Storie di questo mondo numero 3

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INTERVISTA Conversazione con Maurizio Ambrosini PUNTO DI VISTA Il diritto di cittadinanza INCONTRI Voci dal CIE di Gradisca di Isonzo Connecting STORIES Il dossier del convegno Troppe storie sembrano storie dell’altro mondo, ma lo spazio in cui accadono è qui e ora. trimestrale del Consorzio Connecting People - reg. trib. di Trapani N° 323 del 17/07/2009 - distribuzione gratuita ANNO 2 - N° 3 - GENNAIO 2010 periodico di culture migranti e dell’accoglienza

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rivista sull'immigrazione edita dal consorzio connecting people

Transcript of Storie di questo mondo numero 3

Page 1: Storie di questo mondo numero 3

INTERVISTAConversazione conMaurizio Ambrosini

PUNTO DI VISTAIl diritto di cittadinanza

INCONTRIVoci dal CIEdi Gradisca di Isonzo

ConnectingSTORIESIl dossier del convegno

Troppe storiesembrano storiedell’altro mondo,ma lo spazioin cui accadonoè qui e ora.

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periodico di culture migrantie dell’accoglienza

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2010

Se hai una storia da raccontare, se vuoi segnalare progetti, idee o esperienze, se desideri indicare destinatari che vorresti ricevessero il nostro periodico, puoi inviare una email a: [email protected]

Editore/proprietàConsorzio Connecting People

Direttore responsabileGiorgio Gibertini

Coordinamento editorialeSerena Naldini

Progetto graficoGiancarlo Ortolani / Tribbù

Impaginazione e stampaStudio Tribbù di Coop. Soc. SciarabbaVia Dafnica 90, 95024 Acireale (CT)

In redazioneAlessia Barbagallo,Abdelkarim Hannachi,Giovanni Maiolo, Serena Naldini, Blaise Ndamnsah, Salvo Tomarchio

editoriale 1Cittadinanza e integrazione

intervista 2Il mondo non è un film westerndi Serena Naldini

news 6Notizie e curiosità da Roma, Caulonia, Genova, Castelvetrano

dossier Connecting Stories 8L’integrazione? Una scelta di campodi Serena Naldini

dossier Connecting Stories 10La ricerca non basta. Occorre fare. E immaginaredel Prof. Mario Morcellini

punto di vista 12Immigrati o nuovi cittadini?di Abdelkarim Hannachi

incontri 16Una voce dal CIE di Gradisca d’Isonzodi Serena Naldini

press 20Rassegna stampa di Connecting Peopledi Salvo Tomarchio

media connecting 21Recensione de “Immigrazione - Dossier Statistico 2009” - Caritas/ Fondazione Migrantesdi Alessia Barbagallo

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Sono varie le ragioni di diseguaglianza tra i giovani della nostra società: il livello d’istruzione della famiglia, il numero di componenti del nucleo, il territorio di pro-venienza. Questioni che interpellano ognu-no di noi, sulle quali si discute e si pongono istanze alla politica in qualità di cittadini. Ci aspettiamo scelte di riguardo per le fa-miglie con più figli, perché i bambini sono il nostro futuro. Come cittadini, infatti, abbiamo doveri e responsabilità, in primis nei confronti di coloro che ancora non esistono o che muovono adesso i primi passi. Ma tra i residenti in Italia, ci sono anche 4 milioni di persone che hanno poca o nessuna voce, pur costruen-do insieme a noi la ricchezza del Paese: i non-cittadini. Tutti gli studi affermano che senza gli stranieri che rinsaldano le file dei lavoratori, avremmo un tenore di vita infe-riore e le esigenze di cura degli anziani e dei bimbi ci costringerebbero alla scelta tra lavoro e famiglia. Il fenomeno migratorio inoltre non è un passaggio dopo il quale “si torna a casa”. Circa il 20% degli stranieri è minorenne: perché questi bambini cresciu-ti in Italia dovrebbero un giorno decidere

di trasferirsi nel paese dei propri genitori?Le aree ricche del Paese conoscono migra-zioni interne sin dal secolo scorso, senza le quali una città come Torino sarebbe stata condannata al declino. Anche la ten-sione tra migranti e abitanti è cosa nota e sperimentata. C’è però un elemento di differenza che caratterizza questi nuovi migranti. Senza il diritto al voto, partono svantaggiati. È difficile perseguire la nuova

frontiera dell’inte-grazione senza un inizio sulla stessa linea. Le ragioni di diseguaglianza con cui abbiamo aperto questa riflessione sono già abbastanza

influenti senza che alle stesse si aggiungano l’esclusione dai meccanismi del consenso e la discriminazione tra residenti e cittadini.

P.S. Mentre Storie era in costruzione, al CIE di Gra-disca è arrivato un pacco bomba, esploso senza ferire nessuno. Avrebbe potuto farlo. Dedichiamo questo numero a coloro che offrono accoglienza e assistenza medica, legale e psicologica a per-sone private della loro libertà, e per questo sono calunniati, minacciati, e adesso rischiano anche la propria incolumità. A pagina 20, trovate la lettera inviata ad Avvenire dopo l’accaduto.

Cittadinanza e integrazione

“E’ difficile perseguire la nuova frontiera dell’integrazione senza un inizio sulla stessa linea”

Mauro MaurinoConsigliere amministrazione

Connecting People

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Il mondo non è un film western

Conversazione con Maurizio Ambrosini, professore di sociologia dei processi migratori

presso l’Università di Milano

di Serena Naldini

Quello che segue è l’estrat-to di un’intervista telefo-nica di Mauro Maurino a

Maurizio Ambrosini, professore di sociologia dei processi migratori presso la Facoltà di Scienze Poli-tiche dell’Università di Milano, da molti anni attivo nel campo della ricerca sui temi dell’immigrazione e dell’accoglienza.

Che cosa vuol dire essere citta-dini in Italia?

La cittadinanza è un concetto complesso con diversi significati: l’uguaglianza, la possibilità di par-tecipare attivamente alle decisio-ni, il godimento di benefici sociali, il riconoscimento come soggetto che fa parte della società. In virtù della semplice residenza, sono concessi solo alcuni diritti, ma non altri, non tutti.

Al fianco di uno zoccolo sicuro di diritti, esistono quindi dei privi-legi non riconosciuti a tutti?

Esatto. Si tratta di un sistema molto peculiare, molto italiano. Nei paesi anglossassoni, le no-stre regole sarebbero soggette al severo vaglio delle leggi an-tidiscriminatorie e difficilmente potrebbero essere mantenute: non è pensabile, infatti, che un diritto sia differenziato in base all’origine etnica. Mi riferisco per esempio al bonus bebè per gli

italiani oppure al diritto di culto che tende a non essere garantito a tutti in egual misura. Il non riconoscimento dei diritti politici si riverbera sulla difficol-tà dello Stato a concedere agli stranieri diritti civili e sociali. I cittadini del sud emigrati al nord non hanno dovuto sottostare a pressioni istituzionali, perché il loro status di cittadini garantiva loro l’accesso al pubblico impie-go. Questo è un altro vantaggio dell’essere cittadini.

intervista

Maurizio AmbrosiniÈ docente di Sociologia dei processi migratori e Sociologia urbana presso l’università di Milano, Facoltà di Scienze Politiche. E’ responsabile scientifico del Centro studi Medì-Migrazioni nel Mediterraneo, di Genova, dove dirige la rivista “Mondi migranti” (FrancoAngeli ed.) e la Scuola estiva di Sociologia delle migrazioni. Fa parte del comitato scientifico del Dossier immigrazione di Caritas-Migrantes.

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Che cosa ne pensa della propo-sta di legge in discussione alla Camera, in particolare all’art. 3 nel quale si subordina l’ac-quisizione della cittadinanza italiana “alla frequentazione di un corso, della durata di un anno, finalizzato all’appro-fondimento della conoscenza della storia e della cultura italiana ed europea, dell’edu-cazione civica e dei principi della Costituzione italiana, propedeutico alla verifica del percorso di cittadinanza [...] e al rispetto, anche in ambito fa-miliare, delle leggi dello Stato e dei principi fondamentali della Costituzione?”

Si tratta di una dichiarazione po-litica che mette sotto sospetto i cittadini stranieri come possibili elementi di eversione delle pra-tiche sociali o dei cosiddetti va-lori della nostra società. Ritengo comunque ragionevole che per partecipare da cittadini adulti alla vita italiana si debba avere cognizione del dibattito, quindi della lingua e di un minimo di cultura e storia del paese.

Quindi salverebbe il principio.

Sì, ma un anno cosa significa? Un anno di corso intensivo porte-rebbe gli stranieri a conoscere la costituzione meglio degli italiani. Così definita, la proposta sembra voler configurare una norma che ostacola l’accesso alla cittadinan-za. Anche l’idea di poter scrutinare

atteggiamenti, valori e comporta-menti familiari sembra caratteriz-zare uno stato etico, ed è molto lontana dall’immagine di stato occidentale moderno nella quale ci riconosciamo pubblicamente.Vorrei comunque sottolineare che non ci sono innocenti su questo argomento. Il mondo non è un film western con i buoni e i cattivi. I governi di centro sinistra con la Turco-Napolitano hanno rinunciato a modificare le leggi sulla cittadinanza. Il conflitto in essere rivela una visione restrittiva e contraddit-toria dell’identità nazionale: da un lato, si presume ben definita e, dall’altro, si ritiene che debba essere difesa dall’intervento di popolazioni alloctone. Ma nelle rappresentazioni più diffuse del problema, non tutti i migranti rappresentano una minaccia. La

povertà, e non la differenza cul-turale, è percepita come il princi-pale fattore di rischio. Per questo è ritenuta pericolosa la migra-zione da paesi poveri seppur di tradizione cattolica, mentre non spaventano allo stesso modo i giapponesi o i coreani.

Quali sono le ragioni principali che rendono la cittadinanza una conquista importante? Di fatto i migranti desiderano diventare cittadini, almeno la maggior parte degli stessi, per-ché questa acquisizione dà più diritti. La questione però non è il dilemma tra diventare o non di-ventare cittadini, ma le caratteri-stiche del percorso per acquisire questo status. Se al pacchetto cittadinanza si associano troppi

intervista

Le amministrazioni comunali possono faci-litare il dibattito e forzare le tappe per dare cittadinanza agli stranieri. E a volte lo fanno. Sono ormai numerose le delibere comunali che in questi anni hanno concesso diritto di voto attivo e passivo per le elezioni ammi-nistrative agli stranieri residenti sul terri-torio di competenza da almeno 5 anni. Ma Torino, Genova, Pisa, Caulonia (RC) e altre

città si sono viste annullare le loro delibere dal Consiglio dei Ministri, poiché incompati-bili con il nostro ordinamento e su materie non di loro competenza. Eppure il segnale politico va raccolto, perché nel nostro pa-ese stanno cominciando a essere molte le amministrazioni che colgono l’importanza di chi, pur non cittadino, vive e contribu-isce alla crescita delle nostre comunità.

I comuni italiani e il voto agli stranieri

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diritti si creano degli italiani di carta. Bisognerebbe bilanciare meglio i privilegi della cittadi-nanza rispetto ai privilegi con-cessi ai lungoresidenti.

Vorrei ricordare che i protago-nisti delle rivolte delle banlieues parigine erano cittadini. La citta-dinanza è una via all’integrazione ma non una bacchetta magica. Non trasforma lo straniero in una persona integrata. È piuttosto una mano tesa che consente agli immigrati di accedere ad alcuni vantaggi, soprattutto avere un peso sul piano elettorale otte-nendo rispetto, riconoscimento e benefici da parte delle istituzioni.Gli italiani all’estero, pur non aven-do alcun vincolo reale di responsa-bilità, impegno e partecipazione alla vita italiana, possiedono un grande potere sul nostro paese, in virtù del diritto di voto. Mi chie-do perché questo diritto venga negato alle persone straniere che vivono in Italia, pagano le tasse e contribuiscono al Pil nazionale. Abbiamo una concezione tribale della cittadinanza. Si è italiani perché si ha qualche goccia di sangue italiano o perché si sposa un italiano. Il 50% delle acquisi-zioni dello status di cittadino nel 2008 è avvenuto per matrimonio.

Che cosa pensa della doppia cittadinanza?

L’Italia l’ammette. D’altra parte se togliamo all’immigrato que-sto diritto rendiamo impossibile un ritorno al paese d’origine, che invece dovremmo mantenere possibile se non altro per sgra-varci dell’assistenza sanitaria. Inoltre, intraprendere, acquista-re immobili, o altre azioni come queste sarebbero più complicate se non fosse tollerata la doppia cittadinanza. Questi sono i rifles-si pratici, ma ci sono ovviamente anche significati simbolici.

Ha parlato di imprenditoria. Mi sembra che ci sia molta enfasi sul tema della scuola come luogo dell’integrazione. Non trova che le imprese in un pacchetto inte-grazione potrebbero avere un ruolo altrettanto importante, rivitalizzando per esempio trac-ce del vecchio sistema di welfare mutualistico?

La sua ipotesi non è priva di senso. Mi sembra tuttavia problematica da mettere in piedi. Va contro la mobilità, per esempio, sia volonta-ria, sia involontaria. La crescita dei contratti atipici congiura contro

intervista

BIBLIOGRAFIA Alcune pubblicazioni a cura del Prof. Maurizio Ambrosini

Un’altra globalizzazione. La sfida delle migrazioni transnazionaliEdizioni Il Mulino, 2008 Sociologia delle migrazioniEdizioni il Mulino, 2005 Richiesti e respinti. L’immigrazione in Italia. Come e PerchéEdizioni Il Saggiatore, Collana La Cultura, 2010 Intraprendere tra due mondi. Il transnazionalismo economico degli immigratiEdizioni Il Mulino, 2009 Migrazioni e societàEdizioni Franco Angeli, 2009

“Abbiamo una concezio-ne tribale della cittadi-

nanza. Si è italiani perché si ha qualche goccia di

sangue italiano o perché si sposa un italiano”

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ipotesi pur interessanti di welfare aziendale. Per queste e altre ra-gioni, ci siamo allontanati un po’ da questo sistema, anche se, per qualche aspetto, se ne registra un ritorno, per esempio con gli asili nido aziendali. Si dovrebbe forse suggerire la mag-gior responsabilità sociale dell’impre-sa attraverso rap-porti trilatelali con associazioni, sin-dacati, istituzioni locali. Ad esempio, se utilizzi lavoratori immigrati potresti essere coinvol-to in progetti di integrazione nella società. Pensando non alle impre-se, ma alla società civile, io avrei una proposta. Mi piace l’idea della famiglia sponsor.

Il mio modello è quello della parrocchia e della famiglia che si offre come punto di riferimento per i nuovi arrivati italiani o immi-grati supportandoli ad esempio nella scelta del medico, nell’in-

dividuazione del supermercato più conveniente, nel disbrigo di prati-che burocratiche, insomma in tutte quelle difficoltà che impattano sull’in-tegrazione locale degli immigrati. Il progetto potrebbe

condurre a intrecciare relazioni, inviti a cena, figli che giocano in-sieme... Si potrebbe, a costo zero, fare qualcosa di più coinvolgendo la società civile.

Alla Convention Cgm lei ha dichiarato qualcosa che ci ha fatto discutere, ossia che il fe-nomeno migratorio rappresen-ta la strategia di risposta della classe media per mantenere i privilegi nel proprio paese.

Confermo. Se si intervistano le ba-danti ucraine, magari si scopre che sono qui per costruire casa al paese di origine. L’immigrazione spesso si associa a progetti e stili di vita pro-pri della classe media, così come l’estrazione sociale dei migranti è un’estrazione di classe media, ma-gari impoverita. Quando in Ecua-dor hanno interrotto il pagamento degli stipendi ai dipendenti pubbli-ci, questi sono emigrati. Nelle Filip-pine ormai ci sono giovani che studiano all’università, già con in testa il progetto di emigrare.

intervista

“La cittadinanza èuna via all’integrazione ma non una bacchetta magica. Non trasforma

lo straniero in una persona integrata.

È piuttostouna mano tesa”

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ROMA

Fazi editore indice un concorso letterario per i migranti di seconda genera-zioneUfficio StampaConnecting People

Romanzi, mémoires e raccolte di racconti inediti, non neces-sariamente opere prime, scritti in italiano, senza alcun limite di età per i partecipanti. Questo è l’oggetto del concorso letterario dedicato ai migranti di seconda generazione promosso dalla casa editrice Fazi, con il patrocinio del Salone del Libro di Torino. Fino al 28 febbraio 2010 è possibile inviare il proprio manoscritto alla casa editrice. Una giuria di qualità, composta da critici let-terari e personalità del mondo della cultura, sceglierà l’opera vincitrice entro il 30 aprile 2010. Il primo premio consiste nella pubblicazione dell’opera entro il 2010 e in un anticipo di 3000 euro sul contratto di edizione. La cerimonia ufficiale di premiazio-ne si terrà nel corso del prossimo Salone del Libro di Torino.

Per approfondimentiwww.fazieditore.it/dettPrimoPiano.aspx?id=60

CAULONIA (RC)

Chi sonoi palestinesiarrivati a Riacee Caulonia?di Giovanni MaioloSPRAR Caulonia

È una storia lunga e travaglia-ta quella dei rifugiati accolti nei giorni scorsi da Riace e Caulonia. Una storia che racconta di esodi, di discriminazioni, di abbandono. Nel ’48, nel ’67 e nel ’91 ci furono le ondate che videro muoversi dalla martoriata terra di Palesti-na, in particolare da tre villaggi di Jaffa, le persone che oggi si trovano nella Locride o i loro ge-nitori. Dovettero andare via ed arrivarono in Iraq, a Baghdad. In Iraq le cose andavano bene, le famiglie erano ormai integrate, avevano anche un buon tenore di vita, i ragazzi studiavano. Se-condo l’Onu erano in 23.000. Nel

2003 dopo l’ennesima guerra a Baghdad ne sono rimasti meno della metà, circa 10.000 perso-ne. I palestinesi partiti avevano documenti falsi, unico modo per uscire dall’Iraq. Gli unici dispo-sti ad aiutarli furono i membri dell’Unhcr, l’Alto Commissariato per i Rifugiati delle Nazioni Uni-te, che creeranno il campo di Al Tanf, tra due muri che delimitano i due confini. Tra Iraq e Siria. In terra di nessuno. Quasi tutti han-no una qualifica professionale.Nessun coinvolgimento politico, si tratta di gruppi basati sull’ap-partenenza familiare e sull’appar-tenenza allo stato che non c’è, non sono integralisti né conservatori. Il campo che li ha accolti dopo la fuga dall’Iraq è stato aperto nel 2006. Un campo di tende, perché provvisorio. In pieno deserto, con un’escursione termica terrifican-te. In questi anni sono stati total-mente dipendenti dall’assistenza fornita dall’Unhcr per le tende ed i generatori di energia elettrica. Per le forniture di cibo ci hanno pensato, e continuano a farlo, il World Food Program della Fao e la mezza luna rossa palestinese. Il picco di presenze ad Al – Tanf è stato di 960 “ospiti”. Attualmente nel campo risiedono 540 perso-ne. Al Tanf ora deve essere chiu-so e i paesi europei che hanno accettato di accogliere i profughi palestinesi, si stanno adoperando in progetti di re-inserimento. Per il nostro Paese sono state scelte Caulonia e Riace, sempre più luo-ghi dell’accoglienza ed oasi soli-dali nel deserto della Locride.

news

Un momento dell’incontro trail Sindaco di Caulonia e i migranti

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GENOVA

11-13 novembre ‘09Convention Cgm di Serena NaldiniResp. Comunicazione Connecting People

Tre giorni di incontri, dibattiti, seminari. E cortometraggi per alimentare le riflessioni con la concretezza del quotidiano. Molto emozionante la tavola rotonda sui fenomeni migratori realizzata alla Convention Cgm di Genova. La giostra di inter-venti, mediati da Gianfranco Fabi di Radio 24, ha fatto risuonare il silenzio attento di circa 1.000 persone, all’ascolto di riflessioni che, traendo spunto dall’espe-rienza concreta, hanno lasciato emergere con grande chiarezza la profondità del tema, capovol-gendo a tratti alcune facili lettu-re. Tra gli altri, Giuseppe Scozzari (presidente Connecting People), Maurizio Ambrosini (docente Università di Milano), Mario Mor-cone (capo dipartimento per le Libertà Civili e l’Immigrazione) hanno sottolineato, ognuno dal suo punto di vista, come la mi-grazione dei popoli sia un tema bruciante, per molti anni tenuto sottotraccia dalla nostra società e dalle nostre imprese, che appa-re oggi in tutta la sua evidenza come una delle questioni cruciali del futuro. Il seminario ha richia-mato l’urgenza di raccontare la verità su ciò che sta accadendo, superando visioni pietiste e

tentazioni esclusive per guardare alla realtà per quella che è: com-plessa, irriducibile a schematismi o ideologie, e soprattutto ricca di opportunità di crescita. Cercare di comprenderne le sfaccettatu-re è il primo passo per costruire interventi al passo con i tempi.

CASTELVETRANO (TP)

E’ nata agri-insiemeRedazione Connecting People

Il 31 luglio 2009 a Castelvetrano è stata fondata la Società Agricola Agri-insieme, cooperativa sociale di tipo A e B. La cooperativa ha per oggetto sociale l’organizzazione di attività agricole per favorire processi di promozione umana e integrazio-ne sociale, attraverso l’inserimento nel mondo del lavoro di soggetti svantaggiati, con una particolare attenzione agli immigrati extraco-munitari presenti sul nostro territo-rio. Le attività comprendono lavorazioni agricole a favore di terzi con propri mezzi, progettazione e manutenzione del verde pubblico e privato, progettazione e gestione di iniziative agrituristiche, promozione e gestione di tutta la filiera agro-ali-mentare, dalla produzione alla com-mercializzazione di prodotti agricoli, promozione di iniziative medico-psico-pedagogico e sociali volte a favorire lo sviluppo e il recupero so-ciale, psico-intellettuale, motorio dei soggetti svantaggiati nelle

strutture educative, scolastiche e sociali e nel mondo del lavoro (pet therapy, ippoterapia, ecc…), pro-mozione della formazione di opera-tori e di volontari che operino nell’ambito degli scopi che si prefig-ge la cooperativa. I soci fondatori di Agri-insieme sono Valentina Aiello (presidente), laureata in agroinge-gneria alla Facoltà di Agraria di Pa-lermo, Gianvito Giancotieri (vicepresidente), architetto, Gaspare Mauro, imprenditore agricolo, Kossi Dijika, ingegnere topografico laure-ato in Africa e mediatore culturale, cooperativa sociale Airone, il prof. Giacomo Scozzari che ormai da anni si occupa di cooperazione sociale, Giuseppina Rizzo laureata in inge-gneria informatica in Venezuela, Vincenzo Campagna, imprenditore agricolo e Tawfig Okediji, elettro-meccanico nato in Nigeria.

news

La fontana della Ninfa a Castelvetrano

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L’integrazione? Una scelta di campodi Serena NaldiniResp. Comunicazione Connecting People

“Denuncio la scarsa propensione a discutere seriamente di questi temi,” ha dichiarato Mauro Mauri-no, consigliere di amministrazione di Connecting People, in un’inter-vista a Radio Mater in diretta dal convegno Connecting Stories. Anche per questo, qualche mese fa il consorzio ha deciso di non

limitarsi alla gestione dei centri per migranti, seppure si tratti di una missione preziosa, delicata ed estremamente stimolante, come tutto ciò che mette al centro l’uo-mo, i suoi bisogni e i suoi sogni. Il convegno e il percorso di cui è frutto nascono dal desiderio di riportare i temi dell’immigrazione e dell’accoglienza alla profondità che meritano, sfumando i confini di ogni approccio di tipo ideologi-co. A coloro che sostengono che i migranti vanno solo accolti, senza vincoli o restrizioni, poiché vittime di drammi, si contrappongono co-loro che stigmatizzano lo straniero

come minaccioso. L’uomo sparisce, quindi, inghiottito dall’immagine di vittima da assistere o pericolo da combattere. Su questo sfondo, si accende lo scontro tra coloro che ritengono centri per migranti luoghi in cui vengono perpetrati

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connectingstories NARRAZIONI

E RAPPRESENTAZIONISULLO STRANIERO

dossier

Mons. Sigalini, Vescovo di Palestrina(foto studio Tribbù)

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crimini contro l’essere umano e coloro che considerano l’esistenza di tali centri come un problema per le comunità locali.Discutere seriamente di questi temi significa innanzitutto provare a in-taccare e ad affrancarsi dalle imma-gini stereotipate dello straniero per entrare nella dimensione più morbi-da, più complessa delle visioni, delle opinioni, delle percezioni, delle narrazioni di individui e gruppi. Questo è stato l’obiettivo delle ricerche commissionate da Con-necting People alle associazioni Parsec e Etna - con il contributo scientifico dell’Unità Psicosociale e di Integrazione Culturale dell’OIM - nel centro per migranti senza documenti di Gradisca d’Isonzo, nei centri per richiedenti asilo di Gradisca e Brindisi e nel centro di primo soccorso e accoglienza di Cagliari, i cui risultati sono stati presentati nel corso del convegno. Il prefetto Morcone, nella sua rela-zione ricca di spunti, ha riconosciu-to a Connecting People il merito di aver aperto i centri ai territori, all’università, alle associazioni, contribuendo in tal modo a resti-tuire alla migrazione e all’acco-glienza uno sguardo di profonda complessità. Ha inoltre espresso la necessità di non piegare i servizi e le politiche dell’immigrazione ai soli criteri del consenso. Sulla stessa linea, Monsignor Sigalini che durante il suo appassionato intervento, ha invitato le onorevoli Sbai e Gatti, entrambe presenti alla tavola rotonda, a lavorare su un pacchetto accoglienza dopo il pacchetto sicurezza.

Connessioni di storie, storie che connettono, storie di connessioni, storie per connettersi o rimanere in connessione. “C’è una parte di ricchezza che tendiamo a non vedere,” ha dichiarato Maurino a Radio Mater. “Cerchiamo di raccontare entrambe le parti del processo migratorio: il dramma, ma anche la bellezza, l’opportuni-tà, la possibilità di crescita per gli individui e per la società.”

Sull’utilità di questo approccio si è espresso anche Toni Mira, capo-redattore di Avvenire e modera-tore della tavola rotonda, che ha affermato: “Una notizia positiva, soprattutto in settori associati spesso alla cronaca nera, è una signora notizia: la prima che vor-remmo raccontare.” Definita dall’on. Sbai una “giornata nobile”, questa del 30 di ottobre è il primo appuntamento di un

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dossier

Tra i presenti anche Toni Mira, caporedattore di Avvenire, il Prefetto Mario Morconee il dott. Humburg dell’ Unhcr Italia (foto studio Tribbù)

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percorso di confronto con il quale intendiamo dare il nostro contri-buto per superare le barriere del pregiudizio, per costruire ponti, al di là di diffidenze e paure.“Tutto questo non è facile,” sostie-ne Giuseppe Lorenti, responsabile formazione e ricerca di Connecting

People, nella prefazione del volu-me Visioni di Confine “Non lo è mai stato e mai lo sarà, ma è una sfida che noi abbiamo raccolto e che vogliamo giocare fino in fondo. Lavorare per l’integrazione è un cammino lungo e faticoso, ma è la nostra scelta di campo.”

La ricercanon basta.occorre fare.E immaginareStralcio dall’intervento al convegnodel Prof. Mario MorcelliniPreside Facoltà Scienze della Comunicazione, Università La Sapienza

Credevamo che il progresso e il nuovo secolo avrebbero portato tempi di pace, di immigrazione e integrazione. Hanno invece por-tato a un’incredibile, spietata ef-fervescenza di segni negativi, per esempio alla cronaca nera costrui-ta sul migrante. La nostra sensibili-tà - non solo quella etica ma anche quella estetica - sembra abbastan-

dossier

Le pubblicazioniIl consorzio Connecting People ha sviluppato due ricerche - con il coordinamento scientifico dell’Unità Psicosociale e di Integrazione Culturale dell’OIM, del Parsec di Roma e dell’Associazione Etna di Roma - finalizzate alla conoscenza e all’interpretazione dei movimenti profondi che la presenza di centri e cittadini migranti producono nelle comunità locali e delle rappresentazioni sociali che condizionano gli scambi tra istituzioni, comunità e cittadini migranti.I risultati di queste indagini, condotte nel CIE e nel CARA di Gradisca d’Isonzo, nel CARA di Brindisi e nel CPSA di Cagliari, hanno portato alla pubblicazione di due volumi, presentati nel corso del convegno Connecting Stories

Visioni di ConfineInterazioni e conflitti tra comunità locale e centri per stranieri in un territorio di frontieraa cura di Giorgia Serughetti(Associazione Parsec)ed. Sviluppo Locale, Roma, 2009

Connecting Storiesa cura di Stefano Carta,Elena Catino, Rosanna Gullà, Natale LosiEdizioni Kappa, Roma, 2010

Natale Losi, Curatore della ricerca Connecting Stories

“Vogliamo restituire la complessità del fenomeno migratorio a partire dalle rappresentazioni dei singoli

cittadini che si trovano a vivere nelle vicinanze di questi centri”

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za stressata da queste evidenze, che sono riassumibili in due que-stioni complesse da affrontare. Prima. Come mai, in un paese con una tradizione culturale discre-tamente tollerante nei confronti dell’Altro, sono avvenu-ti, in tempi rapidi, cam-biamenti così significa-tivi della coscienza? [...] Su questo non c’è un’analisi adeguata. Possiamo immaginare che le persone abbia-no subito una crisi e che non sia stata soltanto una crisi economica ma una crisi culturale, di perdita di fiducia nelle relazioni. Questo non giustifica un cambia-mento che si traduce in una dispo-nibilità ad accettare slogan, parole chiave, linguistica quotidiana, più adatte al mercato che al dibattito politico. Non abbiamo un’analisi adeguata e per questo ritengo che gli strumenti della ricerca debba-no essere diversamente mobilitati.Seconda. Come mai un sistema

comunicativo discretamente mo-derno - o almeno che tale si pro-fessa - come quello italiano ha dato un’immagine così banalmen-te stereotipata e narrativamente non variegata del migrante?

Anche dal punto di vista degli aggettivi, per esempio. Secondo alcuni studi, gli aggettivi che si usano oggi sono gli stessi utiliz-zati nel caso Girolimoni.

Tutto questo conduce a riconoscere che c’è un problema-media, cioè un’incapacità dei media di intervenire nelle crisi “facendo compagnia” alle persone, raffor-zandole, aumentando la loro abilità di let-tura del nuovo e di controllo delle espe-rienze e del mondo. I media supportano

invece una lettura opaca, nera da parte delle persone. Che cosa si può fare, quindi? In-tanto connettersi. Poiché nessuno può illudersi di capire fino in fon-do questi fenomeni vedendo solo pezzetti di verità. Non ce la faccia-mo da soli e quindi l’università e la scuola devono fare di più, ma devono farlo con le istituzioni, con le associazioni. È lì che dobbiamo puntare. Su un’alleanza per la ri-cerca, ma anche su un passo suc-cessivo perché non possiamo più accontentarci, come ricercatori, della sola ricerca. C’è molto da fare, molto da ricer-care, ma c’è anche da immaginare quali comportamenti civili, quali passi successivi servano per evita-re di ridurre i nostri sforzi alla lu-cidità dell’analisi come elemento di rassicurazione dei nostri tempi. Questo non è più sufficiente.

dossier

“C’è unproblema-media:

i media supportano una lettura opaca

da parte delle persone”

La partecipata tavola rotonda che ha chiuso il convegno(foto studio Tribbù)

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Johnny DottiPresidente Fondazione Solidarete

Chiara GiaccardiOrdinario di Sociologia Processi Culturali presso Università Cattolica di Milano

Abdelkarim HannachiDocente di Lingua Araba presso Facoltà di Lingue e Letterature Straniere dell’ Università di Catania

Natale LosiDirettore Scuola di psicoterapia etno-sistemico-narrativa di Roma

Mauro MagattiOrdinario di Sociologia presso Università Cattolica di Milano

Padre Beniamino RossiMissionario ScalabrinianoPresidente A.S.C.S.

Comitato scientifico

punto divista

Rubrica a cura del comitato scientifico di Connecting People

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punto divista

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Immigrati o nuovi cittadini?

di Abdelkarim Hannachi

Il numero degli immigrati in Italia ha superato ormai i quattro milio-ni raggiungendo la percentuale del 7,2% della popolazione della penisola. Si arriva al 10% se si fa riferimento ai minori e ai giovani che hanno meno di 39 anni di età. La forza lavoro di questi im-migrati è ritenuta indispensabile per l’economia da industriali ed economisti. Essi contribuiscono allo sviluppo economico dell’Ita-lia, al benessere della collettività, al ringiovanimento di una società che tende ad invecchiare, alla sopravvivenza dell’INPS e all’arric-chimento culturale della società italiana. Dati e caratteristiche che devono fare riflettere chi continua a sottovalutare l’entità e l’impor-tanza di questo fenomeno ormai strutturale e irreversibile.Per tutti questi motivi, l’integra-zione degli immigrati nella società italiana è diventata da qualche anno il tema centrale quando si parla di immigrazione. Un tema di attualità scottante che riesce a dividere persino la stessa maggio-ranza. Bossi e Fini, che hanno prima condiviso l’attuale legge in vigore che porta i loro nomi, hanno oggi due posizioni opposte in materia di integrazione e di cittadinanza.Ma se è vero che tutti, o quasi, concordano sulla necessità di

integrare gli immigrati, è altret-tanto vero che non tutti hanno lo stesso modo di intendere e di volere quest’integrazione. Gli uni si accontentano di utilizzarli come braccia concedendo loro solo al-cuni diritti sociali ed economici, gli altri stentano a riconoscerli come cittadini. Per questo, tutte le leggi

sull’immigrazione sono fondate sulla dicotomia cittadino/non cittadino, o addirittura producono cittadini senza cittadinanza come i figli nati in Italia da genitori stra-nieri, che si sentono italiani ma che sono giuridicamente considerati minori stranieri nonostante che, a volte, non abbiano mai visto il

Sono tante le richieste che nascono nell’opinione pubblica per estendere il diritto di voto agli immigrati

Il numero degli immggrati in Italia è in crescita costante ormai da anni

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paese di origine dei genitori.All’attuale dispositivo normativo che non promuove la cittadinan-za, si aggiunge la Legge 15 luglio 2009 n. 94 recante “Disposizioni in materia di pubblica sicurezza” che ha introdotto, tra le altre modifiche, anche quelle relative alla cittadinan-za rendendo l’accesso a quest’ultima ancora più difficile di prima. Ma grazie alle ripetute dichiarazioni del Presi-dente della Camera sui concetti di integrazione e cittadinanza, queste tematiche tornano con forza nel dibattito politi-co. In realtà integrazio-ne e cittadinanza sono indissolubili. È contrad-dittorio chiedere all’immigrato di integrarsi continuando a conside-rarlo giuridicamente straniero e ad escluderlo dalla partecipazione politica a tutti i livelli, poiché il mancato godimento dei diritti po-litici rappresenta un ostacolo per

l’integrazione. La partecipazione politica, invece, indebolisce o re-lativizza il senso di appartenenza etnica rafforzando l’appartenenza alla comunità politica nazionale, consolida la condivisione di valori comuni, in particolare la laicità e il pluralismo. Inoltre, essa arric-

chisce culturalmente, previene i conflitti, promuove la forma-zione di una società plurale che accoglie le differenze e le valoriz-za invece di spingerle nelle loro specificità culturali o addirittura nei loro integralismi. Il voto è il più importan-te strumento di parte-cipazione politica in

uno stato democratico moderno. La globalizzazione, la mobilità umana e i valori della società plu-rale ci impongono di superare la discriminazione tra nazionalità e cittadinanza, quest’ultima rivista e rifondata in funzione di una

società nella quale tutti gli indivi-dui che condividono le sue regole e contribuiscono al suo sviluppo devono poter accedere, indipen-dentemente dal loro luogo di nascita, a tutti i diritti compresi naturalmente quelli politici.Sperimentando e esercitando la cittadinanza, gli immigrati, com-presi quelli di origine islamica – poiché sono loro che destano più preoccupazione - saranno chia-mati a partecipare alla modernità e a costruire un’etica pluralista, a mettere in gioco le loro certezze, a contribuire alla ridefinizione del progetto di società, a inventarsi nuovi meccanismi di riproduzione dei valori, a rivedere i criteri delle loro appartenenze, a rivalutare le dimensioni delle loro identità e a trovare continuamente l’equilibrio tra diversità e integrazione.Cittadinanza non vuol dire soltanto usufruire dei diritti e assumersi dei doveri. La cittadinanza è anche coin-volgimento, partecipazione e condi-visione, passione civile e soprattutto sentimento. Mi ricordo ancora la mia

“Integrazione e cittadinanza sono

indissolubili. È contraddittorio

chiedere all’immi-grato di integrarsi

continuando a considerarlo giuridicamente

straniero”

IN ALTO. Il presidente della Camera, On. Gianfranco Fini, si è espresso più volte in materia di cittadinanza e integrazione

Gli immigrati sono parte integrante del tessuto socio-economico del Paese

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grande emozione quando ho firma-to la mia cittadinanza italiana presso il Comune di Mazara del Vallo.Che cosa significa, per me, sen-tirmi cittadino italiano? Significa godere dei diritti ma anche im-pegnarmi con convinzione ad as-solvere a dei doveri e assumermi la responsabilità politica a tutti i livelli. Coltivare questa mia nuova appartenenza non significa neces-sariamente tradire la mia identità originaria poiché l’identità non è mai definitivamente definita bensì un divenire continuo. La nuova appartenenza non esclude la vecchia ma si aggiunge ad essa e la arricchisce. E allora che cosa significa, per me, essere cittadino delle due sponde? Vuol dire non essere monolingue, non avere una identità culturale monolitica, rico-noscere nell’altro me stesso, vivere un processo di acculturazione

permanente, tendere all’unità nella diversità. Unità nella diversi-tà è il fine ultimo dell’integrazione: cioè, tutti, vecchi e nuovi cittadini, uniti nella condivisione dei valori sanciti dalla Costituzione italiana e dalla Carta dei diritti fondamen-tali dell’Unione Europea, anche se siamo diversi per quanto riguarda l’origine culturale o la confessione religiosa. Vale a dire, in definitiva, costruire un sistema di valori co-muni per una comune memoria futura a partire dalle differenti memorie storiche.Dietro l’idea della concessione della cittadinanza vi è un’idea di quella che dovrebbe diventare l’Italia di domani: un’Italia più solidale e più sicura perché non esclude parte di se stessa. La cittadinanza condivisa è il modo migliore per costruire un patto di convivenza civile e democratica

fra italiani ed immigrati in quanto nuovi cittadini.Chi teme la concessione della cit-tadinanza a questi nuovi cittadini non sa probabilmente che cosa significa scegliere di vivere in un altro paese, ritrovare la propria di-gnità trovandovi il lavoro, godere di libertà e diritti spesso negati nel paese di origine, provare condizio-ni di vita agevoli o addirittura il be-nessere, affezionarsi sempre di più al nuovo paese. Perché negare a tale cittadino il diritto di voto con-cesso anche agli italiani all’estero nonostante non partecipino alla vita economica e sociale dell’Ita-lia? Una cittadinanza fondata sulla residenza non può che rafforzare la democrazia e riqualificare le istituzioni democratiche.

Abdelkarim HannachiDocente presso la Facoltà di Lingue e Letterature Straniere dell’Università di Catania, sede di Ragusa e all’università Kore di Enna, già membro del Diret-tivo della Rete Europea contro il Razzismo con sede a Bruxelles, della Consulta Nazionale per l’immigrazione presso il Dip. Affari Sociali della Presidenza del Consiglio dei Ministri, del Comi-tato Scientifico per l’educazione interculturale presso il Ministero della Pubblica Istruzione.É del Comitato Scientifico di Connecting People.

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Come è approdato al cen-tro di Gradisca? Qual è stata la sua occupazione

precedente?

Sono stato un militare. Da qualche tempo ero in pensione, quando mi ha contattato il mio precedessore, l’ex direttore Vittorio Isoldi, per chiedermi se avessi intenzione di provare un’altra esperienza lavora-tiva a suo avviso consona alle mie caratteristiche personali. Mi sono chiesto perché no, e ho accettato la sua proposta senza indugio.

Può descrivermi il suo lavoro al centro?

Coordino, controllo, pianifico. Cerco di far funzionare al meglio tutti i componenti, cioè i beni e i servizi di cui necessitano gli ospiti: il catering per i pasti, l’assistenza sanitaria, il servizio di mediazione culturale, assistenza sociale e sup-porto psicologico, reso possibile da un’èquipe di operatori qualificati che intrattengono i maggiori rap-porti con gli ospiti, per compren-dere e risolvere i loro eventuali problemi. Ci sono poi le relazioni

incontri

Una voce dal CIEdi Gradisca d’Isonzo

Incontro con Luigi del Ciello, direttore del Centrodi Serena Naldini

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con Questura e Prefettura, dato che il centro ha un servizio di sicurezza svolto direttamente dalla Questura. Infine, mi occupo del magazzino e della gestione degli impianti tecno-logici. Il direttore naviga in mezzo a queste realtà, operando affinché l’ospite sia seguito al meglio.

Quali sono le maggiori diffi-coltà di questo lavoro? E quali invece i suoi lati positivi?

La maggiore difficoltà è la ge-stione degli ospiti. Il centro di Gradisca ha un’alta percentuale di ospiti con precedenti giudiziari, provenienti in molti casi dalle case circondariali italiane. È un aspetto che rende il lavoro complesso e molto delicato, perché queste persone hanno strutturato la loro vita passata intorno ad attività illecite e le loro caratteristiche per-sonali e caratteriali non possono non risentirne. Riguardo al lato positivo, non ho dubbi: l’altissima motivazione di tutto il personale che lavora all’interno del centro. Dall’operatore appena arrivato fino al vicedirettore, sono tutte figure eccezionali. Se non aves-sero una spinta interiore forte e appassionata, non riuscirebbero a svolgere un lavoro così ben fatto.

Che cosa le ha insegnato per adesso questa esperienza?

Non avevo idea che in Italia ci fossero realtà come queste. La mia conoscenza precedente si limita-va alla superficie. Tv o articoli di giornale, niente di più. Attraverso il centro di Gradisca, sono entrato in contatto con un gran numero di persone disperate, seguite e supportate da un piccolo gruppo di persone, disponi-bili, qualificate e altamente motivate come quelle che fanno parte del consorzio Connec-ting People. Questi centri, le attivi-tà svolte, i progetti di integrazione e di inserimento dei migranti, tutto questo è conosciuto troppo poco. Ritengo che parlarne possa essere molto utile, invece, se non altro per rendere patrimonio più diffu-so i destini di tanti esseri umani che arrivano nel nostro paese e i sacrifici e la dedizione profonda di tutti coloro che li accolgono.

Il suo è un lavoro fatto soprat-tutto di passaggi di persone, vite che si incrociano, incontri che si compiono. Storie, insom-ma. Me ne descrive una che le è rimasta nel cuore?

Viveva da diversi anni in Italia. Era riuscito a trovarsi una buona siste-mazione. Aveva messo su famiglia. Aveva avuto dei figli con la propria

compagna. La crisi gli ha tolto il lavoro. Rimasto disoccu-pato, non ha fatto in tempo a trovare un altro impiego

perché gli è scaduto il permesso di soggiorno. L’hanno così accom-pagnato nel centro di Gradisca. Ci sono stati due o tre casi come questo e mi hanno sconvolto. Nel giro di poche settimane, una vita si è capovolta. Una volta scaduti i 6 mesi, gli daranno i 5 giorni per il rimpatrio. Che cosa si può fare? Bisogna aiutare queste persone a reinserirsi, dar loro una speranza di futuro nel nostro paese.

incontri

“Il personale? Tutte figure eccezionali. Se non aves-sero una spinta interiore forte e appassionata, non riuscirebbero a svolgere un lavoro così ben fatto”

“Ci sono stati due o tre storie che mi hanno

sconvolto. Nel giro di poche settimane, una vita si è capovolta”

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L’incontro con Tesfay è stato un incontro all’ap-parenza normalissimo

come mi è capitato di farne in questi due anni di lavoro al CARA di Gradisca di Isonzo. La maggior parte degli ospiti sbarca nel centro senza capire bene ciò a cui andrà incontro. All’inizio la mia presenza è rassicurante, vengo visto come il “fratello africano” che potrà ti-rarli fuori da ogni difficoltà; e poi ben presto capiscono che sono solo un mediatore come un altro e che la mia posizione non può influenzare l’iter procedurale che dovranno fronteggiare nella loro richiesta di asilo. Tesfay è arrivato al centro un giorno nebbioso di inizio dicembre. Ci siamo osser-vati, semplicemente. Il giorno dopo si è presentato nel mio ufficio chiedendomi l’indirizzo del centro di formazione pro-fessionale più vicino al centro di accoglienza. Ho un bel spiegargli che la sua situa-zione non gli consentiva in quel momento di accedere ad alcun corso poiché doveva prima pas-sare di fronte a una commissione

che avrebbe giudicato il suo caso. Egli, ciononostante, mi supplicò di indicargli un centro dove potesse iniziare subito a dare un senso alla sua vita. Questo fatto mi ricordò me stesso, quando, ap-pena arrivato nel Friuli, mi sono specializzato in corsi di formazione professionale, tanto che mi chiamavano il corsista. A volte mi capitava di seguire anche tre o quattro corsi alla volta, in due o tre istituti di formazione differenti. La testardaggine consentì a Tesfay di iscriversi in modo informale all’isti-tuto di formazione degli adulti di Staranzano e di seguire un corso di lingua italiana per stranieri.

Nonostante le difficoltà logistiche per recarsi al corso, niente poté im-pedirgli di portare a ter-mine questa impresa. Qualche mese dopo il suo arrivo nel centro,

Tesfay si ammalò e fu costretto a letto per quasi quattro mesi. Nel frattempo, la commissione gli ri-conobbe lo status di rifugiato poli-tico. Assieme a mia moglie, lo andammo a trovare in ospedale a

Udine. Nel tempo, siamo diventati amici; ho così potuto apprendere che Tesfay era figlio di due funzio-nari statali e che aveva frequenta-to le migliori scuole nel suo paese

natale, l’Eritrea. La guerra e le persecu-zioni a causa delle loro idee politiche avevano spinto lui e la sua famiglia a scappare dalla città

dove era stata posta una taglia sulle loro teste. Tesfay è un ragaz-zo davvero coraggioso e intra-prendente. Uscito dall’ospedale, si iscrisse al corso di formazione per saldatori. Oggi lavora come saldatore in un’impresa della Pro-vincia di Udine ed è anche molto impegnato nella sua comunità. Il suo desiderio di integrazione mi ricorda un po’ il mio percorso. Te-sfay mi ha insegnato che tutto sta nel non arrendersi mai ed essere sempre positivi, malgrado il fatto che le vicissitudini della vita e i capricci del destino ci possano giocare dei brutti scherzi. Pensan-do a lui e a persone come lui, sono grato alla vita per ciò che ho la fortuna di avere: un lavoro, una famiglia e degli amici.

incontri

Dall’Eritrea al Friuli: la storia di Tesfay

di Blaise Ndamnsah, mediatore culturale al CARA di Gradisca di Isonzo

“All’inizio la mia presenza è rassicu-rante, vengo visto come il “fratello

africano”

“Mi chiamavano il corsista. A volte mi ca-pitava di seguire anche tre o quattro corsi alla

volta”

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incontri

I centri di Gradisca di Isonzo (GO)Tipologia CARA - Centro Accoglienza Richiedenti Asilo CIE - Centro Identificazione ed Espulsione

Sede L’edificio, realizzato ex novo alcuni anni fa, comprende un CIE e un CARA. Il CARA ha sede in una struttura ad U composta da: - 2 ali laterali utilizzate come dormitori: una per soli uomini; una anche per donne e nuclei familia-ri. Alcune stanze con bagni interni sono destinate a famiglie, donne in gravidanza, persone con parti-colari esigenze di assistenza medica- 2 sale comuni: una mensa, una sala “multi-funzione” (tv, sala lettura, scuola di italiano, sala preghiera)- 1 zona centrale: ufficio per i dipendenti, sala per riunioni della Commissione territoriale, ludoteca- giardino e corte internaIl CIE ha sede in una struttura articolata in:- 4 ali utilizzate come dormitori con soli ospiti uomini- 2 sale mensa, 1 sala scuola di italiano, 1 sala preghiera;- 1 zona amministrativa per uffici e magazzini;- 3 corti interne;- 2 campi di calcetto;- 2 androni con telefoni pubblici e distributori automatici di bevande, prodotti alimentari:

Capacità CARA: 138 posti CIE: 194 posti

Gestione CARA: Connecting People da aprile 2008 con convenzione attiva fino al 31/12/2010CIE: Connecting People da marzo 2008 con convenzione attiva fino al 31/12/2010

Organizzazione CARAMensa, lavanderia, barberia, buono economico per acquisto di beni all’interno del centro (bibite, snack, sigarette, schede telefoniche, biglietti autobus, ecc.). Ambulatorio medico (infermiere 24h e medico 10 ore al giorno), assistenza psicosociale, mediazione linguistico-culturale, informazione legale, insegnamento lingua, orientamento servizi territorio, accom-pagnamento servizi sanitari.CIEMensa, lavanderia, barberia, distribuzione periodica di sigarette e schede telefoniche, vendita di beni all’interno del centro (bibite e snack), ambulatorio medico con medico e infermiere 24h, assistenza psicosociale, media-zione linguistico-culturale, accompagnamento servizi sanitari.

Attività CARAPresso la sede, corsi di alfabetizzazione, corsi di italiano, laboratorio grafico-pittorico, attività ludiche destinate a minori. Presso altre sedi, corsi di italiano, attività sportive, attività di volontariato, corsi di formazione professionale, centri estivi per i ragazzi e eventuali incontri e scambi culturali con le scuole del territorio. CIE Esclusivamente presso la sede, attività sporti-ve, calcetto e footing, giochi per lo svago, carte da ramino, dama, calcio balilla.

FrequenzaCARA - 518 persone nel 2009 CIE - 1200 afflussi annuali. Ogni mese avviene una turnazione di entrata e uscita di circa 100 ospiti, con tutto ciò che ne consegue in termini di accoglienza, conoscenza, sostegno, beni e servizi. La quasi totalità proviene dalle Case Circondariali.

Luigi lavora come direttore nel CIE di Gradisca d’Isonzo (GO) dall’ottobre del 2009. A Luigi piace relazionarsi con le persone, impegnarsi nel lavoro per ore senza mai stac-care e girare il mondo. A Luigi non piacciono il nervosismo, l’ozio e il brutto tempo.

Tesfay proviene dall’Eritrea ed è stato ospite nel centro di accoglienza di Gradisca dal 2007. Dal maggio all’ottobre 2008 è stato ospite al CARA. A Tesfay piace stare con gli amici e discutere di calcio. A Tesfay non piace il kebab con la cipolla.

Blaise proviene dal Nkambe in Camerun e lavora come mediatore nel CARA di Gradisca dal settembre del 2007. A Blaise piace mangiare il riso con il sugo come si usa in Africa. A Blaise non piace rimanere da solo in casa, vorrebbe stare sempre assieme alla sua famiglia.

I protagonisti

Blaise in abiti tradizionali del Camerun

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press

ANSA16.12.09

GRADISCA D’ISONZO (GORIZIA)Immigrazione: pacco esplosivo CIE Gra-disca, più vigilanza. È stata rafforzata la vigilanza la Cie (Centro identificazione ed espulsione) di Gradisca d’Isonzo (Gorizia) dove ieri sera è stato recapitato un pacco esplosivo che per fortuna non ha causato danni e feriti. Lo ha confermato il Vice Prefetto vicario di Gorizia, Gloria Alle-gretto. Il Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza è convocato per questa mat-tina. Ai lavori - oltre al direttore del centro di Gradisca che dovrà spiegare quanto ac-caduto - parteciperanno i vertici provinciali di Polizia, Carabinieri e Guardia di Finanza. Il pacco, spedito da Milano, conteneva un portafoglio imbottito di esplosivo a basso potenziale. Il direttore del Centro, Luigi Del Ciello, è stato pronto a scaraventarlo a terra evitando così danni o ferimenti.

Avvenire 31.10.09di Antonio Maria Mira

“E’ eccessiva la sperequazione tra l’interesse a difenderci da eventuali problemi connessi con l’immigrazione e il dovere di accoglierla” Monsignor Domenico Sigalini , vescovo di Palestrina e Segretario della Commissione episcopale per le migrazioni, torna a spie-gare la linea che Chiesa italiana indica per affrontare nel modo migliore il fenomeno dell’immigrazione.

Avvenire 18.12.09Lettera al Direttore

Caro direttore,chi scrive è il gruppo dirigente del Consorzio Connecting People, noto alle cronache perchè offre i suoi servizi all’interno di numerosi centri per migranti in Italia, tra i quali il Cie di Gradisca. Il pacco bomba che ci è stato recapitato è solo l’ultimo episodio di una escalation che da un anno a questa parte ci vede vittime della rabbia di uníarea politica in cerca d’identità e di spazio. Con gli ultimi due attentati (Gradisca e Milano) si indicano in modo chiaro i soggetti da colpire: coloro che costruiscono cultura e conoscenza, fanno ricerca e si preparano al futuro e coloro che servono l’uomo, a prescindere dal luogo in cui questi si trova e dai motivi che determinano il suo destino. La questione degli uomini e delle donne migranti è costretta da qualche tempo in una discus-sione troppo angusta, nella quale prevalgono le ideologie; una discussione nella quale è proprio l’uomo - il fratello nel nome del quale tutti sostengono di muoversi - a scomparire, reificato in un’icona, utile soltanto alla lotta politica. Nel Cie di Gradisca, come in altri centri, il nostro con-sorzio è responsabile dell’assistenza medica, dell’assistenza sociale, dell’assistenza psicologica, dell’informazione legale, della mediazione linguistica, delle pulizie e del vitto. Tutto questo, quando le leggi lo consentono, diventa un primo passo verso l’emancipazione e l’integrazione dei migranti in questo nostro Paese. Ogni volta che diveniamo bersaglio di un attacco, guardiamo increduli compiersi nuovamente il paradosso di questa lotta. Come si può pensare di liberare degli uomini colpendo coloro che hanno scelto di assisterli? Come si può trasformare in una scelta degna di biasimo una chiara opera di accoglienza, orientamento e informazione, tesa a garantire alle persone che migrano condizioni di vita il più possibile dignitose? Come si può affermare che assistere degli uomini e delle donne significhi legittimare l’esistenza di luoghi che dovrebbero sparire, e di politiche repressive e razziste? Da quando abbiamo deciso di intraprendere il mestiere di operatori sociali, continuiamo a legittimare l’uomo e in questo lavoro non vorremmo mai sen-tirci soli. Se le urla scomposte e le bombe non trovano nella società civile e nella comunità politica il giusto biasimo, alla fine avranno ragione coloro che temono il futuro più che investire nella sua costruzione.Il terrore non è uno strumento di emancipazione. Chi lo semina, non vuole che si discuta, che si risolvano problemi, che si costruisca un futuro. Crediamo invece che sia necessario usare il fragore di questi scoppi per dare il via ad un dibattito serio sui temi dell’integrazione; un dibattito che deve aprirsi ai cittadini, perchè a fronte di coloro che migrano, nel paese dell’approdo ci sono coloro che accolgono. Migrazione e accoglienza sono due facce dello stesso fenomeno che ci riguarda da vicino, e non interessa soltanto i ricercatori e gli studiosi, ma ogni persona che abbia a cuore il futuro del proprio quartiere, del proprio paese e del mondo in cui viviamo.

La dirigenza del consorzio Connecting People

Rubrica a cura di Salvo Tomarchio

La rassegna stampa completa è consultabile nella sezione stampa del sito

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Immigrazione Dossier statistico 2009Genere: RicercaAutore: Caritas/ Fondazione MigrantesEditore: Edizioni Idos

Anno: 2009

Secondo l’ultimo Dossier Cari-tas/Migrantes, l’Italia nel 2008 è risultato lo Stato UE in cui gli stranieri sono cresciuti di più (+ 458.644 residenti), superan-do per la prima volta la media europea del 6,2% e attestan-dosi al 6,5%. La popolazione straniera regolare arriva così a 4.330.000 persone. Si tratta di un fenomeno eterogeneo: a una maggiore concentrazione di immigrati nel Centro Nord – al Nord risiede il 62,1% degli stranieri, al Centro il 25,1% – corrisponde una presenza molto inferiore al Sud.

Franco Pittau, curatore del Dossier, sottolinea la “riserva mentale di natura finanziaria” degli italiani riferendosi al pre-giudizio secondo cui la pre-senza di stranieri rappresenti solo un costo per il paese. Il Dossier mostra che questa preoccupazione è infondata, dato che i circa 2 milioni di lavoratori immigrati - quasi 1/10 degli occupati in Italia - producono circa il 10% del PIL. I dati sull’origine della popola-zione straniera attestano una varietà minore rispetto al pas-sato. Le prime cinque naziona-lità rappresentano da sole più della metà delle presenze: 800 mila romeni, 440 mila albanesi, 400 mila marocchini, 170 mila cinesi e 150 mila ucraini. Si attesta una prevalenza ancora netta degli immigrati europei, in quanto il 29,1% di stranieri provenienti da paesi dell’UE sommati ai cittadini degli altri paesi europei costituiscono più del 50% della popolazione straniera. Seguono gli africani (22,4%), gli asiatici (15,8%) e infine gli americani (8,1%). Nel 2008 la presenza di mi-nori stranieri è pari a 862.453 unità, ben 1 nuovo nato su 6 in Italia ha almeno un genitore

straniero e a questi bisogna aggiungere i 40.000 permessi di soggiorno rilasciati a minori per ricongiungimento. Come sostenuto dallo stesso Pittau, il Dossier serve anche per rispondere ai pregiudizi sull’immigrato nell’immagi-nario collettivo. Il distacco tra percezione e realtà si eviden-zia per esempio nell’impor-tanza data dalle politiche e dall’opinione pubblica ai flussi migratori irregolari. Gli sbarchi di immigrati sulle coste italiane sembrano ormai quasi un sim-bolo delle dinamiche migrato-rie, nonostante riguardino un minimo numero di stranieri. Nel 2008 infatti a fronte di quasi 460.000 stranieri entrati legalmente in Italia, le persone sbarcate sono state solo circa 37.000, la metà delle quali richiedenti asilo; gli stranieri transitati nei C.I.E. sono stati 10.539 e i respinti alle frontiere 6.358.

Recensione a cura di Alessia Barbagallo

Caritas/ Fondazione MigrantesIMMIGRAZIONE

Dossier statistico2009

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