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STORIA DEL PENSIERO POLITICO CONTEMPORANEO Docente Prof. Scuccimarra Lezione n. 8 II SEMESTRE A.A. 2017-2018

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STORIA DEL PENSIERO POLITICO CONTEMPORANEO

Docente Prof. Scuccimarra

Lezione n. 8

II SEMESTRE

A.A. 2017-2018

Max Weber:

«Come ogni altra attività, l’attività sociale può essere

determinata:

1) In modo razionale rispetto allo scopo (zweckrational),

attraverso delle aspettative concernenti i comportamenti

degli oggetti del mondo esteriore o quelli degli altri uomini;

2) In modo razionale rispetto al valore (wertrational) attraverso

la credenza cosciente nel valore intrinseco di un

comportamento – di ordine etico, estetico, religioso o altro –

indipendentemente dal successo sperato;

3) Secondo gli affetti (in particolare le emozioni), a partire dalle

passioni e dai sentimenti specifici degli attori;

4) Secondo la tradizione, in virtù di abitudini inveterate».

Max Weber:

«Agisce in maniera razionale rispetto allo scopo

colui che orienta il suo agire allo scopo, ai

mezzi e alle conseguenze concomitanti,

misurando razionalmente i mezzi in rapporto

agli scopi, gli scopi in rapporto alle

conseguenze ed infine anche i diversi scopi

possibili in rapporto reciproco: in ogni caso

egli non agisce quindi né affettivamente né

tradizionalmente»

Il «politeismo dei valori»:

«Tra i valori (…) si tratta in ultima

analisi, ovunque e sempre, non già di

semplici alternative, ma di una lotta

mortale senza possibilità di

conciliazione, come tra ‘dio’ e il

‘demonio’».

Max Weber:Uno degli elementi costitutivi dello spirito capitalistico moderno (e

non soltanto di questo, ma della civiltà moderna), ossia la condotta

razionale della vita sul fondamento dell’idea di professione, è nato

(…) dallo spirito dell’ascesi cristiana… Quando infatti l’ascesi fu

trasferita dalle celle dei monaci alla vita professionale e cominciò a

dominare l’eticità intra-mondana, essa cooperò per la sua parte

all’edificazione di quel possente cosmo dell’ordinamento economico

moderno, legato ai presupposti tecnici ed economici della produzione

meccanica, che oggi determina con strapotente forza coercitiva – e

forse continuerà a determinare finché non sarà bruciato l’ultimo

quintale di combustibile fossile – lo stile di vita di tutti gli individui

nati in questo ingranaggio, e non soltanto di quelli direttamente attivi

nell’acquisizione economica.

Max Weber:

Secondo l’opinione di Richard Baxter, la cura per i beni

esteriori doveva avvolgere le spalle dei suoi santi soltanto come

un ‘sottile mantello che si possa gettar via in ogni momento’.

Ma il destino fece del mantello una gabbia di acciaio. Mentre

l’ascesi intraprendeva lo sforzo di trasformare il mondo e di

esercitare la sua influenza nel mondo, i beni esteriori di questo

mondo acquistavano un potere crescente e, alla fine,

ineluttabile sull’uomo, come mai prima nella storia. Oggi il suo

spirito – chissà se per sempre – è fuggito da questa gabbia. In

ogni caso il capitalismo vittorioso, da quando si fonda su una

base meccanica, non ha più bisogno di questo sostegno.

Max Weber:

Nessuno sa chi in futuro abiterà in quella gabbia e se, alla

fine di questo enorme sviluppo, vi saranno profeti

interamente nuovi o una potente rinascita di principi e di

ideali antichi, oppure ancora – escludendo l’una e l’altra

alternativa – una pietrificazione meccanizzata, adornata di

una specie di convulso desiderio di sentirsi importante.

Allora, certo, per gli ‘ultimi uomini’ di questo sviluppo

culturale potrebbe diventare verità il principio: ‘specialisti

senza spirito, gaudenti senza cuore – questo nulla

s’immagine di essere salito a un grado mai prima raggiunto

di umanità.

Max Weber: la teoria politica

Con Macht si intende «ogni possibilità di

imporre la propria volontà all’interno di una

relazione sociale anche contro eventuali

resistenze, qualunque sia il suo fondamento».

Herrschaft è «la possibilità di trovare

obbedienza ad un comando di contenuto

determinato da parte di qualsivoglia persona»

Max Weber: la teoria politica

«Gli agenti possono accordare a un ordine una validità

legittima:

a)In virtù della tradizione: validità di ciò che è sempre

stato;

b)In virtù di una credenza di ordine affettivo (del tutto

emozionale): validità della nuova rivelazione o

dell’esemplarità;

c)In virtù di una credenza razionale secondo dei valori:

validità di ciò che si ritiene essere un assoluto;

d)In virtù di uua disposizione positiva, alla legalità della

quale si crede».

Max Weber: la teoria politica

«Ci sono tre tipi di dominazione legittima. La validità di questa legittimità

si può basare:

1)Su dei motivi razionali, che si basano sulla credenza nella legalità dei

regolamenti emanati e del diritto di dare delle direttive che hanno coloro

che sono chiamati a esercitare l’autorità con questi mezzi (autorità legale);

2)Su dei motivi tradizionali, che poggiano sulla credenza quotidiana nella

santità delle tradizioni immemoriali nella legittimità di coloro che sono

chiamati ad esercitare l’autorità attraverso tali mezzi (autorità tradizionale);

3)Su dei motivi carismatici, che poggiano sulla devozione nei confronti

della santità eccezionale, della virtù eroica o del carattere esemplare di una

persona individuale, o ancora che emanano da ordini rivelati o emanati da

quella (autorità carismatica)».

L’ « etica della convinzione» e l’

«etica della responsabilità»:

L’uomo dell’etica della responsabilità (…) mette in conto proprio

quei difetti riscontrabili nella media degli uomini, (…) non si

sente autorizzato a scaricare sugli altri le conseguenze del suo

operare, nella misura in cui egli le poteva prevedere. (…) L’uomo

dell’etica della convinzione si sente «responsabile» solo riguardo

a che il fuoco della pura convinzione non si spenga, il fuoco ad

esempio della protesta contro l’ingiustizia dell’ordine sociale.

Ravvivare di continuo questo fuoco è lo scopo delle sue azioni del

tutto irrazionali, se giudicate a partire dal possibile successo, le

quali possono e devono avere soltanto un valore esemplare… (M.

Weber, La politica come professione)

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Docente Prof. Scuccimarra

Lezione n. 9

II SEMESTRE

A.A. 2017-2018

Ernst Jünger, Nelle tempeste d’acciaio, Premessa :

(…) Ci volle una bella energia per riempire un mucchio di

taccuini nelle brevi pause della battaglia, dopo le fatiche

imposte dal fronte... L'uomo inclina a idealizzare quanto ha

fatto, ad occultare il laido, il meschino, il quotidiano... Io non

voglio descrivere come sarebbe potuto essere, ma come fu. (…)

Il grado di oggettività di un libro del genere rappresenta la

misura del suo valore. Come tutte le attività umane, la guerra è

composta di bene e di male. Solo che in essa, per la tensione

altissima raggiunta dalla forza dei contendenti, gli opposti si

scontrano in modo più aspro che altrove. Accanto a valori

supremi si spalancano abissi tenebrosi...»…

Ernst Jünger, Nelle tempeste d’acciaio:

(…) Il 16 giugno il generale ci rispedì alle nostre unità con un breve

discorso, dal quale potemmo facilmente dedurre che il nemico preparava

una grossa offensiva sul fronte occidentale e che l'ala sinistra del suo

schieramento si trovava già quasi tutta dinanzi alle nostre posizioni. Era la

battaglia della Somme che proiettava le sue prime ombre. Essa segnava la

fine del primo periodo di guerra, quello meno duro; ormai, in un certo

senso, ci apprestavamo a una guerra nuova. Ciò che fino a quel momento

avevamo conosciuto era stato, senza che ce ne rendessimo conto,nient'altro

che il tentativo di vincere la guerra con battaglie condotte alla vecchia

maniera, tentativo inesorabilmente sfociato nella snervante guerra

diposizione. Ora ci attendeva la battaglia dei «materiali» col suo gigantesco

spiegamento di mezzi. Questa a sua volta diventò, verso la fine del 1917,

una battaglia di mezzi meccanizzati, la cui fisionomia però non giunse a

delinearsi in tutti i suoi particolari…

Ernst Jünger, Nelle tempeste d’acciaio:

(…) Il 16 giugno il generale ci rispedì alle nostre unità con un breve

discorso, dal quale potemmo facilmente dedurre che il nemico preparava

una grossa offensiva sul fronte occidentale e che l'ala sinistra del suo

schieramento si trovava già quasi tutta dinanzi alle nostre posizioni. Era la

battaglia della Somme che proiettava le sue prime ombre. Essa segnava la

fine del primo periodo di guerra, quello meno duro; ormai, in un certo

senso, ci apprestavamo a una guerra nuova. Ciò che fino a quel momento

avevamo conosciuto era stato, senza che ce ne rendessimo conto,nient'altro

che il tentativo di vincere la guerra con battaglie condotte alla vecchia

maniera, tentativo inesorabilmente sfociato nella snervante guerra

diposizione. Ora ci attendeva la battaglia dei «materiali» col suo gigantesco

spiegamento di mezzi. Questa a sua volta diventò, verso la fine del 1917,

una battaglia di mezzi meccanizzati, la cui fisionomia però non giunse a

delinearsi in tutti i suoi particolari…

Ernst Jünger, Nelle tempeste d’acciaio:

(…) In tutta la guerra soltanto quella

battaglia mi rivelò l'esistenza di una sorta di

orrore ignoto e strano come una terra

sconosciuta. Così in quegli attimi non

avvertii alcun timore, ma anzi

un'eccitazione straordinaria, quasi

demoniaca; ebbi anche accessi di riso folle

che non riuscivo in alcun modo a contenere.

Ernst Jünger, Nelle tempeste d’acciaio:

…Tra le nove e le dieci il fuoco raggiunse una violenza pazzesca.

La terra tremava, il cielo sembrava una gigantesca marmitta in

ebollizione. Centinaia di batterie pesanti tuonavano a Combles e

nei dintorni, innumerevoli granate si incrociavano urlando e

miagolando al di sopra di noi. Tutto era avvolto in un fumo denso

rischiarato dalle luci funeree dei razzi colorati. Soffrivamo di

violenti dolori alla testa e alle orecchie, né potevamo intenderci se

non urlando parole staccate. La facoltà di pensare logicamente e il

senso della gravità sembravano scomparsi. Si era in preda al

sentimento dell'ineluttabilità e della necessità come davanti al

furore degli elementi scatenati. Un sottufficiale del terzo plotone

impazzì…

Ernst Jünger, Nelle tempeste d’acciaio:

…A sera, poco prima delle dieci, una tempesta di fuoco si abbatté

sull'ala sinistra del reggimento e giunse su di noi venti minuti più tardi.

In un attimo fummo completamente sommersi dal fumo e dalla polvere,

ma i colpi cadevano per la maggior parte proprio davanti o dietro la

trincea, se è possibile dare questo nome a quella piega del terreno

passata al rullo compressore. Mentre l'uragano si scatenava attorno a

noi, ispezionai il settore tenuto dal mio plotone. Gli uomini avevano

innestato la baionetta sulle canne dei fucili. Stavano in piedi, immobili

come statue, sulla scarpata anteriore della strada guardando in avanti. Di

tanto in tanto, alla luce di un razzo, vedevo gli elmetti d'acciaio serrati

l'uno all‘ altro, le baionette brillare lama contro lama. Sentivo nascere

dentro di me la coscienza di essere invulnerabile; ci potevano

schiacciare, ma non vincere.…

Ernst Jünger, La mobilitazione totale:

(…) La mobilitazione parziale corrisponde (…)

all’essenza della monarchia, la quale oltrepassa i propri

limiti precisamente in quanto è costretta a coinvolgere

nell’armamento le forme astratte dello spirito, del

denaro, del ‘popolo’, in breve le potenze della nascente

democrazia nazionale. Retrospettivamente noi oggi

possiamo dire che era del tutto impossibile rinunciare

completamente a questo coinvolgimento. Il modo di

incorporare queste forze nello Stato rappresenta il nucleo

effettivo dell’arte di governo del XIX secolo…

Ernst Jünger, La mobilitazione totale:

Si può ora indagare come, essendosi sempre più trasformata la vita in

energia ed essendosi progressivamente tutti i vincoli svuotati di contenuto a

favore della crescente mobilità, l’atto della mobilitazione (…) abbia

assunto un carattere sempre più radicale. I fenomeni che causano tutto ciò

sono svariati. Così, con la liquidazione dei ceti e con l’abolizione dei

privilegi della nobiltà, scompare contemporaneamente anche il concetto di

casta guerriera; la rappresentanza armata della nazione non è più dovere e

prerogativa soltanto del soldato di professione, ma diventa compito di tutti

coloro che in generale sono atti alle armi. Così, l’enorme aumento dei costi

rende impossibile provvedere alla condotta della guerra con un tesoro di

guerra ben definito, e diventa piuttosto necessario, per mantenere in moto la

Macchina, utilizzare al massimo tutti i crediti e ricorrere anche all’ultimo

centesimo…

Ernst Jünger, La mobilitazione totale:

Così, anche l’immagine della guerra come di un’azione

armata sfuma sempre più nell’immagine ben più ampia

di un gigantesco processo di lavoro. Accanto agli eserciti

che si affrontano sui campi di battaglia sorgono eserciti di

nuovo tipo, l’esercito dei trasporti,

dell’approvvigionamento, dell’industria degli armamenti:

in generale, l’esercito del lavoro. Nell’ultima fase, già

annunciata verso la fine di questa guerra, non vi è più alcuna

attività – neppure quella della lavoratrice domestica alla sua

macchina per cucire – che non sia collegata, in forma almeno

indiretta, alla produzione bellica…

Ernst Jünger, La mobilitazione totale:

In questo assoluto coinvolgimento di ogni energia potenziale, che

trasforma le industrie belliche statali in officine di Vulcano, si

annuncia forse nel modo più evidente l’inizio dell’epoca del lavoro:

questo processo fa della guerra mondiale un fenomeno storico che

supera d’importanza la rivoluzione francese. Per dispiegare energie

di questa misura non è più sufficiente armare il braccio che porta la

spada: è necessario essere armati fino nelle midolla, fino nel più

sottile nervo vitale. Porre in essere quelle energie è il compito della

mobilitazione totale, di un atto cioè attraverso il quale è possibile,

impugnano un unico comando su un quadro di controllo, far

confluire la rete d’energie – tanto ramificata e diffusa – della vita

moderna nella grande corrente dell’energia bellica.

Ernst Jünger, La mobilitazione totale:

Come ogni vita genera in sé già il seme della propria morte, così

anche l’apparire sulla scena delle grandi masse include in sé una

democrazia della morte. Ci siamo già lasciati alle spalle l’epoca

del tiro ben mirato. Il comandante di squadriglia, che nell’alto

della notte impartisce l’ordine di bombardamento, non è più in

grado di distinguere fra combattenti e non combattenti, e la nuvola

mortale di gas trascorre come un elemento naturale su tutti gli

esseri viventi. Ma che simili minacce siano possibili non implica,

come presupposto, né una mobilitazione generale, sì invece una

mobilitazione totale, che si estende fino al bambino nella culla.

Questi è infatti minacciato come tutti gli altri, se non addirittura di

più…

Ernst Jünger, La mobilitazione totale:

Ci sarebbe ancora molto da dire: ma basta soltanto considerare

questa nostra vita nel suo pieno scatenarsi e nel suo spietato

disciplinarsi, coi suoi quartieri fumosi e ardenti, con la fisica e la

metafisica del suo traffico e dei suoi trasporti, dei suoi motori, dei

suoi aeroplani e delle sue gigantesche metropoli, per intuire, con

una sensazione di piacere mista a spavento, che qui non vi è

neppure un atomo che non sia all’opera, e che noi stessi siamo

totalmente impegnati, nel modo più profondo, in questo furioso

processo. La mobilitazione totale non tanto è eseguita, quanto

piuttosto essa stessa si esegue: in pace e in guerra è l’espressione

di una misteriosa e cogente esigenza, a cui siamo sottomessi da

questo vivere nell’epoca delle masse e delle massime…

Ernst Jünger, La mobilitazione totale:

Si perviene così al risultato che ogni singola

vita diventa sempre più inequivocabilmente

una vita di operaio e che alle guerre dei

cavalieri, dei re e dei borghesi seguono le

guerre degli operai, guerre della cui

struttura razionale e della cui spietatezza ci

ha già dato un preannuncio il primo grande

conflitto del XX secolo.

Ernst Jünger, La mobilitazione totale:

(…) Tuttavia il versante tecnico della mobilitazione

totale non è quello decisivo. I suoi presupposti, come i

presupposti di ogni tecnica, si situano a un livello molto

più profondo: ne vogliamo trattare qui come della

disponibilità alla mobilitazione. Questa disponibilità era

presente in tutte le nazioni; la guerra mondiale è stata

una delle guerre più “popolari” che la storia conosca. E

ciò è accaduto perché questa guerra si è verificata in una

guerra che sembrava escludere a priori ogni altro tipo di

guerra che non fosse quella di “popolo”.

Ernst Jünger, La mobilitazione totale:

(…) Quando ci troviamo di fronte a sforzi di questa portata,

che si esprimono in potenti costruzioni quali le piramidi o le

cattedrali, oppure in guerre che scuotono fin gli ultimi nervi

vitali – sforzi che possiedono la peculiare caratteristica della

mancanza di scopo – Non riusciamo a trattarli con

spiegazioni di tipo economico, per quanto siano penetranti.

E’ questo, del resto, il motivo per cui la scuola del

materialismo storico può sfiorare solo la superficie degli

avvenimenti. Di fronte a sforzi di questo tipo il primo

sospetto deve piuttosto essere che ci si trovi di fronte ad un

fenomeno di rango cultuale.

Ernst Jünger, La mobilitazione totale:

Con l’osservare che consideriamo il progresso come la grande religione

popolare del XIX secolo, individuavamo già il livello in cui supponiamo

possa essere stato efficace quel potente appello col cui aiuto soltanto poté

avere esecuzione l’aspetto decisivo – cioè quello religioso – della

mobilitazione totale nei riguardi delle masse gigantesche che dovettero

essere acquisite per partecipare all’ultima guerra. Che le masse vi si

sottraessero era tanto meno possibile quanto più si faceva appello alla loro

convinzione, quanto più puramente, quindi, la tendenza delle grandi parole

d’ordine con cui erano state poste in movimento esprimeva un contenuto

progressista. (…) Chi potrebbe negare che la civilisation è più intimamente

legata al progresso che non la Kultur e che quella proprio nelle grandi città

può parlare la sua lingua naturale, maneggiando abilmente mezzi o concetti

coi quali la Kultur o non ha rapporti o ne ha di ostili?

Ernst Jünger, La mobilitazione totale:

(…) Se osserviamo il mondo quale è risultato dalla catastrofe, che unità

di esiti, che cogente consequenzialità storica! In verità, se si fossero

riunite in un sol punto tutte le formazioni spirituali e materiali estranee

alla Zivilisation, che dalla fine del XIX secolo si sono protratte fin

dentro la nostra epoca, e se si fosse aperto il fuoco contro di esse con

tutti i cannoni del mondo, il risultato non avrebbe potuto essere più

evidente. L’antico carillon di campane del Cremlino è regolato per

suonare la melodia dell’«Internazionale». A Costantinopoli gli scolari

imparano caratteri latini invece degli antichi arabeschi del Corano. A

Napoli e a Palermo poliziotti fascisti danno ordine all’animazione della

vita meridionale, secondo i principi di un moderno codice della strada.

Nei paesi più lontani del mondo, ancora quasi favolosi, si inaugurano

palazzi del Parlamento…

Ernst Jünger, La mobilitazione totale:

L’astrattezza, e quindi anche la crudeltà, di tutti i rapporti umani si accresce

ininterrottamente. Il patriottismo è sostituito da un nuovo nazionalismo, fortemente

radicato nella coscienza popolare. Nel fascismo, nel bolscevismo,

nell’americanismo, nel sionismo, nei movimenti dei popoli di colore, il progresso

segna impetuose avanzate, che in passato sarebbero state ritenute impensabili; in un

certo senso il progresso si capovolge, per proseguire il proprio movimento ad un

livello semplicissimo dopo aver descritto un cerchio con la propria artificiosa

dialettica. Il progresso comincia ad assoggettare a sé i popoli in forme che non sono

più distinguibili da quelle di un regime assoluto, se si prescinde dalla misura, molto

più limitata, di libertà e benessere. La maschera umanitaria è già quasi del tutto

caduta in molti punti, e ne è risultato un feticismo della macchina, per metà

grottesco e per metà barbarico, un ingenuo culto della tecnica, e ciò proprio in

luoghi in cui non c’è possibilità di rapporto immediato e produttivo con quelle

energie dinamiche della cui distruttiva marcia trionfale l’artiglieria pesante e le

squadriglie di bombardieri non sono che l’espressione militare…

Ernst Jünger, La mobilitazione totale:

Contemporaneamente aumenta il valore attribuito alle masse; il livello di consenso e di

‘pubblicità’ diventa il fattore decisivo della politica. Particolarmente il socialismo ed il

nazionalismo sono le due grandi macine da mulino fra le quali il progresso tritura i resti

dell’antico mondo, ed infine anche se stesso. Da cent’anni a questa parte la «destra» e la

«sinistra» si sono contese a vicenda, come una palla, le masse accecate dall’illusione

ottica del diritto di voto; è sempre sembrato che ciascuno dei due avversari offrisse una

possibilità di riparo davanti alle pretese dell’altro. Oggi in tutti i paesi si fa sempre più

evidente che sono identiche, e perfino il sogno della libertà vien meno, come sotto la

presa di una ferrea tenaglia. E’ uno spettacolo grandioso e terribile vedere i movimenti

delle masse, sempre più uniformate, e lo spirito del mondo stendere su di essi le sue reti.

Ogni movimento rende l’imprigionamento sempre più rigido e implacabile: sono qui

all’opera sistemi di coercizione più forti della tortura, tanto forti che l’uomo si consegna

ad essi salutandoli con entusiasmo. Dietro ogni via di fuga che assuma a proprio simbolo

la felicità stanno in agguato il dolore e la morte. Felice chi, in questi spazi, avanza

armato!

STORIA DEL PENSIERO POLITICO CONTEMPORANEO

Docente Prof. Scuccimarra

Lezione n. 10

II SEMESTRE

A.A. 2017-2018

Carl Schmitt, La dittatura (1921):

Dittatura commissaria: sospende la costituzione per difenderne

l’esistenza;

Dittatura sovrana: «vede in tutto l’ordinamento esistente uno stato

di cose da rimuovere completamente con la propria azione. Essa

non sospende una costituzione vigente facendo leva su di un

diritto da essa contemplato, e perciò stesso costituzionale, bensì

mira a creare uno stato di cose in cui sia possibile imporre una

costituzione ritenuta come quella autentica»

Carl Schmitt, Teologia politica (1922):

Sovrano è chi decide sullo stato di eccezione.

Infatti ogni ordine riposa su una decisione e

anche il concetto di ordinamento giuridico, che

viene acriticamente impiegato come qualcosa che

si spiega da sé, contiene in sé la contrapposizione

dei due diversi elementi del dato giuridico. Anche

l’ordinamento giuridico, come ogni altro ordine,

riposa su una decisione e non su una norma.

Carl Schmitt, Teologia politica (1922):

(…) L’eccezione è ciò che non è riconducibile; essa si sottrae

all’ipotesi generale, ma nello stesso tempo rende palese in assoluta

purezza un elemento formale specificamente giuridico: la decisione.

Nella sua forma assoluta il caso d’eccezione si verifica solo allorché

si deve creare la situazione nella quale possano avere efficacia norme

giuridiche. Ogni norma generale richiede una strutturazione normale

dei rapporti di vita, sui quali essa di fatto deve trovare applicazione e

che essa sottomette alla propria regolamentazione normativa. La

norma ha bisogna di una situazione media omogenea. Questa

normalità di fatto non è semplicemente un «presupposto esterno» che

il giurista può ignorare; essa riguarda invece direttamente la sua

efficacia immanente.

Carl Schmitt, Teologia politica (1922):

Non esiste nessuna norma che sia applicabile ad un caos.

Prima dev’essere stabilito l’ordine: solo allora ha un senso

l’ordinamento giuridico. Bisogna creare una situazione

normale, e sovrano è colui che decide in modo definitivo se

questo stato di normalità regna davvero. Ogni diritto è

«diritto applicabile ad una situazione». Il sovrano crea e

garantisce la situazione come un tutto nella sua totalità. Egli

ha il monopolio della decisione ultima. In ciò sta l’essenza

della sovranità statale, che quindi propriamente non

dev’essere definita giuridicamente come monopolio della

sanzione o del potere, ma come monopolio della decisione…

Carl Schmitt, Teologia politica (1922):

L’eccezione è più importante del caso

normale. Quest’ultimo non prova nulla,

l’eccezione prova tutto; non solo essa

conferma la regola: la regola stessa vive

solo dell’eccezione. Nell’eccezione, la

forza della vita reale rompe la crosta di

una meccanica irrigidita nella

ripetizione…

Carl Schmitt, Il concetto di «politico»

La specifica distinzione politica alla quale è possibile

ricondurre le azioni e i motivi politici, è la distinzione di

amico (Freund) e nemico (Feind). Essa offre una definizione

concettuale, cioè un criterio, non una definizione esaustiva o

una spiegazione del contenuto. (…) Il significato della

distinzione di amico e nemico è di indicare l’estremo grado

di intensità di un’unione o di una separazione, di

un’associazione o di una dissociazione; essa può sussistere

teoricamente e praticamente senza che, nello stesso tempo,

debbano venir impiegate tutte le altre distinzioni morali,

estetiche, economiche o di altro tipo.

Carl Schmitt, Il concetto di «politico»

Non c’è bisogno che il nemico politico sia moralmente

cattivo, o esteticamente brutto; egli non deve

necessariamente presentarsi come concorrente economico e

forse può anche apparire vantaggioso concludere affari con

lui. Egli è semplicemente l’altro, lo straniero (der Fremde) e

basta alla sua essenza che egli sia esistenzialmente, in un

senso particolarmente intensivo, qualcosa d’altro e di

straniero, per modo che, nel caso estremo, siano possibili

con lui conflitti che non possano venir decisi né attraverso

un sistema di norme prestabilite né mediante l’intervento di

un terzo “disimpegnato” e perciò “imparziale”.

Carl Schmitt, Il concetto di «politico»

Solo chi vi prende parte direttamente può por

termine al caso conflittuale estremo; in

particolare solo costui può decidere se

l’alterità dello straniero nel conflitto

concretamente esistente significhi la negazione

del proprio modo di esistere e perciò sia

necessario difendersi e combattere, per

preservare il proprio, peculiare, modo di vita.

Carl Schmitt, Il concetto di «politico»

Nemico non è il concorrente o l’avversario in generale. Nemico

non è neppure l’avversario privato che ci odia in base a

sentimenti di antipatia. Nemico è solo un insieme di uomini che

combatte almeno virtualmente, e che si contrappone ad un altro

raggruppamento umano dello stesso genere. Nemico è solo il

nemico pubblico, poiché tutto ciò che si riferisce ad un simile

raggruppamento, e in particolare ad un intero popolo, diventa

per ciò stesso pubblico. Il nemico è l’hostis, non l’inimicus in

senso ampio. (…) La contrapposizione politica è la più intensa ed

estrema di tutte e ogni altra contrapposizione concreta è tanto

più politica quanto più si avvicina al punto estremo, quello del

raggruppamento in base ai concetti di amico-nemico…

Carl Schmitt, Il concetto di «politico»

Nel concetto di nemico rientra l’eventualità, in termini reali, di una

lotta. Questo termine va impiegato prescindendo da tutti i mutamenti

casuali o dipendenti dallo sviluppo storico della tecnica militare e delle

armi. La guerra è lotta armata fra unità politiche organizzate, la

guerra civile è lotta armata all’interno di un’unità organizzata (che

proprio perciò però sta divenendo problematica). L’essenza del

concetto di arma sta nel fatto che essa è uno strumento di uccisione

fisica di uomini. Come il termine di nemico anche quello di lotta

dev’essere qui inteso nel senso di un’originarietà assoluta. Esso non

significa concorrenza, non la lotta «puramente spirituale» della

discussione, non il simbolico «lottare» che alla fine ogni uomo in

qualche modo compie sempre, poiché in realtà l’intera vita umana è

una «lotta» ed ogni uomo un «combattente».

Carl Schmitt, Il concetto di «politico»

I concetti di amico, nemico e lotta acquistano il loro

significato reale dal fatto che si riferiscono in modo

specifico alla possibilità reale dell’uccisione fisica. La

guerra consegue dall’ostilità poiché questa è

negazione assoluta di ogni altro essere. La guerra è

solo la realizzazione estrema dell’ostilità. Essa non ha

bisogno di essere vista come qualcosa di ideale o di

desiderabile: essa deve però esistere come possibilità

reale, perché il concetto di nemico possa mantenere il

suo significato…

Carl Schmitt, Il concetto di «politico»

Allo Stato, in quanto unità sostanzialmente politica,

compete il jus belli, cioè la possibilità reale di

determinare, in dati casi e in forza di una decisione

propria, il nemico e di combatterlo. E’ poi indifferente

con quali mezzi tecnici la guerra verrà condotta, quale

organizzazione militare esista, quante probabilità vi

siano di vincere la guerra, purché il popolo

politicamente uno sia pronto a combattere per la sua

esistenza ed indipendenza: nel che esso determina, in

forza di decisione propria, la sua indipendenza e

libertà.

Carl Schmitt, Il concetto di «politico»

(…) Lo Stato come unità politica decisiva ha concentrato presso di sé

una competenza immensa: la possibilità di far la guerra e quindi spesso

di disporre della vita degli uomini. Infatti il jus belli contiene una

disposizione di questo tipo; esso comporta la duplice possibilità di

ottenere dagli appartenenti al proprio popolo la disponibilità a morire e

ad uccidere, e di uccidere gli uomini che stanno dalla parte del nemico.

Il compito di uno Stato normale consiste però soprattutto nell’assicurare

all’interno dello Stato e del suo territorio una pace stabile, nello stabilire

«tranquillità, sicurezza e ordine» e di procurare in tal modo la situazione

normale che funge da presupposto perché le norme giuridiche possano

aver vigore, poiché ogni norma presuppone una situazione normale e

non vi è norma che possa aver valore per una situazione completamente

abnorme nei suoi confronti

Carl Schmitt, Il concetto di «politico»

[La] necessità di pacificazione interna porta, in situazioni critiche, al fatto

che lo Stato, in quanto unità politica, determina da sé, finché esiste, anche il

«nemico interno». In tutti gli Stati esiste perciò in qualche forma ciò che il

diritto statale delle repubbliche greche conosceva come dichiarazione di

polemios e il diritto statale romano come dichiarazione di hostis: forme

cioè più o meno acute, automatiche o efficaci solo in base a leggi speciali,

manifeste o celate in prescrizioni generali, di bando, di proscrizione, di

estromissione dalla comunità di pace, di collocazione hors la loi, in una

parola di dichiarazione di ostilità interna allo Stato. Questo è il segno, a

seconda del comportamento di colui che è stato dichiarato nemico dello

Stato, della guerra civile, cioè del superamento dello Stato come unità

politica organizzata, pacificata al suo interno, chiusa territorialmente e

impenetrabile ai nemici. Il successivo destino di questa unità sarà poi

deciso dalla guerra civile…

Carl Schmitt, Il concetto di «politico»

Se uno Stato combatte il suo nemico politico in nome

dell’umanità, la sua non è una guerra dell’umanità, ma una guerra

per la quale un determinato Stato cerca di impadronirsi, contro il

suo avversario di un concetto universale per potersi identificare

con esso (a spese del suo nemico), allo stesso modo come si

possono utilizzare a torto i concetti di pace, giustizia, progresso,

civiltà, per rivendicarli a sé e sottrarli al nemico. L’umanità è uno

strumento particolarmente idoneo alle espansioni imperialistiche

ed è, nella sua orma etico-umanitaria, un veicolo specifico

dell’imperialismo economico. A questo proposito vale, pur con

una modifica necessaria, una massima di Proudhon: chi parla di

umanità, vuol trarvi in inganno.

Carl Schmitt, Il concetto di «politico»

Proclamare il concetto di umanità, richiamarsi all’umanità,

monopolizzare questa parola: tutto ciò potrebbe

manifestare soltanto – visto che non si possono impiegare

termini del genere senza conseguenze di un certo tipo – la

terribile pretesa che al nemico va tolta la qualità di un

uomo, che esso dev’essere dichiarato hors-la.loi e hors-

l’umanité e quindi che la guerra deve essere portata fino

all’estrema inumanità. Ma al di fuori di questa

utilizzazione altamente politica del termine non politico di

umanità, non vi sono guerre dell’umanità come tale

Carl Schmitt, Dottrina della costituzione

Intesa nel suo senso assoluto, costituzione significa «il

concreto modo di esistere che è dato spontaneamente con

ogni unità politica esistente». «Lo Stato non ha una

costituzione, conforme alla quale si forma e funziona

una volontà statale, ma lo Stato è la costituzione, cioè

una condizione presente conforme a se stessa, uno status

di unità e ordine. Lo stato cesserebbe di esistere se

questa costituzione, cioè questa unità e ordine, cessasse.

La costituzione è la sua «anima», la sua vita concreta e

la sua esistenza individuale» (p. 17).

Carl Schmitt, Dottrina della costituzione

Intesa in senso positivo, la costituzione è la decisione

fondamentale circa la forma e la specie dell’unità

politica . Essa «vige in forza della volontà politica esistente

di chi la pone».

«Potere costituente è una volontà politica il cui potere o

autorità è in grado di prendere la decisione concreta

fondamentale sulla specie e la forma della propria esistenza

politica, ossia di stabilire complessivamente l’esistenza

dell’unità politica. Dalle decisioni di questa volontà si fa

discendere la validità di ogni ulteriore disciplina legislativa

costituzionale».

Carl Schmitt, Dottrina della costituzione

Stato è un determinato status di un popolo, e

precisamente lo status dell’unità politica. Forma

di Stato è la specie particolare della struttura di

questa unità. Soggetto di ogni determinazione

concettuale dello Stato è il popolo. Lo Stato è una

condizione, e precisamente la condizione di un

popolo.

Carl Schmitt, Il Nomos della Terra

I grandi atti primordiali del diritto restano (…) localizzazioni

legate alla terra. Vale a dire: occupazioni di terra, fondazioni di

città e fondazioni di colonie. (…) Un occupazione di terra

istituisce diritto secondo una duplice direzione: verso l’interno e

verso l’esterno. Verso l’interno, vale a dire internamente al gruppo

occupante, viene creato con la prima divisione e ripartizione del

suolo il primo ordinamento di tutti i rapporti di possesso e

proprietà. (…) Verso l’esterno, il gruppo occupante si trova posto

di fronte ad altri gruppi e potenze che occupano la terra e ne

prendono possesso. Qui l’occupazione di terra rappresenta un

titolo di diritto internazionale…

Le linee di divisione globale: le rayas del trattato di Tordesillas (1494)

Le linee di divisione globale: le amity lines del trattato di Cateau-Cambresis

(1559)

Le linee di divisione globale: la Dottrina Monroe (1823)

Carl Schmitt, Il Nomos della Terra

La guerra diventa ora una “guerra in forma”, une guerre

en forme e ciò solo in conseguenza del fatto che essa

diviene guerra tra Stati europei con superfici

chiaramente delimitate, confronto tra unità spaziali

rappresentate come personae publicae che sul comune

suolo europeo formano la “famiglia” europea degli Stati

e pertanto sono in grado di considerarsi reciprocamente

come justi hostes.

Carl Schmitt, Il Nomos della Terra

La discriminazione del nemico quale criminale e la contemporanea

implicazione della justa causa vanno di pari passo con il potenziamento

dei mezzi di annientamento e con lo sradicamento spaziale del teatro di

guerra: Il potenziamento dei mezzi tecnici di annientamento spalanca

l’abisso di una discriminazione giuridica e morale altrettanto distruttiva.

(…) Il bombardiere o l’aereo di attacco a volo radente usano le proprie

armi contro la popolazione nemica verticalmente, come San Giorgio

usava la sua lancia contro il drago. Nella misura in cui oggi la guerra

viene trasformata in azione di polizia contro i turbatori della pace,

criminali ed elementi nocivi, deve anche essere potenziata la

giustificazione di questo police bombing. Si è così costretti a spingere la

discriminazione dell’avversario in dimensioni abissali…