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Storia e modelli del giornalismo 09/10/2015 Stampa di massa e guerra totale

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Storia e modelli del giornalismo09/10/2015

Stampa di massa e guerra totale

La Prima Guerra Mondiale rappresenta il momento in cui il controllo dell’informazione e la sua presentazione e manipolazione assumono per i governi (democratici e non) un’importanza vitale. Due gli scopi fondamentali:

• mantenere alto il morale della popolazione sul fronte interno

• influenzare l’opinione pubblica nei Paesi neutrali e nemici

Manipolazione e propaganda

Studi sulla propaganda: L’opinione pubblica (1922)

Il nostro assunto è che ciò che l’individuo fa si fonda non su una conoscenza diretta e certa, ma su immagini che egli si forma o che gli vengono date. Se il suo atlante gli dice che il mondo è piatto, l’uomo non farà rotta verso ciò che ritiene essere l’orlo del nostro pianeta per paura di cadere giù […] Cos’è allora la propaganda se non lo sforzo di modificare l’immagine a cui reagiscono gli individui, di sostituire un modello sociale ad un altro?

Lippmann, L’opinione pubblica, pp. 52-53

Le immagini in base a cui agiscono gruppi di persone costituiscono l’Opinione Pubblica. Alcuni dei motivi per cui l’immagine interna così spesso fuorvia gli uomini nei suoi rapporti con l’esterno comprendono:

• fattori che limitano l’accesso ai fatti• influenza delle immagini riposte nella mente sui

messaggi provenienti dall’esterno (stereotipi)• identificazione dei limitati messaggi provenienti

dall’esterno e organizzati in uno schema di stereotipi, con quelli che il soggetto ritiene essere i suoi interessi

Lippmann, L’opinione pubblica, p. 56

Studi sulla propaganda: L’opinione pubblica (1922)

Fattori che limitano l’accesso ai fatti• le censure artificiose • le limitazioni dei contatti sociali • il tempo relativamente scarso che ogni giorno si può dedicare

a seguire gli affari pubblici• la distorsione prodotta dalla necessità di comprimere i fatti in

messaggi brevissimi• la difficoltà di esprimere un mondo complicato con un piccolo

vocabolario• la paura di affrontare fatti che sembrerebbero minacciare il

consueto svolgimento della vita degli individui

Lippmann, L’opinione pubblica, pp. 52-53

Studi sulla propaganda: L’opinione pubblica (1922)

Lippmann, L’opinione pubblica, p. 359

L’ipotesi che a me sembra più feconda è che la notizia e la verità non siano la stessa cosa, e debbano essere chiaramente distinte. La funzione della notizia è di segnalare un fatto, la funzione della verità è di portare alla luce i fatti nascosti, di metterli in relazione tra loro e di dare un quadro della realtà che consenta agli uomini di agire. Solo là dove le condizioni sociali assumono una forma riconoscibile e misurabile, il corpo della verità e il corpo della notizia coincidono.

Studi sulla propaganda: L’opinione pubblica (1922)

Molti politici avevano in comune con i giornalisti la fiducia esagerata nella capacità della stampa di plasmare l’opinione pubblica. Proprio per questo, la stampa di massa esercitava realmente un’influenza considerevole.

Gorman, McLean, Media e società nel mondo contemporaneo, p. 30

Alfred Harmsworth (Lord Northcliffe), considerava un dovere tanto per il «Daily Mail» (che aveva un proprio servizio esteri e dava un’ampia copertura agli affair internazionali) quanto per il «Times» (acquisito nel 1907) avvertire il popolo britannico dell’incombere del pericolo tedesco.

Il ruolo della stampa di massa, verso la guerra

1914: si crea in Gran Bretagna un War Propaganda Bureauche viene poi posto sotto la direzione del Foreign Office1918: la propaganda non è più diretta solo ai Paesi neutrali; Lord Northcliffe è nominato Direttore della propaganda nei Paesi nemici.

1917: negli Stati Uniti è operante un Committee of Public Information, il cui scopo è «vendere la guerra al popolo americano». A quest’azione di suasion si aggiunge l’effetto cumulativo di provvedimenti come lo Espionage Act (1917), il Trading with the Enemy Act (1917), il Sedition Act (1918).

Il ruolo della stampa di massa, verso la guerra

La struttura moderna dell’industria del giornale che si afferma agli inizi del XX secolo prevede: • la diffusione di massa di tabloid e grandi formati, di giornali

popolari e di qualità; • l‘avvento di catene sotto un unico proprietario.

Si conferma il carattere commerciale del giornale in quanto azienda, con una crescente dipendenza dai proventi delle inserzioni pubblicitarie (negli USA, questi triplicano tra il 1915 e il 1929, passando da 275 a 800 milioni di dollari). Dalla «rivoluzione Northcliffe» ai primi anni Trenta, la produzione di giornali in GB è dominata da cinque aziende: Associated Press, Amalgamated Press, Westminster Press, Beaverbook, Cadbury.

Concentrazione e concorrenza

La neutralità proclamata dal governo Salandra deve fare i conti con uno scontro tra interventisti e neutralisti che avviene sulla stampa prima che nelle piazze.

Fanno parte del gruppo di giornali interventisti: «Il Corriere della Sera», la «Gazzetta del Popolo», il «Resto del Carlino», il «Giornale d’Italia», «Il Messaggero», il «Roma»; a questi si uniscono i quotidiani di orientamento irredentista, «Il Secolo», «Il Gazzettino» e «Il Lavoro».

Il campo neutralista è rappresentato dalla «Stampa» e da «La Tribuna», «La Nazione» e «Il Mattino».

Il giornalismo italiano nella Grande Guerra

Ad accelerare la formazione di schieramenti contrapposti dopo i primi mesi di incertezza, e a dare virulenza all’offensiva degli interventisti, contribuisce notevolmente Mussolini, con il suo voltafaccia manifestato sulle colonne dell’«Avanti» e, soprattutto, con la fondazione del «Popolo d’Italia». Mussolini non ha avuto molte difficoltà a reperire i soldi necessari per fondare il quotidiano, che esce a Milano il 15 novembre 1914. Di quattrini ne corrono parecchi, di provenienza interna o dai due campi in guerra. A Mussolini li procura Filippo Naldi, direttore del «Resto del Carlino», raccogliendoli tra gli industriali più interessati all’intervento: a questi fondi si aggiungono le sovvenzioni che arrivano dalla Francia.

Murialdi, Storia del giornalismo italiano, p. 116

Il giornalismo italiano nella Grande Guerra

5 maggio 1915: il «Corriere della Sera» segue la serrata orazione di Gabriele D’Annunzio a Quarto dei Mille, volta a forzare la mano al Parlamento

24 maggio 1915: entra in funzione la censura militare; le disposizioni del comandante in capo Luigi Cadorna sono drastiche: gli inviati non possono entrare nella zona delle operazioni pena l’espulsione; l’«Avanti» e altri giornali socialisti sono messi al bando in tutte le province dichiarate territorio militare; nonostante le dichiarazioni di lealtà, Cadorna nega ad Albertini e al «Corriere» perfino «un po’ di cronaca … impressioni generiche … descrizioni dell’ambiente in senso favorevole alla nostra impresa».

Il giornalismo italiano nella Grande Guerra

Solo tra la fine del 1916 e l’inizio del 1917, quando la guerra si rivela più lunga e sanguinosa del previsto, i Comandanti si rendono conto dell’importanza della stampa per le trincee eper il «fronte interno».

All’attenuazione del rigore iniziale si accompagna una grande cautela informativa, un permanente ottimismo, che tranquillizza i familiari dei combattenti, e dosi massicce di retorica e di «colore». In sostanza, il conformismo si coniuga spesso con il patriottismo di maniera. (Murialdi, Storia del giornalismo italiano, p. 119)

La vera e propria stagione dei giornali di trincea comincia dopo Caporetto, l’allontanamento di Cadorna e la sua sostituzione con Armando Diaz.

Il giornalismo italiano nella Grande Guerra

L’aumento di tirature, introiti pubblicitari e diffusione dei quotidiani dura dal periodo della neutralità alle prime restrizioni belliche e all’aumento del costo della carta.

Tra le aziende che, con un’organizzazione moderna ed «economica», hanno raggiunto una posizione solida, spiccano «Il Corriere della Sera» (più di 500,000 copie nell’immediato dopoguerra) e la «Stampa» (200,000 copie).

La crisi favorisce un marcato cambiamento negli assetti proprietari, a favore della grande industria, in particolare di quella siderurgica: nel 1917, l’Ansaldo acquisisce «Il Messaggero», la Terni «La Tribuna», l’Ilva arriva a controllare «Il Mattino» e «La Nazione».

La crisi del primo dopoguerra

I quotidiani del primo anno di pace, pur costretti a uscire ancora a quattro pagine per la penuria di carta, sono più vivaci di quelli di un tempo. Tutti i maggiori mostrano un interessamento particolare, politico e culturale, per quello che accade nel mondo. Nello stesso tempo, nella cronaca cittadina danno risalto alla politica locale. E la ormai famosa terza pagina assuma una dimensione culturale e non esclusivamente letteraria: ma resta pur sempre una lettura riservata a una élite.

Murialdi, Storia del giornalismo italiano, p. 126

La crisi del primo dopoguerra

21 gennaio 1921: Mussolini sul «Popolo d’Italia» esalta il movimento reazionario come strumento per restaurare l’ordine e difendere il capitalismo; nel corso di quell’anno, sono 29 le sedi di giornale che subiscono assalti e devastazioni dalle squadre fasciste senza che l’autorità pubblica intervenga con risolutezza.

«Il Corriere della Sera», il «Giornale d’Italia», «Il Secolo» assumono tutti un atteggiamento fiducioso in un momento di «normalizzazione» del movimento fascista.

La crisi del primo dopoguerra

La stampa italiana, parlo soprattutto della stampa liberale e democratica, ha taciuto troppe cose e troppo a lungo. Si può dire che il pubblico abbia avuto appena una vaga e imperfettissima idea di tutto ciò che è avvenuto nel 1921 e 1922. Le purghe di olio di ricino, le randellate, le spedizioni punitive, i bandi, le distruzioni e gli incendi delle cooperative, delle Camere del Lavoro, delle società operaie, si consumavano nell’ombra, talora colla connivenza delle autorità, e trovavano appena cenni fuggevoli, attenuati, deformati nella cronaca dei nostri maggiori giornali. La stessa teoria della forza che l’on. Mussolini andava svolgendo con crescente baldanza nei suoi articoli quotidiani non provocava che deboli, incerte e timide confutazioni. La stampa italiana – fatte poche onorevoli eccezioni –aveva disertato il campo; aveva tradito la sua missione.

Mario Borsa, La libertà di stampa, 1925

La crisi del primo dopoguerra

12 luglio 1923: il Consiglio dei Ministri approva un Regio Decreto di cui Mussolini sospende l’entrata in vigore (fino all’8 luglio 1924) per usarlo come «spada di Damocle» sulla testa dei direttori.

Art.1. – Il gerente responsabile di un giornale o di altra pubblicazione periodica, richiesto dagli articoli 36 e 37 dell’Editto del 26 marzo 1848 sulla stampa, deve essere o il direttore o uno dei principali

redattori ordinari.…

Art 3. – Il Prefetto della Provincia, udita la Commissione di cui al precedente articolo, ha facoltà con un suo decreto di dichiarare

decaduto il gerente responsabile.

La crisi del primo dopoguerra

Il caso Matteotti apre una stagione di «dissenso a mezzo stampa»: i giornali liberali cercano di far leva sulla monarchia come garante dello Statuto e denunciano le contraddizioni interne del fascismo.

L’opinione pubblica partecipa intensamente alla battaglia intrapresa dalla stampa contro Mussolini e il fascismo. Lo dimostrano i notevoli aumenti delle vendite. «Il Corriere della Sera» supera le 800,000 copie (la vendita normale è 450,000), «Il Mondo» arriva a 110,000 copie. Minore, ma pur sempre sensibile, è la circolazione degli organi di partito: l’«Avanti!» 71,000 copie, «l’Unità» 34,000, «La Giustizia» 33,000, «Il Popolo» 25,000. In questa fase «Il Popolo d’Italia» è sulle 60,000 copie.

Murialdi, Storia del giornalismo italiano, p. 134

La crisi del primo dopoguerra

28 novembre 1925: Luigi Albertini lascia con il suo «Commiato» la direzione del «Corriere»; i fratelli Crespi, sfruttando un cavillo legale, avevano sciolto il contratto che li legava agli Albertini dopo oltre un anno di minacce e sequestri. L’ormai ex direttore rivendica il senso delle sue battaglie politiche, «convinto come sono che tutte le libertà sono solidali tra loro».

Il 9 novembre Alfredo Frassati aveva lasciato la direzione della «Stampa». Giornali come «Il Mondo» continuano a battersi stretti nella morsa della legge fascistissima del 31 dicembre: per esercitare la professione bisognerà essere iscritti all’Albo, per essere iscritti occorrerà ottenere dal Prefetto un certificato di buona condotta politica, e il direttore responsabile dovrà avere il riconoscimento del Procuratore Generale presso le Corti d’Appello.

La crisi del primo dopoguerra

La duttilità di Mussolini dà risultati positivi. Nonostante il grigiore con cui si presenta ogni giorno ai lettori, «Il Corriere della Sera» non perde copie: la tiratura media del 1926 è di 440,500 copie e aumentano gli abbonati. Come ha scritto lo storico Piero Melograni, questa è la conferma che il giornale milanese ha un pubblico di base «poco o nulla preoccupato delle vicende politiche direzionali».

Murialdi, Storia del giornalismo italiano, p. 142

La fascistizzazione della stampa

Le due facce del controllo dell’informazione:

• Riassestamento della mappa della stampa italiana

• Potenziamento dell’Ufficio stampa unificato della Presidenza del Consiglio e del Ministero dell’Interno, da cui partono i dispacci telegrafici ai prefetti

L’Ufficio stampa ordina con sempre maggiore frequenza di servirsi dell’Agenzia Stefani per le notizie che riguardano Mussolini, le decisioni del governo e i fatti politici delicati

La fascistizzazione della stampa

9 gennaio 1926: Mussolini telegrafa ai Prefetti che

«occorre smobilitare anche la cronaca nera» e ridurre «fino a farla scomparire la rubrica dei cosiddetti ‘stanchi della vita’».

Ma la moralizzazione forzosa del regime incontra resistenze nell’attaccamento dei giornali alla descrizione dei processi, dei fatti di sangue, delle rapine, alle notizie dei suicidi e dei duelli.

FOCUS: La cronaca nera

DELITTO D' AMORE. LINDA MURRI & CARLO SECCHI

Triangolo borghese in un interno

Linda era la figlia di un cattedratico molto stimato, raffinata e malinconica, finì vittima di un matrimonio sbagliato che causò la rovina della sua famiglia Una giovane donna delusa, l' amante, un fratello geloso legati da un destino di morte Si erano conosciuti dieci anni prima e poi mai più rivisti. Ma sotto la cenere ardeva la passione «Bambina mia, ti adorerei in ginocchio. Ti mando i baci nostri, quelli che lasciano impronta nel cuore»

(7 agosto 2004) - Corriere della Sera

FOCUS: La cronaca nera

Maria Tarnowska, la dark lady fedele solo al delitto

Era l�’epoca in cui regnava il feuilleton. Si leggevano Il padrone delle ferriere di Ohnet, Il romanzo di un giovane povero di Feuillet, Il matrimonio di chiffon di Gyp e, poi, si passava a viverli, quando si poteva. Era davvero una belle époque, anche se non esente da drammi e fattacci di cronaca nera, solo un po� più incantevoli di oggi, un po� più à la Pu�kin, anzi, siccome siamo in Italia, un po� più à la Gozzano, tra ufficiali squattrinati e contesse lussuriose, e dolci pomeriggi autunnali trascorsi in giardino - quello di Villa Amarena, of course - a osservar sospirando fiori e rose.

ilGiornale.it - Enrico Groppali - Dom, 31/01/2010

FOCUS: La cronaca nera

La contessa di Sciascia, giallo irrisolto

Va da se' che il titolo sta ad indicare una vicenda accaduta nel 1913, l' 8 novembre per l' esattezza, quando in un appartamento di corso Umberto a Sanremo la contessa Maria Tiepolo, moglie del capitano Carlo Ferruccio Oggioni, uccise con un colpo di rivoltella in faccia l' attendente del marito, il bersagliere Quintilio Polimanti. Tra il delitto e il processo (29 aprile 1914), passarono cinque mesi e mezzo: un intervallo brevissimo se confrontiamo i tempi dell' Italia giolittiana con quelli dell' attuale amministrazione della giustizia. Intanto il caso Tiepolo era scomparso dai giornali. […] L' italica grafomania ha una grande occasione per manifestarsi: alla corte e agli avvocati arrivano ben 1.109 lettere anonime.

(30 giugno 1996) - Corriere della Sera

FOCUS: La cronaca nera

“Tagliai qui, qui e qui: in meno di 20 minuti tutto era finito, compresa la pulizia. Potrei anche dimostrarlo ora”. Così nel 1946 la “saponificatrice di Correggio”, al secolo Leonarda Cianciulli, dichiarò in tribunale di essere disposta a far vedere come si fa a pezzi un cadavere in poche mosse. […] Una dopo l’altra, attirò in casa sua tre donne, sole e anziane, lusingandole con la promessa di una nuova vita lontano da lì, si fece firmare una procura con cui poteva vendere tutti i loro beni (e intascare i soldi ricavati) e le fece fuori a colpi di accetta per poi saponificarne i corpi. Nessuno avrebbe cercato quelle povere donne: la Cianciulli le aveva convinte a scrivere cartoline rassicuranti ai parenti, in cui annunciavano una partenza senza ritorno.

Focus.it, 08 Febbraio 2010

FOCUS: La cronaca nera

La modernizzazione si sviluppa su tre piani: tecnico, editoriale e giornalistico: • costruzione di nuovi stabilimenti e ammodernamento degli

impianti di produzione (rotative più veloci, procedimenti migliori per la stampa delle fotografie);

• aumento delle pagine (fino a 12); • rilancio dei giornali della sera, creazione del numero quasi-

sportivo del lunedì, aumento delle edizioni straordinarie; • distribuzione più rapida (sviluppo della motorizzazione); • impaginazione orizzontale, con titoli che tagliano le colonne

delle pagine; • ricerca di «grandi firme», specie per la terza pagina.

Un giornalismo più moderno nella fabbrica del consenso

Ermanno Amicucci inserisce nella «Gazzetta del Popolo» numerose rubriche a periodicità settimanale, che occupano una pagina del giornale:

• La cucina e il focolare• Diorama letterario• Fuorisacco• La moda italiana

Tentativi di «settimanalizzazione»

Diorama letterario della «Gazzetta del Popolo».

Torino, 1933/34

Alfredo Signoretti imposta per la «Stampa» una strategia editoriale e una formula giornalistica più autorevole, che consenta al giornale della FIAT di far concorrenza al «Corriere»: nessun inserto, niente colore, nessuna edizione provinciale; ma un’impaginazione moderna, uno stile chiaro, intraprendenza giornalistica e molte fotografie, soprattutto su «Stampa sera».

Aldo Borrelli assolve con intelligenza, abilità e zelo i compiti di fascistizzare e velocizzare tecnicamente il «Corriere»: cautela nella trasformazione della veste del giornale, che deve trasmettere autorevolezza al lettore; poche fotografie, e ancora un disegno per la terza pagina.

Murialdi, Storia del giornalismo italiano

La stampa «seria»

A cavallo del 1930 vengono installate le prime macchine per stampare in rotocalco, un procedimento che consente di riprodurre con grande efficacia le fotografie anche su carta non patinata.

Nascono settimanali sportivi, femminili, di cinema e per ragazzi.

Il rotocalco

1939: con «Oggi» e «Tempo» Angelo Rizzoli e Arnoldo Mondadori fondano i grandi reami del rotocalco, in concorrenza con la «Domenica del Corriere» e l’«Illustrazione Italiana».

Galeazzo Ciano, da Sottosegretario per la Stampa e la Propaganda, nel 1935 prende due iniziative importanti:

• mandare in onda dopo il Giornale Radio delle 20.00 un commento ai fatti del giorno, Cronache del Regime

le polemiche che Forges Davanzati svolge ogni sera alla radio si hanno enorme risonanza, mentre ai quotidiani spettano forme più sottili di persuasione, e un ruolo nello scacchiere internazionale

• estendere ad avvenimenti politici l’uso delle radiocronache in diretta, visto il grande successo che stanno ottenendo quelle di Nicolò Carosio per le partite della Nazionale di calcio

l’eco è molto diversa, i toni enfatici e retorici sono accettati solo quando è da «coprire» un discorso di Mussolini a Piazza Venezia

Il giornalismo fascistissimo

Tra il 1935 e il 1939 il numero di abbonati sale da 535,971 a 1,169,939, un balzo rilevante in un’Italia ancora rurale.

Il Giornale Radio conta nel 1936 sei edizioni quotidiane trasmesse a reti unificate: è il mezzo d’informazione più seguito e tempestivo.

Con la Guerra di Spagna, vengono attivate alcune emittenti antifasciste, che si contrappongono all’EIAR e danno vita alla «guerra delle onde».

La radio: seguita, tempestiva e «pluralista»

La stampa è chiamata a svolgere un ruolo peculiare e gravissimo nella campagna antisemita che sfocia nella persecuzione degli ebrei decisa dal Gran Consiglio il 6 ottobre 1938. i giornali vengono mobilitati per creare un problema che è estraneo alle concezioni e ai sentimenti della stragrande maggioranza degli italiani e poi per diffondere il razzismo.

Murialdi, Storia del giornalismo italiano, p. 166

I giornali e la difesa della razza

Nella Guerra d’Africa la complessa macchina costruita per mobilitare gli italiani ha successo nel montare motivazioni come la conquista del «posto al sole» o la civilizzazione degli abissini, e nel costruire il nemico nel Negus e nelle democrazie occidentali.

Nella Seconda Guerra Mondiale, una concezione ristretta e ottusa dell’informazione sull’andamento delle questioni belliche condiziona il lavoro dei corrispondenti (costretti a descrivere le impressioni più che i fatti) e, per la prima volta, fa scendere le vendite dei giornali. Rapporti dell’Ovra del 1940 dicono che «la gente non si accontenta più dei bollettini e dei comunicati» e «le corrispondenze di guerra, salvo rare eccezioni non vengono lette perché, si osserva, non sono altro che stiracchiate e inconcludenti diluizioni dei bollettini ufficiali»

À la guerre comme à la guerre

L’annuncio delle «dimissioni» di Mussolini e dell’incarico a Badoglio di formare un nuovo governo viene diramato per radio dopo le 22.00 del 25 luglio 1943.

I brevi commenti dei quotidiani si intitolano quasi tutti «Viva l’Italia»; nella cronaca del «Corriere» si legge: È difficile fare noi stessi un giornale quando, per vent’anni, ce lo siamo visti dettare da un ministero.

L’ultimo numero del «Popolo d’Italia», che riportava solo un breve corsivo sulla decisione del Gran Consiglio, non esce dalla sala spedizioni.

Il crollo del Regime

Il Governo militare alleato, attraverso il PWB (Psychological WarfareBranch) rilascia le autorizzazioni necessarie per stampare i giornali e provvede al funzionamento delle stazioni radio.

Gli Alleati non sono più disposti a veder uscire – accanto al proprio quotidiano – soltanto gli organi dei partiti. Vedono di buon occhio la comparsa di un quotidiano come «Il Tempo», creato da Renato Angiolillo e Leonida Répaci; vorrebbero l’immediata ripresa della pubblicazione del «Messaggero», il foglio popolare della capitale … autorizzano l’uscita dell’organo di Azione Cattolica «Il Quotidiano» e dell’«Italia nuova», di ispirazione monarchica.

Murialdi, Storia del giornalismo italiano, p. 187

I giornali nel dopoguerra

Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione.La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure.Si può procedere a sequestro soltanto per atto motivato dell'autorità giudiziaria nel caso di delitti, per i quali la legge sulla stampa espressamente lo autorizzi, o nel caso di violazione delle norme che la legge stessa prescriva per l'indicazione dei responsabili.In tali casi, quando vi sia assoluta urgenza e non sia possibile il tempestivo intervento dell'autorità giudiziaria, il sequestro della stampa periodica può essere eseguito da ufficiali di polizia giudiziaria, che devono immediatamente, e non mai oltre ventiquattro ore, fare denunzia all'autorità giudiziaria. Se questa non lo convalida nelle ventiquattro ore successive, il sequestro s'intende revocato e privo d'ogni effetto.La legge può stabilire, con norme di carattere generale, che siano resi noti i mezzi di finanziamento della stampa periodica.Sono vietate le pubblicazioni a stampa, gli spettacoli e tutte le altre manifestazioni contrarie al buon costume. La legge stabilisce provvedimenti adeguati a prevenire e a reprimere le violazioni.

Art.21

Tutti i partiti considerano urgente il varo di una legge organica sulla stampa; il Governo di De Gasperi elabora un progetto che è pronto nel marzo del 1947 ma viene discusso dall’Assemblea solo nel gennaio del 1948.

Ormai la Costituzione è entrata in vigore, e i partiti stanno già pensando alle non lontane elezioni per il primo Parlamento dell’Italia repubblicana. All’Assemblea prevale la scelta di provvedere alle norme più urgenti e di rimandare al futuro Parlamento il compito di varare una legge sulla stampa. Vengono accantonati problemi come la pubblicità dei finanziamenti, la responsabilità penale per i reati commessi a mezzo stampa, la disciplina della diffamazione.

Murialdi, Storia del giornalismo italiano, p. 203

Art.21

In vista delle elezioni del 18 aprile 1948, quasi tutti i quotidiani d’informazione sostengono De Gasperi e la Democrazia Cristiana. Oltre che sugli organi ufficiali («L’Unità», «l’Avanti), il Fronte popolare di Nenni e Togliatti può contare solo su fogli fiancheggiatori e su poche esperienze innovative come «Il Paese» di Roma.

Il Governo stringe i rapporti con l’ANSA attraverso l’erogazione di sovvenzioni annuali della Presidenza del Consiglio e dal Ministero degli Esteri.

Queste operazioni consolidano la polarizzazione dei giornali, alimentata dall’interno da tensioni politiche e sociali (l’attentato a Togliatti, l’adesione al Patto Atlantico) e dall’estero da grandi eventi come il blocco di Berlino, la vittoria di Mao, la guerra di Corea.

Un giornalismo schierato

Dalla metà del 1949 i quotidiani escono a 6 pagine più volte alla settimana; le 8-10 pagine arrivano dopo la guerra di Corea […]Accanto ai «fondi», in prima pagina c’è posto soltanto per le note e i «pastoni» di politica interna – sui quali pesano i noti condizionamenti – e per una o due corrispondenze dall’estero. Mai un’inchiesta né un articolo di intrattenimento culturale. Anche per la «terza» si nota un legame forte con la tradizione: l’elzeviro o un racconto in apertura, una corrispondenza di viaggio di spalla, una divagazione spesso erudita di taglio.

Murialdi, Storia del giornalismo italiano, p. 208

L’immoblismo dei quotidiani

25 luglio 1945: «Oggi» torna in edicola, battendo tutti i concorrenti, con alla direzione Edilio Rusconi.

4 novembre 1945: Gianni Mazzocchi e Arrigo Benedetti fondano «L’Europeo»; il formato «lenzuolo» consente soluzioni grafiche innovative, le inchieste di Camilla Cederna e Tommaso Besozzi rappresentano un nuovo modello di giornalismo.

Maggior diffusione la ottengono peròrotocalchi femminili e di fotoromanzi, come «Grand Hotel».

I giornali nel dopoguerra

«Il Mondo» di Mario Pannunzio, fondato nel 1949, rivista d’élite, dedicata a economia e politica, fece scuola come esempio di giornalismo intelligente, palestra di idee nel dibattito sullo sviluppo economico e sociale del Paese, voce «laica» non sottomessa ai «poteri forti».

«L’Espresso» nacque nel 1955 sotto la direzione di Arrigo Benedetti e con i capitali di Adriano Olivetti. Conquistò rapidamente lettori praticando un giornalismo animato da grande passione civile Capitale corrotta, nazione infetta, di Antonio Cederna, 1956Orientato a quello che Eugenio Scalfari definì liberalismo di sinistra, ambì a presentarsi come caso di editoria singolarmente «pura»

Newsmagazines

Nel 1956 nasce a Milano «Il Giorno». Protagonista dell’impresa editoriale, Enrico Mattei, presidente dell’ENI e fautore di una clamorosa politica di accordi con l’URSS e i Paesi arabi e africani.

Caso estremo di editoria «non pura», costituì un tentativo di spezzare il tradizionale legame con l’industria privata e di introdurre in Italia un giornalismo moderno, attento agli interessi del pubblico. Venne abolito il «pastone», sostituito da una concisa e chiara Situazione; vennero proposte analisi critiche dell’economia e delle questioni del lavoro; ampio spazio fu dedicato all’inchiesta, ma una certa attenzione fu concessa anche a temi quotidiani come la salute.

La sfida de « Il Giorno »