole e a cui nessuno pensa. E poi la domanda “quando mai Signore ti abbiamo visto affamato, assetato, forestiero, nudo, malato, in carcere?”, quante occasioni nascoste nelle pieghe della nostra quotidianità per amare e per incontrare Gesù. Ecco la mia opportunità, pensai, ecco la mia chiamata. Non solo un’accettazione quindi perchè appartenente al presbiterio, per onorare quella promessa fatta nove anni fa nelle mani del Vescovo, il giorno della mia ordinazione, ma anche la risposta ad una chiamata che Cristo rivolge ad ogni cristiano e oggi, in quel momento, rivolge a me.

Un’opportunità d’incontro con il SignoreDi fronte, quindi, un’esperienza nuova e una realtà, la Caritas della Diocesi, in buona parte da esplorare. Una realtà, immagino, fatta di problemi, di provocazioni, di senso di impotenza che fa soffrire (certo non riusciamo sempre ad aiutare tutti i poveri, a risolvere tutti i problemi), ma credo anche una opportunità di incontro con il Signore. Certo, l’impegno dei prossimi anni nel centro diocesano di

Via Martiri Concordiesi, e anche fuori a contatto con le realtà di volontariato delle parrocchie, arricchirà la mia conoscenza delle forme di povertà di oggi, ma anche la mia esperienza di prete e parroco mi danno uno spaccato della realtà odierna. Credo che solo fino a pochi anni fa la povertà nella nostra società era soprattutto povertà umana, spirituale. Siamo poi passati alla povertà materiale, che si identificava soprattutto con gli stranieri presenti sul nostro territorio, sino a giungere oggi ad una povertà che si sta allargando anche alle famiglie italiane. Nuove povertà, quindi, che si assommano alle precedenti. Per questo l’idea che prende forza dentro di me, mentre muovo i primi passi in questo campo, è che l’azione caritativa deve far parte sempre più dell’azione pastorale ordinaria della chiesa a tutti i livelli. La Carità deve diventare parte integrante della Pastorale. Immagino quindi un ruolo sempre più pastorale della Caritas diocesana, un ruolo di sensibilizzazione e formazione a fianco di tutti i soggetti ecclesiali (parrocchie, associazioni, uffici) e non, per una azione comune. Senza far mancare la nostra presenza nelle situazioni particolari, difficili da vedere o da accettare, in cui l’impegno ha anche il valore di segno e sensibilizzazione (tratta delle donne, rifugiati, profughi, povertà e altro ancora).

Il segno del servizioQuando venni ordinato diacono nel giugno del 2002 assieme a due compagni di seminario, ci accadde un fatto curioso, due gruppi parrocchiali ebbero la stessa idea: ci regalarono un grembiule, cioè due grembiuli a testa. Ci dicemmo: siamo proprio chiamati a vivere il nostro ministero in spirito di servizio. Sono convinto che soprattutto in momenti importanti come quello, il giorno dell’ordinazione appunto, le cose non accadono per caso, ma che Dio parla attraverso gli eventi. Ho cercato in questi anni di vita sacerdotale di tenere sempre presente il segno del grembiule. Oggi più che mai comprendo quel segno, accompagnato dalle parole del vescovo Tonino Bello che nel suo

scritto Stola e Grembiule dice appunto: “non dobbiamo mai abbandonare la strada del servizio, che è la strada della condiscendenza, della condivisione, del coinvolgimento in presa diretta nella vita dei poveri”. E volendo chiedere una particolare benedizione all’inizio di questo percorso, non posso non prendere in prestito ancora una frase bellissima di don Tonino e chiedere alla “Madonna, serva di JHWH, di ritagliare, dal suo, un pezzo di grembiule” e di donarmelo come strumento essenziale per il cammino che mi attende.

Don Davide CorbaDirettore Caritas diocesana

Editoriale

Un nuovo inizio, con spirito di servizio

Associazione “La Concordia”

Via Martiri Concordiesi, 233170 PordenoneTel. 0434.221222 fax 0434 [email protected]

Direttore responsabile

don Livio Corazza

In redazione

Martina Ghersetti

Segretaria di redazione

Lisa Cinto

Foto

Archivio Caritas

Direzione e redazione

Via Martiri Concordiesi, 2 – Pordenone

Autorizzazione

Tribunale di Pordenone n.457 del 23.07.1999

Grafica e stampa

Sincromia srl COD. 123705 Roveredo in Piano (PN)

AVVENTO NATALE 2012

È IL SIGNORE CHE NASCEproposte di solidarietà

Nasce poveroQuesto per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia

Accogliamo il Signore che nasce povero, piccolo, bisognoso di cure e attenzioni, accorgen-doci e occupandoci di chi nella nostra comunità parrocchiale è più povero e in difficoltà.Sosteniamo le attività della Caritas, volto di una Chiesa capace di prossimità e vicinanza, di accoglienza e solidarietà.

PROPOSTE CONCRETE: • RACCOLTA FONDI PER LA CARITAS • DEDICARE TEMPO PER LE ATTIVITÀ DELLA CARITAS PARROCCHIALE

Nasce da una donnaOra, mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto. Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia, perché non c’era posto per loro nell’albergo.

Rivolgiamo uno sguardo speciale alle donne, in particolare a quelle che soffrono perché sole, a quelle che vivono maternità difficili, a chi subisce violenze e abbandono.Approfondiamo la problematica del disagio delle donne, ancora oggi protagoniste di storie di sofferenza e sopraffazione.

PROPOSTA CONCRETA:• PROMUOVIAMO IN PARROCCHIA INCONTRI DI CONOSCENZA E SENSIBILIZZAZIONE

Nasce lontanoAl vedere la stella, essi provarono una grandissima gioia. Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, e prostratisi lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra.

Siamo chiamati a muoverci per andare incontro al Signore che nasce, riconosciamolo presente nei fratelli vicini, ma anche in quelli lontani da noi e che vivono in condizioni di sofferenza.Sosteniamo il progetto della Diocesi di sostegno alla Comunità cattolica di Valjevo (Serbia).

PROPOSTA CONCRETA: • RACCOLTA FONDI PER SOSTEGNI A DISTANZA A VALJEVO-SERBIA

Per offrire il tuo contributo scegli la modalità che preferisci specificando il progetto scelto:1. CARITAS PARROCCHIALE2. CARITAS DIOCESANA

CONTO CORRENTE POSTALE:n.° 11507597

VERSAMENTO IN BANCA:Banca Popolare FriulAdria Sede PNIT09E0533612500000040301561Banca Popolare EticaIT 22 M 05018 12000 000000105618intestati aCARITAS DIOCESANA DICONCORDIA-PORDENONEVIA REVEDOLE, 133170 PORDENONE

Per saperne di più• vieni a trovarci in Caritas Diocesanadal lunedì al venerdìdalle 9.00 alle 12.00• telefona al n. 0434-221222 fax: 0434-221288• invia una mail all’indirizzo: [email protected]• visita il sito: www.caritaspordenone.it

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numero 04 ottobre/dicembre 2012

Il Dossier Statistico Immigrazione, curato da Caritas e Migrantes, è il documento più accreditato in Italia sul tema, in quanto fornisce i dati più recenti e un panorama sempre interessante di approfondimenti per meglio comprendere questo fenomeno in Italia, offrendo anche un quadro della situazione in ogni regione della penisola. Quest’anno la presentazione del volume è stata fatta, per tutto il Friuli Venezia Giulia, nell’auditorium del Centro Culturale Casa A. Zanussi di Pordenone, organizzata dalla Caritas diocesana di Concordia-Pordenone, assieme alle altre tre Caritas diocesane della regione. Da Roma è arrivato Oliviero Forti, coordinatore a livello nazionale delle attività della Caritas in materia di migranti, mentre per delineare la situazione regionale è intervenuto Andrea Barachino, direttore di Nuovi Vicini e redattore per il Friuli Venezia Giulia del Dossier.

Due questioni scottanti

Forti ha sviluppato in particolare due temi: ciò che è avvenuto in Italia dopo la primavera araba, con il conseguente afflusso di fuggiaschi che ha raggiunto l’Italia soprattutto nella prima parte del 2011; la questione della cittadinanza

degli stranieri che vivono in Italia.Riguardo al primo argomento, se entro il 31 dicembre lo Stato italiano non concede almeno un permesso per ragioni umanitarie a tutti coloro che sono ora inseriti nei progetti di accoglienza sparsi in tutta l’Italia, il rischio è quello di lasciare migliaia di persone senza un titolo valido per rimanere nel nostro Paese, quindi destinate a diventare clandestine. Una soluzione si sta cercando proprio in questi giorni. Secondo i dati dell’ultimo Dossier, solo 7.155 domande per il riconoscimento dell’asilo o di altra protezione sussidiaria o umanitaria sono state accolte nel 2011, mentre sono state 37.350 le domande presentate da persone fuggite in prevalenza dalla guerra in Libia.

La cittadinanza

Sul tema della cittadinanza si avverte l’urgenza di un riconoscimento soprattutto per i ragazzi che vivono da molto tempo in Italia e qui si sono formati, frequentando le nostre scuole, e, ancor di più, per i bambini che nel nostro Paese sono nati e poco conoscono i Paesi di origine dei loro genitori. Già la campagna “L’Italia sono anch’io” ha raggiunto un vasto consenso, dimostrando la volontà di

molti italiani di considerare cittadini a tutti gli effetti coloro che qui vivono da molti anni. Anche il sindaco di Pordenone Claudio Pedrotti è intervenuto in favore di questo riconoscimento, portando il confronto con la Germania, Paese nel quale con la residenza di otto anni e una buona conoscenza della lingua si può diventare cittadini tedeschi affrontando un iter burocratico piuttosto lineare.

I dati del Dossier

Nonostante il periodo di crisi, il numero degli immigrati sale ogni anno: secondo le stime dell’ultimo Dossier Statistico Immigrazione, al 31 dicembre 2011, erano presenti sul territorio italiano poco più di 5 milioni di immigrati regolari, inclusi i comunitari e quelli non ancora iscritti in anagrafe. L’incidenza sulla popolazione italiana è dell’8,2 per cento. Le popolazioni più presenti provengono dall’Europa: i cittadini comunitari sono il 27,4 per cento, i non comunitari raggiungono il 23,4 per cento, seguiti dagli africani (22,1 per cento), dagli asiatici (18,8 per cento) e dagli americani (8,3 per cento). I rumeni sono i più numerosi, con 997.000 presenze; seguono i marocchini, che sono 506.369; poi ci sono gli albanesi, con 491.495 persone.

DOSSIER STATISTICO IMMIGRAZIONE 2012

Aumentipiùcontenutiin FriuliVeneziaGiulia

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La situazione lavorativa

Gli occupati stranieri sono attualmente 2,5 milioni e rappresentano un decimo dell’occupazione totale. Nel mondo del lavoro, tra il 2007 e il 2011, c’è stata la perdita di un milione di posti di lavoro, in parte compensati da 750mila assunzioni di stranieri in settori e mansioni non ambiti dagli italiani. Anche nel 2011, mentre gli occupati nati in Italia sono diminuiti di 75 mila unità, gli occupati nati all’estero sono aumentati di 170 mila. Nello stesso tempo è aumentato il numero dei disoccupati tra gli stranieri, che sono 310 mila, dei quali 99 mila comunitari. Nell’attuale momento di crisi, la forza lavoro immigrata continua a svolgere un’utile funzione di supporto al sistema economico-produttivo nazionale per la giovane età, la disponibilità e la flessibilità, caratteristiche che, a volte, si trasformano in forme più o meno gravi di sfruttamento. Gli immigrati sono concentrati nelle fasce più basse del mercato del lavoro e, ad esempio, mentre tra gli italiani gli operai sono il 40 per cento, la quota sale all’83 per cento tra gli immigrati comunitari e al 90 per cento tra quelli non comunitari.

Immigrazione in Friuli Venezia Giulia

Andrea Barachino si è soffermato sulla situazione degli stranieri in Friuli Venezia Giulia. Secondo le stime del Dossier, la presenza regolare in questa regione è di 120 mila persone, un dato superiore di circa 10 mila presenze rispetto ai dati provvisori messi a disposizione delle anagrafi comunali ed elaborati dalla Regione, relativi agli stranieri residenti nei comuni del territorio. Se da un lato si rileva l’incremento della popolazione residente, dall’altro si evidenzia come ormai da cinque anni si assiste ad una progressiva diminuzione negli incrementi, a causa della contrazione

delle quote d’ingresso per lavoro subordinato, e anche per la difficoltà di inserimento lavorativo, e quindi il venir meno di uno degli elementi di attrazione. Nella provincia di Pordenone gli stranieri sono 36.793, ed è seconda per numero di presenze dopo la provincia di Udine: l’incremento nel pordenonese è stato del 2,1 per cento rispetto all’anno precedente, inferiore a quelli registrati a Gorizia e a Udine. La presenza degli stranieri è comunque la più alta a Pordenone, raggiungendo in provincia l’11,6 sul totale: tra i comuni in cui tale presenza è rilevante, spiccano Prata di Pordenone, con il 20 per cento, e Pravisdomini, con il 22 per cento.

DOSSIER STATISTICO IMMIGRAZIONE 2012

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numero 04 ottobre/dicembre 2012

ROTTE MIGRANTI

Mi chiamo Assif. Sono pakistano. Ho 24 anni, una moglie e due figli. Devo mantenere la mia famiglia, ma lavoro non ce n’è più dove abito. Da bambino, cucivo a mano i palloni da calcio. Fantasticavo che un giorno, quel pallone, lo avrebbe potuto calciare Messi, oppure sarebbe finito in un campo da calcio in Italia. Mi faceva sentire importante. Poi la fabbrica ha chiuso, sono tornato al villaggio e ho lavorato la terra di proprietà di mio padre. Nel 2010 c’è stata una grossa siccità in tutto il Pakistan, che ha portato ad una pesante crisi economica. Non era possibile neanche vendere i nostri pochi prodotti. Per questo me ne sono andato dal mio Paese. Devo mantenere mia moglie e i miei figli. Ho venduto parte della mia terra. Il ricavato l’ho dato ad alcuni amici e parenti, per farmi portare in Europa. Mi hanno detto che sarei andato in Italia. Avrei raggiunto così il Paese per cui ho cucito tanti palloni. Ma a me adesso questo non importa tanto. Voglio solo trovare un lavoro, qualsiasi lavoro, che mi permetta di mettere da parte un po’ di soldi, e poi tornare a casa mia. Perché dovrei rimanere in Italia? Ho la mia famiglia, i miei parenti ed amici al mio Paese e io voglio tornare a casa da loro. Ma non è andata come avrei voluto. Dopo sei mesi di viaggio via terra tra Iran e Turchia, siamo arrivati in Grecia. Abbiamo attraversato l’Adriatico su un gommone, e appena scesi mi hanno ordinato di vendere rose e borsette di pelle. Non ne ho venduta neanche una. Subito è arrivata la polizia, e mi ha portato in questura. Gli ho dato il mio nome e cognome. Mi dicono che sono un clandestino. Devo andarmene dall’Italia. Non posso farlo, non ho soldi. Non posso proprio andarmene. Mi han lasciato così, a piede libero. L’unica cosa che posso fare adesso è vendere rose, e borsette di pelle. Sono straniero, sono solo in un paese sconosciuto. Un clandestino. Mauro Zanette

La mostra interattiva Rotte Migranti, ospitata nel Centro Culturale Casa A. Zanussi dal 31 ottobre al 16 novembre, è stata una fenomenale occasione per la Caritas per parlare di immigrazione, di tratta di esseri umani, di rifugiati e richiedenti asilo: hanno partecipato più di 1700 studenti delle scuole medie e superiori della provincia di Pordenone, vestendo i panni di un pakistano emigrato per ragioni economiche, o di una minore albanese vittima della tratta, o, ancora, di un rifugiato politico. È stato un modo per comprendere meglio un mondo che di solito è lontano dai banchi di scuola, nonché un’occasione per continuare a discuterne in classe. Rotte Migranti sarà ripresa in queste pagine, perché vale la pena leggere i molti commenti degli studenti che hanno vissuto l’esperienza. Ne anticipiamo alcuni dei ragazzi del laboratorio di giornalismo del Centro Culturale Casa A. Zanussi, che, dopo aver fatto il percorso, hanno scritto a caldo il loro commento.

Fuori piove. Fa freddo. Una giornata spettrale fa da cornice a un’espe-rienza da brividi. Nello scenario della Casa dello Studente siamo stati clandestini per un’ora e mezza. Il percorso in mostra ci ha fatto vivere le stesse situazioni che i veri immigrati vivono.Il barcone. Gli scafisti. Gli sfruttatori. La polizia. Tutti attori, noi lo sa-pevamo. Era un gioco. Ma lì, nella realtà, non si gioca. Ogni giorno mi-gliaia di persone attraversano il Mediterraneo sperando di raggiungere il continente europeo. Molte, troppe volte i barconi affondano perché sovraccarichi e così il Mare Nostrum è diventato cielo di un cimitero vastissimo.La nostra esperienza è stata forte, vicina alla loro. Era finzione, ma così reale. In alcuni momenti mi sentivo davvero un immigrato clandestino. Poi ripensando a casa mi sono accorto che in molte cose il mio viaggio assomigliava al loro.Innanzitutto il gioco ci è stato presentato quasi come divertente, sicu-ramente di movimento. Entrati nella mostra è iniziato l’incubo. Proprio come gli immigrati. Quando devono andare in Europa sono felici, impa-zienti. Poi inizia l’incubo.Il barcone. Gli scafisti. Arrivano in Italia. A questo punto nel gioco si fa avanti una ragazza, si accendono per la prima volta le luci. Lei sem-bra quasi quella che pone fine all’incubo dei maltrattamenti e del mare aperto. Ma in realtà è una sfruttatrice. Peggiora la nostra condizione. Forse anche gli immigrati s’illudono di fronte a una persona che offre loro una casa e un lavoro. Ma la casa è una scatola di cartone, il lavoro è dei più umilianti. Ci tratta peggio degli scafisti. La nostra avventura si conclude fra gli insulti sprezzanti della polizia.Realtà o finzione? Più di una volta ho pensato che fosse realtà, una triste realtà che era un gioco, ma là fuori esiste. E non è un gioco.

Filippo Menegotto

Perché i clandestini lasciano il loro paese per emigrare in Italia? Le risposte che si sentono più spesso sono dettate da pregiudizi: rubano il lavoro agli italiani, non hanno voglia di fare niente e quindi devono rubare per sopravvivere o anche peggio, vengono in un Paese che loro stessi in seguito disprez-zeranno e via dicendo. L’unica vera ragione di questo terribile viaggio è che vogliono scappare da un regime e da un paese che non li rispetta come esseri umani. Nel progetto Rotte Migranti, a cui ho partecipato, si cerca soprattutto di abbattere questo grande muro del pregiudizio con la possibilità di interpretare un personaggio realmente esistente.Io dovevo immedesimarmi in Aman. Aman è un uomo etiope di 35 anni, marito e padre di tre figli; è un giornalista. Un gior-no pubblica un articolo in netto contrasto con il regime del suo Paese. Proprio per questo motivo Aman e la sua famiglia vengono minacciati di morte e perseguitati. Aman riesce ad al-lontanare la sua famiglia dall’Etiopia ma viene rinchiuso in un carcere dove viene maltrattato e torturato. Grazie a degli amici che riescono a liberarlo, Aman riesce ad arrivare in Italia dopo una serie di passaggi e momenti difficili e pericolosi.I pregiudizi che ci spingono a non accettare i clandestini o co-munque gli immigrati sono spesso infondati. Ci permettiamo di giudicare situazioni di cui non sappiamo niente. Il ragazzo di colore che noi pensiamo ci rubi il lavoro in realtà fa un mestie-re che un italiano non ha voglia di fare perché poco dignitoso. Un immigrato, invece, è disposto a tutto pur di sopravvivere mantenendosi perché sa i rischi che potrebbe correre se do-vesse tornare nel suo Paese.

Barbara Boz

La mostra-gioco di ruolo Rotte Migranti, iniziativa di sensibilizzazione sul tema dell’immigrazione, pres-so la Casa dello Studente A. Zanussi di Pordenone, è un’esperienza assolutamente unica. Per tutta la durata del percorso ho impersonato Sladjola, una ragazza albanese di 16 anni che, a causa del licenzia-mento del padre, deve emigrare in Italia alla ricerca di un lavoro che le permetta di mantenere tutta la sua famiglia ed il suo bambino. È stato davvero provante: questa ragazza ha dovuto sopportare le pene dell’inferno durante una spossante traversata adriatica, per poi essere irretita nella tratta clandestina e reclutata nel mondo disumano della prostituzione. L’abiezione dei criminali, che schiavizzano queste povere ragazze, infiamma un sentimento di protesta, che, di converso, alimenta una rivalutazione della fi-gura dell’immigrante clandestina e un’ammirazione smisurata per la forza di volontà di Sladjola in questo caso, che, per dare al figlio e alla sua famiglia una vita migliore, sopporta i più orribili soprusi. La deter-minazione di Sladjola deve farci riflettere sui valori sani che gli immigrati portano con sé, diversamente dal luogo comune del “delinquente abituale”: l’unione familiare, l’amore per i figli, lo spirito di sacrificio sono baluardi della società civile. Rotte Migranti è riuscita ad aprirmi la mente, a spalancarmi gli occhi su un tema poco conosciuto oggigiorno: il clandestino non è il criminale, ma la merce della criminalità.

Alessandro Settimo

La storia di Dawitt, quarantenne di Mekele, Etiopia, è una storia vera. Medico cattolico di un paese in pro-fonda trasformazione, compiendo il suo lavoro cura un ribelle, diventando anch’egli tale. Scappa in Su-dan e da lì in Libia, ma l’unica via di salvezza sembra essere al di là del Mediterraneo. Trascinati, ancorati alle cinghie esterne di un canotto, alcuni arrivano in Italia dove viene loro inoltrata una domanda di asilo tramite gli enti preposti all’accoglienza. Passeranno mesi prima di una risposta. Inizia la clandestinità. Si cerca un lavoro, mai con le aspettative della propria professione, costretti dagli sfruttatori a vendere fiori e borse per la strada, infine alla manovalanza in un cantiere. Com’è difficoltoso per alcuni popoli pensare al futuro, specialmente dove politica o religione portano a una destabilizzazione sociale, a un dissesto eco-nomico che causa fame e paure, a fenomeni che conducono inevitabilmente, qualsiasi persona coscien-te, alla fuga verso un mondo migliore. Un’esperienza educativa, di sensibilizzazione, che fa pensare e fa capire come spesso, tramite le notizie, l’informazione giunga incompleta nelle nostre case. Un’esperienza che può aiutare a comprendere come non sia giusto generalizzare e come certi comportamenti nascano dalle difficoltà incontrate da chi fugge per aver salva la vita. Un invito alla solidarietà, magari pensando che tutti avremmo potuto vestire quei panni in altri luoghi, in altri tempi.

Marco Verdelli

Il mio personaggio era un professore universitario etiope, scappato dal suo Paese per essersi opposto alla dittatura al potere. Durante il percorso, alcuni at-tori interagivano con noi: erano molto bravi, perchè riuscivano ad immergerci bene nel tragico percorso. Due scafisti ci hanno subito prelevato e caricato su un gommone, ma non dentro bensì ai bordi aggrap-pati alle corde col corpo immerso nell’acqua. L’impre-sa di farci sentire delle bestie è riuscita al 100 per cento, sensazione che è continuata quando siamo stati portati in questura per l’identificazione. Lo sco-po dei poliziotti sembrava farci capire che perdevamo tempo a venire in Italia e il leitmotiv era: “Ma se ave-vate tanti soldi per pagarvi il viaggio, perchè non siete rimasti a casa vostra?”; le nostre risposte non sem-bravano toccare i poliziotti, che ci hanno fatto uscire in malo modo (poteva essere altrimenti?). Dopodichè siamo stati presi in consegna da un “datore di lavoro” che continuava nell’opera di disumanizzazione, man-dandoci a fare lavori umilianti come vendere rose per strada. Poi ci ha dato un lavoro in cantiere spiegan-doci che lavoravamo di notte e di stare attenti perchè se ci facevamo male erano affari nostri, dato che loro non avrebbero certo chiamato la polizia. Alla fine ho scoperto che il mio personaggio se l’era cavata: ha ottenuto l’asilo politico ed ora fa il mediatore cultu-rale. Ma quelli fortunati come lui sono stati pochi e tutta questa storia mi ha fatto pensare a quanto sono fortunato a non essere costretto a lasciare il mio Pa-ese contro la mia volontà. Pietro Sessolo

Lira è una diciasettenne albanese. Una ragazza con dei trascorsi difficili: la morte della madre, la depres-sione del padre e l’espatrio dei fratelli. Una giovane sola e triste, la cui debolezza viene sfruttata da un uomo senza scrupoli, apparso nella veste di principe azzurro. Con la promessa di un futuro migliore la getta nel mondo della prostituzione. Questa è purtroppo una storia già vista, che illude e delude giovani donne con molte speranze. La tratta delle ragazze dell’est Europa è un fenomeno molto diffuso, sono tra le “preferite” sulle nostre strade. Carne fresca, messa al macello. Fortunatamente alcune ragazze riescono a trovare per davvero delle brave persone. Sono i volontari di vari progetti varati a livello nazionale (tra cui Caritas di Pordenone), che aiutano a superare i traumi subiti e mirano alla reintegrazione. A seguito dell’aiuto psico-logico, si passa al progetto di reintegro. Le donne ven-gono reinserite in contesti abitativi privati, di proprietà delle associazioni, dove possono dapprima studiare ed imparare la lingua e poi cercare lavoro. Il proces-so è lungo e difficile. I traumi subiti da queste donne-oggetto sono notevoli. I drammi non sono “solo” legati alla prostituzione, il problema vero e proprio è quello dello sfruttamento della persona. Queste donne per-dono dapprima l’identità, che diventa proprietà di chi le ha acquistate, per poi perdere la dignità. Smettono di essere persone, per diventare macchine da soldi. Quello che fa l’organizzazione è restituire dignità ed opportunità a chi merita una possibilità; a chi non ha scelto, ma subito. Silvia Zamai

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Il gruppo montagna di Fiume Veneto, un’associazione che riunisce persone che amano la montagna, ma propone molte altre iniziative, anche culturali, in occasione del ventennale della fonda-zione ha deciso di inserire nel program-ma estivo l’iter Aquilejense/Cammino Celeste. Questo percorso viene chiama-to con un doppio nome, perché doppia è la sua natura: quella storica, visibile e maestosa, del Patriarcato e quella cele-ste, invisibile, anche se costellata dalla presenza di Santuari Mariani - legati alla Madonna. Questo cammino mi ha subi-to affascinata e per questo ho deciso di percorrerlo. La motivazione che mi ha spinto ad affrontare questo cammino è che mi piace camminare nella natura e poi volevo scoprire quella parte del Friuli che non conoscevo.Così abbiamo iniziato il percorso: un pic-colo drappello di nove persone è partito per sperimentare la via, lunga circa 200 Km, che da Aquileia conduce alla Ma-donna del Monte Lussari.Ogni tappa è una vertebra. Seguire il cammino è costruire una piccola colon-na vertebrale del Friuli.Abbiamo iniziato il cammino dalla chie-setta di San Marco di Aquileia, questa bella città che fu fondata dai Romani e distrutta da Attila.Abbiamo poi attraversato la campagna e siamo entrati nella pianura. La piat-ta pianura, intervallata da campi, filari,

strade. Sono molti i paesi che sembrano tutti uguali, ma che in realtà cambiano, per la diversa musicalità del friulano che vi si parla.Dal secondo giorno il profilo del pae-saggio si è increspato: sono apparsi i primi rilievi, dolci com’è dolce il vino di quell’uva generosa: le colline del Cor-monese, scrigni di vigneti. Ci si inoltra verso Castelmonte, il monte di Maria. Le colline sono morbide alture, vi sono piccoli paesi e qualche casolare sparso. Primi assaggi di boschetti.Siamo entrati nelle valli del Natisone: cambio di lingua, di cultura, nel paesag-gio il selvatico che avanza.Poi si scende nella città ducale, Cividale del Friuli, ingioiellata dall’acqua smeral-dina del Natisone (ideale per i nostri pie-di accaldati e dolenti: non avrei voluto più uscire dall’acqua fresca) è l’ultima cittadina storica che abbiamo incon-

trato. Poi sono seguiti boschi e ancora boschi. Da lì si è risaliti verso rilievi inter-vallati da piccole, poche località.E così fino ad attraversare terre che si spingono verso la valle di Resia. Altro mondo, altra lingua, diversa cultura. Infi-ne dai boschi alla strada, arteria verso il nord. I rumori si sentono così forti, dopo giorni di fruscii e canti segreti. Intorno, un levarsi di rocce, si stagliano i monti più forti, più aspri. Finalmente si affron-ta la tappa finale, corta ma impegnativa, per la salita al Monte Lussari, raccolto ma pieno di negozi di souvenir e risto-ranti vari. Qui abbiamo incontrato tanta gente, quanta non ne abbiamo vista nel-le tappe precedenti.Siamo arrivati in cima al Lussari, accolti dal suono delle campane che “chiama-vano” alla messa di mezzogiorno: ab-biamo assistito alla celebrazione molto suggestiva, in tre lingue, italiano, slove-no ed austriaco.E poi è stata festa, strette di mano, foto-grafie di gruppo con gli sloveni, poi con tutti: abbiamo suggellato la conclusione del cammino.Finalmente ho avuto un breve momen-to di commozione ripensando a tutta la strada percorsa per arrivare fin qui, ho sperimentato la dura fatica fisica.Domenica 8 agosto siamo partiti da Aquileia, il 15 agosto siamo arrivati sul Lussari. La mia tanto desiderata meta è stata raggiunta.

Franca Presottovolontaria Caritas Fiume Veneto

IL CAMMINO CELESTE

A PIEDIDA AQUILEIA

AL MONTE LUSSARI

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“Oggi dimostriamo che c’è un’altra Italia, diversa da quella degli scandali e degli sprechi, fatta di solidarietà e partecipazione”. Forse sta tutta in queste parole pronunciate da uno dei nume-rosi sindaci presenti, la sintesi della giornata vissuta a S. Felice sul Panaro, in occasione dell’inaugurazione della sede ristrut-turata e messa a norma della Scuola dell’infanzia “Caduti per la Patria”, danneggiata e resa inagibile dal sisma dello scorso maggio.Nel cortile della scuola c’era infatti uno spaccato dell’Italia for-se più sincera: oltre ai bambini e i loro genitori, al personale, alle suore che dirigono la struttura e al direttivo della stessa, anche sindaci e rappresentanti di diverse regioni, gruppi di vo-lontariato, enti, gruppi famiglie, persino una scuola de L’Aquila. Tutti soggetti che hanno in qualche modo concorso a dare la possibilità ad una buona parte delle famiglie di S. Felice (140 i bambini iscritti alla scuola) di ricominciare a vivere normalmen-te, attraverso la ripresa (a tempi record) di un servizio essenzia-le quale quello della scuola materna.Tra questi la Delegazione Caritas Nordest (rappresentata dal direttore della Caritas di Trento Roberto Calzà), che è interve-nuta in modo “deciso e preciso”, permettendo la posa in ope-ra in tempi brevissimi, grazie ad una ditta di Bolzano, di due prefabbricati per la didattica e per alloggiare provvisoriamente le suore (per un totale di 60mila euro) a cui è seguito il contri-buto economico per i lavori di adeguamento antisismico (altri 130mila euro).“Da parte delle 15 Caritas del Triveneto – ha affermato Calzà nel suo saluto, portato anche a nome dell’Arcivescovo di Trento - è stato facile decidere di sostenere questo intervento perché, oltre a favorire il ritorno alla normalità, si trattava di investire sul futuro, che sono questi bambini e le loro famiglie.”Il presidente della Scuola e altre autorità locali hanno inoltre sottolineato come il tornare ad aprire una scuola non sia solo una questione funzionale e di ripresa di un ritmo di vita, ma anche, se non soprattutto, la possibilità di riallacciare quelle relazioni tra famiglie che il terremoto aveva in qualche modo interrotto e che alla fine risultano decisive anche per una rico-struzione umana e sociale di una comunità.Molti i bambini davvero entusiasti di esser tornati nella scuola, ma soprattutto soddisfatti i genitori e il direttivo che hanno lavo-rato con dedizione e, pur nella preoccupazione dei primi momenti (l’intervento complessivo di oltre 200mila euro avrebbe spaven-tato chiunque, tenendo conto anche che la scuola non è pubbli-ca), si sono sentiti incentivati a proseguire dalle numerose visite e dai numerosi attestati di solidarietà ricevuti in questi mesi.Dopo l’inaugurazione i benefattori sono stati ringraziati con un pranzo organizzato nel locale oratorio, anch’esso lesionato, ma reso già agibile, e con un attestato per l’impegno dei confronti della scuola materna.La Delegazione Caritas del Nordest sta ora valutando la possi-bilità di intervenire con altri fondi in provincia di Rovigo, dove il terremoto ha duramente colpito diverse strutture parrocchiali che necessitano di essere rese disponibili per la ripresa delle normali attività delle comunità.

SCUOLA DI SAN FELICE SUL PANAROGli interventi post terremoto finanziati dalle Caritas del Nordest

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Mercati di Guerra

È stato appena presentato a Roma il volume Mercati di guerra, la quar-ta tappa di un percorso di ricerca sui conflitti dimenticati, avviato nel 2001 da Caritas Italiana insieme a Famiglia Cristiana e Il Regno.Dalla ricerca emerge il ruolo cen-trale della dimensione economico-finanzaria nel determinare situazioni di tensione politica e di conflittualità armata, nell’ambito dello scacchiere internazionale e all’interno dei singoli Stati. Viene anche fornita una mappa-tura aggiornata dei conflitti nel mondo, concentrandosi in particolare su alcuni casi-studio: Libia, Somalia, Afghani-stan, Filippine, Colombia. Il terrorismo internazionale, lo scontro di civiltà, i disastri ambientali, il tema delle risor-se energetiche, le molte situazioni di conflitto armato si configurano come “emergenze umanitarie complesse”. Ma cosa sappiamo davvero di queste guerre lontane, cosa pensano e come sono informati gli italiani sulle guerre nel mondo? Quanto spazio riservano i media a questi temi? E soprattutto, cosa può fare ognuno di noi, e come? Delineando in queste pagine una serie di prospettive di lavoro e di impegno in ambito ecclesiale e civile, la Caritas, fe-dele al suo ruolo pedagogico, insieme ai due importanti media cattolici, inten-de offrire strumenti di osservazione, conoscenza e sensibilizzazione sulle grandi emergenze mondiali, ma anche piste di impegno personale e comuni-tario nella ricerca di possibili risposte ai disagi e ai conflitti che sono da que-ste generati.

Le guerre nel mondo

Nel 2011 sono state rilevate dal Conflict Barometer (Università di Heidelberg) 20 guerre, in riferimento a 14 Paesi. Si trat-ta in realtà della punta dell’iceberg in quanto, nello stesso anno, sono 388 in totale tutte le situazioni di guerra e con-flitto armato registrate. Le situazioni più letali sono pari a 38. Altri 148 conflitti sono stati qualificati nei termini di “cri-si violente”. I rimanenti 202 conflitti si sono sviluppati senza mezzi violenti (87 “crisi non violente” e 115 “dispute”).Il numero di guerre registrate nel 2011 non coincide con il numero dei Paesi in guerra, dato che in uno stesso Paese possono essere presenti più fronti di guerra. Il caso più eclatante è quello del Sudan, dove nel corso del 2011, sono stati registrati quattro distinti fronti di guerra. Rispetto a situazioni di vecchio conflitto armato, degenerate in guerre vere e proprie, si registra la presenza di tre nuovi conflitti avviati nel corso del 2011, inquadrabili all’interno della pri-mavera araba e localizzati nella regione maghrebina e medio-orientale: si tratta della guerra nello Yemen, in Libia e in Siria. Dal 2010 al 2011 il numero tota-le dei conflitti è passato da 370 a 388: 18 in più. Particolarmente significativo l’aumento nel numero di guerre: dai 6 casi del 2010 si è passati ai 20 casi del 2011. Un confronto storico con i dati in possesso dell’Heidelberg Institute, rac-colti a partire dal 1945, dimostra che il 2011 è l’anno con il numero più elevato di guerre mai registrato dalla fine del se-condo conflitto mondiale. Sei guerre già registrate nel 2010 hanno mantenuto nel 2011 il medesimo livello di gravità: Iraq, Afghanistan, Pakistan, Sudan, So-malia e Messico. Altre 14 situazioni di conflitto sono esplose ex novo o dege-nerate in guerre aperte.

Crisi economicae finanziariaL’assetto economico è sempre stato de-cisivo nel contribuire a determinare il grado di conflittualità delle relazioni in-ternazionali, sia per via dei conflitti che riguardano l’accaparramento di risorse strategiche (petrolio, acqua, terra), sia per le acute tensioni che si possono generare nelle relazioni tra creditori e debitori, all’interno del mercato inter-nazionale. Centrale appare il tema del-le risore naturali ed energetiche. Negli ultimi anni la disponibilità di risorse è diventata il fattore scatenante di nuovi conflitti internazionali ed interni. I primi due beni primari ad essere colpiti da questi fattori di crisi sono acqua e cibo.Sono 145 gli Stati nel mondo che devo-no condividere le proprie risorse idriche con altri Paesi e utilizzano bacini idrici internazionali (263 in tutto il mondo). Negli ultimi cinquant’anni la condivi-sione forzata dei bacini ha prodotto 37 conflitti violenti. Oltre 50 Paesi, nei pros-simi anni, potrebbero entrare in dispute violente sulla gestione di laghi, fiumi, dighe e acque sotterranee.Negli ultimi 5-6 anni il prezzo reale del cibo è raddoppiato. L’indice del prezzo mondiale del cibo, pari a 107 nel 1990, è aumentato progressivamente, fino a raggiungere nel febbraio 2011 la vetta del 209,3. A febbraio 2012 l’indice era ancora molto alto (195,2).Anche le materie prime energetiche hanno conosciuto vistosi incrementi. La crescita del prezzo reale del petrolio, cominciata attorno al 2003, ha toccato livelli che sono assai superiori a quelli – allora già ritenuti eccezionali – rag-giunti in seguito agli shock petroliferi della seconda metà degli anni ’70 del secolo scorso. Oggi il prezzo reale del petrolio è quasi il doppio rispetto a quel-lo del 1982, all’apice del secondo shock petrolifero, e supera di più del 150 per cento il livello di inizio millennio.Secondo il Rapporto, la principale cau-sa degli aumenti di prezzo risiede nella

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“finanziarizzazione del mercato delle commodities”, ossia del ruolo giocato dagli speculatori e dai mercati finanziari mondiali nel plasmare le politiche fiscali delle potenze mondiali e, perciò, il pano-rama macroeconomico dentro al quale ogni economia è costretta a muoversi.Le conseguenze sui Paesi a reddito bas-so e medio-basso delle evoluzioni dei prezzi sono state ovviamente negative. In particolare, la crisi alimentare esplo-sa nel 2008 e l’aumento del prezzo dei prodotti alimentari in tutto il mondo hanno contribuito all’esplodere di vari conflitti, quali le primavere arabe e la guerra civile in Costa d’Avorio, e han-no provocato scontri e rivolte ad Haiti, in Camerum, Mauritania, Mozambico, Senegal, Uzbekistan, Yemen, Bolivia, Indonesia, Giordania, Cambogia, Cina, Vietnam, India e Pakistan.

Gli Stati fragili

La guerra non dipende solo da questio-ni economiche e finanziarie, ma è molto legata alle condizioni politiche dei Paesi di riferimento.Le democrazie nel mondo sono 77, con caratteristiche molto variabili e diversi gradi di rispetto dei diritti umani. Sono invece 34 i Paesi che vivono sotto regi-mi dichiaratamente autocratici o oligar-chici. A cavallo tra i diversi sistemi poli-tici ci sono 43 Paesi definiti “fragili”, le cui strutture istituzionali non possiedo-no la capacità e/o la volontà politica di provvedere alla riduzione della povertà, allo sviluppo e alla tutela della sicurezza e dei diritti umani delle popolazioni. In tali Paesi vivono complessivamente cir-ca 1,2 miliardi di persone.Gli Stati fragili costituiscono l’area più vulnerabile del pianeta. Circa metà di questi Paesi sono in condizioni di con-flitto interno aperto o latente. Gli Stati fragili, negli ultimi dieci anni, hanno ri-cevuto circa il 30 per cento degli aiuti internazionali allo sviluppo, e circa il

90 per cento dell’aiuto umanitario, per un totale di circa 40 miliardi di dollari l’anno. Questo impegno finanziario però non si è mai tradotto in un aumento del-la stabilità politica e in un miglioramen-to delle condizioni di vita.

Guerra e impattosulle persone

Un aspetto importante da non trascu-rare, caratteristico delle nuove forme di conflitto armato, risiede nel crescen-te coinvolgimento dei civili: la violenza prolungata in tante aree dimenticate del mondo ha portato il bilancio delle vittime civili a livelli insopportabili: le crisi umanitarie colpiscono oggi oltre 60 Paesi in tutto il mondo; il numero dei disastri naturali è quasi raddoppiato in vent’anni e la malnutrizione ha ripreso a crescere in modo preoccupante, supe-rando il miliardo di vittime. Più di un mi-liardo di bambini e adolescenti (dati Uni-cef) vive in scenari di guerra. Tra questi, circa 300 milioni hanno meno di 5 anni di età (2009). Nella decade precedente le guerre avevano ucciso circa 2 milioni di bambini e ne avevano reso disabili al-tri 6 milioni.Circa 18 milioni di bambini sono costret-ti ogni anno a spostarsi a causa dei con-flitti armati; due terzi di questi sono sfol-lati all’interno del proprio Paese, mentre un terzo sono rifugiati o richiedenti asilo all’estero (Unhcr, 2010); la maggior par-te di questi ultimi resta nei Paesi limitro-fi, spesso vivendo in campi, in attesa di poter rientrare in patria, mentre solo cir-ca mezzo milione all’anno chiede asilo nei Paesi ad alto reddito (Undp, 2009).Circa un quarto della popolazione adul-ta che ha vissuto l’esperienza della guerra soffre di psicopatologie lievi o moderate, il 3-4 per cento soffre di un disturbo psicopatologico grave. Tra il 13 per cento ed il 25 per cento dei mino-ri coinvolti dalle guerre soffre di stress post-traumatico (dati Oms).

Attenzione e opere della Chiesa localee universale

Uno degli ambiti di impegno della Chiesa universale è quello di denuncia e richia-mo delle istituzioni e dei vari protagonisti del contesto globale: combattere le spe-culazioni, costruire un mondo più giusto, su valori etici rinnovati, appare la strada maestra per dare una risposta alle mi-gliaia di persone coinvolte nelle guerre e nei conflitti nel mondo. Nello specifico del livello macroeconomico, a sua volta strettamente correlato alle decisioni dei governi e della comunità internazionale, appare particolarmente urgente la neces-sità di una regolamentazione dei mercati finanziari e della fiscalità, il rispetto della legalità e dell’eticità negli scambi com-merciali, la regolamentazione su base etica dei rapporti debitori tra stati, la so-stenibilità ambientale e sociale.Ma l’impegno della Chiesa riguarda an-che il livello di responsabilità personale dei credenti, che apre all’orizzonte nuo-ve sfide e interessanti prospettive d’im-pegno, soprattutto sul piano informativo ed educativo. A tale riguardo, uno degli aspetti che emerge con maggiore forza dall’analisi realizzata risiede nel forte ruolo di informazione democratica e re-sponsabilizzante che può essere svolta dai media. Tale ruolo appare in eviden-te controtendenza rispetto a quanto è possibile cogliere nella storia recente, chiaramente contrassegnata da tanti casi di mala-informazione, veicolata e costruita ad hoc, a fini propagandistici e di sostanziale supporto alla guerra.Dal Rapporto emerge, inoltre, una rifles-sione di tono generale, riguardante il ruolo che può svolgere la comunicazio-ne veicolata dalla Chiesa, nelle sue di-verse ramificazioni territoriali e organiz-zative, nella costruzione di una nuova mentalità e consapevolezza culturale, non circoscrivibile solamente al conte-sto dei conflitti dimenticati.

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In Terra Santa aumenta il numero delle vittime, mentre si cerca di raggiungere un cessate il fuoco tra israeliani e palestinesi. Dopo gli appelli di Claudette Habesch, direttrice di Caritas Gerusalemme che ha incontrato il direttore di Caritas Italiana, don Francesco Soddu, la situazione si è ulteriormente aggravata. La clinica mobile a Gaza ha dovuto interrompere il servizio e anche il centro sanitario non riesce ad operare a pieno ritmo, per i rischi che corrono operatori e pazienti e per la carenza di medicinali. Nonostante tutto Caritas Gerusalemme si sta organizzando e, oltre ad acqua e cibo, conta di fornire kit medici a 180 persone che hanno ricevuto formazione specifica e possono fornire le prime cure ai feriti nelle diverse comunità locali. Per poter proseguire c’è però bisogno di un sostegno urgente da parte dell’intera rete Caritas. Ma nel già fragile e martoriato Medio Oriente, anche la situazione della Siria diventa sempre più drammatica. Un conflitto che causa morti e – come sottolineato da Benedetto XVI - “l’immane sofferenza della popolazione, in particolare di quanti hanno dovuto lasciare le loro case”. Purtroppo il tentativo di inviare una delegazione di Padri Sinodali per sostenere la via della pace non si è potuto realizzare, ma il Papa ha comunque mandato in Libano una

delegazione di Cor Unum, guidata dal Cardinale Sarah, per sollecitare ogni sforzo per la pace, portare un contributo della Santa Sede e raffor-zare il coordinamento degli aiuti. Sono ormai più di 400.000 i rifugiati nei Paesi limitrofi e continuano ad aumentare a ritmi esponenziali, gli sfollati arrivano a 1,2 milioni e si stima che 2 milioni e mezzo di siriani (il 15% della popolazione) abbiano bisogno di aiuti. Tutte le Caritas locali moltiplicano gli sforzi, ma non possono sostenere da sole il peso di questa emergenza. Caritas Italiana ha già inviato un contributo ma rilancia l’appello per poter far fronte alle nuove, pressanti richieste. La giovane Caritas Siria è riuscita ad organizzare una prima rete di soccorsi di urgenza, grazie alla rete delle parrocchie, delle congregazioni e dei centri di accoglienza. “Sofferenza e paura attraversano tutto il Paese” ha detto Mons. Audo, vescovo di Aleppo e Presidente di Caritas Siria, che ha lanciato un appello per circa 600.000 euro, per poter assistere per i prossimi 5 mesi 1.600 famiglie, circa 10.000 persone a Damasco, Aleppo, Homs, Hassakeh, Litorale. Caritas Giordania nei campi di Mafraq, Zarka, Irbid, dopo i pacchi viveri, ha distribuito buoni acquisto alle 650

famiglie assistite. Negli stessi campi sono state aperte le prime scuole, dove sono seguiti 219 bambini e 50 giovani. Grazie poi a una serie di centri sanitari, finora sono state curate oltre 8.000 persone. Caritas Libano, tra i rifugiati distribuiti nel nord del Paese, nella valle della Bekaa e a Beirut stessa raggiunge una media di 300/400 famiglie al mese, ma si comincia a temere l’arrivo del freddo. Da fine ottobre si offrono anche cure a 15.000 rifugiati, con l’aiuto di due cliniche mobili e di un centro sanitario nel nord del Paese. Caritas Libano ha già lanciato due appelli di emergenza per poter continuare a dare aiuti ai rifugiati. In Turchia l’assistenza nei campi è garantita interamente dal governo. Caritas Turchia ha comunque dato la sua disponibilità alle autorità per richieste specifiche, mentre si è organizzata per aiutare i rifugiati non residenti nei campi. In particolare sta avviando un piano di intervento per fornire attrezzature per affrontare l’inverno, buoni pasto, cura dei bambini, assistenza sanitaria per casi vulnerabili e per i rifugiati di nazionalità non siriana.

MEDIO ORIENTE: SITUAZIONE SEMPRE PIÚ DRAMMATICA L’impegno della rete CaritasUn nuovo urgente appello di CaritasItaliana per la Terra Santa e la Siria

Repubblica Democratica del Congo«Lancio un grido d’allarme per tutte quelle donne, quei bambini e anziani che vagano per le strade, sotto la pioggia, senza un riparo e senza cibo. Quei deboli che hanno già sofferto troppo necessitano di un’assistenza umanitaria urgente». Con queste parole il vescovo di Goma, monsignor Théophile Kaboy Ruboneka in un’intervista a MISNA, descrive la situazione sempre più grave nella Repubblica del Congo dopo che i ribelli del movimento M23 hanno preso il 20 ottobre scorso la città di Goma, capoluogo della provincia congolese del Nord Kivu nel nord est del Paese, dove vivono oltre 1 milione di persone. Il governatore e le altre autorità locali sono fuggite e la città è totalmente in mano ai ribelli. Le forze armate governative (FARDC) hanno abbandonato il campo e di conseguenza il contingente ONU non ha potuto opporre resistenza. I ribelli hanno annunciato che non arresteranno la loro offensiva, che ha l’obiettivo di rovesciare l’attuale presidente Kabila.La situazione umanitaria è sempre più drammatica. Caritas Congo riferisce che sono circa 100.000 gli sfollati in fuga già precedentemente accampati nella periferia della città e nuovamente costretti a fuggire a seguito dell’arrivo dei ribelli e la ritirata delle truppe governative. Oltre 5.000 di questi si sono rifugiati presso strutture della Chiesa assistiti dalle comunità cristiane, loro stesse povere ma che generosamente hanno offerto ospitalità e aiuto. Il direttore di Caritas Goma riferisce che “A Goma non c’è elettricità né acqua e la popolazione raccoglie l’acqua direttamente nel lago Kivu, con tutte le conseguenze che ciò comporta”.Nel Nord Kivu sono oltre 250.000 i profughi già presenti, oltre 2 milioni in tutto il Paese, e la popolazione civile da anni è vittima di violenze di ogni genere: reclutamento di ex bambini soldato, violenze indiscriminate, abusi sessuali e lavoro forzato, recrudescenza di fenomeni quali banditismo e criminalità nei villaggi come anche nei centri urbani, enormi difficoltà negli spostamenti, chiusura di scuole e centri sanitari, proliferazione di malattie e scoppio di epidemie. Caritas Italiana, da anni impegnata in questi Paesi, in particolare nelle aree più coinvolte dal conflitto principalmente per la riabilitazione di ex bambini soldato, ha messo a disposizione un primo contributo ed è in costante contatto con la Caritas del Congo per monitorare la situazione e appoggiare le azioni di aiuto che prontamente sono state avviate in favore delle famiglie profughe o sfollate.

Natalinsieme2012

Si rinnova anche quest’anno l’invito a partecipare a Natalinsieme, orga-nizzato da La Casa della Madonna Pellegrina e diventato un momento ormai atteso per trascorrere insieme ad amici il giorno che per eccellen-za è dedicato a ritrovarsi con le persone care.I posti disponibili attorno alla grande tavolata che verrà apparecchiata alla Casa Madonna Pellegrina sono 120 anche in questa edizione. Chi volesse partecipare può dare la propria adesione, entro le ore 12.00 di venerdì 21 dicembre, chiamando direttamente la Casa della Madonna Pellegrina, al numero 0434-546811, oppure contattando la Caritas allo 0434-221222.La partecipazione è libera e non c’è un costo prefissato per il pranzo: si potrà contribuire alle spese attraverso un’offerta che ogni famiglia deciderà di lasciare all’organizzazione.Il programma della giornata è ricco, e si svolgerà in questo modo: ap-puntamento alla Casa della Madonna Pellegrina, nella via omonima, laterale di Viale della Libertà, alle ore 12.00 della mattina di Natale, per scambiarsi gli auguri. Alle ore 12.30 è previsto l’inizio del pranzo, al quale seguirà un intenso pomeriggio con la tradizionale tombola, la lotteria, giochi di prestigio, musica e danze.È ben accetta ogni nuova collaborazione, se avete amici che ci possono dare una mano, invitateli.

Il giorno di Natalealla Casa della Madonna Pellegrina

PERCORSI FORMATIVI 2012/2013Nella prima parte di questo anno pastorale sono stati realizzati diversi incontri e percorsi formativi, per cercare di venire incontro alle esigenze emerse dalle stesse comunità par-rocchiali. In particolare sono stati organizzati due brevi percorsi, di due incontri ciascuno: due serate di approfondimento della norma sull’immigrazione, tenute dall’avvocato Carla Panizzi, e due incontri di formazione base, rivolti a tutte le persone che hanno da poco iniziato un’esperienza di volontariato in Caritas o che sono interessate a farla. Si è par-lato di volontariato come esperienza e risorsa, di motivazioni al volontariato, e di cos’è la Caritas, lo stile, la mission, l’organizzazione (Caritas diocesana, Caritas parrocchiali, opere segno).Da gennaio partiranno i laboratori, con una serie di incontri proposti nelle tre zone della diocesi: nord, sud e centro. Questa modalità d’incontro e formazione ha dato buoni frutti negli ultimi tre anni e ha favorito la partecipazione dei volontari che operano nelle co-munità parrocchiali. Confidiamo che anche quest’anno la partecipazione sia numerosa e attiva.Queste le date: 28/29/30 gennaio - 18/19/20 febbraio 18/19/20 marzo - 15/16/17 aprile

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numero 04 ottobre/dicembre 2012

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LIBRIFrancesco Gesualdi

Altreconomia, Milano 2012

Questo modello di sviluppo ha trasci-nato il mondo in una crisi di cui non si vede la fine: è arrivato il momento di “fare da soli”. L’ultima riflessione di Francesco Gesualdi riavvolge il nastro, per rileggere prima in modo magistrale la genesi della crisi e per proporre poi una nuova strada: la fon-dazione di un’economia “pubblica”,

per tutti e non per pochi, locale e sostenibile – indipenden-te dai sussulti dell’economia globale – che abbandoni il mito della “crescita” e riconverta produzione e consumi. Ma come fare? La pietra angolare di questa “economia del paradiso” è il lavoro di comunità, in cui ciascuno lavori non solo per sé ma per il benessere comune e abbia garantiti servizi gratuiti, dall’istruzione alla salute. Per sostituire al denaro la coesione sociale, che non si può giocare in borsa.«Il lavoro è la risorsa più abbondante che abbiamo, la fonte originaria di ogni ricchezza. Non utilizzare il lavoro diretto dei cittadini è come morire di sete accanto a un pozzo. Se tutti mettessero a disposizione della comunità anche solo poche ore a settimana potremmo soddisfare qualsiasi bisogno so-ciale, produttivo o ambientale, senza dipendere dalla crescita dell’economia generale.»

Facciamo da soli.Per uscire dalla crisi, oltre il mito della crescita:ripartiamo dal lavoro e riprendiamoci l’economia

Riccardo Iacona

Chiarelettere, Milano 2012

L’incredibile racconto di una tra-gedia nazionale, che macina lutti e sparge dolore come una vera e propria macchina da guerra. Una guerra che prima di finire sui giorna-li nasce nelle case, dentro le fami-glie, nel posto che dovrebbe essere il più sicuro e più protetto e invece

diventa improvvisamente il più pericoloso.Solo a metà del 2012 sono più di 80 le donne uccise in Italia dai loro compagni. 137 nel 2011. Una ogni tre giorni. Riccardo Iacona ha attraversato il Paese inseguendo le storie dei tan-ti maltrattamenti e dei femminicidi. In questo libro possiamo ascoltare la voce di chi subisce violenza, insieme alle parole degli uomini, quelli che sono stati denunciati: “Avevo paura di perderla. Gliele ho date così forte che è volata giù dal letto…”.“Qual è allora l’Italia vera, quella dove l’amore è una scelta e le donne sono libere, o quella delle tante case prigione in cui siamo entrati?... Questa è una storia che ci riguarda da vicino, perché ci dice come siamo nel profondo” scrive Iacona. È un fenomeno che non si può catalogare tra i fatti borderline. Sono decine i casi di violenza silenziosa e quotidiana che si consu-mano nelle nostre case. “La sera, appena sentivamo il rumore della macchina di lui, io e i bambini entravamo in agitazione; dicevo loro ‘Mettetevi subito davanti alla tv’”.Così la vita diventa un inferno, se questi sono gli uomini.

Se questi sono gli uomini. Italia 2012. La strage delle donne

Per un’economia a misura di personaStefano Zamagni

Città Nuova, Roma 2012

Quando, a partire dalla metà del XX secolo, la dinamica sociale ed economica ha iniziato a complicarsi e a debordare dai suoi confini, fino a implodere sotto le maglie della globalizzazione, la prospettiva dell’homo oeconomicus è apparsa superata. Negli ultimi decenni non sono mancate voci di economisti che hanno denunciato il deficit antropologico dell’attuale scienza economica, e hanno cercato di introdurre nuovi paradigmi e nuovi strumenti concettuali, lasciandosi contaminare e ispirare dalla filosofia e dalle altre scienze umane, al fine di comprendere meglio il mondo, e magari renderlo più vivibile.Tra i nuovi paradigmi, l’economia civile e di comunione offrono un modello di pensiero e di prassi eco-nomica che coniuga individuo e comunità, libertà e fraternità, mercati e vita civile, gratuità e contratto: Stefano Zamagni, uno dei principali protagonisti del risveglio umanistico dell’economia, ripercorre i temi-

chiave di questo nuovo filone di pensiero.

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da ITALIA CARITAS

novembre 2012di Stefano Lampertico

pp. 6-10

È stata fatta la prima indagine in Italia sui senzatetto, elaborata dall’Istat, frutto della Ricerca sulla condizione dei senza dimora in Italia, condotta insieme a Fio.psd (Federazione italiana organismi persone senza dimora), su mandato e grazie ai finanziamenti di Caritas Italiana e Ministero delle Politiche Sociali. Si tratta di un’indagine storica, attesa da decenni, che dice che i senza dimora sono 47 mila. Questo è il numero di coloro che, tra i mesi di novembre e dicembre 2011, hanno utilizzato un servizio di mensa o di accoglienza notturna in 158 comuni italiani. Sono per lo più uomini, hanno meno di 45 anni: due terzi di loro ha al massimo la licenza media inferiore e il 72 per cento ha dichiarato di vivere solo. In maggioranza sono stranieri: le cittadinanze più diffuse sono la rumena (11,5 per cento), la marocchina (9,1 per cento) e la tunisina (5,7 per cento). In media le persone senza dimora dicono di trovarsi in questa condizione da 2,5 anni: quasi i due terzi viveva nella propria casa, mentre gli altri si dividono equamente tra chi è passato per l’ospitalità di amici e parenti e chi ha vissuto in istituti, strutture di detenzione o case di cura. Il 7,5 per cento dichiara di non aver mai avuto una casa. In genere gli stranieri sono più giovani degli italiani, il 47,4 per cento ha meno di 34 anni, contro l’11,3 per cento degli italiani; hanno un titolo di studio più elevato e sono da meno tempo nella condizione di senza dimora. La ricerca rivela come queste persone non hanno scelto di vivere in strada, ma lo fanno per necessità: molte costrette dalla perdita del lavoro o della casa, altre dalla fine di una relazione coniugale.

da NIGRIZIA

novembre 2012a cura di Marco Aime

pp. 32-35

Alla fine di ottobre Torino ha ospitato Terra madre, una speciale vetrina internazionale organizzata da Slow Food, per mettere in contatto i rappresentanti di comunità agro-pastorali di tutto il mondo: contadini, allevatori, pescatori del sud e del nord hanno discusso dei loro problemi. L’articolo riporta un’intervista a Carlo Petrini, fondatore di Slow Food, che è convinto che l’agricoltura di sussistenza è la chiave per garantire cibo per tutti, non solo in Africa, ma a livello planetario: per arrivarci è necessario ridare valore alla terra, dignità al lavoro contadino e ai prodotti locali. Petrini parla di un interessante progetto lanciato un anno fa, “Mille orti in Africa”, che punta ad ottenere “modelli concreti di agricoltura sostenibile, attenti alle diverse realtà ambientali, socio-economiche e culturali e facilmente replicabili”. Il progetto si sta sviluppando in 25 Paesi africani, organizzando degli orti, in accordo con le comunità locali, nelle periferie delle città, nei villaggi e nelle scuole degli Stati partecipanti. In Africa c’è una presa di coscienza incredibile, oltre all’acquisizione di competenze agricole: per esempio, capita di ascoltare ragazzi che sanno tutto sulla semina, sul raccolto, sulle proprietà delle piante. Secondo Petrini questa è una cosa all’avanguardia, non rispetto all’Africa, ma all’Europa. L’organizzazione degli orti nelle città sarà molto importante per la sussistenza, visto che il 40 per cento degli africani vive ormai in un contesto urbano. Un passo da fare è convincere la popolazione a mangiare cibo del posto, in ogni strato sociale, per incrementare la produzione locale.

da NIGRIZIA

novembre 2012di Domenico Patassini

pp.39-58

Si tratta del dossier che la rivista propone al centro delle sue pagine: un’interessante disamina su un fenomeno che, iniziato una ventina di anni fa, è sempre più evidente, quello della presenza cinese in Africa, un po’ in tutti i settori. Si può dire che non c’è Paese africano che non abbia acconsentito a questa penetrazione, lenta ma sempre più visibile, che vede spesso la cessione di risorse naturali, specialmente petrolio, e di terre in cambio di infrastrutture. L’atto ufficiale è l’adozione di una dichiarazione e di un programma di cooperazione economico-sociale nel primo Forum of China and Africa Cooperation, nel 2000. Per il periodo 2007-2010 la Cina ha stanziato, per esempio, 3 miliardi di dollari di crediti agevolati e 2 miliardi per crediti d’esportazione, creato un fondo speciale di 5 miliardi di dollari per aiutare gli investimenti cinesi in Africa e, contemporaneamente, è stata istituita la Camera di commercio sino-africana. Ciò ha consentito uno sviluppo molto veloce degli investimenti cinesi in terra africana, consolidando la cosiddetta “cooperazione economica” nelle regioni prioritarie e in settori strategici come quelli delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, energia, risorse minerarie e naturali, logistica, ferrovie, strade, porti, aeroporti e progetti urbani. Negli ultimi 10 anni gli interventi infrastrutturali della Cina si sono concentrati nell’Africa sub sahariana, anche se sono stati interessati Paesi come Algeria ed Egitto, in minor misura Libia e Tunisia: se messi insieme, i portfoli-Paese di questi interventi delineano il livello di dipendenza africana dalla Cina.

Homeless in Italy,il popolo dei 50 mila (o quasi)

C’è una stradanell’orto

Africaillusione cinese

la biblioteca propone

Questo è William, il miglior studente della no-stra St. Augustine Secondary School: promosso con A, è stato chiamato in settembre all’Univer-sità Statale per ottenere la laurea in Ingegneria Aerea. Senza la full bursary che ha goduto per 4 anni consecutivi non avrebbe mai potuto rag-giungere questa meta! Grazie ai nostri benefat-tori: questi sono i miracoli della solidarietà e del pane condiviso!

Assieme Suor Margie e Suor Iloisa sono sta-te meravigliose nell’organizzare la giornata di chiusura dell’anno scolastico coinvolgendo ge-nitori e bambini in attività... sportive! (come il lancio delle uova...)

Ci siamo ritrovati per ringraziare il Signore al termine dell’anno scolastico con i bambini dell’asilo della Missione e quelli di prima ele-mentare e qui abbiamo pregato per tutti i nostri benefattori.

Sabato 10 Novembre le 4 Commissioni (Giusti-zia, Sviluppo, Educazione ed Economia) si sono ritrovate insieme per programmare le iniziative pastorali per l’anno della Fede e per una verifi-ca del cammino fatto durante l’anno in corso: da tutti è sgorgato dal cuore un grazie per i no-stri benefattori che con il loro sostegno hanno reso possibile la crescita dei nostri giovani! Gra-zie a nome di tutta la Comunità di Sirima!

numero 04 ottobre/dicembre 2012

Amici carissimi, mancano poche settimane a Natale e sento forte nel cuore il bisogno di

condividere con voi la gioia dell’essere in Missione.È vero che tutto il mondo è terra di missione e che la missione appartiene

a tutta la Chiesa, perciò non basta che qualcuno sia inviato: è necessario “es-serci”, che “tutti ci siano”. La missione è, infatti, presenza, relazione, frutto di condivisione e solidarietà. Non è tanto la diversità culturale a fare della mis-sione un luogo abitato dalla novità, quanto le relazioni umane che diventano premessa per l’annuncio del vangelo.

La missione come luogo di accoglienza e di testimonianza diventa anche il luogo della fede perché la missione si nutre di ascolto della Parola e di Amore. Una Parola scritta sugli occhi dei bambini che ti guardano con l’in-nocenza di chi ha il cuore puro, e, vedendoli, non puoi rassegnarti alla loro miseria, non puoi non amarli, non fare qualcosa per tirarli fuori dal ricatto di una vita che tende a renderli violenti perché priva di speranza. Ecco il perché della scuola, qui si capisce quanto sia indispensabile l’istruzione scolastica per rendere finalmente liberi dall’ignoranza i popoli della terra.

Qui vedi quella madre che, curva su se stessa per la fatica di coltivare un terreno avaro, consuma la vita zappando, paga d’essere madre. Qui capisci quanto sia devastante l’insicurezza alimentare di chi non sa se domani man-gerà.

Qui incontri quel giovane che sogna d’essere un giorno capace di svolgere una professione e non si rassegna ad essere sconfitto perché in casa non ci sono mezzi sufficienti per pagare la retta scolastica e viene da te con occhi che ti implorano quando ti dice: “Padre, aiutami a pagare la retta scolastica”. E quando la risposta è affermativa, come sarebbe bello se poteste vedere la gioia e il sorriso di chi si sente finalmente accolto, amato perché soccorso nel suo bisogno.

E cosa potrebbe donare il Padre se non ciò che voi mettete nelle sue mani? E come potreste voi altrimenti raggiungere questi giovani se il Padre non fosse qui?

La tentazione è quella di dire “si arrangino”, è la tentazione di sempre, quella dei Discepoli di lavarsi le mani quando suggeriscono a Gesù “di’ alla gente di andarsene a casa per sfamarsi”. Ma Lui rispose “Date voi da man-giare” (Luca 9,12 ss): quel “Date voi” ci interroga ancora oggi e ci spinge ad essere solidali con tutti coloro che incontriamo nel cammino della vita, accasciati ai bordi della strada perché sfiniti. È un imperativo che bene si coniuga con un altro imperativo del Signore: “Fate questo in memoria di me!” (Luca 22,19). È Amore il poter donare fiducia nella vita, speranza per giorni non llontani dove il vivere sia umanamente più dignitoso, dove per tutti ci sia un posto a tavola.

È il Natale di quel Dio che si fa Bambino, bisognoso d’essere accolto ed amato nella fragilità di un corpo che deve essere nutrito non dalla ricchezza di chi ha più del necessario, ma dalla povertà condivisa di chi sa mettere a disposizione i tre pani, non il superfluo, ma il necessario per vivere. Questa è la vera gioia: sapere che ciò che hai donato fa vivere qualcun altro. E fa vivere te! Questo è Amore!

Questa è vera Benedizione! Questa è Pace!Grazie, amici, per aver condiviso con noi il pane della solidarietà con le

borse di studio che hanno dato speranza a tanti dei nostri giovani altrimenti condannati ad essere emarginati per tutta la vita.

A tutti voi l’Augurio di un Natale di Serenità e Pace interiore ed un Nuovo Anno di Benedizione e di perseveranza nel testimoniare la fraternità che si nutre della vostra solidarietà. Grazie!

Don Elvino Ortolan - Missionario a Sirima, Kenya