Storie di questo mondo - Anno 3 Numero 1 Febbraio

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DOSSIER Manifesto integrazione: immaginare il futuro dell’Italia PUNTO DI VISTA Spunti sul dialogo interreligioso OLTREMARE Il rapporto con il Sacro in Africa INCONTRI A colloquio con Abu Touq Mufid, Imam di Catania Troppe storie sembrano storie dell’altro mondo, ma lo spazio in cui accadono è qui e ora. trimestrale del Consorzio Connecting People - reg. trib. di Trapani N° 323 del 17/07/2009 - distribuzione gratuita ANNO 3 - N° 1 - FEBBRAIO 2011 periodico di culture migranti e dell’accoglienza BANDO DI CONCORSO Per la realizzazione del nuovo logo della Fondazione Xenagos WWW.FONDAZIONEXENAGOS.IT

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periodico di culture migranti e dell'accoglienza edita dal consorzio connecting people

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DOSSIERManifesto integrazione: immaginare il futuro dell’Italia

PUNTO DI VISTASpunti sul dialogo interreligioso

OLTREMAREIl rapporto con il Sacro in Africa

INCONTRIA colloquio con Abu Touq Mufid, Imam di Catania

Troppe storiesembrano storiedell’altro mondo,ma lo spazioin cui accadonoè qui e ora.

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ANNO 3 - N° 1 - FEBBRAIO 2011

periodico di culture migrantie dell’accoglienza

BANDO DI CONCORSO Per la realizzazione del nuovo logo

della Fondazione Xenagos

WWW.FONDAZIONEXENAGOS.IT

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FEBB

RAIO

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editoriale 1Il dialogo tra le religioni è un dialogo tra uominidi Giorgio Gibertini

dossier 2Gli occhi del dopodomanidi Marco Demarie

La proposta del manifestoRedazione SQM

intervista 8Ricorda che sei stato straniero in Egitto di Mauro Maurino

incontri 10Siamo tutti fratelli nell’umanità di Mario Indelicato

punto di vista 12Alcuni spunti sul dialogo interreligiosodi Padre Beniamino Rossi

oltremare 18Gli africani e Diodi Stéphane Ebongue Koube

progetti 20La Fondazione Xenagosdi Serena Naldini

Progetto NautilusRedazione SQM

Progetto Nextdi Sebastiano Pomona

news 24Notizie e curiosità da Roma

press 26Rassegna stampa sull’immigrazionea cura di Salvo Tomarchio

media connecting 28Valentina Postika, in attesa di partiredi Serena Naldini

Se hai una storia da raccontare, se vuoi segnalare progetti, idee o esperienze, se desideri indicare destinatari che vorresti ricevessero il nostro periodico, puoi inviare una email a: [email protected]

Editore/proprietàConsorzio Connecting People

Direttore responsabileGiorgio Gibertini

Coordinamento editorialeSerena Naldini, Salvo Tomarchio

Progetto graficoe illustrazioniGiancarlo Ortolani / Tribbù

Impaginazione e stampaStudio Tribbù di Coop. Soc. Sciarabba

Via Dafnica 90, 95024 Acireale (CT)

In redazioneGiorgio Gibertini, Mario Indelicato,

Stéphane Ebongue Koube,

Mauro Maurino, Serena Naldini,

Sebastiano Pomona, Beniamino Rossi,

Salvo Tomarchio.

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Mentre scrivo questo editoriale, dall’altra parte del Mediterraneo, il rumore dei media ci porta il numero dei morti delle “rivolte del pane” che stanno colpendo Tunisia, Egitto e non solo, soffocando del tutto il rumo-re delle onde provocato dai barconi della speranza che non hanno mai smesso di approdare al nostro piane-rottolo. Il Medio Oriente è in subbuglio, le nostre città pure, provate dalla crisi globale e da una convivenza che, anche col vicino di casa, ha riflessi globali.In questo numero la nostra rivista, ormai matura, dopo aver presentato ufficialmente una chiara proposta di Pacchetto Integrazione, si è spinta verso il terreno scivoloso e spinoso del Dialogo inter-religioso: scivoloso perché facilita la caduta nella retorica, spinoso perché ogni parola usata ha un peso e può generare vita o conflitto. Ci siamo a lungo confrontati, su questo tema, anche tra noi giornalisti di Storie di Questo Mondo oltre che con i consi-glieri nazionali del nostro Consorzio Connecting People che ha, tra i suoi pregi, quello di radunare uomini e donne provenienti da diverse estra-zioni ideologiche, politiche ed anche religiose oltre che da varie latitudini del nostro Bel Paese. Anche il fattore geografico non è ininfluente perché ognuno ha portato nei propri dialoghi, anche magari davanti ad un buon rosso, l’esperienza di quello che stava vivendo al proprio paese o nella Capitale d’Italia. In questo primo numero del 2011, nell’anno in cui si fe-steggiano i 150 anni dell’Unità d’Italia, abbiamo quindi pensato di parlare anche di un’Italia diversa e, se non unita nell’affrontare il tema dell’integrazione, almeno è unita in queste pagine nel desiderio di parlarne, di dialogare. Ci siamo affidati a massimi interpreti del

mondo religioso presenti in Italia: il gesuita Mario Vit di Venezia, Abu Touq Mufid, Imam della moschea di Catania, il dott. Demarie, responsabile studi, archivio storico e documentazione della fondazione Compa-gnia di San Paolo ed infine due brevissimi interventi degli amministratori locali nostri grandi collaboratori (Gianni Pompeo, sindaco di Castelvetrano ed Irma De Angelis, sindaco di San Lupo) per concludere con Abdel Karim Hannachi del comitato scientifico di Connecting People e docente di lingua araba all’Università di Ca-tania (ricordo che per tutti è disponibile il Qr code per vedere gli interventi video sul telefonino). Siamo con-

tenti del lavoro svolto, delle interviste raccolte, degli spunti che resteranno qui indelebili e vedrete che anche voi, che vi accingete alla lettura di questa edizione, avrete come la sensazione che queste pagine, una dopo l’altra, si cerchino, si rincorrano per cercare ciò che unisce e non ciò che divide, ciò che arricchisce nel rispetto reciproco. Un piccolo consiglio mi permetto di rivolgere a tutti voi. Leggete queste pagine con un occhio sulle parole

e l’altro rivolto verso l’Alto, o meglio l’Altro o meglio ancora l’Oltre per scorgere, almeno col cuore, l’unico Dio che guarda giù ad ognuno di noi e che ci ha dato la Sapienza e l’Intelligenza per andare oltre gli steccati partendo proprio dal dialogo, anche quello interreli-gioso. Io ho una convinzione: credo che la varietà sia sempre una ricchezza se porta all’unico Dio. So che molti magari non saranno d’accordo su questo mio pensiero ma penso che il dialogo, anche quello qui ben rappresentato, ci debba condurre alla Verità che è una sola. Ognuno ha il suo cammino da fare, coi suoi tempi e le sue esperienze. Noi lo abbiamo cominciato.

Il dialogo tra le religioni è un

dialogo tra uominiGiorgio Gibertini

Direttore diStorie di questo mondo

Bisogna andare oltre gli steccati, partendo proprio

dal dialogo

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L’ integrazione delle persone migranti è un obiettivo fondamentale per l’Italia

del 2010 che guarda all’Italia del 2020, e oltre. Questo è il merito fondamentale del Manifesto per un Pacchetto integrazione: la capacità di mettere in fila misure realiz-zabili (quasi) nell’oggi, con il chiaro intento

di produrre, attraverso di esse, una “normalizzazione della

natura migratoria della società italiana” (e anche di indicare le risorse per farlo). Questo è infatti il punto a mio avviso cen-

trale: l’Italia deve trasfor-marsi in una società in cui

i flussi di popolazione

diventino un elemento, governato ma nor-male, dello sviluppo del Paese. Con un’espres-sione un po’ trita, si può dire che uscire dalla logica dell’emergenza non significasottacere le emergenze che si producono effettivamente (siano esse di tipo schiet-tamente criminale, microcriminale o di sfruttamento): queste vanno contrastate e combattute; ma prendere sul serio il fatto che, come è accaduto in tanti paesi e in tanti momenti storici, la nostra società si è avviata su una strada di complessificazione etnica e culturale. Nulla sarebbe più deleterio che coltivare l’immagine del bastione assediato e anzi già infiltrato dalle quinte colonne. Vuol dire questo che l’Italia deve smettere di pensarsi come Italia? Piuttosto il contrario: questa nostra Italia - che speriamo sempre più europea - deve trovare un proprio modo, adeguato a una cultura viva consegnataci dalla nostra storia, di evolvere verso una multietnicità accettata e serenamente vissu-ta. Può il Terzo Settore contribuire a questa evoluzione? A giudizio di chi scrive, moltissi-mo, per due ragioni fondamentali. In primo luogo, perché, nelle sue varie articolazioni,

esso è tra le realtà più capaci di cogliere le caratteristiche territoriali dell’immigrazione (spesso, come tutto, alquanto differenziate in Italia), offrendo “prossimità” in modo adeguato. In secondo luogo, perché esso può creare occasioni di socialità condivisa tra migranti e autoctoni, allentando la costrizio-ne lavoro/casa - o, nei casi più problematici, lo sbandamento anomico sul territorio. Con una cautela: pur con tutta la sensibilità del caso, che talvolta esige eccezioni, il terzo set-tore non deve proporre soluzioni etnicizzate, ma aperte; non assistere, ma coinvolgere. La libertà di scegliere, la partecipazione congiunta (pensiamo allo sport dilettanti-stico: un ambiente su cui lavorare molto) è il miglior antidoto contro i fallimenti del multiculturalismo ideologico e della ghet-tizzazione, imposta o scelta. Molti progetti sono pienamente consapevoli di questi dilemmi. Le fondazioni di origine bancaria, che il Manifesto opportunamente chiama in causa, sono all’avanguardia in questo campo e particolarmente attente alla problematica. Che, come dicevo, dobbiamo guardare con gli occhi del dopodomani.

Marco Demarie, 52 anni, è attualmente Responsabile del Centro Studi, Archivio Storico e Documentazione

della Compagnia di S. Paolo. Dottore in Economia e Commercio, è stato Direttore della Fondazione Agnelli.

Gli occhi del dopodomani

Prossimità e socialità per una multietnicità serena

di Marco Demarie

dossier

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La presentazione del Manifesto per un pacchetto integrazione si è svolta il

7 luglio 2010 presso la Sala del Mappamondo della Camera dei Deputati.

Foto e trascrizione interventi di Studio Tribbù

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Giovanna GencoAss. Pol. Soc. di Partanna

Volevo intanto soffermarmi su tre parole chiave che secondo me sono essenziali in questo Manifesto. Condivido il ter-mine convivenza

e il modo in cui è presentato dal Manifesto. Non si può però parlare di convivenza se non pensiamo al coinvolgimento attivo delle istituzioni scolastiche nel processo di integrazione dell’immigrato che arriva in Italia. Non si può parlare di convivenza se i genitori dei ragazzi che frequentano le no-stre scuole non sono educati a far frequen-tare i nostri gruppi giovanili ai propri figli. Su questa base mi sento di sostenere che un ruolo determinante deve essere dato alle istituzioni scolastiche nel renderle parti attive nel processo di costruzione della proposta di legge.Altro elemento importante è l’autofinan-ziamento di questa proposta. Spesso l’ente locale ha molte difficoltà nel reperimento dei fondi per portare avanti buone idee sul tema della convivenza e dell’integrazione.Con il “Piano di Zona” in collaborazione con il comune di Castelvetrano riusciamo ad attivare alcuni servizi, ma il Piano copre

solo alcuni piccoli bisogni. Le proposte del Manifesto invece ritengo possano appor-tare ottimi benefici anche agli enti locali. Altro elemento notevole è la proposta di formazione degli operatori locali: spesso le nostre buone idee non sono supportate per via della mancanza di risorse umane capaci di portarle a compimento. Non posso che dare il mio supporto a questa proposta ed evidenziare il ruolo chiave che possono avere gli enti locali se coinvolti attivamente nel processo.

Rita ScaringiServizi Sociali di Trapani

Apprezzo questa iniziativa. Io vengo da un territorio che conosce i problemi e le tematiche legate all’immigra-zione. Nei servizi sociali lavoriamo in

collaborazione con lo Sprar, essendo Trapa-ni una città in cui insistono un Cara e un Cie. Questa proposta progettuale è interessante soprattutto perché viene da un elemento del Terzo Settore che non chiede risorse ma propone delle opportunità per ricavar-ne alcune. Su questa base si può dunque ragionare sui tanti elementi possibili per elaborare proposte concrete sul territorio.

Abdel Karim HannachiComitato scientifico di CPIl Manifesto è un lavoro interessante perché legge la realtà, la interpreta, individua i pro-blemi e propone soluzioni concrete, fattibili e non ideologiche. Adesso è importante tradurre tutto in un’iniziativa concreta in Parlamento. Il lessico che noi utilizziamo quando parliamo non è altrettanto impor-tante quanto la definizione che noi diamo allo stesso lessico: è importante sapere ciò che intendiamo quando diciamo qualcosa.L’integrazione ad esempio è qualcosa di molto positivo se la intendiamo come reci-proca e parziale: una nuova identità signi-fica prendere parte della cultura di origine e assimilarla con una parte della cultura nuova. Questo processo riguarda anche gli autoctoni, l’Italia del futuro non è l’Italia di ieri. Gli immigrati non sono un corpo estraneo alla società italiana, sono un problema interno, orga-nico alla società, impossibile da espellere. Gli immigrati arricchiscono la nostra eco-nomia (la pizza, solo per fare un esempio comune, la continuiamo a gustare per il lavoro degli immigrati che raccolgono i

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dossier

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pomodori!). La discussione sull’integra-zione è un argomento interno alla società italiana. Il domani è un progetto di tutti. Questa iniziativa è molto concreta e rap-presenta un progetto di società plurale in cui oltre all’integrazione si guarda all’ar-ricchimento che parte dalle specificità culturali per provare a costruire principi, valori e progetti comuni. Un cittadino escluso non può fare la sua parte in questo progetto, la cosa più urgente è lavorare alla partecipazione e dunque alla cittadinanza. Se noi oggi escludiamo una persona, do-mani diventerà un problema per la nostra società. Costerà di più includere domani chi viene escluso oggi. Tutte le leggi sull’im-migrazione finora hanno viaggiato sulla dicotomia cittadino/non cittadino, inte-grazione/esclusione. L’unica legge che forse lavorerà davvero sull’integrazione sarà quella che si aprirà con queste parole: lo straniero è uguale al cittadino.

Gianni PompeoSindaco di Castelvetrano

Questa iniziativa parte nel modo giusto e ci sono i presupposti per fare bene. Riten-go molto importante la possibilità che la proposta del Manifesto si autofinanzi in un momento di crisi come questo. Altro ele-mento che mi piace è il termine convivenza

che dovrebbe iniziare a sostituire integrazione. In tal senso il coinvol-gimento di tutte le forze della so-cietà va proprio in questa direzione.

Auguro a Connecting People che la classe politica recepisca questo messaggio e lo faccia in maniera trasversale per dare solu-zione a questi problemi.

Irma De AngelisSindaco di San Lupo

Voglio portare un piccolo suggerimento a questo strumento di integrazione ma soprattutto di politica della convivenza. A San Lupo stiamo sperimentando un progetto che non si limita all’acco-glienza dei rifugiati ma propone ospitalità e formazione con

l’obiettivo di fornire poi opportunità per l’inserimento nel contesto socio-lavora-tivo. Questo Manifesto viene dalla pratica quotidiana e dalla conoscenza diretta e profonda di Connecting People che da tempo lavora in diverse realtà con passio-ne ed entusiasmo ed è già un pacchetto completo rispetto ai punti della nostra

legislazione che richiedono una revisione.Nel comune di San Lupo, ad esempio, abbiamo visto che nella fase di avvia-mento sorgono i problemi più grossi:i rifugiati, che hanno già alcune agevola-zioni, incontrano serie difficoltà per via della mancanza di un quotidiano sosten-tamento oltre quello previsto dai pro-getti. C’è bisogno per i comuni di strumenti che permettano, soprattutto in questa fase, di assistere e rendere da subito queste per-sone più o meno autonome. Una quota del 5X1000 potrebbe essere prevista a questo scopo per i comuni che ospi-tano rifugiati o centri che ospita-no immigrati.

Questa nostra Italia deve trovare un proprio modo, adeguato a una

cultura viva consegnataci dalla nostra storia,

di evolvere verso una multietnicità accettata e

serenamente vissuta.

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Per immaginare iniziative che possano migliorare il livello di integrazione e la qualità della vita delle nostre comunità occorre partire dai luoghi quotidiani, nei quali, giorno per giorno, avvengono scambi concreti tra culture.

Le imprese

I luoghi di lavoro sono contesti nei quali i lavoratori trascorrono gran parte della propria giornata. La “costrizione” del proprio tempo, da un lato, garantisce loro una fonte di reddito, dall’altro, genera la necessità di servizi. Nell’ambito di un Pacchetto Integrazione,

questo si può concretizzare per l’impresa nella costruzione di un sistema che aiuti i lavoratori e le loro famiglie nei processi di integrazione. Risorse umane integrate e soddisfatte rappresentano un vantaggio competitivo dell’impresa.

Proposte

Strutturazione di un sistema di welfare aziendale che supporti l’integrazione e faciliti la mobilità sociale. Per il suo finanziamento, cfr. “finanziamento di progetti finalizzati all’integrazione attraverso uno storno dell’1% dei contributi previdenziali dei migranti - misura tesa a finanziare l’integrazione attraverso il tessuto delle imprese (pag. 10)”.

1

Analisi degli istituti contrattuali che possono favorire l’integrazione attraverso i luoghi di lavoro. Per la sua realizzazione, è sufficiente che sindacati datoriali e dei lavoratori orientino i vari livelli di contrattazione non solo rispetto a rivendicazioni di tipo salariale, ma anche alla ricerca di forme contrattuali innovative che favoriscano l’integrazione.

2

Iniziative di partenariato tra camere di commercio italiane e istituzioni economiche dei paesi di provenienza finalizzate al supporto di progetti imprenditoriali transnazionali che promuovano, in un’ottica di sviluppo sostenibile, il “made in Italy” all’estero e i prodotti “etnici” in Italia (cfr. Possibilità di utilizzo del Patto di Barcellona), nonché il modello italiano di welfare e di impresa sociale.

3

I luoghi e le proposte per un’integrazione possibile

.2Le associazioni e le altre organizzazioni del terzo settore

L’associazionismo, sia laico che confessionale, è per natura vicino al territorio, ai suoi problemi così come ai circoli virtuosi e alle risorse che esso è in grado di generare.

Il terzo settore rappresenta uno dei principali punti di riferimento per i migranti, poiché offre servizi e reti di relazioni, momenti di socialità e sostegno. Le associazioni e le altre organizzazioni del terzo settore rappresentano una dimensione capace di fare cultura anche oltre le frontiere, soprattutto quando operano sia nelle terre di provenienza, sia in quelle di arrivo.

Proposte

Promozione e realizzazione di progetti di sviluppo locale nei paesi di provenienza, finanziati da campagne di orientamento di una quota delle rimesse che i migranti inviano nei luoghi di origine. 1

Modifica dell’articolo 4 della legge 381/91 (cooperazione sociale) attraverso l’inserimento dei “rifugiati” e dei “soggetti vittime di tratta” tra le categorie svantaggiate. 3

Orientamento esplicito di risorse provenienti dalle fondazioni bancarie per la promozione di iniziative rivolte all’integrazione, quali: servizi nei territori di accoglienza • sostegno a progetti di sviluppo nei paesi di origine • promozione dell’associazionismo transnazionale.2

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Le risorse economiche

Il Pacchetto Integrazione può realizzarsi senza gravare in modo significativo sul bilancio dello Stato. I lavoratori stranieri stessi sono chiamati a partecipare al suo finanziamento.

Sono disponibili quattro possibili fonti di risorse economiche:

Destinazione del 10% della quota statale dell’otto per mille dell’IRPEF. Stima: circa 5 milioni di euro annui. 1

Destinazione dell’1% dei contributi INPS versati dai lavoratori stranieri per la realizzazione di iniziative di integrazione gestite dalle aziende. Stima: circa 70 milioni di euro annui. 2

Destinazione del 2% delle erogazioni delle fondazioni bancarie a progetti del Pacchetto Integrazione. Stima: circa 35 milioni di euro annui. 3

Destinazione di una quota delle risorse messe a disposizione della contrattazione collettiva per istituti contrattuali che favoriscano l’integrazione tra italiani e migranti. 4

Corsi serali per migranti orientati all’apprendimento della lingua italiana con titolo riconosciuto a livello regionale. 1

Corsi serali di alfabetizzazione informatica rivolti ai migranti, per consentire loro di mantenere i legami con la realtà di provenienza e di utilizzare l’informatica per rapporti bancari, reperimento informazioni, etc. 2

Destinazione di fondi ministeriali per la formazione degli insegnanti ai temi dell’intercultura e del dialogo interreligioso. 3

.3La scuola e gli altri enti formativi

La scuola è uno dei luoghi riconosciuti da sempre come cruciale per l’integrazione e la mobilità sociale. Grazie all’obbligo scolastico, tutti i bambini migranti hanno l’opportunità di imparare l’italiano e di inserirsi nella rete sociale e affettiva dei loro coetanei. È pur

vero che i figli dei migranti devono superare maggiori difficoltà rispetto ai loro pari italiani, e che la capacità della scuola di integrarli deve essere migliorata. Uno degli strumenti per attenuare questi ostacoli è certamente l’inclusione dei loro genitori e degli adulti migranti in genere in percorsi formativi che prevedono innanzitutto l’apprendimento della lingua e della cultura italiana.

Proposte

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L’Italia è un Paese a maggioranza cristiana e ancor

meglio cattolica. Oggi le migrazioni stanno cambiando il panorama e si af-facciano nel nostro territorio tradizioni religiose diverse e a volte distanti dalla nostra. Cosa significa questo per chi ha la responsabilità di “governare” la Chiesa?

Che i responsabili delle chiese devono ve-dere i processi migratori come facenti parte delle proprie radici, della propria storia, una storia difficile ma benedetta: “Ricorda che sei stato straniero in Egitto”.

Dal Concilio Vaticano Secondo (ved. Nostra Aetate) all’enciclica Caritas in veritate la Chiesa ha sempre preso aper-tamente posizione a favore della libertà religiosa. Come si impegna la Chiesa nell’educare a questa libertà?

In che rapporto colloca la libertà religiosa con il rispetto dei diritti umani? Come risponde la Cei a chi afferma che costruire una moschea equivale a rispet-tare i diritti umani?

Non c’è libertà religiosa senza rispetto dei diritti umani, per ottenere i quali bisogna fare un lungo percorso di purificazione. Credo che la Chiesa possa trarre dalla sua esperienza la gioia di consentire a ogni ap-partenenza religiosa la costruzione di un luogo di culto.

Che cos’è il dialogo interreligioso e per-ché è importante quando si ragiona di migranti e religione? Come si rapporta al dialogo fra le culture e quanto può favorire percorsi di integrazione?L’impegno per il bene comune, sotto-lineato in Caritas in veritate da Papa Benedetto può costituire la base di partenza per un dialogo concreto tra credenti in religioni diverse e tra cre-denti e non credenti?

Lo Spirito di Dio non può esaurirsi in una cultura e in una forma religiosa di cre-denza: il pluralismo è costitutivo delle nostre radici trinitarie.

Secondo alcune ricerche in Europa oggi si professano di religione islamica il 5% dei residenti. Si prevede che questo dato salirà al 20% in capo a 20 anni. Correlato a questo, si sta affer-mando un sentimento ostile all’Islam. Dall’altra parte in Indonesia è nato un movimento musulmano che ha lo sco-po di arginare la diffusione del cristia-nesimo. Vengono fatte manifestazioni in difesa della tradizione islamica e si stigmatizza la presenza dei cristiani. Come guarda a questi fenomeni? Non ricordano alcuni movimenti di casa nostra di segno uguale e contrario? Da cosa deriva questo incrudimento nella difficoltà di accettazione di religioni diverse? L’idea delle radici cristiane dell’Europa è un aiuto oppure un maci-gno sulla strada della convivenza?

Ogni volta che si identifica la religione con una cultura o con interessi particolari la reli-gione perde il suo carattere di gratuità, di li-bertà e di istanza critica e diviene ideologia. Il virus più pernicioso dell’esperienza reli-giosa è il nazionalismo. La nostra tradizione culturale occidentale e specificamente eu-ropea è stata fecondata da una pluralità di esperienze religiose di tradizione ebraico-cristiana. Proprio per questo - tranne alcuni periodi di smarrimento - ha maturato un at-teggiamento di tolleranza e di democrazia.

Ricorda che sei stato straniero in Egitto

Intervista a Don Mario Vit sul dialogo tra religioni e migrazioni

di Mauro Maurino

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intervista

Page 11: Storie di questo mondo - Anno 3 Numero 1 Febbraio

Abbiamo lavorato a un Manifesto per un Pacchetto Integrazione, nel quale, tra le altre, avanziamo la proposta di promuo-vere un programma statale per l’edilizia religiosa dei diversi culti. Come conci-liare l’idea che lo stato finanzi le diverse religioni e l’idea della laicità dello Stato? C’è conflitto tra queste due posizioni o si conciliano naturalmente?

Non tutte le religioni hanno bisogno di un “luogo” di culto. Per tanti ebrei, ad esempio, il luogo privilegiato del proprio rapporto con il divino è il “tempo”: l’ebraismo, se-condo costoro, non è la religione del luogo ma del tempo. E con il tempo inclemente è difficile pregare. Lo Stato pensi prima a ga-rantire le case e il lavoro e poi si preoccupi di sostenere i luoghi di culto.

Noi crediamo che la libertà religiosa e il dialogo fra religioni diverse sia una delle condizioni utili e necessarie per l’integrazione dei migranti perché contribuisce a costruire la dimensio-ne culturale e relazionale della vita dell’uomo, sia di colui che arriva che di colui che accoglie. In che misura e a quali condizioni questa affermazione è condivisibile? Come praticarla?

E pensate bene. Traducete il dialogo in ope-re di bene così che anche altri benefici della libertà dai bisogni fondamentali dell’uomo. I nostri padri, schiavi in Egitto, venivano uti-lizzati come manovalanza e merce, e contra-evano la cultura della sopraffazione. Quale cultura, quali “stili di vita” proponiamo ai nostri concittadini emigrati? Quale integra-zione e con quali “modelli”? Quelli dell’ap-parire e della furbizia? Dell’arroganza e del disprezzo della povera gente?

A partire dalla Sua esperienza nella Pa-storale giovanile, come il dialogo inter-religioso può facilitare il cammino delle seconde generazioni di immigrazione?

Noi abbiamo memoria corta, viviamo alla giornata. Quando le seconde generazioni di immigrati avranno superato il bisogno del riconoscimento identitario attraverso la se-parazione e anche l’opposizione, il rischio è l’omologazione. Occorre mantenere la me-moria attraverso il contatto con chi fa fatica, con chi è indietro, con chi è ultimo. “Ricorda-ti che sei stato schiavo”. Non dobbiamo dare nulla per scontato.

Mario VitPadre Mario Vit nasce a Por-togruaro (VE) il 30 dicembre 1933. Entra nella Compagnia di Gesù a Lonigo (VI) il 21 no-vembre 1953. Studia Teologia a Chieri (TO) dal 1961 al 1965, e qui viene ordinato sacerdote il 12 luglio 1964. Compie a Firenze il Terzo Anno di Probazione (1966-67). Negli anni 1967-1975 si dedica a studi di Psicologia a Palermo e di Sociologia a Trento. Dal 1968 al 1975 è Direttore del Centro universitario e Rettore della chiesa di S. Francesco Saverio a Trento. Dal 1976 al 1981 assiste i profughi del Terremoto in Friuli. Dal 1981 al 1989 viene inviato a Gorizia come aiuto del Direttore del Centro Stella Matutina e Assistente AGESCI. Dal 1989 al 2002 assume la responsabilità di aiuto del Direttore e successivamente di Direttore del Col-legio Universitario “Antonianum” di Padova. Viene infine inviato a Trieste nel 2002 come Direttore del Centro Culturale “Veritas”, quando la Com-pagnia decide di chiudere il Collegio patavino e di concentrare le proprie risorse e attenzioni su Trieste.

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Ogni volta che si identifica la religione con una cultura o con interessi particolari la religione perde il suo carattere di gratuità, di libertà e di istanza critica e diviene ideologia

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intervista

Buddismo

Cristianesimo

Ebraismo

Giainismo

Induismo

Islam

Neopaganesimo

Shintoismo

Sikhismo

Taoismo

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“As-salâm`alaykum” - ovvero “la pace sia su di voi” - è il saluto beneaugurante che

Abu Touq Mufid, Imam della moschea di Catania, rivolge agli studenti della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Catania in occasione della sua partecipazione ad un laboratorio didattico. Mentre parla dei fon-damenti della religione islamica, spiegando cosa siano i cinque pilastri dell’Islam - la testimonianza di fede, le preghiere rituali, il digiuno del mese di Ramadan, l’elemosina canonica o Zakat, il pellegrinaggio alla Mecca - la cosa che desta maggiormente l’attenzione è la grande quantità di temi che accomunano le tre grandi religioni mono-teistiche. Intonando una Sura (in arabo uno dei “capitoli” in cui è suddiviso il Corano, ndr) dice Mufid che: “Siamo tutti fratelli nell’uma-nità” e aggiunge “a cominciare dal nome di Dio-Allah, passando per il grande patriarca Abramo e fino ai libri sacri, abbiamo in co-mune addirittura l’80%”.

Da dove viene? Da quanto vive in Italia?

Sono Palestinese, ho 52 anni e sono in Italia dal ‘76, prima al Nord,

e dal ‘78 vivo a Catania. Ho studiato Farmacia, sono sposato ed i miei cinque figli sono nati tutti in Italia, uno a Jesi nelle Marche, gli altri quattro sono tutti “siciliani”. Dall’ `81 sono uno

degli Imam della comu-nità catanese.

Ecco, ma chi è e che cosa fa un’Imam?

L’Islam non ha clero, l’Imam è semplicemen-te una guida che aiuta i fratelli musulmani nella preghiera e non un rappresentante ufficiale dell’Islam. Ogni comunità sceglie i propri Imam tra i membri più degni. Nei paesi musulmani si scelgono come Imam i più preparati, anche laureati in teologia. Nelle comunità di immigrati invece si sceglie la persona più adatta. Se però le parole di un Imam non hanno radici nel Corano, egli parla solo per se stesso ed esprime solo i suoi pareri personali.

Quanti sono e come vivono i musulmani a Catania? Ci sono mai stati episodi di intolleranza?

In Sicilia ci sono circa 70000 musulmani di cui solo il 20% è praticante e frequenta le 35 moschee dell’isola. In città negli anni ‘80 è sorta la prima moschea italiana, adesso ci sono tre moschee e non ci sono mai stati atti di discriminazione razziale. La nostra è una comunità in continua crescita a cui stato, regione e comune hanno dato molti contri-buti per aiutare gli stranieri a stabilirsi nella società italiana; ma c’è tanto da fare per il continuo afflusso di immigrati con esigenze sempre nuove. Sono necessari molti altri sforzi sia da parte della comunità islamica sia da parte delle istituzioni soprattutto per quanto riguarda lo studio della lingua e la comprensione delle abitudini. A Catania abbiamo sempre trovato accoglienza, e in tutto il Meridione, c’è rispetto massimo e tolleranza tranne qualche battuta d’arresto, ad esempio dopo l’11 settembre…

Gli islamici sono integrati a Catania e più in generale in Italia?

Se per integrazione intendiamo lo “scioglie-re” la propria identità culturale in un’altra è un processo assurdo, se invece per integra-zione intendiamo uno scambio ed un arric-chimento reciproci è necessaria per poter convivere rispettandoci l’un l’altro. Il proces-so è cominciato tardi in Italia - le prime leggi per l’immigrazione si sono avute nel 1987 mentre in altri stati si è cominciato molto prima - e c’è ancora tanto da fare e non è facile. Occorre però uno sforzo maggiore dei governi, ed occorre impiegare le risorse esistenti in modo corretto.

Cosa chiederebbe all’amministrazione comunale per la comunità islamica catanese?

Da tempo chiediamo un cimitero per musul-mani, ma chiediamo anche luoghi di culto e luoghi per insegnare ai nostri bambini la religione islamica e la cultura araba. Vorrem-mo anche luoghi di incontro e dialogo con la società che ci ospita.

Cronaca alla mano, l’Islam come vede il ruolo della donna nella società?

La condizione della donna da parte dell’Islam è vista dall’esterno attraverso i mass media che sono limitati ad alcuni casi che non rappresentano tutto l’Islam; in realtà il mondo islamico ha grande consi-derazione della donna; ella è madre, figlia, sorella. Donna e uomo si completano e

Siamo tutti fratelli nell’umanità

Incontro con Abu Touq Mufid, Imam della moschea di Catania

di Mario Indelicato

incontri

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sono indispensabili per creare una fami-glia. Il capofamiglia è l’uomo ed è lui che prende le decisioni, però egli ha sempre una donna dietro che esercita una pressio-ne sull’uomo.

Allora come si “giustifica” l’uso del burqa?

Il Corano, non obbliga all’uso del burqa - che è una tradizione di alcuni paesi arabi - anche se le donne sono tenute a mantenere il capo coperto. Però credo che se è una libera scelta della donna può andar bene. Le donne non devono essere obbligate, però , così come c’è la libertà per le donne di spogliarsi ci può essere anche quella di coprirsi!

Com’è vista l’omosessualità?

La condanniamo, perché l’obiettivo del ma-trimonio è formare una famiglia e fare dei figli; gli omosessuali non possono formare una famiglia. L’uomo però dentro casa sua può fare ciò che vuole, le religione non vuole che si faccia in pubblico allo stesso modo dell’intimità tra uomo e donna.

Per concludere, secondo lei che relazio-ne c’è tra terrorismo e Corano?

Il Corano dice che “chi uccide un’anima innocente uccide tutta l’umanità”, Allah è misericordioso e clemente, e questo non coincide con la violenza. Il terrorismo non è religione. Come i siciliani non sono tutti mafiosi, così i musulmani non sono tutti terroristi. Purtroppo i media giocano un ruolo importante; quando, ad esempio, negli anni’80 ci fu la guerra tra Unione So-vietica ed Afghanistan gli stessi mujâhidîn

afgani - che furono finanziati, armati ed addestrati dagli Stati Uniti - oggi invece, sono chiamati dai mass media terroristi o talebani. È il bisogno di un nemico che porta la civiltà occidentale a combattere chiunque, una volta c’era la guerra fredda, oggi la guerra al terrorismo islamico. Volato il tempo a nostra disposizione, delle parole di Abu Touq Mufid ci resta dentro un grande messaggio di fratellanza, di tol-leranza, di rispetto e voglia di stare insieme che di questi tempi non guasta.

Sicilia e IslamQuella del rapporto tra Islam e Sicilia è una storia mille-naria. Una storia che affonda le proprie radici nell’alto medioevo, dallo sbarco a Mazara del Vallo nell’827 d.C.. Indebolita e spossata dal dominio bizantino, la Sicilia con la conquista araba, rifiorì sia economicamente che culturalmente e godette di un lungo periodo di pace e prosperità. I musulmani, nel complesso rispettosi delle radici religiose e culturali dell’isola, imposero solo ai cristiani che non intendevano convertirsi all’Islam una fiscalità leggermente più pesante rispetto a quella ri-servata ai sudditi musulmani. In un tale rapporto di so-stanziale tolleranza parecchi dei maggiori esponenti della cultura e dell’arte in lingua araba scrivono in ara-bo della Sicilia e dalla Sicilia. Geografi, storici, poeti, ar-tisti, artigiani, alcuni addirittura nativi dell’isola, altri vi approdano e se ne innamorano. Il popolo siciliano di-ventò, anche grazie all’apporto genetico arabo, un po-polo di “sangue misto” ma proprio per questo s’arricchì.

Il miscuglio di “razze” è, contrariamente a quanto si pensa oggi, un fattore antropologicamente corretto e biologicamente evolutivo. Nel 1061 il dominio arabo fi-nisce ma, anche dopo la conquista normanna rimase in Sicilia una piccola minoranza di musulmani. Un viaggia-tore persiano, Ibn Giubair, descrive la Sicilia sotto la do-minazione di Guglielmo II come una terra ricca di cultu-ra musulmana, che conviveva pacificamente con quella cristiana, e così descrive le donne di Palermo nel 1200: “le donne cristiane di questa città all’aspetto sembrano musulmane, parlano arabo correttamente,

si ammantano e si velano come quelle”. In epoca mo-derna, la presenza islamica in Sicilia, come in genera-le in Italia, è quasi inesistente fino agli anni ‘60 - ‘70, quando iniziano ad arrivare in Italia i primi studenti dai paesi arabi. Oggi tracce della presenza musulmana in Sicilia si scorgono nella maggior parte dei nomi di pa-esi o di città (da Alì ad Alcantara, da Favara a Marsala), nella granita, nel “couscous”, nel “pane e panelle”, nel personaggio di “Giufà” (la “maschera” simbolo della

Sicilia) ed in molto altro ancora.

“Preghiera con bambina”

Foto di Michele D’Agata

A sinistra: Abu Touq Mufid, Imam

della moschea di Catania

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incontri

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Johnny DottiPresidente Fondazione Solidarete

Chiara GiaccardiOrdinario di Sociologia Processi Culturali presso Università Cattolica di Milano

Abdelkarim HannachiDocente di Lingua Araba presso Facoltà di Lingue e Letterature Straniere dell’Università di Catania

Natale LosiDirettore Scuola di psicoterapia etno-sistemico-narrativa di Roma

Mauro MagattiOrdinario di Sociologia presso Università Cattolica di Milano

Padre Beniamino RossiMissionario ScalabrinianoPresidente A.S.C.S.

Mario MorecelliniPreside Facoltà di Scienze della comunicazione presso Università La Sapienza di Roma

Comitato scientifico

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Rubrica a cura del comitato scientifico di Connecting People

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Alcuni spuntisul dialogo interreligioso

di Padre Beniamino RossiMissionario ScalabrinianoPresidente A.S.C.S

Hans Kung, in un discorso del 9 novembre 2001 (Crossing the Divide – Superare la di-visione) tenuto all’ONU, sintetizzava le idee maturate nel “Parlamento delle religioni mondiali” di Chicago del 1993 in queste affermazioni: “Non c’è pace tra le nazioni senza una pace tra le religioni; non c’è pace tra le religioni senza dialogo tra le religioni; non c’è dialogo tra le religioni senza un modello etico globale; non c’è sopravvi-venza del nostro pianeta e nella giustizia senza un nuovo paradigma di relazioni internazionali fondato su modelli etici glo-bali” (KUNG Hans, Ciò che credo, p. 326).Nel mondo, che sta diventando sempre più un “villaggio globale”, accanto ad un’econo-mia planetaria e ad una interdipendenza di tutti i vecchi ed i nuovi Stati-Nazione, assi-stiamo ad un pluralismo culturale, sociale e religioso che pervade tutte le società locali. Si tratta di un fenomeno grandioso nel quale le migrazioni moderne stanno giocando un ruolo fondamentale e “strutturale”.Per parlare in termini cristiani, il cristia-nesimo all’inizio del terzo millennio, nel villaggio globale e plurale del mondo, è chiamato ad annunciare ancora una volta la “buona - bella notizia” di Gesù alle donne ed agli uomini di questo nostro tempo: siamo in una situazione di “Galilea delle genti”, in una società ibrida e meticciata sia dal punto di vista culturale che religioso, come la terra dove Gesù ha iniziato la sua “missione”; per le donne e per gli uomini di oggi deve ri-suonare la grande speranza che sono amati oggi dal Padre e che il Padre vuole oggi impiantare nella loro storia il suo Regno.Ad uno sguardo superficiale le religio-ni sembrano costituire un ostacolo al

dialogo: nella visione di “scontro delle civiltà”, teorizzata da Samuel Huntington, il “risveglio del sacro”, rilevato dal politologo americano, ha il sapore ed il colore del fon-damentalismo religioso che fa rinascere nuove paure e nuove contrapposizioni.Ma si può sperare e lavorare per un “incon-tro delle diversità”: una pace tra le religioni è possibile, anzi è indispensabile.Senza pretendere di dare una visione esau-stiva e completa, vorrei semplicemente accennare a tre aspetti preliminari del dialogo tra le religioni.

La “conversione” delle religioni

Sono le religioni, in quanto storicizzazioni culturali e cultuali di fede e credenze reli-giose, che sono chiamate continuamente alla “conversione” verso la realtà plurale del mondo di oggi, per non scadere nella visione ideologica o cascare nella tenta-zione del “fondamentalismo”. • Ogni religione, infatti, tende a pro-

muovere una “comunione” forte e coesa ma principalmente (e spesso esclusivamente) tra coloro che si iden-tificano in essa (i “fedeli”), vedendo gli altri e l’altro come “infedeli”. In questo contesto, le religioni, pur proclamando

un Dio di pace, un Dio universale per tutti gli uomini, con la loro azione cultuale e formativa, che vuole de-finire ed identificare la propria area di influenza, più che a promuovere la “comunione delle diversità”, tendono a definire, approfondire ed enfatizza-re, in modo a volte esclusivo, le pecu-liarità di appartenenza, di credenza, di culto e di pratica religiosa.

• Inoltre, le religiosi storiche hanno vis-suto e stanno vivendo in modo difficile e conflittuale il rapporto con la moder-nità, che si esprime proprio nell’attuale realtà multiculturale, multietnica e multireligiosa. Tale difficoltà e conflit-tualità è stata vissuta dalla religione cristiana (cattolica in particolare) già all’epoca dei lumi (secolo XVIII) e della rivoluzione francese e durante tutto il secolo XIX, caratterizzato dall’anticle-ricalismo, dalla laicizzazione e dalla secolarizzazione. Il percorso lungo, difficile ed a volte contraddittorio, di riconciliazione tra la Chiesa cattolica e la modernità è stato raggiunto nel Concilio Ecumenico Vaticano II, con la Costituzione pastorale Gaudium et Spes. Oggi assistiamo al difficile e complesso rapporto tra la moderni-tà e l’Islam: la cultura secolarizzata

Da anni il Dalai Lama è impegnato nel difficile percorso di dialogo e integrazione del TibetFonte Flickr, foto di Lauren Victoria Burke

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occidentale sta intaccando valori, tradizioni e comportamenti millenari, ritenuti parte integrante dell’identità sociale, culturale, religiosa islamica; di fronte a tale aggressione “satanica”, alcune frange intellettuali e conserva-trici acuiscono la teorizzazione di un

fondamentalismo religioso forte e de-ciso, che sconfina talvolta nelle prati-che violente e criminali del terrorismo.

• Infine, le religioni sono portatrici di una visione sacrale e teocentrica dell’uni-verso, dell’uomo e della storia e, per quanto riguarda la conduzione della

società, di una visione “teocratica”: è questo uno dei punti nodali di scontro tra le religioni e la modernità di oggi, che ha una visione antropocentrica dell’universo, dell’uomo e della storia, ed una visione democratica per quanto riguarda la costruzione e conduzione della società. Il cammino di abban-dono della visione teocratica della società da parte del Cristianesimo è stato lento, progressivo e non ancora compiuto, anche se può trovare le sue fondamenta nella persona stessa di Gesù e nel messaggio evangelico. Sarà complesso e difficile anche il cammi-no che dovrà compiere la religione islamica, nata come visone teocratica della società, nella quale la legge civile si identifica con la legge religio-sa: dopo la dissoluzione dell’impero ottomano, nella costituzione degli Stati-Nazione nel secolo XX nell’area islamica, si è registrato fino ad oggi il tentativo di instaurare Stati “islamici”, obiettivo centrale questo del fonda-mentalismo islamico.

Due cammini di “conversione” delle religioni

A. Ogni singola religione deve operare una riconciliazione con la modernità: vedere in essa non tanto una “nequizia dei tempi”, ma piuttosto un “segno dei tempi”, uno stimolo dello Spirito perchè le religioni si rivolgano verso il presente e verso il futuro del nostro mondo e non siano ripiegate sulla tradizione e su un passato che è tramontato. Così, le “conquiste” qualificanti della società moderna possono essere pensate e valutate come un prodotto dello Spirito di Dio: • la centralità della persona umana,

amata da Dio come “un assoluto” e, quindi, da ritenere un “assoluto”; l’alte-rità (il “tu” fondamento metafisico del mio “io”); i diritti della persona umana, centro del pensare ed agire nei rappor-ti interpersonali e nei rapporti sociali, economici e politici;

• la solidarietà e la corresponsabilità tra tutte le donne e tutti gli uomini,

Il dialogo tra la chiese cattolica e ortodossa negli ultimi anni ha fatto sensibili passi avantiFonte Flickr, foto di Beppe Modica

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Siamo in unasocietà ibrida e meticciata sia

dal punto di vista culturale che

religioso

Padre Beniamino RossiPresidente A.S.C.S. Agenzia Scala-briniana per Cooperazione allo svi-luppo. Da anni la ASCS è impegnata a sostenere l’ampio ed articolato progetto della “missione scalabrinia-na” nel quartiere di Croix-de-Bou-quets ad Haiti, che, oltre al semina-rio propedeutico, gestisce una scuola per 450 ragazzi , un poliambulatorio, una fattoria, una serie di strutture per la formazione dei laici e giovani in particolare, nonché la struttura della Conferenza episcopale haitiana.

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e

cittadini dello stesso villaggio globale (la “globalizzazione solidale”);

• l’uguaglianza e la correlazione, pro-prio nella diversità dei generi, tra donna ed uomo;

• la pace come dialogo e cooperazione tra popoli, etnie, culture e religioni;

• la necessità di condivisione, di dibat-tito e di incontro nelle “agorà” locali ed inter-nazionali per la diffi-cile costruzione, nella gestione delle conflit-tualità, di una società coesa ed integrata;

• la riscoperta della natu-ra e di un rapporto equilibrato con essa come fattore fondamentale per la con-vivenza per uno sviluppo economico e tecnico vivibile;

• l’impegno scientifico e tecnico per il miglioramento dei rapporti tra gli uomini, per la moltiplicazione delle comunicazioni e per il miglioramento del vivibilità umana.

B. Seguendo la tradizione di molte religioni, che hanno come centro del loro insegnamento e della loro educazione l’or-toprassi, esse devono operare il processo di una “nuova” inculturazione della fede. Si tratta di impostare un annuncio ed una catechesi religiosa, che presentino:• la visione di un Dio “centrato sull’uomo”;• la visione dell’uomo e del senso

della sua vita che sia so-stanzialmente “per dono”;

• lo scopo dei rapporti tra le donne e gli uomini, finaliz-zato alla costruzione di una società solidale e fraterna;

• l’utilizzazione dei beni di questo mondo da ridistribuire tra fratelli, con una particolare attenzione a quelli più deboli, formando ad un rapporto di servizio e di condivisione con la natura e con l’universo.

Dopo secoli di lotte religiose sulle “teo-logie”, alla ricerca del “volto” di Dio (della

proclamazione della “verità” della descrizione di Dio proprio di ogni religione), ci si potrebbe concentrare sulla ricerca del “cuore” di Dio, del suo Amore, unico ed irripetibile, verso ogni donna ed ogni uomo che

vengono in questo mondo, da Lui amati singolarmente in modo totale.

Le migrazioni: provocazione per il cri-stianesimo ad una nuova “missione”

Il cristianesimo ha vissuto quattro grandi stagioni missionarie: la stagione missiona-ria degli inizi, che ha visto la scristianizza-zione dell’impero romano; l’assordimento e l’inculturazione cristiana dei popoli “bar-bari” fino alla composizione delle “Societas Christiana” del medioevo cattolico e della ecumene ortodossa; l’espansione geo-grafica del cattolicesimo e del protestan-tesimo all’epoca successiva le scoperte geografiche; la grande epopea missionaria

dell’epoca della colonizzazione. Anche altre religioni, tra cui l’Islam, hanno conosciuto

una forte espansione geografica, secondo differenti parametri storici. Ognuna delle religioni tentava di allargare i propri spazi territoriali di omogeneità religiosa.Nel mondo decolonizzato e globalizzato siamo in una situazione di stallo e di contrapposizione esplosiva: i margini di espansione sono diventati esigui e, sotto molti aspetti, anacronistici, sconfinando nell’aggressività del proselitismo e della violenza. La “missionarietà” deve scoprire nuove strategie e nuovi contenuti. Il Dio che ama e parla alle donne ed agli uomini della globalizzazione sembra proporre il linguaggio della “convivenza” delle

difficoltà e, quindi della “pace

Assisi è spesso teatro di incontri ecumenici e interreligiosiFonte Flickr, foto di Stefano Pertusati

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ecumenica fra le religioni mondiali” (KUNG Hans, Op. Cit., p. 336). In questo contesto le migrazioni moderne possono essere viste come la “provocazio-ne” a questa nuova cultura missionaria. In effetti, le migrazioni presentano, sotto l’aspetto sociale, politico e culturale, ca-ratteristiche inedite e si collocano nella stagione della globalizzazione che caratte-rizza il nuovo millennio. Le migrazioni del mondo globalizzato sono da considerarsi ”strutturali” alle economie e alle società, ma devono essere considerate come “strutturali” anche sotto l’aspetto religioso. La Chiesa cattolica nel Concilio Ecumenico Vaticano II si è autodefinita “sacramento” del Padre, del Figlio e dello Spirito nella storia delle donne e degli uomini di oggi: “segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano” (Lumen Gentium 1). E si è impegnata ad esserlo in modo “missionario”: dopo secoli di Societas Christiana, che aveva dato la sensazione di essere divenuta “stanziale”, lo Spirito Santo sta mettendo la Chiesa di nuovo in movimento, la sta rendendo di nuovo “pellegrina”, affinché annunci ad un mondo, mai così intercomunicante e mai così cosciente delle proprie diversità, che esso è chiamato a vivere in modo “comu-nionale” le proprie diversità.

• Questo annuncio deve essere svolto prima di tutto nell’interno variegato di ogni chiesa locale: l’impegno verso una “cattolicità culturale” sostituisce l’anti-ca visione “geografica” della cattolicità. Se l’obiettivo dell’annuncio e della catechesi missionaria della Chiesa pel-legrina è quello della promozione della “comunione delle diversità”, l’atteg-giamento della Chiesa e dei cristiani verso le migrazioni (diversità evidenti) diventa la “cartina di tornasole” per ve-rificare fino a che punto tale annuncio di comunione stia penetrando nella mente, nel cuore e negli atteggiamenti di coloro che si definiscono “credenti”. Assistiamo, di fatto, ad atteggiamenti xenofobi proprio in tanti che si dicono e si professano “fedeli” e praticanti cattolici: l’annuncio e la catechesi della “comunione delle diversità” è da rivolgere innanzitutto a coloro che si sentono parte della Chiesa e l’invito alla “conversione” coinvolge in primo luogo proprio costoro. Ma assistiamo anche ai migranti cattolici che vivono da “vittime dell’emigrazione”: sono fagocitati in un riduzionismo delle aspirazioni che tarpa le ali dello spirito; si rinchiudono in se stessi in ghetti etnico linguistici ed in identità chiuse

e necrofile. L’annuncio e la catechesi della “comunione delle diversità” deve essere rivolta proprio a loro: senza una “conversione” non possono accogliere la “buona - bella notizia” che il Regno del Padre si costruisce proprio nella loro storia. La Chiesa per evangelizzare deve lasciarsi evangelizzare continua-mente dal Vangelo di Gesù ed anche i cristiani (sia autoctoni che migranti), per poter annunciare Gesù, devono prima lasciarsi evangelizzare e cate-chizzare da Gesù. La Chiesa, quindi, è chiamata, prima di tutto nel suo inter-no, a operare una “conversione” ad una cultura di “comunione”.

• L’annuncio di vivere “in modo co-munionale le diversità” si allarga alla dimensione “ecumenica”. Quando, nel secolo XVI, era esplosa la “riforma”, la visione dell’omogeneità confessionale di quel tempo era esplosa anche la sta-gione funesta delle “guerre di religio-ne” e si era composta un’omogeneità confessionale a macchia di leopardo secondo il principio “cujus regio ejius religio”. Ma questo dogma socio-politico-culturale-religioso era entrato in crisi con le migrazioni del XIX secolo ed ancora di più con le migrazioni

La condizione della donna è uno dei temi che spesso fanno esplodere il conflitto“Richiamo” Foto di Michele D’Agata

Sono tante le aree in cui ancora esistono tensioni fra ebrei e musulmaniFonte Flickr, foto di Dario Buonfantino

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odierne, che hanno reso di attualità l’ecumenismo come paradigma di convivenza pacifica sociale, culturale e religiosa; basti pensare alle migrazioni ortodosse dall’Est Europa.

• Le migrazioni hanno portato in ogni società locale un pluralismo religioso globale, che ci impone di superare l’antica visione delle “religioni in lotta” e perfino la “competizione delle religioni”. Uno accanto all’altro, oggi, perfino nella nostra Italia “cattolica” sono presenti modelli religiosi plurimi: dal modello indù, a quello di Buddha e di Confucio, che si intrecciano con l’antico modello ebraico e al modello islamico diventato una minoranza ormai altamente significativa, mentre si è venuta formando nel corso dei de-cenni passati una categoria di persone che si dicono e si vogliono areligiose (gnostici – atei – miscredenti – anticle-ricali - laicisti, ecc.). Sono nati in questi anni i “movimenti ecclesiali” che si pon-gono come “missionari” soprattutto questa ultima categoria di persone, alla ricerca di una “radicalità evangelica”.Credo che sia da ripensare una nuova

missionarietà verso la variegata “Ga-lilea delle genti” che è diventata ogni nostra società locale. Dobbiamo forse riscoprire la “missionarietà” del Padre di misericordia che continua ad amare questo nostro mondo concreto, abitato dalle sue figlie e dai suoi figli, diversi e diversificati secondo i nostri parametri di etnia, cultura e religione: quella missionarietà che l’uomo Gesù di Nazareth ha vissuto veramente con “radicalità”. Personalmente credo che le donne e gli uomini di oggi, diversi nelle loro fedi e nelle loro credenze, sono chiamati a “narrare, nelle loro diver-sità, le grandi cose che il Dio d’amore compie nella loro concreta esistenza”.Hans Kung così descrive quello che lui definisce la sua “visione di speranza”: 1. Sempre più persone realizzeran-no che le tre grandi religioni profetiche (Ebraismo, Cristianesimo e Islam) co-stituiscono un primo sistema religioso di movimento coerente, che ha una comune origine semitica... I fedeli di queste tre religioni professano tutti la fede nell’unico Dio di Abramo, Colui che ha creato e porta a compimento

questo mondo; credono in un corso della storia orientato al futuro ed in un’etica fondamentale di elementare umanità (i 10 comandamenti).2. Sempre più persone, in uno spiri-to di riconciliazione, impareranno a farsi arricchire anche dal secondo sistema di correnti religiose, quello che trae origine dalla mistica indiana (induismo e buddhismo soprattutto) e dal terso sistema di carattere sapienziale cinese (confucianesimo e taoismo): dai loro valori spirituali, dalla loro profonda mi-stica, dalla loro concezione del mondo e dell’uomo, che si tramandano nei secoli.3. Sempre più, all’opposto, le stesse tre religioni profetiche, attingendo alla loro inesauribile eredità, faranno dono alle altre religioni delle loro esperienze spirituali, lontane da ogni tipo di colo-nialismo religioso, da ogni presunzione trionfalistica, da ogni svalutazione o monopolizzazione spirituale.

Nell’insieme, non un mondo ideale delle religioni, ma religioni che, senza rinunciare alla propria verità, vivano in pace” (KUNG Hans, Op. cit. pp. 337-338).

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Numerosi studi sui fondamenti e sulla forma del pensiero religioso africano sono unanimi nel ricono-

scere che il rapporto dell’africano con il Sacro è essenziale nella vita quotidiana. Tutte le attività trovano senso e vitalità nell’interazio-ne permanente fra il Creatore e le creature. Oggi, i rapporti tra gli africani e Dio si sono modificati in modo significativo, in seguito all’influenza invadente della spiritualità oc-cidentale o orientale, benché quest’ultima in minor misura. Le religioni tradizionali africane perdono del terreno rispetto a quelle dette “del libro”. Allo stesso tempo, la sovrimposizione delle stesse su un substrato tradizionale fortemente radicato ha creato forme di sincretismo e credenze particolari. Al di là degli aspetti puramente religiosi, la povertà strisciante nel “Continente Nero” ha dato origine ad attività para-spirituali. Così, sballottati fra sollecitazioni di natura diversa, gli africani hanno comunque conservato un rapporto particolare con Dio. Occorre porci alcune domande per meglio approfondire tale argomento. Quali sono i fondamenti del pensiero religioso africano? Quali sono i rap-porti fra le religioni tradizionali e quelle dette “del libro”? Si può ancora parlare oggi di una spiritualità specificamente africana?

Le religionitradizionali africane Sebbene non esistano parole nelle lingue africane per designare in modo preciso il concetto di religione, la realtà spirituale in Africa è ben anteriore all’arrivo dell’Islam verso l’VIII secolo e del Cristianesimo tra il XV e il XIX secolo. Gli africani sono inti-mamente legati alla natura e alle forze che la regolano e credono in un Dio unico. Oc-corre infatti notare che tutte le parole nelle lingue africane per indicare Dio lo ricono-scono come uno solo, al contrario di alcune letterature che conferiscono un carattere politeista alle religioni africane. Tali parole variano in base al luogo di riferimento. Dio si chiama Amma in Dogon, Engai in Massai, Maa Ngala in Mandingue, Olodumare in Yoruba, Nyame in Fang, Nzambe in più lin-gue bantu. Dio è allo stesso tempo unico e plurale nelle sue azioni e gli spiriti e le forze della natura rappresentano le sue diverse sfaccettature, come la trinità per i cattolici.Secondo fonti concordanti, gli adepti delle religioni tradizionali africane sono sparpagliati in 43 paesi e corrispondono

a quasi 100 milioni di individui, vale a dire il 70% degli adepti di religioni tradizionali nel mondo. In Africa invece, rappresentano il 12% della popolazione totale, poiché il 45% degli africani è cristiano e il 40% mu-sulmano. Le religioni africane influenzano svariati aspetti delle usanze dell’Islam e del Cristianesimo. Nella Chiesa Cattolica, ad esempio, si osserva l’introduzione di alcuni

Stéphane Ebongue Koube

È nato il 18/02/70 in Camerun. Ha conseguito un First degree in Journalism and mass communica-tion e un master in English litera-ture. Ha lavorato in Camerun come giornalista. Nel maggio del 2007 è arrivato in Italia, dove è rifugiato per motivi umanitari. Qui ha lavo-rato alla Claudiana, la casa editrice della chiesa Valdese a Torino.

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Gli Africani e DioLe religioni e il rapporto con il sacro degli africani

di Stéphane Ebongue Koube

Fonte Flickr, foto di Nora my love

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oltremare

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elementi del culto tradizionale africano, quali la danza e gli strumenti di musica tradizionale. In alcuni canti rituali diventati canti liturgici, si sono soltanto sostituiti i nomi delle divinità africane con Gesù, Dio o Maria. Gli egittologi affermano che ogni popolo al sud del Sahara ha ereditato dei principi della religione primitiva degli Egizi antichi che traggono origine nella Valle del Nilo. In seguito, con le migrazioni e le mescolanze diverse, si è verificata una diversificazione dei modi di esprimere la

propria spiritualità. Tuttavia, tutte le reli-gioni hanno conservato una base comune, articolata intorno al culto degli antenati, il totemismo e la credenza nella reincar-nazione. Qui, l’assenza di proselitismo è dovuta alla similitudine delle abitudini religiose ovunque. In Africa, la linea di demarcazione tra religione e tradizione è talmente lieve che i due concetti si confon-dono. Secondo l’etnologo francese Marcel Griaule, “La religione tradizionale africana è un sistema di relazioni fra il mondo

visibile degli uomini e il mondo invisibile regolato da un Creatore e dalle potenze diverse della natura che rappresentano la sua manifestazione”. Le forze della natura costituiscono una rete d’intermediari tra Dio e gli uomini. Tutti gli aspetti della vita quotidiana sono legati alla spiritualità: le stagioni, la nascita, la pubertà, il matrimonio, la vecchiaia e la morte. Al contrario del pen-siero giudeo-cristiano, la morte nel contesto religioso africano non è sinonimo d’annien-tamento. La morte è una fine certa, ma altresì l’inizio di un altro percorso.La credenza in una forza vitale cosmica è centrale. Tale forza proviene dagli spiriti della natura, dagli antenati, dai capi villaggi e dagli iniziati. I riti e i culti partecipano allo sviluppo di tale forza. La preghiera, i sacrifici, la danza sacra sono le principali forme di culto. Qui, il sacrificio ricopre quattro funzioni:

• Una funzione divinatoria, per interpre-tare gli atti e le situazioni passate.• Una funzione d’identificazione, per stabilire un legame tra il mondo dei vivi e quello degli antenati.• Una funzione di purificazione, per purificare l’individuo da tutti gli errori commessi e dai divieti infranti.• Inoltre, è necessario durante i riti di passaggio che conferiscono all’individuo una funzione sociale diversa. Il capo villag-gio è anche capo spirituale.

In Africa, i luoghi di culto corrispondono ai luoghi di vita. Il limite tra il sacro e il profa-no è quasi inesistente. In alcuni casi, rispet-to a circostanze particolari, esistono posti e tempi sacri. Sono luoghi in cui alcuni spiriti entrano in contatto con dei corpi possedu-ti o in stato di trance. Nei riti religiosi africa-ni, digiuni, preghiere, offerta di sacrifici e le cerimonie dedicate agli antenati ricoprono una grande importanza.

Religioni africane e globalizzazione. Le nuove fedidi Stéphane Ebongue Koube

Il proselitismo dell’Islam e del Cristianesimo, con particolare riferimento alla sua componente pen-tecostale, ha condizionato le credenze tradiziona-li al punto da farle diventare marginali.La propaganda islam-cristiana le dipinge come stregoneria, paganesimo o credenze non ben definite. Esistono comunque delle notevoli re-sistenze, soprattutto nell’Africa dell’Ovest e in quella Centrale. I Fong-Egbe, gli Ewe, gli Yorubas del Togo, della Nigeria e del Benin, ad esempio, praticano ancora in modo permanente e ortodos-so il Vodu, mentre i Fang del Gabon e della Guinea Equatoriale praticano il Bwiti, in cui l’Iboga, una pianta allucinogena della foresta equatoriale svolge un ruolo di primo piano. Escludendo il pro-selitismo delle nuove religioni, le religioni tradi-zionali africane svaniscono per altri motivi, quali l’invecchiamento e la scarsità dei preti tradizionali e il disinteresse dei giovani verso quella forma di spiritualità che giudicano antica. Più che le Chiese cattoliche e protestanti, ormai considerate dai gio-vani come Chiese “morte”, si moltiplicano in modo notevole in Africa le Chiese dette “del risveglio”. Tre ragioni possono giustificare tale successo:• La facilità con cui ognuno può creare una Chiesa. A tal riguardo, in molti paesi africani al Sud del Sahara, non vi è nessun ostacolo ammi-nistrativo alla creazione di una Chiesa. Nessuna attenzione è rivolta né verso l’integrità morale, né sulla formazione spirituale di chi vuole av-viare un’impresa del genere.

• Il messaggio è alimentato dalla grande po-vertà dei fedeli. Lontano da un messaggio pu-ramente spirituale centrato sul paradiso e sulla vita eterna, come per i cattolici o i protestanti tradizionali, i pastori delle Chiese dette “del ri-sveglio” predicano sulla ricchezza, la prosperità, il matrimonio, la fecondità, il lavoro e, a volte, il viaggio degli africani che sognano di raggiungere l’Europa. Un tale messaggio è più pratico e più at-traente di quello che predica il ritorno di Gesù per premiare i buoni e punire i cattivi.• L’aspetto spettacolare delle cerimonie religiose: i pastori dicono di compiere dei miracoli, aiutati in ciò dall’azione dello Spirito Santo. Lo stato di “trance”, in cui l’individuo parla più lingue è ampiamente diffuso. Alcuni versi della Bibbia sono abusivamente predicati: essi invitano i fedeli a effettuare delle donazioni a favore della Chiesa. Anche in questo caso, è evidente il sincretismo col pensiero spiri-tuale tradizionale. Anche senza volerlo, i cristiani africani oggi sono in qualche modo ibridi, a caval-lo tra credenze ancestrali e nuove fedi. Ciò può spiegare la loro difficile integrazione in un con-testo culturale diverso. Al di fuori dell’Africa, vi è la tendenza a ricreare un sistema spirituale simile a quello consueto, dove il ritmo, la danza e i mi-racoli rivestono un ruolo importante. In Europa, e in Italia in particolare, vi sono parecchie chiese africane frequentate esclusivamente da fedeli africani. Nelle chiese abitualmente frequentate da Europei, la presenza africana è marginale.

Fonte Stock.XCHNG, foto di Cristiano Galbiati

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oltremare

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Nel mese di maggio dello scorso anno è nata Xenagos - Fonda-zione per l’integrazione, una

fondazione senza scopo di lucro costituita per volontà del consorzio Connecting Pe-ople al fine di sviluppare attività a favore dell’integrazione culturale e sociale delle persone migranti nelle terre d’approdo. “Abbiamo creato una fondazione di par-tecipazione per rendere l’integrazione un problema, un fenomeno condiviso,” afferma Orazio Micalizzi, presidente di Xenagos. “Le prime azioni in questa direzione,” continua

Micalizzi, “sono l’indizione del concorsoper il logo della nostra organizzazione e la garanzia finanziaria concessa a una coopera-tiva che interviene nel campo dei migranti.”La fondazione intende favorire processi di accoglienza, di formazione professionale e di inserimento nel mondo del lavoro per le persone migranti, nonché di salvaguardia e aiuto per i minori non accompagnati, le donne e tutte le persone vittime di soprusi e violazioni della carta dei diritti umani. Questi scopi sono perseguiti anche sostenendo la progettazione di consorzi e cooperative in questo ambito.Xenagos è una fondazione aperta. Posso-no divenirne membri persone fisiche o giu-ridiche, enti pubblici e privati che vengano ritenuti meritevoli di assumere tale quali-fica per caratteristiche relative alle finalità perseguite e all’esperienza acquisita. “Presto promuoveremo i primi incontri con possibili partner e altri soggetti interessan-ti,” dichiara Mauro Maurino, vicepresidente. ”I primi passi della fondazione sono infatti orientati all’acquisizione di un minimo di visibilità per costruire le alleanze e le parte-cipazioni che consentano di raggiungere gli obiettivi ambiziosi che ci siamo posti.”Xenagos - in greco, guida dello straniero - ha sede a Catania ed esplica le proprie finalità di solidarietà sociale anche in ambito internazionale. Oltre a Micalizzi e Maurino, il Consiglio di Amministrazione della neonata fondazione vede la parteci-

pazione di Vito Luca Scozzari, mentre il Consiglio Generale è composto, oltre

che dai tre membri del Consiglio di Amministrazione, da Carlo Tedde.

L’impegno della fondazione è volto alla ricerca, allo studio e

all’elaborazione di proposte e soluzioni relative ai fenomeni legati all’integrazione sociale, abitativa e sanitaria e all’immigra-zione nel suo complesso, sia in Italia che in ambito europeo e internazionale, al fine di promulgare all’estero nuovi modelli di welfare state e favorire lo sviluppo socioe-conomico dei paesi terzi, in particolare dei paesi di origine dei migranti.Per realizzare le proprie finalità, Xenagos si serve di una serie di strumenti quali la gestione dei beni confiscati alla mafia, la raccolta di fondi, l’assunzione di pre-stiti, l’acquisto di immobili, la stipula di convenzioni con enti pubblici o privati, l’organizzazione di esposizioni e congressi, lo svolgimento di attività formative, la pub-blicazione e la diffusione di opere scientifi-che, culturali e di riviste e la promozione di attività di studio e di ricerca. Lo statuto della fondazione prevede inol-tre la possibilità di eleggere un comitato scientifico per supportare Xenagos sotto il profilo tecnico-scientifico nel persegui-mento della propria finalità, in particolare nella definizione e realizzazione degli obiettivi e dei progetti. “La scelta degli strumenti con cui interve-nire non è neutrale,” sostiene Micalizzi. “Le fondazioni hanno una vocazione redistri-butiva accentuata, sono potenzialmente capaci di raccogliere risorse anche da soggetti considerati lontani e trasformano risorse private in risorse di pubblica utilità,” spiega il presidente di Xenagos. Il consorzio Connecting People ha do-tato la neonata fondazione del proprio bagaglio esperienziale, arricchendo la scommessa che essa rappresenta con il pensiero scaturito dal proprio operare plu-riennale nel campo delle culture migranti e dell’accoglienza. Per quanto concerne le risorse economiche, Connecting People ha investito in Xenagos una somma pari a 150.000 euro, di cui 100.000 come fondo di dotazione e 50.000 come fondo di gestio-ne della fondazione. “L’integrazione è una prospettiva che richiede lavoro e risorse,” conclude Maurino. “Connecting People ha messo a disposizione di un’idea di inte-grazione un piccolo patrimonio. La nostra attesa è che altri si uniscano a noi, inve-stendo su questa scommessa. Per poco o tanto che sia, siamo certi che sapremo gestire con oculatezza quanto ci è affidato”.

Loretta Alberghina “Somali Girl”, tecnica mista su tela, 30x30

La fondazione Xenagos

L’ultima scommessa di Connecting People

di Serena Naldini

progetti

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Il progetto Nautilus persegue l’obiet-tivo di migliorare l’efficienza del sistema nazionale d’asilo, orientando

i richiedenti e titolari di protezione interna-zionale verso l’insieme dei servizi offerti sul territorio. Nautilus mira a costruire la base conoscitiva necessaria per un’efficace politica d’integrazione socio economica. L’azione progettuale si concretizza nella costituzione di dodici Sportelli di Contatto che con la loro attività contribuiranno al raggiungimento di diversi obiettivi: poten-ziare l’attività ordinaria di orientamento e informazione offerte ai richiedenti e tito-lari di protezione internazionale; evitare la dispersione dei beneficiari di protezione,

promuovere l’integrazione dei servizi offer-ti, creare un collegamento tra i CARA, rete SPRAR e altre realtà presenti sul territorio. Contemporaneamente sarà fondamentale raccogliere informazioni sui richiedenti e titolari di protezione internazionale, inclusi dati relativi alle loro biografie personali, ossia in merito alle loro generalità, non-ché dai loro background, esperienze professionali, qualifiche, interessi, aspettative, titoli di studio contribuendo a definire “profili migratori” così come indicato dalla Commissione Europea. Le attività previste sono tante e di diversa

tipologia: interviste ai beneficiari attraverso la somministrazione di un questionario ap-positamente sviluppato per il progetto, inse-rimento dati e informazioni rilevate su banca dati, mappatura dei territori. Sulla base delle

informazioni raccolte, ai beneficiari saranno forniti servizi di orientamento, informazione, sostegno e accompagnamento verso i servizi del territorio: centri

Sprar o altre soluzioni territoriali di acco-glienza, corsi di formazione professionale, borse lavoro, tirocini formativi, forme di in-serimento lavorativo, forme di assistenza all’inserimento abitativo.

L’azione progettualesi concretizza nella

costituzione di dodici sportelli di contatto

Risultati attesi• Allestimento di 12 sportelli operativi• Realizzazione di 10.000 interviste indivi-

duali ai richiedenti e titolari protezione internazionale

• Realizzazione di 30 tavoli di concertazione a livello locale

• Inserimento di 2.000 R.A. nella rete SPRAR o in altre soluzioni di accoglienza presenti sui territori

• Creazione della banca dati• Inserimento dati rilevati su banca dati• Fornire ai beneficiari servizi di orienta-

mento, informazione, accompagnamento verso corsi di formazione professionale, borse lavoro, tirocini formativi, forme di inserimento lavorativo, forme di assistenza all’inserimento abitativo

• Pubblicazione di un rapporto di ricerca

Partenariato di progetto• Consorzio Connecting People• IOM - Organizzazione Internazionale per i

Migranti• Dipartimento di Comunicazione e Ricerca

Sociale - La Sapienza • AICCRE - Associazione Italiana per il Consi-

glio dei Comuni e Regioni d’Europa• Consorzio Mestieri

Progetto Nautilus

Dall’accoglienza all’integrazione

Redazione SQM

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progetti

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Il partenariato costituito dal Consor-zio Connecting People, e dall’Orga-nizzazione Internazionale per le Mi-

grazioni, che hanno maturato significative esperienze nella gestione di fondi comu-nitari, nazionali e regionali per la realizza-zione di progetti complessi in partnership di ampia articolazione associativa e/o isti-tuzionale, d’intesa con alcuni enti pubblici e privati della Provincia di Gorizia, gestisce nel territorio il Progetto NEXT, finanziato dal F.E.R. 2009, con l’obiettivo di migliorare le condizioni di accoglienza e di presa in carico di soggetti vulne-rabili, attraverso il raffor-zamento della rete territo-riale e la messa in pratica di una sperimentazione di gruppi di trattamento cli-nico secondo l’ottica psico-sociale.Il processo di coinvolgimento dei partner ha avuto inizio fin dalla fase di costruzione dell’idea progettuale. Il lavoro che ha con-dotto alla elaborazione di NEXT si è infatti articolato attraverso sistematici e proficui momenti di confronto tra tutti gli interlo-cutori che hanno aderito all’iniziativa.L’esigenza di realizzare le azioni che l’ini-ziativa prevede, prende l’avvio da una ri-cerca realizzata da Connecting People nel corso del 2009 nel territorio della Provin-cia di Gorizia, poi confluita nel testo “Vi-sioni di Confine” Sviluppo Locale Ed., che, partendo dalla gestione del C.I.E. e del C.A.R.A. di Gradi-sca d’Isonzo, approfondisse l’interazione tra i centri e la comunità locale al fine di fornire indicazioni articolate su cosa fare, in quale direzio-ne farlo e come proseguire

per migliorare ulteriormente la qualità del lavoro all’interno dei centri e i livelli di reciprocità col territorio.Sono stati così individuati gli obiettivi specifici del progetto che possiamo rias-sumere nel modo seguente: ob. A) raffor-zare la rete territoriale fra enti pubblici e privati, principali attori del settore; ob. B) rafforzare le competenze di operato-ri pubblici e privati che contattano il di-

sagio dei gruppi c.d. vulnerabili attraverso l’utilizzo di strumenti atti a comprenderlo; ob. C) creazione e for-mazione di n. 3 équipe multidisciplinari in gra-do di rispondere sia ai bisogni personali dei soggetti vulnerabili, sia alle eventuali necessità

dei servizi di accoglienza; ob. D) speri-mentare gruppi di trattamento secondo l’ottica psico-sociale nel CARA di Gradisca d’Isonzo e/o presso servizi eventualmen-te segnalati dagli enti locali del territorio; ob. E) Inserimento lavorativo dei soggetti vulnerabili nelle cooperative sociali del ter-ritorio attraverso la promozione di borse lavoro; ob. F) realizzare una strategia di co-municazione e informazione rivolta alla co-munità locale su migrazioni e asilo politico. Attualmente sono in fase di realizza-zione le attività formative delle équipe

multisciplinari, che saranno costituite da operatori del pubblico e del privato socia-le goriziano e la selezione dei destinatari delle azioni di trattamento gruppale pro-venienti principalmente dall’accoglienza presso il CARA di Gradisca e dagli altri enti di accoglienza del territorio. NEXT contribuisce allo sviluppo di una buona prassi territoriale di presa in carico psicosociale. Infatti, l’iniziativa si sviluppa attraverso la facilitazione di un continuo processo di consultazione/supervisione che viene guidato da una Struttura di coor-dinamento composta dai rappresentanti di ciascun partner e da un Gruppo di esperti.Il 28 gennaio u.s., presso la Sala Della Tor-re gentilmente concessa dalla Fondazio-ne Cassa di Risparmio di Gorizia, si è tenu-to il convegno inaugurale dal titolo “NEXT – Prospettive Territoriali dell’inclusione sociale di persone vulnerabili richiedenti asilo/titolari di protezione internazionale” cui hanno partecipato autorità ed opera-tori del territorio. Al convegno inoltre ha relazionato, tra gli altri, il Direttore Regio-nale per il Mediterraneo dell’O.I.M. José Angel Oropeza che ha attenzionato il ruo-lo e gli ambiti di intervento in Italia dell’Organizzazione.

Il lavoro cheha condotto alla

elaborazione di NEXTsi è articolato

attraverso sistematici e proficui momenti di confronto tra tutti gli

interlocutori

Progetto Next

Accoglienza, Riabilitazione e Integrazione

Di Sebastiano Pomona direttore del progetto

progetti

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ROMA

Dossier immigrazione Caritas-Migrantes 2010di Serena Naldiniresponsabile comunicazione CP

La presentazione nazionale del XX Dossier immigrazione ha avuto luogo il 26 ottobre al teatro Orione a Roma e in contemporanea in tutte le regioni italiane. Per sottolineare l’im-portante ricorrenza dei venti anni, l’edizione 2010 del Rapporto ripropone la copertina del 1991, anno di pubblicazione del primo Dos-sier, e viene lanciata con lo slogan: “Per una cultura dell’altro”. “20 anni per la conoscenza dell’altro, per superare pregiudizi e chiusure e promuovere l’integrazione e le pari oppor-tunità in un intreccio di doveri e di diritti,” commentano Caritas Italiana e Fondazione Migrantes, i due organismi pastorali della Cei che promuovono il Dossier insieme alla Caritas diocesana di Roma e che si occupano delle migrazioni con specifiche competenze.La presenza di immigrati regolari in Italia è cresciuta di 10 volte dal 1990 arrivando agli attuali cinque milioni. A questo forte au-mento, corrisponde però anche una crescita dell’atteggiamento di chiusura nei confronti degli stranieri, sia da parte dei politici sia da

parte della popolazione, basato principal-mente sull’idea che gli immigrati siano un male per l’Italia. La tesi principale del Dossier 2010 è che questa visione si discosti non solo dalla dottrina sociale della Chiesa cattolica, ma anche dagli interessi del paese. Molti dati statistici in effetti attestano che il nostro sistema economico è in profonda crisi. In questo contesto l’immigrazione, lungi dal rappresentare un ulteriore fattore negativo, risulta essere un’opportunità per l’Italia, per diversi ordini di ragioni. Innanzitutto, i migranti rimediano alle carenze di manodo-pera in vari settori - in particolare servizi di cura alla famiglia, edilizia e agricoltura - in-troducendo nel sistema all’incirca 2 milioni di persone che rappresentano il 10% di tutti gli occupati. In secondo luogo, i migranti ga-rantiscono ai lavoratori italiani opportunità occupazionali più soddisfacenti, svolgendo lavori di livello inferiore rispetto alla loro formazione (4 su 10), fornendo prestazioni in orari disagiati (sera, notte e festivi) e per-cependo una retribuzione inferiore (-23% rispetto agli italiani, una media di 971 euro). Questo fatto è confermato da diversi studi, tra i quali uno della Banca d’Italia (luglio 2009). I migranti danno un apporto alla cre-azione del PIL (11%) di molto superiore alla loro consistenza numerica (7% sulla popola-zione residente) e pagano tasse e contributi nella misura di un miliardo di euro l’anno in più rispetto alla spesa sociale in loro favore da parte dello Stato. Nello stesso senso, i migranti assicurano un supporto notevole all’INPS, pagando annualmente 7,5 miliardi di contributi previdenziali e al contempo gravando in misura minimale sui bilanci previdenziali: attualmente è pensionato 1 immigrato su 30 (tra gli italiani 1 su 4), men-tre nel 2025 sarà pensionato 1 immigrato ogni 12 (e tra gli italiani 1 su 3). I migranti po-trebbero essere anche di maggior supporto al Paese. Le nuove normative, però, rendono complicata l’acquisizione di un permesso di soggiorno stabile, pregiudicano la conces-sione dei mutui (dal 10% di qualche anno fa siamo scesi al 6,6%) e incidono negativa-mente sulla possibilità di costituire nuove im-prese. È inoltre troppo breve il periodo di sei mesi concesso ai disoccupati per trovare un nuovo lavoro, soprattutto in considerazione dell’attuale crisi occupazionale. Nonostante le previsioni lascino intendere che l’Italia, a metà secolo, si collocherà presumibilmente

al vertice europeo per numero di migranti, i fondi vengono soprattutto destinati alle azioni di contrapposizione alle migrazioni. Secondo una stima riportata nel Dossier, si tratta di circa 2 miliardi e mezzo di euro. Il Rapporto sottolinea come invece siano necessarie risorse che favoriscano l’inte-grazione, sia per l’inserimento dei quasi 5 milioni di immigrati in posizione regolare, sia per i richiedenti asilo (17.670 nel 2009). Detto con le parole di Mons. Guerino Di Tora, Vescovo ausiliare della diocesi di Roma e Presidente della Commissione Migrazioni della Conferenza Episcopale del Lazio, “la società multiculturale deve diventare una società interculturale.” Ricordando Mons. Luigi Di Liegro, fondatore del Dossier, com-memorato durante la presentazione del XX Rapporto, Mons. Di Tora, prosegue con que-ste parole: “Le culture si devono incontrare: multicultura è solo un dato di fatto, mentre intercultura è una strategia imperniata sul confronto, sul dialogo e sulla mediazione.”

DA “LA BUSSOLAQUOTIDIANA”DEL 18.1.2011

Sosteniamo la nuova democraziadi Giorgio Gibertinidirettore di Storie di questo mondo

San Lupo, paesino sperduto nella Provincia beneventese, con novecento abitanti e 35 eritrei “rifugiati politici” come ospiti. Qui in-contriamo Mourad Aissa «tunisino italiano e italiano tunisino», come dice lui, un uomo di 36 anni, sposato, una figlia di nome Tamara. Laureato in Fisica e Chimica, è in Italia dal 2001 come mediatore culturale. Oggi è di-rettore del Centro di accoglienza per eritrei di San Lupo, gestito dal Consorzio Nazio-nale Connecting People nell’ambito del progetto ministeriale PON-Piccoli comuni grande solidarietà. Profondo conoscitore sul campo del fenomeno immigrazione, Mourad ci accoglie nel suo centro felice «perché una nuova Tunisia democratica sta nascendo e io lo voglio testimoniare».

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news

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Dottor Aissa, la situazione in Tunisia la preoccupa? Come la sta vivendo?

Sono preoccupato, ma pure felice. Quello che il mio Paese ha vissuto dal 17 dicembre al 14 gennaio sarà ricordato dalla storia perché sta nascendo davvero una nuova Tunisia, dal basso e finalmente democra-tica. Sono preoccupato perché a sentire i miei famigliari la situazione non è ancora stabile ma c’è tanta voglia di ricominciare, di ricostruire, di ripartire.

I flussi migratori dalla Tunisia all’Italia sono sempre stati regolari e non hanno mai provocato problemi. Ora, causa questa situazione in atto, dobbiamo aspettarci una invasione di tunisini?

Sì, finora il rapporto tra italiani e tunisini è stato ottimo soprattutto per chi, come me, è venuto nel vostro Paese regolarmente,

in cerca di lavoro e si è stabilizzato. Ci sono tanti tunisini in Italia e in generale in Occidente, perfettamente integrati. Credo che ora vivremo due momenti: ini-zialmente è possibile che, a causa della situazione di “limbo” e di grande confu-sione in corso, molti tunisini si riversino in Italia in cerca di fortuna magari chie-dendo asilo politico proprio a causa della nuova situazione. Voglio essere il più chiaro possibile: vi potranno essere al-cuni miei connazionali che cercheranno di strumentalizzare la situazione per tro-vare tutti gli escamotage possibili onde farsi accogliere. Chi era povero in Tunisia, in questa fase lo è ancora di più e quindi farà di tutto per sopravvivere. Fino a ora non era possibile entrare in Italia se non con permesso regolare di soggiorno o come clandestini: la situazione attuale ha dato una possibilità in più, quella dell’asi-lo politico e molti ne approfitteranno.

La seconda fase?

Come sa, quello attuale è un governo di transizione; ma tra qualche mese i Paesi oc-cidentali dovranno impegnarsi a sostenere il governo. Gli imprenditori occidentali presenti in Tunisia (soprattutto gli italiani) non debbono però abbandonare il Paese, ma dare segnali di sostegno alla nuova

gestione pur di transizione e offrire lavoro dignitoso a chi legittimamente lo chiede.Anche il governo italiano deve impe-gnarsi a sostenere il mio Paese cercando di lanciare progetti che, in Tunisia, man-tengano vivo il turismo. C’è del resto bi-sogno anche di sostegno propriamente politico in modo che i tunisini decidano di rimanere in loco per favorire lo svilup-po e la crescita economica.Si può puntare anche sull’aspetto mo-tivazionale poiché i tunisini si sentono davvero attori protagonisti del nuovo scenario e non più succubi come lo sono stati per tutto questo periodo: sono stati loro a mandare via il governo, a con-quistare la democrazia, a guadagnarsi il rispetto di tutto il mondo.

E voi tunisini che avete fatto fortuna all’estero, tornerete?

Mi piacerebbe tornare, certo. Ma quando sento i miei famigliari, capisco che noi emi-grati all’estero possiamo aiutare il nostro Paese benissimo da qui parlando a voi oc-cidentali di quello che realmente accade, inviando fondi, recandoci in patria per le vacanze e sensibilizzando l’Occidente inte-ro perché, come ho detto, è davvero que-sto il momento di sostenere la nuova Tunisia democratica.

news

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press

Rubrica a cura di Salvo Tomarchio

I testi completi sono consultabii e scaricabili nella sezione stampa del sito www.connecting-people.it

Corriere della Sera 11.10.2010di Gian Guido Vecchi

È la prima volta che tutti i vescovi e i patriarchi delle sei chiese cattoliche orientali, oltre ai latini, si ritrovano assieme in Vaticano, «radunati presso il sepolcro di Pietro», ha scandito ieri mattina Bene-detto XVI. Ed è la prima volta che un’assemblea è dedicata non a un tema, un Paese o un continente, ma a una regione del mondo, come ricordava padre Federico Lombardi. ‘Il sinodo sul Medio Oriente che si apre oggi per due settimane segna la volontà del Papa di non lasciare che la condizione della sparuta minoranza cristiana “nella culla della Chiesa” sia oscurata o dimenticata, come quasi sempre accade. E vuole richiamare l`attenzione sia della comunità internazionale sia dei cristiani d’occiden-te. Su 356 milioni di abitanti, in Medio Oriente ci sono sei milioni di cattolici (1,6 %) e 20 milioni di cristiani (5,6 %). Presenti da duemila anni, in tanti Paesi stanno fuggendo. A volte perseguitati e uccisi come in Iraq, spesso ridotti a cittadini in sedicesimo. [...]

Il Venerdidi Repubblica 17.09.2010di Paolo Griseri

È uno dei comandamenti più citati nella Bibbia: «Ricordatevi che anche voi foste stranieri in terra d’Egitto». Nell’Esodo (22,22) all’obbligo del ricordo viene associato il comportamento conseguente: «Non maltratterai lo straniero perché anche voi foste stranieri in terra d’Egitto». Semplice e, ancor oggi, scandaloso. Per aver citato quel versetto biblico nel titolo del suo libro sull’lmmigrazione in Italia, don Antonio Sciortino, si è beccato della tonaca rossa e del cripto-islamico. Il leghista Matteo Salvini prevede che, «se fosse per lui, entro tre anni il suo settimanale si chiamerebbe “Fami-glia Musulmana”. Nella redazione milanese di Famiglia Cristiana, Sciortino sorride e, come si diceva negli anni Settanta, non risponde alle provocazioni. Il colloquio avviene all’indomani delle polemiche su un editoriale del settima-nale che attaccava il governo: «Sciortino torni a occuparsi della fede che sennò in paradiso non ci va» aveva dichiarato, beffardo, Calderoli. Ma il direttore non si scompone nemmeno di fronte alle bordate più sgangherate [...]

Italia oggi 06.10.2010di Sergio Soave

I recenti avvenimenti di cronaca che hanno riguardato le comunità islamiche presenti in Italia, naturalmente, hanno un carattere eccezionale e non possono indurre a genera-lizzazioni improprie. Tuttavia il sottofondo culturale sul quale si innesta la sottomissione della donna e dei figli, fino a rendere del tutto ovvia perché consuetudinaria la facoltà del capo famiglia di disporre del loro destino e, nei casi limite, della loro vita, ha una base diffusa e reale. Se questo dipenda da un’interpretazione corretta, o fondamentalistica dei precetti del Corano è questione che riguarda gli esegeti e gli organizzatori di questa religione. Invece i comportamenti concreti che ne derivano e che negano principi fondamentali garantiti dalle leggi occidentali, a cominciare dalla pari dignità dei sessi e dalla libertà personale debbono essere resi effettivi per chiunque viva dove queste leggi hanno vigore, indipendente-mente dalla fede e dalle convinzioni dei singoli o delle comunità di immigrati. [...]

Quotidiano Nazionale 06.10.2010di Aldo Forbice

Come accade sempre, quando viene uccisa una donna, soprattutto se immigrata e pachistana musulmana, si alza il coro sull‘ “intollerabile barbarie”. Così è avvenuto anche stavolta a Modena per l’uccisione a colpi di mattone di Shahnaz Begun da parte del marito, e del ten-tato omicidio della figlia “ribelle” Nosheen da parte del fratello, a sprangate. Uomini contro donne, musulmani contro musulmane che non rispettano le “regole schiavistiche” del Corano. Ma siamo sicuri che l’lslam prevede queste or-ribili punizioni per le donne che non rispettano le imposizioni degli uomini? [...]

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press

La Repubblica 11.10.2010di Marco Ansaldo

lnvocazioni e preghiere in turco, ebraico e farsi. E l’arabo ammesso come lingua ufficiale. Con-tornato da una babele linguistica che ha fatto da significativo sfondo all’evento, Benedetto XVI ha aperto ieri con solennità il Sinodo per il Medio Oriente, la grande assemblea di tutti i vescovi cattolici della travagliata regione i cui lavori cominceranno oggi per continuare in Vaticano per due settimane. Con il rito di apertura, svoltosi nella liturgia latina, letture in greco e latino, e le preghiere dei fedeli in inglese, il Papa ha spiegato che la Chiesa è chiamata a essere segno e strumento di unità e riconciliazione» in paesi «purtroppo segnati da profonde divisioni e lacerati da annosi conflitti». Un compito arduo ha osservato dal momento «che i cristiani in Medio Oriente si trovano spesso a sopportare condizioni di vita difficile». [...]

Redattore Sociale 24.01.2010 di Gina Pavone

ROMA - Sono 34 i rifugiati scappati dall’Eritrea e passati per le carceri libiche: alcuni di loro ci sono rimasti rinchiusi anche per tre anni, poi sono arrivati in Italia grazie a un programma dell’Unchr, l’Alto Commissariato Onu per i rifugiati. Ora provano a costruirsi una vita nuova, e soprattutto indipenden-te, a San Lupo, piccolo paese campano che ospita il progetto “Piccoli comuni, grande solidarietà”, gestito dal consorzio Connecting People in collaborazione con il consorzio di cooperative sociali Amistrade di Benevento. “Si tratta - spiega Mourad Aissa, origine tunisina, in Italia dal 2001, oggi direttore del centro di San Lupo - di un progetto di resettlement, cioè di reinserimento, organizzato dalla Comunità Europea insieme al Ministero dell’Interno: per colpire le organizzazioni criminali che organizzano il traffico di esseri umani, una delegazione è andata a selezionare direttamente in Libia i rifugiati da destinare al reinserimento”. [...]

Redattore Sociale 24.01.2010di Gina Pavone

ROMA - “Se la Tunisia non raggiunge una situa-zione di stabilità, può darsi che alcuni sceglie-ranno la strada dell’immigrazione clandestina verso l’Europa”. A parlare è Mourad Aissa, di-rettore del centro di accoglienza per rifugiati di San Lupo (Benevento): impegnato oggi nella direzione del progetto “Piccoli comuni, grande solidarietà”, Aissa, trentaseienne, è un tunisino arrivato in Italia nel 2001 dopo aver conseguito una laurea in chimica e fisica. Nelle settimane appena passate, una serie di rivolte popolari hanno cambiato la faccia del suo paese, deter-minando la fuga del presidente Ben Alì e poi la formazione di un governo di transizione con il compito di guidare il Paese alle elezioni, pre-viste entro sei mesi. Un governo, però, ancora criticato dai manifestanti per la presenza, fra le sue fila, di numerosi personaggi legati alla gestione Ben Alì. Dal suo osservatorio nella provincia di Benevento, Aissa - che segue tutta la vicenda - mette in evidenza l’importanza di quanto accaduto, dicendosi “estremamente felice per quello che c’è stato”: “Finalmente le persone lottano per ottenere libertà, per poter partecipare realmente alla vita politica e sociale del paese. Per la prima volta la gente comune si sente protagonista. Eppure, Aissa sottolinea anche che la situazione è ancora molto incerta per il popolo tunisino: “É una situazione che potrebbe spingere alcuni a ten-tare di emigrare, giungendo in Italia per vie illegali, anche se credo che la rivolta sia nata proprio dalla profonda esigenza di migliorare le condizioni sociali e politiche sul posto”. Da questo punto di vista, “molto dipenderà dagli imprenditori e in generale dalle condizioni economiche: se ci sarà lavoro lì, non ci sarà bisogno di riversarsi in massa in Europa. Se le condizioni invece rimarranno difficili come lo erano prima, se cioè non ci sarà lavoro, se non arriverà la libertà vera, allora il problema si trasferirà anche altrove”.

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Recensione a cura di Serena Naldini

Caterina CaroneVALENTINA POSTIKA in attesa di partire

Regia: Caterina Carone

Anno di produzione: 2009

Durata: 77’

Tipologia: Documentario

Genere: Sociale

Paese: Italia

Produzione: FaberFilm

Il film ha vinto il Premio Solinas Documentario per il

Cinema nel 2008 e il 27° Torino Film Festival (2009),

come miglior documentario italiano.

Valentina Postika è una badante mol-dava. Carlo Paladini è un partigiano ottantenne. Valentina vive per costru-ire un futuro migliore in patria per sé e per i tre figli, mentre Carlo ricorda il proprio passato di dirigente del Partito Comunista negli anni ‘50 a Pesaro. Caterina Carone, la regista, è la nipote di Carlo. Le viene l’idea di girare il do-cumentario perché sente la necessità di lasciare una traccia della vita del nonno che sia più strutturata della scia di foto, oggetti, ricordi che ogni persona si lascia alle spalle. Il lavoro

si trasforma poi, strada facendo, in un progetto diverso, nel quale prende piede Valentina, che da comparsa diviene coprotagonista della pellicola.Soltanto dopo qualche mese trascor-so dalla regista e dal cineoperatore nell’abitazione di Carlo Paladini, i pro-tagonisti cominciano ad abituarsi alla presenza della telecamera consenten-do la ripresa di immagini più naturali.Valentina Postika non guarda mai l’obiettivo, tende a sfuggire allo sguar-do indagatore della macchina. Carlo, al contrario, talvolta la cerca per scam-biare un’occhiata d’intesa, soprattutto dopo i battibecchi con la badante. Certo, dietro la telecamera, c’è Cate-rina, la nipote. Ma forse la differenza si può attribuire anche a un atteggia-mento diverso dei due protagonisti nei confronti del documentario. Carlo ha compiuto scelte, ha cresciuto figli, ha riempito gli armadi e i cassetti della memoria. Può stare in mezzo al palco, guardare l’obiettivo e racconta-re, anche solo attraverso la presenza del corpo che si muove nell’ambiente familiare della propria casa, ricca di pas-sato e di ricordi. Valentina, dal canto suo, vive come tra parentesi, in at-tesa di partire, appunto, come dice il titolo del film. La sua vita è altrove. E quando la vita è altrove, risulta difficile porsi al centro della scena. Particolarmente toccante - in una pel-licola asciutta, senza alcuna sbavatura sentimentale - la ripresa video dei figli di Valentina per mano di un parente, nel contesto di una casa in costruzione, edificata presumibilmente con i soldi che Valentina manda al proprio paese grazie al lavoro di assistenza a Carlo. La

figlia maggiore appare disorientata, sembra non gradire la telecamera. È anche lei una persona in attesa. Di un importante ritorno. Non riesce a parlare alla mamma, di cui percepisce solamente la mancanza. Perciò la ra-gazzina, invitata a dire qualcosa, parla della mamma. “Voglio che torni a casa,” dichiara. “Vorrei che fosse tranquilla e che stesse bene.”“Mamma, vieni a casa,” dice invece senza indugio Jorgie, il figlio minore di Valentina. È un ragazzino smilzo, dal volto sveglio. Guarda in macchina, cerca la mamma. E tenta di convincer-la. “Non ti faremo fare niente, ti faremo solo riposare.” Il film si compone di molteplici livelli di riprese video, gi-rate in tempi, momenti e per ragioni diverse. Le immagini dell’archivio pri-vato di Carlo Paladini, relative sia alla vita privata, sia alla vita pubblica del protagonista si alternano alle riprese della famiglia di Valentina in Moldavia. Vi sono frammenti in bianco e nero di interesse storico che fanno da sfondo allo sviluppo della vita di Carlo, oltre a video di ritagli di giornali e nastri audio. Il sapiente montaggio riesce ad armonizzare questa ricca stratificazio-ne di significati con le riprese girate ad hoc per il documentario. Emerge così la complessità di una vita. Anzi di due vite. E, a ben vedere, seppur nelle loro distanze, chiusure, testarde solitudini, che generano attri-ti quasi quotidiani, Valentina e Carlo si incontrano, intrecciando le loro intime ricerche, tese entrambe a dare un senso al presente. Attingendo, l’una dai progetti di futuro e l’altro dalla memoria di una storia.

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PRESENTAZIONEA Gorizia,

la conferenza di apertura del progetto Next

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INTERVISTAJosè Angel Oropeza direttoredell'ufficio regionaleper il mediterraneo dell'Oime capo missione per l'Italia e Malta

...nel prossimo numero di

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