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 STRATEGIE COMPETITIVE E PROCESSI DI CRESCITA DELL’IMPRESA CAPITOLO 2 - L’OGGETTO DELLA CONCORRENZA 2. L’ogg etto della concorrena! "l #ettore  2.1. Il settore: aspetti terminologici Tradizionalmente la concorrenza è riferita all’insieme delle imprese che operano nello stesso settore. Il settore costituisce un tassello fondamentale per l’analisi del sistema competitivo. L’analisi del sistema competitivo si focalizza sul mercato: esso è inteso come l’insieme delle transazioni sviluppate in un dato spazio economico e per un dato prodotto, da determinati produttori nei confronti di certi clienti. Il settore è tradizionalmente inteso come l’insieme dei produttori di un determinato bene, esso può intendersi come sottoinsieme del mercato. Il vocabolo indu stria viene, a volte, usato come sinon imo di settore anche se incorpor a significa ti molto diversi: l’industria intesa come contrappositivo dell’artigianato non può essere intesa come sinonimo di settore, lo stesso quando l’industria viene contrapposta all’agricoltura e al terziario. Il settore non va nemmeno confuso con la filiera, in quanto quest’ultima è l’insieme di settori posti in successione produttiva al fine della commercializzazione di un prodotto in un mercato.  2.2. Il settore: la controvers ia definitoria e i criteri teorici di delimitazione Il settor e è app unto una por zione fun zio nalmente div isi bil e del sis tema econom ico gen era le, la cui demarcazione deve essere logicamente identificabile e teoricamente giustificabile. e per settore intendiamo l’insieme degli offerenti un medesimo bene o servizio, omogeneo sul piano delle varie caratteristiche, solamente le imprese che producono un identico prodotto fanno parte dello stesso settor e! qu es to criterio appa re es tr emamen te rest rit tivo. "o n "hamberl ai n il setto re assume una configurazione bas ata sul la pre senza di imp res e che pro duc ono pro dot ti simili . ec ond o #ob ins on un’industria è qualsiasi gruppo di imprese che producono una sola merce. econdo questi autori il settore è costituito da imprese che producono prodotti simili, che soddisfano le stesse esigenze di consumo e appaiono sostituibili tra loro. $bbandonando il criterio della perfetta sostituibilit% ci troviamo davanti al problema che tutti i prodotti sono pi& o meno sostituibili! questo ha portato alcuni autori a ricercare una definizione alternativa di settore, che si basa sulla similarit% di tecnologie, materiali e processi di produzione delle imprese: il criterio della sostituibilit% dal lato dell’offerta. Lo stesso "hamberlain disse che la classificazione delle industrie può essere basata su criteri tecnologici e anche la stessa #obinson affermò che un gruppo di imprese impegnate nella produzione di merci simili nei metodi di produzione. $ndre's scrive che una singola impresa deve essere considerata operante in un settore industriale formato da tutte le imprese che adottano processi produttivi simili. In conclusione secondo questi pensieri le imprese dovrebbero far parte dello stesso settore indipendentemente dal fatto che i consumatori considerino succedanei i prodotti.  2.3. Il settore: gli strumenti teorici d i delimitazione L’attenzione degli economisti alla sostituibilit% dal lato della domanda li ha condotti a formulare uno strumento teorico definito l’elasticit% incrociata della domanda rispetto al prezzo: e e () assume valori positivi, i due beni sono sostituibili, nel caso in cui il valore tenda ad infinito siamo in perfetta omogeneit% mentre nel caso in cui il valore tende a zero c’è forte differenziazione tra i prodotti. e l’elasticit% è pari a zero i due beni sono completamente indifferenti, mentre se il valore è negativo tra i due beni si hanno relazioni di complementariet%. 1

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STRATEGIE COMPETITIVE E PROCESSI DI CRESCITA DELL’IMPRESA

CAPITOLO 2 - L’OGGETTO DELLA CONCORRENZA

2. L’oggetto della concorrena! "l #ettore

 2.1. Il settore: aspetti terminologici

Tradizionalmente la concorrenza è riferita all’insieme delle imprese che operano nello stesso settore. Ilsettore costituisce un tassello fondamentale per l’analisi del sistema competitivo. L’analisi del sistemacompetitivo si focalizza sul mercato: esso è inteso come l’insieme delle transazioni sviluppate in un datospazio economico e per un dato prodotto, da determinati produttori nei confronti di certi clienti. Il settore ètradizionalmente inteso come l’insieme dei produttori di un determinato bene, esso può intendersi comesottoinsieme del mercato.Il vocabolo industria viene, a volte, usato come sinonimo di settore anche se incorpora significati molto

diversi: l’industria intesa come contrappositivo dell’artigianato non può essere intesa come sinonimo disettore, lo stesso quando l’industria viene contrapposta all’agricoltura e al terziario. Il settore non vanemmeno confuso con la filiera, in quanto quest’ultima è l’insieme di settori posti in successione produttivaal fine della commercializzazione di un prodotto in un mercato.

 2.2. Il settore: la controversia definitoria e i criteri teorici di delimitazione

Il settore è appunto una porzione funzionalmente divisibile del sistema economico generale, la cuidemarcazione deve essere logicamente identificabile e teoricamente giustificabile.e per settore intendiamo l’insieme degli offerenti un medesimo bene o servizio, omogeneo sul piano dellevarie caratteristiche, solamente le imprese che producono un identico prodotto fanno parte dello stesso

settore! questo criterio appare estremamente restrittivo. "on "hamberlain il settore assume unaconfigurazione basata sulla presenza di imprese che producono prodotti simili. econdo #obinsonun’industria è qualsiasi gruppo di imprese che producono una sola merce. econdo questi autori il settore ècostituito da imprese che producono prodotti simili, che soddisfano le stesse esigenze di consumo e appaionosostituibili tra loro. $bbandonando il criterio della perfetta sostituibilit% ci troviamo davanti al problema chetutti i prodotti sono pi& o meno sostituibili! questo ha portato alcuni autori a ricercare una definizionealternativa di settore, che si basa sulla similarit% di tecnologie, materiali e processi di produzione delleimprese: il criterio della sostituibilit% dal lato dell’offerta. Lo stesso "hamberlain disse che la classificazionedelle industrie può essere basata su criteri tecnologici e anche la stessa #obinson affermò che un gruppo diimprese impegnate nella produzione di merci simili nei metodi di produzione. $ndre's scrive che unasingola impresa deve essere considerata operante in un settore industriale formato da tutte le imprese cheadottano processi produttivi simili. In conclusione secondo questi pensieri le imprese dovrebbero far partedello stesso settore indipendentemente dal fatto che i consumatori considerino succedanei i prodotti.

 2.3. Il settore: gli strumenti teorici di delimitazione

L’attenzione degli economisti alla sostituibilit% dal lato della domanda li ha condotti a formulare uno

strumento teorico definito l’elasticit% incrociata della domanda rispetto al prezzo:

e e() assume valori positivi, i due beni sono sostituibili, nel caso in cui il valore tenda ad infinito siamo inperfetta omogeneit% mentre nel caso in cui il valore tende a zero c’è forte differenziazione tra i prodotti.

e l’elasticit% è pari a zero i due beni sono completamente indifferenti, mentre se il valore è negativo tra idue beni si hanno relazioni di complementariet%.

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In relazione il criterio della sostituibilit% dal lato dell’offerta gli economisti non hanno fornito uno strumentooperativo per la misurazione dell’esistenza di concorrenzialit% delle imprese, ma solo alcuni criteri qualitativiche si basano su tre presupposti teorici:

1. L’assenza o limitatezza di s'itch costs, ossia la possibilit% di modificare il proprio mi( produttivo,

restando nello stesso settore, senza particolari costi.

2. Tempi rapidi di implementazione progettuale e produttiva dei nuovi prodotti, ovvero avere time*to*mar+et brevissimi.

3. erifica dell’esistenza di un’effettiva sostituibilit% dal lato della domanda dopo che certe imprese

hanno intrapreso queste strategie di riposizionamento.In assenza anche di una soltanto di queste condizioni non è applicabile il criterio della sostituibilit% dal latodell’offerta per delimitare i confini settoriali.

 2.4. I problemi teorici e metodologici della sostituibilità dal lato della domanda

Lo strumento quantitativo di misurazione della sostituibilit% dal lato della domanda si trascina dietroproblemi assai rilevanti di due tipologie: sul piano teorico per la sua incapacit% di delimitare adeguatamente i

confini di un settore! dall’altro presenta problemi metodologici tali da invalidare il risultato ottenuto.A. ul piano teorico sono riscontrabili due ordini di critiche:

1. -el breve periodo eventuali valori positivi assunti dall’indice dovrebbero indicare l’appartenenza

allo stesso settore, mentre valori nulli o negativi indicherebbero relazioni di non appartenenza allostesso settore. uesto non appare empiricamente soddisfacente in quanto l’indice può assumerevalori opposti a quanto appena affermato. In definitiva, l’elasticit% incrociata, si fonda sulpresupposto che i prodotti delle diverse imprese consistano in una serie di sostituti, i cui confini sonodelimitati da un vuoto oltre il quale cessa la sensibilit% della domanda di questi prodotti rispetto alprezzo di tutte le altre merci.

2. -el lungo periodo, l’indice presenta problemi legati alle modificazioni intervenute in fattori esogeni

come la tecnologia o i gusti dei consumatori. L’elasticit% incrociata offre una fotografia statica delmomento in cui si effettua l’analisi, quindi non indica la direzione evolutiva della concorrenza.

B. ul piano metodologico, l’elasticit% incrociata, presenta problemi applicativi che possono invalidare

le tesi dimostrate sul piano teorico! esso è infatti valido a parit% di ogni altra condizione.I principali problemi metodologici sono:1. ussistono difficolt% pratiche nel raccogliere le informazioni necessarie per calcolare l’elasticit%

incrociata di ogni bene prodotto nei confronti di ogni altro bene.2. L’indice assume valori diversi per gruppi diversi di consumatori e/o momenti diversi della giornata.

3. L’indice necessita di una rilevazione inter*temporale dei dati empirici, a causa della propagazione

istantanea dell’informazione tra consumatori.

4. Il valore dell’indice dipende dall’ampiezza della variazione del prezzo imposta ad un certo bene.5. Il valore dell’indice risente del livello del prezzo iniziale a causa di strutture di mercato non

necessariamente concorrenziali.6. Le imprese possono operare su pi& linee di prodotti, generando interdipendenze che altrimenti non

sussisterebbero.7. 0sistono interdipendenze dei livelli di sostituibilit% tra i beni, a seconda che la variazione del prezzo

di un bene si accompagni o meno a quello di un terzo bene o che vi siano fatti esogeni straordinari dinatura socio*istituzionale.

8. L’indice assume valori diversi a seconda che la variazione di prezzo sia in ascesa o in discesa.

9. La misurazione dell’elasticit% incrociata richiede la definizione di un ambito geografico di analisi

all’interno del quale misurare le relazioni di succedaneit%.In definitiva il risultato della misurazione dell’indice di elasticit% incrociata è fortemente condizionato dallescelte metodologiche che i singoli ricercatori possono compiere nel circoscrivere il settore.

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 2.5. I problemi teorici e metodologici della sostituibilità dal lato dell’offerta

La fondatezza logica del criterio della sostituibilit% dal lato dell’offerta si fonda sul fatto che imprese aventistrutture tecnologico*organizzative simili appartengono allo stesso settore. Tuttavia ci sono dei casicontradditori tra i confini settoriali cos1 definiti e la realt% empirica. 2na prima fattispecie riguarda le impreseaventi matrici tecnologico*organizzative radicalmente diverse ma che realizzano prodotti con elevati livelli di

sostituibilit% dal lato della domanda. 2na seconda fattispecie riguarda quelle situazioni in cui le impresepresentano assetti tecnologico*organizzativi diversi, pur realizzando prodotti simili, a causa del loro diversogrado di integrazione verticale. Infine, una terza fattispecie riguarda quelle situazioni in cui le impresedecidono di adottare assetti tecnologico*organizzativi diversi per poter efficacemente ed efficientementeperseguire strategie alternative di diversificazione correlata o specializzazione produttiva.

 2.6. na valutazione comparata tra i criteri di delimitazione dei confini settoriali

Il criterio della sostituibilit% dal lato della domanda è stato maggiormente approfondito da parte dellaletteratura economico*industriale. uesta teoria prevede che se si riscontra un grado di succedaneit% tra dueprodotti nelle scelte dei consumatori, essi sono sicuramente in rapporto di concorrenza e quindi fanno parte

dello stesso settore. $l contrario se due imprese producono beni non sostituibili dal lato della domanda, mapresentano assetti tecnologico*organizzativi simili, risulta difficile affermare, in mancanza di altreinformazioni, l’appartenenza allo stesso settore. L’utilizzo dei due criteri di delimitazione può condurre a duediverse situazioni teoriche: la prima fattispecie fa riferimento alla convergenza di entrambi i criteri nelladelimitazione dei confini settoriali! la seconda, pi& empiricamente ricorrente, si ha quando dall’applicazionedei due criteri di delimitazione dei confini settoriali derivano esiti contraddittori. In conclusione entrambi icriteri sono utili per delimitare i confini settoriali, in particolare la sostituibilit% dal lato della domandaesprime una concorrenza immediata e diretta tra le imprese, mentre quella dal lato dell’offerta esprime unaconcorrenza potenziale tra le imprese dello stesso settore.

$. L’oggetto della concorrena! %er#o "l concetto d" concorrena allargata

3iverse critiche da parte degli economisti al concetto di settore hanno favorito lo sviluppo di una traiettoriadi studio finalizzata a offrire una concezione allargata del sistema competitivo, comprensiva anche di altreforze, esogene al settore, che interferiscono sulla competitivit% delle imprese che ne fanno parte. Lacompetitivit% non deve pi& considerarsi solamente un fatto puntuale, riferibile alla singola impresa collocatanell’ambito di un dato settore, ma sia sempre pi& indipendente da una concezione allargata a livello di filiera.4gni singola fase produttiva della filiera accresce il valore economico complessivo, quest’ultimo costituisceciò che il consumatore sar% disposto a pagare per ottenere i benefici del prodotto.

 3.1. !a concorrenza allargata di "orter 

5orter illustra un modello di concorrenza allargata in cui recupera la visione verticale di filiera, integrandola

con altre due componenti fondamentali: i potenziali entranti e i produttori di beni sostituibili. 5er 5orter iconcorrenti sono l’insieme delle forze che intervengono nel processo di creazione e distribuzione del valorederivante dalle attivit% di una molteplicit% di attori, ciascuno dei quali tende ad appropriarsi di una quota delvalore complessivo. 0gli identifica complessivamente cinque forze: i concorrenti, i potenziali entranti, iproduttori di beni sostituibili, i fornitori e i clienti. 6li studi sulla competitivit% settoriale hanno messo inevidenza l’esistenza di una concorrenza interna al settore, data dalle imprese che ne fanno parte, e di unaconcorrenza esterna, data dalle imprese che vogliono entrare nel settore e da quelle che producono benisostituibili. 5er potenziali entranti si intono coloro che stanno sviluppando strategie di ingresso nel settore!per produttori di beni sostituibili si intendono coloro che, sulla base di un dato criterio di delimitazionesettoriale, sono esterni ad esso, pur offrendo prodotti sostitutivi.

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&. L’oggetto della concorrena! %er#o #c'e(" (anager"al" d" anal"#"

-umerosi studi hanno cercato di delimitare il campo di

applicazione della concorrenza a oggetti concettuali assai diversi da quelli del settore o del sistemacompetitivo visiti in precedenza. uesto filone di studi ha cercato di restringere e focalizzare l’ambitoconcorrenziale delle imprese, identificando uno spazio competitivo derivante dall’intersezione di pi&variabili, prese congiuntamente in considerazione, quali la concentrazione dell’offerte, la tipologia delladomanda, i canali distributivi utilizzati, l’ampiezza geografica dell’area commerciale, la lunghezza del cicloproduttivo, il tipo di bisogno da soddisfare e le modalit% di differenziazione del prodotto.

 4.1. I raggruppamenti strategici

Il fatto che vi fossero differenziali di profittabilit% tra le imprese, dentro lo stesso settore, rendeva necessariodefinire un livello di analisi intermedio tra la singola impresa e il settore. uesto livello intermedio tral’intero settore e la singola impresa è stato definito raggruppamento strategico, è dato dall’insieme delleimprese che seguono strategie simili lungo le stesse dimensioni strategiche. econdo 5orter le imprese che si

trovano all’interno dello stesso raggruppamento strategico, si assomigliano strutturalmente, rispondono inmodi simili alle perturbazioni esterne, riconoscono la loro interdipendenza e sono in grado di anticiparereazioni reciproche. Il passaggio da un raggruppamento strategico ad un altro è ostacolato dalle barriere allamobilit%, che presentano la stessa natura concettuale delle barriere all’entrata, ma operano all’interno delsettore. iene cos1 spiegata la differenza profittabilit% intrasettoriale. La concorrenza dentro al settore non sipresenta uniformemente distribuita tra le diverse imprese, al contrario viene a dipendere positivamente daquattro fattori:

1. La numerosit% delle imprese all’interno di un gruppo strategico.

2. La limitatezza numerica dei gruppi strategici dentro ad un settore.

3. L’assenza o limitatezza di delle barriere alla mobilit%.

4. La limitata distanza strategica tra i vari gruppi.5er migliorare metodologicamente questa rivelazione, gli analisti sono passati ad un approccio multivariato,come la cluster anal)sis, che cerca di verificare l’effettiva esistenza di una relativa omogeneit% strategicainterna ai raggruppamenti e di una elevata eterogeneit% tra i diversi raggruppamenti ottenuti.I criteri per selezione delle variabili e per la costruzione delle mappe dei raggruppamenti sono i seguenti:

1. La selezione di poche variabili espressione delle barriere alla mobilit% in quel particolare settore.

2. La rappresentazione grafica delle quote di mercato delle imprese di ciascun raggruppamento con

figure geometriche di dimensioni diverse.3. L’utilizzo di variabili non autocorrelate.

4. La consapevolezza che un settore può sempre essere analizzato tramite pi& d’una mappa strategica.

La cluster anal)sis crea i raggruppamenti strategici invece di scoprire quelli esistenti nella realt%. $ltristudiosi, al fine di superare questo limite, hanno proposto una nuova metodologia di analisi: l’approccio

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cognitivo! secondo questa logica sono i soggetti stessi a generare le dimensioni per descrivere e studiare ilfenomeno e per giudicarne similarit% e differenze.

 4.2. !e aree strategic#e di affari

-ell’ambito degli schemi manageriali di analisi della concorrenza, un modello particolarmente efficace è

quello di $bell: esso si basa solo su tre variabili. Tale autore definisce un’area strategica di affari comel’intersezione delle funzioni d’uso del prodotto, del segmento di mercato a cui è destinato e della tecnologiautilizzata per la sua produzione. Le funzioni d’uso del prodotto riguardano le modalit% funzionali e isignificai simbolici connessi all’uso del prodotto da parte del consumatore. I segmenti di mercato possonodefinirsi a loro volta sulla base dell’utilizzo di numerose variabili. Infine la tecnologia utilizzata riguarda lecaratteristiche intrinseche del prodotto, in termini di materiali e di tecniche produttive utilizzate. In questomodello i livelli di concorrenza tra le imprese sono pi& elevati se le imprese operano dentro la stessa areastrategica d’affari, mentre divengono minori tra $$ distanti tra loro! inoltre il modello aiuta anche ariflettere sull’identificazione delle possibili opportunit% di mercato delle imprese.

 4.3. !’arena concorrenzialeL’economista 3a) elabora uno schema di analisi che integra quello di $bell. 0gli suggerisce il concetto diarena concorrenziale come luogo virtuale di intersezione di quattro variabili:

1. Tecnologia di prodotto

2. egmento di consumatori

3. $mpiezza geografica del mercato di sbocco

4. -umero di attivit% verticalmente svolte all’interno dell’impresa

Le prime due hanno lo stesso significato attribuito da $bell! l’ampiezza geografica precisa lo spazioterritoriale all’interno del quale si svolge la competizione! il numero di attivit% verticalmente svolte segnala ilgrado di apertura verso l’esterno in termini di competitivit% di filiera. $nche secondo lo stesso 3a) la

definizione di arena concorrenziale rischia di rendere vulnerabile la stessa impresa nel lungo periodo.

). Le *"nal"t+ e " l"("t" degl" #t,d" #,lla concorrena

i possono identificare almeno tre fattori fondamentali del sistema economico interessati a conoscere larealt% concorrenziale di un settore o di un’impresa: le istituzioni pubbliche, gli enti finanziatori e le imprese.Le istituzioni pubbliche sono interessate all’analisi settoriale al fine di stabilire interventi di politicaindustriale. 6li enti finanziatori sono interessati a svolgere analisi sulla concorrenza al fine di stabilire ilgrado di affidabilit% delle imprese. Le imprese sono interessate a conoscere lo stato della concorrenzanell’ambito del loro business ai fini di attuare migliori strategie competitive. I principali limiti dell’analisidella concorrenza sono tre:

1. L’analisi della concorrenza è svolta osservano le relazioni competitive attuali tra le imprese presenti

in un determinato settore: manca una visione dinamica innovativa delle relazioni tra le imprese.2. L’analisi del sistema competitivo suggerisce che le relazioni tra imprese siano sempre di tipo

concorrenziale e conflittuale: in questi schemi non compare la cooperazione tra imprese concorrenti.3. L’analisi non ha mai considerato sufficientemente il ruolo di settori strategici complementari, dai

quali dipende la traiettoria di sviluppo di una singola impresa o di un singolo settore.L’analisi della concorrenza, ignorando queste dimensioni concettuali, rende meno comprensibile la naturadinamica dei vincoli allo sviluppo di un settore o di un’impresa.

CAPITOLO & - LE STRATEGIE COMPETITIVE DI DETERRENZA ALL’ENTRATA

. Introd,"one2no dei postulati della concorrenza perfetta è dato dall’assenza di barriere all’entrata e all’uscita: questocostituisce un fattore indispensabile per sostenere che le imprese non conseguano e(tra*profitti. In ogni

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attivit% economica, però, si rinvengono ostacoli economici e amministrativi sia alla formazione di nuoveimprese, sia alla cessazione di imprese preesistenti. 7ain definisce per primo le barriere all’entrata come ilgrado con cui le imprese preesistenti possono elevare i loro prezzi al di sopra del costo medio totale senzarendere economicamente attrattivo il settore alle imprese entranti 8definizione price*centered9. tigler da unadefinizione di tipo cost*centered, le barriere all’entrata sono un costo che deve essere sopportato da

un’impresa che cerca di entrare in un’industria, ma che non è sopportato dalle imprese gi% attive in esssa.

2. L’"(o#ta"one #tr,tt,ral"#ta delle /arr"ere all’entrata

Le barriere strutturaliste di tipo economico sono da intendersi come quegli ostacoli economici che generanodifferenziali economici nei costi medi totali tra potenziali entranti e imprese preesistenti.0sistono tre determinanti di queste barriere economiche:

1. Le economie di scala: gi% intuitivamente si è portati a rilevare l’esistenza di maggiori barriere

all’entrata nei settori caratterizzati da imprese di dimensioni consistenti. Tuttavia non è dimostratal’esistenza di una relazione tra economie di scala e barriere all’entrata. -ella realt%, 7ain, individuadue fattori che contribuiscono a spiegare il nesso: il primo fattore è dato dal fatto che le imprese

entranti devono fronteggiare l’esigenza di un capitale finanziario piuttosto elevato! il secondo fattoreriguarda la differenziazione di prodotto.2. La differenziazione di prodotto: in molti settori, infatti, nel breve periodo, una nuova impresa può

conseguire elevati volumi di produzione perch soddisfa solamente porzioni marginali delladomanda di mercato, non soddisfatte dalle imprese preesistenti.

3. I vantaggi assoluti di costo, che derivano da:

a. 7revetti o segreti aziendali

b. Il possesso o l’accesso privilegiato delle imprese incumbent 8preesistenti9 alle fonti di offerta di

un importante fattore produttivoc. "osti pi& bassi nel reperimento di risorse finanziarie rispetto ai potenziali entranti

In definitiva le imprese incumbent beneficiano di livelli inferiori dei costi medi totali rispetto ai potenzialientranti indipendentemente dal livello produttivo considerato nella comparazione.Il vantaggio competitivo fondato sui costi può derivare da due fattori:

1. Il primo consiste nel fatto che un’impresa preesistente può elevare barriere all’entrata per effetto di

un potere di mercato nelle relazioni verticali o a causa dei livelli di integrazione verticale.2. Il secondo, ossia le economie di apprendimento, consiste in un vantaggio di costo derivante da una

riduzione dei costi medi totali all’aumentare del volume della produzione cumulata. 2n’impresapreesistente possiede un bagaglio di competenze che le consentono di contenere i costi rispetto alpotenziale entrante. La differenza tra economie di scala e di apprendimento consiste nel fatto che leseconde sono un concetto dinamico mentre le prime un concetto statico: un settore a basse economiedi scala può avere elevate barriere all’entrata connesse all’esistenza di consistenti economie diapprendimento e viceversa il contrario.

; possibile individuare tre implicazioni di queste barriere strutturali:1. -ei settori con elevare barriere si assiste a bassi tassi di nati*mortalit% delle imprese.

2. ualora un’impresa decidesse di entrare nel settore, l’opzione pi& praticabile è quella

dell’acquisizione di imprese preesistenti.3. Le barriere costituiscono un fattore rilevante di limitazione della concorrenza tra le imprese

preesistenti, visto che la pressione competitiva di potenziali entranti è molto ridotta o annullata.

$. L’"(o#ta"one "#t"t,"onale delle /arr"ere all’entrata

In alcuni settori vi sono regolamentazioni amministrative per l’accesso all’esercizio di una determinataattivit% d’impresa, queste tendono a limitare di fatto la concorrenza. Le barriere istituzionali si traducono indifferenziali di costo solo se vengono istituite successivamente all’ingresso delle incumbent, a cui quindi non

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vengono applicate. ualora invece queste nuove regolamentazioni trovino applicazioni anche sulle impresepreesistenti, si avr% un sostanziale livellamento delle condizioni di costo tra i due soggetti. 2na politicaeconomica liberista sostiene che per migliorare l’efficienza e la concorrenza dei settori e aumentare ilbenessere dei consumatori è necessario intraprendere una politica di deregolamentazione, che abbassi oannulli le barriere all’entrata di tipo istituzionale. Tuttavia esistono attivit% economiche dove la concorrenza,

senza regolamentazione, non può essere un buon gendarme dell’efficienza e del benessere collettivo.upponiamo di trovarci di fronte ad un’attivit% economica caratterizzata da:

1. 4pacit% dei flussi d’informazione: deriva dal fatto che le caratteristiche qualitative della prestazione

dei vari soggetti offerenti non circolano in modo adeguato tra i possibili consumatori.2. 0ffetto loc+*in tra fornitore e cliente: consiste nel legame irreversibile che si viene ad istituire tra di

essi, derivante dal fatto che l’interruzione comporterebbe costi elevati per entrambi, questa relazionecontinua a persistere anche nel caso di insoddisfazione di una delle due parti.

3. 5restazione valutabile e(*post solamente nel lungo periodo.

In conclusione, nelle attivit% economiche caratterizzate da questi tre fattori, la concorrenza, nonregolamentata da barriere istituzionali, non opera come selettore corretto delle imprese efficienti.

&. Ver#o l’"(o#ta"one #trateg"ca delle /arr"ere all’entrata

-el momento in cui si ammette che sia la struttura dei costi che quella della domanda non sono variabiliesogene rispetto alle imprese entranti o quelle preesistenti, ma al contrario dipendono anche dai lorocomportamenti strategici, non può che derivare l’insoddisfazione teorica per un approccio strutturalista altema delle barriere all’entrata. La letteratura economico*manageriale è passata da una concezione dellebarriere all’entrata puramente strutturalista ad una di tipo strategico, volta ad evidenziare le strategiecompetitive messe in atto dalle incumbent, finalizzate alla deterrenza all’entrata dei potenziali competitors.

 4.1. !e strategie competitive finalizzate alla deterrenza all’entrata dei concorrenti

7ain identifica quattro clusters settoriali a seconda della capacit% delle imprese preesistenti di generareefficaci strategie di deterrenza nei confronti dei potenziali competitors:

• ettori <eas) entr)=, caratterizzati da una situazione in cui le incumbent non presentano vantaggieconomici particolari rispetto alle entranti.

• ettori <ineffectivel) impeded entr)=, dove gli incumbent godono di vantaggi economici rispettoall’entrante e possono conseguire persistenti profitti positivi, senza tuttavia potersi permettere dimassimizzare i profitti, perch altrimenti genererebbero le condizioni per la convenienza all’ingressodi questi potenziali entranti.

• ettori <ineffectivel) impeded entr)=, in cui le imprese preesistenti hanno notevoli vantaggieconomici rispetto all’entrante e possono perseguire efficaci strategie di deterrenza.

ettori <bloc+aded entr)=, dove l’entrata non è consentita neppure se le incumbent massimizzano iloro profitti di breve peridodo.

-ei settori ad elevata concentrazione, un numero limitato di imprese dominanti può cercare di mettere in attodelle specifiche strategie competitive finalizzate ad ostacolare l’ingresso nel settore.$ffinch le barriere all’entrata siano efficaci occorre che siano soddisfatti otto presupposti di base:

a) L’incumbent deve poter agire prima dei potenziali entranti, traendone un vantaggio economico.

b) L’incumbent deve avere una particolare reputazione nei confronti dei concorrenti.

c) L’incumbent deve dimostrare di avere ampia disponibilit% di risorse coerenti con la specifica

strategia di deterrenza che intende perseguire.d) Le risorse eccedenti di cui è dotato l’incumbent devono essere di tipo irreversibile, dunque prive di

altre possibile alternative di utilizzo economico 8c.d. sun+ costs9.e) L’incumbent deve poter disporre delle risorse specifiche in maniera decisamente maggiore rispetto al

potenziale entrante.

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f) L’incumbent deve ritenere che la strategia di deterrenza verr% valorizzata dai consumatori.

g) L’incumbent deve dimostrare di poter conseguire vantaggi economici stabili e duraturi.

h) L’impresa entrante deve considerare che, entrando nel mercato, si troverebbe in condizioni

competitive che porterebbero ad una perdita strutturale sugli investimenti, anch’essi irreversibili.e tutti questi presupposti sono verificati, è evidente che la minaccia dell’incumbent di perseguire specifiche

strategie di deterrenza risulta credibile.

 4.2. !e valenze competitive delle strategie di deterrenza

In contesti di interdipendenza strategica tra imprese, le strategie di deterrenza presentano valenzecompetitive non solo nei confronti dei potenziali entranti, ma anche nei confronti dei concorrenti attuali, dalmomento che un’impresa dominante può utilizzarle anche per indebolire la competitivit% di questi ultimi.ueste strategie hanno quindi duplice valenza competitiva: verso i potenziali entranti, per elevare barriereall’entrata, e verso i concorrenti attuali, per elevare barriere intra*settoriali alla mobilit%.

). Le #trateg"e co(et"t"%e d" deterrena all’entrata

5.1. !e strategie competitive di deterrenza fondate sulla leva di tipo istituzionaleIn alcuni casi, le autorit% pubbliche operano nei mercati, a beneficio di alcune imprese esistenti, andando difatto a costituire delle barriere all’entrata artificiali e falsando quindi la competizione interna al settore.uesti interventi costituiscono barriere di tipo istituzionale. 5eraltro sono le imprese preesistenti a porre inessere relazioni con attori istituzionali pubblici al fine di costituire o rilevare specifiche barriere all>entratanell>interesse economico dei proponenti. le barriere di tipo istituzionale tendono ad apparire comeespressione di comportamenti strategici posti in atto dalle imprese che operano in un settore. i tratta diattivit% che gli economisti definiscono di rent*see+ing, ossia di caccia alla rendita economica tramite iltentativo di indirizzare una regolamentazione pubblica a proprio favore, elevando le barriere all>entratarispetto potenziali competitori, e a tale fine destinando eventualmente nel breve periodo a tale attivit% unaparte dei loro profitti. -el caso in cui l>attivit% di lobb)ng assuma carattere illecito le strategie di deterrenzaall>entrata attraverso la leva istituzionale si inseriscono nell>ambito della letteratura economica sulle attivit%criminali.

5.2. !e strategie competitive di deterrenza fondate sull$attività di ricerca e sviluppo

Le attivit% di ricerca e sviluppo sono finalizzate alla realizzazione di tecnologie o di prodotti innovativispesso tutelati da brevetti. "iò pone un evidente barriera istituzionale all>entrata di nuovi competitors sino ache non si sia esaurita la tutela giuridica dello sfruttamento economico esclusivo del brevetto. Le barrierestrategiche fondate sulla ricerca e sviluppo presentano dunque altre caratteristiche fondamentali: inparticolare un>impresa preesistente può decidere di acquistare brevetti, pur non avendo intenzione diutilizzarli, allo scopo di impedire potenziali entranti di ottenere queste invenzioni e, per questa via, di entrare

nel mercato. $nalogamente, si tende a conseguire le medesime finalit% con le strategie di pre*empting8brevettazione9, ossia con un>azione messa in atto dall>impresa preesistente per bloccare l>entrata di unpotenziale competitor tramite la progettazione di componenti essenziali per la realizzazione di un prodottoinnovativo, non sempre è correlato a strategie di pre*empting il fatto che un>impresa brevetti un componentee non lo utilizzi immediatamente. risulta quindi assai problematico istituire una regolamentazione pubblicache sa vietare questi comportamenti, dal momento che non sempre sono posti in essere con finalit%anticoncorrenziali.

5.3. !e strategie competitive di deterrenza fondate sulle scelte di prezzo

L>esistenza di un vantaggio strutturale di costo dell>impresa preesistente, tuttavia, non è di per s sufficiente

ad ostacolare l>entrata. $ffinch la minaccia di praticare prezzi aggressivi sia credibile e praticabile, occorreanche che l>entrante non possieda una struttura produttiva elastica o flessibile, altrimenti l>efficacia di questapolitica è vanificata. uando l>impresa preesistente pratica prezzi aggressivi può riuscire a contenere i propri

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costi di produzione in modo significativo e resistere a lungo alla battaglia dei prezzi senza subire particolariperdite. imilmente, se presenta una struttura produttiva flessibile, può passare senza particolari costi da unatipologia di prodotto ad un>altra caratteristica di un mercato diverso. I principali modelli teorici di questatipologia di strategie di deterrenza sono quelli della politica dei prezzi predatori e quelli del prezzo limite.

[email protected]. La politica dei prezzi predatoriLa politica dei prezzi predatori è messa in atto dall>incumbent tramite una riduzione momentanea 8maconsistente9 dei prezzi, finalizzata a spingere i concorrenti a uscire dal mercato e a scoraggiare l>entrata daparte dei potenziali entranti. 2na volta conseguito tale obiettivo, l>impresa riposiziona i prezzi al livello dipartenza. L>applicazione di prezzi predatori può portare nel breve periodo, sia al conseguimento di questiprofitti positivi limitati, sia perdite economiche.In definitiva i rischi strategici di una politica dei prezzi predatori sono almeno tre:

1. 0ssa contrae i profitti totali di breve periodo a causa della riduzione generalizzata dei prezzi dei

prodotti. 5er cercare di contenere tale effetto, si ritiene che la politica dei prezzi predatori possaessere funzionalmente perseguita solo nell>ipotesi in cui sia possibile una discriminazione dei prezzi.

2. uesta politica determina l>esigenza di contrarre con il compratore il successivo aumento dei prezzidei prodotti, con i connessi costi e tempi procedurali.

3. Infine questa mossa strategica può determinare la disaffezione da parte dei consumatori.

[email protected] La politica del prezzo limiteLa politica del prezzo limite si basa sull>idea che l>impresa preesistente possa stabilire un livello del prezzotale da poter contestualmente continuare a conseguire profitti positivi e ostacolare efficacemente i potenzialientranti. Il livello del prezzo è stabile e non subisce variazioni nel tempo. ul piano analitico, l>esistenza delprezzo limite può essere dimostrata sia in contesti di economia di apprendimento che di economie di scala. Inentrambi i casi l>impresa entrante si trova soddisfare solamente la porzione di domanda residuale non

soddisfatta dall>incumbent. ; possibile che l>incumbent introduca un prezzo limite dinamico tale da bloccarel>entrata anche in contesti multiperiodali basati su economie di apprendimento. Il prezzo limite deve esserepari ad un livello tale che la domanda di mercato residuale sia al massimo tangente alla funzione delleeconomie di scala. "os1 che il potenziale concorrente se entra si trova a praticare un prezzo inferiore alprezzo limite che, nella migliore delle ipotesi, è tale da fare uguagliare il livello dei costi totali a quello deiricavi totali, in tutte le altre ipotesi di prezzo l>entrante consegue una perdita strutturale.La teoria del prezzo limite si basa su almeno cinque diverse ipotesi teoriche:

a) si assume che le imprese preesistenti possano concertare stabilmente il prezzo limite: ciò implica che

non siano possibili comportamenti da free*riders e che quindi tutte le imprese preesistenti rispettinoil livello del prezzo concordato. ; altres1 importante che la struttura dei costi di queste imprese sia

simile o uguale altrimenti esse avranno convenienza a stabilire livelli differenti del prezzo limite.b) gli incumbent devono accettare il postulato di Labini, ossia essi non riducono la produzione in

seguito all>eventuale entrata del concorrente potenziale, continuando a soddisfare la stessa porzionedel mercato complessivo.

c) si assume che il prodotto realizzato dagli incumbent sia omogeneo con quello realizzato

dall>entrante. In verit% modelli elaborati di questa teoria prevedono anche la possibilit% di un mercatocon prodotti differenziati.

d) il modello assume dati condizioni di costo e di domanda.

e) evidente in questo modello l>assenza di barriere istituzionali.

uesto modello non ammette discontinuit% dal lato delle tecnologie, dei comportamenti dei concorrenti e dei

consumatori e mira costantemente alla ricerca di equilibri stabili nella struttura del mercato: l>informazioneposseduta dai diversi agenti appare sostanzialmente completa e perfetta. Lo stesso postulato di Labini èeccessivamente restrittivo: è dimostrato che in determinate circostanze di costo e di domanda, in seguito

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all>entrata effettiva di un concorrente potenziale, non sempre la strategia di mantenere gli stessi volumiproduttivi è quella maggiormente profittevole per l>incumbent. In questo quadro sembrerebbe che la migliorstrategia dell>incumbent non sia quella di ostacolare l>entrata in assoluto dei potenziali competitors, quantopiuttosto di regolare l>accesso delle nuove imprese nel mercato.

5.4. !e strategie competitive di deterrenza fondate sugli investimenti in capacità produttiva eccedenteTra le altre leve per ostacolare l>entrata di un concorrente potenziale, sembra che possa essere una strategiaefficace l>investimento in capacit% produttiva eccedente. In altri termini, le imprese preesistenti decidono didotarsi strutturalmente di un eccesso di capacit% produttiva da utilizzare o per un>espansione della domandadi mercato oppure come deterrente all>entrata di un concorrente. -el caso in cui un potenziale concorrentedecida di entrare nel mercato, le imprese gi% attive saranno in grado di adeguare la propria offerta a quellamassima realizzabile, spingendo per questa via verso una significativa riduzione del prezzo. La scelta didotarsi strutturalmente di un>eccedenza di capacit% produttiva presenta un carattere in buona misurairreversibile e ciò la rende una minaccia pi& credibile. Tale strategia presenta inoltre il pregio di poter essereconcertata pi& facilmente tra le imprese preesistenti, visto che è pi& facile un controllo reciproco della

capacit% produttiva posseduta.$nche questo modello teorico presenta alcuni limiti teorici: in primo luogo occorre considerare che ilvantaggio di costo strutturale rispetto al potenziale entrante potrebbe essere compensato dal costo aggiuntivodovuto alla capacit% produttiva inutilizzata! in secondo luogo, qualora il potenziale concorrente entra nelmercato l>incumbent espande la sua offerta produttiva, il prezzo può scendere ad un livello tale che, datecerte circostanze di costo medio totale, il primo contiene le perdite assolute, grazie alle minori quantit%vendute, ad un livello inferiore rispetto al secondo: ciò potrebbe avvantaggiare l>entrante rispettoall>incumbent! infine, questo modello teorico presuppone che le imprese preesistenti siano in grado dicoordinarsi nell>utilizzo di riserve di capacit% produttiva, al fine di ostacolare l>entrante.

5.5. !e strategie competitive di deterrenza fondate sulla differenzazione di prodotto-on sempre le imprese che perseguono strategie di differenziazione di prodotto si pongono lo specificoobiettivo di ostacolare l>entrata di un potenziale entrante. L>obiettivo principale di una strategia didifferenziazione dei prodotti è di realizzare una no*price competition, ossia cercare di limitare lacompetizione di prezzo con i concorrenti. Le imprese tramite questa strategia possono elevareinintenzionalmente le barriere all>entrata. 0sistono tre principali schemi teorici di deterrenza fondati sulladifferenziazione di prodotto: quello relativo all>utilizzo della brand, quello della spesa pubblicitaria e quellodelle scelte localizzative. La leva strategica della brand può essere utilizzata per rendere pi& difficile alpotenziale entrante l>accesso ad un segmento del mercato. Talvolta, l>incumbent istituisce una cosiddettafighting brand, con il preciso scopo di utilizzarla solamente dei confronti di potenziali competitor elimitatamente ai mercati dove tale problema si verifichi. In genere la fighting brand è di primo prezzo e serve

ad evitare che la marca leader sia utilizzata per una concorrenza di prezzo. $l contrario, con le strategie dibrand proliferation l>impresa preesistente procede ad una segmentazione del mercato, collocando nei varisegmenti un proprio prodotto o marca. 2na scelta strategica di deterrenza da parte delle incumbent consistenell>accrescere e nell>intensificare le spese pubblicitarie al fine di limitare la concorrenza potenziale che, peraffermarsi sul mercato, deve vendere i propri prodotti o ad un prezzo notevolmente inferiore o deveimpegnarsi in costose campagne pubblicitarie. La scelta localizzativa di un impianto o di un punto venditapuò considerarsi, in alcuni settori, un importante fattore di deterrenza all>entrata rispetto a potenzialicompetitors. Le strategie di deterrenza fondate sulla localizzazione possono riconnettersi a quelle pi&genericamente riferibili alla differenziazione di prodotto, in quanto, hanno le medesime implicazioniconcettuali.

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5.6. !e strategie competitive di deterrenza fondate sulle relazioni verticali

Le barriere strategiche fondate sulle relazioni verticali possono distinguersi in due tipologie: i contrattiprivilegiati tra venditore e acquirente e le strategie di integrazione verticale.

1. I contatti privilegiati nelle relazioni verticali possono assumere varie forme di manifestazione

concreta in relazione alla loro durata. I contratti di fornitura spot possono prevedere vincoli di

adozione o di compatibilit% di prodotti o componenti congiunti. Il vincolo di adozione si ha nel casodi contratti di fornitura che prevedano l>adozione di due o pi& prodotti congiunti a seguitodell>acquisto di un prodotto madre, spesso leader di mercato. Il vincolo di compatibilit% si ha invecenel caso di contratti di fornitura che aumentino nettamente gli s'itch costs a carico dell>acquirenteper la presenza di standard specifici di componenti realizzati dall>incumbent. Tra i contratti difornitura di lungo periodo capaci di bloccare l>entrante vi è l>accesso privilegiato ai canali didistribuzione: si tratta di una fattispecie particolarmente frequente che può generare importantibarriere strategiche all>entrata.

2. La strategia di integrazione verticale, sia a monte che a valle, può essere anch>essa finalizzata ad

ostacolare l>entrata di un potenziale entrante. In questo caso si ha una maggiore inibizione all>accesso

a determinati canali di distribuzione oppure a determinate forniture di materie. L>incumbent puòriservarsi l>esclusiva di accesso alle sue fonti di approvvigionamento o di distribuzione, oppure inmodo relativo, tramite una pratica discriminatoria nei prezzi.

0. Le /arr"ere all1,#c"ta

imilmente alle barriere all>entrata è possibile rinvenire anche talune barriere all>uscita, date dai costiconnessi alla cessazione dell>attivit% d>impresa in un particolare settore. La presenza di elevate barriereall>uscita determinata a parit% di ogni altra condizione un aumento del livello di concorrenza. 5ossiamoindicare almeno quattro fonti delle barriere all>uscita:

1. La prima nasce dall>attaccamento dell>imprenditore alla propria attivit%: l>imprenditore, dato

l>investimento specifico personale che ha fatto, potrebbe adattarsi solo con molta difficolt% a nuoveprospettive professionali presenti nel mercato del lavoro.2. La seconda fonte attiene costi economici connessi alla cessazione dell>attivit% d>impresa: la presenza

di sun+ costs, ossia di investimenti che presentano un valore economico positivo solamente dentrol>impresa, costituisce una barriera rilevante.

3. La terza fonte riguarda la presenza di assetti istituzionali d>impresa, diversi da quello capitalista,

dove l>obiettivo non è quello della massimizzazione del profitto: come ad esempio impresecooperative di produzione lavoro che possono continuare a operare all>interno di un settore anche inpresenza di tassi di profittabilitC limitati o nulli.

4. La quarta fonte delle barriere all>uscita attiene all>operare delle istituzioni pubbliche, che possono

decidere di avviare finanziamenti agevolati o contributi a fondo perduto alle imprese che operano incondizioni strutturali criticit% economico finanziaria.In conclusione le barriere all>uscita non si distribuiscono uniformemente tra le imprese di un settore, macambiano a seconda della loro struttura di costi, dei loro assetti istituzionali e dell>operare di polic) ma+ers.

. La teor"a de" (ercat" contend"/"l"

i tratta di un>impostazione teorica in base alla quale il livello di competitivit% dentro un settore è fortementedipendente dall>assenza di barriere all>entrata e all>uscita. uesto rende possibile e realmente praticabile unaconcorrenza di tipo Dhit E runD 8mordi e fuggi9, dove il potenziale competitor entra in condizioni diprofittabilit% ed esce, subito dopo, al loro venir meno. I presupposti teorici di tale impostazione sono tre.Innanzitutto le imprese devono avere accesso alle stesse tecnologie! in secondo luogo, tale assettotecnologico può presentare elevate economie di scala ma ciò che è importante è che tali investimenti nonabbiano natura irrecuperabile! infine, gli incumbent non possono cambiare i prezzi istantaneamente mentre i

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consumatori rispondono immediatamente alle differenze di prezzo 8assenza di fedelt% alla marca9. ualoraquesta concorrenza sia lesiva degli interessi economici delle imprese preesistenti, che si potrebbero trovare aoperare nel breve periodo con una profittabilit% negativa, si potrebbe determinare nel lungo periodo l>assenzadi prodotti servizi coerenti con le attese dei consumatori.

3. 4na %"#"one a"endal"#t"ca delle /arr"ere all1entrata e all1,#c"ta

L>analisi teorica condotta sulle barriere all>entrata e all>uscita ha messo in evidenza la centralit% delcomportamento reale delle imprese presenti in un dato settore. econdo gli economisti d>impresa, l>analisidelle barriere strategiche dovrebbe tener conto di almeno tre diverse prospettive teoriche:

1. L>accettazione di differenti assunzioni alla base della teoria dell>impresa, quali quelle sulla razionalit%

dei singoli attori e delle organizzazioni, sui processi di negoziazione tra coalizioni interne e sulleconseguenze organizzative routinarie delle procedure decisionali.

2. L>intervento di attori istituzionali pubblici che inibiscono e sanzionano determinati comportamenti di

deterrenza da parte delle imprese 8organismi antitrust9.

3. La possibilit% di perseguire comportamenti innovativi sia da parte di imprese preesistenti cheentranti, tali da vanificare gli effetti delle possibili manovre di deterrenza.3al punto di vista dell>impresa incumbent, il problema decisionale può essere evidenziato a tre diversi livelli:

a) il possibile trade off tra deterrenza e innovazione: la scelta di optare per investimenti finalizzati alla

deterrenza strategica comporta l>allocazione di risorse irreversibili che possono, in un contesto divincoli di risorse, rendere l>impresa vulnerabile rispetto a scelte alternative finalizzate a sviluppareattivit%, tecnologie e prodotti innovativi.

b) le strategie di deterrenza analizzate si basano su una pluralit% di leve a parit% di obiettivo strategico.

; evidente che mi possono essere settori con elevate barriere all>entrata nel mar+eting e bassi nellaproduzione: le strategie di deterrenza potranno manifestare la loro efficacia solamente se applicate

nel contesto funzionale del mar+eting e non nella produzione. In definitiva l>incumbent deve saperscegliere la leva pi& pertinente, considerando confrontando la sua dotazione interna di risorsecompetenze, le caratteristiche dei mercati di consumo e la dotazione di risorse del potenzialeentrante.

c) l>impatto competitivo di queste strategie di deterrenza appare piuttosto indeterminabile e( ante: ciò

deriva dal fatto che la valutazione deve tener conto sia delle diverse caratteristiche degli entranti, siadi quelle delle imprese preesistenti.

I potenziali entranti non si trovano di fronte alle medesime barriere all>entrata, ciò per l>operare di almenodue diversi fattori: in primo luogo, le competenze dei singoli entranti determinano una elevata varianza delleloro situazioni di costo! in secondo luogo, in determinati contesti alcuni potenziali entranti possono godere diun vantaggio di costo rispetto ad un>impresa preesistente a causa dell>operare di barriere all>entrata negative,principalmente per l>operare di due fattori:

1. $ fronte di profonde discontinuit% esogene al settore sia di natura tecnologica che di mercato, taluni

potenziali concorrenti che vantano competenze specifiche rispetto ad una data matriceprodotto/tecnologia, possono trovarsi ad avere costi medi totali inferiori rispetto alle impresepreesistenti, che invece possono avere problemi di adattamento e riconversione tecnologica dimercato.

2. I processi di liberalizzazione che si sono verificati in taluni settori hanno posto il problema

dell>esistenza di stranded costs a carico dell>impresa, spesso e( monopolista, rispetto ai potenzialientranti. 5er stranded costs si intendono quegli oneri derivanti da impegni contrattuali e decisioni diinvestimento presi a seguito di scelte di politica economica industriale quando il mercato non era in

concorrenza e che si sarebbero potuti recuperare il regime di monopolio, ma non in concorrenza.

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In definitiva non esiste un unico livello di barriere all>entrata bens1 una pluralit% di barriere per ciascunpotenziale entrante, oltretutto mutevoli nel tempo e non sempre neppure efficaci. Inoltre nell>analisi dellestrategie di deterrenza bisogna tenere conto del fatto che il loro impatto in realt% si estende, non solo aipotenziali concorrenti, ma anche a quelli attuali dell>impresa. Il management deve anche saper analizzare evalutare la complessit% del sistema competitivo di riferimento in relazione pure alla possibile

destabilizzazione di equilibri cooperativi, taciti ed espliciti, con le imprese preesistenti. Le barriere all>entratasono mutevoli nel tempo per l>operare delle imprese preesistenti, delle imprese entranti e delle condizioniesogene della tecnologia e dei mercati.

CAPITOLO ) - LE STRATEGIE COMPETITIVE DI CRESCITA ORIZZONTALE

. Le #trateg"e d" cre#c"ta or"ontale! a#ett" "ntrod,tt"%"

"on il termine strategie di crescita orizzontale delle imprese si intende il proseguimento di una logica disviluppo dentro al settore, tramite replicazione e ampliamento dell’originaria capacit% produttiva, senzal’alterazione del grado di integrazione verticale delle attivit% svolte. La letteratura di management strategico

ha contribuito a evidenziare i vantaggi competitivi e i maggiori gradi di efficienza aziendale, conseguibiliattraverso queste strategie, mentre gli studi di economia industriale hanno evidenziato i rischi per ilbenessere di una collettivit% derivanti dalla conquista da parte di alcune imprese di posizioni dominanti.

2. Il arad"g(a #tr,tt,ral"#ta nell’anal"#" delle #trateg"e or"ontal"

 2.1. %trategie di crescita orizzontale e concentrazione settoriale

Il nesso teorico tra le strategie di crescita orizzontale delle imprese e la concentrazione settoriale deriva daun’impostazione teorica strutturalista secondo la quale il primo aspetto condiziona e riflette il conseguimentodel secondo.

 I diversi significati della concentrazione settoriale

La concentrazione tecnica si riferisce alla numerosit% e alle differenze dimensionali degli stabilimentipresenti in un settore. La concentrazione economica  fa riferimento alla numerosit% e alle differenzedimensionali delle imprese presenti in un settore. La concentrazione finanziaria fa riferimento allanumerosit% e alle differenze dimensionali dei gruppi di imprese presenti in un settore. Talvolta questi trediversi concetti possono coincidere, mentre in molti casi divergono.La concentrazione 8d’ora in poi intendiamo quella economica9 può essere definita genericamente come ilgrado con cui un certo numero di imprese concorrenti copre una determinata quota di mercato.Il modello generale di riferimento sostiene che la dimensione e la numerosit% delle imprese spiega laconcentrazione settoriale, che a sua volta, introducendo un dato potere di mercato, permette il conseguimentodi profitti elevati, i quali, se reinvestiti, alimentano di nuovo la crescita orizzontale delle imprese.La concentrazione settoriale sembrerebbe dunque destinata a crescere in tutte le attivit% economiche in cuiessa si manifesta, limitando la concorrenza.Il modello sopra evidenziato presenta diverse caratteristiche critiche legate ai differenti nessi che istituisce:

1. Il primo nesso 8tra dimensione e numerosit% delle imprese, e concentrazione economica9 non appare

contestabile, in quanto è un legame concettuale di tipo definitorio.2. In relazione al nesso tra concentrazione e potere di mercato possiamo fare sostanzialmente due

osservazioni: in primo luogo, la concentrazione non necessariamente determina il potere di mercato!in secondo luogo, ammesso che la concentrazione determini un certo potere di mercato, è necessariostabilire in quale direzione e verso quali soggetti quest’ultimo si manifesti.

3. In relazione al nesso tra potere di mercato ed e(tra*profitti si può osservare che non necessariamente

l’uno spiega il conseguimento degli altri: ad esempio l’impresa monopolista, nel lungo periodo, puòtrovarsi in condizioni di profittabilit% negativa, in altri casi il potere di mercato può tradursi infinalit% diverse da quelle del conseguimento degli e(tra*profitti, come nelle organizzazioni no*profit.

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4. Infine riguardo al nesso tra conseguimento di e(tra*profitti e il loro reinvestimento nell’attivit%, si

può osservare che non necessariamente questi vengono finalizzati alla crescita orizzontaledell’impresa.

 2.2. Il potere di mercato: dilemmi definitori

Il potere di mercato è genericamente definito come la capacit% di un’impresa di assicurarsi un’adeguataremunerazione del capitale investito attraverso un controllo privilegiato delle risorse strategiche su cui sibasa la propria competitivit% nei confronti dei concorrenti. uesto può essere inteso come:

1. La possibilit% di esercitare il controllo sui prezzi di mercato!

2. La possibilit% di praticare prezzi di vendita permanentemente superiori rispetto a quelli dei

concorrenti!3. La possibilit% di praticare prezzi tali da conseguire nel lungo periodo profitti positivi e di ostacolare

permanentemente l’ingresso di potenziali competitor!4. La possibilit% di praticare prezzi di vendita permanentemente superiori rispetto ai propri costi medi

totali!

5. Il possesso di quote di mercato permanentemente e significativamente superiori rispetto ai conc.diretti!

6. Il presidio di quote di mercato tali da rendere la propria curva di domanda estremamente rigida alle

variazioni dei propri prezzi e i propri beni insostituibili rispetto a quelli prodotti dai competitors!7. La pratica di azioni di mar+eting tali da rendere gli altri competitors meri follo'er adattivi di queste

scelte strategiche!8. La capacit% di determinare la traiettoria tecnologica, organizzativa e di mercato nell’evoluzione del

proprio sistema competitivo di riferimento.

 2.3. !e determinanti strutturaliste della concentrazione settoriale

ono quelle che spiegano la numerosit% e la dimensione relativa delle imprese, sono considerate esogenerispetto al comportamento di queste ultime. Le determinanti economiche principali fanno riferimentocongiuntamente alla struttura dei costi 8ec. di scala9 e alla struttura della domanda di mercato.ul piano teorico quest’impostazione si basa sull’esistenza di elevate economie di scala che, data ladimensione del mercato totale, comporterebbero un numero limitato di imprese capaci di operare a scaleefficienti di produzione. i tratta di stabilire questo numero efficiente di imprese sulla base di un rapporto trala dimensione complessiva di un dato mercato e la scala di produzione efficiente. i assume che la funzionedelle economie di scala sia a forma di 2 e la domanda complessiva di mercato sia data e non subiscavariazioni nel tempo. 3a questo discendono due spiegazioni strutturaliste del livello di concentrazione:

1. La prima impostazione teorica spiega l’esistenza, per un dato settore, di diversi livelli di

concentrazione in differenti paesi sulla base della diversa dimensione complessiva della domanda dimercato presente. 3a qui l’idea che la concentrazione dipende dall’ampiezza e dalla consistenzacomplessiva del mercato. uesto modello assume inoltre una concezione protezionista dei singolimercati nazionali: ciascuna impresa vende solamente e esclusivamente nella propria area nazionale.In questa situazione è evidente che la correlazione negativa ampiezza del mercato/livelli diconcentrazione diviene meno stringente. Tale modello, inoltre, legando i maggiori livelli diconcentrazione ad una dimensione ridotta del mercato, può essere invalidato tramite un’analisidinamica basata sul tasso di crescita della domanda. In tal caso, a fronte di una crescita delladimensione del mercato, si assiste ad un aumento del livello di concentrazione.

2. 2n altro modello teorico è connesso al ciclo di vita del prodotto. i sostiene cioè che le diverse fasi

di "5 riflettono un diverso grado di concentrazione settoriale, espressione dei processi di entrata euscita dal settore perseguiti dalle imprese.a. Fase di introduzione: massima concentrazione, tasso di crescita limitato, profittabilit% negativa!

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b. Fase di sviluppo e crescita: il livello di concentrazione tende a ridursi!

c. Fase di maturit%: stabilizzazione del livello di concentrazione, non ci sono nuovi entranti!

d. Fase di declino: aumento della concentrazione, uscita di diverse imprese dal settore.

$. Il arad"g(a "#t"t,"onale e organ"at"%o nell1anal"#" delle #trateg"e d" cre#c"ta or"ontale

 3.1. Il ruolo dell$attore pubblico nella determinazione dei livelli di concentrazione settoriale

6li attori pubblici stabiliscono importanti regole del gioco, che impattano sulle strategie orizzontali dicrescita delle imprese e sui connessi livelli di concentrazione settoriale.Le legislazioni sui diritti di propriet% intellettuale, qualora siano presenti all>interno di un ordinamentogiuridico statuale e siano particolarmente penetranti nella tutela del soggetto innovatore, tendono ad elevare ilivelli di concentrazione di un determinato settore. ; evidente che a fronte del costo sociale dellaconcentrazione, sia un beneficio sociale nel lungo periodo indotto dalla maggiore propensioneall>effettuazione di investimenti rischiosi e innovativi da parte delle imprese.I regimi autorizzatori per lo svolgimento di un>attivit% economica possono costituire vere proprie barriereall>entrata.

-on a caso gli stati nazionali aventi storicamente normative antitrust presentano in genere, a parit% di settoreconsiderato, livelli minori di concentrazione.Le legislazione a favore dei national champions derivano dal fatto che i singoli tati nazionali favoriscono lapersistenza di imprese nazionali in settori definiti strategici perpetuandone e proteggendo nella naturaproprietaria nazionale evitando processi di fusione e acquisizione a livello internazionale.; evidente che i national champions operano nel mercato domestico in un contesto progetto protetto eprivilegiato, con livelli di concentrazione settoriale particolarmente elevati, a parit% di ogni altra condizione.

 3.2. &oncentrazione settoriale e strumenti istituzionali di intervento: oltre lo sc#ema del monopolio

naturale

ostanzialmente possiamo evidenziare tre tipologie di intervento:A. La prima soluzione consiste nell>attribuzione allo tato il compito di svolgere una determinata attivit%economica, intervenendo direttamente nel mercato e sostituendosi all>impresa privata. i tratta cioè di farrealizzare allo stato quella determinata funzione imprenditoriale, tramite l>operare di imprese pubbliche.; ormai diffusa la consapevolezza che dalla natura pubblica delle imprese possono derivare inefficienzegestionali di varia natura ed entit%: la compresenza di obiettivi pubblici diversi hanno spesso indotto imanager pubblici a trascurare la parte del gioco competitivo fondata sull>efficienza e sull>innovazione, perprivilegiare situazioni collusive con altri operatori, sia privati sia pubblici, tesi a proteggere le proprieposizioni di mercato.B. 2na seconda soluzione regolamentativa consiste nell>attribuire ad un soggetto privato lo svolgimento diquesta attivit% economica, sebbene in un persistente contesto di monopolio. L>attribuzione dell>esercizioprivato di un monopolio naturale richiede all>attore pubblico forme di regolamentazione integrative del veroprocesso di privatizzazione, finalizzati a contenere gli effetti negativi del potere di mercato. Le politicheantitrust costituiscono uno strumento rilevante di intervento, limitazione e sanzionamento nei casi di abuso diposizione dominante da parte delle imprese monopolistiche o delle imprese dominanti. L>antitrust deve infattiessere capace di salvaguardare le posizioni di maggiore efficienza delle imprese, connesse ai loro processi dicrescita, rimuovendo e sanzionando solamente i loro comportamenti dettati dall>abuso di posizionedominante. ; anche per queste ragioni che si sono sviluppate regolamentazioni che incidono sugli assettiistituzionali delle imprese, determinando funzioni obiettivo non pi& orientate meramente allamassimizzazione del profitto, ma a limitare gli effetti negativi dei monopoli privati.@. 2na terza soluzione riflette l>obiettivo di rimuovere il monopolio privato, agendo alternativamente sul lato

dei costi di produzione oppure su quello della domanda di mercato. La finalit% della rimozione del

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monopolio è connessa direttamente agli effetti negativi attribuiti a questa forma di mercato: prezzi elevati e/oqualit% del bene o servizio peggiore rispetto condizioni concorrenziali.a9 dal punto di vista dei costi di produzione, l>intervento può essere di tipo statico o evolutivo.aA9 si ha un intervento di tipo statico qualora l>attore pubblico decida di scindere l>attivit% integrata, svolta dauna sola impresa in singole attivit% specializzate, aventi però diverse scale efficienti di produzione. L>impresa

dominante può continuare a svolgere l>attivit% a maggiori economie di scala, unitamente ad altrispecializzate. 5urtuttavia, l>attore pubblico deve prevedere l>esistenza, a fianco dell>autorit% antitrust persanzionare i comportamenti lesivi della concorrenza, anche di un authorit) specifica per regolamentare lecondizioni economiche di accesso da parte degli entranti: stabilisce le regole per l>acquisizione dei serviziofferti dall>impresa dominante ai diversi soggetti operanti nel mercato. uesto assetto strutturale presenta nellungo periodo il problema della conservazione di un monopolio, pur se temperato dalla regolamentazionepubblica.aB9 l>intervento pubblico in senso evolutivo è costituita da quegli strumenti di polic) finalizzati adassecondare lo sviluppo e l>affermazione di traiettorie tecnologiche capaci di ridurre le economie di scalaoppure di favorire il perseguimento di economies of scope.

b9 la rimozione del monopolio tramite intervento sulla domanda di mercato può avvenire agendo sulladimensione complessiva del mercato oppure sulla sua articolazione interna. L>attore pubblico può obbligarel>impresa dominante a stare ferma qualche giro al fine di favorire l>accesso di nuovi entranti in funzione dellapossibile crescita del mercato nel tempo. L>attore pubblico può agire anche sulla dimensione complessiva delmercato, imponendo o assecondando l>internazionalizzazione dell>impresa dominante, e favorendo laliberazione di spazi all>interno del mercato nazionale, in modo da farvi accedere nuovi competitor.$lternativamente, l>attore pubblico, può agire sull>articolazione interna della domanda di mercato, favorendolo sviluppo di particolari segmenti o nicchie di mercato, presidiato, tecnologia aventi minori economie discala oppure aventi certe economies of scope.In definitiva l>attore pubblico detiene numerose e articolate leve istituzionali per stabilire le regole del gioco

delle imprese, condizionandone i comportamenti e i livelli di concentrazione del settore.

&. Il arad"g(a #trateg"co nell1anal"#" delle #trateg"e d" cre#c"ta or"ontale

 4.1. 'erso il paradigma strategico: economie di scala( barriere all$entrata integrazione verticale

L>impostazione rigorosamente strutturalista non attribuisce alcuna rilevanza al comportamento dell>impresanel definire il livello di concentrazione del settore. 2na fondamentale limitazione teorica è data dalleeconomie di scala che debbono essere unicamente a forma di 2. "iò si pone in contraddizione con il fattoche talvolta esse hanno invece andamenti L*shaped, a causa della replicabilit% del modello produttivo eorganizzativo efficiente. 3ato un certo livello della domanda complessiva di mercato, si possono avere livellidi concentrazione assai diversi, in altri termini il rapporto tra la dimensione ottimale minima e quella delladomanda complessiva di mercato fornisce solamente il numero teorico massimo di imprese uguali presenti

nel settore! sono invece possibili altri equilibri di efficienza connessi all>aumento della diseguaglianzadimensionale delle imprese: in uno stesso settore possono persistentemente operare imprese aventidimensioni diverse pur essendo tutte quante efficienti 8emerge l>importanza delle strategie di impresa9.ualora un settore sia caratterizzato dalla presenza di barriere strutturali all>entrata è plausibile ritenere chevi sia una limitazione oggettiva della concorrenza, che si traduce in un flusso del prezzo rispetto ai costi medicomplessivi. In questo caso, in base alle specifiche strategie perseguite dalle imprese del settore potremmoattenderci una minore o maggiore concentrazione: da un lato si potrebbe sostenere che il settore sar% pococoncentrato in funzione del fatto che la politica di prezzi dell>incumbent consentir% la presenza funzionale dipiccole imprese inefficienti! dall>altro la presenza di elevate barriere all>entrata può permettere una maggioreconcentrazione perch non vi sar% l>ingresso di potenziali entranti e l>incumbent potr% reinvestire i profitti

conseguiti nella sua crescita dimensionale. 5erfino il livello di integrazione verticale di un>impresa leaderpuò condizionare la concentrazione settoriale. In definitiva è assai evidente che comportamenti strategici

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diversi tenuti dalle singole imprese implicano a parit% di una struttura settoriale e solida di riferimento livellimolto diversi della concentrazione.

 4.2. !$apporto dello strategic management nell$analisi delle strategie di crescita orizzontale

econdo 5orter le imprese possono conseguire all>interno del loro settore quattro diverse alternative strategie

di crescita orizzontali.5ont" del %antagg"o co(et"t"%o

A(/"to co(et"t"%o

6a##o co#to D"**eren"a"one

Intero #ettore Leadership di costo 3ifferenziazione

4n #eg(ento art"colare Focalizzazione con costi bassi Focalizzazione con differenziazione

La strategia di leadership di costo si basa sul perseguimento, da parte dell>impresa, di un vantaggiocompetitivo, basato sulla realizzazione di un determinato prodotto a costi strutturalmente inferiori a quellidella concorrenza. $ parit% di ogni altra condizione, il perseguimento da parte di un>impresa di una similestrategia può determinare un elevato livello di concentrazione, posto il conseguimento di una posizionedominante sul piano dei prezzi delle quote di mercato.La strategia di differenziazione si basa sulla realizzazione di prodotti aventi caratteristiche qualitative diverseda quelle dei competitors, grazie a investimenti tecnologici, nel mar+eting, nel brand o nella pubblicit%,garantendo una loro minore sostituibilit%. In questo modo l>impresa consegue un vantaggio competitivofondato sulla fedelt% dei consumatori, al punto da poter perfino praticare prezzi superiori rispetto a quelli deiconcorrenti.Le strategie di focalizzazione si caratterizzano per essere applicate solamente all>inseguimento del mercato

complessivo. In altri termini l>impresa realizza un prodotto per un particolare segmento, avente specifichecaratteristiche spaziali, sociali, economiche e culturali. ; plausibile ritenere che il livello di concentrazionenel settore sia inferiore rispetto alla situazione finalizzata a conseguire una leadership di costo a livello diintero settore.

 4.3. na rivisitazione critica del modello di "orter 

Le quattro opzioni strategiche identificate si escludono a vicenda: secondo 5orter, le imprese devono saperscegliere quella pi& pertinente rispetto alle caratteristiche settoriali e competitive. In realt% liberazione autorihanno messo in evidenza che queste diverse strategie non si escludono a vicenda: strategie congiunte di costodi differenziazione non solo sono possibili ma necessarie per competere adeguatamente rispetto ai

concorrenti. Lo schema delle quattro strategie concorrenziali di base può essere rivisitato considerando ledue diverse dimensioni: il livello di differenziazione e il livello del costo medio complessivo.L"%ello d" d"**eren"a"one

L"%ello d" co#to

6a##o Alto

6a##o trategia competitiva di puro costo trategia di perseguimento congiuntodi costo e differenziazione

Alto -essun vantaggio competitivo trategia competitiva di pura

differenziazione

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La scelta di una bassa differenziazione con un elevato costo appare evidentemente perdente dal punto di vistastrategico, in quanto non esprime alcun vantaggio competitivo.Le strategie competitive di puro costo ripropongono il problema strategico del conseguimento di unaleadership di costo, cercando di contenere i costi indotti dalla differenziazione e puntando su unastandardizzazione produttiva di tipo fordista.

Le strategie di pura differenziazione si basano invece sulla ricerca di un vantaggio competitivo basato sullecaratteristiche qualitative dei propri prodotti a prescindere dall>impatto sui relativi costi.In ogni caso vista la possibilit% di perseguire congiuntamente strategie di coste di differenziazione,quest>ultima opzione diviene quella verso la quale numerose imprese stanno cercando di indirizzarsi. Il tradeoff tra la leadership di costo e la differenziazione di prodotto può essere superata avvalendosi di numeroseopzioni economico*manageriali:

• 2na rivisitazione della filiera, modificando lo schema tradizionale di lavorazione manifatturiera inmodo da realizzare un magazzino intermedio di semilavorati standardizzati!

• 2na riduzione del numero dei componenti del prodotto, eliminando quelle che non generano valorenella percezione del consumatore!

• La progettazione semplificata di componenti standardizzate!• L>utilizzo di materiali apprezzati dai consumatori e meno costosi di quelli tradizionali!

• L>ottenimento di un minor numero di resi per prodotti difettosi, assicurato da una gestione fondatasulla qualit% totale!

• L>adozione di tecnologie flessibili, rispetto a quelle rigide di stampo fordista, indotte dalla traiettoriamicroelettronica, informatica e dall>automazione!

• 2na differenziazione basata su componenti simboliche, con limitati costi marginali ma verso i quali iconsumatori manifestino un>elevata sensibilit%!

• L>utilizzo di IT per il collegamento dell>impresa con i propri fornitori e distributori in modo damigliorare i flussi logistici.

ueste soluzioni hanno portato alla strategia chiamata di mass customization, consistente nella capacit% didifferenziare altamente i prodotti finiti, adattandoli alle specifiche esigenze di segmenti specifici diconsumatori e di contribuire alla riduzione dei costi medi complessivi.In definitiva, la frontiera strategica verso la quale le imprese stanno muovendosi è data dall>obiettivo delperseguimento congiunto del vantaggio di costo di differenziazione, cercando di superare i possibili trade offtra queste due opzioni e puntando alla ricerca di tutte le loro possibili sinergie.

 4.5. !e strategie competitive basate sul vantaggio della differenziazione di prodotto: un approfondimento

G.?.A. I criteri di analisi della differenziazione di prodotto: l>address approach di Lancasterecondo l>impostazione teorica di Lancaster il consumo è un>attivit% nel quale i beni sono utilizzati per

generare servizi da cui scaturisce un>utilit%. I beni non forniscono direttamente un>utilit% a favore delconsumatore, ma essa è mediata dall>attivazione di una serie di servizi, ciascuno dei quali è portatore diproprie utilit% a favore del consumatore. Le scelte dei consumatori si basano non tanto sui prodotti quanto suiservizi resi possibili da tale consumo! ogni prodotto è percepito, valutato e scelto da parte del consumatoresulla base del paniere di caratteristiche di cui è portatore. Inoltre, prodotti differenti, anche appartenenti asettori diversi, possono soddisfare un medesimo bisogno, e,infine, uno stesso prodotto può soddisfare bisognidiversi.4gni prodotto, differenziato sulla base di talune caratteristiche percepite come rilevanti dai consumatori, sar%posizionato in uno spazio multidimensionale: per analizzarlo si utilizzano tecniche statistiche come la clusteranal)sis. $ssumendo che un certo prodotto sia analizzabile solamente sulla base di due caratteristiche, sar%

possibile posizionarlo su una mappa bidimensionale.uindi distanze maggiori tra prodotti indicano un elevato grado di differenziazione esistente, mentre distanzeminori sottolineano la presenza di un elevato grado di sostituibilit% . ; evidente che la competizione dei

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question mar+s sono prodotti problematici, dato che presentano alti tassi di sviluppo ma basse quote dimercato, occorre, quindi, una valutazione pi& attenta prima di decidere sulla conservazione o meno di taleprodotto all>interno del portafoglio. Le stars sono i prodotti con elevate prospettive di sviluppo e con rilevantiquote di mercato, essi si presentano particolarmente profittevoli.L>introduzione della possibilit% logica di avere un tasso di sviluppo negativo ha dato modo di osservare altri

due tipologie di prodotto che integrano la matrice 7"6: i 'ar horses e i dodos. I 'ar horses sono dati daicash co' che entrano nella fase di declino del ciclo di vita: si tratta di prodotti veterani che hannorappresentato, nel passato, un grande successo di mercato e che, ancora oggi, possiedono elevate quote dimercato, contribuendo positivamente, sebbene in declino, alla liquidit% e alla redditivit% aziendale. I dodos8fossili9 rappresentano prodotti penalizzati in modo duplice, sia dal punto di vista delle quote di mercato chedal declino del mercato: devono essere eliminati.2n secondo schermo per l>ottimizzazione dinamica del portafoglio prodotti è stato proposto da Hofer echendel, essi hanno criticato l>impostazione della matrice 7"6 in quanto non discrimina adeguatamente tranuovi e vecchi business. ull>asse orizzontale considerata la posizione competitiva del prodotto rispetto aicompetitors mentre su quello verticale è evidenziata la sua posizione in relazione al ciclo di vita.

8Tabella9uesto schema presenta il limite di dipendere dall>esistenza e validit% del modello di ciclo di vita delprodotto.

). Ver#o "l arad"g(a e%ol,"on"#t"co nelle #trateg"e or"ontal" dell1"(re#a

Le logiche dello sviluppo orizzontale delle imprese hanno messo in evidenza l>esistenza di due diversestrategie competitive 8costo e differenziazione9. 2n>impresa può arrivare a realizzare prestazioni competitivesul mercato con i propri concorrenti non seguendo un modello unico, ma in molti modi possibili, secondopercorsi sperimentali che non possono essere calcolati e ottimizzati a priori. L>impresa appare dunquecaratterizzata da un patrimonio di sun+ cost specifici, materiali e immateriali, espressione del suo processo

storico di accumulazione della conoscenza, tale da poter condizionare la perseguibilit% pratica di un datopercorso competitivo rispetto ad altre possibili opzioni strategiche alternative. In sintesi, le impreseperseguono specifiche strategie competitive di crescita orizzontali che sono l>espressione della loro capacit% ecompetenze accumulate storicamente.

CAPITOLO 0 - LE STRATEGIE COMPETITIVE DI INTEGRAZIONE VERTICALE

. Le #trateg"e d" "ntegra"one! a#ett" "ntrod,tt"%"

Il concetto di integrazione, nella letteratura economico manageriale, è associato a diversi significati ancheassai diversi e contrapposti tra loro. Intuitivamente, l>integrazione corrispondere un processo diinternalizzazione nell>ambito dell>impresa di attivit%, processi, funzioni, prodotti e capacit% produttive che

precedentemente erano svolte all>esterno di essa.; cos1 utile distinguere quattro diverse forme di integrazione:A. L>integrazione orizzontale corrisponde al fenomeno delle strategie di crescita orizzontali, ossia fariferimento al variare della scala di produzione.B. L>integrazione laterale, indicando un processo di crescita a latere rispetto alla filiera manifatturieracaratteristica, sottolinea le strategie di diversificazione produttiva: l>impresa parte dal medesimo input,arrivando a realizzare prodotti diversificati.@. L>integrazione diagonale riflette processi di internalizzazione di servizi industriali e di fasi di attivit% posteall>esterno della filiera manifatturiera caratteristica, ma collegate ad essa da stretti legami funzionali.G. L>integrazione verticale attiene processi di internalizzazione di tifosi attivit% relativi alla filiera

caratteristica di un determinato prodotto.

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2. Il concetto d" "ntegra"one %ert"cale

L>integrazione verticale può essere definita come l>ampiezza con la quale i vari cicli produttivi, manifatturierie commerciali, consecutivi o sequenziali, della filiera produttiva complessiva sono effettuati dentro unastessa impresa. L>integrazione verticale può essere di due tipi: a monte, o ascendente, e a valle, odiscendente. Il concetto di integrazione verticale è strettamente legato a quello di filiera: essa corrisponde

all>insieme di lavorazioni che devono essere effettuate in cascata per passare da un certo ventaglio dimateriali grezzi a un prodotto finito, ossia l>insieme di tutte le attivit% generatrici di valore economico. Inparticolare si hanno filiere inclusive quando pi& filiere, tra loro operanti su traiettorie diverse, convergono,con i loro output, nell>ambito di un>unica filiera! filiere esplosive, quando partire dalla filiera si dipartono pi&finire tra loro diverse! finire lineari, quando la realizzazione del prodotto finito si realizza nell>ambito di unasola filiera. Il concetto di filiera costituisce un insieme di settori produttivi, tra loro verticalmenteinterconnessi al fine della realizzazione commercializzazione di un prodotto finito.

$. Integra"one %ert"cale d"(en#"one d" "(re#a

Tradizionalmente un>impresa verticalmente integrata è considerata di dimensioni rilevanti, quindi si sarebbe

portati ad affermare l>esistenza di un nesso logico economico assai forte tra il grado di integrazione verticalee la dimensione dell>impresa: il modello fordista di produzione costituisce un valido esempio di questarelazione. L>esistenza di un legame tra integrazione verticale e dimensione dell>impresa, in realt%, può esserefacilmente criticata: tramite la leva del decentramento produttivo a favore di determinati subfornitori impreseaventi dimensioni relativamente elevate riescono a operare con livelli di integrazione verticale assai ridotti,specializzandosi in talune attivit%. Talvolta l>integrazione verticale elevata si associa a livelli dimensionaliassai ridotti, come ad esempio nell>impresa artigiana canonica. -ei distretti industriali, al contrario, troviamoimprese diverticalizzate e contestualmente di piccole dimensioni, specializzate in una sola fasi della filieramanifatturiera con dimensioni generalmente ridotte per le caratteristiche economiche e tecnologiche dellaloro attivit%. In definitiva, l>esistenza di queste quattro forme di impresa dimostra l>indipendenza concettuale

tra la dimensione dell>impresa e il suo livello di integrazione verticale.

&. La ("#,ra dell1"ntegra"one %ert"cale

2n primo indice di misura potrebbe essere dato dal computo delle fasi elementari svolte all>internodell>impresa: variazioni aumentative o diminutive di tale indice modificherebbero il grado di integrazioneverticale! diviene tuttavia difficile valutare il significato analitico di una fase elementare.5er misurare l>integrazione verticale occorre innanzitutto stabilire se vogliamo verificare il grado diintegrazione verticale associato a percorsi di crescita per vie esterne 8acquisizione di imprese preesistenti9oppure per vie interne 8creazione di propri nuovi stabilimenti9: per rilevare il grado di integrazione verticaledi un>impresa che ha effettuato processi di crescita per vie esterne, occorre andare a vedere nel bilancio diesercizio la variazione dell>entit% delle partecipazioni finanziarie di lunga durata, analizzando solamente

quelle in imprese connesse alla filiera manifatturiera tipica! qualora invece si voglia rilevare il grado diintegrazione verticale di un>impresa che ha adottato processi di crescita per vie interne, occorre andare avedere nel bilancio di esercizio il valore delle immobilizzazioni tecniche totali. In quest>ultimo caso sipreferisce però ricorrere all>indice di $delman, dato dal rapporto tra valore aggiunto e valore dellaproduzione: questo assume valore tenderete a zero nel caso di impresa totalmente diverticalizzata e valoretendente a uno nel caso di impresa totalmente verticalizzata. 6li andamenti del tasso di inflazione alterano ilivelli dell>indice di $delman, senza che sia modificato il grado di integrazione verticale, a causa del diversoimpatto di tali variabili rispettivamente sul valore aggiunto e sul fatturato totale. $nche la congiunturaeconomica si riflette in misura diversa sul valore aggiunto e sul fatturato, inducendo indirettamentevariazioni dell>indice. Le operazioni di rinnovamento tecnologico possono comportare una modifica radicale

nella composizione del valore aggiunto dell>impresa, mentre possono non riflettersi immediatamente in unacorrispondente variazione del fatturato totale, quindi, nel breve periodo l>indice può modificarsi senza che ilgrado di integrazione verticale abbia subito variazioni. Infine, processi di riqualificazione della propria

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gamma di prodotti possono comportare impatti diversi sul valore aggiunto complessivo rispetto al fatturatototale. I risultati dell>analisi dell>indice di $delman devono essere adeguatamente verificati sulla scorta divalutazioni e analisi aggiuntive, anche di tipo descrittivo e qualitativo.

). Le deter("nant" dell1"ntegra"one %ert"cale

In generale, si sostiene che le imprese fanno integrazione verticale sulla base della vantaggiosit% economicadi tale decisione rispetto all>alternativa dell>esternalizzazione. i tratta di stabilire se sul piano economicol>impresa consegue un maggior livello di redditivit% in contesti di integrazione verticale o dideverticalizzazione. L>integrazione verticale si giustifica economicamente perch permette di conseguire unlivello di profittabilit% superiore 3allo svolgimento congiunto di due o pi& attivit%, rispetto all>alternativa direndere tali attivit% separate, cioè effettuate da imprese distinte. Tuttavia questa spiegazione appare genericae non definisce le determinanti di tale eventuale maggiore redditivit% congiunta, che invece bisognaindividuare.

0. Le #"ega"on" teor"c'e del arad"g(a #tr,tt,ral"#ta

Le imprese perseguono livelli di integrazione verticale in quanto esso pienamente operano taluni meccanismicapaci di rendere vantaggioso economicamente un dato comportamento.

6.1. !$indivisibilità tecnico)economica degli impianti

L>esistenza in un dato settore di tecnologie aventi determinate caratteristiche in termini di indivisibilit%tecnico economica, comporta la vantaggiosit% di un processo di integrazione verticale: il processotecnologico di produzione di un determinato output è dal punto di vista economico verticalmente integrato, apena di un plus di costi medi complessivi. In queste situazioni di indivisibilit% tecnico economica, un>impresaverticalmente integrata ottiene, a parit% di altre condizioni, un vantaggio competitivo sui costi medi diproduzione. La condizioni di efficienza tecnica, non richiede l>integrazione verticale in una medesima

impresa ma solo la contiguit% fisica del processo di produzione, uindi, l>eventuale esistenza di una solaimpresa verticalmente integrata non è da attribuire alla presenza di indivisibilit% tecnico economiche mapiuttosto alla difficolt% a determinare le condizioni economiche dello scambio dei semilavorati tra le diverseimprese operanti nel processo di lavorazione.

6.2. I fattori di localizzazione economica

Innanzitutto si riscontra una relazione statistica significativa tra localizzazioni grado di integrazioneverticale: in aree in cui non esistono sistemi locali di produzione, l>impresa deve attrezzarsi al suo interno,dotandosi dell>intero ciclo di produzione, in quanto l>alternativa di approvvigionarsi in altre aree del paeseappare difficile a causa di numerosi fattori! $l contrario in aree del paese caratterizzate dalla presenza didistretti industriali, la vicinanza e numerosit% delle imprese specializzate favorisce la formazione di imprese

deverticalizzate. La scelta dell>integrazione verticale può comportare un plus di costi, a causa di volumiproduttivi insufficienti a saturare le economie di scala di alcune di queste attivit% integrate all>interno, mentrela scelta dell>approvvigionamento in siti distanti può comportare un plus di costi di trasporto e di oneriorganizzativi per il coordinamento produttivo. i sostiene che esista una terza possibile soluzione teorica,data dalla scelta di outsourcing su scala locale, tramite start up di imprese fornitrici di parti, lavorazioni ecomponenti di cui l>impresa committente necessita: in altri termini quest>ultima può favorire la proliferazionedi nuove imprese fornitrici! questa soluzione in numerosi contesti produttivi non si afferma in quantoesistono costi di transazione tali da non rendere vantaggiosa l>attivazione di nuove iniziative imprenditorialinel contesto locale.

6.3. Il ruolo delle economie di scala e delle economies of scope nella produzione di un output La presenza di elevate economie di scala o di economies of scope disincentiva le imprese dall>assumereconfigurazioni verticalmente integrate, al fine di non trovarsi di fronte all>insaturazione della capacit%

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produttiva di questa fase di lavorazione! ciò è particolarmente vero soprattutto quando si tratta di beni eservizi di tipo comune per i quali esistono gi% molti fornitori in concorrenza tra loro. uest>impostazioneviene criticata sulla base del fatto che non ammette la possibilit% logica, da parte di un>impresa, di integrarsiverticalmente, anche in presenza di particolari economie di scala o di scope, optando per strategie di crescitaeterodosse rispetto ai suoi concorrenti. La presenza di economie di scala o di scope nella produzione di un

determinato bene, da sole, non costituiscono una condizione necessaria e sufficiente per giustificare l>assenzao la presenza di livelli di integrazione verticale.

6.4. !a presenza di fattori istituzionali e normativi

; vidente che provvedimenti normativi di politica tributaria di politica industriale possono stimolare, anchenon intenzionalmente, il conseguimento di determinati livelli di integrazione verticale da parte delle imprese.

6.5. !$interdipendenza delle funzioni di costo tra pi* attori verticalmente compenetrati

In molte circostanze esiste tra due o pi attori, verticalmente compenetrati, un grado elevato diinterdipendenza delle loro funzioni di costo: la competitivit%, in termini costi medi complessivi, di un attore è

fortemente condizionata dalle scelte produttive compiute da un altro attore. uesta fattispecie puòestrinsecarsi in due diverse situazioni:

1. assenza assoluta di una determinata attivit% economica!

2. presenza insufficiente di una determinata attivit% economica, indotta da limitazioni tecniche o

istituzionali all>operare di determinati attori.In questi contesti di interdipendenza delle funzioni di costo sarebbe possibile generare trasferimenti di risorsefinanziarie dall>impresa fornitrice dei benefici a quella fornitrice dei medesimi, evitando di procedere adoperazioni di integrazione verticale.

J.?.A. Interdipendenza dei costi in assenza di determinate attivit% economiche"i sono situazioni in cui mercato, da solo, non genera condizioni di profittabilit% positiva per unadeterminata attivit% economica, uindi nessun operatore privato è disponibile intraprendere tali attivit%,salvo che qualche altro soggetto non corrisponda un adeguato incentivo economico. uesto soggettoerogante può essere sia pubblico che privato:

1. e il soggetto è pubblico, il nuovo imprenditore ricever% una quota di risorse finanziarie volti a

garantire il conseguimento dell>equilibrio economico nel tempo. uesta soluzione può creare graviinefficienze: in primis, l>imprenditore potr% passivamente adagiati sulle certezze economiche deitrasferimenti finanziari pubblici! in secondo luogo, l>impresa potr% trovarsi di fronte livelli diproduttivit% delle proprie risorse professionali lavorative inferiori rispetto a quelli di una ipoteticacondizione di concorrenza! in terzo luogo, l>imprenditore, beneficia di una asimmetria informativa asuo favore, può quindi dichiarare di presentare livelli di profittabilit% negativa superiori a quelli reali

al fine di attingere a risorse pubbliche in modo maggiore! infine, non è determinabili a priori un datolivello di profittabilit% che sia equo sul piano economico e sociale.

2. Il soggetto erogante può anche essere un privato, nel caso in cui egli abbia un evidente interesse

economico all>espletamento di una determinata attivit%, il cui output siano prodotti o servizi di cuiegli è il fruitore. $nche in quest>ipotesi alcune delle possibili cause di inefficienza sopra analizzatecontinueranno a persistere, come ad esempio la permanenza di una possibile asimmetria informativasulla struttura dei costi dell>impresa fornitrice.

In queste situazioni, le strategie di integrazione verticale possono costituire un>adeguata formazione perevitare situazioni fortemente conflittuali che evidentemente nuociono alla profittabilit% di entrambe le parti incausa.

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J.?.B. Interdipendenza dei costi con presenza insufficiente di determinate attivit% economicheIn alcune circostanze, non è assenza di un operatore, quanto piuttosto il suo insufficiente operare, avanificare il conseguimento di profitti positivi da parte di un altro: i volumi produttivi di output, realizzati daun operatore, sono minori rispetto quelli necessari ad un altro per conseguire margini soddisfacenti diprofittabilit%. uesta circostanza può derivare da fattori di natura tecnica o fattori di tipo istituzionale:

1. i hanno fattori di natura tecnica quando una prima impresa, fornitrice di un input a una seconda,opera in contesti di efficienza, generando però un volume produttivo inferiore a quello auspicato daquest>ultima, che otterrebbe un sensibile incremento dei propri margini di profittabilit% daun>estensione della scala di produzione della prima: di conseguenza una strategia di integrazioneverticale da parte del beneficiario dell>esternalit% può favorire il conseguimento di unamassimizzazione congiunta dei profitti.

2. 1 hanno fattori di tipo istituzionale quando i soggetti coinvolti presentano funzioni obiettivo non

convergenti! tale situazione può essere determinata dalla diversit% del modello istituzionalecaratteristico dei vari attori coinvolti nella relazione. In questa situazione una strategia diintegrazione verticale da parte del soggetto avente finalit% di profitto permette di estendere la scala di

produzione, conseguendo superiori livelli di profitto.

. La #"ega"one teor"ca /a#ata #,lle caratter"#t"c'e delle tran#a"on"

5er transazione si intende qualunque relazioni di scambio tra due o pi& parti: ciascuna transazione, secondoKilliamson, presenta particolari caratteristiche, tali da comportare un diverso modello di governo. $i finidella nostra analisi, certe relazioni di fornitura di input possono sufficientemente operare una logica digoverno basata alternativamente sul mercato concorrenziale, sull>integrazione verticale oppure su situazioniintermedie. L>analisi di Killiamson fondata sulle caratteristiche delle singole transazioni appare quindimaggiormente aderente al comportamento reale delle imprese. uesta impostazione può essere interpretatacome un ponte teorico tra il paradigma strutturalista e quello strategico.

+.1. !a teoria di costi di transazione

I costi di transazione sono associati all>espletamento di determinati atti di scambio. "ontabilmente essipossono risultare nascosti, nel senso che non sono oggetto di specifica rilevazione, ma essi sono presenti trale diverse voci di costo in modo non chiaramente visibile. econdo Killiamson le imprese hanno una pienaconsapevolezza della loro presenza, al punto da assumere conseguenti comportamenti tesi a minimizzarli:l>integrazione verticale costituisce la soluzione organizzativa efficiente in presenza di elevati costi ditransazione. I costi di transazione sono, secondo Killiamson, determinati da due assunzioni comportamentalie tre variabili:A. Le assunzioni comportamentali sono:

a9 La razionalit% limitata: indica che gli attori presentano limiti nelle proprie capacit% cognitive, dicalcolo ed elaborazione delle informazioni dei diversi eventi di loro interesse.b9 L>opportunismo degli attori: consiste nel perseguire, con astuzia, finalit% egoistiche! si riferiscealla rilevazione incompleta o distorta di informazioni e specialmente ai tentativi premeditati disviare, distorcere, travisare, offuscare o confondere in altri modi.

B. Le variabili sono:a9 La specificit% delle risorse: deriva da investimenti in risorse materiali e immateriali specificirispetto ad una determinata transazione.b9 L>incertezza delle transazioni: ci si riferisce alla difficolt% di definire e( ante, nell>ambito dellacontrattazione di una data transazione, tutte le possibili conseguenze giuridico economiche.c9 La frequenza delle transazioni: si intende la ripetitivit% e la rilevanza economica delle

medesime! è evidente che se la transazione si caratterizza per un>elevata frequenza la soluzioneefficiente diviene l>integrazione efficace.

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"aratteristichedell’investimento

-on specifico isto pecifico

Frequenza

4ccasionale ercato concorrenziale 6overno trilaterale

#icorrente 6overno bilaterale Integrazione verticale

$ssumiamo inizialmente di lavorare con due soli variabili: la specificit% delle risorse e la frequenza delletransazioni: otteniamo cos1 sei diversi possibili tipi di transazioni ai quali possiamo associare quattroparticolari strutture di governo.A. Il mercato concorrenziale costituisce la forma pi& efficiente di regolamentazione degli scambi in contestidi assenza di specificit% delle risorse, indipendentemente dal grado di frequenza.B. Il governo trilaterale è richiesto in contesti di transazioni occasionali di tipo misto e specifico: essoconsiste nel far regolare la transazione ad un terzo, il quale risolve le possibili controversie che si possono

manifestare.@. -el caso di transazioni ricorrenti sostenute da investimenti misti, il governo bilaterale consiste nelformulare strutture organizzative finalizzate alla realizzazione di accordi di lungo periodo tra le particoinvolte nello scambio.G. Infine, nel caso di investimenti specifici e transazioni ricorrenti, è evidente l>interesse delle parti ad ungoverno unificato, fondato sull>integrazione verticale.L>altra variabile significativa considerata da Killiamson è l>incertezza della transazione, la figura riporta larelazione tra la frequenza della transazione e il suo grado di incertezza.

Incertezza della transazione 7assa $lta

Frequenza

7assa ercato concorrenziale "ontratti fondati sulla reputazionee notoriet%

$lta ercato concorrenziale Integrazione verticale

-ei casi riportati, si nota che l>incentivo economico affare integrazione verticale sia solo nel caso di elevatafrequenza e incertezza della transazione.

L>ultima figura riporta la relazione tra l>incertezza della transazione la specificit% dell>investimento richiesto.pecificit%dell’investimento

7assa per entrambi $lta per entrambi $lta per una e bassa perl’altra

Incertezza

$ta 3ipende dalla frequenza Integrazione verticale Integrazione verticale

7assa "ontratti spot "ontratti a lungo termine Integrazione verticale

+.2. ,lcune critic#e alla spiegazione transazionaleIn primo luogo, essa si focalizza sulle caratteristiche di un>unica transazione ma, in realt%, un>impresagestisce una pluralit% di transazioni tra loro assai diverse, sul piano economico, ma profondamente

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interconnesse. In secondo luogo, oggi non si può guardare alla transazione come un mero scambio di beni eservizi in senso stretto: essa si basa sempre pi& sulla definizione degli strumenti per rendere coerenti tra lorole diverse politiche di mar+eting tra le parti coinvolte. In terzo luogo, le caratteristiche delle transazioni sonofortemente condizionate dalle competenze maturate dai singoli attori, di conseguenza, è possibile avere peruna stessa transazione differenti strutture di governo a seconda dei soggetti coinvolti. In quarto luogo, le

caratteristiche economiche delle singole transazioni non sono esogenamente date, come stabilitonell>impostazione ortodossa, ma mutuano nel corso del tempo. Infine, l>innovazione istituzionale, tecnologiae dei mercati può generare la possibilit% di effettuare investimenti non specifici o di trovare nuoveopportunit% per riconvertire l>eventuale investimento specifico.

3. Le #"ega"on" teor"c'e *ondate #,l arad"g(a #trateg"co

3iversi autori sostengono che a determinare il grado di integrazione verticale è il comportamento strategicodelle imprese e non la natura esogena della transazione economica. Il paradigma strategico delinea diversifattori che determinano le scelte di integrazione verticale, essi si suddividono in due diversi ambiticoncettuali: le azioni strategiche di integrazione verticale lesive delle condizioni di libera concorrenza sui

mercati oppure quelle finalizzate a rafforzare legittimamente le proprie posizioni competitive. -el primoambito concettuale rientrano le strategie di deterrenza all>entrata, basate sul perseguimento dell>integrazioneverticale tramite le quali viene ostacolato l>ingresso nel settore da parte di un potenziale concorrente. -elsecondo ambito concettuale rientrano diversi fattori capaci di migliorare l>efficienza tecnica organizzativadell>impresa e la sua capacit% di innovazione sul mercato! tra di essi assumono particolare importanza:A. L>affidabilit% dei flussi di informazioni di mercato: in alcune situazioni, le imprese optano per strategie diintegrazione verticale al fine di migliorare i flussi informativi di mercato a loro diretti.B. La realizzazione di prodotti di elevata qualit%.@. Il miglioramento degli assetti logistici e del time to mar+et.G. La tutela economica delle innovazioni: in alcune circostanze la brevettabilit% non è giuridicamente

ammessa, ne deriva l>esigenza di tutelare l>innovazione tramite il presidio esclusivo di tecniche e tecnologie,evitandone l>esternalizzazione implicita nei processi di diverticalizzazione produttiva.?. La creazione di nuovi mercati con prodotti innovativi.In definitiva, il paradigma strategico spiega la scelta dell>integrazione verticale sulla base del fatto chel>organizzazione gerarchica consente di gestire risorse immateriali, quali quelle di informazioni e diconoscenza innovativa, in misura migliore rispetto ad una struttura deverticalizzata, composta da numerosisoggetti economicamente e giuridicamente indipendenti.7. Ver#o "l arad"g(a e%ol,"on"#t"co ne" roce##" d" "ntegra"one %ert"cale

L>integrazione verticale per poter essere effettivamente generatrice degli effetti economici positivi attesiall>interno dell>impresa, presuppone uno sforzo significativo di innovazione organizzativa. "on le dinamichedi integrazione di verticale l>impresa apprende modelli organizzativi capaci di accumulare conoscenze

appartenenti a differenti domini tecnologici e di mercato. uindi l>integrazione verticale, unita a nuovimodelli organizzativi interni all>impresa, può costituire lo start*up per nuovi sentieri strategici di sviluppo.

CAPITOLO 3 - LE STRATEGIE COMPETITIVE DI DIVERSI5ICAZIONE PROD4TTIVA

. La d"%er#"*"ca"one rod,tt"%a! a#ett" concett,al"

La diversificazione produttiva consiste nella realizzazione, da parte di un’impresa, di prodotti appartenenti asettori differenti, purch non appartenenti alla medesima filiera. i parla di differenziazione di prodottoquando l’impresa, pur gestendone una pluralit%, continua ad operare all’interno di un solo settore! alcontrario, un’impresa è diversificata se opera in almeno due settori diversi. Le strategie di diversificazione

produttiva attivano una nuova forma di concorrenza: quella multi*settoriale. -ella realt% esistono anchestrategie opposte alla diversificazione: le imprese escono anche da settori in cui fanno utili per concentrarsi

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su ciò che sanno fare meglio. La diversificazione dunque non implica sempre la conservazione dell’attivit%nei settori precedenti, ma può connettersi anche ad un loro abbandono.2. La d"%er#"*"ca"one rod,tt"%a! cla##"*"ca"on" econo("c'e

0sistono tre tipi di diversificazione:1. "orrelata 8nei prodotti correlati9: si intende un processo di inserimento in un diverso settore che

scaturisce da un insieme di interdipendenze tra quest’ultimo e i prodotti gi% realizzati dall’impresa!2. -ei mercati geografici: internazionalizzazione!

3. "onglomerale: si intende un processo di inserimento in un settore con caratteristiche completamente

nuove rispetto alla specializzazione tecnologica, commerciale e organizzativa dell’impresa.La diversificazione può estrinsecarsi in @ modi:

1. tesso processo, per nuovi prodotti e mercati: diversificazione marginale o correlata dal lato della

tecnologia!2. tesso mercato, con nuovi prodotti e diversa tecnologia: l’impresa detiene competenze commerciali

e di mar+eting che possono essere adeguatamente sfruttate nell’ambito del nuovo business.3. -uovi mercati, nuovi prodotti e diversa tecnologia: diversificazione radicale, assimilabile ad una

strategia di diversificazione conglomerale.

$. La d"%er#"*"ca"one conglo(erale

 3.2. !a diversificazione conglomerale: le determinanti economic#e

$lcuni autori hanno sottolineato il legame tra la maturit% del proprio business, gli elevati cash flo' di cuibeneficiano e l’esigenza di perseguire investimenti alternativi. L’espansione intra*settoriale può trovareun’altra fonte di limitazione per l’operare delle legislazioni antitrust. La diversificazione conglomerale ègiustificata sulla base logica economica di ripartizione del rischio tra attivit% non correlate, ossia quelle la cuiprofittabilit% non è influenzata reciprocamente. -egli anni pi& recenti si è manifestata una nuovadeterminante economica della diversificazione conglomerale: i processi di liberalizzazione di settori

dominati da aziende e( monopoliste pubbliche.

 3.3. !a diversificazione conglomerale: i fattori di vulnerabilità strategica

ul piano organizzativo, la diversificazione conglomerale si associa normalmente a processi di crescita pervie esterne 8acquisizioni9, che conducono nel tempo alla formazione di holding finanziarie di controllo dellediverse attivit% industriali! questo assetto pone, però, numerosi problemi di coordinamento e di controllodecisionale: ne deriva una strutturale asimmetria informativa e conoscitiva tra il management della holding equello delle imprese acquisite. In definitiva, con la diversificazione conglomerale, non si consegue unariduzione del rischio economico complessivo a carico dell’impresa, ma invece un suo incremento,conseguenza appunto della difficolt% di coordinamento e di selezione degli investimenti tra business diversi

ed indipendenti. ; comunque evidente che questi problemi, soprattutto oggi, dove le tecniche managerialisono supportate da strumenti informatici, non devono far sottovalutare i vantaggi della diversificazioneconglomerale.

&. La d"%er#"*"ca"one correlata

 4.1. !a diversificazione correlata: aspetti introduttivi

Ha)e+ afferma che la difesa migliore ad un mercato in declino non è tanto la scelta di un’attivit% del tuttonuova, quanto un nuovo prodotto che sia correlato funzionalmente alle ragioni che hanno portato al calodelle vendite e della profittabilit% del primo: la diversificazione conglomerale. uesta strategia richiede duecondizioni: una strategia che definisca un’area di attivit% in termini di funzione anzich di prodotto! un gradosufficiente di capacit% manageriali, tecnologiche e di mar+eting, tali da consentire innovazioni rapide edefficaci realizzazioni dell’innovazione. ; evidente che l’abbandono di un business in cui l’impresa ha

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sedimentato competenze e conoscenze tecnologiche, di mercati, di clienti, di prodotti per entrare in unonuovo in cui essa ne è priva, rischia di renderla ancor pi& vulnerabile.

 4.2. !a diversificazione correlata: le determinanti economic#e

1. La diversificazione correlata dal lato dell’offerta è indotta da una ridondanza di risorse strategiche,

sia di natura materiale che immateriale, sedimentale nel corso della storia all’interno di un’impresa.le determinanti di questa forma di diversificazione sono le economies of scope di natura tecnologica,commerciale, di mar+eting e di #E!a. La diversificazione correlata basata sulla tecnologia è quella usualmente pi& facile da

identificare sul piano empirico: essa corrisponde all’utilizzo di una medesima tecnologia per larealizzazione di prodotti diversificati.

b. La diversificazione correlata dal lato del mar+eting si ha quando le competenze specialistiche in

quest’area funzionale costituiscono un rilevante e ridondante asset strategico all’interno diun’impresa tale da poter essere utilizzato anche nell’ambito di altre produzioni diversificate,sebbene orientate allo stesso target di consumatori. -ormalmente, questo processo di

diversificazione si associa a strategie di crescita per vie esterne. In questa tipologia didiversificazione si pone un problema di brand connesso alla scelta strategica tra l’utilizzo di unmarchio ombrello da applicare all’intero portafoglio prodotti, l’acquisto di un marchioconsolidato presente sul mercato e la sua creazione interna e(*novo.

c. La diversificazione correlata indotta dagli investimenti in #E presuppone l’accumulo di

competenze scientifiche applicabili a pi& contesti settoriali, grazie alla natura inter*settorialedelle medesime.

2. La diversificazione correlata dal lato della domanda è connessa all’esistenza di un cluster di

consumatori con elevati gradi di fedelt% di acquisto nei confronti del prodotto realizzato daun’impresa. ualora tali consumatori esprimano schede congiunte di preferenza tra tale prodotto ed

altri potenzialmente realizzabili, l’impresa può avere un evidente incentivo a perseguire strategie didiversificazione. L’impresa tende a rafforzare stabilmente le relazioni commerciali con i propriclienti fedeli, offrendo loro prodotti diversificati, infatti, in un contesto di crescente competizionediviene estremamente difficile e costoso catturare i clienti dei concorrenti. 3al punto di vistamicroeconomico, la diversificazione correlata dal lato della domanda ha l’obiettivo di irrigidire lacurva di domanda dei propri prodotti, beneficiando di un premium price, oppure di determinare unatraslazione a destra. pesso, l’impresa, può beneficiare di economies of scope relative alle attivit% dimar+eting e di commercializzazione, preservando lo stesso messaggio pubblicitario, i canali didistribuzione e il marchio.

). Il (odello organ"at"%o della d"%er#"*"ca"oneTradizionalmente la strategia di diversificazione conduce a processi di crescita delle imprese alternative pervie interne o per vie esterne. La prima opzione è resa possibile dalla presenza all’interno dell’impresa dirisorse ridondanti coerenti con l’ingresso in un nuovo settore, questo avviene soprattutto nei casi didiversificazione correlata dal lato dell’offerta. La crescita per vie esterne, ovvero tramite processi di mergerE acquisition di imprese preesistenti, sembra connettersi invece a strategie di diversificazione conglomeraleoppure correlata dal lato della domanda. In entrambi i casi, in questa logica strutturalista, le determinanti deiprocessi di diversificazione correlata sono, in buona misura, le economies of scope: queste dipendono daiparticolari assetti interni creati e finalizzati a realizzare un’effettiva trasferibilit% della conoscenza tra lediverse unit% produttive o imprese coinvolte nella dinamica strategica della diversificazione.econdo 5orter, a parit% di ogni altra condizione, l’impresa deve scegliere una strategia di crescita per vieinterne, in quanto acquisire o fondersi con imprese preesistenti aventi una forte identit% e un senso elevatosenso organizzativo di autonomia porter% successivi problemi di integrazione organizzativa. La presenza di

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economies of scope non è quindi una condizione n necessaria n sufficiente ad argomentare teoricamenteuna linea di espansione diversificata tramite estensione della capacit% di controllo proprietario. Le impresediversificate assumono modelli organizzativi differenziati tra loro 8crescita interna, esterna, cessione a terzidi propri asset9, questo è spiegato dalla resource based theor): un’impresa effettua una valutazionecomparata tra l’e(plotation proprietario interno e la cessione economica all’esterno di tali economies of

scope, in cambio di ro)alties. ; evidente che le strategie di diversificazione attraverso cessione di propriasset a terzi verranno perseguite solo in contesti di reciproca fiducia e collaborazione tra imprese.

0. D"%er#"*"ca"one e (eta(or*o#" delle "(re#e

La storia delle imprese, soprattutto quando è di lunga durata, mostra fenomeni di metamorfosi piuttostoradicale. "iò si lega ai cambiamenti esterni di natura tecnologica, di mercato, istituzionale e ai mutamentiinterni relativi agli assetti di potere e di governo strategico dell’impresa. tale fenomeno si manifesta conprocessi di dismissioni di attivit% manifatturiere precedenti, e successivo ingresso in nuovi settori produttivi.-ei processi di metamorfosi di successo, la ricerca e l’ingresso in una nuova attivit% non sono casuali: esisteperlomeno un rilevante asset precedente, consolidato, che viene capitalizzato per la nuova intrapresa

settoriale.

. I cr"ter" d" ("#,ra"one della d"%er#"*"ca"one rod,tt"%a

i utilizzano due diversi indici:1. #apporto di pecializzazione 8#9: rapporto tra la produzione principale dell’impresa e la

produzione totale, si hanno quattro valori significativi:a. L’impresa opera in un solo campo di attivit% 8#MN,O?9

b. L’impresa opera in un campo dominante di attivit% 8N,PNQ#QN,O?9

c. L’impresa opera in diversi campi di attivit% correlati tra loro 8#QN,PN ma con rapporto ##MN,PN

definibile come la proporzione dei redditi attribuibile a un gruppo di attivit% in qualche modo

collegate9d. L’impresa opera in settori conglomerati 8#QN,PN e ##QN,PN9

2. "urva di diversificazione cumulata: sull’asse delle ordinate è posta la percentuale cumulata del

fatturato dell’impresa mentre sull’asse delle ascisse si riportano i settori un cui opera in ordinedecrescente di importanza. Tale indice presenta i seguenti limiti: è possibile che sia stato perseguitoun processo di diversificazione che ha modificato radicalmente il mi( settoriale in cui l’impresa èpresente! qualora due curve cumulative, relative a due periodi differenti della storia di un’impresa, siintersichino, l’interpretazione può risultare ambigua.

CAPITOLO 7 - LE STRATEGIE COMPETITIVE DI INTERNAZIONALIZZAZIONE

. Le #trateg"e d" "nterna"onal"a"one! a#ett" concett,al"

"on il termine internazionalizzazione si indica, in genera, il fenomeno della crescita delle imprese suimercati esteri. 4ggi si intende non solo allo svolgimento di attivit% all’esterno e alla connessa presenza diimprese estere nel proprio ambiente, ma anche ad una tendenziale attenuazione delle differenze a livellointernazionale di modalit% e metodologie operative, di caratteristiche, di regolamentazioni e comportamenti.

2. L’"nterna"onal"a"one co((erc"ale

ul piano storico, inizialmente l’internazionalizzazione ha carattere prevalentemente commerciale omercantile: queste strategie di internazionalizzazione si fondano tipicamente sulle esportazioni, senza la

costituzione di insediamenti produttivi nel paese/mercato obiettivo. L’esportazione permette un elevato gradodi flessibilit%, rendendo possibile un modello di competizione hit E run 8mordi e fuggi9, dal momento chel’entrata e l’uscita da un mercato estero non presentano particolari costi per l’esportatore dato che non ha

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sostenuto sun+ costs specifici. L’esistenza di una rete di vendita esterna all’impresa 8rappresentanti9 consenteun’esternalizzazione dei costi e dei rischi connessi all’attivit% esportativa e di vendita, ma diviene difficilel’istituzione di relazioni durature con i clienti finali e la trasmissione di informazioni affidabili sullecondizioni commerciali offerte dalla concorrenza o sull’evoluzione dei gusti e preferenze dei clienti. -ellungo periodo però la flessibilit% dell’esportatore, costituisce una leva di irrigidimento strategico.

$. Ver#o n,o%e log"c'e d" "nterna"onal"a"one! le d"#cont"n,"t+ e#ogene de" (ercat" e delle tecnolog"e

-egli anni ’ON si sono manifestate numerose discontinuit% esogene radicali. In primo luogo, emergono nuovetraiettorie tecnologiche basate sulla microelettronica da cui discendono nuovi modelli organizzativi dellaproduzione manifatturiera, della progettazione dei prodotti e delle relazioni comunicative tra attorispazialmente distanti. In secondo luogo, in questi anni tende a manifestarsi, con un’intensit% crescente, unaframmentazione e variabilit% della domanda di molti prodotti, la volatilit% dei mercati diviene elevata e ognitentativo di anticipazione delle tendenze diviene estremamente difficile. In terzo luogo, l’apparato delladistribuzione commerciale al dettaglio in molti paesi è andato modernizzandosi: si sono formate impresecapaci di gestire numerosi punti vendita organizzati secondo tipologie moderne. In quarto luogo, nascono

nuovi mercati di sbocco, anche per effetto di una crescente liberalizzazione degli scambi a livellointernazionale. Infine, in questi anni tendono ad affermarsi sui vari mercati nuovi competitors internazionali,in particolare asiatici, che si distinguono per una capacit% di offerta a prezzi altamente competitivi, grazie aminori costi di produzione: ciò accresce i livelli di competizione su scala internazionale.

&. L’"nterna"onal"a"one rod,tt"%a! a#ett" concett,al" e ta##ono("c"

-essun luogo di produzione può reputarsi autarchicamente sufficiente a dominare conoscenze scientifiche,tecnologiche, tecniche e commerciali necessarie a sviluppare forme competitive innovative su scalainternazionale. L’internazionalizzazione produttiva attiva investimenti finanziari, organizzativi e managerialinei paesi/mercati obiettivo, realizzando insediamenti aventi caratteristiche e finalit% assai diverse.

Le determinanti dell’internazionalizzazione produttiva sono differenti:1. -ecessit% di reperire fuori dal territorio nazionale risorse a basso costo 8resource see+ers9!

2. olont% di stabilire un presidio diretto sui mercati esteri 8mar+et see+ers9!

3. 3esiderio di razionalizzare la struttura produttiva esistente 8efficienc) see+ers9!

4. 0sigenza di accedere ad asset complementari di natura strategica non disponibili nella catena

nazionale del valore 8strategic asset see+ers9!uesta tassonomia non tiene tuttavia nella dovuta considerazione il fatto che le imprese possono perseguireuna pluralit% di obiettivi. $ questo fine analizziamo una diversa classificazione:

1. Internazionalizzazione produttiva indotta da fattori istituzionali!

2. Internazionalizzazione produttiva finalizzata al vantaggio di costo!

3. Internazionalizzazione produttiva finalizzata al presidio dei mercati esistenti!4. Internazionalizzazione produttiva finalizzata alla penetrazione in nuovi mercati!

5. Internazionalizzazione produttiva finalizzata ai learning mar+ets tecnologici e di consumo!

6. Internazionalizzazione produttiva finalizzata al completamento di risorse strategiche di mar+eting.

 4.1. !’internazionalizzazione produttiva indotta da fattori istituzionali

$nche l’attore pubblico ha un ruolo fondamentale nello stimolare e incentivare i processi diinternazionalizzazione delle imprese, sia in entrata che in uscita.

a) L’internazionalizzazione produttiva in entrata deriva da un processo istituzionale, pi& o meno

esplicito, teso all’attrazione di investimenti internazionali. uesto processo è deliberato e

intenzionale se specifiche normative prevedono incentivi agli investimenti produttivi realizzati daimprese estere. i parla di mar+eting territoriale di primo livello, quando è teso all’attrazione diinvestimenti di imprese estere indipendentemente dalle loro caratteristiche tecnologiche,

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organizzative e settoriali! il mar+eting territoriale di secondo livello è, invece, quando a meccanismidi attrazione di investimenti che appaiono specifici rispetto a determinati modelli tecnologici,organizzativi e settoriali d’impresa. L’investimento produttivo di imprese estere può anche derivareda un processo inintenzionale dell’attore pubblico.

b) L’internazionalizzazione produttiva in uscita può derivare da un processo pi& o meno intenzionale,

perseguito da soggetti istituzionali pubblici tramite adeguate strutture di incentivazione e disanzionamento. In particolare, si rilevano quattro determinanti:1. L’internazionalizzazione produttiva può essere finalizzata all’ottenimento di risparmi fiscali

consistenti!2. L’internazionalizzazione produttiva in uscita può essere indotta dalla vigenza di normative

ambientali restrittive rispetto a determinate fasi di lavorazione!3. $lcuni paesi emergenti, possessori della materia prima, stanno perseguendo strategie di

irrobustimento della propria struttura industriale, incentivando la lavorazione e trasformazionemanifatturiera delle materie all’interno dei propri confini nazionali!

4. $lcuni paesi industrializzati hanno cercato di stimolare i processi di acquisizione e di alleanze

tra le proprie imprese e quelle di paesi in via di sviluppo, spesso in conseguenza dei processi diliberalizzazione settoriale e di privatizzazione di imprese e(*pubbliche adottati da quest’ultimi.

 4.2. !’internazionalizzazione produttiva finalizzata al vantaggio di costo

L’obiettivo strategico è quello di abbattere i costi medi complessivi grazie al decentramento internazionale dideterminate fasi di lavorazione e può essere perseguito attraverso forme assai diverse, a seconda dellecaratteristiche strutturali del settore e delle specifiche strategie dell’impresa. 5ossiamo distinguere:

1. trategia di contenimento dei costi di logistica delle materie prime e prodotti finiti: attraverso

l’internazionalizzazione produttiva, a volte, si riescono a contenere i costi di spedizione.2. trategia di contenimento del costo del lavoro: nel caso in cui il decentramento riguardi aree in via di

sviluppo, le operazioni decentrabili sono solo quelle standardizzate, fortemente labour intensive, nonrichiedenti elevati sforzi di trasferimento del +no' ho' e della tecnologia. 5er poter attuare questastrategia sono necessarie alcune condizioni economiche ed organizzative:a. -ell’ambito della progettazione dei prodotti finiti, occorre poter procedere ad una

standardizzazione delle componenti e lavorazioni da effettuare nei cicli manifatturieri.b. Le imprese industriali committenti debbono poter operare con tempi di attraversamento della

produzione pi& lunghi, rispetto a quelli riferibili alla produzione effettuata totalmente in loco,contraddicendo la tendenza attuale a un rifornimento pi& frequente e tempestivo dei circuitidistributivi in molti settori dei beni di consumo.

c. Le imprese committenti, per garantire un adeguato controllo di qualit% dei diversi lotti produttivi,

debbono poter organizzare ispezioni direttamente presso tali subfornitori tramite propriopersonale tecnico specializzato.

Le imprese italiane hanno fatto meno ricorso a questa strategia in quanto:

• La loro minore dimensione media rispetto a quelle di altri paesi industrializzati!

• La presenza, nelle aree distrettuali, di un terzismo qualificato!

• La presenza di un ezzogiorno dove è possibile subfornitori che contengono il costo del lavoro!

• La variabilit% delle condizioni economiche connesse al costo del lavoro!

• L’esigenza di operare con una logica quic+ response applicata a lotti produttivi vari e variabili!

 4.3. !’internazionalizzazione produttiva finalizzata al presidio dei mercati esistenti

La scelta di localizzazione nei mercati esteri non assolve solo una funzione logistica o di promozionecommerciale ma anche di rafforzamento delle capacit% di captare, decodificare e interpretare nuovi segnali di

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mercato, riducendo i rischi di insuccesso delle proposte commerciali e aumentando i livelli di customersatisfaction.

 4.4. !’internazionalizzazione produttiva finalizzata alla penetrazione in nuovi mercati esteri

L’emergere di nuovi paesi acquirenti di prodotti finiti a livello internazionale ha progressivamente richiesto

alle imprese industriali sforzi organizzativi di localizzazione di unit% produttive in tali aree, al fine disuperare barriere istituzionali ed economiche all’e(port. i tratta di investimenti di tipo manifatturiero,indotti da normative nazionali sul commercio estero di stampo protezionistico o da difficolt% economiche dipenetrazione su tali mercati, che condizionano anche l’assetto degli scambi internazionali in generale. Lacondizione, dunque, per poter accedere a tali nuovi mercati diviene la localizzazione di unit% produttive,controllate o meno dal produttore. ; evidente che queste scelte richiedono un’elevazione delle capacit%manageriali di coordinamento e di controllo dell’impresa industriale, inoltre per penetrare stabilmente questipaesi è necessaria, quasi sempre, l’assistenza istituzionale di attori pubblici o privati.

 4.5. !’internazionalizzazione produttiva finalizzata ai learning mar-ets tecnologici e di consumo

L’internazionalizzazione produttiva può riflettere l’esigenza di internalizzare competenze e conoscenzeinnovative connesse alla #E e al mar+eting! ciò da luogo a due possibili strategie: la localizzazione neilearning mar+ets o il completamento di risorse strategiche di mar+eting.L’internazionalizzazione produttiva finalizzata al posizionamento sui learning mar+ets fa riferimento allalocalizzazione in aree mondiali dove si accumulano processi innovativi di conoscenze scientifiche applicateai processi produttivi oppure ai modelli comportamentali dei consumatori e ai loro stili di comportamento.I learning mar+ets di tipo scientifico*tecnologici sono luoghi dove si sono addensate competenze elevate, suscala mondiale, nell’ambito di un particolare settore! qui l’impresa industriale ha la possibilit% di acquisireinformazioni sulle principali traiettorie tecnologiche di suo interesse, sulle novit% maggiormente rilevanti intermini di prodotti innovativi e sull’esistenza di brevetti specifici e competenze scientifico*tecnologichecoerenti con i propri fabbisogni.

I learning mar+ets di consumo fanno riferimento ad aree mondiali dove si generano nicchie di consumo,destinate a divenire nell’arco di pochi anni di tipo globale! il vantaggio di essere pervenuti in questi mercatista nel fatto che l’impresa, quale first mouver, acquisisce in anticipo informazioni, soft signals e indicazioniqualitative sull’emergere di questi nuovi modelli di consumo. L’idea di localizzarsi nei learning mar+ets diconsumo deriva evidentemente anche dalla crisi della logica pianificatoria applicata al mar+eting, derivatanon solo dalla lunghezza dei tempi per l’analisi e l’elaborazione e dagli elevati costi, ma anchedall’incapacit% di cogliere in profondit% differenze e analogie nei comportamenti di consumo. pesso, ilearning mar+ets di consumo coincidono con siti dove è presente una cultura sociale della contestazione,della differenziazione sociale, del radicalismo verso forme consolidate e diffuse di consumo.

 4.6. !’internazionalizzazione produttiva finalizzata al completamento di risorse strategic#e di mar-etingL’internazionalizzazione produttiva può essere finalizzata all’acquisto di imprese oppure all’istituzione diaccordi e alleanze strategiche con altre imprese, su scala transazionale, per lo sviluppo e il perseguimento diattivit% di co*mar+eting.

). Il (odello organ"at"%o nell’"nterna"onal"a"one rod,tt"%a

La diversa finalit% competitiva perseguita con le strategie di internazionalizzazione produttiva si rifletteanche sul piano del modello organizzativo adottato. -ella forma pioneristica, si assiste ad un trasferimento,da parte delle imprese coinvolte, di risorse e capacit% tecnologiche dal paese di origine ad un altro,conservando però l’unitariet% e l’esclusivit% degli asseti proprietari e gerarchizzando i relativi processi

decisionali, senza concedere margini di autonomia progettuale e strategica all’unit% produttiva estera.uccessivamente questo modello si è evoluto verso un maggior grado di radicamento nei singoli contestiproduttivi. Inizialmente, il modello tradizionale della multinazionale ha concesso maggiori gradi di

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7/21/2019 strategie Competitive e organizzative d'impresa

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autonomia progettuale e strategica alle proprie consociate estere, favorendo l’immissione di professionalit%qualificate e di manager espressione del contesto locale. L’impresa multinazionale tradizionale si è trovata difronte processi di contaminazione culturale tra i propri managers, che di fatto hanno accresciuto le capacit%di monitoraggio e di interpretazione dei vari mercati esteri. L’internazionalizzazione finalizzata alconseguimento di vantaggi di costo ha apparentemente arrestato questo progressivo radicamento all’estero.

In una fase pi& evoluta la multinazionale ha perseguito strategie completamente nuove, come Roint venture eaccordi di cooperazione, con gli attori locali. La presenza contestuale su pi& mercati diviene una condizioneche consente l’apprendimento di formule innovative dal punto di vista organizzativo, tecnologico,scientifico, di prodotto e di mercato. In questa logica di internazionalizzazione, detta di tipo comunicativo,dato che l’oggetto di scambio sono le conoscenze, l’impresa tende a divenire transnazionale.; evidente che l’allargamento delle frontiere spaziali determina un’elevazione dei costi di transazionederivanti da diversi fattori, quali l’assenza di rapporti consolidati di fiducia reciproca e la presenza dicondizioni di strutturale asimmetria informativa e conoscitiva sui costi di produzione.Inoltre, le differenze culturali hanno generato modus comportamentali e relazionali che possono renderedifficile il processo di integrazione organizzativa e le diversit% normative ed istituzionali possono rendere

problematica la stesura di accordi. Infine, resta evidente il problema di rinnovare il reciproco vantaggiostrategico al fine di garantire un adeguato livello motivazionale dei diversi partners.