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STORIE “CAPISALDI” Trilogia La casa Penso: “Mi faccio kamikaze. Mi faccio kamikaze e mi faccio esplodere in un posto isolato, dove non ci sia il rischio di far male a qualcuno”. Solo il fragore e lo sconquasso delle membra. Mi faccio esplodere in solitudine, non guidata da ideali politici o alti e insondabili progei. Più correo, infai, sarebbe dire che, non potendo far altro, esplodo. Esplodo per esasperazione, per esaurimento di ogni tollerabile limite di sopportazione. Esplodo piena dell’incontenibile forza propulsiva di sdegno e disgusto. Esplodo, al massimo della pressione come un pallone aerostatico, e semino miei brandelli qui e lì. Ma così, il segnale cruento e crudele rimarrebbe incompreso, inghioito dalla propaganda terroristica imperante. Questi i miei pensieri di una serata d’agosto. Guardo l’altra metà del leo, e accanto a me, Manuel si è appisolato. Nel fraempo, nella piazza si consuma un groesco siparieo di talenti locali che, più simili a freak, si alternano sul palco ciadino, ora folgorando l’udito con stecche e ululati senza precedenti, ora agghiacciando probabilmente la vista con evoluzioni di avvilente banalità. L’oerta del cartellone estivo paesano. Aspiro. Comincio ad avvertire il tiepido odore del sonno. Fuori soa un maestrale frizzante: araverserebbe la casa come un fulmine, spazzando l’aria in pochi aimi, se solo Manuel permeesse di lasciare aperte le nestre. Ma siamo in piena crociata anti-mosquitos, e lui provvede a tappare ben bene qualsiasi spiraglio. Oltre il muro, Sabino il vicino non gioca alla play-station. Stasera guarda la tv: insolito e piacevole diversivo nella sua vita sempre uguale. In quaranta metri cubi si è arezzato alla meglio per far fronte ai due anni di domiciliari che deve fare, pigliato per spaccio dopo un bizzarro inseguimento a piedi schivando vecchine e dribblando panni stesi per le anguste vie del centro storico. Sabino si è consegnato alla vita da recluso, ha aaccato il gao al guinzaglio condannandolo per ripicca inconscia a scontare la sua stessa pena e gli fa prendere aria due volte al giorno. I Gendarmi gli fanno visita quotidianamente, anche più volte: pretendono che non s’aacci alla nestra e che non gli si rivolga la parola. Per questo, siamo stati ripresi quasi subito, appena trasferitici nella piccola casa. Manuel dovee addiriura mostrare il suo do- cumento spagnolo e spiegare loro di non poter essere un “illegale”, come gli avevano domandato tra i denti. Del resto, Sabino lo conoscono e rispeano tui nella strada: ai vicini ordina cappuccini dal bar nella piazza e dispensa per sdebitarsi mance di haschisch. Spesso, naturalmente, io stessa mi propongo. Da fuori continuano a provenire schiamazzi. Un’entusiasta pontica sulla fulgida e scontata carriera che aende qualcuno dei fenomeni da baraccone appena esibitisi, che si deve essere particolarmente distinto per qualità canore. E ora si passa già all’innocuo intraenimento di una dragqueen in collant smagliati che s’agita sul sagrato della chiesa, al suono di un improponibile musica tecno. Incredibilmente, nonostante il frastuono, Manuel riesce a dormire. Se da la vuelta pesantemente, facendomi leggermente saltare sul materasso. Russa piano ma domani comunque lamenterà di aver riposato male, imputando tuo al leo scomodo. Lui, anticamente avvezzo alla perfea ingegneria FOLLETO INTERIOR italiano en 7 seguridad:Maquetación 1 09/11/2010 10:32 Página 1

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STORIE

““CCAAPPIISSAALLDDII””TTrriillooggiiaa

LLaa ccaassaa

Penso: “Mi faccio kamikaze. Mi faccio kamikaze e mi faccio esplodere in un posto isolato, dove non ci sia il rischio di far male a qualcuno”. Solo il fragoree lo sconquasso delle membra.

Mi faccio esplodere in solitudine, non guidata da ideali politici o alti e insondabili proge`i. Più corre`o, infa`i, sarebbe dire che, non potendo far altro,esplodo. Esplodo per esasperazione, per esaurimento di ogni tollerabile limite di sopportazione. Esplodo piena dell’incontenibile forza propulsiva disdegno e disgusto. Esplodo, al massimo della pressione come un pallone aerostatico, e semino miei brandelli qui e lì. Ma così, il segnale cruento e crudelerimarrebbe incompreso, inghio`ito dalla propaganda terroristica imperante.

Questi i miei pensieri di una serata d’agosto.

Guardo l’altra metà del le`o, e accanto a me, Manuel si è appisolato.

Nel fra`empo, nella piazza si consuma un gro`esco siparie`o di talenti locali che, più simili a freak, si alternano sul palco ci`adino, ora folgorandol’udito con stecche e ululati senza precedenti, ora agghiacciando probabilmente la vista con evoluzioni di avvilente banalità. L’o\erta del cartelloneestivo paesano.

Aspiro. Comincio ad avvertire il tiepido odore del sonno. Fuori so]a un maestrale frizzante: a`raverserebbe la casa come un fulmine, spazzandol’aria in pochi a`imi, se solo Manuel perme`esse di lasciare aperte le ̂ nestre. Ma siamo in piena crociata anti-mosquitos, e lui provvede a tappare benbene qualsiasi spiraglio.

Oltre il muro, Sabino il vicino non gioca alla play-station. Stasera guarda la tv: insolito e piacevole diversivo nella sua vita sempre uguale. In quarantametri cubi si è a`rezzato alla meglio per far fronte ai due anni di domiciliari che deve fare, pigliato per spaccio dopo un bizzarro inseguimento a piedischivando vecchine e dribblando panni stesi per le anguste vie del centro storico.

Sabino si è consegnato alla vita da recluso, ha a`accato il ga`o al guinzaglio condannandolo per ripicca inconscia a scontare la sua stessa pena e gli faprendere aria due volte al giorno. I Gendarmi gli fanno visita quotidianamente, anche più volte: pretendono che non s’a\acci alla ^nestra e che nongli si rivolga la parola. Per questo, siamo stati ripresi quasi subito, appena trasferitici nella piccola casa. Manuel dove`e addiri`ura mostrare il suo do-cumento spagnolo e spiegare loro di non poter essere un “illegale”, come gli avevano domandato tra i denti.

Del resto, Sabino lo conoscono e rispe`ano tu`i nella strada: ai vicini ordina cappuccini dal bar nella piazza e dispensa per sdebitarsi mance dihaschisch. Spesso, naturalmente, io stessa mi propongo.

Da fuori continuano a provenire schiamazzi. Un’entusiasta ponti^ca sulla fulgida e scontata carriera che a`ende qualcuno dei fenomeni da baracconeappena esibitisi, che si deve essere particolarmente distinto per qualità canore. E ora si passa già all’innocuo intra`enimento di una dragqueen incollant smagliati che s’agita sul sagrato della chiesa, al suono di un improponibile musica tecno.

Incredibilmente, nonostante il frastuono, Manuel riesce a dormire. Se da la vuelta pesantemente, facendomi leggermente saltare sul materasso. Russapiano ma domani comunque lamenterà di aver riposato male, imputando tu`o al le`o scomodo. Lui, anticamente avvezzo alla perfe`a ingegneria

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STORIESTORIE

giapponese del futon, e prossimo ora, come tu`i i mesi, a riceve la visita del padrone di casa: in due, io e lui insieme, disponiamo al momento esa`amentedella metà di ciò che il signor Giovanni pretenderà di riscuotere.

Lo sento muovere, lo vedo alzarsi nudo, gra`arsi la pancia ed andare in cucina dove tra un rimestio rumoroso di pentole e qualche imprecazione siprepara un la`enesquik.

Ora chiuderò gli occhi. Le palpebre pesanti come le tende di un palcoscenico scivolano e si schiudono lentamente sul teatro dei sogni. Con^do chequesta no`e la mia vita onirica risca`i l’ingiustizia e la disparità del mondo reale.

IIll llaavvoorroo

Il repilao si di\onde per casa, frusciando. È musica di un altro mondo, di un altro tempo, nel quale certamente mi sarei sentita più a mio agio. “...Sa-randonga mañana es domingo, sarandonga y nos vamos a comer…” . Per fortuna per essere poveri non si paga, penso. E rincuorata da questa cosa,in^lo una le`ura di quelle costru`ive so`o il braccio e mi appresto ad espletare una mansione sulla cui gratuità, ugualmente, non posso avere dubbi.Ora, regina incontrastata del cuarto de baño, sfoglio in pieno relax qualche pagina della rivista da femmine so`ra`a dalla sala d’a`esa del dentista. Finoad arrivare a ciò che m’interessa: o\erte di lavoro.

Inizio a scorrere. Primo annuncio, leggo: “A\ermata agenzia di comunicazione ecc. ecc. “ e per immediato collegamento di sinapsi, rivedo musica apalla nel piccolo u]cio, incitamenti di gruppo, abbracci colle`ivi come quelli di una squadra di pallavolo prima di scendere in campo ad a\rontare ilset decisivo; pacche sulle spalle e sorrise`i d’intesa prima di sciogliere il gruppo e disperdersi per strada, con l’impegno di piazzare bidoni o estorcere^rme su millantanti contra`i. “Questo è fare comunicazione, con possibilità di crescita e grossi guadagni. Basta crederci!”, ripeteva l’omino pa\uto chegestiva la baracca. E dare un calcio alla coscienza, pensavo io.

Seguo verso il basso, e con il dito indice scorgo: promoter sbarra consulente ^nanziario. Un professionista le cui fatiche si concentrano sul far sì cheintere famiglie s’indebitino e che sulle teste di poveri malcapitati cali l’ombra funesta di un mutuo o di un ^nanziamento inestinguibile. Tu`o questopercependo una misera percentuale che lo rende comunque molto soddisfa`o. Penso di non prenderlo in considerazione.

Anticipati da rulli di tamburi, in fondo alla pagina campeggiano le o\erte per diventare motivatore, team leader, responsabile delle risorse umane.Nuove ^gure aziendali, con l’arduo compito, rispe`ivamente, di convincerti che la tua professione non fa così schifo; che quello nel call-center è unlavoro di squadra e cooperazione; che un’esauriente ed inverosimile simulazione di gruppo al momento della selezione, di durata non superiore ai10 minuti, basta per analizzare a fondo il tuo pro^lo, inserirlo puntualmente in una griglia prestampata e stabilire, in conclusione, che tu sia molto piùportato per rimanere a casa che ad interfacciarti con l’utenza.

Chiudo il giornale sospirando profondamente. Fa`o: anche per oggi io e Compay Segundo continueremo a condividere la nostra condizione socialedi borderline. Ma sono leggera, e nuovamente sollevata, lascio la stanza da bagno s^lando in cucina con un lieve ritmo cubano nei ^anchi e un irre-sistibile ritornello nella bocca. “Cuando yo tenía dinero, me llamaban Don Tomás, ahora como no tengo, me llaman Tomás na más…”.

LLaa ffaammiigglliiaa

“Che avrei dovuto dirle?” Mi chiedo guardandomi pensierosa nello specchio prima di sputare il collutorio. “Segui il tuo cuore e le tue passioni ediscriviti a le`ere come la tua brillante sorella maggiore? Procurati una lode e condannati alla frustrazione di rimanere esclusa dal mondo del lavoro al-

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STORIE

meno ^no ai 30?” No, mimo allo specchio scuotendo contrariata la testa da una parte all’altra. “Giammai”.

A vent’anni mi capitò di conoscere degli studenti di marketing. Raccontai loro dei miei studi umanistici e quelli mi squadrarono sgranando gli occhi,scambiandosi sguardi ilari e tra`enendosi a stento dal ridermi in faccia. Leggermente infastidita dall’a`eggiamento spocchioso, domandai di rimbalzoloro che volessero fare da grandi e nel gruppo, il meno inquadrato nelle logiche comportamentali da business man, mi rispose con gesto eloquente,facendo scivolare il polpastrello del pollice su indice e medio. “Soldi” disse.

Chi glielo aveva suggerito, mi chiedo. Come facevano, appena ventenni, a possedere già il senso vero della vita? Chi li aveva illuminati? Non certo ro-mantici genitori il cui modus operandi è avvallare e sostenere, anche contro ogni evidenza, le inclinazioni dei propri pargoli.

Correndo il rischio di sembrare brutale, a mia sorella che insisteva perché le dessi un consiglio sulla scelta della facoltà, ho raccontato l’episodio deirampanti esperti di marketing. Le ho anche svelato il mio terribile segreto: la tendenza al fracasso. La tendenza al fracasso è un’a`itudine naturale allascelta sbagliata, una propensione spontanea all’insuccesso. Si tra`a di un’inclinazione innata ed indissolubile: chi ce l’ha, non le può sfuggire e la ten-denza al fracasso domina incontrastata la sua esistenza.

Diagnosticare la tendenza al fracasso non è facile: io stessa non la percepivo, possedendola in maniera inconscia. Né la scelta di una facoltà di studiumanistici, né tanto meno la brillante idea d’abbandonare il mio granitico ̂ danzato per uno scapestrato tipo dedito all’arte, costituirono inizialmentespie d’allarme. La consapevolezza maturò col tempo ̂ no a quando giunsi a smascherarla: la tendenza al fracasso s’ergeva be\arda in imponenti le`erecubitali sulle macerie dell’ultimo lavoro intrapreso. Da allora, la conosco e la rispe`o. Penso quasi possa arrivare a convertirsi nella mia esclusivarisorsa, nel mio unico ineguagliabile e impagabile talento.

Quando ho concluso la mia dissertazione, mia sorella m’ha de`o che sono pazza e me lo aspe`avo. Ciò nonostante avevo deciso di confessarle tu`operché sono convita che le possa essere utile: lei potrà non comprende, perché sicuramente non possiede l’a`itudine al fracasso, ma è abbastanza ma-tura da sapere che nella vita, oltre che un gran cuore, bisogna avere anche molta capacità di discernimento.

Do un’ultima occhiata nello specchio e non direi di avere X anni.

In cucina, ripongo il cesto di fru`a che m’ha lasciato mio padre, il frigo sembra già meno desolato. Con a\e`o e con un sorriso, penso a lui, che ognigiorno viene a farmi visita, prende posto sullo sgabello e, come se li tirasse fuori da un cilindro, mi propone piani e proge`i sempre nuovi, fantasiosi edi di]cilissima se non impossibile realizzazione. Mio padre è un inguaribile o`imista, con^da ancora nella meritocrazia, nella mobilità nell’ascesasociale. Gliene sono grata.

Nel fra`empo e in a`esa che qualcosa di poderoso si manifesti, mi procura beni di prima necessità, come se anche io, a mio modo, stessi scontandouna pena agli arresti domiciliari.

Nota dell’autore: fa`i e persone sono fru`o di fantasia.

Teresa ChiarollaSTORIE

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STORIESTORIE

““IILL FFOORRTTUUNNAATTOO VVIIAAGGGGIIOO DDII IIRRIINNAA””

Irina guardava la sua immagine ri_essa sul vetro del pullman: il volto, stanco a causa delle lunghe ore di dormiveglia, iniziava ad essere illuminato dalleprime luci dell’alba: ormai non era più una ragazzina. Aveva deciso di tingersi i capelli e di portarli corti, come ai tempi del liceo.

Erano passati quasi dieci anni da allora, da quando Zyta lasciò Irina e suo fratello per andare a cercare fortuna in Italia, così la ragazza dove`e occuparsidella casa e, nel poco tempo che le restava, dei compiti che le assegnavano a scuola. Sapeva sin da allora che questo sarebbe capitato anche a lei.

Il pullman procedeva lento verso Roma le fra i tanti pensieri che si facevano largo nella mente della ragazza ria]oravano chiari i bei momenti trascorsicon la madre prima della partenza: la bellissima festa a sorpresa per suo dicio`esimo compleanno, il pellegrinaggio a Szekely in compagnia del fratello.Cercava di immaginare come la madre fosse cambiata durante questi anni. Nelle le`ere che riceveva quasi ogni mese leggeva di come sua madre simanteneva in forma passando intere giornate a rincorrere in casa o per i giardine`i il vecchio Claudio, nonostante i suoi quasi novantanni, si comportavapeggio di un bambino: l’Alzheimer lo aveva debilitato a tal punto da riportarlo proprio ad allora, a quando la ma`ina correva spensierato tra i campidi grano, ed Elvira (credeva che Zyta fosse sua madre) lo richiamava a gran voce all’ora di pranzo.

Durante questi anni Irina si era diplomata ed aveva provveduto alla casa e a suo fratello proprio come avrebbe fa`o sua madre. Suo fratello Karol la-vorava in un’azienda poco distante da casa Ionesco. A di\erenza della sorella non aveva mai visto di buon grado i libri, così polverosi e pesanti, tantoche lasciò presto gli studi per dedicarsi al mondo agricolo: Era stato suo padre a trasme`ergli questa passione, passione che coltivò assieme a lui ^n aquel tragico giorno in cui un incidente mortale glielo portò via. La perdita inaspe`ata del padre colpì la famiglia anche economicamente e prestoZyta fu costre`a a lasciare i suoi ^gli per andare a cercare fortuna in Italia.

La brusca frenata dell’autobus la riportò al presente: si era appena fermato davanti alla Stazione Tiburtina, proprio lì dove sua madre a`endeva an-siosamente il suo arrivo in compagnia di Viola, la ^glia di Claudio. Zyta la riconobbe mentre scendeva: il ^sico alto e robusto, gli occhi piccoli echiari..era proprio lei: quella ragazzina che aveva lasciato a Sibiu dieci anni fa adesso era un donna. Commossa la strinse in un forte e lungo abbraccio,bagnandole il viso con lacrime di gioia. Le presentò Viola e le disse che era stata proprio lei ad aiutarla a trovare quel lavoro per il quale la ragazzaaveva deciso di raggiungerla in Italia: davanti alla stazione, infa`i, si era appena aperto un centro commerciale interamente rumeno dove cercavanouna brava pasticcera. Irina sarebbe stata perfe`a.

Dopo aver chiacchierato per un po’ Viola accompagnò madre e ^glia a casa del padre e promise a Zyta che avrebbe permesso alla ^glia di restare incasa con lei ^no a quando non avesse trovato un buon lavoro. Era una donna molto sensibile e altruista; lavorava come avvocato presso uno studioassociato e nel tempo libero faceva volontariato per la Caritas della zona e fu qui che conobbe Zyta. Era un serata gelida e stava distribuendo sciarpee maglioni ai nuovi arrivati. Zyta se ne stava sola in un angolo ad a`endere il suo turno. Il suoi occhi, incastonati come piccoli topazi sul viso pallido,le ricordavano quelli di sua nonna. Quella sera cenò con lei, la accompagnò in un alloggio provvisorio e le promise che presto l’avrebbe aiutata atrovare lavoro. E così fu. Guardando Irina non poteva che immaginare come sarebbe stato ancora più di]cile, per una giovane rumena come lei, am-bientarsi qui in Italia e per questo, pur non conoscendola, volle darle almeno una possibilità. Del resto durante tu`i quegli anni la madre non l’avevamai delusa. Poteva ^darsi.

Il giorno seguente Irina si recò all’u]cio del signor Mario, uno dei titolari del centro commerciale. Sebbene avesse già fa`o altri colloqui di lavoro eramolto nervosa. Sentiva di non indossare l’abbigliamento giusto e si rimproverava per non aver riempito meglio la valigia. E poi non conosceva a\a`ol’italiano e questo la preoccupava molto più del suo esser vestita poco elegantemente. Bussò alla porta ed una voce maschile la accolse: “Bine ai venitIrina! Încântat de cunoştiinţă!” (Benvenuta Irina!E’ un piacere conoscerla!). A sua grande sorpresa il titolare parlava rumeno. Mario le raccontò dicome aveva imparato questa splendida lingua grazie alla moglie e di come fu proprio quest’ultima a spingerlo ad investire in un centro commercialededicato alla Romania. Irina si sentì sollevata. Almeno avrebbe evitato di fare bru`e ̂ gure nel cercare di esprimersi a gesti. Gli parlò della sua esperienzapassata come lavapia`i in un piccolo ristorante nei pressi di Sibiu e di come lì avesse imparato anche a cucinare. Era rinomata sopra`u`o per il modo

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STORIE

in cui a Natale preparava il cozonac, un dolce a forma di parallelepipedo ripieno di cioccolata e canditi. I bambini in paese ne andavano ghio`i. IlSignor Mario era rimasto molto a\ascinato dai suoi racconti e non le nascose che per lei avrebbe avuto un occhio di riguardo. Fu così che il lunedìsuccessivo Irina iniziò a lavorare.

Il suo primo giorno di lavoro non fu poi così male. Non appena arrivò conobbe Kira e Felicia, le sue colleghe, e con loro discusse sul da farsi. Deciseroche lei si sarebbe occupata della cucina, Felicia dei pagamenti e Kira della sistemazione e della pulizia. Kira era una sorridente signora dagli occhi colorverde acqua. Le raccontò di come era arrivata a Roma un paio di anni fa per seguire suo marito che da tempo lavorava in Italia e di come avevaimparato l’italiano guardando la tv e leggendo riviste. Felicia, invece, aveva più o meno la sua età: era laureata in Economia e sognava di lavorare ne-ll’amministrazione di un prestigioso albergo. Il bar in cui lavoravano era il punto di ritrovo di molti giovani rumeni e studenti italiani desiderosi di im-parare la loro lingua e questo aiutò Irina a fare tante nuove conoscenze. Il ^ne se`imana aiutava Viola con le sue due bellissime bambine e durante iltempo libero le piaceva passeggiare in centro in compagnia di Felicia. Percorrevano Via dei Fori Imperiali arrivando ^n al Colosseo e lì si fermavanoad ammirare il maestoso simbolo della ci`à. Infondo la sua lingua e la sua cultura non erano così diversi- pensava.

Così Irina iniziò a godersi appieno questa nuova avventura. Finalmente aveva ritrovato sua madre, aveva un lavoro che le piaceva molto ed un paiodi amici con i quali condividere le sue nuove esperienze. Quando viveva a Sibiu col fratello non avrebbe mai creduto che la felicità avrebbe bussatoanche alla sua porta. Era sola. Faceva un lavoro inappagante e con i soldi che guadagnava riusciva a malapena a coprire le spese giornaliere. Qui in Italiainvece poteva guadagnare abbastanza da potersi perme`ere una casa nel paese in cui era nata. Ma, come spesso si dice, la felicità dura talmente pocoda non rendersi neanche conto di averla vissuta. E questo fu proprio il caso di Irina.

Erano infa`i trascorsi quasi tre mesi dal suo arrivo in Italia ed il suo visto stava per scadere. Doveva trovare una soluzione, e in fre`a. Restando in Italiada clandestina avrebbe rischiato l’espulsione e così avrebbe potuto rivedere sua madre soltanto dopo cinque anni. Il suo nuovo lavoro, le sue nuoveamicizie..avrebbe perso tu`o quanto. Kyra cercava di consolarla raccontandole di come dopo tu`i quegli anni di sacri^ci ed di duro lavoro lei erariuscita ad o`enere la ci`adinanza. Ma Irina non era come sua madre. Non avrebbe mai avuto il coraggio di rischiare. Così decise di chiedere aiuto aViola. Infondo era un avvocato. Chi meglio di lei poteva aiutarla?

Il giorno seguente chiese di poter uscire prima da lavoro, prese la metro ed andò in centro. Lo studio in cui Viola lavorava era più grande di quantoavesse immaginato. All’interno gli enormi sca\ali ricolmi di fascicoli a`irarono la sua a`enzione. Un’elegante segretaria la accolse e le disse dia`endere sui divane`i in fondo al corridoio. Dopo qualche minuto Viola arrivò ed insieme andarono a prendere un ca\è. Irina le raccontò delle suepaure e preoccupazioni e la pregò di aiutarla. Avrebbe dovuto rinnovare il visto almeno 60 giorni prima della scadenza, le disse. Perchè non l’avevafa`o? Questo, purtroppo, in Prefe`ura non gliel’avevano de`o. Era disperata. Era riuscita ad integrarsi legalmente e non sopportava l’idea di doverperdere tu`o ciò che era riuscita ad o`enere in così poco tempo. Era stata ^n troppo fortunata ma adesso la fortuna le si stava ritorcendo contro.

Un paio di giorni dopo Viola andò a trovare Irina al bar. Stava chiacchierando con Mario e sembrava molto contenta. Irina li salutò e gli portò il solitoca\è. Fu allora che entrambi sorrisero e le dissero “Felicit�ri Irina!” (Congratulazioni Irina!). Dopo tante richieste e grazie ad alcune conoscenze dellaCaritas Viola era riuscita a prolungarle il permesso di soggiorno di ben due anni. Questo grazie anche a Mario, che vista la sua bravura, acce`ò di as-sumerla con un contra`o a tempo indeterminato.

Irina era incredula. Quella fortuna che improvvisamente aveva visto svanire d’un tra`o era tornata a riempirle il cuore di gioia e di speranza. Sapevache un giorno avrebbe ancora una volta dovuto fare i conti con essa ma era felice..felice di aver iniziato questo fortunato viaggio. Il più bel viaggiodella sua vita.

Vincenza ValenzanoSTORIE

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STORIESTORIE

““LLAA DDUUPPLLIICCAAZZIIOONNEE DDEEII VVAASSII””

<<Ge ié???>>, disse alzandosi dalla panchina con la mano aperta intorno alle labbra, come a voler far sentire più forte.

<<Eh, non tanto mi convince questa cosa. Dici che c'è lavoro? Mah>>, gli rispose facendogli capire che non era perplesso di meno di prima.

<<Se c'è lavoro??? Ma certo che c'è. All'inizio potremmo avere delle di]coltà magari, perché si tra`a di una cosa nuova, siamo pionieri. Ma poisecondo me...>> e agitò a cerchio il braccio.

<<Certo un servizio che dice di essere di corriere espresso, che si fa non so quanti chilometri con il mulo, che si e no va più di uno che va a piedi, nonè che va bene come mortazza e focaccia, eh>>.

<<Ma tu devi vedere soltanto quando le persone qui a Taras verranno a sapere che Macaone e Agro scorteranno i loro delicati e preziosi pacchi, checosa deve succedere. Chi è più ada`o di noi ad a\rontare gli sciacalli delle strade? Per noi sarà come sba`ere i polpi sugli scogli>>, ^nì di parlare conun certo orgoglio e con l'espressione di chi sta dicendo una cosa che è incontestabile.

<<Agro, santo Dioniso, se penso che noi dal campo di ba`aglia, dal casino totale e dall'adrenalina delle mazzate e delle spade dobbiamo me`erci aguidare un carro, perlopiù tirato da un mulo, so`o al caldo a schia`are, mi viene la scon^denza>>, disse chinando il capo.

<<Ma non è che possiamo fare la guerra per sempre! Io sinceramente sento di aver già dato abbastanza. Anche tu hai bisogno di cambiare aria. Ti stai^ssando con sta cosa della guerra. Vai in mezzo alla strada, a toccare le femmine, a rubare, fai quello che vuoi, ma esci ogni tanto da quella palestra>>.Macaone sospirò e Agro dove`e credere di stare per convincerlo, perché dopo qualche secondo riprese il discorso di prima.

<<Ho già pensato il nome del nostro servizio di corriere espresso: Taras Nuovi Trasporti, TNT. Eeeeeh!!! Uno spe`acolo!!! Secondo me roba diqualche anno e lo vedremo scri`o su tu`i i carri in giro per le terre della Magna Grecia>>, con lo sguardo al nulla mosse la mano aperta come aindicarle tu`e.

<<Stai correndo troppo, qua ancora dobbiamo non dico trovare un cliente, ma anche alzarci da questa panchina. Il fa`o che vedo che tu`i i corrieriusano cavalli non mi convince. Ci sarà un perché. Magari in caso di assalto è più facile fuggire, oltre che si corre un po' di più. Cioè, io dico, ma tu tiimmagini noi due sul carro, mentre lasciamo la ci`à, so`o di noi strada sterrata, davanti a noi solo pietre, che procediamo lenti e ogni tanto il ragliodi un mulo? E' ridicolo! Poi noi due che siamo enormi! Se nessuno lo fa, signi^ca forse che si è provato, ma non funziona>>.

<<No, secondo me non è così. Nessuno ci ha provato per il semplice motivo che per la maggior parte delle cose da trasportare è sensato il cavallo,ma noi gli diamo il perché al mulo. Noi trasportiamo soltanto ogge`i fragili e di valore, per cui ci vuole una certa calma e una certa a`enzione. Quantevolte abbiamo saputo di vasi fa`i a regola d'arte, pezzi unici che nessuno potrà mai rifare uguali che sono arrivati alle case delle persone sfraganati? Unsacco. E poi il fa`o che il mulo è più tranquillo e mangia meno del cavallo riequilibra tu`o in nostro favore>>.

Agro era più che mai intenzionato a lanciarsi in questa nuova s^da. Come molti ci`adini liberi di Taras gestiva la sua servitù e mandava avanti i suoitomoli di terra in tempi di pace. Aveva piacere a migliorare le tecniche di coltivazione e raccolto, cominciava a guadagnare bene, ma parlava sempredel suo desiderio di “fare qualcosa di nuovo, che non esiste ancora”.

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STORIE

<<Eeeeeeehi>>, fece Macaone per richiamare l'a`enzione. <<E questi???>>, aggiunse sfregando indice e pollice.

<<Eeeeeh! Ti stai incaricando! Quanti ne farai!>>.

<<No, no, mi incarico sì! E se il danno è assai?>>.

<<Pensa, diventerai ricco, e anche famoso. Potrai fare delle gran sbru\onate. Basta che stipi tu`e le migliaia, che dico, le millanta dracme tu`e sullaso]`a, fai due calcole`i per vedere quant'è la pressione che può sopportare. Esci di casa, rientri, et voilà! Tu`e le dracme venute giù con la so]`a ingiro per la casa. Chiami i giornali, quelli vengono, si fanno il disegno e il giorno dopo tu`a Taras leggerà su La Voce di Poseidone: “crollo a casa Ma-caone, so]`a cede per il peso delle dracme”>>, passò il braccio da sinistra a destra con la mano come a evidenziare il titolo.

<<Sei un carico a chiacchiere>>.

Ormai il sole era dietro il tempio di Era e i due decisero di andarsene, ognuno per conto proprio.

<<Oh, a proposito, prima di andartene ti devo dire... ieri ho lasciato una bella pila di dracme al tempio di Afrodite dove sono io il padrone, e la sacer-dotessa mi ha de`o che se voglio mandare qualche amico... visto che l'altra volta mandai Milone e, sai com'è, dice che è rimasta proprio contenta, ilragazzo si difende>>, gli disse Macaone dandogli il gomito.

<<C'ha ragione sì, Milone è uno dei ragazzi più belli con cui io sia stato, è un'opera d'arte. Anzi non mi ci far pensare, sennò veramente che mò vadoalla casa e gli bu`o giù la porta>>, gli rispose coprendosi il volto con le mani per un a`imo.

<<Allora? Scià che me ne devo andare, che hai deciso? Sennò mando un altro>>.

<<No, no, ogni lasciata è persa e poi mi sento proprio in vena di propiziare la fertilità a Taras stasera, sono troppo altruista per astenermi>>.

<<Auand>>.

Così si avviò verso il tempio di Afrodite, che era a poche centinaia di metri dall'agorà, dove si trovavano, verso l'acropoli.

Il tempio era a pianta in antis, piccolino, con un paio di colonne doriche semplici semplici davanti e nient'altro da segnalare, intorno qualche ulivo edelle panchine in pietra come ce n'erano migliaia in tu`a la ci`à. Agro si accorse subito che la cella era chiusa e si andò a sedere. Sulla panchina accantoc'erano due ragazze, una bruna e una bionda, vestite di un bianco con cui potevano giocare al vedo e non vedo e dalle guance vistosamente rosse, concui potevano giocare a fare ^nta di essere ragazze imbarazzate. Le salutò guardandole di sfuggita e si mise ad aspe`are con lo sguardo puntato a terrae le mani sulla pietra. Sorrisero e incrociarono le gambe ^ssando l'ingresso.

C'era silenzio e non c'era nessun altro, non era un posto molto frequentato, chi cercava le stesse cose si rivolgeva di solito altrove.

Passarono pochi minuti e un tale uscì dalla cella. Mentre scendeva i gradini Agro lo riconobbe e lo chiamò.

<<Nientemeno che ho il piacere di avere a che fare con l'illustrissimo Senofonte!>>, gli disse a voce alta.STORIE

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STORIESTORIE

<<Ue, mio caro eroe di mille ba`aglie, giovane dai mille talenti e dallo spirito inquieto!>>.

<<Se vabbé, prendi per il sedere, mi raccomando. Vedo che pure tu gradisci il tempio, non è cosa da tu`i, sei di palato ^ne, eh>>.

<<Si, ogni tanto passo a salutare la sacerdotessa>>.

<<Mentre stavo seduto qui, pensavo: ma è possibile che con tu`o il casino che abbiamo fa`o per fare di Taras una signora ci`à, che fa spaventare lepersone e le fa correre nelle campagne al solo nominarla fuori di qui, che siano messapi, crotonesi o siracusani, non abbiamo un signor, e dico unsignor tempio di Afrodite. Dobbiamo fare tu`o sacri^cato, nello stre`o, qua dentro>>, si lamentò Agro.

<<E' pur vero che di donne ce ne sono in abbondanza altrove e qui si fa l'amore per terra sui cuscini, che non è il massimo della comodità. Noi duece ne veniamo qui soltanto perché magari ci piace l'atmosfera, o perché ci siamo a\ezionati>>.

<<Qualcuno perché spera di trovare una delle tante donne mature e facoltose quanto cesse in cerca di avventure come loro. Stasera non ne ho visteintorno al tempio, strano>>, aggiunse Agro.

<<Il mese scorso sono andato a Corinto e non ti dico che cosa sta al tempio di Afrodite di là, altro che questa sputazza. Come le vuoi? Bianche, nere,bionde, brune. Le vuoi nere con i capelli biondi? Stanno! Vuoi svarionare con dei maschi? Stanno! Ma poi bello grande, un giardino tu`o intorno fa`obene, il tripudio di gente che va e viene, persone avvinghiate sull'erba, persone avvinghiate sopra il pavimento, persone avvinghiate a tre, a qua`ro, nonti dico. E mi pare che ho visto pure qualche asiatica>>.

<<Cose così non le vedi nei templi di qui, che peccato. A parte questo, come va? Allora stai continuando con la tua bella carriera di ^losofo, ovverosiadi megacazzeggiatore cosmico?>>, gli chiese con il sorriso sulle labbra.

<<Bah, si, ma non è la stessa cosa che avere come te un maestro come Archita. E tu che stai a fare?Oltre allo standard si intende, cioè politica, guerrae prostituzione? Eheheh>>.

<<Mah, ti devo dire che di spade, elmi e compagnia bella non ne voglio più sapere. Puoi essere bravo quanto vuoi, ma se fai troppe ba`aglie prima opoi ti capita di uscirne mutilato o peggio morto. Ho ventiqua`ro anni e il mio l'ho fa`o, non mi venissero ancora a rompere le scatole.

Quanto alla politica, credo che posso tranquillamente fregarmene, visto che qui a Taras abbiamo Archita e, oltre che di meglio non c'è, è anche untipo cui piace fare tu`e le cose di persona.

Però da lui ho preso, oppure mi ha trasmesso, il desiderio di fare qualcosa di davvero nuovo. Una cosa che si propaghi come una buona idea dappertu`o,oppure proprio una buona idea o una bella scoperta. Una cosa che serva, magari. E poi aiutare a mia volta iniziative dello stesso tipo. Innescare o con-tinuare a coltivare questo spirito, a`irare gente con le stesse inclinazioni e lo stesso ardore da tu`o il mondo>>.

<<Mi stai fregando il mestiere. E comunque pensi troppo agli altri. Voglio vedere quanti ne stanno che la pensano come te. E se a te qualcuno pensa.Qua ognuno pensa alla panza sua>>, disse Senofonte scuotendo la mano con i polpastrelli uniti.

<<Ma non è vero, lo sai meglio di me che gli uomini da soli non stanno bene. Non è una cosa naturale non avere a che fare con altri uomini. Gli

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STORIE

uomini vivono bene insieme agli altri uomini. Ed è chiaro che l'agire di una singola persona è l'agire all'interno di un gruppo. Anche il solo fa`o di col-tivare la terra da solo è un agire all'interno di un gruppo, su un gruppo. Quello che raccoglierai lo venderai e in cambio avrai dei soldi con cui altre personeti daranno i ma`oni per costruirti la casa. Ora, quello che io credo è che tanto più il lavoro di una persona avrà successo quanto più sarà percepito con-veniente non solo dal fruitore, ma anche dagli altri>>.

<<Stai parlando troppo astra`o e forse anche troppo vago. Manco un esempio mi fai. Però mi piace il tuo modo di pensare un po' da sognatore>>.

<<Hai ragione. Ma mi sa che è meglio per tu`i e due che ne parliamo un'altra volta>>, si congedò accorgendosi della sacerdotessa poggiata con la spallasulla colonna che sbu\ava impaziente.La raggiunse un po' ghignante e un po' sorridente, voleva liberarla subito dal nervosismo dell'a`esa.

<<Ma lo sai che ore sono? Ti stavo aspe`ando>>, gli disse ad alta voce la sacerdotessa.

<<Signora sacerdotessa, la saluto>>, le baciò la mano con una galanteria da farsa e continuò: <<mi scuso umilmente e le vengo a dire che stama`ina,e dico stama`ina, in palestra mi sono gon^ato il pe`o solo ed esclusivamente in onore della sua presenza stasera!>>, concluse mimando la mossa dialzare il bilanciere.

<<Mmmmh>>, lo cinse intorno al collo in un'espressione gaudente e anche un po' derisoria <<per questa volta farò ^nta di niente>>, gli saltò inbraccio e in quella posizione se ne andarono dentro.

Il giorno dopo Agro e Macaone avevano appuntamento nell'agorà al solito posto all'incirca allo stesso orario, nel primo pomeriggio. Agro era inritardo e Macaone ne appro^`ò per dare un'occhiata a qualche bancarella. Aveva da fare un regalo al nipotino per il compleanno e non c'era nientedi meglio di una raganella come si deve. La raganella era stata inventata una decina d'anni prima da Archita e ormai si trovava dappertu`o, ma a Tarasne giravano alcune diciamo così di nuova generazione. Qualcuno aveva avuto l'idea di farne uno strumento educativo e quindi aveva coperto unifor-memente la parte libera per disegnarci sopra. Da un lato di solito ci facevano l'alfabeto e dall'altro una piccola scena qualsiasi della ricca mitologia.

<<Quanto viene questa?>>, chiese Macaone prendendo in mano una bella raganella colorata.

<<Quella? Eheh, me la chiedono in tanti, va fortissimo quest'anno. Sono due dracme e tre oboli>>, rispose il commerciante senza guardarlo in faccia,senza distogliere l'a`enzione da quello che stava facendo prima.

<<Sé, con due dracme e tre oboli me ne porto un carro di queste. Ma poi... stava un Odisseo sopra, un, che ne so, un Teseo, invece sta sto Perseo. Se-condo me porta un po' s^ga. Vabé, una dracma ti posso dare>>.

<<Ma con una dracma io non ci guadagno niente! Manco il viaggio per venire da Gravina. Due>>, disse indicando il due con la mano.

<<Ma per cortesia, per me puoi pure venire da Siponto, ma con questo alfabeto, che a momenti u uagningid me lo fai diventare cieco, non ti possodare più di una dracma e tre oboli>>, rispose cercando di tra`enere la risata per la bugia clamorosa che aveva appena de`o. Era abbastanza convintoinvece che gli altri bambini alla sua vista avrebbero distru`o il proprio e ne avrebbero chiesto uno uguale alla mamma.

<<Dammi una dracma e qua`ro oboli e te ne puoi andare>>, concluse il commerciante.STORIE

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STORIESTORIE

<<I sciot>>, esultò Macaone.Tornò lentamente alla panchina suonando la raganella che aveva appena comprato e trovò Agro steso in lungo sulla panchina con le mani dietro latesta.

<<Aué, mé? E che è come ai bambini fai mò! Sme`ila con quel coso, dà alla testa>>, si lamentò Agro.

<<Oh! Ti sei vestito bello sgargiante stama`ina!>>.

<<Mi piace il grigio. Ma senti un po', hai pensato al fa`o di ieri?>>.

<<No, sono stato troppo incasinato. Ma poco fa sono riuscito a sapere a quanto li danno i muli questi giorni>>.

<<Vabé più o meno sempre quello è il prezzo, chi se ne frega. Hai fa`o la mossa. Io invece stama`ina mi sono svegliato tardi ma sono andato comunqueal fondo di contrada Nuova Locri a scuotere un paio di ulivi. Mentre ero lì ho pensato che abbiamo un paio di problemi grossi. E cioè dobbiamo unminimo a`utire i colpi che prendiamo andando sui fossati, prendendo pietre con le ruote, a`raversando pozzanghere eccetera. E poi ci dobbiamo di-fendere dagli a`acchi a distanza, cioè dalle frecce>>.

<<Immergiamo le cose nella paglia e via. Quanto alle frecce, si farà un qualche tipo di copertura, magari forata, ed è risolto>>.

<<Sulla copertura hai ragione, non dovrebbe essere di]cile. Ma riguardo la paglia, potrebbe non bastare e meno paglia signi^ca più volume. Stavopensando in particolare a un sistema per rendere meno rigido il ^ssaggio delle ruote al carro, in modo che venga ammortizzato tu`o, pure noi, e nonsolo quello che ci portiamo dietro>>, disse Agro mordendosi il labbro inferiore.

<<Circondiamo il foro di paglia>>, ipotizzò subito Macaone.

<<Mi è venuto in mente, ma dopo pochi metri perderebbe la capacità di tornare come prima e non avremmo combinato niente, sarebbe come nonavercela messa. In più rischiamo di aumentare l'a`rito. Abbiamo bisogno di una cosa che si deforma e torna uguale tante volte>>.

<<Sabbia nel foro?>>.

<<O`imo, così non cammina più. Dovremmo rivoluzionare tu`o il meccanismo della ruota per una cosa che non ci aiuterà proprio, il gioco non valela candela>>.

Non avevano molte idee e quelle che avevano non erano buone, così rimasero qualche minuto in silenzio, assorti, ognuno per conto proprio. Agrosi stava persino addormentando, c'era una bella temperatura e aveva mangiato parecchio. Macaone invece aveva trovato un tizio che si era allenatoqualche anno fa con lui e prese a parlare dei probabili rivali nelle olimpiadi successive.

<<E niente io stavo qua che stavo parlando con>>, disse al suo interlocutore, poi si rivolse verso Agro e cominciò a gridare il resto della frase <<l'esimiodo`or ingegnere che ha preso sonno come un barbone>>.Fece girare un po' la raganella per vedere se si svegliava, e funzionò eccome.

<<Idea!!!>>, urlò Agro alzandosi di soprassalto dalla panchina e a\errando il sonaglio. <<Come funziona questo?>>, domandò.

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STORIE

<<Dovrebbe esserci un foglie`o di ferro che striscia su una ruota dentata, giusto?>>.

<<Giusto! E quello che serve a noi è un foglio di ferro enorme!!!>>.

<<Mmmh, diciamo una spada molto larga da ^ssare so`o il carro>>, mostrò di aver capito Macaone.

<<Da un lato lo blocchiamo so`o il carro e dall'altro lo lasciamo libero di muoversi con la ruota a`accata>>.

<<Non vorrei spegnere il tuo entusiasmo, ma bisogna vedere come costruirlo in modo resistente. Ad occhio e croce legno e ferro non vanno d'accordosempre>>.

<<Ma no, si tra`a di de`agli, sono convinto che è un'o`ima soluzione. Però ho bisogno del Generale>>, aggiunse riferendosi ad Archita.

<<Lo mandiamo a chiamare subito>>, chiuse il discorso Macaone.

Il generale Archita era solito passeggiare per tu`a la Taras abitata quando se ne voleva stare per conto suo a pensare alla scienze esa`e, al contrario sene andava in campagna quando voleva interagire con il mondo, per di\ondere la “buona agricoltura”, come la chiamava lui. Tu`avia non era perniente un tipo introverso, il fa`o era che per pensare ad alcuni problemi aveva bisogno di concentrazione e quando lo faceva non poteva fare altro.Quando ne aveva abbastanza, si fermava e se ne andava magari a svuotare una bo`e di vino con gli amici.

Ci mise un po' ad arrivare perché si trovava in contrada Piccola Kroton, praticamente una distesa di vigneti a nordest di Taras.

<<Buonasera a tu`i>>, esordì il Generale.

<<Buonasera generale Archita, le giuro che l'ho mandata a chiamare per un motivo plausibile>>, rispose Agro.

<<Sicuramente non perché volevi mangiare un po' d'uva. Vuoi?>>, gli disse porgendogli un grappolo. <<Me lo sono portato dal fondo. Camminandocamminando l'ho quasi ^nito!>>.

<<Le devo parlare di un'idea che mi è venuta questi giorni e ho bisogno della sua esperienza per sapere se è buona o no>>.

<<Riguarda il problema della duplicazione del cubo?>>.

<<No>>.

<<Ma stai studiando?>>, chiese con un po' di disperazione il Generale.

<<Veramente no, ho avuto da fare, ci sono tante cose interessanti...>>.

<<Ma uno con il tuo talento! Veramente che tu bu`i tu`o al vento. Ho allievi che quando stanno fermi davanti ad un sasso senza fare niente, tu là giàvedi che stanno andando al massimo, che stanno cedendo come cede una diga con il ^ume in piena. E tu invece...>>.STORIE

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STORIESTORIE

<<La ringrazio...>>.

<<Allora questa idea?>>.

<<Una rete di trasporti, di carri per trasportare carichi, per ora soltanto a Taras, si chiamerà TNT!>>.

<<Il nome è l'ultima cosa e comunque dov'è la novità?>>.

<<Trasporteremo soltanto ogge`i preziosi e sopra`u`o fragili>>, puntualizzò Agro.

<<Tipo?>>.

<<Statue, vasi, crateri, gioielli, manufa`i di qualsiasi tipo. Ma qualunque cosa voglia il cliente. Arriverà tu`o inta`o a destinazione>>.

<<E cosa avreste in più degli altri che già lo fanno?>>.

<<Ci faremo tirare il carro dai muli, vanno più piano e mangiano di meno! In più abbiamo appena inventato un sistema per a`utire i colpi chesubiscono le ruote per la strada, l'ho appena ba`ezzato: la Sospensione!>>.

<<Cioè?>>.

<<Un foglio molto grande di ferro, ^ssato da un lato so`o il carro e dall'altro lasciato libero...>>

<<Con la ruota a`accata>>, continuò il Generale.

<<Esa`o. Pensi che quest'idea mi è venuta in mente sentendo il suono della raganella!>>.

<<Capitano spesso queste cose. Comunque ho già in testa come si potrebbe fare una stru`ura molto salda per la tua, come l'hai chiamata, sospensione.Si tra`a in ogni caso di un'idea molto valida>>.

<<La ringrazio, Generale>>.

<<Anzi, ho già la prima commissione per te e il tuo amico. Ho bisogno che facciate arrivare a Egnazia un cratere molto prezioso. Non è tra i più belliche sono stati fa`i qui a Taras, ma avrete a che fare con il primo cratere con la ra]gurazione dell'amazzonomachia. E' stato realizzato tanto tempo fa,dovrebbe avere più di vent'anni. L'autore è il notissimo Leonida di Ariadne e si tra`a di un dono per il compagno di tante ba`aglie Opis di Egnazia>>.

<<Stia tranquillo Generale, Opis si ritenga sfortunato se non ne riceverà a casa sua due>>.

Claudio Matarrese

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STORIE

““CCOONNSSIIDDEE[[ZZIIOONNII SSUULLLLAA PPOOVVEERRTTÀÀ,, LL´́EESSCCLLUUSSIIOONNEE GGIIOOVVAANNIILLEE IINN EEUURROOPPAA,,EE II BBIISSOOGGNNII DDEEII GGIIOOVVAANNII EEUURROOPPEEII””

Quando ho iniziato a scrivere questa pagine`a ho pensato prima di tu`o a quello che accomuna me ed un ragazzo francese o spagnolo, della mia età.

Viviamo in posti diversi lontani tra loro, in famiglie diverse, abbiamo abitudini diverse, abbiamo ricevuto educazioni diverse, ma forse abbiamo gli stessisogni, gli stessi ideali di altri giovani europei.

Probabilmente è tu`a qui la forza dei ragazzi della nostra età, nei sogni. Fabrizio De Andrè diceva:“penso che un uomo senza utopia, senza sogno, senza ideali, vale a dire senza passione e senza slanci, sarebbe un mostruoso animale fa`o semplice-mente di istinto e raziocinio; una specie di cinghiale laureato in matematica pura”.

Da giovane europeo sono dell’idea che le chimere e i sogni vanno rincorsi a gambe levate, nonostante la piena consapevolezza degli ostacoli e delledi]coltà che si possono incontrare durante il tragi`o.

Sono convinto che la completa realizzazione della persona passa proprio per il superamento delle barriere che ognuno di noi ha incontrato, incontrae incontrerà nella lunga corsa, nel lungo viaggio verso il sogno.

Magari il sogno non diventerà completamente realtà, ma il passo che faremo in avanti durante il nostro viaggio sarà un pezzo di realtà conquistata.

Come si suol dire “a volte il viaggio è più importante della meta”.

Ma penso anche che molti giovani europei non hanno la forza di sognare, non vogliono sognare, non possono sognare.

Esclusione, povertà, quando leggo queste parole ho l’impressione che siano così distanti, così lontane da me e invece mi capita spesso di incontrareper strada ragazzi di etnia rom della mia età con i loro fratellini che elemosinano qualche obolo nella totale non curanza di noi passanti che ^ngiamodi non vederli, di non ascoltarli e che ormai siamo abituati a vedere queste persone e ignoriamo lo stato in cui versano.

Inoltre questi problemi non occupano che poco più di un minuto nella nostra mente, pervasa da molti e altri pensieri di tu`’altra natura.

Ovviamente non è donando pochi euro a questa gente che il problema sarà risolto, avremo solamente l’e]mera sensazione di aver fa`o una buonaazione.

Allora mi domando perché l’Europa ad oggi non ha ancora reda`o un piano sociale che preveda l’integrazione di queste persone, tra le quali vi sonoanche ragazzi sognatori come me, ma si limita ad osservare e criticare la decisione del ministro per l’immigrazione, Eric Besson in merito all’espulsionedei rom dalla Francia (ora rimpatriati in Bulgaria e Romania, entrambi paesi membri dell'Unione europea).

Il problema esiste ed è so`o gli occhi di tu`i, non possiamo ignorarlo e spostarlo da una nazione all’altra.

Quello che voglio dire è che il sogno è una ^amma che per ardere ha bisogno di legna, di carbone;noi giovani europei per sognare abbiamo bisogno di opportunità che non a tu`i sono concesse.STORIE

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STORIESTORIE

““II GGIIOOVVAANNII HHAANNNNOO BBIISSOOGGNNOO DDII CCOO[[GGGGIIOO””

“Chi ha paura muore ogni giorno”. Questa è una delle frasi più rappresentative della lo`a alla ma^a perché, come è noto, è stata pronunciata dal ma-gistrato Paolo Borsellino proprio negli anni della dura lo`a contro i clan malavitosi. A distanza di anni, questa frase riscopre i suoi mille signi^cati aseconda dei contesti in cui viene utilizzata e non è a\a`o banale, o scontato, pensare che essa possa essere utilizzata come mo`o della riscossa giovanilein Italia e in Europa. In una società che spesso non ha nulla da o\rire ai ragazzi, ci si ritrova a fare i conti con la paura del futuro, con l'incertezza deldomani e purtroppo con la totale assenza di ^ducia nelle istituzioni. Chi dovesse aver paura oggi, rischia di morire ogni giorno, rischia di perdersinella super^cialità e nella povertà di stimoli dei nostri giorni. Nulla di più triste se solo si prova a domandarsi che cosa i giovani d'oggi potranno rac-contare ai propri nipoti quando saranno diventati nonni. Oggi nell'immaginario colle`ivo, ma solo perché di fa`o è quello che ciascuno di noi ha vissutosulla propria pelle, se si pensa ai propri nonni, vengono in mente storie meravigliose, fa`e di sacri^ci, di guerre, di so\erenza, ma anche di gioia dovutaalle belle storie d'amore, iniziate e coltivate nell'umiltà e nella consapevolezza che c'era la possibilità di costruire una famiglia e di trovare lavoro. Storienate nella povertà materiale, ma vissute nella ricchezza di spirito e di iniziativa. Oggi tu`o ciò non c'è più e quindi, è quasi di]cile immaginare che cosadi buono potrebbe raccontarsi ai bambini del futuro. Paradossalmente questa è l'epoca dell'apparire, dell'incertezza, della vanità e della vacuità dellecose per cui si capisce come, anche la tradizione e la storia recente, perderanno quel fascino che ha accompagnato la nostra crescita. Un ragazzoeuropeo, oggi, si trova a fare i conti con di\erenti realtà i cui ritmi sono de`ati dalle esigenze che, rispe`o al passato sono decisamente cambiate.Spesso, però, va anche notato che non tu`i i ragazzi sono pronti a tu\arsi in esperienze lavorative in grado di prepararli al futuro. Al di là della gave`a,ovvero quel periodo che anticipa la propria realizzazione personale, spesso molti ragazzi coperti da un eccessivo protezionismo da parte dei genitori,rinunciano anche a svolgere lavori elementari come potrebbe essere il semplice lavoro di cameriere che, oltre a garantire il primo guadagno, in realtà,genera quel primo conta`o con il “collega di lavoro” in grado di far nascere amicizia, contrasti e, perché no, spesso anche e sopra`u`o complicità perun obie`ivo comune. La società nella quale viviamo, oggigiorno, ha diverse sfacce`ature che vanno analizzate. Sicuramente tra le prime domande daporci c'è quella su che cosa essa ha da o\rire ai giovani, ma come anticipavo, vien spesso da chiedersi che cosa i giovani sono disposti a prendere dallasocietà nella quale viviamo. Ad esempio mi domando cosa potrebbe mai fare un ragazzo abituato ad avere tu`o nella vita, prote`o ^no all'ultimo daigenitori, un ragazzo che ha tu`o, ma che non sa come sfru`are le sue potenzialità. E nello stesso tempo, come può un giovane che non ha niente, cos-truire il proprio futuro se, al meglio che deve andare, il primo contra`o che ̂ rmerà sarà un co.co.co. In un caso un ragazzo ricco di possibilità, ma poverodi inventiva, nell'altro un giovane avaro di iniziative, ma povero di occasioni. Interrogativi che rischiano di cadere nella retorica se non si a\rontanocon concreti interventi istituzionali a favore dell'inserimento giovanile nel mondo del lavoro e se non si cerca un concreto piano di sostegno in gradodi svegliare la nostra generazione, assopita nel torpore dell'incertezza. Del resto, tanti sono i sociologi che fanno discendere il disagio giovanile, i vizie i dife`i della famiglie d'oggi, dalla frustrazione con cui avviene l'inserimento nel mondo del lavoro. Diminuiscono i matrimoni, aumentano le con-vivenze, aumentano i single e i fast food, proprio perché è la vita lavorativa, ovvero la sopravvivenza che de`a le regole della nostra esistenza. Unquadro triste, scoraggiante che ha forti risvolti e conseguenze su quella che è la proiezione della società futura. Fa`a questa doverosa premessa legataa quelle che sono le ansie e le paure anche di chi, in questa sede si cimenta ad a\rontare una tematica tanto vasta, quanto sconosciuta, vale la penaraccontare la storia di chi ha costruito il proprio futuro me`endo una dietro l'altra delle scelte che, purtroppo, ad oggi ancor nessuno sa a qualesoluzione porteranno visto che, la strada è ancora tu`a in salita. La storia di un ragazzo, Dario, che ha mostrato coraggio nelle sue scelte e che sperache, questo coraggio venga prima o poi ricompensato perme`endogli di raggiungere quegli obie`ivi per cui tanto ha faticato.

Superati con il massimo dei voti gli esami di maturità, il protagonista del nostro racconto, decise di iniziare a fare il cameriere. I suoi genitori non gliavevano mai fa`o mancare nulla, ma egli avvertiva l'esigenza di avere qualcosa di più. Voleva comprarsi il cellulare, raccontava agli amici, non che giànon lo avesse, ma voleva quello che sca`ava le foto, quello con la fotocamera a colori che faceva anche le videochiamate. In realtà i motivi per cui volevainiziare questa nuova esperienza erano tanti: primo fra tu`i la voglia di cambiare area, di vedere gente nuova, diversa dalla solita gente che frequentavafuori e dentro la scuola e poi voleva liberarsi di lei, del pensiero di quella ragazza che lo aveva fa`o so\rire, archiviando così la sua prima vera delusioned'amore. Poi c'erano anche tanti altri motivi legati alla voglia di guadagnare, la voglia di rendersi indipendente, ma sopra`u`o la gran confusione nellamente: che fare all'università, quale facoltà scegliere? Un vero dilemma per chi aveva fa`o il liceo classico, ma a cui le materie le`erarie non erano pia-ciute poi tanto. Ci voleva un po' di coraggio, mente lucida, e un paio di decisioni da prendere. Poi, come per ogni ragazzo a quell'età, c'era la voglia dipensare in grande di pensare al futuro, immaginato nel migliore dei modi in cui un ragazzo appena dicio`enne può immaginare. Quell'estate Dariotrovò lavoro in una pizzeria non lontano dalla sua ci`à, un locale tranquillo, frequentato da gente umile senza grosse pretese. Il locale era gestito da

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STORIESTORIE

brava gente, una famiglia semplice e forse anche un po' ignorante, dove il più preparato aveva la licenza media. Presto giunse il primo giorno di lavoro,il giorno del debu`o, quello in cui Dario pensava di sapere quando avrebbe lavorato, come e sopra`u`o quanti soldi avrebbe preso. Non era nelleposizioni di poter fare troppe domande e così Dario, quella sera lavorò senza obie`are a nulla, nemmeno al fa`o che a ^ne serata non vide il becco diun qua`rino e nemmeno al fa`o che, il proprietario prima di chiudere la serranda della pizzeria, gli avesse de`o: “ci vediamo domani”. “Domani?” pensòDario, “ma come è estate, è l'estate della mia maturità e devo lavorare anche domani?”. In ^n dei conti, iniziò a pensare queste giornate consecutivedi lavoro gli avrebbero permesso di accumulare il prima possibile quella somma di denaro su]ciente per acquistare il cellulare con la fotocamera. Ecosì il giorno dopo, ritornò sempre nel solito locale dove il giorno prima, avvicinandosi al primo tavolo da servire, aveva sentito la sua voce tremare,un po' per l'emozione, un po' per lo strano e\e`o provato nel pronunciare frasi che aveva visto solo pronunciare da altri o che magari, aveva pronunciatosolo per scherzo giocando con gli amici. Trascorse un'altra serata, la seconda, la con^denza con i clienti di quella pizzeria stava pian piano aumentandoe anche sul luogo di lavoro, iniziavano a nascere le prime simpatie e anche le prime antipatie. Anche il secondo giorno Dario si sentì dire ci vediamodomani senza percepire alcuna retribuzione. Giunto al terzo giorno di lavoro, iniziava a sorgere la con^denza con qualche “collega” per informarsi suigiorni di chiusura. “Domenica e lunedì” gli avevano de`o, me`endolo subito in guardia sulla giornata del sabato, paragonata da un violento nubifragio,e alla se`imana di ferragosto, un vero e proprio terremoto. “Ferragosto?” pensò Dario: “spero proprio di andarmene prima”. Dario non era tipo chesi faceva spaventare e così decise di continuare: voleva a tu`i i costi il cellulare e nel fra`empo continuava a pensare che se avesse lavorato tu`i i giorni,il suo periodo di lavoro sarebbe ^nito prima e presto sarebbe tornato a fare la vita di tu`i i giorni. Ma che vita sarebbe tornato a fare? Dario non erapiù studente, si era diplomato, e nella sua mente ribolliva la confusione de`ata dalla scelta, quella giusta, da dover fare all'università. Passò la se`imanae scoprì ^nalmente che san paganino, così lo chiamavano nella pizzeria, sarebbe passo il sabato, dopo la giornata più dura della se`imana. Una cosaperò iniziò subito a stupire Dario. E' vero, il suo primo stipendio sarebbe arrivato al termine dei 5 giorni di lavoro consecutivi, ma nel fra`empo le suetasche si riempivano ugualmente di monete che i clienti iniziavano a dargli per ringraziarlo del suo servizio. La mancia, la chiamavano così i suoicolleghi che a ^ne serata si svuotavano le tasche per dividere tu`i insieme gli spiccioli accumulati. Pochi spiccioli per ciascun cliente, ma che al terminedella serata diventavano una cospicua somma. Giunse il sabato, arrivo la prima paga che fu di 25 euro al giorno. Non molto, ma “sei in prova” gli fude`o. Dario che non aveva mai guadagnato nulla, prese i suoi primi 125 euro guadagnati e se li mise in tasca. Erano bei soldi duramente guadagnatiche avevano un valore maggiore di quello che mostravano dal momento che in ciascuna sera in cui Dario aveva lavorato, nello stesso tempo, non avevaneppure speso anche perchè la sua serata di lavoro ̂ niva alle tre e, tornare a casa, per poi uscire, sarebbe stato troppo stancante anche per chi il giornodopo voleva semplicemente andarsene a mare. Quell'estate, quella che tu`i avevano dipinto come la più bella, quella più lunga e quella che Darioavrebbe dovuto godersi più delle altre, passò così con 5 giornate di lavoro serali a se`imana e due giornate di riposo che Dario utilizzava per nonperdere i conta`i con quella gente da cui egli stesso, lavorando, avrebbe voluto distaccarsene. Il lavoro non era male, faticoso si, ma non poi tanto. ADario piaceva stare tra la gente, scherzare e ridere con i clienti che, quasi presi in giro da Dario, ̂ nivano per lasciarli la mancia, tanta mancia. Una voltaun turista americano, pagò Dario con una banconota da cento, nonostante il conto venisse 72 euro e nello stesso tempo gli disse in un italiano quasiridicolo “tieni il resto”. Dario all'inizio non ci crede`e, ma poi racca`ò i 28 euro, li mise nella tasca destra, lontano dalla tasca sinistra, quella in cuiteneva la mancia che era costre`o a dividere con gli altri camerieri che, meno simpatici di lui, racca`avano solo poche monete da due euro e qualche5 euro. I clienti che, a turno, tornavano in quella pizzeria, iniziavano a mostrare simpatia per Dario sopra`u`o perchè a molti sembrava strano vedereun ragazzo così brillante fare solo il cameriere. Dario spiegava a tu`i che stava a`raversando un periodo non facile della sua vita, fa`o di scelte, forseanche di partenze, ma tanti erano i clienti che pur senza sapere che cosa avrebbe fa`o Dario nella vita, gli dicevano: “tu farai carriera”. Ancor oggi,Dario nel bel mezzo della sua gave`a lavorativa, si domanda da dove provenisse tu`a quella convinzione di coloro che, lusingandolo, gli dicevano sem-pre la stessa cosa. Non uno, due o tre clienti, ma tanti di loro e la cosa più strana è che Dario ha dovuto convivere con il peso di questa frase anchenegli anni successivi quando, pur delineandosi un suo percorso di vita, ha sempre trovato uno sconosciuto pronto a ripetergli “tu farai carriera”. Lese`imane passarono e non fu facile per Dario scegliere l'università ada`a a lui: medicina, legge, biologia o perchè no, scienze della comunicazione. Dapiccolo sognava di lavorare per la tv, e quindi scienze della comunicazione sarebbe potuta assere la facoltà giusta per far emergere la sua voglia di co-municare. Alla ^ne la scelta ricadde sulla facoltà di medicina. Passarono i mesi e Dario lavorò per molto più di quanto aveva previsto, come egli stessodiceva, a ^ne stagione di cellulari con la fotocamere se ne sarebbe potuto comprare ben tre. Alla ^ne l'esperienza non fu negativa, sopra`u`o perchépermise a Dario di avere sempre il portafoglio pieno tanto da spingere Dario ad acce`are di rimanere a lavorare anche durante l'inverno, ma non più5 giorni alla se`imana, bensì solo il sabato e solo eccezionalmente anche il venerdì, garantendosi però uno stipendio di 35 euro a sera. Giunse se`embree Dario si apprestava a cominciare una nuova avventura quella universitaria. I mesi volarono in fre`a, nel ^ne se`imana Dario lavorava sempre comecameriere, mentre nel corso della se`imana, studiava, studiava studiava. Il piano di studi era chiaro, non ci si poteva sbagliare. Se non si facevano tu`igli esami del semestre, poi quest'ultimi si sarebbero accumulati con quelli del semestre successivo e Dario si sarebbe ritrovato con l'acqua alla gola.

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STORIESTORIE

C'era un preciso programma da rispe`are a costo di uscire poco o magari trascurare questa o quell'altra ragazza. In maniera un po' cinica, Darioripeteva sempre: “tra 20, 30 anni so solo che con me di sicuro, ci sarà me stesso”. Una frase da brividi che lasciava poco spazio alla coltivazioni di amorie/o amicizie, ma che purtroppo rappresentava in maniera fredda la triste realtà di un giovane europeo consapevole delle grandi incertezze future. Lavigilia del primo esame, fu per Dario una grande so\erenza. La domanda ricorrente era: “se non passo questo esame vuol dire che ho sbagliato tu`o?Che ho scelto la facoltà sbagliata?”. E' di]cile dare una risposta a questa domanda; in alcuni casi potrebbe essere a\ermativa, ma fortuna Dario nonsbagliò. Al primo esame prese ventitre, ma solo una se`imana dopo ne sfornò un altro, conquistando il suo primo trenta e lode. Con la stessa caparbiae tenacia con cui fu a\rontato il primo esame, Dario, pur continuando a fare il cameriere nel ^ne se`imana, a\rontò anche gli esami successivi. Doposei anni di università non sbagliò un colpo e accumulò anche diversi voti alti tali da far schizzare la sua media sopra il 28. Ansie, paure, incertezzefurono gli ingredienti principali di quegli anni passati con la testa sui libri, poco divertimento, ma tanto sacri^cio. Anni volati, di cui a distanza di tempoè di]cile coglierne anche l'essenza, tanto che è quasi più facile ricordare un emozione al liceo che non una vissuta all'università. Durante gli anni uni-versitari, Dario aveva cercato anche altri lavore`i: aveva collaborato con alcune radio locali, aveva fa`o volantinaggio, aveva anche presentato alcunemanifestazioni locali. Ormai da quel lontano luglio post maturità in cui aveva iniziato a lavorare, era passato un sacco di tempo, ma Dario si era accortoche, una volta guadagnati i primi soldini ed una volta conquistata la propria indipendenza, di lavorare non se ne può fare più a meno. Una sensazionedi]cile da spiegare, sopra`u`o agli amici che lo vedevano sempre più distante e sempre più concentrato sulle proprie cose. Non erano pochi quelliche pensavano che Dario se la tirasse un po', ma chi lo conosceva, sapeva benissimo che così non era per via del suo cara`ere sempre allegro, disponibilee vivace. Da tempo Dario aveva iniziato a collaborare anche con una agenzia di viaggi. Aveva iniziato a lavorare per gioco, per dare una mano ad unamico di famiglia. Quel lavoro, però apparentemente passeggero, fece di Dario un esperto organizzatore di viaggi, tanto che gli furono o\erte o`imepossibilità di carriera. Lo stipendio che Dario percepiva dal suo lavoro in agenzia era ben al di sopra di quei primi 125 euro guadagnati facendo il ca-meriere. Con le provvigioni e con il ^sso che mensilmente percepiva, Dario era arrivato anche a prendere più di mille euro al mese. Una tranquillitàeconomica che valeva non poco vista la quotidiana lo`a con lo studio per raggiungere la tanto a`esa laurea. Dario, però, con il suo nuovo lavoro cisapeva fare, la gente chiedeva di lui, il suo capo si ^dava di lui, tanto che iniziava a domandargli “ma tu nella vita cosa vuoi fare? Vuoi fare il medico ovuoi viaggiare? Un bell'interrogativo rimasto irrisolto per diverso tempo. Mese dopo mese, arrivò anche il momento della laurea conquistata sulcampo, senza raccomandazioni, ma ciò che riempiva di orgoglio Dario era che la tanto a`esa laurea, era anche giunta nel pieno rispe`o dei tempi de`atidal piano di studi. All'orizzonte c'erano altre scelte da a\rontare: la scelta della tesi, del professore a cui chiederla, insomma, l'ennesima decisione daprendere per di più anche in tempi relativamente brevi. Nel corso degli anni, Dario aveva già a\rontato parecchie scelte legate alla sua famiglia, legatealle ^danzate agli amici, ma sopra`u`o ne aveva già a\rontate parecchie per quanto riguardava il suo percorso di studi, quello da dover me`ere in praticaper raggiungere la meta. Traguardo che fu raggiunto con un bel 110 e lode con grossa soddisfazione di tu`a le gente che, nel corso degli ultimi anni,aveva iniziato a credere nelle potenzialità di questo ragazzo partito dal nulla. Raggiunta l'agognata meta, per Dario iniziò l'ennesimo periodo diri_essione legato alla giusta scelta da fare. Da un lato una brillante carriera universitaria, dall'altro un posto di lavoro già conquistato che fru`ava giàun o`imo stipendio e che lasciava trasparire grandi potenzialità di carriera. Due strade però incompatibili tra loro: chi è medico non può essere ancheun esperto organizzatore di viaggi. Da un lato i sacri^ci dello studio dall'altro i facili guadagni. Una scelta non facile, ma che Dario a\rontò con grandecoraggio, scegliendo di rinunciare al suo lavoro e di concentrarsi su l'esame per iscriversi all'albo dei medici. “Non posso farmi “|corrompere” da queimille euro al mese”, pensò Dario, “non posso deludere me stesso e tu`i questi anni passati con successo sopra i libri di medicina. Ho iniziato unastrada e la porterò a termine”. Giunti a questo punto il racconto di Dario si interrompe perché, ad oggi, si aspe`a di vedere se Dario riuscirà a raggiungereanche questa sospirata meta. Certo non sarà facile cavarsela in quest'ennesimo momento di incertezza, ma anche questa volta bisognerà stringere identi ed andare avanti: sempre e comunque. L'esperienza di Dario insegna una cosa, ovvero che al giorno d'oggi le occasioni ci sono, vanno createe sopra`u`o colte. Per farlo, bisogna avere coraggio, perché chi ha paura è destinato a morire ogni giorno dietro le sue incertezze, dietro le sue angoscedietro i suoi lamenti. Non basta la ricchezza materiale di una persona, ci vuole la ricchezza di idee di inventiva, ma sopra`u`o di coraggio nel saperea\rontare le scelte e le decisioni importanti della vita. Scelte che rimangono sospese nel vuoto ^nchè non arriva la certezza e la conferma di avercelafa`a, di esser riuscito a raggiungere il traguardo per il quale hai tanto faticato. Col senno di poi è facile dire se una scelta è stata pro^cua o meno, main corso d'opera tu`o diventa più di]cile, le paure le ansie si provano sulla propria pelle e si convive con l'incertezza e coi dubbi, in un mondo più incertoe dubbioso di te. Ansie paure che testimoniano come, l'epoca in cui viviamo non è a\a`o facile per un giovane europeo che vive nella consapevolezza di un mondoche cambia e che si evolve. L'unica medicina resta il coraggio.

Oronzo Roberto Benigno

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STORIESTORIE

“““GGIIOOVVAANNII PPRROOBBLLEEMMII EEUURROOPPEEII””

“ «Tu sta zi`o!» -portando l’indice della mano destra sulla bocca con sguardo gelido mi intimava di girare la testa dal lato del ^nestrino e di lasciarperdere la discussione.Io non potevo assolutamente rinunciarvi e cercavo di riappropriarmi del piccolo posto che mi spe`ava nella società.

E’ un posto scomodo, stre`o, angusto quello che sto occupando in treno.E’ un posto scomodo, stre`o, angusto quello che sto occupando nella società.«Ti ripeto sta zi`o! Stanne fuori, ti prego, questi sono discorsi da adulti»- mi ripeteva infastidito.”

Quel giorno ero in treno come quasi tu`e le ma`ine di ritorno dall’università e, mentre mi annoiavo, ascoltavo una chiacchiera qua una chiacchieralà di altri passeggeri che come me aspe`avano la loro fermata.L’aria era pesante e satura di quei soliti faccioni indi\erenti e stanchi che i miei occhi passavano in rassegna tu`e le sacrosante ma`ine.

In fondo al corridoio sul lato destro sedeva un uomo sulla quarantina. Penso fosse stato un libero professionista dalla giacca, la crava`a e i gemelli dellacamicia rigorosamente in bella vista che indossava.Alla sua sinistra un frate leggeva i suoi testi sacri mentre avvinghiato a`orno alle dita gli scendeva un rosario consumato.Alle mie spalle un bizzarro turista asiatico se`antenne succhiava e gustava un leccalecca quasi fosse stato un bimbo; due piccoli bambini in braccioalla loro mamma mangiavano con gli occhi il suo leccalecca. Più in là due anziani parlo`avano tra loro.Nel mezzo c’era lui, l’ostinato che poco fa cercava di portare in scena il suo pensiero. Era lui, seduto tra suo padre e un gruppo di amici di famiglia.Osservavo i movimenti dei suoi occhi e delle sue mani che fremevano, avvertivo una certa vicinanza simbiotica ai suoi modi di fare. Eppure più si di-menava, più scalciava, più desiderava essere ascoltato, più quelli lo zi`ivano e lo incollavano al sedile con le loro parole da grandi, sempre le stesse parolescontate e fataliste.Lui cercava negli occhi degli altri passeggeri un appoggio, un assenso e nessuno aveva tempo da dedicargli. Era un ragazzo con i grilli per la testa, erasolo un ragazzo.Quel giovane aveva ventidue anni. Quel giovane sono io, quel giovane siamo noi, quel giovane siete voi nel ventunesimo secolo.Anch’ io sono una giovane di ventidue anni e sei mesi e questo è un grosso problema!Un grosso problema perché non c’è lavoro, un grosso problema perché gli adulti ti fanno credere che sei un fardello pesante di cui disfarsene, perchéla società ti usa, ti “strizza”, ti impoverisce e poi ti vende al miglior o\erente, chiudendosi dietro la porta.Il mondo spesso ruba le nostre idee e poi a “piè pagina” la società globale appone in grasse`o la sua ̂ rma. E nel fra`empo diventiamo giovani semprepiù poveri allo sbaraglio bisognosi di più sicurezza e meno _essibilità.Solo alcuni della Terra coraggiosi e controcorrente ci concedono un posticino accanto al loro e noi lo`iamo con tu`e le forze per conservarlo ^nchéun bel giorno arriva sempre lui: il raccomandato.

Durante il viaggio il giovane continuava la sua buona ba`aglia.«Parlate di tu`o questo, ma conoscete almeno il contenuto della Costituzione italiana?»-spiegava- « E che c’entra ora la Costituzione?»-ripetevauno degli amici del gruppo.Un altro gli rispondeva «Ora non me`iamo in ballo tu`e queste belle leggi e leggine: servono solo a confondere i pensieri e poi se aspe`iamo loro…buonasera! Il mondo crolla!».Il ragazzo continuava a non convincersi sicuro che doveva pur esserci una porzione di mondo che l’avrebbe ascoltato.Lasciai il giovane solamente quando fui distra`a da un’amica di vecchia data che dall’altro vagone mi chiamava perché andassi a prendere posto

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STORIESTORIE STORIE

insieme a lei laggiù.Quell’aria rarefa`a nei vagoni, quel miscuglio di profumi mi faceva ri_e`ere sul mio modo di “stare al mondo”, sui contributi che ^no a quel momentogli avevo devoluto.Anche in quel vagone, seduto in un angolino c’era un ragazzo.Un ragazzo come tanti altri, nonostante le espressioni di stizza, ribrezzo e scostanza degli altri passeggeri non lasciassero presagire nulla di buono.Quasi tu`i dopo averlo scrutato da cima a fondo voltavano lo sguardo verso il passeggero accanto e con grande maestria borbo`avano sulla sua “di-versità”. E iniziavano a scorrere ^umi e ^umi e ancora ^umi di parole. La pellicola si riavvolgeva e giù un’altra volta e così per una manciata di minutiche sembravano non dover più ^nire.A mio parere non vedevo nulla di strano nel ragazzo da farlo ogge`o di infamanti commenti.Il ragazzo credo fosse un rumeno, un ci`adino europeo, solo con un accento più colorito ma simpatico e giovane come noi altri.Tra le mani aveva un libro che leggeva con interesse e partecipazione.Incuriosita mi accostai a lui per parlargli, ma era di un silenzio tombale.Riuscii solo a scorgere il titolo in copertina e diceva “Tra`ato sull’Unione Europea”.

Il viaggio sembrava stranamente più lungo del solito. Mancavano ancora venti minuti alla mia fermata quando vidi dal ̂ nestrino una ragazza che, las-ciata la panchina della stazione, veniva verso il treno con fare fre`oloso.Era una bella ragazza sulla ventina alta, magra e con un viso solare dai tra`i orientali.Non era né italiana, né europea. Era una musulmana, anche se il suo parlare al cellulare mi diceva che doveva trovarsi da molto tempo in Italia.Alcuni suoi connazionali che in quel momento si trovavano in treno le stavano distante, la emarginavano. Capii ciò dai comportamenti che avevanoavuto al suo passaggio: le avevano voltato le spalle e una volta che lei era passata oltre erano iniziati a piovere i commenti sul suo abbigliamento all’“occidentale”.La ragazza anche in questa situazione aveva mostrato un volto ^ero e incurante. Probabilmente ci era abituata. So`o gli sguardi sbigo`iti dei suoi“compaesani”aveva preso posto accanto a un uomo italiano.

Il treno continuava indisturbato la sua corsa.Poi…bum!un fracasso infernale lo aveva fermato. Non ci voleva!! Si doveva esser ro`o qualcosa, proprio quel giorno.Chiedemmo spiegazioni al controllore che ci rassicurò di a`endere e che presto sarebbe arrivato un vagone rimorchio.Durante l’a`esa “puntai” la borsa della ragazza musulmana. Recava scri`o “Human Rights- I believe in”.La ragazza accortasi di me mi aveva sorriso e io le avevo ricambiato il sorriso.

Aspe`ammo ancora un’ora perché venisse il vagone.Arrivò con mezz’ora di ritardo tra gli sbu], la rabbia, l’irrequietezza dei passeggeri … vi lascio immaginare!Ci condusse in un enorme stanzone con ̂ nestroni. Dentro c’erano ben allineati su binari tronchi vecchi treni ormai dismessi. Era un’ o]cina gigantescae noi c’eravamo quasi dentro.Dall’esterno i muri apparivano di un colore bianco smunto e i vetri dei ^nestroni tu`i impolverati e opachi.Entrammo.Le pareti stavano cambiando colore con mio grande stupore.I muri, prima bianchi, ora si stavano ricoprendo di uno sciame di le`ere, parole, frasi.Avevano invaso anche il più piccolo angolino.Mi sobbalzò alla mente una vecchia immagine: avevo anni prima già visto delle pareti scri`e con i nomi dei più grandi pi`ori alla Tate Modern aLondra, ma questa volta era tu`o diverso.

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STORIESTORIE STORIE

Queste pareti erano diventate delle gigantesche pagine di quotidiano.Nella parte centrale della parete era evidenziato un blocco di parole: «art.3- Tu`i i ci`adini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge,senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. E’ compito della Repubblica rimuoveregli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fa`o la libertà e l’uguaglianza dei ci`adini, impediscono il pieno sviluppo della personaumana e l’e\e`iva partecipazione di tu`i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del paese».Tu`o intorno facevano bella mostra tanti altri articole`i.Sulla parete opposta in rosso c’era scri`o “Tra`ato UE”.E poi ancora “Convenzione dei diri`i dell’ uomo” con i suoi diri`o alla vita, divieto di tortura, schiavitù e lavoro forzato, diri`o alla libertà di espressionee associazione…

Avevo riconosciuto in quelle frasi il lavoro durato molti secoli fa`o di storia ed esperienze di uomini che con tanto sudore erano riusciti a creare unvarco nella società dei potenti.Avevo riconosciuto il peso che tante di queste parole portavano con sé.Avevo riconosciuto l’universo di noi giovani europei e di noi giovani ci`adini del mondo. Poco prima in treno il giovane, il rumeno e la ragazza mu-sulmana si erano appellati a queste parole e nessuno li aveva dato ascolto.

Mi voltai. Niente. Scomparsa.Non vedevo più la ragazza, sparita nel nulla. E il ragazzo, allora? Neanche l’ ombra.Mancava all’appello anche il rumeno. Che ^ne avevano fa`o?Forse erano scesi prima che il vagone fosse andato in tilt… ma ero sicura che la ragazza era in treno al momento della ro`ura.Diedi nuovamente un’occhiata a quella distesa di parole, le rilessi con più a`enzione e mi apparivano sempre più familiari.Certo!-esclamai.I tre giovani erano diventati parole. Parole che avevano cercato di trasme`ere a noi altri durante il tragi`o in treno e che non eravamo riusciti a co-gliere.Avevano così deciso, dopo le nostre reticenze, di appellarsi ad un mezzo più eclatante e potente quale era quello visivo.Avevano spalmato i loro pensieri, il loro futuro su quel muro apparentemente insigni^cante.La realtà è che c’eravamo tu`i dentro!Il treno sul quale viaggiavo si chiamava Europa.Quel treno, simbolo di collegamento tra i vari paesi europei sin dall’O`ocento, e quei vagoni di respiro internazionale.Quei binari, le aspe`ative e il bisogno di ascolto di noi giovani del ventunesimo secolo.Ricordo di non aver mai amato così tanto l’essere giovane come quella volta in treno.Avevo rimosso dalla mente tu`e quelle volte che la società mi aveva relegata a semplice “appendiabito”rinchiuso nell’oscuro armadio dell’aviditàumana e tirata fuori solo per l’uso.Molte volte ho dovuto sorreggere “capi” molto pesanti.Voi “piccoli” adulti che ^ngete di ascoltarci, che tante volte non ci comprendete che non credete in noi, che ci considerate dei piccole`i guardate lenostre capacità, consigliateci, accompagnateci nelle esperienze e sopra`u`o pensate che noi giovani possiamo essere molto meglio di quello che ap-pariamo.Aiutateci a stimarci e a costruire un’Europa unita… sì,non solo a parole, ma sul serio.Fate parlare noi e tu, sì dico a te adulto, qualche volta, sta zi`o!

Luisiana Cicorella

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STORIE

FACCIAMOCI SENTIRE

I giovani italiani, così come quelli spagnoli, francesi, tedeschi, si ritrovano spesso di fronte a problemi e situazioni simili. Questi ragazzi europei ognigiorno “lo`ano” contro i potenti della Terra che quasi sempre prendono decisioni che fanno comodo solo a loro. Perché? È di]cile dare una rispostareale e concreta, ma è così.

I bisogni dei giovani europei sono molti e vari e riguardano ovviamente il loro futuro.

La stessa società in cui viviamo, ormai circondata da tu`i i tipi di tecnologia, sembra preferire i giovani,ma spesso essi sono sogge`i a emarginazione,a un’ incertezza verso il domani e alla precarietà.Ci troviamo di fronte a una società a cui non importa delle esigenze giovanili. Un esempio è il mondo del lavoro; sembra quasi come se i ragazzivengano esclusi o messi da parte prima di consentire loro un buon accesso nel mondo della produzione.La società stessa non è in grado neanche di promuovere un’educazione che possa eliminare ogni forma di violenza (nelle aule scolastiche, negli stadi) in cui il protagonista è il giovane.Vero è che oggi i giovani godano di una libertà maggiore. Essi pero chiedono semplicemente di essere ascoltati, reclamano un posto nella società checonsenta loro di rivelarsi utili per il proprio Paese. Puntano a un mondo migliore, ovviamente di pace e di armonia anche con l’ambiente.Chiedono però di non essere presi in giro; spesso però ciò accade e la colpa forse è della scuola o dai mass media come la televisione , protagonistadi ca`ivi esempi per tu`i.Spesso manca la ̂ ducia verso i giovani ma non tu`i sono “scansafatiche” o “^gli di papà” , ma non bisogna fare di tu`a un erba un fascio. C’è veramentechi è solidale nei confronti del prossimo e che è disposto a far del bene per il proprio Paese.

Per quanto riguarda l’esclusione giovanile in Europa si può anche dire che sia una conseguenza di quanto de`o prima, perché i ragazzi spesso nonvengono ascoltati e vengano appunto messi da parte, come se non si abbia ^ducia nei loro confronti o come se si avesse paura dei futuri adulti delmondo. Perché? Anche questa è una risposta che di]cilmente si può dare , ma è così. Ma di certo non voglio stare con le mani in mano e anch’io ,es-sendo giovane,voglio farmi sentire di più.

Fabrizio Fantasia

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STORIE

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