Storia di rassmea

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STORIA DI RASSMEA Mi chiamo Rassmea Salah, ho 31 anni, sono nata a Pavia, ma cresciuta a Milano, con intervalli in Egitto e in Arabia Saudita durante le scuole elementari. La mia esperienza politica nasce in realtà nel sociale. Anzi, in una redazione giornalistica, quella di Vita No Profit, dove ho collaborato come redattrice per il magazine Yalla Italia per ben 3 anni, dal 2007 al 2010. In quella fase della mia vita professionale ho avuto modo di approfondire la tematica dell’identità dei nuovi italiani, per poi scoprire i disagi e le problematiche legate al riconoscimento giuridico della cittadinanza, e quindi la legge basata sullo ius sanguinis. Lì è iniziato il mio supporto alla campagna per promuovere lo ius soli, perché credo fermamente che un cittadino italiano, nato e/o cresciuto qui, abbia il diritto di essere riconosciuto come tale dallo Stato. Non esserlo, è un po’ come uno dei tuoi genitori ti rifiutasse. È un rifiuto doloroso, a volte vissuto con amarezza e rancore. Io ho avuto la fortuna di nascere giuridicamente italiana, quindi non ho mai avuto problemi di questa sorte. Non conoscevo il problema e tutto ciò che gli italiani senza cittadinanza devono affrontare per avere il diritto di vivere nel proprio Paese: lunghe file in questura, rinnovo del permesso di soggiorno, umiliazioni, trattamenti da cittadini di serie B da persone che dovrebbero rappresentare al meglio le Istituzioni italiane, e che invece “abusano” del loro “potere” per umiliarti, darti del “tu” (che credo sia una forma di discriminazione linguistica verso gli immigrati e i nuovi italiani), e guardarti dall’alto in basso. Tutte cose che ho vissuto indirettamente dai racconti dei miei amici. E alcune che ho vissuto sulla mia pelle. Portando il velo, e avendo tratti tipicamente mediterranei/mediorientali, spesso vengo scambiata per una immigrata che non capisce bene l’italiano, o che non conosce il sistema Italia (a livello di burocrazia, regole, leggi e via dicendo). Mi sono poi affacciata al mondo della politica nel 2009. Quando per le elezioni europee sono stata scelta dal mio Comune di Bresso di fare la presidente di un seggio della mia città. Ci sono stati vari disordini nel mio seggio a causa di alcune persone che non mi ritenevano abbastanza italiana per ricoprire quel ruolo, pur essendo io laureata (due volte) e italiana di nascita e di cultura. Ma la mia appartenenza religiosa, espressa dal mio velo, e il mio nome dal suono così poco italiano, inducevano alcuni a pensare a me come elemento esterno alla società, come “extra”, come diversa, lontana, non dei nostri. Quella è stata per me il primo vero confronto con una politica che vedeva l’Altro come un qualcosa di diverso e che si opponeva ad esso, non

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STORIA DI RASSMEA

Mi chiamo Rassmea Salah, ho 31 anni, sono nata a Pavia, ma cresciuta a Milano, con intervalli in Egitto e in Arabia Saudita durante le scuole elementari.

La mia esperienza politica nasce in realtà nel sociale. Anzi, in una redazione giornalistica, quella di Vita No Profit, dove ho collaborato come redattrice per il magazine Yalla Italia per ben 3 anni, dal 2007 al 2010. In quella fase della mia vita professionale ho avuto modo di approfondire la tematica dell’identità dei nuovi italiani, per poi scoprire i disagi e le problematiche legate al riconoscimento giuridico della cittadinanza, e quindi la legge basata sullo ius sanguinis. Lì è iniziato il mio supporto alla campagna per promuovere lo ius soli, perché credo fermamente che un cittadino italiano, nato e/o cresciuto qui, abbia il diritto di essere riconosciuto come tale dallo Stato. Non esserlo, è un po’ come uno dei tuoi genitori ti rifiutasse. È un rifiuto doloroso, a volte vissuto con amarezza e rancore. Io ho avuto la fortuna di nascere giuridicamente italiana, quindi non ho mai avuto problemi di questa

sorte. Non conoscevo il problema e tutto ciò che gli italiani senza cittadinanza devono affrontare per avere il diritto di vivere nel proprio Paese: lunghe file in questura, rinnovo del permesso di soggiorno, umiliazioni, trattamenti da cittadini di serie B da persone che dovrebbero rappresentare al meglio le Istituzioni italiane, e che invece “abusano” del loro “potere” per umiliarti, darti del “tu” (che credo sia una forma di discriminazione linguistica verso gli immigrati e i nuovi italiani),  e guardarti dall’alto in basso. Tutte cose che ho vissuto indirettamente dai racconti dei miei amici. E alcune che ho vissuto sulla mia pelle. Portando il velo, e avendo tratti tipicamente mediterranei/mediorientali, spesso vengo scambiata per una immigrata che non capisce bene l’italiano, o che non conosce il sistema Italia (a livello di burocrazia, regole, leggi e via dicendo).

Mi sono poi affacciata al mondo della politica nel 2009. Quando per le elezioni europee sono stata scelta dal mio Comune di Bresso di fare la presidente di un seggio della mia città. Ci sono stati vari disordini nel mio seggio a causa di alcune persone che non mi ritenevano abbastanza italiana per ricoprire quel ruolo, pur essendo io laureata (due volte) e italiana di nascita e di cultura. Ma la mia appartenenza religiosa, espressa dal mio velo, e il mio nome dal suono così poco italiano, inducevano alcuni a pensare a me come elemento esterno alla società, come “extra”, come diversa, lontana, non dei nostri.

Quella è stata per me il primo vero confronto con una politica che vedeva l’Altro come un qualcosa di diverso e che si opponeva ad esso, non riconoscendogli non solo un ruolo attivo nella società, ma nemmeno l’appartenenza alla stessa.

Dopo quell’esperienza del 2009 ho quasi avuto timore della politica e me ne sono allontanata.

Poi dal 2010 al 2012 sono stata all’estero per lavoro. Ho assistito al crollo del regime trentennale dittatoriale dell’ex presidente della repubblica egiziana Hosni Mubarak, ho visto la rivoluzione, la prima elezione finalmente libera democratica, ho visto vincere Muhammad Morsi, il primo presidente che non veniva dalle fila della casta militare, ma dalla società civile. E la politica, è stata un po’ il mio pane quotidiano. Non si faceva che parlare di politica fra noi giovani, a lavoro, a casa in famiglia, al bar. Ovunque.

Una volta rientrata in Italia per completare il mio master in project managemente and social change, mi sono avvicinata alla redazione del Blog La Città Nuova del Corriere della Sera, dove ogni tanto scrivevo sempre dei temi che mi erano cari e che avevo nel triennio 2007-10 affrontato a Vita, ma da un’altra prospettiva, più matura, forse. E più sentita.

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Lì ho conosciuto Reas Syed, anche lui redattore per quel blog, che mi ha introdotta a Daniela Pistillo, responsabile del Forum Immigrazione a Milano. Tutto è nato da questa splendida amicizia fra noi tre.

Assolutamente scevra da qualunque tipo di interesse politico. Eravamo solo tre amici, che avevano intrecciato un bel rapporto umano.

Dopo alcuni mesi, si stavano avvicinando le elezioni regionali della Lombardia. Era l’inizio del 2013. Daniela fa sapere a me e Reas che la lista del Pd in supporto ad Ambrosoli avrebbe riservato un posto ai cosiddetti nuovi italiani. E lei stava pensando a uno di noi due. Reas ed io, in quella situazione, ci siamo – da amici – promessi sostegno reciproco a prescindere da chi fosse stato scelto. E così è stato. Reas è stato alla fine scelto e si è quindi candidato. E io da amica l’ho aiutato nella sua campagna elettorale. Durante l’ultimo giorno di campagna elettorale, in una piazza del Duomo gremita di persone, tutte riunite per sentire dal palco i big del Pd, da Bersani, a Prodi, allo stesso Ambrosoli, a Pisapia, io stavo distribuendo i volantini a sostegno di Reas. Quando a un certo punto vedo Daniela, che mi presenta ai compagni di Bresso, che non conoscevo. Mi introduce a Giuseppe Manni, ex sindaco di Bresso, e allora anche segretario del circolo di Bresso. E a Ugo Vecchiarelli, che si sarebbe di lì a poco candidato sindaco per le amministrative. Mi hanno subito chiesto un coinvolgimento nella campagna elettorale del Pd Bresso, e mi hanno chiesto se volevo candidarmi come consigliere comunale. La mia risposta fu negativa, per molte volte ho rifiutato questa proposta, perché non avrei avuto tempo da dedicare alla politica, visto e considerato che lavoravo molto fuori Milano e che non avevo davvero mai del tempo libero (passavo ogni giorno 3 ore in treno per andare e tornare da lavoro).

Alla fine, proprio il giorno stesso in cui le liste si dovevano chiudere, Ugo, il candidato sindaco, mi ha incontrata e mi ha convinta a candidarmi. Ho ceduto. Mi sono candidata, senza però fare campagna elettorale. I risultati, ciò nonostante, sono stati buoni, inaspettati. Sono arrivata prima fra i non eletti. E già per me questo era una vittoria. Pochi mesi dopo, il mio amico Pietro Ballotta, consigliere comunale per il PD già da 6 anni, ha deciso di trasferirsi a Bergamo, e quindi ha dato le dimissioni, lasciando a me quindi il suo posto. Da lì, è iniziata la mia vita politica.

Consigliera comunale del Pd per Bresso; entro subito a far parte della commissione dei mezzi di trasporto pubblici. Poi mi hanno scelta per entrare a far parte della consulta del volontariato. Una realtà molto ricca e presente sul territorio bressese. E ancora, mi hanno eletta a membro della Direzione metropolitana del PD di Milano. E come se non bastasse, durante le elezioni per scegliere il nuovo segretario, mi hanno votata per essere il vice segretario del circolo “Angelo Vassallo” di Bresso, e mi occupo quindi degli eventi culturali del circolo, del ciclo di conferenze. Ho sinora portato al circolo Pietro Bussolati, segretario metropolitano del PD, Lia Quartapelle, deputata alla Camera, Khalid Chaouki, deputato alla Camera, Laforgia, candidato alle Europee.