Storia della Città Utem Montebelluna · classe dirigente, un notabilato rurale solido, grezzo e...

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Storia della Città Utem Montebelluna Il Mercato © Lucio De Bortoli 2012

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Storia della Città Utem Montebelluna

Il Mercato

© Lucio De Bortoli 2012

  Come detto Mercato e Castello convivono. La prima notizia dell’esistenza del Mercato è però. come sappiamo, il diploma imperiale di Federico I del 3 novembre 1157 e la concessione al vescovo Ulrico di riscossione del teloneo (imposta indiretta sul transito e circolazione merci). Nei primi decenni del ‘300 tale riscossione passerà al Comune di Treviso che sottrarrà la giurisdizione all’episcopato.

  Nel medioevo il mercato si teneva nel “Musile”, il grande prato che in genere si trovava poco fuori del centro abitato (Treviso, Castelfranco, Asolo). Nel Musile si teneva anche la fiera annuale il giorno della Natività della Vergine, cioè l’8 settembre.

  La scomparsa del Castello non portò evidenti conseguenze negative per il mercato che continuità a godere di vitalità e prestigio, nonostante i vincoli statutari del Comune di Treviso, contro i quali gli abitanti di Montebelluna procederanno spesso (1288)

  Per il periodo che precede l’arrivo di Venezia, la fortuna del mercato è confermata in particolare da una fonte: gli atti del notaio Giacomo da Capodimonte. Gli atti riguardanti le transazioni concluse nello spazio del mercato in un giro d’anni a metà del Trecento sono innumerevoli (oltre 1300) e costituiscono un caso unico nella realtà trevigiana. Gli atti di Giacomo consentono anche di disporre di un quadro merceologico (che cosa si vendeva) piuttosto ampio.

  Finalmente nel 1313 il Comune di Treviso concede la celebrazione ancora di domenica, ma settimanale e non più mensile. Un riconoscimento molto chiaro dell’importanza di Montebelluna per l’economia di quella parte di territorio trevigiano (la tradizione di MB centro di scambio ribadita) e un tentativo di vitalizzare l’insediamento castellano, da tempo in crisi demografica.

  Nel 1317 quando gli abitanti presentarono una supplica al podestà per denunciare una situazione di abuso che diventerò permanente con l’arrivo di Venezia: si tratta degli abusi “di coloro che affermano di essere i guardiani delle merci”, vale a dire le prepotenze dei dazieri che esigevano più di quanto era dovuto o esigevano il pagamento di imposte a chi ne era esonerato; a questo si aggiungevano i taglieggiamenti del capitano e delle guardie del castello. Tutti questi elementi contribuirono allo spopolamento de luogo.

  Con l’arrivo di Venezia nel 1338 cominciano i problemi relativi alla commercializzazione dei prodotti strategici, come il grano. La città, allo scopo di precostituire le scorte di grano da vendersi a prezzo calmierato nelle situazioni di emergenza, predispose l’istituzione di organi adibiti alla registrazione delle quantità di grano esistenti, impedendone la vendita e consentendone solo l’uso alimentare di base (denuncie biave) requisendo il resto.

  La limitazione si estese anche alla commercializzazione nei mercati, colpendo pesantemente le comunità rurali. La gravità della situazione del montebellunese portò ad un’azione da parte dei montebellunesi che ricorsero a Venezia riottenendo la riapertura almeno per un anno.

  Un’azione analoga si verificò per la lana (protezionismo industria tessile trevigiana e veneziana) per la quale si proibiva la vendita fuori dei confini del distretto.

  Da questo momento in avanti, la plurisecolare vicenda di quest'emporio si costruirà attorno ai precedenti e alle consuetudini (prassi del tutto comune in antico regime, costruito tutto sul privilegio e sulla distinzione cetuale pena la sua scomparsa) e quindi la difesa del privilegio fiscale, una liceità fondata sull'auctorictas divina e imperiale. Attorno a ciò Montebelluna costruisce la sua identità: la lotta contro i dazi che colpivano le merci di largo consumo, quelle dei poveri.

  E' quindi singolare che la riconoscibilità di un luogo passi attraverso la resistenza ad una, per quanto iniqua, tassazione. Attorno a questa difesa si aggregheranno interessi e ruoli, convenienze e rendite di posizione; si formerà persino un classe dirigente, un notabilato rurale solido, grezzo e deciso. La storia del mercato è infine la storia di un assedio fiscale che assumerà forme diverse a seconda del periodo.

 La difesa comincia veramente solo nel Cinquecento. L’esenzione godeva di rispetto sino a che si connetteva all'area incastellata, ma poi l'arrivo dello stato veneto e delle magistrature fiscali, il carattere sempre più remoto e convenzionale delle convalide, il cambiamento di mentalità e la ridefinizione degli apparati dello stato, colpiscono sensibilmente le capacità di conservazione di un diritto, di fatto, medioevale.

 Vediamo un caso (tra gli innumerevoli), quello che porterà alla leggendaria Ducale Cicogna del 1593.

 La pretesa è quella dei dazieri di riscuotere a intervalli periodici. L’istruttoria è completa e spiega bene la procedura.

•  Siamo negli anni '80 del Cinquecento. Gli uomini di Montebelluna, i delegati degli amministratori locali della Fabrica, ente di gestione di S.Maria in Colle e di conseguenza, vista appunto la titolarità vescovile, del mercato, decidono di rivolgersi alla Cancelleria Pretoria di Treviso per mettere fine alle arroganze degli ufficiali del dazio.

•  I dazieri puntavano tutto sul principio di vetustà. Il ginepraio delle magistrature veneziane autorizzava qualsiasi tentativo (reciproche smentite). I dazieri partivano dal presupposto che il silenzio legislativo delle magistrature sull’esercizio del privilegio e i frequenti avvicendamenti podestarili con conseguente “ignoranza” del nuovo arrivato, costruissero ragioni sufficienti per sostenerne la decadenza.

•  gli uomini della Comunità dovevano quindi, periodicamente, preparare la linea difensiva, composta di legulei e causidici

•  In pratica, come emerge dalla causa del 1584, i legali delle parti producevano domande e suppliche comprovanti le proprie ragioni, i dazieri le leggi ordinarie in materia fiscale e i precedenti, Montebelluna le prove della legalità consuetudinaria e le numerose convalide della franchigia. Successivamente si metteva in luce la malizia dell'avversario (i dazieri, ad esempio, estorcevano spesso e volentieri ricevute di pagamento del dazio sottoponendo a minacce i mercanti e cercando così di dimostrare che l'esenzione non c'era de facto) e le violazioni della stessa autorità competente che ignorava le disposizioni Ducali.

•  Le parti producevano poi articolatissimi capitoli a tesi. •  I montebellunesi negavano i precedenti di riscossione fiscale sul suolo

mercantile e precisavano che il dazio sugli esercizi pubblici delle osterie e delle beccarie riguardava esclusivamente lo spazio plebano, insistendo con dovizia di argomentazione sulla separazione del mercato dalle ville sottostanti (principio dell'extraterritorialità dell'area, come dimostrato dai documenti sulle manutenzioni stradali

  L'irresponsabilità del Marcà o Casteler, viene ribadita nei capitoli del Piovego dove si dichiara che l'area mercantile è completamente esente persino da ogni sorta di gravezza e angheria. D'altronde, se così non fosse, verrebbe meno la sua prosperità. Ed è su questo punto che la difesa gioca le sue carte migliori.

  Prosperità significa circolazione di merci e di denaro in un'area ben più vasta del montebellunese, fino a Venezia, prosperità aiuto ai poveri ai bisognosi, ai viandanti e ai vagabondi, ai trovatelli e alle vedove: la confraternita dei Battuti esiste anche perché esistono le rendite del foro.

  esso mercato franco (…) è di gran commodità alli circonvicini per poter comprar e vender (…) è di gran solevamento alli poveri perché ivi trovano da mangiar et bever à buonissimo mercato" (non così se non fosse esente);

  prosperità significa garantire assistenza ai bisognosi, ai viandanti e ai vagabondi, ai trovatelli e alle vedove: la confraternita dei Battuti esiste anche perché esistono le rendite del foro. Tutto questo che va "à beneficio universale de tutti … e di questo contorno di trevigiano" è sistematicamente messo in pericolo dalle pretese dei dazieri

  Come si può vedere, le ragioni esibite dagli avvocati e dai procuratori della Comunità erano difficilmente attaccabili, almeno fino a che i rapporti tra centro e periferia avessero conservato la natura di quella singolare triangolazione politica Dominante-città-contado nella quale Venezia, inserendosi con calcolata sagacia e calcolatissimo utile nella secolare contrapposizione città-contado, aveva fatto leva sui contadini assumendone, nella forma, la difesa nei riguardi di quella classe dirigente urbana che, piegata nel corso delle annessioni quattrocentesche, aveva rialzato la testa in occasione della crisi di Cambrai e continuava a rappresentare, pur nella sua modestia politica, una potenziale spina nel fianco.

  E’ poi significativo rilevare come nel linguaggio dei decreti veneziani ricorra con insistenza la sottolineatura ai fedelissimi di Montebelluna; formula di rito ma in quel mondo le formule e i riti, prima di essere tali, rispondevano a realtà consolidate, consuetudinarie, stabili, ricche di senso

•  Inoltre, la comunità di Montebelluna, sia pure priva di sede istituzionale, si estendeva, tuttavia, su un territorio, l'antica area plebana, considerevole e strategicamente delicato, posto alla fine della piana, all'imbocco dei rilievi che portano alle prealpi, porta sulla Piave e sull'asse che apre al feltrino e al bellunese. Montebelluna era poi sede di deciso investimento fondiario. Correr e Pisani a Biadene, Barbarigo a Guarda, Cicogna e Mora a Visnà, Contarini a Posmon, Nani a Pieve, i Castelli sul Marcà, erano da tempo insediati, con tanto di ville padronali e di rete clientelare.

•  Va poi ricordato la questione Pola e le allegazione di fine ‘700.

•  Del resto, che il mercato continuasse ad essere comunque rilevante nel quadro della produzione e nello smercio di alcuni generi alimentari e che, al tempo stesso, l'atteggiamento delle autorità venete stesse inesorabilmente mutando, è testimoniato dalla relazione tardo settecentesca del Podestà Redetti, che denuncia la comunità di accaparamento del burro e poi rinuncia alla causa per la forza degli uomini della Fabrica.

•  Il che dimostra, da altro versante, il grado di decisa competenza raggiunta dagli uomini della Fabrica nella difesa del privilegio. E fu pertanto in tali occasioni che l'archivio delle chiesa venne probabilmente organizzato in funzione della documentazione necessaria. Ciò ha permesso agli storici di veder elencati, spesso in copie maldestre ed estenuanti, le centinaia di cause e conflitti che hanno accompagnato nei secoli il destino del mercato

•  i grossi capitoli contro il dazio di Padova e, dal XVI secolo •  l'infinito braccio di ferro con la Camera Fiscale trevigiana •  le innumerevoli cause intentate su temi specifici (dazi di nuova

istituzione, dazi sul bestiame) •  la grande difesa dell'esenzione a metà Settecento di tutto il pacchetto

dei "dazi vecchi" •  la progressiva erosione dei privati dei diritti sugli esercizi pubblici (pan

e vin, beccarie) •  la parziale alienazione del suolo pubblico, le proteste contro ogni

tentativo di istituire mercati concorrenti (Badoere, metà '600) •  le istruttorie e le sentenze a favore ottenute contro le pretese

normative da alcune corporazioni urbane (pellizzeri e calegheri trevigiani), un singolare caso di scontro tra privilegi.

•  Uno sforzo che ha però forgiato un'elite locale meno sprovveduta di quanto si pensi.

•  Il suolo del mercato produceva rendita. La F.ca affittava il suolo, il mercante costruiva bottega o mantelletto), cifre importanti ma non tali da giustificare la corsa a far parte della Fabrica.

•  Si ritorna dunque all'identità. Il mercato era ormai diventato la sigla del montebellunese, difenderlo era difendere se stessi, il proprio orgoglio comunitario, la propria identità sociale, la propria diversità. Amministrare la Fabrica e di conseguenza il mercato significava raggiungere uno status e una riconoscibilità sociale difficilmente monetizzabili. Il prestigio poi passava necessariamente attorno alle capacità di sostenere la difesa. Dimostrare capacità di resistenza contro gli agenti esterni aumentava la considerazione degli altri: sostenere le ragioni del mercato davanti alle magistrature significava sostenere tutti e tutelare il proprio volto comunitario. Solo così si spiega una pertinacia tanto secolare quanto superata dai fatti. Solo pensando che si trattava, in realtà, del modo straordinario attraverso cui un posto si nominava e diventava storia.

•  Per queste ragioni, e altre ancora, la carica di massaro della Fabrica era così ambita. E per queste ragioni, i cinque villaggi della Comunità accettano di accollarsi ogni spesa di manutenzione riguardante l'area del mercato.

  Area protetta e sostenuta dunque, ma anche area sempre più extraterritoriale e che col passar degli anni muta quasi completamente la sua natura. Il nucleo pienamente abitato all'ombra del castello si riduce a 6 famiglie nel 1590. La gente scende, sul colle si sale solo al mercoledì. E' pur vero che dalla fine del Seicento a tutto il Settecento il numero dei residenti aumenta sensibilmente.

  Insomma, l'aumento degli esercizi commerciali, l'arrivo di importanti foresti, il grande sviluppo demografico montebellunese tra Sei e Settecento, consentono di ribadire che, in controtendenza rispetto all'andamento generale, XVII e XVIII secolo furono i secoli del boom del mercato. A Metà Settecento i residenti sul colle superano i 200, e tra questi il numero di artigiani e borghesi legati ad attività commerciali e professionali è altissimo

•  Il mercato diventa nel Sei e Settecento un centro di scambio ma anche di socialità, in cui in spazi destinati a diventare sempre più angusti si vende e si compra, ma soprattutto si liberano energie attraverso relazioni, rapporti, operazioni economiche in un contesto che ci è difficile ricostruire nella sua più autentica dimensione.

•  La grande attenzione riservata alla gestione delle strade (problema endemico) e degli spazi è poi ben visibile nella cura con cui si collezionano gli atti di affittanza, sparsi in grande quantità nei rogiti notarili. Si tratta di documenti ricchissimi di informazioni e di indizi che, in assenza di coevi disegni particolareggiati, ci consentono di ricostruire i tratti urbani del foro mercantile.

  Le indicazioni toponomastiche dei contratti d'affitto coincidono comunque piuttosto bene con il quadro che emerge dalla tavola napoleonica e, soprattutto, dall'analitica mappa censuaria di metà Ottocento che, in tutta evidenza di riscontri, riproduce una situazione da tempo bloccata. Ciò che emerge è un insieme di spazi intasati, segnati da numerossime evidenze segnaletiche:

  Le fabbriche, edifici, botteghe (in muratura), i posti, man­telletti, banche inservienti, generalmente movibili (in legno), si distribuivano lungo la cerniera degli assi viari e nelle piazzette. I toponimi rintracciati sono ricchi di informazioni topo­grafiche e tematiche : piazza dei porzi, piazza (mercato) delle biave, mercato de buoi e manzi, mercato delle donne, mercato dei cavalli (stanghe), mercato dei temporali (salumieri), riga de marzari (banche poste lungo via per le mercerie), riga de caseruoli (sotto via), riga de mantelletti da panni (struttura mobile sorretta da forchette di legno), statio e ordine de calegari (calzolai), banche ferramenta, rivetta scola dei Battuti, trozo rabioso (sentiero tortuoso posto ad est verso Biadene), busa appo la gesiola (ora S.Biagio), porta piccola, loco deto dietro la bottega del Parme­san, et cet.

•  Riepilogando: •  la piazza delle biade nell'area a sud dell'attuale piazza delle Ducali, •  il mercato dei bovini a nord, il mercato e stallaggio dei cavalli lungo la

beccaria in muratura a nord-est, •  quello dei maiali a sud-ovest, le cosiddette righe dei merciai, dei

tessutti e dei panni, dei cordai, dei calzolai, dei casaroli, cioè gli allineamenti trasversali di botteghe e mantelletti nell'area centrale più volte richiamati dalla documentazione notarile del '600

•  le piccole piazzette dedicate al mercato delle donne, alla frutta e alle noci e a quello dei temporali (salumieri)

•  le banche della ferramenta, i posti mobili lungo le vie di attraversamento, lungo la busa appo la gesiola, lungo la rivetta dei Battuti (Groppa) assieme agli ovini, lungo il luogo dell'antica porta piccola (probabilmente quella di Bagnalasen)

•  gli esercizi di osteria e beccaria in muratura rilevati dai Castelli a fine Seicento.

•  L'esiguità dello spazio disponibile spinse gli amministratori a stabilire una normativa di costruzione piuttosto rigida.

•  I fondi venivano locati e il commerciante costruiva la sua struttura, stabile e di sua proprietà, l'ambulante posizionava le sue cose. La Fabrica conservava una sorta di diritto di prelazione in caso di vendita da parte del proprietario e consegnava al titolare il disegno dello stabile.

•  Il titolare della bottega avrebbe costruito obbedendo ad una tipologia costruttiva determinata, al fine evidente di mantenere l'uniformità urbanistica del sito (rispetto dimensioni, contiguità con i confinanti)

•  Le botteghe erano disposte in file (le righe), addossate cioè l'une sulle altre e "separate da pareti comuni pure in tavole"; la copertura in coppi era in comune e si sviluppava senza interruzione lungo l'intera fila di costruzioni.

  Gli elementi portanti della tradizionale botega e hosteria erano le forchete (un palo a due punte), generalmente sei che sostenevano la copertura a coppi, qualche decina di tavole di legno in funzione di pareti e delle travi per il controsoffitto. Il tutto poteva valere poco più di 80 lire venete in fase di costruzione; valore che però aumentava anche fino a 2000 lire in caso di vendita.

  accanto all’hosteria (botega) troviamo anche il mantelletto interamente di legno

  Secondo una stima dei montebellunesi Francesco Dea (muraro) e Marco Zandonà (marangon), un bottega tipo poteva valere attorno alle 80 lire, poco più di tre ducati. La sua costruzione imponeva l'uso dei seguenti materiali: 320 coppi (L.22), 6 forchette grandi e pic­cole (L.26), 42 tavole di legno "intorno à detta bottega" in funzione di pareti (L.17), 6 "legni diversi" posti sotto la copertura (L.8), 2 rampini (sorta di grappe metalliche) e diversi chiodi (L.5)(14)

•  L'emporio montebellunese era di gran lunga il più rilevante di un'area piuttosto vasta che si estendeva tra Feltre e Treviso.

•  Oltre la metà delle merci prendeva la strada del feltrino e del bellunese, del solighese e del Quartier del Piave; una certa percentuale era indirizzata ad ovest e sud-ovest, verso il bassanese, l'asolano e il padovano. Sappiamo però che quantitativi importanti di cereali finivano a Venezia, ma si trattava di flussi "istituzionali", registrati dalle magistrature.

•  Per il resto, i dati che provengono dalla Diaria di transito risentono delle stesse limitazioni registrate per le destinazioni. Abbiamo così percentuali abbastanza scontate (24%) per merce varia e diversa non altrimenti specificata; per i generi alimentari (22%) e, a seguire, per cereali, animali da allevamento, panni e mercerie, olio e aceto, utensili, legno, ferramenta e calzature. Trattandosi di Montebelluna, la trascurabulità della vendita di calzature stupisce; ma, per quanto ne sappiamo, il dato potrebbe rientrare nella merce diversa o confermare la convinzione, peraltro poco sostenuta da prove, di una vocazione manifatturiera che prenderà piede solo nella seconda metà dell'Ottocento.

Disponiamo poi di un quadro completo della disposizione dei punti vendita. Si tratta di un Catastico Fabbriche esistenti nella Piazza del Mercato che elenca tipologie e mercanti in modo piuttosto capillare. I dati si riferiscono alla fine del XVIII secolo e mostrano una tenuta del numero di box ancora relativamente buona. A fronte dei 141 stazi fissi disponibili ne risultano affittati 136; qualche lacuna in più, invece, nelle cosidette banche movibili, in cui risultano liberi 39 spazi su un totale di 187. La tipologia degli esercizi presenta 91 botteghe, 15 mantelletti, 14 osterie, sei case –probabili strutture in muratura- tre beccarie, 2 magazzini e 5 stallaggi. Se le osterie e le beccarie sono quasi tutte condotte da montebellunesi, in più occasioni titolari, peraltro, di cariche amministrative in seno alla Fabrica (Bonsembiante, Serena, Garbuggio, Vendramini), nel quadro, al quale si rimanda in appendice, spicca decisamente il peso dei padovani Galante e della famiglia Castelli, titolare e proprietaria di spazi e esercizi in numero di 20 locali tra botteghe e mantelletti, di due magazzini e di un edificio denominato casa, sicuramente una struttura muraria come i magazzini citati e da non confondere, in ogni caso, con il cosiddetto Casteler posseduto anch'esso dai Castelli unitamente al fondo ad esso collegato.