Storia veneto veneziana de g. riondato

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Gabriele Riondato R AIXE V ENETE - www.raixevenete.net

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Gabriele Riondato

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I VENETI PRIMII Veneti sono uno dei popoli più antichi del Continente europeo, come èdimostrato dai ritrovamenti e da documenti di autori greci e latini.Omero li definiva “Evetoy”, e già con Tito Livio (Gens universa Venetiappellati = genti universalmente chiamate Venete), Tacito, Polibio,Virgilio e altri, essi venivano chiamati Veneti. I primi insediamenti nellaterra che ne porta da sempre il nome sono databili attorno al XV secoloA.C. Nei secoli successivi, i cospicui ritrovamenti stanno a indicareinsediamenti più popolosi. Le abitazioni erano realizzate con muri erettiin palizzate, con pavimenti in argilla e i tetti di rami impermeabilizzatisempre con l'argilla. Mano a mano, si sviluppò la lavorazione metallur-gica e la lavorazione di materiali naturali (vetro, corno, osso, ceramica)con cui i Veneti realizzavano manufatti d'uso quotidiano tra cui monili,utensili e armi che commerciavano diffusamente soprattutto nell'Europacentrale. Erano famosi per la lavorazione e del bronzo e dell'ambra delBaltico: degni di particolare menzione i ritrovamenti di Este, Lagole eFrattesina di Fratta Polesine. I Veneti erano conosciuti per l'allevamentodei cavalli ed erano dediti, oltre alle attività artigianali, anche alla pesca,all'agricoltura e alla pastorizia. Avevano una propria scrittura, ilVenetico, a tutt’oggi non ancora bendecifrata. Nel 225 a.C. i Veneti sialleano con i Romani, per contrastarei bellicosi Celti, stanziati nel restodella penisola italica settentrionale. Lacollaborazione con i Romani si fa cosìintensa che il Veneto diventa partedella Repubblica Romana spontanea-mente: nasce così la Decima Regio.L'apporto culturale che i Veneti diede-ro a Roma fu notevole. I Romaniappresero l'arte della bonifica e dell'ir-rigazione che nel Veneto erano già svi-luppate; inoltre fecero propria la sud-divisione delle terre in geometrichescacchiere (sistema conosciuto poi

I COLORI NAZIONALI VENETI

L’azzurro è da sempre il colore veneto.Ne parlano poeti e scrittori antichi.Venetus, in latino, era sinonimo diazzurro. Lampidrio (IV sec. d.C.) diceche venetus era il colore marinis flucti-bus similis. Mentre Cassiodoro (VI sec.D.C.) ci dice che il sole era detto vene-to, quando era velato d’azzurro. I poetiMarziale e Giovenale parlano di coloreveneto. Di colore veneto erano dipinte lenavi da ricognizione, al fine di mimetiz-zarle con il mare. La Veneta Repubblicaadottò l’uso dell’azzurro come colorenazionale, tanto che le bandiere piùantiche erano d’oro in campo azzurro, eall’arrivo del terrorista Buonaparte, nel1797, i Veneti difensori dellaRepubblica di San Marco, portavano sulpetto coccarde di colore azzurro e oro.

come il famoso graticolato romanoad uso agricolo). Padova era laseconda città dell'Impero per ric-chezza dopo Roma, la quale, però,viveva di tributi e non di ricchezzapropria. Militarmente e politica-mente la città veneta di Aquilejaera seconda solo alla capitale lati-na. La X Regio, denominataVenetia et Histria, era molto svi-luppata dal punto di vista agricolo,artigianale e commerciale.D’importanza fondamentale fu ilcontributo letterario dei veneti

Catullo, Cornelio Nepote, Plinio il Vecchio, Virgilio, Tito Livio e di altriautori minori. Rilevante fu anche il contributo militare dato all'ImperoRomano: ogni regio disponeva di una o più legioni e la X Legio era unreparto scelto dell'esercito, destinato al controllo dei punti nevralgicidell’Impero. La presenza dei Veneti nel Senato romano ebbe un ruolonotevole: basti ricordare figure autorevoli come quella di Trasea Peto.

Reperto dei Veneti antichi

la Decima Regio “Venetia et Histria”

NASCE VENEZIALe vicissitudini dell'Impero, dopo secoli di espansione e di crescita, ave-vano portato ad una logorante serie di lotte intestine per l'appropriazionedella carica di Imperatore; tali dissidi avevano indebolito la forza e lacoesione dell'Impero. Le scorrerie dei popoli barbari non venivano piùostacolate adeguatamente. Dopo la calata dei Visigoti fino a Roma, avve-nuta nel 410, arriva Attila nel 452. I suoi Unni dilagano dall'Est e travol-gono le vacue difese imperiali, distruggendo alle fondamenta Aquileja eAltino, e saccheggiando l'intera pianura veneta e le sue città. Attila sidirige poi in Lombardia e prende Milano e Pavia. Però, quando punta suRoma, trova sulle rive del Mincio Papa Leone Magno, che lo affrontacon la sola parola, convincendolo a ritornarsene a casa, a Est delDanubio. Nel 476 si disgrega ufficialmente l'Impero Romanod'Occidente. È in questi tempi travagliati che numerosi Veneti si insedia-no negli acquitrini della Laguna, per trovarvi riparo, ingrossando lecomunità venete che già vi si trovavano. Questo litorale, mai raggiuntodalle invasioni barbariche, resterà formalmente sotto il dominiodell'Impero Romano d'Oriente, con capitale Costantinopoli (Bisanzio) esarà chiamato Venetia marittima. Eraclea, Grado e altre località esisteva-no già. La leggenda dice che la data di fondazione di Venezia è il 25Marzo dell'anno 421. Inizialmente non era chiamata così, sorgendo essasu un isolotto chiamato Rivo Alto.In seguito all'unione delle varie iso-lette collocate attorno ad esso e altrasferimento della sede delGoverno da Eraclea a Malamoccoprima, e infine a Rivo Alto, si inco-minciò a parlare di CivitasVenetiarum e solo nel X Secolo, ilnuovo insediamento venne chiama-to Venezia. Questa federazione diisole era governata da un Dux, inprincipio nominato da Bisanzio,che faceva capo all'Esarca (gover-natore bizantino) di Ravenna. Pare

IL PERIODO DELLE INVASIONI BARBARICHEFreme il mio cuore cominciando a narrarei disastri dei nostri tempi. Sono ormai piùdi vent’anni che tra Costantinopoli e le AlpiGiulie scorre ogni giorno sangue romano.Scizia, Tracia, Macedonia, Tessaglia,Dardania, Dacia, epiro, Dalmazia e tuttele Pannonie sono devastate, straziate, sac-cheggiate, da Goti, Sarmati, Quadi, Alanni,Unni, Vandali, e Marcomanni… I vescovisono condotti schiavi, i sacerdoti uccisi, ecosì i chierici dei diversi gradi, le chiesedevastate, i cavalli schierati presso gli alta-ri di Cristo, come in una stalla, le reliquiedei martiri dissepolte. Dovunque è lutto, daogni parte gemiti, dappertutto l’immaginedella morte. Il Mondo Romano crolla. (cronaca di San Girolamo)

che il primo Doxe nominato in loco, Paoluccio Anafesto, sia stato elettonel 697. Nel caso del Doge Orso la supposizione diventa certezza: eglifu eletto nel 726 in totale autonomia da Bisanzio, a causa di contrasti conl'Imperatore Leone che proibiva il culto delle immagini sacre (iconocla-stia). Da quel momento Venezia, seppur formalmente legata all'Imperod'Oriente, comincia ad avere una sua specifica identità governativa, chesarà raggiunta pienamente solo in tempi molto lunghi, vista la conve-nienza di mantenere privilegiati rapporti con l'Oriente, a causa dei profi-cui traffici commerciali consolidatisi tra Venezia e Bisanzio, nonché pervia della supremazia geopolitica e militare che i Bizantini ancora detene-vano nel Mediterraneo. Il fragile organismo lagunare avrebbe primadovuto sostenere pesanti scontri, a partire dai Franchi che nell'810, gui-dati dal loro Re Pipino, figlio di Carlo Magno e già dominatori con i lorofeudatari della Terraferma, aggrediscono la Laguna veneta; però sonocostretti alla ritirata grazie alla fiera resistenza veneta oppostogli.Venezia deve vedersela poi con i pirati narentani (Slavi) che infastidisco-no molto frequentemente i commerci veneziani e i Saraceni, con i qualii Veneti hanno la peggio in una sconfitta navale a Taranto nell'841, segui-ta dal saccheggio delle coste venete e dalla cattura di molte navi mercan-tili. Ma, come ricorda la storiografia veneziana, nell'acqua e nel fango,lottando contro ogni avversità, sola e unica, per incrollabile fede neigrandi destini dei Veneti, la giovane Repubblica cresce e si fortifica.Nell'887 si stabilisce formalmente la collegialità del Governo, sottopo-nendo la nomina del Doge, proveniente dalle famiglie più influenti,all'acclamazione popolare. Venezia viveva prevalentemente di pesca,della produzione di sale e del commercio del pepe e di altre spezie (utilisoprattutto alla conservazione deglialimenti) con la Terraferma e con iporti delle coste adriatiche. Con l'au-mento dei traffici e delle attività, vi fuanche una crescita demografica dovutasoprattutto all'immigrazione dallaTerraferma veneta, sottoposta a perio-diche guerre e saccheggi. Per poteredificare, i Veneziani isolavano spec-

MORE VENETOIl calendario Veneto, ha come capodan-no il 1° di Marzo. Rimase in uso finoall’arrivo del RivoluzionarioBonaparte, ma sono sopravvissute lefeste tradizionali per festeggiarlo (bru-xamarso, batimarso). Nella Repubblicasi datavano gli scritti con l’indicazionedel luogo, seguita dalla data di redazio-ne ( esempio: Verona, 16 Ottobre), meto-do semplice poi adottato ovunque.

chi d'acqua mediante fitte palizzate.Poi, una volta prosciugata l'area, la siinterrava, posandovi sopra delle pie-tre. Milioni di pali sorreggono anco-r’oggi le fondamenta di Venezia. Perrifornirsi del legno necessario allafabbricazione dei pali, i Venezianiricorrevano al taglio dei boschi chev'erano al margine della Laguna, mentre le pietre venivano importateprevalentemente dall'Istria, principalmente dalle cave di Orsera. Così,nei secoli, la città si sviluppò sull'acqua destando la meraviglia delmondo intero. Un dedalo di canali, sormontato da ponti, collegava levarie isolette e ogni parrocchia aveva il suo campo davanti alla chiesa.Gli edifici, inizialmente quasi tutti di legno, vengono poi realizzati inpietra e già nel 1300 la città è prevalentemente composta da edifici inmuratura. Venezia aveva sei sedi vescovili, Jesolo, Caorle, Malamocco,Eraclea, Torcello e Olivolo, situato presso Rivo Alto, e fu soggetta alPatriarcato di Grado fino al 1451, quando il Patriarca si stabilì a SanPietro di Castello in Venezia. Nell'828 due mercanti veneziani, Rusticoda Torcello e Buono da Malomocco, aiutati dai monaci Stauracio eTeodosio, trafugarono la salma dell'Evangelista Marco dall'Egitto, doveil Santo aveva fondato la chiesa di Alessandria - città che l'aveva vistomorire martire - e la portarono a Venezia, dove venne accolta dai seiVescovi, dal Patriarca di Grado e dal Doge Giustiniano Partecipazio, iquali la fecero traslare in chiesa, dove simbolicamente San Marco avreb-be preso la sovranità di Venezia e dove poi sorse, per volere dello stessoDoge, la prima chiesa di San Marco, consa-crata nell'832. A questo punto, laRepubblica di San Marco avrebbe prestoaffermato la sua autorità sull'interoAdriatico. L'anno 1000, il giornodell'Ascensione, una poderosa flotta guidatadal grande Doge Pietro II Orseolo partivaper la Dalmazia. Era una reazione alla pre-potenza de Re di Croazia, che voleva impor-

La dedizione di Venezia alla pro-tezione e alla sovranità di SanMarco, farà sì che l’emblemadel Santo, il leone alato, saràl’emblema dello Stato Veneto. Visarà in ogni manifestazione civi-le, religiosa, militare, commer-ciale. In ogni opera architettoni-ca, scultorea, pittorica, numi-smatica, stabilendo un’unioneed una fede generatrici di gloria

re tasse ai cittadini veneti in Dalmazia. Lecittadine dalmate di Ossero, Zara, Arbe,Veglia, Ragusa e altre giurarono fedeltà aVenezia, e vennero distrutte le basi deipirati narentani. Attorno al 1080 affrontòfino a spuntarla i pur combattiviNormanni guidati dal loro duca Roberto ilGuiscardo, salvando così l'ImperoBizantino. Progressivamente Veneziaestese la sua influenza sul Mediterraneo, scontrandosi sovente con lealtre potenze marittime, come Pisa e Genova, su cui alla lunga prevalse.Sfruttando a suo vantaggio le vicende relative alle Crociate, rafforzò isuoi traffici marittimi, esportando dall'Occidente armi, ferro, cavalli,legna, tessuti, pellicce, cera e miele, e importando dall'Oriente spezie,argento, oro, stagno, mercurio, vetro, avorio, cuoio, zucchero, seta, coto-ne, grano e molto altro... Nel 1300 Venezia è il più importante mercatodel mondo e la sua popolazione supera i centomila abitanti. Al contem-po, la città incrementa l'attività manifatturiera, lavorando molte materieprime e potenziando l'attività delle saline della Laguna. Nel 1291 i vetraivengono fatti traslocare nell'isola di Murano a causa del pericolo d'incen-dio dovuto ai forni. L'arte dei maestri vetrai veneziani era talmente rino-

IL DOGE SANTO

Pietro I Orseolo fu eletto Doge nel976 ed ebbe gran cura dello svilup-po urbanistico della città. Nel 978fuggì da Venezia (già vestito in abitimonastici), e si ritirò in un monaste-ro nei Pirenei. Fu proclamato Santo,e le sue reliquie entrarono a farparte del tesoro di San Marco, custo-dito nell’omonima Basilica.

mata che il Senato impose loro il segreto industriale. Anche la produzio-ne del sapone era rilevante, vista la superiorità delle materie primeimpiegate per realizzarlo, cosa che lo rendeva molto apprezzato.

IL NOBILOMO VENEZIANOIn epoca romana, la classe dirigente della civiltà lagunare era costituitadai Magisteri Militum e dalle famiglie dei latifondisti colonizzatori. Laclasse patrizia veneziana non venne costituita in base a concessioni dal-l'alto, bensì in base alla dedizione che gli stessi futuri patrizi avrebberoprofuso nelle varie attività della città a cui avrebbero dovuto parteciparesenza potervisi sottrarre. La formazione dei Patrizi all'epoca dell'espan-sione marittima è quanto di più educativo si possa avere nel panoramasociale dell'epoca. In gioventù si studia quanto basta per saper legger ecalcolare, per via della preponderante attività commerciale. Dopo questaprima fase formativa, il giovane patrizio s'imbarca presso navi dellafamiglia o come balestriere su navi di altri armatori, dai quali viene paga-to, essendo egli incaricato di far parte della scorta armata. Al contempopuò dedicarsi a piccole iniziali attività commerciali. Questa seconda fase

LO SPOSALIZIO DEL MARE

E’la fes ta del la Sensa,i l r i to con cui laRepubbl ica di Veneziaaf fermava i l suo dominiosul mare. S’ iniz iò a celebrare alme-no dal l ’anno 1000, dopola vi t toria del dogeOrseolo II sui croat i .I l Bucintoro era scortatoda numerose navi . Al l ’ imboccatura del portodel Lido, i l Doge, assis t i todal Patr iarca, get tava inmare un anel lo d’oro,reci tando la formula “insignum veri perpetuiquedomini i”.

La Quarta Crociata Nell’11° secolo ebbero inizio le Crociate, quale reazione all’aggressione islamica in TerraSanta. La 4° Crociata, ebbe una vicenda tutta particolare. Fu deciso di arrivare in Palestinatramite mare , e fu scelta Venezia per l’allestimento della flotta (“nessuna gente che sia sulmare ha sul mare potere così grande” , Villehardouin, cronista dell’epoca). Si dovevanocaricare 4500 cavalli, 33.500 uomini, e viveri per un anno. Il rimborso per Venezia: 85.000marchi d’argento (20.000 kg). Era l’anno 1201. Alla partenza, però, i crociati non riesco-no a presentare la cifra stabilita. Allora Venezia, quale rimborso chiede di fare tappa pres-so Zara, indotta a ribellarsi a Lei dall’Ungheria. Fu fatto l’accordo e le 210 navi venezia-ne, con imbarcato il grande esercito e 300 macchine d’assedio, partono e rapidamente rego-lano i conti con i ribelli costieri. Qui arriva la richiesta di soccorso da Alessio, figlio del-l’imperatore di Costantinopoli spodestato, per restaurarlo al trono, in cambio di adeguataricompensa. Il novantenne Doge Enrico Dandolo, anche lui imbarcato, convince i cavalie-ri Crociati all’impresa. La potenza dell’esercito, unita all’abilità Veneziana, permettono diespugnare la Capitale.(“Il doge Enrico Dandolo stava in piedi ritto di tutto punto a pruadella sua galera, con davanti lo stendardo di San Marco, ordinando a gran voce ai marinaidi portarlo immediatamente a terra, altrimenti li avrebbe puniti a dovere; cosicchè appro-darono ben presto e sbarcarono con lo stendardo. Tutti i Veneziani seguirono il suo esem-pio.”, Villehardouin) L’Imperatore ristabilito rifiuta di mantenere le promesse. Venezia egli alleati riassaltano la città e ne prendono possesso. Avviene il saccheggio della capitale,e la spartizione dell’impero tra l’esercito vincitore. Venezia prese circa metà dell’impero,soprattutto isole, porti, città costiere e acquisto l’isola di Candia (Creta). Era il 1204.L’anno seguente, il 93enne doge Enrico Dandolo trova la morte in seguito allo scontro coni bulgari, al confine nord dell’impero.

Il Doge Enrico Dandolo guida la IV Crociata (1204)

rappresenta l'apprendistato del gio-vane patrizio, durante il quale il suocarattere si plasma e acquista spes-sore di adulto, viste le difficoltà, idisagi e i rigori da affrontare abordo delle disagevoli galee. Il tuttoviene a completarsi con l'esperienzaacquisita sul campo, per quantoriguarda l'apprendimento dell'artedella navigazione, del commercio,delle lingue, di diverse culture. Lanavigazione è attività a cui i patrizisi dedicano da giovani. Dopo, infat-ti, dirigono usualmente i loro affarida Venezia tramite capitani e agenti stanziati in porti all'Estero. Succedeanche che questi patrizi nella terza fase della loro formazione gestiscanole cosiddette “fraterne”, cioè delle società in cui più persone investono“carati” (quote) per costruire nuove navi e gestirle. A questo punto ilpatrizio può ufficialmente debuttare in società e prender parte alla vera e

GLI AMBASCIATORI VENEZIANIVenezia fu la prima potenza europea a crea-re una stabile rete di ambasciatori presso lecorti europee. Questi erano Patrizi che ave-vano il compito di perorare e tutelare gliinteressi della Serenissima, e lo facevano inmaniera eccellente, tanto che Venezia erasempre informata prima e meglio, di qual-siasi evento che potesse essere ritenutoimportante. Addiritura gli ambasciatoriveneziani valutavano attentamente il carat-tere e l’indole degli eredi al trono, vivendoa contatto con loro anche molti anni, cosic-chè la Repubblica potesse atteggiarsi neiloro confronti nel modo più conveniente. Laraffinatezza e profondità della diplomaziaveneziana fu un altro dei miti di Venezia.

RELAZIONE DELL’AMMIRAGLIO VENETO PIETRO LOREDAN NELLE OPERAZIONI NAVALICONTRO LA FLOTTA TURCA DELLA PRIMAVERA DEL 1416“Io, nel ruolo di comandante, ho attaccato vigorosamente la loro nave ammiraglia, che haopposto una strenua difesa, essendo manovrata da Turchi coraggiosi che si sono battuticome draghi. Con l’aiuto di Dio l’ho speronata e occupata, e fatto a pezzi gran parte deisuoi marinai. Ma molto mi è costato difenderla, in quanto le altre galee mi assediavano einvestivano con un uragano di frecce. In verità, queste frecce io ho molto patito: una mi hacolpito allo zigomo sinistro, proprio sotto l’occhio, forandomi guancia e naso; un’altra miha trapassato la mano sinistra. Queste erano le ferite più gravi; ma altre frecce mi aveva-no già colpito al corpo e alla mano destra, per fortuna leggermente. Non per questo sonoarretrato, né mai l’avrei fatto finché ero vivo. Continuando a lottare strenuamente, hocostretto i nemici alla resa e ho finalmente issato la bandiera di San Marco sul pennoneturco. Poi ho assaltato una seconda galea, e sbudellato un buon numero di altri Turchi,mentre i miei uomini issavano un’altra delle nostre bandiere. La flotta turca si è battutasuperbamente, era affidata al fiore della gioventù ottomana; ma con la grazia di Dio e conla intercessione di Sa Marco, nostro Evangelista, alla fine li abbiamo messi in fuga; moltidi loro erano così terrorizzati che, vergognosamente, si buttavano disordinatamente inmare. Terminata la battaglia, abbiamo diretto la nostra sotto le mura di Gallipoli; e mentrela bombardavamo con palle di cannone, gridavamo ai Turchi di uscire in mare, se avevanoun po’ di fegato. Ma nessuno di loro si è mosso….”

propria attività politica. Qualche aned-doto potrà meglio delineare la versatili-tà di questa classe selezionata per eccel-lere: Pietro Bragadin, commerciante edesperto di pietre preziose, è anche Bailoa Costantinopoli; Andrea Gritti, primadi essere eletto Doge, è abile commer-ciante a Costantinopoli, nonché valoro-so guerriero; Giovanni Contarini studiaalla Sorbonne e a Oxford senza cessaredi commerciare in spezie per contodella famiglia; uno dei Canal, coman-dante di galea, già a ventidue anni si fa“scortare” nelle sue spedizioni maritti-me dal figlioletto di quattro anni, nutri-to con gallette. La versatilità di cui ipatrizi dànno prova nelle avventurosespedizioni che li videro eccezionali pro-tagonisti, permise loro di arricchirsienormemente, nonostante i sacrifici dasostenere, e di costruire gli splendidipalazzi che fanno di Venezia la città piùbella del mondo (“Urbs popolosissima,opulentissima, liberalissima”, Filelfo,1461). Alla fine del Quattrocento ilpatrizio/mercante viene affiancato dallafigura del patrizio umanista, il qualecoltiva anche una nuova passione: quel-la per le lettere e i classici. Il patriziotipo è contraddistinto quindi dal suoessere uomo completo e versatile: eglisa usare allo stesso modo la parola, lapenna e la spada. Francesco Barbaro,provveditore di Brescia all'epoca deltriennale assedio sferratole nel 1438 dal

IL DUCATO O ZECCHINO

La Zecca di Venezia (Secca, dall'araboSikka, che era il diritto di essere nomi-nati sulle monete e dalla radice arabaSakk, che significa scavare) battè ilprimo ducato nel 1284. La monetaaurea veneziana mantenne semprepeso (3,5 grammi) e titolo invariati(aveva al massimo 3 per mille d'impu-rita' cioe' un titolo di 0,997). Talecostanza le consentì di imporsi comemoneta di riferimento internazionale,in Europa, Africa e Asia. Monete ditaglio minore erano i piccoli ed i gros-si d’argento. Il fatto di essere d’orodava un valore intrinseco alla monetastessa e rendeva impossibile lo stam-par moneta come fanno i Governimoderni senza avere garanzie a frontedelle loro emissioni: fenomeni comel’alta inflazione a Venezia erano perciòimpossibili.

Piccinino per conto dei Visconti, grazie al suo abile eloquio convince lapopolazione tutta a difendere la città e rimanere fedele a Venezia, dopoaver fatto da paciere tra i signori del luogo. Egli fu un grande umanista(conoscitore profondo del Latino e del Greco con studi conseguiti aPadova e Firenze; tradusse in Latino Plutarco, a lui si devono insigniopere del Quattrocento, l'Epistolarium e il De Re Uxoria, entrambe acarattere morale e sociale. Fu infatti profondamente religioso. Se da unaparte, come appena descritto, fu un grande umanista, egli fu anche uomopolitico di notevole spessore: rivestì la carica di podestà di Treviso,Verona, Bergamo e Vicenza e fu inoltre ambasciatore presso l'ImperatoreSigismondo e presso l'Imperatore d'Oriente. Uomo poliedrico, dunque,secondo la migliore tradizione patrizia. I palazzi nati per accogliere i

VENEZIA E GENOVA

Fu Genova, dopo i Turchi, la più temibile concorrente di Venezia. Vi furono quattro guerre.Le prime due nel 3° secolo, la terza nel 1350. Ebbero esito incerto. La quarta invece segnòil declino di Genova, anche se questa arrivò ad un passo dal prevalere. Genova, che mira-va a scalzare il predominio veneziano dall’Oriente, nel 1378 era riuscita a mettere assie-me una coalizione anti-veneziana potente: il Re d’Ungheria, i Carrara Signori di Padovaoltrea Genova stessa. Iniziata la guerra, l’ammiraglio veneziano Vettor Pisani distruggeuna flotta genovese presso le foci del Tevere, e ripara a Pola, dove viene raggiunto da unagrossa flotta genovese, che dopo una furibonda lotta prevale. I Veneziani perdono 700 uomi-ni in battaglia, oltre a 2.400 fatti prigionieri, di cui poi 800 trucidati inermi. Vettor Pisani salva solo 7 galee e quando ritorna a Venezia viene processato e incarcerato.Viene dato ordine a Carlo Zeno, comandante dell’armata d’Oriente di rientrare. I genove-si però, forti di 47 galee e sostenuti da terra dai Carrararesi, assaltano Chioggia e dopo unferoce assedio, l’occupano. Da lì prendono anche Malamocco, Loreo, Poveglia, S.Erasmo,mentre gli alleati di terra occupano la Marca Trevigiana e bloccano i rifornimenti allacittà. Venezia è circondata e prossima alla rovina. Il popolo veneziano, però, si raduna pres-so il Palazzo Ducale e reclama la scarcerazione di Vettor Pisani, gridando ed incitando ilsuo nome, perché da loro considerato un abile militare incarcerato ingiustamente. Pisani,da dietro le sbarre, sentendo le grida, a sua volta rispondeva “O Venesiani, uno solo aldev’essere el sigo: Viva San Marco!” . Il Senato, preso atto della determinazione del popo-lo, e della fedeltà dell’ammiraglio, scarcera Vettor Pisani, e di tutta fretta arma 40 galee,mentre altri cittadini privati ne aggiungevano di proprie armandole a loro spese. Il Governopromette di accogliere nel Maggior Consiglio trenta fra le famiglie popolane che avesserodimostrato il maggior contributo alla riscossa. Ogni Veneziano dona allo Stato quel chepoteva, soldi, armi, preziosi. Vettor Pisani, accompagnato dal Doge Andrea Contarini, èalla guida della flotta per liberare Chioggia. E dopo un lungo assedio, in cui erano inter-venute anche la flotta veneziana di Carlo Zeno e una genovese di soccorso, finalmente iGenovesi alzano bandiera bianca. Mai più un nemico riuscirà a portarsi all’interno dellalaguna veneta.

patrizi/mercanti, con l'avvento dellafigura del patrizio/umanista, diventanosalotti culturali ove fioriscono leAccademie (particolari associazioniculturali). Ne sono note circa ottanta,dai nomi piuttosto eccentrici: gli Acuti,i Concordi, gli Argonauti, i Filateti, iDelfini, i Dodonei, i Serafini, iParagonasti, i Delusi, i Dubbiosi, gliErranti, gli Immaturi, gliImperturbabili, gli Infuocati, iPlanomaci, i Silenti, i Pacifici e moltealtre ancora. Questo particolare modo di apparire in società lo si devesoprattutto alla conformazione di città/teatro di Venezia. Non a casoparecchie case patrizie fanno sfoggio di un teatro proprio all'interno o incorte. A questo punto, subentra la figura del patrizio/latifondista. Questosi ha con l'espansione in Terraferma, indizio di un mutamento di interes-si della civiltà lagunare: dal mare alla Terraferma, con tutto ciò che deri-va da questo radicale cambiamento. Dalle navi si passa alle carrozze; daitraffici marittimi, si passa all'investimento in fondi da coltivare; dal com-mercio di spezie si passa al commercio di prodotti agricoli; dai fondaci

si passa ai palazzi ealle ville. Gli introitison di certo inferioririspetto all'epopeadei traffici marittimi,ma sono anche piùsicuri: ad esempionon si corre il rischiodi imbattersi in piratio in flotte nemiche.Questo nuovo stile divita, senza dubbiopiù agiato, dà origine

VILLE VENETE

Durante il Dominio Veneto, furono edi-ficate dai Patrizi circa 9.000 Ville interraferma. Erano armoniose case dicampagna, che fungevano sia da puntodi direzione dei possedimenti agricoli,sia per villeggiatura stagionale deiproprietari o di loro ospiti. Furonooggetto di saccheggi e distruzioni,prima con Napoleone, e poi con ilgoverno portato dai SavoiaAttualmente ne sono sopravvissutecirca 3000, ma molto sono lasciateandare in vergognosa rovina.

Magistrati veneziani

alle frivolezze conseguenti il nuovo statusacquisito, frivolezze che si possono riscontrarenella foggia degli abiti e dell'arredo delle dimo-re sia lagunari che di Terraferma. Ma il prezzopiù caro da pagare per il nuovo stile di vita è laperdita di quella capacità imprenditoriale e diquella versatilità sociale che per secoli avevaforgiato il carattere ed il destino dei patrizi/mer-canti. Per quanto riguarda invece la vita politi-ca del ceto patrizio, dal punto di vista dei diritti e dei doveri che leganoil nobiluomo allo Stato, sostanzialmente non subisce profondi mutamen-ti. Il debutto in società avveniva all'età di venticinque anni, quando ilpatrizio veniva ammesso in seno al Maggior Consiglio, che era il conses-so dei mille, millecinquecento e addirittura duemila individui in certiperiodi, chiamati a rappresentare e servire la Repubblica di San Marco.Dall'entrata in Maggior Consiglio fino ai quarantacinque anni, ci si dove-va sottoporre a una sorta di gavetta, essendo obbligati a rivestire incari-chi di sovente poco piacevoli.

L’ARTE DELLA LAVORAZIONE DEL VETRO

I documenti più antichi che trattano dell’arte di fare lenti per occhiali e lenti da ingrandi-mento sono i Capitolari veneziani del 1300. In data 15 Giugno 1301, in un paragraforiguardante la Corporazione degli artigiani del vetro e del cristallo di rocca, si prescriveche coloro che intendono fabbricare vitreos ab oculis ad legendum siano iscritti allaCorporazione dei cristalleri e si impegnino a non diffondere all'esterno di Venezia i segretidi quest’arte preziosa. Per i trasgressori erano previste pene severe. Venezia, dopo i Grecie gli Arabi, seppe far tesoro dell’eredità tramandata da quei due popoli nel lavorare ad arteil vetro. Benché non disponesse di quella particolare sabbia che serve per dare la necessa-ria trasparenza al vetro come quella che per esempio si trovava a Tiro, la Reginadell’Adriatico seppe ricavare comunque una cenere dalla quale fu prodotto un vetro pari,se non superiore, a quello prodotto a Tiro. Enrico De Lotto, medico umanista e profondoconoscitore dell'industria degli occhiali, ha scritto nella sua opera Dallo smeraldo diNerone agli occhiali del Cadore: “Se nel 1300 nella città di Venezia esistevano disposizio-ni così chiare e draconiane contro i falsificatori, significa che l’industria dei fabbricanti diocchiali era ben radicata e fiorente nella zona e se ne dovevano diffondere con attenzione isegreti. Un’arte che si falsifica è un’arte evoluta e perciò doveva essere già da tempo pra-ticata nella Repubblica Veneta, molto prima del 1300, quasi certamente fin dal 1285.” Laprima testimonianza pittorica ritraente delle lenti da vista con tanto di montatura è undipinto di Tomaso da Modena del XIV secolo, conservato nella Sala del Capitolo della chie-sa di San Nicolò di Treviso.

L’USO DEL PIRON

Fu Teodora Ducas, princi-pessa della stirpe imperialebizantina, sposa di GiovanniOrseolo, figlio del dogePietro Orseolo II, ad intro-durre a Venezia nell’undice-simo secolo l’uso del piron.Prima si usavano semplive-mente le mani.

Quando il patrizio raggiungeva la cosiddetta “mezza età”, iniziava lafase in cui le mansioni erano ben più soddisfacenti e prestigiose. La cari-ca più alta, quella di Doxe, veniva assegnata esclusivamente a patrizi inetà avanzata, la qual cosa fa intuire di quale prestigio godessero glianziani. Ovviamente, un governo prettamente aristocratico non riuscivacomunque a distribuire cariche e mansioni bastanti per tutti i patrizi, iquali, come è noto, non poteva-no ricoprire umili impieghi.Esisteva perciò a Venezia unproblema sociale che riguardavaesclusivamente la classe diri-gente: i Barnabotti. Questi eranoi patrizi che, per svariati motivi,avevano perso le proprie fortunee che cercavano di farsi asse-gnare incarichi di governo perpotersi mantenere. Il loro nomederiva dal fatto che essi risiede-vano generalmente a SanBarnaba. Il famoso diaristaMarin Sanudo era uno di loro.Nonostante egli avesse dedicatotrent'anni di faticosi studi per

Tra i vari prodotti dell’arte vetraria spiccano le conterie o margherite. Si tratta di perle divetro traforate che ben si adattano a formare, secondo i diversi colori e le diverse grandez-ze, dei variopinti mosaici di vetro. La lavorazione di queste perle era talmente pregiata chelo Stato Veneto puniva severamente chiunque osasse esportare all’Estero i segreti della lorocreazione. Le conterie erano particolarmente apprezzate dagli Asiatici e dagli Africani.Addirittura, secondo quanto riporta Vasco de Gama, esse erano usate come moneta inCalicut. Fino a tutto l’Ottocento, secondo quanto riportato da McCartney, i Mandarinicinesi e i Tartari adoperavano bottoni di pasta veneziana abbelliti con le margherite a guisadi onorificenze appuntate sui loro abiti. Venezia del resto era l’unica città d’Europa che nelXIII secolo conosceva i segreti della fabbricazione del vetro da quando quest’arte era statacompletamente abbandonata e dimenticata in Occidente dopo la caduta dell'ImperoRomano. Venezia custodiva gelosamente questo monopolio al punto che nel 1289 ilConsiglio dei Dieci decise di trasferire tutte le fabbriche di vetro nell’isola di Murano, siaper allontanare il pericolo di incendi sia per assicurare una vigilanza più efficace all’artevetraria e preservarne la segretezza.

UOMINI DI VALOROSI CON IL SENSO DELL’ONOREUn secolo prima di Lepanto, in tempo di pace, lagalera del comandante Alvise Zorzi incontrò unasquadra ottomana di nove vascelli, ma rifiutò diammainare come segno di omaggio, solo perchéil turco non voleva dire chi fosse al comando.Per questo nonnulla seguì un furioso combatti-mento, con morti e feriti. Quando dopo due oresi parlamentò, si capì il malinteso.Spiegò poi Zorzi al suo armatore: “Me parse piùpresto dover patir morte et ogni altro pericoloche dover ammainar né honorar persone chenon eran cognosiute.”La dignità della Repubblica stava al di sopra ditutto, delle mercanzie e della vita. Il turco era diopposto avviso: sentendosi di forze superiori gliera parso ovvio ricevere omaggio senza condi-zioni. Il diritto era la forza. Per il veneziano,questione di regole.

Da “La rotta per Lepanto” di Paolo Rumiz

farsi assegnare l'incarico di storio-grafo ufficiale della VenetaRepubblica, gli fu preferito PietroBembo. Non sempre, dunque, esse-re patrizio equivaleva al condurreuna vita privilegiata. Ad ogni modo,l'affermazione di certe famigliepatrizie al Governo a scapito di altredipende essenzialmente da unasistematica selezione naturale, nellaquale viene premiato il migliore: ilmigliore nell'arte della navigazione,del commercio, della politica. Lastessa Serrata del MaggiorConsiglio è da interpretare come unulteriore affinamento nella costitu-zione della migliore classe politica.Tale affinamento veniva reso ancorapiù equo da metodi elettivi a prova

di corruzione, come il meccanismo di elezione del Doge e dalla contu-macia, cioè l’obbligatorietà di ricoprire la funzione alla quale si eranominati e alla rotazione obbligatoria delle cariche che impediva l'istitu-zione di particolari privilegi eventualmente derivanti dalla durata ecces-siva di un dato incarico elargito dalla Repubblica. Ciò che maggiormen-te contribuisce al successo politico del patrizio, al di là delle sue capaci-tà imprenditoriali, è la fitta rete di relazioni sociali che lo legano indis-solubilmente alla Repubblica e alla città. Egli è infatti fin dalla più tene-ra età abituato alla filosofia del clan familiare quale parte integrante delloStato stesso ed in questo contesto si forma quella coesione che contrad-distingue il ceto dei Patrizi veneziani. La famiglia, veneziamente intesa,comprende i membri congiunti al marito e quelli congiunti alla moglie.Inoltre, per evitare che la prole venga tirata su in modo affettato e super-bo, la si fa convivere con la servitù. È infatti proverbiale la confidenzache si instaura fra i Patrizi ed il resto della comunità. Un altro fattore chedistingue le famiglie patrizie veneziane dal resto delle famiglie nobili

LA SCOPERTA DELL’AMERICA

Nel 1390 Nicolò Zen, esperto di navigazio-ne e cartografia (al servizio dallaRepubblica di San Marco era stato ammira-glio delle flotte di galere mercantili direttein Fiandra) si dirige accompaganto dal fra-telo a Nord-Ovest,verso terre sconosciute.Nel suo racconto parla di una terra dighiacci che chiama Engroneland(Groenlandia?) dove trova una miracolosafonte di acqua bollente. In un paese vicino,Frisoland, trovò un Re che lo aiutò a spin-gersi ancora più ad Ovest nella terra chia-mata Estotiland. Le descrizioni degli iglòesquimesi, delle imbarcazioni kayak,e dipopolazioni che somigliano ai pellerossasono eloquenti. La conferma dell’anticipodi un secolo della scoperta dell’America daparte di Colombosono la narrazione degli Zen, la Mappa Zenche disegna l’Atlantico settentrionale, edun cannone veneziano del 1300 trovatosulla costa islandese.

della Penisola Italica è che fra le prime è quasidel tutto assente la rivalità che invece anima icasati di Milano, di Firenze e di altre città, spes-so conducendo questi ultimi a farsi giustizia permezzo del sangue, all'insegna di interminabilifaide per la conquista del potere. Ma sopra tutteuna cosa è degna di nota; di tutti i gruppi aristo-cratici al mondo, quello dei Veneziani era sem-pre il più rispettato e per un ben valido motivo:qualsiasi rappresentante del ceto patrizio potevain teoria diventare Doge, perché a Venezia tuttele cariche di governo erano elettive e non eredi-tarie.

IL GOVERNO ARISTOCRATICOFino al XII secolo Venezia era governata dal Doge, eletto a PalazzoDucale dall'assemblea a cui prendevano parte le più importanti carichedella comunità, compresi il Patriarca ed i Vescovi, il quale poi dovevaessere approvato dall'arengo, costituito da tutti gli uomini liberi deldogado. Egli si recava poi a piedi nudi in Basilica di San Marco e all'al-tare riceveva l'investitura del bastone. Nella Terraferma, invece, i Veneti,tranne brevi parentesi di relativa libertà come nel periodo dei Comuni,subivano la tirannia dei feudatari e dei nobili locali (spesso di discenden-za foresta), i quali sovente guerreggiavano tra di loro, con grande vessa-zione della popolazione, sempre soggetta al capriccio del tiranno di

turno. A Venezia invece, il potereera collegiale e qualsiasi atteggia-mento individualistico era conside-rato intollerabile. Nell'ordinamentoveneziano vi era il principio per cuisi investiva un uomo di una caricasolo se era il più adatto, con l'obbli-go di ricoprirla, a servizio dellaPatria e con la possibilità di declina-re l'investitura solo per motivi gravi

LA PROMISSIONE DOGALE EGLI INQUISITORI AL DOGEDEFUNTO

Il Doge appena eletto, dal 13°secolo in poi, dovette pronun-ciare il giuramento di attener-si alle linee politiche e alcomportamento stabilito nellapromissione dogale. Alla suamorte, una commissione inda-gava sul suo operato politicoe amministrativo e se vi trova-va delle scorrettezze, si riva-leva sugli eredi.

L’UNIVERSALITÀ DI VENEZIA

A Venezia trovavano ospitalità diversecomunità di foresti, spesso molto radicate,tanto da avere zone della città loro dedica-te, fra i più noti il Fontego dei Turchi equello dei Todeschi. Trovarono protezione aVenezia molti artisti, letterati e uomini dicultura che erano stati banditi o allontana-ti dalle loro rispettive patrie. Il Governoperò rimase sempre saldamente riservato aisoli Veneziani, con la sola eccezione del-l’ultimo Doge che era friulano.

e dimostrabili. Molti grandi Veneziani sepperosacrificare l'orgoglio personale al servizio dellaPatria, evitando di innescare lotte intestine peril potere e mirando all'interesse e alla gloriadella Repubblica, anziché inseguire l'ambizio-ne personale. Nel 1297 ha luogo la Serrata delMaggior Consiglio e in questo periodo si defi-niranno più precisamente gli organi di Governodella Serenissima, mediante la creazione dimagistrature importanti per l'organizzazionedella Repubblica. Il Maggior Consiglio com-prende d'ora in poi tutti quei membri che nehanno ricoperto la carica nei decenni preceden-ti e l'appartenenza a esso diventa ereditaria. Siufficializza così la classe patrizia, il fior fioredella Gente Veneta, i migliori (gli Aristoi).Solo loro possono ricoprire cariche governati-ve. La Quarantia Criminale si occupa dellamonetazione ed è organo giudiziario. Il Senatosi occupa del commercio, della politica estera edella gestione della flotta. Il Consiglio Dogale,composto dal Doge, dai sei consiglieri dogali(Minor Consiglio) e dai tre capi dellaQuarantia, è la Signoria, ossia il vertice delGoverno. I tre Avogadori de Comùn hanno ilcompito di vigilare sulla legittimità delle pro-cedure, la validità e il rispetto delle competen-ze delle varie magistrature. Il sistema di elezio-ne delle cariche è particolare, ed è straordina-riamente complesso quanto efficace nel casodell'elezione del Doge. Il sistema prevede chedal Maggior Consiglio vengano estratti trentamembri, poi ridotti per sorteggio a nove, i qualine eleggono altri quaranta. Tra questi quarantane vengono estratti a caso solo dodici, i quali

LE "COMPAGNIE DE CALZA"Si trattava di gruppi di giova-ni che nel XV e XVI secolo,con lo scopo di divertire gliabitanti della città, organizza-vano vari spettacoli: in quelleed altre occasioni vestivano inmodo colorato e particolare.Tali colori erano quelli dellapropria compagnia (ve nefurono anche 43), ma semprecon i caratteristici pantalonitipo calzamaglia aventi uncolore diverso per ognigamba. Le compagnie dove-vano essere autorizzate dalGoverno, ed avevano un pro-prio statuto giurato, un segre-tario, un cappellano... insom-ma una piccola grande orga-nizzazione. Tra i componentidella compagnia era - per sta-tuto - bandito il gioco d'azzar-do, obbligatorie la concordiae la riservatezza sulle recipro-che confidenze.

ne eleggono altri venticinque. Iventicinque sono ridotti a nove,che ne nominano altri quaranta-cinque. Di questi, ne vengonosorteggiati undici, che nomina-no quarantun nomi. Questi qua-rantun nomi, infine, designano il

Doge. Tale complessità, che può apparire esagerata, aveva lo scopo diimpedire che il Doge fosse stabilito a priori da determinate correnti poli-tiche, inserendo l'elemento del caso e dell'imprevedibilità nel meccani-smo elettorale. La classe destinata a governare la Veneta Repubblicaveniva allevata in vista degli importanti compiti che l'aspettavano. IPatrizi da giovani, come gia accenato, erano imbarcati sulle galee mer-cantili, ad imparare l'arte delcommercio e le lingue, ad abi-tuarsi ai rigori climatici, alladisciplina da tenersi a bordo, alsapersi destreggiare in Paesiabitati da gente a volte ostile, avolte soltanto astuta. Negli annidi mezzo, essi dirigevano i lorotraffici da Venezia, affidandol'incarico ai figli o ad agenti.Da questa fase della vita inavanti, essi si dedicavano allapolitica e a ricoprire carichegovernative, portandovi l'espe-rienza acquisita e quel senso didedizione allo Stato che hapochi eguali nella Storia delmondo. La loro formazione cri-stiana dava loro un comundenominatore di valori, i qualierano gli stessi che sostenevanol'intera società. Da questo spiri-

LA PARTITA DOPPIA

Il sistema della partita doppia, con la sua distin-zione tra dare e avere e tra Conto Economico eConto Patrimoniale, tuttora usato per ogni tipodi contabilità industriale, fu concepito dallaVeneta Repubblica nel 14° secolo e si diffuse ineuropa con il nome di metodo veneziano.

LE COLLEGANZELe colleganze furono ideate dai mercanti vene-ziani per aumentare la possibilità di profitti eridurre il rischio di perdite nei traffici marittimi.Un mercante anziché concentrare il suo impegnofinanziario su un sola nave, con il rischio chequesta potesse affondare o finire sotto l’ attaccodei pirati o dei Turchi, comprava quote di diver-si viaggi, con diversi tipi di mercanzia, ed alrientro, aveva una quota proporzionale dell’utilericavato dal viaggio.

to di libera impresa coltivato in senoalla pietà cristiana, nascevano leScuole e le Arti o Corporazioni. LeScuole Grandi (S. Maria dellaCarità, S. Giovanni Evangelista, S.Maria in Valverde, S. Marco, S.Rocco, S. Teodoro) e le ScuolePiccole erano istituzioni nate dal-l'associazionismo privato ed eranoispirate da intenti di religiosa carità;vi partecipavano cittadini popolani enobili e raccoglievano centinaia dimigliaia di iscritti, coinvolgendocosì tutta la popolazione. Avevanodei propri statuti, e, con l'ausilio dilasciti e donazioni, provvedevanoprincipalmente all'attività assisten-ziale: elemosine, cibo e vestiti ai bisognosi, case gratuite, assistenzamedica, sostegno spirituale, cura di minori abbandonati, di malati incu-rabili, di carcerati, di infermi, ecc... Nelle loro sedi si accumulavano ric-camente tantissimi oggetti artistici, che in gran parte fu poi depredata daNapoleone all'indomani del 12Maggio 1797. Le Corporazioni oArti erano le associazioni delle variecategorie di artigiani, un centinaiocirca, che avevano lo scopo di stabi-lire regole comuni (mariegole) perogni tipo di attività: l'organizzazionedel lavoro, le tariffe, i salari, la qua-lità dei prodotti; esse provvedevanoinoltre all'assistenza degli iscritticolpiti da malattie, rovesci economi-ci e vecchiaia. Grazie ad esse aVenezia il lavoro dei fanciulli venneproibito prima che altrove. Le magi-

CRISTOFORO DA CANAL

Questo Patrizio veneziano rappresenta unesempio della virtù dei marinai dellaRepubblica Veneta. Comandante di galeragià a 22 anni, aveva portato il figlio di 4anni in navigazione, svezzandolo con legalette di bordo. Elogiatore della massimadisciplina, dimostrò la massima virtù esenso del dovere, pattugliando le rotte escovando e assalendo le bande di piratisempre più numerose. Morì a 52 anni, nel1562 per le ferite riportate mentre distrug-geva una flotta pirata presso Corfù. Lasciòscritto che nella vita non c’era scopo piùalto che quello di servire e preservare laRepubblica in cui il ricordo glorioso dellesue imprese e dei suoi sacrifici sarebbestato tramandato come fonte di ispirazioneper i suoi discendenti.

strature alla Giustizia vecchia e allaGiustizia nuova vigilavano sullaloro regolarità. La Giustizia aVenezia era gestita in modo esem-plare e divenne uno dei miti dellaRepubblica, sempre pronta a darmodo agli accusati di difendersi e diusare il medesimo se non maggiorrigore nel caso in cui gli imputatiappartenessero alla classe dirigente.Per esempio il famoso architettoSansovino nel 1545 fu incarceratoper il crollo del tetto della bibliotecasansoviniana (la Marciana), da luiprogettata. Il principio su cui sibasava è similare alla common law

anglosassone (“Se poi la Legge applicasse pena di morte per un delitto,ma la consuetudine un'altra, si osserva la consuetudine a fronte dellaLegge”) e l'inesorabilità ed efficienza dei sui organi permisero di conte-nere la criminalità: in cinquecento anni, dal 1300 al 1797, le condanne amorte eseguite furono 1.279, un paio all’anno: un numero molto esiguorispetto a quanto avveniva nel resto d'Europa. La pena più severa, dopola pena di morte, era costituita dal bando, ovvero l'espulsione dai Dominidella Repubblica. Se invece un criminale veniva condannato ai lavoriforzati, ciò significava generalmente l'imbarco sulle galee come remato-re, da cui il termine galeotto. Da notare che le prigioni della Serenissima,i famigerati piombi, così denominati per via delle lastre di piombo cherivestivano il tetto del Palazzo Ducale, erano dislocate nel sottotetto e neisotterranei del Palazzo, a pochi metri dal luogo ove risiedeva il potenteGoverno Veneto. Ciò era di monito innanzitutto ai governanti stessi, iquali avevano la responsabilità di amministrare onestamente laRepubblica di San Marco. Non furono necessari i piombi, invece, nelcaso della congiura del Doge Marino Falier, che tramò un piano perimporre il suo potere assoluto a Venezia contro la collegialità delGoverno. Giudicato e condannato per alto tradimento, fu decapitato.

LE NAVI VENEZIANEAlla servizio del predominio marittimo, siamercantile che militare, Venezia disponevadelle sue rinomate imbarcazioni, che si pos-sono dividere essenzialmente in 2 tipi: navilunghe (galee) e navi tonde. Le prime eranoa fondo piatto, con fiancate basse e sospin-te da remi e dalla velatura, avevano unnumeroso equipaggio e una capacità dicarico ridotta (150-200 ton. mediamente).Trasportavano perciò merci preziose oerano usate per scopi militari. Le navitonde, che potevano trasportare anche 1000ton., erano usate per trasportare legna,grano, e viaggiavano normalmente in con-vogli scortati da galee, seguendo specificherotte, in determinati periodi dell’anno, siacon l’Oriente, sia poi con le Fiandre,l’Africa, l’Inghilterra, etc..

La sentenza venne eseguita aPalazzo Ducale a porte chiuse nellostesso posto dove, prima di cingerela corona dogale, aveva prestatogiuramento di osservare laPromissione, cioè le regole che laRepubblica imponeva alla sua cari-ca. La Repubblica era così forte esalda da potersi permettere di deca-pitare il suo stesso vertice.L'infausto episodio venne poi ricor-dato con l'istituzione della festa perla scoperta della congiura del DogeMarin Falier, che cadeva il giorno diSant'Isidoro, alla quale interveniva-no le maggiori confraternite e laSignoria. I membri della Signoriarecavano in mano una torcia rove-sciata, a simboleggiare i funerali deldeposto Doge Falier. Questo eraanche un monito rivolto ai futuriDogi affinché non si considerassero“mai come signori di Venezia, ma soltanto come capi della Repubblica,anzi come i primi servi onorificati di essa e sottomettersi alle medesimeleggi di ogni altro cittadino”. La solidità e rettitudine del Governo ari-stocratico fecero da richiamo per la Terraferma: le continue guerre sca-tenate dai signori locali o le invasioni di potenze straniere, come iVisconti di Milano o gli Ungheresi, fecero sì che, tra guerre per tenereaperto il retroterra ai suoi traffici e accorpamenti volontari di intere pro-vince che supplicavano la protezione di Venezia, nel corso del 1400venne a formarsi gran parte di quella che sarà la definitiva VenetaSerenissima Repubblica, composta da Stato da Mar, con capitale Zara, eda Stato da Tera, con capitale Venezia. Treviso entrò a far parte dellaRepubblica nel 1339, Vicenza chiese e ottenne di farvi parte nel 1404,Verona la seguì nel 1405. Venezia prese anche Brescia, Bergamo,

I GRANDI ARTISTI DI VENEZIA

E’ impossibile elencare tutti i grandi artistiche nella millenaria storia di Venezia sisono distinti.Nella scultura il Canova,il Bonazza, ilChiereghin, i Comino, et.. Nell’architetturail Palladio, il Longhena, il Codussi, il Bon,il Gaspari, il Sanmicheli, il Da Ponte, loScamozzi, e dicersi altri.Nella scrittura con Goldoni, Ruzzante,Bembo, Sanudo. Nella musica il più insigneè Vivaldi, ma vi sono anche BenedettoMarcello, il Galuppi e l’Albinoni.Ma è nella pittura che c’è un numero scon-finato di grandi: il Bellini, il Carravggio, ilVeronese, il Tiziano, il Tintoretto, Palma ilgiovane e Palma il vecchio, il Canaletto, ilLotto,il Bassano, il Tiepolo, e molti altri. Nel clima delle città della Serenissima,dove vi erano interi secoli di pace e sereni-tà la creazione artistica fu fervida, eccelsaed intensa, sostenuta dalle continue commi-tenze dei ricchi mercanti, dagli acquisti deifacoltosi visitatori di passaggio, dalla corsadelle Arti e Corporazioni nell’abbellire leloro Scuole e Chiese con magnifichi capo-lavori.

Cremona e tutto il Friuli. Vennero mantenuti gli statuti comunali preesi-stenti e Venezia mise a capo delle città di Terraferma i Podestà e iCapitani, affiancando i nobili locali nell’amministrazione delle città. LaRepubblica godeva della simpatia dei popolani, poiché ad essa ci si pote-va appellare quando si riteneva di aver subito ingiustizie da parte deinobili locali: difatti non si registrano nella sua plurisecolare storia, solle-vazioni o rivolte popolari (se non alla caduta, benché si trattasse di unarivolta per chiedere di non cedere alla prepotenza di Napoleone: unarivolta al contrario). I Patrizi investirono molti capitali nelle campagne,sviluppando la rete stradale e promuovendo le bonifiche agricole. Neiprimi del 1500 lo Stato Veneto incamerava annualmente circa 1.150.000ducati di proventi dai traffici e sopportava spese per 530.000 ducati, regi-strando un avanzo di bilancio altissimo. Nel 1509 la sempre più glorio-sa e prospera Veneta Repubblica fu però vittima dell'invidia delle altrepotenze europee, che si accordarono per distruggerla e spartirsene le ric-

L’ARSENALE, LA PIÙ GRANDE FABBRICA DEL MONDO, NEL MEDIOEVO.

“Quale nell´arzanà de` Viniziani bolle d´inverno la tenace pece a rimpalmare i legni lornon sani chè navicar non ponno; in quella vece chi fa suo legno nuovo e chi ristoppa lecoste a quel che più viaggi fece; chi ribatte da proda e chi da poppa; altri fa remi e altrivolge sarte chi terzeruolo e artimon rintoppa; tal non per foco, ma per divina arte, bollialà giuso una pegola spessa che ´nvischiava la ripa d´ogni parte." (Dante, Divina Commedia, Inferno, XXI, vv. 7-18)

chezze. Il regno di Francia,l'Impero asburgico, la corona diSpagna, il Regno di Napoli, ilDucato di Ferrara, il Marchesatodi Mantova, il Regno Pontificio,il Regno d'Ungheria, il Ducato diSavoia, formarono una gigante-sca coalizione che mandò unaltrettanto formidabile esercitocon lo scopo di annientare laRepubblica di San Marco.Venezia reagì con sforzi immen-si, mettendo in campo a tempo direcord il più grande esercito cheuno Stato della Penisola italica avesse mai allestito. Nella grande batta-glia di Agnadello, presso Cremona, il 14 Maggio del 1509 Venezia è peròsconfitta. Le truppe straniere dilagano nella Terraferma veneta e i nobililocali consegnano al nemico la maggior parte delle città, costringendoalla fuga i Patrizi veneziani. Venezia stessa aveva dato ordine di cederele città pacificamente piuttosto che le popolazioni dovessero subire laferocia degli eserciti stranieri. Il popolo di Treviso però chiuse le porteal Provveditore Andrea Gritti, al quale chiese di poter rimanere sotto l'e-gida del leone alato e di resistere agli invasori. Anche Udine decise ditenere issato il gonfalone di San Marco e di resistere. Sollevazioni popo-lari di resistenza ebbero luogo ovunque. Venezia pose il Gritti a capodelle sue forze militari e inviò ogni genere di aiuto, sollecitando la pro-pria popolazione a sostenere lo sforzo mediante la donazione dei propritesori: furono raccolti argenti, ori, gioielli, posate e vasellame per unvalore di circa duecentomila ducati. Il Gritti riprese le truppe che eranoandate allo sbando e puntò verso Padova, rapidamente riconquistata, lacui gente salutò l'arrivo del condottiero al grido di “Marco, Marco!”.Subito la città doveva esser difesa dall'attacco portatogli dall'esercitodell'Imperatore d'Austria. La resistenza a oltranza, sostenuta da Veneziacon l'invio continuo di mezzi e uomini, tra cui tantissimi giovani Patrizi,fece desistere l'attaccante dai suoi propositi bellicosi. Poi Venezia, con

Treviso resta fedele a San Marco

l'ausilio della sua abilissima diplomazia,rompeva l'alleanza tra i suoi nemici e pro-gressivamente si portava alla riconquista deisuoi domini. Così, mentre Venezia consoli-dava la sua sovranità in Terraferma, i Turchioccupavano Costantinopoli nel 1453.Successivamente i Turchi aggredironol'Albania, difesa dal fedele alleato albaneseGjergj Kastrioti Scanderberg, strapparononel 1470 Negroponte a Venezia e nel 1517prendevano la Siria e l'Egitto, diventandouna minaccia per tutto il Mediterraneoorientale. Nel frattempo, la scopertadell'America e la circumnavigazionedell'Africa, aprivano la strada allo sviluppo mercantile di Spagna,Inghilterra e Francia, sottraendole alla dipendenza da Venezia per svaria-te merci e trasformandole addirittura in sue concorrenti. Venezia dovettesubire un lento declino in termini quantitativi dei propri traffici, maancor di più in termini remunerativi, vista l'agguerrita concorrenza dellesuddette Potenze. Nel 1504 i Veneti avevano discusso se accordarsi conil Sultano d'Egitto per scavare una canale fra il Nilo e la penisola di Suez,allo scopo di riprendere il predominio dei commerci. Ma non se ne feceniente e la successiva conquista del Sultanato da parte dell'Impero otto-mano fece abortire il progetto. Nonostante tutto, Venezia da ora fino atutto il 1570, tranne che in limitati casi, sviluppa buone relazioni com-merciali con l'Impero ottomano. I Turchi nel 1499 e nel 1503 avevano

A Venezia arrivavano turisti enobili da tutta Europa per ammi-rarla e prendere parte alle folliedel Carnevale veneziano, anchese qualcuno vi vedeva un risvoltopolitico: “non hanno le mascherein loro altro di buono, se non chei Principi, con maggior sicurezza,e libertà, possono andar in volta enotar con propri ochii, i porta-menti dei loro sudditi, intenderl’opinione, che versa di essiappresso il popolo, sentir le lodi,o i biasimi, e così corregger sestessi e loro, da quel che no stabene”. . (fine 1550, Tommaso Garzoni)

IL CARNEVALECarnevale significava rappresentazioni nei teatri, nei palazzi, nei caffè e nei ridotti, masoprattutto era un clima di festa diffusa in cui popolari e nobili in maschera si mescolava-no a ballerini e ciarlatani, a venditori di balsami e di mele cotte, a comici dell'arte e incan-tatori di serpenti. Il travestimento più usuale a Venezia nel Settecento fu la bauta che con-sisteva nella larva (maschera inizialmente di color nero, poi bianca di tela cerata), nellabauta propriamente detta di merlo e velo, nel tricorno (cappello nero a tre punte) e neltabarro nero (mantello di seta o lana). Prime notizie sul Carnevale veneziano si trovano intesti nei quali lo si nomina facendo riferimento all'interpretazione cristiana del terminelatino carrus navalis, carri processionali a forma di nave, usati un po’ ovunque in Europaper festeggiare l’ultimo mese dell’anno, che un tempo era Febbraio.

occupato le basi venete di Modone e Corone,nel sud del Peloponneso. Con questi fatti hainizio una complessa serie di scontri e incon-tri tra Veneziani e Turchi destinata a duraresecoli. I Turchi avrebbero continuato ad avereuna politica aggressiva che Venezia cercavafino all'ultimo di ricomporre con la diploma-zia, al fine di tenere aperti i traffici delMediterraneo orientale. I Turchi, nel 1529, siimpadronirono di Algeri, mentre ancoradecenni prima Venezia, con un abile lavorodiplomatico, s’impossesava dell’isola diCipro: diede infatti in moglie la patriziaCaterina Corner al Re di Cipro. Morto il Re,nominò la Regina Corner “Figlia dellaRepubblica” e, dopo averla fatta abdicare, nel1488 entrò in possesso della fertile e grandeisola. Nel febbraio del 1570, però,l'Ambasciatore della Sublime Porta ottomana intima al Gran Consigliodella Serenissima di cedere Cipro ai Turchi: “Vi domandiamo Cipro checi dovete per amore o per forza. E guardatevi dall'irritare la nostra ter-ribile spada, perché vi muoveremo guerra crudelissima in ogni parte; néconfidate nella ricchezza del vostro tesoro, perché faremo in modo cheesso vi sfugga di mano come torrente…”. Il Doge Pietro Loredan rispo-se sdegnato “…la giustizia ne darà la spada per difender i nostri dirittie Dio el so santo ajuto per resister co' la razon a la forza e con la forzaa la vostra ingiusta violenza”. Venezia ordina a Cipro di resistere aoltranza e decreta unastraordinaria leva dimilizie di terra e dimare nei suoi dominidi Terraferma; ma laSerenissima non se lasente di affrontare dasola l'Impero

Capitano Generale da Mar

Ottomano, all'apice della sua potenza. Chiede dunque l'aiuto dellaSpagna e del Papa, che formano una coalizione di Paesi cristiani.Durante l'allestimento di una grande flotta, un esercito turco di ottanta-mila uomini, sbarcò a Cipro. La principale fortezza dell'isola, Nicosia,posta a difesa del capoluogo, capitolò dopo due mesi di lotta, il 7 settem-bre 1570. Tutti i difensori superstiti furono trucidati o deportati comeschiavi; in un sol giorno si ebbero più di quindicimila vittime. Davanti acosì tanta violenza, Kirenia, la terza fortezza di Cipro, si arrese senzasparare un solo colpo. Ai Veneziani rimase solo Famagosta, difesa da set-temila uomini e da cinquecento bocche da fuoco. Il CapitanoMarc'Antonio Bragadin respinse ogni intimidazione di resa e resistetteall'assedio. Il 22 settembre 1570 il blocco di Famagosta era completo: unesercito di duecentomila uomini l'assediò via terra, con millecinquecen-to cannoni e via mare con una flotta di centocinquanta navi. Dopo l'in-verno, visto che i Veneti non s'erano ancora arresi nonostante fossero giàallo stremo, incominciò un cannoneggiamento terribile. Poiché nonbastarono a piegare Famagosta le centosettantamila cannonate sparate, iTurchi passarono alla "guerra delle mine", con un impiego di esplosivoche non aveva precedenti: essi scavavano nottetempo lunghissimi cuni-coli sotto il fossato e raggiungevanocosì le fondamenta dei bastioni, minan-doli con forti cariche di esplosivo. Gliassalti continui dei Turchi vennerocomunque valorosamente contenutidalle guarnigioni venete. Al 31 luglio leperdite ottomane ammontavano a ottan-tamila uomini, quelle venete a seimila. ITurchi, ignorando le misere condizionidegli assediati e preoccupati per le graviperdite subite, offrirono ai Venezianipatti insolitamente generosi e del tuttoonorevoli: se si fossero arresi, tuttiavrebbero avuto salva la vita e gli averi,la popolazione sarebbe stata rispettata;chi l'avesse chiesto sarebbe stato tra-

Generale Turco

sportato in zona neutrale, con tanto di onori militari per i vinti.Marc'Antonio Bragadin, presagendo quanto sarebbe accaduto in caso diresa, era deciso a respingere l'offerta. Ma la maggior parte degli ufficia-li, dei soldati e la stessa popolazione invocavano la fine di una battagliaassolutamente impari. Così il 4 di Agosto i Turchi entrarono a Famagostama non rispettarono affatto i patti, massacrando a tradimento tutti gliufficiali e deportando come schiavi i soldati. Marc'Antonio Bragadin fuscuoiato vivo dopo tredici giorni di atroci torture: “... e lentamente stac-carono dal suo corpo vivo la pelle, spogliandola in un sol pezzo, acominciare dalla nuca e dalla schiena, e poi il volto, le braccia, il tora-ce e tutto il resto …”. Proprio a fine Agosto la flotta veneziana si incon-trava con quelle alleate del Papa e del Re di Spagna. Era composta da tre-centoventi navi, di cui la maggior parte era veneta. Scattò la caccia allaflotta turca che fu scovata presso Lepanto. La flotta turca era egualmen-te gigantesca: contava duecentosettanta galee e molti legni minori. Lasera prima della battaglia gli equipaggi cristiani invocarono la protezio-ne della Vergine Maria, e la mattina del 7 ottobre dell'anno 1571 ebbeinizio la battaglia. Il comando della flotta cristiana era stato affidato aGiovanni d'Austria, assistito dall'esperto Comandante venezianoSebastiano Venier. Esso divise la flotta in un corpo centrale sostenuto da2 forti ali di galere. L'ala sinistra, composta da navi venete, era guidatada Agostino Barbarigo, che sarebbe caduto durante lo scontro. Al centrodella flotta turca, sulla nave ammira-glia, chiamata la Sultana, sventolavauno stendardo verde, prelevato allaMecca, che recava ricamato in oro perventottomilanovecento volte il nomedi Allah. Di fronte, in formazione acroce, era schierata la flotta cristiana,sulla cui ammiraglia, comandata dadon Giovanni d'Austria, garriva unenorme stendardo blu con la raffigura-zione del Cristo in Croce. Davanti alloschieramento c'erano sei galeazzeveneziane, vere e proprie fortezze gal-

LA PESTEVenezia venne colpita in passato da duegrandissime epidemie di peste che diede-ro origine ai templi del Redentore (1575-1577) e di S.Maria della Salute (1630-1631), innalzati al termine delle terribiliepidemie. Nella prima la popolazionepassò da 195.000 a 135.000 abitanti,nella seconda da 142.000 a 100.000. Lacittà venne colpita dalla peste per ben 69volte tra il 954 ed il 1793, anche se noncosì pesantemente, nonostante il sistemadi sorveglianza sanitaria era il più avan-zato d’Europa. Gli appestati veniva cura-ti a spese della Stato nell’isola chiamataLazzaretto, poco distante da Venezia.

leggianti. Lo scontro fu terribile. Dopo cinque ore di battaglia, la Legacristiana aveva perso più di settemila uomini, tra questi quattromilaotto-cento erano Veneziani, duemila spagnoli, ottocento pontifici; i feritierano circa ventimila. I Turchi, letteralmente distrutti, contavano più diventicinquemila perdite e tremila prigionieri. Morirono un numero gran-dissimo di Patrizi veneti imbarcati come ufficiali. La fine della battagliadiede nuovamente respiro alle normali attività. È da questo periodo inpoi che si svilupperà in pieno la civiltà delle Ville venete, costruite nellapiù ampia pace e libertà della Terraferma. Sotto il dogado di LeonardoDonà venne nominato canonico della Repubblica il frate servita PaoloSarpi per rappresentare la Serenissima nella contesa con la curia roma-na, la quale pretendeva di avere giurisdizione sul clero residente nei ter-ritori della Repubblica Veneta anche per reati che contravvenivano allalegalità marciana. Venezia, città cristianissima, era però poco propensa asottomersi al potere temporale della Chiesa. Nonostante la scomunicache il frate subì, esso rimase fedele alla Chiesa Cattolica, continuando afar dire messa. Per rappresaglia alcuni sicari romani gli tesero un aggua-to che grazie a Dio non andò a “buon” fine (“ignosco stilum romanaecuriae”); diedero alle fiamme anche la preziosissima biblioteca di Fra'Paolo Sarpi: in essa c'erano tutti i suoi studi, compresi quelli dai quali sisarebbe potuto evincere che al frate servita va il merito della scopertadella circolazione sanguigna. Le sue spoglie mortali sono tuttora venera-

GJERGJ KASTRIOTI SCANDERBERG

Era figlio di un nobile cristiano a capo dell’Albania di allora, che aveva ottenuto il titolodi cittadino veneziano dalla Repubblica, per la sua lealtà. A 9 anni fu preso ostaggiodagli Ottomani che avevano messo in ginocchio la sua terra. Venne allevato dai Turchi ediventò uno dei loro più abili combattenti. Emissari della sua famiglia lo raggiunsero dinascosto nel quartiere generale del sultano e lo informarono della drammatica situazionedegli albanesi. Il giovane Giorgio non rimase insensibile all’appello ricordandosi di esse-re figlio dell’Albania e per di più un cristiano cattolico: decise di ritornare in patria. E’l’inizio di un periodo eroico e tutta l’Europa rimase sbigottita per il titanico vigore concui questo popolo, riunitosi in un’unica forza, per un quarto di secolo seppe resistere allespinte degli eserciti ottomani, le cui intenzioni erano l’invasione dei Balcani, della stessaRepubblica Veneta, per poi giungere a Roma. Un sogno rimasto tale proprio per le gestadell’eroe nazionale albanese Scanderberg. Il 20 Giugno del 1444 alla guida di 10.000armati affronta l’esercito tiranno e lo vince. Nel 1450 sconfigge il poderoso esercito gui-dato personalmente dal sultano Maometto II. Gli fu conferito il titolo di Atleta Christi. Nel1468 morì, ma affidò i suoi domini a Venezia, “l’alleata più leale e più valorosa”.

te presso la Chiesa di San Michele in Isola.I Veneti mantenevano una grande e indi-scussa supremazia navale nel Mediterraneo,anche se lo sviluppo del commercio transo-ceanico aveva reso meno importante quelloeffettuato dalla città lagunare. Nel 1630 ilRe di Spagna decise di far scortare via marefino a Trieste la sorella, promessa sposadell'Imperatore d'Austria, ignorando lasovranità veneta sul mare Adriatico. LaSerenissima allora reclamò come proprio ilcompito di scortare la principessa e nel casociò non le fosse stato gradito “ella avrebbeallora ricevuto come accoglimento unapioggia nuziale di palle di cannone”. La Spagna si adeguò. Nel 1645 iTurchi attaccarono l'isola di Creta che i Veneti difesero tenacemente inuna guerra epica che sarebbe durata ventiquattro anni. Venezia, in que-sto lungo conflitto, cercò di far pesare la sua superiorità navale, ottenen-do gloriose vittorie in quasi tutti gli scontri marittimi. Il suo giovane evaloroso ammiraglio Lazzaro Mocenigo, arrivò a un passo dal portare unattacco alla capitale del grande Impero Turco, Costantinopoli oraIstanbul, trovandovi però la morte nello scontro. L'assedio di Creta rap-presentò un enorme dispendio di mezzi e uomini sia per i Turchi, i qualipersero duecentomila armati, sia per Venezia, la quale vide un quarto deisuoi Patrizi perire nella valorosa difesa dell'isola. I Veneti ottennero l'aiu-to di molti nobili europei che decisero di partire spontaneamente perdifendere l’isola, che era il baluardo dell’Occidente. Alla fine, però, nel1669 la si dovette cedere. Il durissimo conflitto che durò ventiquattroanni, costò alla Veneta Repubblica la perdita di trentamila uomini, tra cuii migliori Patrizi, e l’astronomica cifra di centoventiquattro milioni diducati. Nel 1683 la vittoriosa offensiva turca contro l'Austria portò cen-tocinquantamila uomini alle porte di Vienna. Ma nello scontro con l'esi-gua armata tedesco-polacca accorsa a difendere la città, guidata dal cap-puccino Marco d'Aviano, l'esercito ottomano fu miracolosamente sbara-gliato. Nel 1684 Austria, Polonia e il Papa invitarono Venezia a unirsi a

25 APRILELa festa del 25 Aprile, festa diSan Marco, coincideva anche conla fine dei pascoli nei campicomuni delle mandrie di monta-gna, che i contadini festeggiava-no facendo la festa nei prati man-giando uova e bevendo vino sulposto.

loro nella guerra contro i Turchi.L'eroico difensore di Creta, ilComandante Francesco Morosiniin quattro anni conquistò unamiriade di isole e tutta la Greciache sarà mantenuta fino al 1715.L'impegno in conflitti così lunghiaveva portato le finanze pubbli-che, che nel 1600 avevano unariserva di quattordici milioni diducati, ad un grave passivo.L'accrescimento della potenza diStati nazionali quali la Spagna, esoprattutto la Francia e l'Austria,fece sì che il Governo Veneto pro-pendesse per una politica diplo-matica sostanzialmente neutrale.Difatti, esso cercò in tutti i modidi evitare conflitti, anche con iTurchi, i quali, però, nel 1715avevano invaso la Grecia e furonofermati a Corfù solo dopo un ter-ribile assedio. Il Settecento vene-ziano fu caratterizzato da unapace e tranquillità insuperate. Lefinanze dello Stato erano floride,vista la minima spesa destinataalle campagne militari. In tutto il1600 e 1700, la pressione fiscalecomplessiva media fu di circa ilquattro per cento e mai superò ilsette per cento. L'università diPadova si confermava all'avan-guardia nella penisola, istituendoper prima nel 1765 la cattedra di

L’Impero Venetonel XVI secolo

agricoltura e nel 1773 quella di veterinaria. Nel 1786 a Venezia si pub-blicava il Codice per la veneta mercantile marina, che venne adottatoanche dalle altre nazioni europee. Ma nel 1789 si concretizzò in Europaun progetto anti-aristocratico che già da anni veniva segretamente colti-vato, l'istituzione della Massoneria speculativa (1717), che toccò la suapunta di massima isteria con la Rivoluzione Francese. Stati millenari cheavevano contribuito in maniera determinante al progresso dell'umanità,in un attimo vennero spazzati via dalla scena politica, per essere rimpiaz-zati dalle artificiose entità statuali moderne,frutto dell’ideologia giacobina. La Venezia inprimis fu illegittimamente occupata da armatedi straccioni arruolate a forza dai democraticie capeggiate da Napoleone Buonaparte, ilquale non rispettò la dichiarazione di neutrali-tà espressa dalla Serenissima Repubblica e,violando la parola data, la invase a tradimen-to. Gli invasori imposero il tricolore francese,a cui si ispirò quello cispadano, e da cui deri-va quello dell'attuale Repubblica italiana.Venezia venne spogliata di gran parte del suopatrimonio artistico, finanziario e culturale esubì infinite distruzioni e umiliazioni. Fuassoggettata ai Francesi, agli Austriaci e infi-ne ai Savoia. Per dare una proporzione degliingenti danni subiti da tutta la Venezia, bastipensare che più di metà della sua popolazionefu costretta a emigrare all'Estero a causa dellevessazioni subìte dagli stranieri.Dopo duecento anni di forzata convivenza, il9 Maggio del 1997 un commando di indipen-dentisti veneti, si insedia all'interno delCampanile di San Marco proclamando il ritor-no della Serenissima.Tuttora in Veneto sono attivi diversi gruppi indipendentisti che perseguo-no tenacemente il ripristino della Veneta Repubblica.

LE DEVASTAZIONINAPOLEONICHEQuaranta tra chiese, monaste-ri e conventi furono letteral-mente rasi al suolo. Ogni altropalazzo, o edificio religioso,venne spogliato delle sue opered’arte. Il tesoro di san Marcovenne saccheggiato, ilBucintoro fu bruciato, il conta-do patì gravose requisizioni, emolti Veneti furono massacrati.Più di 5.000 leoni di SanMarco furono distrutti. Nel1998 il patrizio veneto Ranierida Mosto ha provato a fare unastima, mai peraltro vicina allevere proporzioni dei danni sub-iti dalla Venezia, che quantifi-cava in oltre mille miliardi dieuro il patrimonio depredato.

L’ULTIMA SEDUTA DELMAGGIOR CONSIGLIO

Il numero non era sufficienteper poter decretare il passag-gio dei poteri allaMunicipalità democratica, ariprova della disonestà ideolo-gica dei Democratici.

“Il Secolo XIX ha svuotato Venezia. Le generazioni che l’hanno abitata o visitatanella seconda metà del Settecento hanno visto ciò che gli uomini non vedranno maipiù: una massa, una moltiplicazione, un crescendo di splendori inimmaginabili.Chiese, conventi, palazzi, si addensavano, si stringevano gli uni agli altri, si conten-devano il sole nelle vie e nelle strette piazze della città… Dovunque, la grandiositàmassiccia delle costruzioni, l’opulenza dei marmi rari, degli ori, degli argenti, lasontuosa bellezza… si univano alla leggerezza, alla proporzione, alla grazia, all’ele-ganza, allo slancio delle linee e degli ornamenti, ai capricci e alle invenzioni dellafantasia, alla bellezza aerea che soltanto lo spirito può cogliere…”.La Venezia sul cui suolo le truppe del generale Baraguay d’Hilliers mettevano piede(la prima armata straniera nella sua storia) il 15 Maggio 1797, tre giorni dopo l’ab-dicazione del Maggior Consiglio, la stessa sera in cui l’ultimo Doge lasciava silenzio-samente il deserto Palazzo Ducale, era un gioiello di splendezza solare su cui calavaun fatale eclisse.Nessuna guerra l’aveva mai toccata: né gli Unni, né i Franchi di re Pipino, né iGenovesi, né gli Stati Europei confederati nella Lega di Cambrai erano mai riuscitia violare la ben custodita distesa delle lagune. Gli incendi erano stati numerosi, spe-cie nei primi secoli, e ancora verso la fine del Cinquecento il fuoco aveva devastato ilPalazzo Ducale, ma il danno che avevano potuto procurare era stato ben poca cosa,di fronte all’ininterrotto accumularsi di ricchezze che aveva fatto di Venezia, neisuoi secoli d’oro, il forziere d’Europa.

Alvise Zorzi, Venezia scomparsa