STORIA D’ITALIA - torrossa · Storia d’Italia giunti con Cesare, il quale consentiva...

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FRANCESCO GUICCIARDINI STORIA D’ITALIA Volume VII ZANICHELLI EDITORE

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FRANCESCO GUICCIARDINI

STORIA D’ITALIA

Volume VII

ZANICHELLI EDITORE

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Libro duodecimoCapitolo ICapitolo IICapitolo IIICapitolo IVCapitolo VCapitolo VICapitolo VIICapitolo VIIICapitolo IXCapitolo XCapitolo XICapitolo XIICapitolo XIIICapitolo XIVCapitolo XVCapitolo XVICapitolo XVIICapitolo XVIIICapitolo XIXCapitolo XXCapitolo XXICapitolo XXII

Indice

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Libro tredecimoCapitolo ICapitolo IICapitolo IIICapitolo IVCapitolo VCapitolo VICapitolo VIICapitolo VIIICapitolo IXCapitolo XCapitolo XICapitolo XIICapitolo XIIICapitolo XIVCapitolo XVCapitolo XVI

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LIBRO DUODECIMO

CAPITOLO I

Azione e preparativi del re d’Inghilterra contro laFrancia; preparativi di difesa del re di Francia. Spe-dizione del re d’Inghilterra. Presa di Terroana.Massimiliano Cesare presso l’esercito inglese.

Succedetteno nell’anno medesimo nelle regionioltramontane pericolosissime guerre, le quali sarannoraccontate da me per la medesima cagione e con la me-desima brevità con la quale le toccai nella narrazionedell’anno precedente. Origine di quei movimenti fu ladeliberazione del re di Inghilterra d’assaltare, quella sta-te, con grandissime forze per terra e per mare, il reame diFrancia: della quale impresa per farsi più facile la vitto-ria, avea convenuto con Cesare di dargli cento ventimiladucati, acciò che entrasse nel tempo medesimo nellaBorgogna con tremila cavalli e ottomila fanti, parte sviz-zeri parte tedeschi; promesso ancora a’ svizzeri certaquantità di danari perché facessino il medesimo, con-

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giunti con Cesare, il quale consentiva ritenessino in pe-gno una parte della Borgogna insino a tanto fussino pa-gati interamente da lui degli stipendi loro. Persuadevasioltre a questo il re di Inghilterra che il re cattolico suosuocero, aderendo alla confederazione di Cesare e sua,come sempre aveva asserito di volere fare, rompesse neltempo medesimo la guerra da’ suoi confini. Perciò lanovella della tregua fatta da quel re col re di Francia, contutto che l’ardore alla guerra non raffreddasse, fu ricevu-ta con tanta indegnazione, non solamente da lui ma datutti i popoli di Inghilterra, che è manifesto che, se laautorità sua non avesse repugnato, sarebbe stato loimbasciadore spagnuolo impetuosamente dalla moltitu-dine ammazzato. Aggiugnevasi a queste cose l’opportu-nità dello stato dell’arciduca, non tanto perché non proi-biva che i sudditi ricevessino lo stipendio contro a’ franzesiquanto perché prometteva di concedere che del dominiosuo si conducessino vettovaglie all’esercito inghilese.Contro a tanti apparati e pericolosissime minaccie nonometteva il re di Francia provedimento alcuno: perchéper mare preparava una potente armata per opporla aquella che si ordinava in Inghilterra, e per terra congregavaesercito da ogni parte, sforzandosi sopratutto di condur-re quanti più poteva fanti tedeschi. Aveva anche fatto,prima, instanza co’ svizzeri che poi che non volevanoaiutarlo per le guerre di Italia, gli consentissino almeno

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fanti per la difesa di Francia: i quali, intenti totalmentealla stabilità del ducato di Milano, rispondevano nonvolergliene concedere se non tornava all’unità della Chie-sa, lasciava il castello di Milano che ancora non eraarrenduto, e, facendo cessione delle ragioni di quellostato, promettesse di non molestare più né Milano néGenova. Aveva similmente il re per insospettire delle coseproprie il re di Inghilterra, chiamato in Francia il duca diSuffolch come competitore a quel regno; per il qualesdegno il re anglo fece decapitare il fratello, custoditoinsino allora in carcere in Inghilterra, poi che da Filippore di Castiglia, nella navigazione sua in Spagna, era statodato al suo padre. Né mancava al re di Francia speranzadi pace col re cattolico: perché quel re, come ebbe intesola lega fatta tra lui e i viniziani, diffidando potersi difen-dere il ducato di Milano, aveva mandato uno de’ suoisecretari in Francia a proporre nuovi partiti; e si credevache, considerando che la grandezza di Cesare e delloarciduca potessino alterargli il governo di Castiglia, nongli piacesse totalmente la depressione del regno di Fran-cia. Suscitò oltre a questo Iacopo re di Scozia, suo anticocollegato, perché rompesse guerra nel regno di Inghilter-ra; il quale, mosso molto più dallo interesse proprio,perché le avversità di Francia erano pericolose al regnosuo, si preparava con grande prontezza, non avendodimandato dal re altro che cinquantamila franchi per

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comperare vettovaglie e munizioni. Nondimeno, a farequeste provisioni era il re di Francia proceduto contardità; perché aveva volto i pensieri alla impresa di Mi-lano, e per la negligenza solita, e per l’ardire che vana-mente aveva preso per la tregua fatta col re cattolico.

Consumoronsi per il re di Inghilterra, in questi apparati,molti mesi: perché essendo i sudditi suoi stati molti annisenza guerra, ed essendo molto variati i modi di guerreg-giare, e inutili gli archi e l’armadure che usavano ne’ tempiprecedenti, era necessitato il re fare grandissima provisionedi armi di artiglierie e di munizioni, condurre come soldatiesperti molti fanti tedeschi, e per necessità molti cavalli,perché il costume antico degli inghilesi era di combatterea piede. Però, non prima che del mese di luglio passoronogli inghilesi il mare; e stati più dì in campagna presso aBologna, andorono a campo a Terroana, terra posta in su’confini di Piccardia, e in quegli popoli che da’ latini sonochiamati morini. Passò poco dipoi la persona del re, cheaveva in tutto il suo esercito cinquemila cavalli da com-battere e più di quarantamila fanti: con la quale moltitudi-ne postosi intorno luogo piccolo, e circondato, secondol’antico costume degli inghilesi, l’alloggiamento loro confossi con carra e con ripari di legname, e munito intornointorno d’artiglierie, e in modo pareva fussino in una terramurata, attendevano a battere con l’artiglierie la terra dapiù parti e a travagliarla con le mine; ma non corrispon-

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dendo con la virtù a tanti apparati né alla fama della fero-cia loro, non gli davano l’assalto. Erano in Terroana, benemunita di artiglierie, dugento cinquanta lancie e dumilafanti, presidio piccolo ma non senza speranza di soccorso,perché il re di Francia, attendendo a raccorre sollecita-mente l’esercito destinato, di dumila cinquecento lanciediecimila fanti tedeschi, guidati dal duca di Ghelleri, ediecimila fanti del regno, era venuto ad Amiens per dare diluogo vicino favore agli assediati: i quali, non temendo dialtro che del mancamento delle vettovaglie, perché di questenon era stata proveduta, eccetto che di pane, Terroana abastanza, molestavano dì e notte con l’artiglierie l’eserci-to inimico; dalle quali fu ammazzato il gran ciamberlanoregio, e levata una gamba a Talboth capitano di Calès.Premeva il re il pericolo di Terroana; ma per avere tardi econ la negligenza franzese cominciato a provedersi, e perla difficoltà di avere i fanti tedeschi, non aveva ancoramesso insieme tutto l’esercito: determinato anche in qua-lunque caso di non venire a giornata con gli inimici, per-ché se fusse stato vinto sarebbe stato in manifestissimopericolo tutto il reame di Francia, e perché sperava nellavernata, la quale in quegli paesi freddi era già quasi vicina.Ma come ebbe congregato l’esercito, restando egli adAmiens, lo mandò a [Vere] propinquo a Terroana, sottoLongavilla altrimenti il marchese del Rotellino, principedel sangue reale e capo de’ gentiluomini del re, e la Palissa;

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con commissione che, fuggendo qualunque occasione difatto d’arme, attendessino a provedere le terre circostanti,insino ad allora per la medesima negligenza male provedute,e a mettere se potevano soccorso di gente e di vettovagliain Terroana: cosa in sé difficile, ma diventata più difficileper la piccola concordia de’ capitani; de’ quali ciascuno,l’uno per la nobiltà l’altro per la lunga esperienza dellamilizia, arrogava a sé la somma del governo. Nondimeno,dimandando quegli che erano in Terroana soccorso di gentivi si accostorono, da una parte più rimossa dagli inghilesi,mille cinquecento lancie; e avendo l’artiglierie di dentrobattuto in modo tremila inghilesi, posti a certi passi perimpedirgli, che non potettono vietargli, né potendo proi-birlo loro il resto dell’esercito per lo impedimento di certetraverse di ripari e di fosse fatte da quegli di dentro, ilcapitano Frontaglia, condottosi alla porta, messe inTerroana ottanta uomini d’arme senza cavalli, come essiavevano dimandato, e si ritirò salvo con tutto il resto dellegenti: e arebbono nel medesimo modo messovi vettovagliese ne avessino condotte seco. Dalla quale esperienza pre-so animo i capitani franzesi, si accostorono un altro dì conquantità grande di vettovaglie per mettervele per la viamedesima; ma gl’inghilesi presentendolo, e avendo fattonuova fortificazione da quella parte, non gli lascioronoaccostare, e da altra parte mandorono i loro cavalli equindicimila fanti tedeschi per tagliare loro il ritorno: i

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quali tornando senza sospetto, e già montati per più co-modità in su piccoli cavalli, come furono assaltati simessono subito in fuga senza resistere; nel qual disordineperderono i franzesi trecento uomini d’arme, co’ quali fupreso il marchese del Rotellino, Baiardo, La Foietta e moltialtri uomini nominati; ed era stato fatto anche prigione laPalissa ma fortuitamente si salvò. E si crede che se avessinosaputo seguitare la vittoria si aprivano quel giorno la stra-da a pigliare il reame di Francia; perché indietro era resta-ta una grossa banda di lanzchenech che aveva seguitato legenti d’arme, la quale disfatta, era di tanto danno all’eser-cito franzese che è certo che il re, quando ebbe la primanovella, credendo che questi medesimamente fussino rot-ti, disperato delle cose sue, e con lamenti e pianti misera-bili, già pensava fuggirsene in Brettagna: ma gli inghilesi,come ebbono messo in fuga i cavalli, pensando all’acqui-sto di Terroana, condusseno le insegne e i prigioni innanzialle mura. Però, disperati i soldati che erano in Terroanaessere soccorsi, né volendo i fanti tedeschi patire senzasperanza insino all’ultima estremità delle vettovaglie,convennono, salvi i cavalli e le persone de’ soldati, diuscirsi, se fra due dì non erano soccorsi, di Terroana. Né sidubita che l’avere tollerato l’assedio circa cinquanta dìfusse cosa molto salutifera al re di Francia.

Era, pochi dì innanzi, venuto personalmente nello eserci-to inghilese Massimiliano, riconoscendo quegli luoghi ne’

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quali, ora dissimile a se medesimo, aveva, giovanetto, rottocon tanta gloria l’esercito di Luigi undecimo re di Francia.Nel quale mentre stette si governava ad arbitrio suo.

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CAPITOLO II

Invasione della Borgogna da parte degli svizzeri; ac-cordi con la Tramoglia. Indecisione del re di Franciaintorno all’opportunità della ratifica degli accordi.

Ma non travagliavano le cose del re di Francia da que-sta parte sola, anzi erano con pericolo maggiore molesta-te da’ svizzeri; la plebe de’ quali infiammatissima che ilre di Francia cedesse alle ragioni le quali pretendeva alducato di Milano, e però ardente, insino non lo faceva,di odio incredibile contro a lui, aveva fatto abbruciaremolte case d’uomini privati di Lucerna, sospetti di favo-rire immoderatamente le cose del re di Francia; e proce-dendo continuamente contro agli uomini notati di similesuspizione, aveva fatto giurare a tutti i principali di met-tere le pensioni in comune; e dipoi prese l’armi, perpublico decreto, erano in numero di ventimila fanti en-trati quasi popolarmente nella Borgogna: ricevuta daCesare, il quale, o secondo le sue variazioni o per sospet-to che avesse di loro, recusò, benché l’avesse promesso eal re di Inghilterra e a loro, di andarvi personalmente,

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artiglieria e mille cavalli. Andorono a campo a Digiunometropoli della Borgogna, dove era la Tramoglia con millelancie e seimila fanti; e avendo la plebe, per paura dellefraudi de’ capitani che già cominciavano a trattare co’franzesi, tolto l’artiglierie in mano cominciorno a per-cuotere la terra: della difesa della quale dubitando nonpoco la Tramoglia, ricorrendo agli ultimi rimedi, accor-dò subitamente con loro, senza aspettare commissionealcuna dal re, di pagare loro in più tempi quattrocentomiladucati, lasciare le fortezze di Milano e di Cremona cheancora non erano arrendute, cedere a Massimiliano Sforzale ragioni del ducato di Milano e la contea di Asti; perl’osservanza delle quali cose dette quattro statichi, per-sone onorate e di più che mediocre condizione; né i sviz-zeri si obligorno ad altro che di ritornarsi alle case pro-prie, onde non erano tenuti a essere in futuro amici del redi Francia, anzi potevano quando voleano ritornare aoffendere il suo reame. Ricevuti gli statichi partirnosubitamente, allegando, per scusazione d’avere conve-nuto senza il re di Inghilterra, non avere ricevuti al tem-po debito i danari promessi da lui. Fu giudicato questaconcordia avere salvato il reame di Francia, perché, pre-so che avessino Digiuno, era in potestà de’ svizzeri cor-rere senza alcuna resistenza insino alle porte di Parigi;ed era verisimile che il re di Inghilterra, passato il fiumedella Somma, venisse nella Campagna per unirsi con loro,

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cosa che non poteva essere impedita da’ franzesi, perchénon avendo a quel tempo più di seimila fanti tedeschi, néessendo ancora arrivato il duca di Ghelleri, erano neces-sitati a stare rinchiusi per le terre: e nondimeno al re fumolestissima, e si lamentò sommamente del la Tramogliaper la quantità de’ danari promessi, e molto più per l’aver-lo obligato alla cessione delle ragioni, come cosa di trop-po pregiudicio e troppo indegna della grandezza e dellagloria di quella corona. Però, ancora che il pericolo fussegravissimo se i svizzeri sdegnati ritornassino di nuovo adassaltarlo, nondimeno, confidandosi nella propinquitàdel verno e nel non essere facile che tanto presto sirimettessino insieme, deliberato ancora di correre piùpresto gli ultimi pericoli che privarsi delle ragioni di quelducato, il quale amava eccessivamente, deliberò di nonratificare, ma cominciò a fare proporre loro nuovi partiti;da’ quali essi alienissimi minacciavano, se la ratificazionenon venisse fra certo termine, tagliare il capo agli statichi.

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CAPITOLO III

Nuove vicende della guerra degli inglesi in Francia.Nuove preoccupazioni e pericoli del re di Francia.Conciliazione del re con il papa. Morte della regina diFrancia.

Presa Terroana, alla quale lo arciduca pretendeva perantiche ragioni, e il re di Inghilterra diceva essere sua peraverla guadagnata con giusta guerra, parve a Cesare e alui, per spegnere i semi della discordia, di gittare in terrale mura; non ostante che ne’ capitoli fatti con quegli diTerroana fusse stato proibito loro. Partì poi Cesare im-mediate dallo esercito, affermando che gli inghilesi, perla esperienza veduta di loro, erano poco periti della guerrae temerari. Da Terroana andò il re di Inghilterra a campoa Tornai, città fortissima e molto ricca, e affezionatissimaper antica inclinazione alla corona di Francia; ma cir-condata dal paese dello arciduca, e però impossibile aessere soccorsa da’ franzesi mentre non erano superiorialla campagna. La quale deliberazione fu molto grata alre di Francia, perché temeva non andassino a percuotere

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nelle parti più importanti del suo reame, cosa che lometteva in molte difficoltà: perché, se bene avesse giàcongregato esercito potente, trovandosi oltre a cinque-cento lancie che aveva messe a guardia di San Quintino,dumila lancie ottocento cavalli leggieri albanesi diecimilafanti tedeschi mille svizzeri ottomila fanti del regno suo,era molto più potente l’esercito inghilese; nel quale, con-correndovi ogni dì nuovi soldati, era publica fama tro-varsi ottantamila combattenti. Però il re, non sperandomolto di potere difendere Bologna e il resto del paeseposto di là dalla riviera di Somma, dove temeva che gliinghilesi non si volgessino, pensava alla difesa di Abbavillae Amiens e [del]l’altre terre che sono in sulla Somma, ea resistere che non passassino quella riviera; e così an-darsi temporeggiando, insino che la stagione freddasopravenisse o che la diversione del re di Scozia, nellaquale molto sperava, facesse qualche effetto: camminan-do in questo tempo l’esercito suo lungo la Somma, pernon lasciare guadagnare il passo agli inimici. Credettesiche della deliberazione degli inghilesi, indegna certamented’uomini militari e di sì grande esercito, fusse stata ca-gione o i conforti di Cesare, che sperasse che, pigliando-si, potesse o allora o con tempo pervenire in potestà delnipote, al quale si pretendeva che appartenesse, o perchétemessino, andando ad altro luogo, della difficoltà dellevettovaglie, o che l’altre terre alle quali andassino non

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fussino soccorse dagli inimici. Fece la città di Tornai,non essendo provista di genti forestiere e disperandosidel soccorso, essendo battuta con le artiglierie da piùparti, breve difesa; e si arrendé, salve tutte le robe e per-sone loro, ma pagando, sotto nome di ricomperarsi dalsacco, centomila ducati. Né si mostrava altrove più beni-gna la fortuna de’ franzesi; perché il re di Scozia, venutoin sul fiume Tuedo alle mani con l’esercito inghilese, nelquale era in persona Caterina reina d’Inghilterra, fu vin-to con grandissima uccisione; perché vi furono ammaz-zati più di dodicimila scozzesi, insieme con lui e con unosuo figliuolo naturale, arcivescovo di [Santo Andrea], emolti altri prelati e nobili di quel regno.

Dopo le quali vittorie, essendo già alla fine del mese diottobre, il re anglico, lasciata guardia grande in Tornai elicenziati i cavalli e fanti tedeschi, se ne ritornò in Inghil-terra, non avendo della guerra fatta con tanti apparati econ spesa inestimabile riportato altro frutto che la cittàdi Tornai, perché Terroana, sfasciata di mura, restava inpotere del re di Francia. Mosselo a passare il mare per-ché, non si potendo più in quelli freddissimi paesi eserci-tare la guerra, era inutile il dimorarvi con tanta spesa; epensava oltre a questo a ordinare il governo del nuovo redi Scozia, pupillo e figliuolo di una sorella sua dove eraanco andato il duca di Albania che era del sangue mede-simo di quel re. Per la partita del quale il re, ritenuti in

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Francia i fanti tedeschi, licenziò tutto il resto dello eser-cito, liberato dalla cura de’ pericoli presenti ma non giàdal timore di non ritornare l’anno seguente in maggioredifficoltà. Perché il re di Inghilterra, partito di Franciacon molte minaccie, affermava volervi ritornare la stateprossima; anzi, per non differire più tanto il muovere laguerra, cominciava già a fare nuove preparazioni. Sapevaessere in Cesare la medesima disposizione di offenderlo;e temeva che il re cattolico, il quale con vari sotterfugiaveva scusato la tregua fatta per non se gli alienare total-mente, non pigliasse l’armi insieme con loro. Anzi n’avevapotenti indizi, perché era stata intercetta una lettera nel-la quale quel re, scrivendo allo imbasciadore residenteappresso a Cesare, dimostrando l’animo molto alienodalle parole, con le quali sempre dimostrava ardente de-siderio di muovere guerra contro agli infedeli e di passarepersonalmente alla recuperazione di Ierusalem, propo-neva che comunemente si attendesse a fare pervenire ilducato di Milano in Ferdinando nipote comune, fratellominore dello arciduca; dimostrando che, fatto questo, ilresto d’Italia era necessitato di ricevere le leggi da loro, eche a Cesare sarebbe facile, congiunti massime gli aiutisuoi, pervenire, come dopo la morte della moglie erastato sempre suo desiderio, al pontificato, il quale otte-nuto rinunzierebbe allo arciduca la corona imperiale:conchiudendo però che cose sì grandi non si potevano

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condurre a perfezione se non col tempo e con le occasio-ni. Era anche manifesto al re di Francia l’animo de’ sviz-zeri, a’ quali offeriva grandissime condizioni, non pla-carsi in parte alcuna verso lui; anzi essersi nuovamenteirritati perché gli statichi dati loro dal la Tramoglia, te-mendo per inosservanza del re di non essere decapitati,si erano occultamente fuggiti in Germania: dondemeritamente aveva paura che, o di presente o almancol’anno prossimo, per la occasione di tanti altri suoi trava-gli, non assaltassino o la Borgogna o il Dalfinato.

Queste difficoltà furono in qualche parte cagione difarlo consentire alla concordia delle cose spirituali colpontefice, della quale l’articolo principale era laestirpazione totale del concilio pisano; la quale, trattatamolti mesi, aveva varie difficoltà e specialmente per lecose fatte o con l’autorità di quello concilio o controalla autorità del pontefice, le quali approvare pareva in-degnissimo della sedia apostolica, il ritrattarle non eradubbio che partorirebbe gravissima confusione: però eranostati deputati tre cardinali a pensare i modi di provederea questo disordine; e faceva qualche difficoltà il non pa-rere conveniente concedere al re l’assoluzione dalle cen-sure se non la dimandasse, e da altro canto il re negavavolerla dimandare per non notare per scismatici la perso-na sua e la corona di Francia. Finalmente il re, stracco daquesta molestia e tormentato dalla volontà di tutti i po-

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poli del suo regno, i quali ardentemente desideravano ilriunirsi con la Chiesa romana, mosso ancora molto dallainstanza della reina, la quale sempre era stata alienissimada queste controversie, deliberò cedere alla volontà delpontefice; neanche senza qualche speranza che, levatovia questa differenza, il pontefice avesse, secondo la in-tenzione che artificiosamente gli aveva data, a non simostrare alieno dalle cose sue: benché alle querele anti-che fusse aggiunta nuova querela, perché il ponteficeaveva per uno breve comandato al re di Scozia che nonmolestasse il re d’Inghilterra. Però, nell’ottava sessionedel concilio lateranense, che fu celebrato negli ultimi dìdell’anno, gli agenti del re di Francia, in nome suo eprodotto il suo mandato, rinunziorono al conciliabolopisano e aderirono al concilio lateranense; conpromissione che sei prelati di quegli che erano interve-nuti al pisano andrebbeno a Roma a fare il medesimo innome di tutta la Chiesa gallicana, e che anche verrebbenoaltri prelati a disputare sopra la pragmatica, con inten-zione di rimettersene alla dichiarazione del concilio: dalquale, nella medesima sessione, ottennono assoluzionepienissima di tutte le cose commesse contro alla Chiesaromana. Queste cose si feciono l’anno mille cinquecentotredici in Italia in Francia e in Inghilterra.

Nel principio dell’anno seguente, non avendo a faticagustata la letizia della unione tanto desiderata della Chie-

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sa, morì Anna reina di Francia, reina molto prestante emolto cattolica, con grandissimo dispiacere di tutto ilregno e de’ popoli suoi della Brettagna.

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CAPITOLO IV

Consigli del pontefice agli svizzeri di maggior bene-volenza verso il re di Francia, ed al re di attenersi agliaccordi con loro conchiusi. Difficoltà di conciliazionefra gli svizzeri ed il re. Proroga della tregua fra il re diFrancia ed il re d’Aragona.

Ridotto che fu il reame di Francia alla obbedienza del-la Chiesa, e così spento già per tutto il nome e la autoritàdel concilio pisano, cominciavano alcuni di quegli cheavevano temuta la grandezza del re di Francia a com-muoversi, e a temere che troppo non si deprimesse la suapotenza; e specialmente il pontefice. Il quale, benchéperseverasse nel medesimo desiderio che da lui non fusserecuperato il ducato di Milano, nondimeno, dubitandoche il re, spaventato da tanti pericoli e avendo innanziagli occhi le cose dell’anno passato, non si precipitasse,come continuamente con volontà di Cesare trattava il recattolico, alla concordia con Cesare (per la quale, con-traendo lo sposalizio della figliuola con uno de’ nipoti diquei re, gli concedesse in dote il ducato di Milano), co-

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minciò a persuadere i svizzeri che per il troppo odio con-tro al re di Francia non lo mettessino in necessità di faredeliberazione non manco nociva a loro che a lui; perchésapendo anche essi la mala disposizione che contro aloro avevano Cesare e il re cattolico, l’accordo col qualeconseguissino lo stato di Milano non sarebbe manco pe-ricoloso alla libertà e autorità loro che alla libertà dellaChiesa e di tutta Italia: doversi persistere nel propositoche il re di Francia non recuperasse il ducato di Milano,ma avvertire ancora che (come spesso interviene nelleazioni umane) per fuggire troppo [uno] de’ due estreminon incorressino nell’altro estremo, parimente, e forsepiù, dannoso e pericoloso; né per assicurarsi, sopra ilbisogno, che quello stato non ritornasse nel re di Fran-cia, essere cagione di farlo cadere in mano d’altri, contanto maggiore pericolo e pernicie di tutti quanto ci re-sterebbe manco chi potesse loro resistere che non erastato chi potesse resistere alla grandezza del re di Fran-cia. Dovere la republica de’ svizzeri, avendo esaltatoinsino al cielo il nome suo nell’arti della guerra con tantiegregi fatti e nobilissime vittorie, cercare di farlo nonmeno illustre con l’arti della pace; antivedendo dallostato presente i pericoli futuri, rimediandogli con la pru-denza e col consiglio, né lasciando precipitare le cose inluogo donde non potessino restituirsi se non con la fero-cia e virtù delle armi: perché nella guerra, come a ogni

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ora testimoniava l’esperienza, molte volte accadeva cheil valore degli uomini era soffocato dalla potestà troppogrande della fortuna. Essere migliore consiglio moderarein qualche parte l’accordo di Digiuno, offerendosi mas-sime dal re maggiori pagamenti e promissione di fare tre-gua per tre anni con lo stato di Milano, pure che nonfusse astretto alla cessione delle ragioni; la quale essen-do di maggiore momento in dimostrazione che in effetto(perché, quando al re ritornasse l’opportunità direcuperarlo, l’avere ceduto non gli farebbe altro impedi-mento che volesse egli medesimo), non doversi per que-sta difficoltà ridurre le cose in tanto pericolo. Da altraparte con efficaci ragioni confortava il re di Francia avolere più presto, per minore male, ratificare l’accordofatto a Digiuno che tornare in pericolo di avere, la stateprossima, tanti inimici nel suo regno. Essere ufficio diprincipe savio, per fuggire il male maggiore abbracciareper utile e per buona la elezione del male minore; né sidovere per liberarsi da uno pericolo e uno disordine in-correre in un altro più importante e di più infamia: per-ché, che onore gli sarebbe concedere agli inimici suoinaturali, e che lo avevano perseguitato con tante fraudi,il ducato di Milano con sì manifesta nota di viltà? cheriposo che sicurtà, diminuita tanto la sua riputazione,avere accresciuto la potenza di quegli che non pensava-no ad altro che ad annichilare il reame di Francia? da’

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quali conosceva egli medesimo che nessuna promessanessuna fede nessuno giuramento poteva assicurarlo,come con gravissimo suo danno gli dimostrava l’espe-rienza del tempo passato. Essere cosa dura il cedere quelleragioni, ma di minore pericolo e di minore infamia, per-ché una semplice scrittura non faceva più potenti i suoiavversari; ed essendo stata fatta questa promessa senzaconsentimento suo dai suoi ministri, non si potere direche da principio fusse stata sua deliberazione, ma esserepiù scusato a eseguirla quasi come necessitato dalla pro-messa fatta e da qualche osservanza della fede; e sapersipure per tutto il mondo da quanto pericolo avesse quelloaccordo liberato allora il reame di Francia. Lodare checon altri partiti cercasse di indurre i svizzeri alla sua in-tenzione; ed egli, desideroso che per sicurtà del regnosuo seguitasse in qualunque modo la concordia tra lui eloro, non mancare di fare con ogni studio tutti gli officiperché i svizzeri si disponessino alla sua volontà; maquando pure stessino pertinaci, esortare paternamentelui a piegarsi, e a obbedire a’ tempi e alla necessità; e pertutti gli altri rispetti, e per non levare la scusa a lui didiscostarsi dalla congiunzione degli inimici.

Conosceva il re essere vere queste ragioni, benché silamentasse che il pontefice avesse mescolato tacitamen-te le minaccie con le persuasioni, e confessava esserenecessitato a fare qualche deliberazione che gli diminu-

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isse il numero degli inimici; ma aveva fisso nell’animosottoporsi più tosto a tutti i pericoli che cedere le ragionidel ducato di Milano; confortandolo a questo medesimoil suo consiglio e tutta la corte, a quali benché fussemolestissimo che il re facesse più guerra in Italia, nondi-meno, avendo rispetto alla degnità della corona di Fran-cia, era molto più molesto che e’ fusse cosìignominiosamente sforzato a cederle. Simile pertinaciaera nelle diete de’ svizzeri; a’ quali benché il re offerissedi pagare di presente quattrocentomila ducati, e poi invari tempi ottocentomila, e che il cardinale sedunense emolti de’ principali, considerando il pericolo imminentese il re di Francia si congiugnesse con Cesare e col recattolico, fussino inclinati ad accettare queste condizio-ni, nondimeno la moltitudine, inimicissima del nomefranzese, e che superba per tante vittorie si confidava didifendere contro a tutti gli altri prìncipi uniti insieme ilducato di Milano, e appresso alla quale era già moltodiminuita l’autorità di Sedunense, e sospetti gli altri capiper le pensioni solevano ricevere dal re di Francia, insi-steva ostinatissimamente nella ratificazione dell’accor-do di Digiuno; anzi, concitata da grandissima temerità,trattava di entrare di nuovo in Borgogna: benché, op-ponendosi a questo Sedunense e gli altri capi, non conmanifesta autorità ma con vari artifici e modi indiretti,traportavano di dieta in dieta questa deliberazione.

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Però il re di Francia, non essendo né offeso né assicu-rato da loro, non cessava di continuare la pratica delparentado col re cattolico; nella quale, come altra volta,era la principale difficoltà se in potestà del padre o delsuocero doveva stare [la sposa] insino al tempo abile allaconsumazione del matrimonio, perché ritenendola il pa-dre nessuna sicurtà dello effetto pareva avere a Cesare: eil re, insino che gli restava qualche speranza che la famadi questo maneggio, la quale egli studiosamente divulga-va, potesse per lo interesse proprio mitigare in beneficiosuo gli animi degli altri, nutriva volentieri le difficoltàche vi nascevano. Venne a lui Quintana, secretario del recattolico, quello che per le medesime cagioni vi era statol’anno dinanzi; e dipoi passato con suo consentimento aCesare, ritornò di nuovo al re di Francia. Alla ritornatadel quale, perché si potessino con maggiore comoditàrisolvere le difficoltà della pace, il re e Quintana in nomedel re cattolico prorogorono per un altro anno la treguafatta l’anno passato con le medesime condizioni; allequali si aggiunse, molto secretamente, che durante la tre-gua non potesse il re di Francia molestare lo stato diMilano; nel quale articolo non si includeva né Genované Asti. La quale condizione, tenuta occulta da lui, fupublicata e bandita solennemente dal re cattolico pertutta Spagna; incerti gli uomini quale fusse più vera, o lanegazione dell’uno o l’affermazione dell’altro. Fu nella

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medesima convenzione riservato tempo di tre mesi a Ce-sare e al re di Inghilterra d’entrarvi, i quali affermava ilChintana che vi entrerebbono amendue: il che, quanto alre di Inghilterra, si diceva vanamente; ma a Cesare avevapersuaso il re d’Aragona, resoluto sempre a non volerela guerra di verso Spagna, non si potere con migliore viaottenere il maritaggio che si trattava.

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CAPITOLO V

I veneziani e Massimiliano Cesare si rimettono dinuovo al pontefice per un compromesso. Nuove fazionidi guerra fra veneziani e tedeschi. Condizioni ed in-successo del lodo del pontefice. Fortunata azione diRenzo da Ceri a Crema. Vicende di guerra nel Friuli.

Accrebbe questa prorogazione il sospetto al ponteficeche tra questi tre prìncipi non fusse fatta o in procinto difarsi, in pernicie d’Italia, conclusione di cose maggiori.Ma non perciò partendosi dalle prime deliberazioni, chealla libertà comune fusse molto pernicioso che il ducatodi Milano pervenisse in potere di Cesare e del re cattoli-co ma dannoso anche che e’ fusse recuperato dal re diFrancia, gli era molto difficile procedere, e bilanciare lecose in modo che i mezzi che giovavano all’una di questeintenzioni non nocessino a l’altra; conciossiaché l’unode’ pericoli nascesse dalla bassezza e dal timore, l’altrodalla grandezza e dalla sicurtà del re di Francia. Però,per liberare quel re dalla necessità di accordarsi con loro,continuava di confortare i svizzeri, a’ quali era sospetta

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la tregua fatta, di comporsi con lui; e per difficultargli inqualunque evento il passare in Italia, si affaticava più chemai per la concordia tra Cesare e il senato viniziano: ilquale, giudicando che il fare tregua stabilisse le cose diCesare nelle terre che gli restavano, si risolveva con ani-mo costante o di fare pace o di continuare in sulle armi,non si removendo da questa generosità per accidente oinfortunio alcuno. Perché, oltre a tanti danni e tanti infe-lici successi avuti nella guerra, e il disperare che per quelloanno il re di Francia mandasse esercito in Italia, avendoancora contraria o l’ira del cielo o i casi fortuiti chedependono dalla potestà della fortuna, era stato inVinegia, nel principio dell’anno, uno grandissimo incen-dio; il quale, cominciato di notte dal ponte del Rialto eaiutato da’ venti boreali, non potendo rimediarvi alcunadiligenza o fatica degli uomini, distesosi per lunghissimospazio, aveva abbruciato la più frequentata e la più riccaparte di quella città. Per la interposizione del ponteficeallo accordo, si fece di nuovo tra Cesare e loro compro-messo in lui, non ristretto a tempo alcuno e con ampia eindeterminata potestà; ma nondimeno con secreta pro-messa sua, confermata con cedola di propria mano dinon pronunziare se non con consentimento di ciascuno:il quale compromesso come fu fatto, comandò per brevesuo all’una parte e all’altra che sospendessino l’armi. Laquale sospensione fu dagli spagnuoli e tedeschi poco

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osservata: perché quella parte degli spagnuoli che eranoalle stanze nel Pulesine e a Esti predorono tutto il paesecircostante; e il viceré mandò gente a Vicenza, per tro-varsi in possessione quando si desse il lodo.

Fece anche in questo tempo il Frangiapane in Friulimolti danni; e stando incauti i viniziani, i tedeschi pertrattato tenuto da alcuni fuorusciti presono Marano, ter-ra del Friuli vicina ad Aquileia e posta in sul mare: peròi viniziani vi mandorono per terra Baldassarre di Scipionecon certo numero di genti, e Ieronimo da Savorniano conmolti paesani. I quali essendosi accampati, e strignendoanche con l’armata la terra per mare, vennono in soccor-so di quella cinquecento cavalli tedeschi e dumila fanti;per la venuta de’ quali, uscendo anche quegli di dentroad assaltare le genti de’ viniziani, gli roppono con nonpiccola uccisione e tolseno loro l’artiglieria; e fu anche,con alcuni legni, loro tolta una galea e molti altri legni:dopo la qual vittoria preseno per forza Monfalcone.Aggiunsesi alle genti di Marano, pochi dì poi, quattro-cento cavalli e mille dugento lanzchenech che erano sta-ti a Vicenza; i quali, congiunti con altri fanti e cavallivenuti nuovamente nel Friuli, correvano tutto il paese:però Malatesta da Sogliano, governatore di quella regio-ne, con seicento cavalli e dugento fanti, e Ieronimo daSavorniano con dumila uomini del paese, che si eranoridotti a Udine, non vedendo potere resistere, passorono

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di là dal fiume di Liquenza, soccorrendo dove potevano.Ma essendosi divisi i tedeschi, una parte prese Feltro ecorreva per tutto il paese circostante; ma i viniziani, cheavevano occupati tutti i passi, ne assaltorono una parte aBassano, dove erano improvisti, ed essendo di numerominore gli messeno in fuga, ammazzati trecento fanti, dicinquecento che erano, e presi molti soldati e capitani.L’altra parte de’ tedeschi era andata a campo a Osopio,situato in cima d’uno aspro monte; dove, poi che ebbenobattuta la rocca con l’artiglieria e dato più assalti invano,si ridusseno a speranza di averla per assedio, confidatisinello essere dentro carestia d’acqua: ma avendo a questaproveduto il beneficio celeste, perché in quegli dì furonospesse e grosse pioggie, ricominciorono di nuovo a darela battaglia, [ma invano]; tanto che disperatisi e degliassalti e dell’assedio si levorono da campo.

Erano molestissime al pontefice queste cose, ma gli eramolesto molto più non trovare mezzo di concordia chesodisfacesse all’una parte e all’altra. Perché dalla spessavariazione delle cose, variandosi secondo i progressi diquelle le speranze, era proceduto che quando Cesareaveva consentito di lasciare Vicenza, ritenendosi Verona,i viniziani avevano recusato se non erano reintegrati diVerona; ora che i viniziani, sbattuti da tante percosse, sicontentavano d’avere Vicenza sola, Cesare non contentodi Verona voleva anche Vicenza. Dalle quali difficoltà

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stracco il pontefice, e presupponendo che la dichiarazio-ne sua non sarebbe accettata, ma per mostrare che per luinon mancasse, pronunziò la pace tra loro, con questo:che subito da ogni parte si posassino le armi, riservando-si la facoltà di dichiarare infra uno anno le condizionidella pace, nella quale e nella sospensione delle armifusse compreso il re cattolico: che Cesare deponesseVicenza in sua mano e quanto egli e gli spagnuoli posse-devano nel padovano e nel trevigiano, e i vinizianideponessino Crema; l’altre cose ciascuno insino alla di-chiarazione possedesse secondo possedeva. Dovessesiratificare il lodo infra uno mese da tutti, e ratificandosipagassino i viniziani allora a Cesare venticinquemiladucati e fra tre mesi prossimi venticinquemila altri, e chenon ratificandosi da tutti si intendesse il lodo essere nul-lo: il quale modo insolito di giudicare fu seguitato da luiper non dispiacere ad alcuna delle parti. E perché non viera facoltà di chi ratificasse in nome del re cattolico, sebene l’oratore suo faceva fede del suo consenso, riservòtanto tempo a ratificare a ciascuno che potesse venire lafacoltà: ma essendo risoluti a non ratificare i viniziani,perché arebbeno desiderato che in uno tempo medesimosi fussino pronunziate le condizioni della pace, restò vanoil giudizio.

Procedevano in questo tempo prosperamente le coseloro nella difesa di Crema, vessata dentro dalla peste e

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dalla carestia e di fuora dallo assedio degli inimici: per-ché da una parte era venuto Prospero Colonna a Efenengocon dugento uomini d’arme dugento cavalli leggieri edumila fanti, e da altra parte, a Umbriano, Silvio Savellocon la compagnia sua di cavalli e dumila fanti, distantel’uno luogo e l’altro due miglia da Crema: donde uscivaspesso gente a scaramucciare con gli inimici. I quali men-tre stanno incauti allo alloggiamento di Umbriano, Renzoda Ceri, uscito una notte con parte delle genti che eranodentro, assaltati gli alloggiamenti, gli messe in fuga, am-mazzati di loro molti fanti: per il che Prospero si discostòcon la sua gente: e pochi dì poi Renzo, avuta l’occasionedi potere per la bassezza delle acque guadare il fiumedell’Adda, passato a Castiglione di Lodigiana, svaligiòcinquanta uomini d’arme che vi erano alloggiati; ripor-tando tanta laude di queste sì prospere e industriose fa-zioni che per consenso universale fusse già numerato tra’principali capitani di tutta Italia.

Deliberorono dipoi i viniziani di recuperare il Friuli:però vi fu mandato l’Alviano, con dugento uomini d’armequattrocento cavalli leggieri e settecento fanti. Il qualecamminando alla volta di Portonon, dove era parte de’tedeschi, i suoi cavalli leggieri che correvano innanzi,scontrato fuora della terra il capitano Rizzano tedescocon dugento uomini d’arme e trecento cavalli leggieri,venuti insieme alle mani, erano ributtati; ma sopravenendo

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l’Alviano col resto delle genti, si cominciò una asprabattaglia, l’effetto della quale stette dubbio insino cheRizzano, ferito nella faccia, fu preso da Malatesta daSogliano. Rifuggissi la gente rotta in Portonon, ma dubi-tando non potersi difendere si fuggirono; e la terra, ab-bandonata, fu, con morte di molti uomini del paese, mes-sa a sacco. Andò dipoi l’Alviano alla volta di Osopio,assediato dal Frangiapane e da un’altra parte di tedeschi;i quali inteso lo approssimare suo si levorno, ma, avendoalla coda i cavalli leggieri, perderono i carriaggi e l’arti-glierie. Per i quali successi essendo ritornato a ubbidien-za de viniziani quasi tutto il paese, l’Alviano, poi cheebbe tentato invano Gorizia, se ne ritornò a Padova conle genti; avendo, secondo scrisse egli a Roma, tra presi emorti dugento uomini d’arme dugento cavalli leggieri edumila fanti. Ma per la partita sua i tedeschi, ingrossatidi nuovo, preseno Cromonio e Monfalcone e costrinsenoi viniziani a levarsi da campo da Marano, dove in unoaguato era stato preso, pochi dì innanzi, e condotto aVinegia il Frangiapane; ma sentendo la venuta del soc-corso, si levorono quasi come rotti: e poco poi, messi infuga i loro stradiotti, fu preso Giovanni Vitturio loroproveditore, con cento cavalli. E accadevano spesso inFriuli queste variazioni per la vicinità de’ tedeschi, i qua-li non si servivano in quel paese se non di genti coman-date; le quali, poi che avevano corso e predato o senten-

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do la venuta delle genti viniziane, con le quali sicongiugnevano molti del paese, si ritiravano presto alleloro case, ritornandovi dipoi secondo l’occasione.Mandoronvi i viniziani gente di nuovo, per il che il viceréordinò che Alarcone, uno de’ capitani spagnuoli che eranoalloggiati tra Esti, Montagnana e Cologna, andasse condugento uomini d’arme cento cavalli leggieri e cinque-cento fanti nel Friuli; ma, inteso per il cammino che nelpaese era stata fatta tregua per fare la vendemmia, se netornò al primo alloggiamento.

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CAPITOLO VI

Persistenza dell’avversione degli svizzeri al re diFrancia e sospetti del re verso il pontefice. Sdegno delre d’Inghilterra contro il re d’Aragona per la conven-zione conclusa col re di Francia. Pace fra il re d’In-ghilterra e il re di Francia. Convenzione del ponteficecon Massimiliano Cesare e col re d’Aragona; altra con-venzione col re di Francia.

Così procedendo le guerre di Italia lentamente, non siintermettevano le pratiche della pace e degli accordi. Per-ché il re, non privato al tutto di speranza che i svizzericonsentissino di ricevere ricompenso di danari in cambiodella cessione delle ragioni, sollecitava appresso a loroquesto effetto con molta instanza; dal quale era la molti-tudine tanto aliena che, avendo, quando fuggirono glistatichi, costretto con minaccie il governatore di Ginevra adare loro prigione il presidente di Granopoli, mandato dalre in quella città per trattare con loro, lo esaminavano conmolti tormenti per intendere se alcuno della loro nazionericevesse più pensione o avesse intelligenza occulta col re

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di Francia: non bastando né umanità né giustificazionealcuna a reprimere la loro barbara crudeltà. Né era senzasospetto il re che anche il pontefice, che per la diversitàde’ fini suoi era costretto navigare con grandissima circo-spezione fra tanti scogli, non procurasse secretamente chei svizzeri non convenissino seco senza intervento suo, nonper incitargli a rompere la guerra, che da questo continua-mente gli sconfortava, ma perché o restassino fermi nelloaccordo di Digiuno, o per paura che con questo principionon si separassino da lui. Però minacciava di precipitarsiall’accordo con gli altri, per non volere restare più soloalle percosse di tutto il mondo: stracco ancora dalle speseeccessive e dalle insolenze de’ soldati; perché avendo con-dotti in Francia ventimila fanti tedeschi, né potuto averglitutti se non quando il re d’Inghilterra era a campo a Tor-nai, aveva, per avergli a tempo se venisse nuovo bisogno,ritenutogli in Francia; i quali facevano infiniti danni per ilpaese. E si doleva il re che il papa non lo volesse in Italia,e che gli altri prìncipi non lo volessino in Francia.

In queste difficoltà e in tanta perplessità delle cose, co-minciò ad aprirgli la via alla sua sicurtà e alla speranza diritornare nella pristina potenza e riputazione laindegnazione incredibile che ricevette il re di Inghilterradella tregua rinnovata dal suocero, contro a quello chemolte volte gli aveva promesso, di non fare più senza suoconsentimento convenzione alcuna col re di Francia; del-

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la quale ingiuria lamentandosi publicamente, e afferman-do essere stato ingannato dal suocero tre volte, si alienavaogni dì più da’ pensieri di rinnovare la guerra contro afranzesi. La quale cosa pervenuta a notizia del pontefice,mosso o dal sospetto che il re di Francia, in caso fussemolestato da lui, non facesse la pace e il parentado (comecontinuamente minacciava) con gli altri due re, o perché,pensando che a ogni modo avesse a succedere la pace traloro, desiderasse con lo interporsene acquistare qualchegrado col re di Francia, di quello che non era in potestàsua di proibire, cominciò a confortare il cardinaleeboracense che persuadesse al suo re che, contento dellagloria guadagnata, e avendo in memoria che corrispon-denza di fede avesse trovata in Cesare, nel re cattolico ene’ svizzeri, non travagliasse più con l’armi il reame diFrancia. Certo è che, essendo dimostrato al pontefice checome il re di Francia si fusse assicurato della guerra diInghilterra moverebbe le armi contro al ducato di Milano,rispondeva: conoscere questo pericolo, ma aversi anche aconsiderare il pericolo che partorirebbe da ogni banda; edessere, in materie sì gravi, troppo difficile il bilanciare lecose sì perfettamente e trovare consiglio che fusse total-mente netto da questi pericoli: restare in ogni evento allostato di Milano la difesa de’ svizzeri, ed essere necessario,in deliberazioni tanto incerte e tanto difficili, rimetterneuna parte all’arbitrio del caso e della fortuna.

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Come si sia, cominciò presto, o per l’autorità del ponte-fice o per inclinazione propria delle parti, a nascere prati-ca d’accordo tra il re di Francia e il re di Inghilterra; iragionamenti della quale, cominciati dal pontefice conEboracense, furono trasferiti presto in Inghilterra, doveper questa cagione fu mandato dal re di Francia il generaledi Normandia, ma sotto colore di trattare della liberazionedel marchese di Rotellino: allo arrivare del quale fupublicata sospensione delle armi, per terra solamente, tral’uno e l’altro re, per tutto il tempo che il generale stessenell’isola. Accrescevasi, per nuove ingiurie, la inclinazio-ne del re di Inghilterra alla pace: perché Cesare, che gliaveva promesso di non ratificare senza lui la tregua fattadal re cattolico, mandò a quel re lo instrumento dellaratificazione; il quale, per una lettera sua al re di Francia,ratificò in nome di Cesare, ritenendosi lo instrumento perpotere usare le simulazioni e arti sue. Cominciata la prati-ca tra i due re, il pontefice, desideroso di farsi grato aciascuno di loro, mandò in poste al re di Francia il vescovodi Tricarico a offerire tutta l’autorità e opera sua; il qualepassò con suo consentimento in Inghilterra per l’effettomedesimo. Dimostroronsi in questa cosa da principio moltedifficoltà, perché il re di Inghilterra dimandava che gli fussedato Bologna di Piccardia e quantità grande di danari: fi-nalmente, riducendosi la differenza in su le cose di Tornai,perché il re d’Inghilterra instava di ritenerlo e dal canto

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del re di Francia se ne mostrava qualche difficoltà, mandòquel re il vescovo di Tricarico in poste al re di Francia; alquale, non essendo notificato in che particolare consistes-se la difficoltà, fu data commissione che in suo nome loconfortasse che, per rispetto di tanto bene, non insistessecosì sottilmente nelle cose: sopra che il re di Francia, nonvolendo avere carico co’ popoli suoi, per essere Tornaiterra nobile e di fede molto nota verso la corona di Fran-cia, propose la cosa nel consiglio, nel quale intervennenotutti i principali della corte. Fu unitamente confortato adabbracciare, eziandio con questa condizione, la pace: no-nostante che in questi tempi il re cattolico, cercando conogni industria di interromperla, proponesse al re di Fran-cia molti partiti, e specialmente di dargli favore allo acqui-sto dello stato di Milano. Però, come in Inghilterra fu arri-vata la risposta che il re era contento delle cose di Tornai,fu, al principio di agosto, conchiusa la pace tra i due re,durante la vita loro e uno anno dopo la morte; con condi-zione che Tornai restasse al re d’Inghilterra, al quale il redi Francia pagasse secentomila scudi, distribuendo il pa-gamento in centomila franchi per anno; fussino tenuti alladifesa degli stati l’uno dell’altro, con diecimila fanti se laguerra fusse mossa per terra, con seimila solo se per mare;che il re di Francia fusse obligato a servire il re d’Inghilter-ra, in ogni suo affare, di mille dugento lancie, e quel refusse tenuto a servire lui di diecimila fanti, ma in questo

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caso a spese di chi ne avesse di bisogno. Furono nominatidall’uno e l’altro di loro il re di Scozia, l’arciduca e loimperio, ma non fu nominato né Cesare né il re cattolico;nominati i svizzeri, ma con patto che qualunque difendes-se contro al re di Francia lo stato di Milano o Genova oAsti fusse escluso dalla nominazione. La quale pace, fattacon grandissima prontezza, fu corroborata con parentado;perché il re d’Inghilterra concesse la sorella sua per mo-glie al re di Francia, con condizione riconoscesse d’averericevuto per la sua dote quattrocentomila scudi. Celebrossisubito lo sposalizio in Inghilterra, al quale il re non volle,per l’odio grande che aveva al re cattolico, che l’oratoresuo vi intervenisse. Né era appena conchiusa questa paceche alla corte di Francia arrivò lo instrumento dellaratificazione fatta da Cesare della tregua, e il mandato suoe del re cattolico per la conclusione del parentado che sitrattava tra Ferdinando d’Austria e la figliuola secondadel re, che era ancora in età di quattro anni: la quale prati-ca, per la conclusione della pace, fu in tutto esclusa; e il reancora, per sodisfare al re di Inghilterra, volle partisse delregno di Francia il duca di Suffolch, che era capitano ge-nerale de’ fanti tedeschi condotti da lui; e nondimeno,onorato e carezzato dal re, partì bene contento.

Nel quale tempo aveva anche il pontefice fatte nuovecongiunzioni; perché, pieno di artifici e di simulazioni,voleva da uno canto che il re di Francia non recuperasse

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lo stato di Milano, da altro intrattenere lui e gli altriprìncipi quanto poteva con varie arti. Però, per mezzodel cardinale San Severino, che nella corte di Roma trat-tava le cose del re di Francia, aveva proposto al re che,poi che i tempi non pativano che tra loro si facesse mag-giore e più palese congiunzione, che almanco si facesseuno principio e uno fondamento in sul quale si potessesperare aversi a fare altra volta strettissima intelligenza; eaveva mandato la minuta de’ capitoli: alla quale praticail re di Francia, ancorché dimostrasse gli fusse grata, nonavendo fatto risposta sì presto, ché tardò quindici dì arisolversi, o per altre occupazioni o perché aspettassed’altro luogo qualche risposta per governarsi secondo iprogressi delle cose, il pontefice fece nuova capitolazio-ne con Cesare e col re cattolico per uno anno, nella qua-le non si conteneva però altro che la difesa degli staticomuni: avendo prima il re cattolico non vanamente so-spettato che egli aspirasse al regno di Napoli per Giulia-no suo fratello, sopra che aveva già avuto qualche prati-ca co’ viniziani. Né l’aveva ancora quasi conchiusa chesopravenne la risposta del re di Francia, per la qualeapprovava tutto quello che aveva proposto il pontefice;aggiugnendovi solamente che, poi che egli si aveva aobligare alla protezione de’ fiorentini, di Giuliano suofratello e di Lorenzo de’ Medici suo nipote, il quale ilpapa aveva preposto alla amministrazione delle cose di

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Firenze, voleva che anche essi reciprocamente siobligassino alla difesa sua: la quale ricevuta, il ponteficesi scusò essersi ristretto con Cesare e col re cattolico,perché, vedendo differirsi tanto a rispondere a unadimanda tanto conveniente, non aveva potuto fare nonentrasse in qualche dubitazione; e nondimeno averla fat-ta per breve tempo, né contenersi in quella cosepregiudiziali a lui né impedirgli la perfezione della prati-ca cominciata tra loro. Le quali giustificazioni accettatedal re, fermorono insieme la convenzione non perinstrumento, per maggiore secreto, ma per cedola sotto-scritta di mano di ciascuno di loro.

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CAPITOLO VII

Pensieri dei prìncipi e degli svizzeri intorno alla paceconchiusa dai re di Francia e di Inghilterra. Sollecita-zioni del pontefice al re di Francia perché tenti l’im-presa del ducato di Milano; resa della Lanterna diGenova. La politica del pontefice e nuove preoccupa-zioni del re di Francia.

La pace tra il re di Francia e il re d’Inghilterra, fatta conmaggiore facilità e prestezza che non era stata l’opinioneuniversale, perché niuno credette mai che tanta inimici-zia potesse così presto convertirsi in benivolenza e inparentado, non fu forse grata al pontefice che, come glialtri, si era persuaso doverne nascere più presto treguache pace o, se pure, pace che avesse a essere con condi-zioni più gravi al re di Francia o almanco con obligazioneche per qualche tempo non assaltasse lo stato di Milano:ma dispiacque sommamente a Cesare e al re cattolico. Ilquale, come non è male alcuno nelle cose umane chenon abbia congiunto seco qualche bene, affermava rice-verne due sodisfazioni di animo: l’una, che l’arciduca

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suo nipote, escluso dalla speranza di dare la sorella permoglie al re di Francia e venuto in diffidenza col re d’In-ghilterra, sarebbe costretto a procedere in tutte le cosecol consiglio e autorità sua; l’altra, che potendo facil-mente il re di Francia avere figliuoli era messa in dubbiola successione di Angolem, col quale egli, per essereAngolem desiderosissimo di rimettere il re di Navarra nelsuo stato, riteneva grandissimo odio. Soli i svizzeri, ben-ché ritenendo il medesimo odio che per il passato controal re di Francia, affermavano essersi rallegrati di questaconcordia; perché restando, come si credeva, espeditoquel re a muovere la guerra contro al ducato di Milano,arebbeno nuova occasione di dimostrare a tutto il mon-do la virtù e la fede loro. Né si dubitava per alcuno che ilre di Francia, cessato quasi in tutto il timore di esseremolestato di là da’ monti, non avesse il consueto deside-rio di recuperare il ducato di Milano; ma era incerto seavesse in animo di muovere l’armi subito o differire al-l’anno futuro, perché la facilità appariva presente ma nonapparivano segni di preparazione.

Nella quale incertitudine, il pontefice, ancoraché glifusse molestissimo che il re recuperasse quello stato, loconfortò, molto efficacemente, che col differire non cor-rompesse l’occasione presente; dimostrando le cose es-sere male preparate a resistere, perché l’esercitospagnuolo era diminuito e non pagato, i popoli dello

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stato di Milano poveri e ridotti in ultima disperazione, enon vi essere chi potesse dare danari per muovere i sviz-zeri: le quali persuasioni avevano maggiore autorità per-ché, non molto innanzi che si facesse la pace col re diInghilterra, dimostrando d’avere desiderio ch’eglirecuperasse Genova, gli aveva dato qualche speranza diindurre Ottaviano Fregoso a convenire seco. Non è dub-bio che in questa cosa il pontefice non procedeva since-ramente, ma si crede lo movesse o perché vedendo lecose mal proviste e dubitando che il re di Francia nonfacesse eziandio senza suoi conforti questa espedizione,perché aveva le genti d’arme parate e molti fanti tede-schi, volesse con tale arte preoccupare la sua amicizia, oche, procedendo con maggiore astuzia, sapesse esserevero quello che Cesare e il re cattolico affermavano e ilre di Francia negava: che gli fusse proibito muovere, du-rante la tregua, l’armi contro allo stato di Milano; e però,persuadendosi che il re negherebbe il fare la impresa, gliparesse fargli buono concetto della sua disposizione, eprepararsi scusa se da lui ne fusse ricercato ad altro tem-po. E successe la cosa secondo il disegno suo: perché ilre, deliberato, o per la cagione predetta o per avere diffi-coltà di denari o per la propinquità del verno, di nonmuovere l’armi insino alla primavera, e dimostrando con-fidare che anche a quello tempo non gli mancherebbe ilfavore del pontefice, rispondeva allegando varie

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escusazioni della dilazione, ma tacendo sempre quella,che forse era la principale, della tregua che ancora dura-va. Aveva nondimeno inclinazione a tentare le cose diGenova o almanco di soccorrere la Lanterna, la qualeper ordine suo era stata nell’anno medesimo rinfrescatapiù volte di qualche quantità di vettovaglie, da piccolilegni i quali, fingendo di volere entrare nel porto di Ge-nova, vi si erano accostati furtivamente; ma l’estremitàdel vivere era tale che, non potendo quella fortezza aspet-tare il soccorso, furono costretti quegli di dentro ad ar-rendersi a’ genovesi; i quali, con dispiacere maravigliosodel re, la disfeceno insino da’ fondamenti. Rimosse laperdita della Lanterna il re in tutto da’ pensieri di mole-stare per allora Genova, ma si voltò tutto alle prepara-zioni di assaltare il ducato di Milano l’anno futuro: esperava insino a qui, per la intenzione buona che gli davail pontefice, per la disposizione che aveva dimostrato nellepratiche col re d’Inghilterra e con i svizzeri, e per loaverlo stimolato a fare la impresa, gli avesse a essere con-giunto e favorevole; massime che a lui faceva offerte gran-di, e particolarmente prometteva aiutarlo ad acquistare ilregno di Napoli o per la Chiesa o per Giuliano suo fratel-lo. Ma nuove cose che sopravennono cominciorono ametterlo in qualche diffidenza di lui.

Non aveva il pontefice mai voluto comporre le cose delduca di Ferrara, se bene, nel principio della sua promo-

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zione, gli avesse dato in Roma grandissima speranza epromesso la restituzione di Reggio al ritorno di Ungheriadel cardinale suo fratello; al quale poiché fu ritornato,era andato differendo con varie scuse: confermategli peròle medesime promesse non solo con le parole ma conuno breve, e consentendo che egli pigliasse l’entrate diReggio come di cosa che presto avesse a ritornare sotto illoro dominio. Ma la intenzione sua era molto diversa, einclinata a occupare Ferrara; stimolato da Alberto daCarpi oratore cesareo, inimico acerbissimo del duca, eda molti altri che gli proponevano ora l’esempio dellagloria di Giulio, fatta eterna per avere tanto ampliato ildominio della Chiesa, ora l’occasione di dare uno statoonorevole a Giuliano suo fratello: il quale, avendosi pro-posto speranze poco moderate, aveva spontaneamenteconsentito che Lorenzo suo nipote ritenesse in Firenzel’autorità della casa de’ Medici. Però entrato in questipensieri, il pontefice ottenne facilmente da Cesare, biso-gnoso in ogni tempo di denari, che gli desse in pegno lacittà di Modena per quarantamila ducati, come poco in-nanzi alla morte di Giulio si era trattato con lui; dise-gnando unire quella città con Reggio, Parma e Piacenzae concederle in vicariato o in governo perpetuo a Giulia-no, con aggiugnervi Ferrara se gli venisse mai l’occasio-ne di ottenerla. Dette questa compra sospetto non me-diocre al re di Francia, parendogli segno di congiunzione

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grande con Cesare ed essendogli molesto che gli dessedenari; benché il pontefice si scusava, Cesare averglieneconcessa per denari che prima aveva avuti: e accrebbe ilsospetto che, per avere ottenuto il principe de’ turchiuna vittoria grande contro al Sophì re della Persia, ilpontefice, come per cosa pericolosa a’ cristiani scrisselettere a tutti i prìncipi, confortandogli a posare l’armitra loro per attendere a resistere o ad assaltare gl’inimicidella fede. Ma quello che quasi in tutto scoperse a luil’animo suo fu che egli mandò, sotto il medesimo prete-sto, Pietro Bembo suo secretario, che fu poi cardinale aVinegia, per disporgli allo accordo con Cesare: nel qualeessendo le medesime difficoltà che per il passato, nonl’avevano voluto accettare; anzi manifestorono al re diFrancia la cagione della sua venuta. Donde il re, dispia-cendogli che in tempo tanto propinquo a muovere l’armicercasse di privarlo degli aiuti de’ suoi confederati, rin-novò le pratiche passate col re cattolico, o perché questoterrore movesse il pontefice o, non lo movendo, perconchiuderle: tanto [era] sopra ogni cosa ardente allarecuperazione del ducato di Milano.

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CAPITOLO VIII

Attentato degli spagnuoli contro l’Alviano; nuove fa-zioni di guerra fra veneziani e spagnuoli nel Veneto.Nuove vicende della lotta a Crema e nel bergamasco.Attività dell’Alviano nel Veneto. Quiete nel Friuli. Ten-tativi dei Fieschi e degli Adorni in Genova. Dono delre del Portogallo al pontefice.

Ma in questo medesimo non erano stati in Italia altrimovimenti che contro a’ viniziani. Contro a’ quali anchesi era tentato di procedere con occultissime insidie: per-ché, se è vero quello che riferiscono gli scrittori viniziani,alcuni fanti spagnuoli, entrati in Padova simulando diessere fuggiti del campo degli inimici, cercavano di am-mazzare l’Alviano per commissione de’ capitani loro; iquali speravano che accostandosi subito con l’esercito aPadova, disordinata per la morte di uno tale capitano,averla facilmente a pigliare. Tanto sono dissimili i modidella milizia presente dalla virtù degli antichi! i quali,non che subornassero i percussori, revelavano allo ini-mico se alcuna sceleratezza si trattava contro a lui, con-

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fidandosi di poterlo vincere con la virtù. La qualecongiurazione venuta a luce, fu degli scelerati fanti presodai magistrati il debito supplicio. Alloggiavano le gentispagnuole, diminuite non poco di numero, traMontagnana, Cologna ed Esti; i quali per sforzare al riti-rarsi nel reame di Napoli, i viniziani ordinavano una ar-mata, della quale avevano fatto Andrea Gritti capitanogenerale: la quale, destinata ad assaltare la Puglia, fu pervarie difficoltà alla fine disarmata e messa in silenzio.Vennono poi gli spagnuoli alle Torri appresso a Vicenzastimolati da i tedeschi che erano in Verona di andareinsieme con loro a dare il guasto alle biade de’ padovani;ma avendogli aspettati in quello alloggiamento invanopiù dì, perché erano ridotti a piccolissimo numero e im-potenti a adempiere le promesse sotto le quali gli aveva-no chiamati, lasciato il disegno del guasto e ottenuti daloro mille cinquecento fanti, andorono con settecentouomini d’arme settecento cavalli leggieri e tremila cin-quecento fanti spagnuoli a campo a Cittadella, nella qualeterra erano trecento cavalli leggieri. Dove essendo arri-vati a due ore di dì, avendo cavalcato espediti tutta lanotte, batteronla subito con l’artiglieria; e il dì medesi-mo la preseno, con tutti quegli cavalli, per forza, al se-condo assalto, e si ritornorono al primo alloggiamentopropinquo a tre miglia a Vicenza: non si movendol’Alviano, il quale, avendo avuto dal senato comanda-

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mento di non combattere, si era, con settecento uominid’arme mille cavalli leggieri e settemila fanti, fermato inalloggiamento forte in sul fiume della Brenta, dal qualeco’ cavalli leggieri travagliava continuamente gli inimici.Nondimeno poi, per maggiore sicurtà dello esercito, siritirò a Barziglione quasi in sulle porte di Padova. Maessendo tutto il paese consumato dalle scorrerie e dalleprede che si facevano dall’uno e dall’altro esercito, glispagnuoli, mancando loro le vettovaglie, si ritirorono a’primi alloggiamenti da’ quali si erano partiti, abbando-nata la città di Vicenza e la rocca di Brendala distante daVicenza sette miglia; né si nutrivano con altri sussidi opagamenti che con le taglie mettevano a Verona, Brescia,Bergamo e gli altri luoghi circostanti. Ritirati gli spagnuoli,l’Alviano si pose con l’esercito tra la Battaglia e Padovain alloggiamento fortissimo: donde inteso essere in Estipoca e negligente guardia, vi mandò di notte quattrocen-to cavalli e mille fanti; dove entrati innanzi fussino senti-ti e presi ottanta cavalli leggieri del capitano Corvera, ilquale si salvò nella rocca, si ritirorono allo esercito. Maavendo i viniziani mandate nuove genti all’esercito,l’Alviano, accostatosi a Montagnana, presentò la batta-glia al viceré; il quale, perché era molto inferiore di forzerecusando di combattere, si ritirò nel Polesine di Rovigo:donde l’Alviano, non avendo più ostacolo alcuno di làdallo Adice, correva ogni dì insino in sulle porte di Vero-

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na; il che fu cagione che il viceré, mosso dal pericolo diquella città, lasciati nel Pulesine trecento uomini d’armee mille fanti, vi entrò con tutto il resto dello esercito.

Molte maggiori difficoltà erano in Crema, quasi asse-diata dalle genti del duca di Milano alloggiate nelle terree ville vicine, perché dentro era la carestia, la peste smi-surata, stati i soldati più mesi senza denari, mancamentodi munizioni e di molte provisioni più volte dimandate.Però Renzo, diffidando potersi più sostenere, aveva qua-si protestato a’ viniziani; e nondimeno, mostrandosegliancora benigna la medesima fortuna, assaltò Silvio Savelloche aveva dugento uomini d’arme cento cavalli leggieri emille cinquecento fanti, e giuntogli addosso allo improvisolo roppe subito, e Silvio con cinquanta uomini d’armefuggì in Lodi. Rifornirono dipoi un’altra volta i vinizianiCrema di vettovaglie, e il conte Niccolò Scoto vi messemille cinquecento fanti; dal quale presidio essendo ac-cresciuto le forze e l’animo di Renzo, entrò pochi dì poinella città di Bergamo, chiamato dagli uomini della ter-ra, e gli spagnuoli si fuggirono nella Cappella; e nel tem-po medesimo Mercurio e Malatesta Baglione preseno tre-cento cavalli che erano alloggiati fuora: ma andando,pochi dì poi, Niccolò Scoto con cinquecento fanti italia-ni da Bergamo a Crema, incontrato da dugento svizzeri,fu rotto e fatto prigione, e condotto al duca di Milanoche lo fece decapitare. La perdita di Bergamo destò il

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viceré e Prospero Colonna; i quali, con le genti spagnuolee del duca di Milano, andativi a campo con cinquemilafanti, piantorno l’artiglierie alla porta di Santa Caterina:con le quali avendo fatto progresso grande, Renzo che viera dentro, vedendo non si potere difendere, lasciata laterra a discrezione, accordò di potersene uscire con tuttii soldati con le loro robe, ma senza suono di trombe econ le bandiere basse. Compose il viceré Bergamo inottantamila ducati.

Ma opera molto celebrata e piena di grande industria ecelerità, mentre che queste cose a Crema e a Bergamosuccedevano, fece l’Alviano nella terra di Rovigo. Nellaquale essendo alloggiati più di dugento uomini d’armespagnuoli, e riputando di esservi sicurissimi perché tra legenti viniziane e loro era in mezzo il fiume dello Adice,l’Alviano gittato il ponte all’improviso appresso alla ter-ra della Anguillara, e passato con gente tutta espedita ilfiume con prestezza incredibile e arrivato alla terra, laporta della quale era già stata occupata da cento fantivestiti da villani, mandati innanzi da lui sotto l’occasio-ne che quel dì medesimo vi si faceva il mercato, entratodentro gli fece tutti prigioni: per il quale caso gli altrispagnuoli che erano alloggiati nel Pulesine, rifuggitisi allaBadia come luogo più forte del paese, abbandonato poitutto il Pulesine ed eziandio Lignago, si salvorono versoFerrara. Preso Rovigo, andò l’Alviano con l’esercito a

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Oppiano presso a Lignago, avendovi anche condotto peril fiume l’armata delle barche, e di quivi a villa Cereapresso a Verona; luogo dal quale, se non gli succedesse ilpigliare Verona, nella quale erano dumila fanti spagnuolie mille tedeschi, disegnava di travagliarla tutta la vernata:ma avendo notizia che verso Lignago andavano trecentouomini d’arme cinquecento cavalli leggieri e seimila fan-ti degli inimici, temendo non gli impedissino le vettova-glie o lo strignessino a combattere, si levò e gli andòcosteggiando, che andavano verso l’Adice; e lo passornoad Albereto, con difficoltà grande di vettovaglie, per lamolestia ricevevano da’ cavalli leggieri e dalla armatadelle barche. Nel quale luogo avendo inteso che l’eserci-to spagnuolo, ricuperato Bergamo, ritornava verso Vero-na, deliberato non l’aspettare, mandò le genti d’arme perterra a Padova; egli con la fanteria carriaggi e artiglierie,per fuggire le pioggie e i fanghi grandi, se ne andò dinotte per il fiume dello Adice alla seconda, non senzatimore di essere assaltato dagli inimici, i quali furno im-pediti dall’acque troppo alte: ma egli smontato in terra sicondusse, con la consueta celerità, salvo a Padova, ovedue dì innanzi erano entrati gli uomini d’arme; dipoi di-stribuì l’esercito tra Padova e Trevigi. E il viceré e Pro-spero Colonna, poste le genti alle stanze nel Polesine diRovigo, andorno a Spruch, per consultare con Cesaredelle cose occorrenti.

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Stette questo anno medesimo più quieto che ’l solito ilpaese del Friuli, essendo per la cattura del Frangiapanemancato quello instrumento il quale più che tutti gli altrilo inquietava: e però i viniziani, conoscendo quello cheimportasse il ritenerlo, avevano recusato di permutarlocon Giampaolo Baglione; il quale, trattandosi prima dipermutarlo con Carvagial, aveva avuto licenza daglispagnuoli di andare a Roma, ma data la fede di ritornareprigione non si concordando la permutazione; la qualementre che si tratta, succeduta la morte di Carvagial,Giampaolo, affermando per questo accidente rimanerelibero, recusò di tornare più in potestà di chi l’avevafatto prigione.

E ne’ medesimi dì, che fu circa la fine dell’anno, gliAdorni e i Fieschi, favoriti occultamente, secondo si cre-deva, dal duca di Milano, entrati di notte per trattato inGenova e venuti alla piazza del palazzo, furono scacciatida Ottaviano Fregoso; il quale co’ fanti della sua guardiafattosi loro incontro fuora delle sbarre, combattendo so-pra tutti gli altri valorosamente, gli messe in fuga, ricevu-ta una piccola ferita nella mano. Restorono prigioniSinibaldo dal Fiesco Ieronimo Adorno e Gian Cammilloda Napoli.

Pare, oltre alle cose sopradette, degno di memoria chein questo anno medesimo Roma vidde gli elefanti, ani-male forse non mai più veduto in Italia dopo i trionfi e i

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giuochi publici de’ romani: perché mandando Emanuelre di Portogallo una onoratissima imbascieria a prestarela ubbidienza al pontefice, mandò insieme a presentarglimolti doni, e tra questi due elefanti, portati a lui dellaIndia dalle sue navi; la entrata de’ quali in Roma fu cele-brata con grandissimo concorso.

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CAPITOLO IX

Sollecitazioni del re di Francia al pontefice per aver-ne l’adesione e l’appoggio; risposta del pontefice al re.Morte del re di Francia: considerazioni dell’autore.

Ma in questi tempi medesimi, il re di Francia, intentocon l’animo ad altro che a pompe e spettacoli, sollecita-va tutte le altre provisioni della guerra: e desideroso dicertificarsi dell’animo del pontefice, ma determinato,qualunque e’ fusse, di proseguire la impresa destinata, loricercò che volesse dichiararsi in suo favore,riconfermando l’offerte prima fatte e affermando che,escluso dalla sua congiunzione, accetterebbe da Cesaree dal re cattolico le condizioni già recusate. Riducevagliin considerazione la potenza del regno suo, la confede-razione e gli aiuti promessigli da’ viniziani; essere allorapiccole in Italia le forze di Cesare e del re d’Aragona, el’uno e l’altro di questi re bisognosissimo di danari, eimpotenti a pagare i soldati propri non che a fare muove-re i svizzeri; i quali, non pagati, non scenderebbono de’monti loro: non desiderare altro tutti i popoli di Milano,

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poi che avevano provato il giogo acerbo degli altri, che diritornare sotto lo imperio de’ franzesi: né avere cagione ilpontefice di provocarlo a usare contro a luiinimichevolmente la vittoria, perché la grandezza de’ redi Francia in Italia e la sua propria essere stata in ognitempo utile alla sedia apostolica, perché contenti sempredelle cose che di ragione se gli appartenevano, non averemai, come avevano tante esperienze dimostrato, pensatoa occupare il resto di Italia: diversa essere la intenzionedi Cesare e del re cattolico, che mai avevano pensato senon, o con armi o con parentadi o con insidie, di occupa-re lo imperio di tutta Italia, e mettere in servitù, non menoche gli altri, la sedia apostolica e i pontefici romani, comesapeva tutto il mondo essere antichissimo desiderio diCesare: però provedesse in uno tempo medesimo allasicurtà della Chiesa alla libertà comune d’Italia e allagrandezza della famiglia sua de’ Medici; occasione chemai arebbe né in altro tempo né con altra congiunzioneche con la sua. Né mancavano al pontefice, in contrario,efficacissime persuasioni di Cesare e del re d’Aragona,perché si unisse con loro alla difesa d’Italia; dimostran-dogli che se, congiunti insieme, avevano potuto cacciareil re di Francia del ducato di Milano, erano molto piùbastanti a difenderlo da lui; ricordassesi dell’offesa fat-tagli l’anno passato, d’avere, quando l’esercito suo pas-sò in Italia, mandato danari a’ svizzeri, e considerasse

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che, se il re ottenesse la vittoria, vorrebbe in uno tempo evendicarsi contro a tutti delle ingiurie ricevute e assicu-rarsi da’ pericoli e da’ sospetti futuri. Ma più movevanoil pontefice l’autorità e le offerte de’ svizzeri; i quali,perseverando nel pristino ardore, offerivano, ricevendoseimila raines il mese, di occupare e difendere con seimilafanti i passi del Monsanese di Monginevra e del Finale e,essendo pagati loro quarantamila raines il mese, di assal-tare con ventimila fanti la Borgogna. In questeconflittazioni ambiguo il pontefice in se medesimo, per-ché donde lo spronava la voglia lo ritraeva il timore, dan-do a ciascuno risposte e parole generali, differiva di di-chiarare quanto poteva la mente sua. Ma instando, giàquasi importunamente, il re di Francia, gli rispose final-mente: niuno sapere più di lui quanto fusse inclinato allecose sue, perché sapeva quanto caldamente l’avesse con-fortato a passare in Italia in tempo che si poteva senzapericolo e senza uccisione ottenere la vittoria; le qualipersuasioni, per non si essere osservato il segreto tantevolte ricordato da lui, erano pervenute a notizia deglialtri con detrimento di tutti a due, perché e lui era statoin pericolo di non essere offeso da essi e alla impresa delre erano cresciute le difficoltà, perché gli altri avevanoriordinate le cose loro di maniera che non si poteva piùvincere senza gravissimo pericolo e senza effusione dimolto sangue, e che essendo nuovamente cresciuta con

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tanto successo la potenza del principe de’ turchi, nonera né conforme alla sua natura né conveniente allo officiodi uno pontefice favorire o consigliare i prìncipi cristiania fare guerra tra loro medesimi; né potere altro che con-fortarlo a soprasedere, aspettando qualche facilità e oc-casione migliore, la quale quando apparisse riconosce-rebbe in lui la medesima disposizione alla gloria e gran-dezza sua che aveva potuto riconoscere a’ mesi passati.La quale risposta, benché non esprimesse altrimenti ilconcetto suo, non solo arebbe privato il re di Franciadella speranza d’averlo favorevole ma, se gli fusse perve-nuta a notizia, l’arebbe, quasi certificato che il ponteficesarebbe congiunto, e co’ consigli e con l’armi, contro alui. E queste cose si feciono l’anno mille cinquecentoquattordici.

Ma interpose dilazione alla guerra già imminente lamorte, solita a troncare spesso nelle maggiori speranze iconsigli vani degli uomini: perché il re di Francia, mentreche dando cupidamente opera alla bellezza eccellente ealla età della nuova moglie, giovane di diciotto anni, nonsi ricorda della età sua e della debilità della complessione,oppresso da febbre e sopravenendogli accidenti di flus-so, partì quasi repentinamente della vita presente; aven-do fatto memorabile il primo dì dell’anno mille cinque-cento quindici con la sua morte. Re giusto e molto amatoda’ popoli suoi, ma che mai, né innanzi al regno né re,

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ebbe costante e stabile né l’avversa né la prospera fortu-na. Conciossiaché, di piccolo duca d’Orliens pervenutofelicissimamente al reame di Francia per la morte di Car-lo più giovane di lui e di due suoi figliuoli, acquistò congrandissima facilità il ducato di Milano e poi il regno diNapoli, reggendosi per più anni quasi a suo arbitrio tuttaItalia; ricuperò con somma prosperità Genova ribellata,vinse gloriosissimamente i viniziani, intervenendo a que-ste due vittorie personalmente. Da altra parte, giovaneancora, fu costretto da Luigi undecimo di pigliare permoglie la figliuola, sterile e quasi mostruosa, non acqui-stata per questo matrimonio né la benivolenza né il pa-trocinio del suocero; e dopo la morte sua non ammesso,per la grandezza di madama di Borbone, al governo delnuovo re pupillo, e quasi necessitato a rifuggirsi inBrettagna: preso poi nella giornata di Santo Albino, stet-te incarcerato due anni. Aggiugni a queste cose l’assedioe la fame di Novara, tante rotte avute nel regno di Napo-li, la perdita, dello stato di Milano, di Genova e di tuttele terre tolte a’ viniziani, e la guerra fattagli da inimicipotentissimi nel reame di Francia; nel qual tempo viddelo imperio suo ridotto in gravissimi pericoli. Nondimenomorì in tempo che pareva gli ritornasse la prosperità del-la fortuna, avendo difeso il regno suo, fatta la pace eparentado e in grandissima unione col re d’Inghilterra, ein grande speranza di recuperare lo stato di Milano.

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CAPITOLO X

Il nuovo re di Francia: sue doti e sue aspirazioni.Accordi con il re d’Inghilterra e con l’arciduca. Accor-di coi veneziani. Confederazione fra Massimiliano Ce-sare, il re d’Aragona, il duca di Milano e gli svizzericontro il re di Francia ove tenti la conquista del ducato.

A Luigi duodecimo succedette Francesco monsignoredi Anguelem, più prossimo a lui de’ maschi del sanguereale e della linea medesima de’ duchi di Orliens, prefe-rito nella successione del regno alle figliuole del mortore per la disposizione della legge salica, legge antichissi-ma del reame di Francia; per la quale, mentre che dellamedesima linea vi sono maschi, si escludono dalla degnitàreale le femmine. Delle virtù, della magnanimità, delloingegno e spirito generoso di costui s’aveva universal-mente tanta speranza che ciascuno confessava non esse-re, già per moltissimi anni, pervenuto alcuno con mag-giore espettazione alla corona; perché gli conciliava som-ma grazia il fiore della età, che era di ventidue anni, labellezza egregia del corpo, liberalità grandissima, uma-

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nità somma con tutti e notizia piena di molte cose; esopratutto grato alla nobiltà, alla quale dimostrava som-mo favore. Assunse, insieme col titolo di re di Francia, iltitolo di duca di Milano, come appartenente a sé nonsolo per le antiche ragioni de’ duchi di Orliens ma anco-ra come compreso nella investitura fatta da Cesare per lalega di Cambrai: avendo a recuperarlo la medesima incli-nazione che aveva avuto l’antecessore. Alla qual cosastimolava non solamente lui ma eziandio tutti i giovanidella nobiltà franzese la gloria di Gastone di Fois, e lamemoria di tante vittorie ottenute da’ prossimi re in Ita-lia; benché, per non invitare innanzi al tempo gli altri aprepararsi per resistergli, la dissimulasse per consigliode’ suoi, attendendo in questo mezzo a trattare, come sifa ne’ regni nuovi, amicizia con gli altri prìncipi: di moltide’ quali concorsono a lui subito imbasciadori, ricevutitutti con lieta fronte, ma più che tutti gli altri quegli delre d’Inghilterra; il quale, essendo ancora fresca la ingiu-ria ricevuta dal re cattolico, desiderava continuare secol’amicizia cominciata col re Luigi. Venne e nel tempomedesimo onorata imbasceria dello arciduca, della qua-le fu il principale monsignore di Nassau, e con dimostra-zione di grande sommissione come a signore suo sopra-no, per essere possessore della contea di Fiandra, la qua-le riconosceva la superiorità della corona di Francia.

L’una e l’altra legazione ebbe presta e felice espedizione;

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perché col re d’Inghilterra fu riconfermata la confedera-zione fatta tra lui e il re morto, co’ medesimi capitoli edurante la vita di ciascuno di loro, riservato tempo di treanni al re di Scozia di entrarvi; e con l’arciduca cessoronomolte difficoltà che si giudicava per molti dovessino im-pedire la concordia. Perché l’arciduca, il quale, finital’età pupillare, aveva assunto nuovamente il governo deglistati suoi, movevano a questo molte cagioni: la instanzade’ popoli di Fiandra desiderosi di non avere guerra colreame di Francia, il desiderio di assicurarsi degli impedi-menti che nella morte dell’avolo gli potessino essere datida’ franzesi alla successione del regno di Spagna, e ilparergli pericoloso rimanere senza legame di amicizia inmezzo del re dì Francia e del re d’Inghilterra congiuntiinsieme; e da altra parte nel re era desiderio grande dirimuovere tutte l’occasioni che lo potessino costrignerea reggersi con l’autorità e consiglio dell’avolo paterno omaterno. Fu adunque, nella città di Parigi, fatta tra loropace e confederazione perpetua, riservando facoltà aCesare e al re cattolico, senza l’autorità de’ quali conve-niva l’arciduca, di entrarvi fra tre mesi; promesso di farelo sposalizio, trattato tante volte, tra l’arciduca e Reneafigliuola del re Luigi, con dote di seicentomila scudi edel ducato di Berrì perpetuo per lei e per i figliuoli, laquale essendo allora di età tenerissima gli avesse a essereconsegnata subito pervenisse alla età di nove anni, ma

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con patto rinunziasse a tutte le ragioni della eredità pa-terna e materna, e nominatamente a quelle gliappartenessino in su il ducato di Milano e di Brettagna;obligato a dargli il re aiuto di genti e di navi per andare alregno di Spagna, dopo la morte del re cattolico. Fu no-minato a richiesta del re il duca di Ghelleri; e affermanoalcuni che, oltre alle cose predette, fu convenuto che innome dell’uno e dell’altro di loro andassino, fra tre mesi,imbasciadori al re d’Aragona a ricercarlo che facesse giu-rare a’ popoli l’arciduca per principe di quegli reami (èquesto il titolo di quello al quale aspetta la successione)restituisse il regno di Navarra e astenessesi da difendereil ducato di Milano. Né si dubita che ciascuno di questidue prìncipi pensò più, nel confederarsi, alla comoditàche si dimostrava di presente che alla osservanza del tem-po futuro: perché, quale fondamento si poteva fare nellosposalizio che si prometteva, non essendo ancora la spo-sa pervenuta alla età di [quattro] anni? e come potevapiacere al re di Francia che Renea divenisse moglie delloarciduca, alla quale, essendo la sorella maggiore mogliedel re, era parata l’azione sopra il ducato di Brettagna?perché i brettoni, desiderosi d’avere qualche volta unoduca particolare, quando Anna duchessa loro passò alsecondo matrimonio, convennono che al secondogenitode’ figliuoli e discendenti di lei, pervenendo il primoge-nito alla corona di Francia, pervenisse quel ducato.

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Trattava medesimamente il re di Francia col prefato redi prorogare la tregua fatta col re morto, ma rimossa lacondizione di non molestare durante la tregua il ducatodi Milano; sperando dovergli poi essere facile il conveni-re con Cesare; per la quale cagione teneva sospesi iviniziani che offerivano di rinnovare la lega fatta conl’antecessore, volendo essere libero a obligarsi a Cesarecontro a loro. Ma il re cattolico, con tutto che in luipotesse come sempre il desiderio di non avere guerrapropinqua a’ confini di Spagna, pure considerando quantosospetto darebbe la prorogazione della tregua a svizzeri,e che questo, non essendo più né credute le sue parolené uditi i consigli suoi, sarebbe cagione che il pontefice,ambiguo insino a quel dì, si rivolgerebbe alla amiciziafranzese, ricusò finalmente di prolungare la tregua se noncon le medesime condizioni con le quali l’aveva rinno-vata col re passato. Onde il re Francesco, escluso da que-sta speranza, e meno sperando che Cesare contro allavolontà e consigli di quel re avesse a convenire seco,riconfermò col senato viniziano la lega nella forma me-desima che era stata fatta coll’antecessore. Rimanevanoil pontefice e i svizzeri. A questi dimandò cheammettessino i suoi imbasciadori; ma essi, perseverandonella medesima durezza, ricusorno concedere ilsalvocondotto: col pontefice, dalla volontà del quale di-pendevano interamente i fiorentini, non procedette per

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allora più oltre che a confortarlo a conservarsi libero daqualunque obligazione, acciocché, quando i progressidelle cose lo consigliassino a risolversi, fusse in sua po-testà l’eleggere la parte migliore: ricordandogli che maida niuno più che da sé arebbe, per sé e per la casa sua, népiù sincera benivolenza né più intera fede né maggioricondizioni.

Gittati il re questi fondamenti alle cose sue, cominciò afare studiosamente provedimenti grandissimi di danari, ead accrescere insino al numero di quattromila l’ordinan-za delle sue lancie; divulgando fare queste cose non per-ché avesse pensieri di molestare, per questo anno, altrima per opporsi a’ svizzeri, i quali minacciavano, in casoche egli non adempiesse le convenzioni fatte, in nomedel re morto, a Digiuno, di assaltare o la Borgogna o ilDalfinato: la quale simulazione aveva appresso a moltifede di verità, per l’esempio de’ prossimi re i quali aveanosempre fuggito lo implicarsi in nuove guerre nel primoanno del regno loro. Nondimeno, non si imprimeva ilmedesimo negli animi di Cesare e del re d’Aragona; a’quali era sospetta la gioventù del re, la facilità che aveva,sopra il consueto degli altri re, di valersi di tutte le forzedel regno di Francia, nel quale aveva tanta grazia contanta estimazione: ed erano note le preparazioni grandiche aveva lasciate il re Luigi, per le quali, poi che eraassicurato del re di Inghilterra, non pareva che di nuovo

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deliberasse la guerra ma più tosto che continuasse la de-liberazione già fatta; perciò, per non essere oppressi alloimproviso, facevano instanza di confederarsi col pontefi-ce e co’ svizzeri. Ma il pontefice, usando con ciascunadelle parti benigne parole e ingegnandosi di nutrire tutticon varie speranze, differiva per ancora il fare alcunacerta dichiarazione. Ne’ svizzeri non solo continuava maaccresceva continuamente l’ardore di prima; essendosile cagioni cominciate da’ dolori publici, per lo augumentodelle pensioni negato, per l’avere il re Luigi chiamatoagli stipendi suoi i fanti tedeschi, per le parole ingiuriosee piene di dispregio usate contro alla nazione,augumentate da’ dolori dispiaceri e cupidità private, perl’invidia che aveva la moltitudine a molti privati, i qualiricevevano doni e pensioni dal re di Francia, e perchéquegli che più ardentemente si erano opposti a’ princi-pali di coloro che seguitavano l’amicizia franzese, chia-mati allora volgarmente i gallizzanti, saliti per questo colfavore della plebe in riputazione e grandezza, temevanosi diminuisse la loro autorità se di nuovo la republica siricongiugnesse co’ franzesi: di maniera che, non si con-sultando e disputando col zelo publico ma con l’ambi-zione e dissensioni civili, questi, prevalendo di credito a’gallizzanti, ottenevano che si recusassino l’offerte gran-dissime, anzi smisurate, del re di Francia. In questa di-sposizione adunque degli animi e delle cose, gli

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imbasciadori di Cesare del re d’Aragona e del duca diMilano, congregati appresso a’ svizzeri, contrassono conloro, in nome de’ suoi prìncipi, confederazione per ladifesa d’Italia, riservato al pontefice luogo di entrarviinsino alla domenica che si dice letare, della prossimaquadragesima: nella quale fu convenuto che, percostrignere il re di Francia a cedere le ragioni del ducatodi Milano, i svizzeri, ricevendo ciascuno mese dagli altriconfederati trentamila ducati, assaltassino o la Borgognao il Dalfinato; e che il re cattolico movesse con potenteesercito la guerra dalla parte o di Perpignano o diFonterabia nel reame di Francia, acciò che il re, costrettoa difendere il reame proprio, non potesse, se pure avessenell’animo altrimenti, molestare il ducato di Milano.

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CAPITOLO XI

Preparativi del re di Francia per la spedizione inItalia. Tentativi e speranze d’avere favorevole il ponte-fice, e condotta ambigua di questo. Accordi fra il re edil doge di Genova. Inizio della spedizione in Italia.

Stette occulta insino al mese di giugno la deliberazionedel re; ma finalmente, per la grandezza e sollecitudinedegli apparecchi, non era più possibile tanto movimentodissimulare. Perché erano immoderati i provedimenti de’danari, soldava numero grandissimo di fanti tedeschi, fa-ceva condurre molte artiglierie verso Lione, e ultima-mente aveva mandato in Ghienna, per soldare ne’ confi-ni di Navarra diecimila fanti, Pietro Navarra, condottonuovamente agli stipendi suoi: perché non avendo il red’Aragona, sdegnato contro a lui perché in gran parte segli attribuiva l’infelice successo del fatto d’arme, volutomai pagare per la sua liberazione la taglia postagli diventimila ducati, la quale il re morto avea donato al mar-chese del Rotellino per ricompensarlo in qualche partedella taglia de’ centomila ducati pagati in Inghilterra, il

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nuovo re, deliberando usare l’opera sua, aveva, quandopervenne alla corona, pagato la taglia per lui, e dipoicondottolo agli stipendi suoi; avendo prima il Navarra,per scarico dell’onore suo, mandato al re d’Aragona ascusarsi se abbandonato da lui cedeva alla necessità, e arinunziare uno stato il quale possedeva per sua donazio-ne nel regno di Napoli.

Essendo adunque manifesto a ciascuno che la guerra sipreparava contro a Milano e che il re deliberava d’andar-vi personalmente, cominciò il re a ricercare apertamenteil pontefice che si unisse seco; usando a questo, oltre amolte persuasioni e instrumenti, il mezzo di Giulianosuo fratello, il quale nuovamente aveva presa per moglie[Filiberta] sorella di Carlo duca di Savoia e zia maternadel re, dotandola co’ danari del pontefice in centomiladucati: la qual cosa gli avea data speranza che il pontefi-ce fusse inclinato alla amicizia sua, avendo contratto secosì stretto parentado; e tanto più che, avendo prima tratta-to col re cattolico di congiugnere Giuliano con una pa-rente sua della famiglia di Cardona, pareva che più perrispetto suo che per altra cagione avesse preposto questomatrimonio a quello. Né dubitava, Giuliano doverecupidamente favorire questa inclinazione per desideriodi acquistare col mezzo suo qualche stato, col quale po-tesse sostentare le spese convenienti a tanto matrimonioe per stabilire meglio il governo perpetuo, datogli dal

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pontefice nuovamente, delle città di Modona, Reggio,Parma e Piacenza; il quale, non sostenuto da favore diprìncipi potenti, era di poca speranza che avesse a duraredopo la morte del fratello. Ma era cominciata presto aturbarsi la speranza del re: perché il pontefice avevaconceduto al re d’Aragona le crociate del regno di Spa-gna per due anni, delle quali si credeva che avesse a trar-re più di uno milione di ducati; e perché udiva con tantainclinazione Alberto da Carpi e Ieronimo Vich oratori diCesare e del re cattolico, che erano molto assidui appres-so a lui, che parevano partecipi di tutti i consigli suoi.Nutriva questa ambiguità il pontefice, dando parole gra-te e dimostrando ottima intenzione a quegli che interce-devano per il re, ma senza effetto di alcuna conclusione,come quello nel quale prevaleva a tutti gli altri rispetti ildesiderio che il ducato di Milano non fusse più possedu-to da prìncipi forestieri. Però il re, desiderando di certifi-carsi della sua mente, mandò a lui nuovi imbasciadori;tra’ quali fu Guglielmo Budeo parigino, uomo nelle let-tere umane, così greche come latine, di somma e forseunica erudizione tra tutti gli uomini de’ tempi nostri. Dopoi quali mandò Antonio Maria Palavicino, uomo grato alpontefice. Ma erano vane queste fatiche, perché già in-nanzi alla venuta sua aveva occultissimamente, insinodel mese di luglio, convenuto cogli altri alla difesa dellostato di Milano: ma volendo che questa deliberazione

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stesse secretissima insino a tanto che la necessità dellecose lo costrignesse a dichiararsi, e desiderando oltre aquesto publicarla con qualche scusa, ora dimandava che ilre consentisse che la Chiesa si ritenesse Parma e Piacenza,ora faceva altre petizioni acciò che, essendogli negataqualcuna delle cose dimandate, paresse che la necessitàpiù che la volontà lo inducesse a unirsi con gli inimici delre, ora, diffidandosi che il re gli negasse cosa alcuna diquelle che non al tutto senza colore d’onestà poteva pro-porre, faceva risposte varie, ambigue e irresolute.

Ma erano usate seco da altri delle medesime arti e astu-zie. Perché Ottaviano Fregoso doge di Genova, temendodegli apparati potentissimi del re di Francia e avendo daaltra parte sospetta la vittoria de’ confederati per l’incli-nazione del duca di Milano e de’ svizzeri agli avversarisuoi, si era per mezzo del duca di Borbone convenutosecretissimamente col re di Francia, avendo, e mentretrattava e poi che convenne, affermato semprecostantissimamente il contrario al pontefice; il quale, peressere Ottaviano congiuntissimo di antica benivolenza alui e a Giuliano suo fratello, e stato favorito da loro nelfarsi doge di Genova, gliene prestò tale fede che, avendoil duca di Milano insospettito da questa fama disposto diassaltarlo con quattromila svizzeri, che già erano con-dotti a Novara, e con gli Adorni e Fieschi, il pontefice fuoperatore che non si procedesse più oltre. Convenne il

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Fregoso in questa forma: che al re si restituisse il dominiodi Genova insieme col Castelletto; Ottaviano, deposto ilnome del doge, fusse governatore perpetuo del re, conpotestà di concedere gli offici di Genova; avesse dal re lacondotta di cento lancie, l’ordine di San Michele,provisione annua durante la sua vita; non rifacesse il rela fortezza di Codifà molto odiosa a’ genovesi, e conce-desse a quella città tutti i capitoli e privilegi che eranostati annullati e abbruciati dal re Luigi; desse certa quan-tità di entrate ecclesiastiche a Federico arcivescovo diSalerno fratello di Ottaviano, e a lui, se mai accadessefusse cacciato di Genova, alcune castella nella Provenza.Le quali cose quando poi furno publicate non fu difficilea Ottaviano, perché ciascuno sapeva che meritamentetemeva del duca di Milano e de’ svizzeri, giustificare lasua deliberazione. Solamente gli dava qualche nota loavere negato la verità tante volte al pontefice da cui avearicevuti tanti benefici, né osservata la promessa fatta dinon convenire senza suo consentimento; e nondimeno,in una lunga lettera che dipoi gli scrisse in sua giustifica-zione, riandate accuratamente tutte le cagioni che lo ave-vano mosso e tutte le scuse con le quali appresso a luipoteva difendere l’onore e il procedere suo, e il non ave-re disprezzato la divozione che, come a pontefice e comea suo benefattore, gli aveva, conchiuse che gli sarebbepiù difficile la giustificazione se scrivesse a uomini priva-

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ti o a principe che misurasse le cose degli stati secondo irispetti privati, ma che scrivendo a uno principe savioquanto in quella età fusse alcuno altro, e che per la sa-pienza sua conosceva che e’ non poteva salvare lo statosuo in altro modo, era superfluo lo scusarsi con chi co-nosceva e sapeva quel che fusse lecito, o almanco con-sueto, a prìncipi di fare, non solo quando erano ridotti incaso tale ma eziandio per migliorare o accrescere le con-dizioni dello stato loro.

Ma già le cose dalle parole e da’ consigli procedevanoa’ fatti e alle esecuzioni: il re venuto a Lione, accompa-gnato da tutta la nobiltà di Francia e da’ duchi del Lorenoe di Ghelleri, moveva verso i monti l’esercito maggiore epiù fiorito che già grandissimo tempo fusse passato diFrancia in Italia; sicuro di tutte le perturbazioni di là da’monti, perché il re d’Aragona (il quale, temendo primache tanti provedimenti non si volgessino contro a sé, ave-va armato i suoi confini, e acciò che i popoli fussino piùpronti alla difesa della Navarra l’aveva unita in perpetuoal reame di Castiglia), subito come intese la guerra pro-cedere manifestamente in Italia, licenziò tutte le gentiche aveva raccolte, non tenendo più conto della promes-sa fatta quell’anno a’ confederati di muovere la guerranella Francia che avesse tenuto delle promesse fatte a’medesimi negli anni precedenti.

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CAPITOLO XII

Gli svizzeri alla difesa del ducato di Milano. Preoc-cupazione dei francesi di evitare i passi alpini custo-diti dagli svizzeri. Passi alpini da Lione in Italia. Con-sigli del re d’Inghilterra contrari all’impresa d’Italia.I francesi, passate le Alpi, entrano nel marchesato diSaluzzo. Prospero Colonna prigione dei francesi.

Alla fama della mossa del re di Francia, il viceré diNapoli, il quale, essendo stato per molti mesi quasi intacita tregua co’ viniziani, era venuto nel vicentino perapprossimarsi agli inimici, alloggiati in fortissimoalloggiamento agli Olmi appresso a Vicenza, ridussel’esercito a Verona per andare, secondo diceva, a soccor-rere il ducato di Milano; e il pontefice mandava versoLombardia le genti d’armi sue e de’ fiorentini sotto ilgoverno del fratello eletto capitano della Chiesa, per soc-correre medesimamente quello stato, come non molti dìinnanzi aveva convenuto cogli altri confederati: con tut-to che, insistendo nelle solite simulazioni, desse vocemandarle solamente per la custodia di Piacenza di Parma

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e di Reggio, e fusse proceduto tanto oltre cogli oratoridel re di Francia che il re, persuadendosi al certo la suaconcordia, aveva da Lione spedito agli imbasciadori suoiil mandato di conchiudere, consentendo che la Chiesaritenesse Piacenza e Parma insino a tanto ricevesse da luiricompenso tale che il pontefice medesimo l’approvasse.Ma erano, per le cagioni che di sotto appariranno, tuttivani questi rimedi: era destinato che col pericolo e colsangue de’ svizzeri, solamente, o si difendesse o si per-desse il ducato di Milano. Questi, non ritardati da negli-genza alcuna, non dalla piccola quantità de’ danari, scen-devano sollecitamente nel ducato di Milano; già ne era-no venuti più di ventimila, de’ quali diecimila si eranoaccostati a’ monti; perché il consiglio loro era, ponendo-si a’ passi stretti di quelle vallate che dalle Alpi che divi-dono Italia dalla Francia sboccano ne’ luoghi aperti, im-pedire il passare innanzi a’ franzesi.

Turbava molto questo consiglio de’ svizzeri l’animodel re; il quale prima per la grandezza delle sue forze siprometteva certa la vittoria; perché nell’esercito suo era-no dumila cinquecento lancie, ventiduemila fanti tede-schi guidati dal duca di Ghelleri, diecimila guaschi (cosìchiamavano i fanti soldati da Pietro Navarra), ottomilafranzesi e tremila guastatori condotti col medesimo sti-pendio che gli altri fanti. Considerava il re co’ suoi capi-tani essere impossibile, inteso il valore de’ svizzeri, ri-

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muovergli da’ passi forti e angusti se non con numeromolto maggiore; ma questo non si poteva in luoghi tantostretti adoperare, difficile fare cosa di momento in tempobreve, più difficile dimorare lungamente nel paese tantosterile così grande esercito, con tutto che continuamentevenisse verso i monti copia grandissima di vettovaglie.Nelle quali difficoltà, alcuni, sperando più nella diver-sione che nell’urtargli, proponevano che si mandassinoper la via di Provenza ottocento lancie, e per mare PietroNavarra coi diecimila guaschi si unissino insieme aSavona; altri dicevano perdersi, a fare sì lungo circuito,troppo tempo, indebolirsi le forze e accrescersi troppo diriputazione agli inimici, dimostrando di non avere ardiredi riscontrarsi con loro. Fu adunque deliberato, non sidiscostando molto da quel cammino pensare di passareda qualche parte che o non fusse osservata o almenomanco custodita dagli inimici, e che Emat di Pria con[quattrocento] lancie e [cinquemila] fanti andasse per lavia di Genova, non per speranza di divertire, ma per infe-stare Alessandria e le altre terre di qua dal Po.

Due sono i cammini dell’Alpi per i quali ordinariamen-te si viene da Lione in Italia: quello del Monsanese, mon-tagna della giurisdizione del duca di Savoia, più breve epiù diritto, e comunemente più frequentato; l’altro cheda Lione, torcendo a Granopoli, passa per la montagnadi Monginevra, giurisdizione del Dalfinato. L’uno e l’al-

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tro perviene da Susa, ove comincia ad allargarsi la pianu-ra: ma per quello di Monginevra, benché alquanto piùlungo, perché è più facile a passare e più comodo a con-durre l’artiglierie, solevano sempre passare gli esercitifranzesi. Alla custodia di questi due passi e di quegli cheriuscivano in luoghi vicini, intenti i svizzeri, si erano fer-mati a Susa; perché i passi più bassi verso il mare eranotanto stretti e repenti che, essendo molto difficile il pas-sarvi i cavalli di tanto esercito, pareva impossibile cheper quegli si conducessino l’artiglierie. Da altra parte ilTriulzio, a cui il re avea data questa cura, seguitato damoltitudine grandissima di guastatori, e avendo appressoa sé uomini industriosi ed esperimentati nel condurre l’ar-tiglierie, i quali mandava a vedere i luoghi che gli eranoproposti, andava investigando per qual luogo si potesse,senza trovare l’ostacolo de’ svizzeri, più facilmente pas-sare; per il che l’esercito, disteso la maggior parte traGranopoli e Brianzone, aspettando quel che si delibe-rasse, procedeva lentamente; costrignendogli anche almedesimo la necessità di aspettare i provedimenti dellevettovaglie.

Nel qual tempo venne al re, partito già da Lione, unouomo mandato dal re di Inghilterra, il quale in nome suoefficacemente lo confortò che per non turbare la pacedella cristianità non passasse in Italia. Origine di tantavariazione fu che, essendo stato molesto a quel re che ’l

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re di Francia si fusse congiunto con l’arciduca, parendo-gli che le cose sue cominciassino a procedere troppo pro-speramente, avea da questo principio cominciato a pre-stare l’orecchie agli imbasciadori del re cattolico, chenon cessavano di dimostrargli quanto a lui fusse perni-ciosa la grandezza del re di Francia, che per l’odio natu-rale, e per avere esercitato i prìncipi della sua miliziacontro a lui, non gli poteva essere se non inimicissimo;ma lo moveva più la emulazione e la invidia alla gloriasua, la quale gli pareva che si accrescesse molto se e’riportasse la vittoria dello stato di Milano. Ricordavasiche egli, ancora che avesse il regno riposato e ricchissi-mo per la lunga pace, e trovato tanto tesoro accumulatodal padre, non aveva però se non dopo qualche annoavuto ardire di assaltare il re di Francia, solo, e cinto datanti inimici e affaticato da tanti travagli: ora questo re,alquanto più giovane che non era egli quando pervennealla corona, ancora che avesse trovato il regno, affaticatoed esausto per tante guerre, avere ardire, ne’ primi mesidel suo regno, andare a una impresa dove aveva opposi-zione di tanti prìncipi: non avere egli, con tanti apparati econ tante occasioni, riportato in Inghilterra altro guada-gno che la città di Tornai, con spesa nondimeno intolle-rabile e infinita; ma il re di Francia, se conseguisse, comesi poteva credere, la vittoria, acquistando sì bello ducato,avere a tornare gloriosissimo nel regno suo: apertasi an-

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cora la strada, e forse innanzi che uscisse d’Italia presal’occasione, di assaltare il regno di Napoli. Co’ qualistimoli e punture essendo stato facile risuscitare l’odioantico nel petto suo, né essendo a tempo di potere darglicon l’armi impedimento alcuno, e forse anche cercandodi acquistare qualche più giustificazione, aveva mandatoa fargli questa imbasciata. Per la quale il re non ritardan-do il suo cammino, venne da Lione nel Dalfinato: ovene’ medesimi dì comparsono i lanzchenech detti dellabanda nera, condotti da Ruberto della Marcia; la qualebanda della Germania più bassa era, per la sua ferocia eper la fede sempre dimostrata, negli eserciti franzesi ingrandissima estimazione.

A questo tempo significò Giaiacopo da Triulzi al repotersi condurre di là da’ monti l’artiglierie tra l’AlpiMarittime e le Cozie, scendendo verso il marchese diSaluzzo; ove, benché la difficoltà fusse quasi inestimabi-le, nondimeno per la copia grandissima degli uomini edegli instrumenti, dovere finalmente succedere: e nonessendo da questa parte, né in sulla sommità de’ montiné alle bocche delle vallate, custodia alcuna, meglio es-sere tentare di superare l’asprezza de’ monti e i precipizidelle valli, la qual cosa si faceva colla fatica ma non colpericolo degli uomini, che tentare di fare abbandonare ipassi a’ svizzeri tanto temuti, e ostinati o a vincere o amorire; massime non potendo, se si faceva resistenza,

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fermarsi molti dì, perché niuna potenza o apparato ba-stava a condurre per i luoghi tanto aspri e tanto sterilivettovaglia sufficiente a tanta gente: il quale consiglioaccettato, l’artiglierie, che si erano fermate in luogo co-modo a volgersi a ogni parte, si mossono subito a quelcammino. Aveva il Triulzo significato dovere essere gran-dissima la difficoltà del passarle, ma con l’esperienzariuscì molto maggiore. Perché prima era necessario salirein su monti altissimi e asprissimi, ne’ quali si saliva congrandissima difficoltà perché non vi erano sentieri fatti,né talvolta larghezza capace dell’artiglierie se non quan-to di palmo in palmo facilitavano i guastatori; de’ qualiprecedeva copia grandissima, attendendo ora ad allarga-re la strettezza de’ passi ora a spianare le eminenze cheimpedivano. Dalla sommità de’ monti si scendeva, perprecipizi molto prerutti e non che altro spaventosissimi aguardargli, nelle valli profondissime del fiumedell’Argentiera; per i quali non potendo sostenerle i ca-valli che le tiravono, de’ quali vi era numero abbondan-tissimo, né le spalle de’ soldati che l’accompagnavano, iquali in tante difficoltà si mettevano a ogni fatica, eraspesso necessario che appiccate a canapi grossissimifussino, per le troclee, trapassate con le mani de’ fanti:né passati i primi monti e le prime valli cessava la fatica,perché a quegli succedevano altri monti e altre vallate, iquali si passavano con le medesime difficoltà. Finalmen-

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te, in spazio di cinque dì, l’artiglierie si condussono inluoghi aperti del marchesato di Saluzzo di qua da’ mon-ti; passate con tante difficoltà che è certissimo che, se oavessino avuta resistenza alcuna o se i monti fussino sta-ti, come la maggiore parte sogliono essere, coperti dallaneve, sarebbe stata fatica vana; ma dalla opposizione degliuomini gli liberò che, non avendo mai pensato alcunopotersi l’artiglierie condurre per monti tanto aspri, i sviz-zeri fermatisi a Susa erano intenti a guardare i luoghi peri quali viene chi passa il Monsanese, il Monginevra o permonti propinqui a quegli; e la stagione dell’anno, essen-do circa il decimo dì di agosto, aveva rimosso lo impedi-mento delle nevi già liquefatte.

Passavano ne’ dì medesimi, non senza molta difficoltà,le genti d’arme e le fanterie; alcuni per il medesimo cam-mino, altri per il passo che si dice della Dragoniera, altriper i gioghi alti della Rocca Perotta e di Cuni, passi piùverso la Provenza. Per la quale via passato la Palissa,ebbe occasione di fare un fatto memorabile. Perché par-tito da Singlare con quattro squadre di cavalli, e fatta,guidandolo i paesani, una lunghissima cavalcata,sopragiunse improviso a Villafranca, terra distante settemiglia da Saluzzo, e di nome più chiaro che non ricercala qualità della terra perché appresso a quella nasce ilfiume tanto famoso del Po. Alloggiava in quella con lacompagnia sua Prospero Colonna, senza alcuno sospet-

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to per la lunga distanza degli inimici, ne’ quali non teme-va quella celerità che esso, di natura molto lento, nonera solito a usare: e dicono alcuni che il dì medesimovoleva andare a unirsi co’ svizzeri. Ma, come si sia, certoè che stava alla mensa desinando, quando sopragiunsonole genti del la Palissa, non sentite, insino furno alla casamedesima, da alcuno; perché gli uomini della terra co’quali la Palissa, intento a tanta preda, si era prima occul-tamente inteso, aveano tacitamente prese le scolte. Così,il quintodecimo dì di agosto, rimase prigione, non comesi conveniva all’antica gloria, Prospero Colonna, tantochiaro capitano e, per l’autorità sua e per il credito cheaveva nel ducato di Milano, di momento grande in quel-la guerra. Fu preso, insieme con Prospero, Pietro Marganoromano e una parte della compagnia sua: gli altri al pri-mo romore dispersi in varie parti fuggirono.

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CAPITOLO XIII

Migliore disposizione del pontefice verso il re diFrancia dopo il passaggio in Italia. Opposizione diGiulio de’ Medici ai propositi di rinuncia del pontefi-ce a città dell’Emilia. Atteggiamento d’attesa del viceré.Inclinazione degli svizzeri a trattare col re di Francia.

Variò la passata de’ franzesi e il caso di Prospero Co-lonna i consigli di ciascuno e lo stato universalmente ditutte le cose, introducendo negli animi del pontefice delviceré di Napoli e de’ svizzeri nuove disposizioni. Perchéil pontefice, il quale si era costantemente persuaso che ilre di Francia non potesse per la opposizione de’ svizzeripassare i monti, e che molto confidava nella virtù di Pro-spero Colonna, perduto grandemente di animo, coman-dò a Lorenzo suo nipote, capitano generale de’ fiorentini(al quale, perché Giuliano suo fratello, sopravenutaglilunga febbre, era rimasto in Firenze, avea data la cura dicondurre l’esercito in Lombardia, e che tre dì dopo ilcaso di Prospero era venuto a Modena), che procedesselentamente; il quale, pigliata occasione di volere recupe-

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rare la rocca di Rubiera, occupata da Guido vecchioRangone, per la quale cagione gli pagò finalmente dumiladucati, consumò molti dì nel modonese e nel reggiano; ericorrendo, oltre a questo, il pontefice alle sue arti, spedìoccultissimamente Cintio... suo famigliare al re di Fran-cia per escusare le cose succedute insino a quel dì, ecominciare per mezzo del duca di Savoia a trattare diconvenire seco, acciò che da questo principio gli fussepiù facile il procedere più oltre se la difesa del ducato diMilano succedesse infelicemente.

Ma a consiglio di maggiore precipitazione indussono ilpontefice il cardinale Bibbiena e alcuni altri, mossi piùda private passioni che dallo interesse del suo principe:perché, dimostrandogli essere pericolo che, per la famade’ successi prosperi de’ franzesi e per gli stimoli e forseaiuti del re, che il duca di Ferrara si movesse per ricupe-rare Modona e Reggio, e i Bentivogli per ritornare inBologna, e in tanti altri travagli essere difficile combatte-re con tanti inimici, anzi migliore e senza dubbio piùprudente consiglio preoccupare col beneficio labenivolenza loro, e conciliarsegli, in qualunque eventodelle cose, fedeli amici, gli persuasono che rimettesse iBentivogli in Bologna e al duca di Ferrara restituisseModena e Reggio; il che sarebbe senza dilazione statoeseguito se Giulio de’ Medici, cardinale e legato di Bo-logna, il quale il papa, perché in accidenti tanto gravi

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sostenesse le cose di quelle parti e fusse come moderato-re e consigliatore della gioventù di Lorenzo, aveva man-dato a Bologna, non fusse stato di contraria sentenza. Ilquale, mosso dal dispiacere della infamia che di consi-glio pieno di tanta viltà risulterebbe al pontefice, mag-giore certamente che non era stata la gloria di Giulio adacquistare alla Chiesa tanto dominio; mosso ancora daldolore di fare infame e vituperosa la memoria della sualegazione, alla quale non prima arrivato avesse rimessoBologna, città principale di tutto lo stato ecclesiastico,in potestà degli antichi tiranni, lasciando in preda tantanobiltà che in favore della sedia apostolica si era dichia-rata apertamente contro a loro, mandato uomini proprial pontefice, lo ridusse con ragioni e con prieghi al con-siglio più onorato e più sano. Era Giulio, benché, nato dinatali non legittimi, stato promosso da Lione ne primimesi del pontificato al cardinalato, seguitando l’esempiodi Alessandro sesto nell’effetto ma non nel modo: per-ché Alessandro, quando creò cardinale Cesare Borgiasuo figliuolo, fece provare per testimoni che deposono laverità, che la madre al tempo della sua procreazione ave-va marito, inferendone che, secondo la presunzione del-le leggi, s’aveva a giudicare che ’l figliuolo fusse più pre-sto nato del marito che dell’adultero; ma in Giulio i te-stimoni preposono la grazia umana alla verità, perchéprovorono che la madre, della quale, fanciulla e non

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maritata, era stato generato, innanzi che ammettesse agliabbracciamenti suoi il padre Giuliano, aveva avuto da luisecreto consentimento di essere sua moglie.

Variorno similmente questi nuovi casi la disposizionedel viceré: il quale, non partito ancora da Verona per ladifficoltà che aveva a muovere i soldati senza danari eper aspettare nuove genti promesse da Cesare, venuto aSpruch, perché era necessario lasciare sufficientementecustodite Verona e Brescia, cominciò con queste e conaltre scuse a procrastinare, aspettando di vedere quel chedi poi succedesse nel ducato di Milano.

Commossono e i svizzeri medesimamente queste cose;i quali, ritiratisi subito dopo la passata de’ franzesi aPinaruolo, benché dipoi, inteso che il re passate l’Alpiuniva le genti in Turino, venuti a Civàs l’avessino, perchéricusava dare loro vettovaglie, [presa] e saccheggiata edipoi, quasi in sugli occhi del re che era a Turino, fatto ilmedesimo a Vercelli, nondimeno, ridottisi in ultimo aNoara, prendendo dalle avversità animo quegli che nonerano tanto alieni dalle cose franzesi, cominciorno aper-tamente a trattare di convenire col re di Francia. Nel qualtempo quella parte de’ franzesi che veniva per la via diGenova, co’ quali si erano uniti quattromila fanti pagatiper opera di Ottaviano Fregoso da’ genovesi, entrati pri-ma nella terra del Castellaccio e poi in Alessandria e inTortona, nelle quali città non era soldato alcuno,occuporno tutto il paese di qua dal Po.

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CAPITOLO XIV

Il re di Francia apprende d’aver nemico il pontefice;incertezze fra gli svizzeri; resa di Novara. I francesisotto Milano; contegno della popolazione. Pace, subi-to turbata, fra il re di Francia e gli svizzeri. Il vicerémuove da Verona a Parma e l’Alviano dal Polesine diRovigo a Cremona. Il re di Francia a Marignano: leposizioni dei diversi eserciti.

Era il re venuto a Vercelli, nel quale luogo intese laprima volta il pontefice essersi dichiarato contro a lui,perché il duca di Savoia gliene significò in suo nome: laqual cosa benché gli fusse sopra modo molestissima,nondimeno, non perturbato il consiglio dallo sdegno, fece,per non lo irritare, con bandi publici comandare, e nel-l’esercito e alle genti che aveano occupata Alessandria,che niuno ardisse di molestare o di fare insulto alcunonel dominio della Chiesa. Soprasedette poi più dì aVercelli per aspettare l’esito delle cose che si trattavanoco’ svizzeri, i quali non intermettendo di trattare si dimo-stravano da altra parte pieni di varietà e di confusione. In

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Novara, cominciando a tumultuare, presa occasione delnon essere ancora venuti i danari a’ quali era obligato ilre d’Aragona, tolsono violentemente a’ commissari delpontefice i danari mandati da lui, e col medesimo furorepartirno di Novara con intenzione di ritornarsene allapatria; cosa che molti di loro desideravano, i quali essen-do stati in Italia già tre mesi, e carichi di danari e di pre-da, volevano condurre salvi alle case loro sé e le ricchez-ze guadagnate. Ma a fatica partiti da Noara, sopravennonoi danari della porzione del re d’Aragona; i quali con tut-to che nel principio occupassino, nondimeno, conside-rando pure quanto fussino ignominiose così precipitosedeliberazioni, ritornati alquanto a se medesimi, restitui-rono e questi e quegli, per ricevergli ordinatamente da’commissari: ridussonsi di poi a Galera, aspettando venti-mila altri che di nuovo si dicevano venire; tremila andornocol cardinale sedunense per fermarsi alla custodia di Pavia.Perciò il re, diminuita per tante variazioni la speranzadella concordia, partì da Vercelli per andare verso Mila-no; lasciati a Vercelli col duca di Savoia il bastardo suofratello, Lautrech e il generale di Milano a seguitare iragionamenti principiati co’ svizzeri; e lasciata assediatala rocca di Novara, perché alla partita de’ svizzeri avevaottenuta la città: la quale, battuta dalle artiglierie, frapochi dì si arrendette, con patto che fusse salva la vita ele robe di coloro che la guardavano.

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Passò dipoi il re, al quale si arrendé Pavia, il Tesino; eil dì medesimo Gianiacopo da Triulzi si distese con unaparte delle genti a San Cristofano propinquo a Milano epoi insino al borgo della porta Ticinese, sperando che lacittà, la quale era certo che, malcontenta delle rapine edelle taglie de’ svizzeri e degli spagnuoli, desiderava diritornare sotto il dominio de’ franzesi, né aveva dentrosoldati, lo ricevesse. Ma era grande nel popolo milaneseil timore de’ svizzeri, e verde la memoria di quello cheavessino patito l’anno passato, quando per la ritirata de’svizzeri a Novara si sollevorono in favore del re di Fran-cia; però risoluti, non ostante che desiderassino la vitto-ria del re, di aspettare l’esito delle cose, mandorono apregare il Triulzio che non andasse più innanzi, e il dìseguente mandorono imbasciadori al re, che era aBufaloro, a supplicarlo che, contento della disposizionedel popolo milanese, divotissimo alla sua corona e cheera parato a dargli vettovaglie, si contentasse nonfacessino più manifesta dichiarazione; la quale non gliprofittava cosa alcuna alla somma della guerra, come nonaveva giovato il dichiararsi loro l’anno dinanzi al suoantecessore, e a quella città era stato cagione di grandis-simi danni. Andasse e vincesse gli inimici, presupponen-do che Milano, acquistata che egli avesse la campagna,fusse prontissimamente per riceverlo. Alla qual cosa ilre, che era prima molto sdegnato del non avere accettato

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il Triulzio, raccoltigli lietamente, rispose essere contentocompiacergli delle dimande loro.

Andò da Bufaloro il re con l’esercito a Biagrassa; dovementre che stava, il duca di Savoia, avendo uditi ventiimbasciadori de’ svizzeri mandati a lui a Vercelli, andatopoi, seguitandolo il bastardo e gli altri deputati dal re, aGalera, contrasse la pace in nome del re co’ svizzeri, conqueste condizioni: fusse tra il re di Francia e la nazionede’ svizzeri pace perpetua, durante la vita del re e diecianni dopo la morte; restituissino i svizzeri e i grigioni levalli che avevano occupate appartenenti al ducato diMilano; liberassino quello stato dalla obligazione di pa-gare ciascuno anno la pensione de’ quarantamila ducati;desse il re a Massimiliano Sforza il ducato di Nemors,pensione annua di dodicimila franchi, condotta di cin-quanta lancie e moglie del sangue reale; restituisse a’svizzeri la pensione antica di quarantamila franchi; pa-gasse lo stipendio di tre mesi a tutti i svizzeri che alloraerano in Lombardia o nel cammino per venirvi; pagassea’ cantoni, con comodità di tempi, quattrocentomila scudipromessi nello accordo di Digiuno e trecento altri milaper la restituzione delle valli; tenessene continuamentea’ soldi suoi quattromila: nominati con consentimentocomune il pontefice, in caso restituisse Parma e Piacenza,lo imperadore, il duca di Savoia e il marchese diMonferrato; non fatta menzione alcuna del re cattolico

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né de’ viniziani né di alcuno altro italiano. Ma questaconcordia fu quasi in uno dì medesimo conchiusa e per-turbata per la venuta de’ nuovi svizzeri; i quali, ferociper le vittorie passate e sperando non dovere della guerraacquistare minori ricchezze che quelle delle quali vede-vano carichi i compagni, avevano l’animo alienissimodalla pace, e per difficultarla recusavano di restituire levalli: in modo che, non potendo i primi svizzeri rimuo-vergli da questo ardore, se ne andorono in numero ditrentacinquemila a Moncia per fermarsi ne’ borghi diMilano; essendosi partito da loro per la via di Como, laquale strada il re studiosamente aveva lasciata aperta,Alberto Pietra, famoso capitano, con molte insegne. Così,non quasi prima fatta che turbata la pace, ritornorno lecose nelle medesime difficoltà e ambiguità; anzi moltomaggiori, essendosi nuove forze e nuovi eserciti appros-simati al ducato di Milano.

Perché il viceré finalmente, lasciato alla guardia di Ve-rona Marcantonio Colonna con cento uomini d’armesessanta cavalli leggieri e dumila fanti tedeschi, e in Bre-scia mille dugento lanzchenech, era venuto ad alloggiarein sul Po appresso a Piacenza; avendo settecento uominid’arme secento cavalli leggieri e semila fanti, e il pontepreparato a passare il fiume. Al quale per non dare giustacausa di querelarsi, Lorenzo de’ Medici, che era soggior-nato industriosamente molti dì a Parma con lo esercito,

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nel quale erano settecento uomini d’arme ottocento ca-valli leggieri e quattromila fanti, [venne a Piacenza]; aven-do prima, a richiesta de’ svizzeri, mandati, mentre tratta-vano, per servirsene a raccorre le vettovaglie, quattro-cento cavalli leggieri sotto Muzio Colonna e Lodovicoconte di Pitigliano, condottiere l’uno della Chiesa l’al-tro de’ fiorentini: i quali non aveva mandati tanto perdesiderio di aiutare la causa comune quanto per non dareoccasione a’ svizzeri, se pure componevano col re di Fran-cia, di non includere nella pace il pontefice. Da altraparte Bartolomeo d’Alviano, il quale avea data speranzaal re di tenere di maniera occupato l’esercito spagnuoloche non arebbe facoltà di nuocergli, subito che intese lapartita del viceré da Verona, partendosi del Polesine diRovigo, passato l’Adice e camminando sempre appressoal Po, con novecento uomini d’arme mille quattrocentocavalli leggieri e nove [mila] fanti e col provedimentoconveniente d’artiglierie, era venuto con grandissima ce-lerità alle mura di Cremona: della quale celerità, insolitaa’ capitani de’ tempi nostri, egli gloriandosi, solevaagguagliarla alla celerità di Claudio Nerone quando, peropporsi ad Asdrubale, condusse parte dell’esercitoespedito in sul fiume del Metauro.

Così non solo era vario ma confuso e implicato moltolo stato della guerra. Vicini a Milano, da una parte il re diFrancia con esercito instruttissimo di ogni cosa, il quale

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era venuto a Marignano per dare all’Alviano facilità diunirsi seco, alle genti ecclesiastiche e spagnuole difficol-tà di unirsi con gli inimici: dall’altra trentacinquemilasvizzeri, fanteria piena di ferocia e insino a quel dì, inquanto a franzesi, invitta: il viceré in sul Po presso aPiacenza e in sulla strada propria che va a Lodi, e colponte preparato a passare per andare a unirsi co’ svizze-ri; e in Piacenza, per congiugnersi seco al medesimo ef-fetto, Lorenzo de’ Medici con le genti del pontefice e de’fiorentini: l’Alviano, capitano sollecito e feroce, conl’esercito viniziano, in cremonese, quasi in sulla riva delPo, per aiutare, o con la unione o divertendo gli ecclesia-stici e spagnuoli, il re di Francia. Rimaneva in mezzo diMilano e Piacenza con eguale distanza la città di Lodi,abbandonata da ciascuno ma saccheggiata prima da Renzoda Ceri, entratovi dentro come soldato de’ viniziani; ilquale, per discordie nate tra lui e l’Alviano, avendo pri-ma con protesti e quasi con minaccie ottenuto licenzadal senato, si era condotto con dugento uomini d’arme econ dugento cavalli leggieri agli stipendi del pontefice;ma non potendo così presto seguitarlo i soldati suoi, per-ché i viniziani proibivano a molti il partirsi di Padovadove erano alloggiati, si era partito da Lodi per empiereil numero della compagnia con la quale era stato condot-to. Ma il cardinale sedunense, il quale prima spaventatodalle pratiche che tenevano i suoi col re di Francia e

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dalla vacillazione della città di Milano, si era fuggito conmille svizzeri a Piacenza e con parte delle genti del ducadi Milano, e dipoi andato a Cremona a sollecitare il viceréa farsi innanzi, indirizzatosi al cammino di Milano in-nanzi che l’esercito franzese gli impedisse quella strada,lasciò alcuni de’ suoi, benché non molto numero, a guar-dia di Lodi; i quali, come intesono la venuta del re diFrancia a Marignano, impauriti l’abbandonorono.

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CAPITOLO XV

Sospetti del viceré riguardo all’esercito pontificio.Vana deliberazione degli spagnuoli e dei pontifici dipassare il Po. Parole d’incitamento agli svizzeri delcardinale sedunense. Il primo giorno della battagliafra svizzeri e francesi. Il secondo giorno ed il soprag-giungere dell’Alviano: importanza ed esito della bat-taglia; sue conseguenze.

Ma mentre che il viceré dimora in sul fiume del Po, einnanzi che Lorenzo de’ Medici giugnesse a Piacenza, fupreso da’ suoi Cintio mandato dal pontefice al re di Fran-cia; appresso al quale essendo trovati i brevi e le letterecredenziali, con tutto che per riverenza di chi lo manda-va lo lasciasse subito passare, cominciò non mediocre-mente a dubitare che la speranza che gli era data, chel’esercito ecclesiastico unito seco passerebbe il fiume delPo, non fusse vana; tanto più che, ne’ medesimi dì, si erapresentito che Lorenzo de’ Medici avea mandato occul-tamente uno de’ suoi al medesimo re. La qual cosa nonera aliena dalla verità, perché Lorenzo, o per consiglio

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proprio o per comandamento del pontefice, avea manda-to a scusarsi se contro a lui conduceva l’esercito, [stret-to] dalla necessità che avea di ubbidire al papa; ma chein quello che potesse, senza provocarsi la indegnazionedel zio e senza maculare l’onore proprio, farebbe ogniopera per sodisfargli, secondo che sempre era stato edera più che mai il suo desiderio.

Ma come Lorenzo fu arrivato a Piacenza, si cominciò ildì medesimo, tra il viceré e lui e gli uomini che interveni-vano a’ consigli loro, a disputare se fusse da passareunitamente il fiume del Po per congiugnersi co’ svizzeri,adducendosi per ciascuno diverse ragioni. Allegavanoquegli che confortavano al passare, niuna ragione dis-suadere l’entrare in Lodi, dove quando fussino sidifficulterebbe all’Alviano di unirsi con lo esercitofranzese e a loro si darebbe facoltà di unirsi con i svizze-ri, o andando verso Milano a trovargli o essi venendoverso loro: e se pure i franzesi si riducessino, come erafama volevano fare, o fussino già ridotti in sulla strada traLodi e Milano, lo avere alle spalle questi eserciti con-giunti gli metterebbe in travaglio e pericolo; e anche for-se non sarebbe difficile, benché con circuito maggiore,trovare modo di congiugnersi con i svizzeri. Essere que-sta deliberazione molto utile anzi necessaria alla impre-sa, e per levare a’ svizzeri tutte le occasioni di nuovepratiche di accordo e per accrescere loro forze, delle quali

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contro a sì grosso esercito avevano di bisogno, e special-mente di cavalli de’ quali mancavano; ma ricercarlo, ol-tre a questo, la fede e l’onore del pontefice e del re cat-tolico, che per la capitolazione erano obligati soccorrerelo stato di Milano, e che tante volte ne avevano dataintenzione a’ svizzeri, i quali trovandosi ingannatidiventerebbono di amicissimi inimicissimi. Ricercare que-sto medesimo l’interesse degli stati propri, perché per-dendo i svizzeri la giornata o facendo accordo col re diFrancia, non restare in Italia forze da proibirgli che e’non corresse per tutto lo stato ecclesiastico insino a Romae poi a Napoli. Allegavansi in contrario molte ragioni, equella massime, non essere credibile che il re non avessea quella ora mandato genti a Lodi; le quali quando vi sitrovassino, sarebbe necessario ritirarsi con vergogna eforse non senza pericolo, potendo avere in uno tempomedesimo i franzesi alle spalle e i viniziani o alla fronte oal fianco, né si potendo senza tempo e senza qualcheconfusione ripassare il ponte. Il quale partito se il peri-colo si comprasse con degno prezzo non essere forse darecusare, ma, quando bene entrassino in Lodi abbando-nato, che frutto farebbe questo alla impresa? come po-tersi disegnare, stando tra Milano e Lodi uno esercito sìpotente, o di andare a unirsi co’ svizzeri o ch’i svizzeriandassino a unirsi con loro? Né essere forse sicuro consi-glio rimettere nelle mani di questa gente temeraria e sen-

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za ragione tutte le forze del pontefice e del re cattolico,dalle quali dependeva la salute di tutti gli stati loro; per-ché si sapeva pure che una grande parte aveva fatto lapace col re di Francia, e che tra questi e gli altri cherepugnavano erano molte contenzioni. Finalmente fudeliberato che il giorno prossimo tutti due gli eserciti,espediti, senza alcuna bagaglia, passassino il Po, lasciatebene guardate Parma e Piacenza per timore dello eserci-to viniziano; i cavalli leggieri del quale avevano, in que-gli dì, scorso e predato per il paese. La quale [delibera-zione], secondo che allora credettono molti, da niunadelle parti fu fatta sinceramente; pensando ciascuno, colsimulare di volere passare, trasferire la colpa nell’altrosenza mettere se stesso in pericolo: perché il viceré, inso-spettito per la andata di Cintio e sapendo quanto artifi-ciosamente procedeva nelle sue cose il pontefice, si per-suadeva la volontà sua essere che Lorenzo non proce-desse più oltre; e Lorenzo, considerando quanto malvo-lentieri il viceré metteva quello essercito in potestà dellafortuna, faceva di altri quel giudicio medesimo che daaltri era fatto di sé. Cominciorno dopo il mezzogiorno apassare per il ponte le genti spagnuole, dopo le qualidoveano incontinente passare gli ecclesiastici; ma aven-do per il sopravenire della notte differito necessariamen-te alla mattina seguente, non solamente non passornoma il viceré ritornò con l’esercito di qua dal fiume, per la

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relazione di quattrocento cavalli leggieri i quali, mandatiparte dell’uno parte dell’altro esercito per sentire degliandamenti degli inimici, rapportorno che il dì dinanzierano entrate in Lodi cento lancie de’ franzesi: donderitornati il viceré e Lorenzo agli alloggiamenti primi,l’Alviano andò coll’esercito suo a Lodi.

Il re, in questo tempo medesimo, andò da Marignanoad alloggiare a San Donato tre miglia appresso a Milano;e i svizzeri si ridussono tutti a Milano; tra i quali, essen-do una parte aborrenti dalla guerra gli altri alieni dallaconcordia, si facevano spessi consigli e molti tumulti.Finalmente, essendo congregati insieme, il cardinalesedunense, che ardentissimamente confortava il perseve-rare nella guerra, cominciò con caldissime parole a sti-molargli che senza più differire uscissino fuora il giornomedesimo ad assaltare il re di Francia, non avendo tantoinnanzi agli occhi il numero de’ cavalli e delle artiglieriedegli inimici che perturbasse la memoria della ferociade’ svizzeri e delle vittorie avute contro a’ franzesi.

— Dunque — disse Sedunense — ha la nazione nostrasostenuto tante fatiche, sottopostasi a tanti pericoli, sparsotanto sangue, per lasciare in uno dì solo tanta gloria ac-quistata, tanto nome, agli inimici stati vinti da noi? Nonson questi quegli medesimi franzesi che accompagnati danoi hanno avute tante vittorie? abbandonati da noi sonosempre stati vinti da ciascuno? Non sono questi quegli

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medesimi franzesi che da piccola gente de’ nostri furonol’anno passato rotti, con tanta gloria, a Novara? Non sonoeglino quegli che spaventati dalla nostra virtù, confusidalla loro grandissima viltà, hanno esaltato insino al cie-lo il nome degli elvezi, chiaro quando eravamo congiunticon loro, ma fatto molto più chiaro poi che ci separam-mo da loro? Non avevano quegli che furono a Novara nécavalli né artiglierie, avevano la speranza propinqua delsoccorso, e nondimeno, credendo a Mottino, ornamentoe splendore degli elvezi, assaltatigli valorosamente a’ loroalloggiamenti, andati a urtare le loro artiglierie, gliroppono, ammazzati tanti fanti tedeschi che nella ucci-sione loro straccorono l’armi e le braccia: e voi credeteche ora ardischino di aspettare quarantamila svizzeri,esercito sì valoroso e sì potente che sarebbe bastante acombattere alla campagna con tutto il resto del mondounito insieme? Fuggiranno, credetemi, alla sola fama dellavenuta nostra; non avendo avuto ardire di accostarsi aMilano per confidenza della loro virtù ma solo per lasperanza delle vostre divisioni. Non gli sosterrà la perso-na o la presenza del re, perché, per timore di non metterein pericolo o la vita o lo stato, sarà il primo a cercare disalvare sé e dare esempio agli altri di fare il medesimo. Secon questo esercito, cioè con le forze di tutta Elvezia,non ardirete di assaltargli, con quali forze vi rimarrà eglisperanza di potere resistere loro? A che fine siamo noi

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scesi in Lombardia, a che fine venuti a Milano, se voleva-mo avere paura dello scontro degli inimici? Dovesarebbeno le magnifiche parole, le feroci minaccie usatetutto questo anno? quando ci vantavamo di volere dinuovo scendere in Borgogna, quando ci rallegravamodello accordo del re di Inghilterra, della inclinazione delpontefice a collegarsi col re di Francia, riputando a glo-ria nostra quanti più fussino uniti contro allo stato diMilano? Meglio era non avere avute questi anni si onora-te vittorie, non avere cacciato i franzesi d’Italia, essersicontenuti ne’ termini della nostra antica fama, se poitutti insieme, ingannando l’espettazione di tutti gli uo-mini, avevamo a procedere con tanta viltà. Hassi oggi afare giudicio da tutto il mondo se della vittoria di Novarafu cagione o la nostra virtù o [la] fortuna: se mostreremotimore degli inimici sarà da tutti attribuita o a caso o atemerità, se useremo la medesima audacia, confesseràciascuno essere stata virtù; e avendo, come senza dubbioaremo, il medesimo successo, saremo non solamente ter-rore della età presente ma in venerazione ancora de’ po-steri, dal giudicio e dalle laudi de’ quali sarà il nome de’svizzeri anteposto al nome de’ romani. Perché di loronon si legge che mai usassino una audacia tale, né chemai conseguissino vittoria alcuna con tanto valore, néche mai senza necessità eleggessino di combattere con-tro agli inimici con tanto disavvantaggio; e di noi si leg-

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gerà la battaglia fatta presso a Novara, dove con pocagente, senza artiglierie senza cavalli, mettemmo in fugauno esercito poderoso e ordinato di tutte le provisioni eguidato da due famosi capitani, l’uno senza dubbio ilprimo di tutta Francia l’altro il primo di tutta Italia.Leggerassi la giornata fatta a San Donato, con le medesi-me difficoltà dalla parte nostra, contro alla persona d’unore di Francia, contro a tanti fanti tedeschi: i quali quantopiù numero sono tanto più sazieranno l’odio nostro, tan-to maggiore facoltà ci daranno di spegnere in perpetuo laloro milizia, tanto più si asterranno da volere temeraria-mente fare concorrenza nell’armi co’ svizzeri. Non è cer-to, anzi per molte difficoltà pare impossibile, che il vicerée le genti della Chiesa si unischino con noi: però, a cheproposito aspettargli? Né è necessaria la loro venuta, anzici debbe essere grato questo impedimento, perché la glo-ria sarà tutta nostra, saranno tutte nostre tante spoglietante ricchezze che sono nello esercito inimico. Non vol-le Mottino che la gloria si comunicasse, non che a altri,a’ nostri medesimi; e noi saremo sì vili, sì disprezzatoridella nostra ferocia che, quando bene potessino venire aunirsi, volessimo aspettare di comunicare tanta laude tan-to onore co’ forestieri? Non ricerca la fama de’ svizzeri,non ricerca lo stato delle cose che si usi più dilazione o sifacci più consigli. Ora è necessario uscire fuora, ora ora ènecessario di andare ad assaltare gli inimici. Hanno a

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consultare i timidi, che pensano non a opporsi a’ pericolima a fuggirgli, ma a gente feroce e bellicosa come lavostra appartiene presentarsi allo inimico subito che si èavuto vista di lui. Però, con l’aiuto di Dio che con giustoodio perseguita la superbia de’ franzesi, pigliate con laconsueta animosità le vostre picche, date ne’ vostri tam-buri; andianne subito senza interporre una ora di tempo,andiamo a straccare l’armi nostre, a saziare il nostro odiocol sangue di coloro che per la superbia loro voglionovessare ognuno ma per la loro viltà restano sempre inpreda di ciascuno. —

Incitati da questo parlare, prese subito furiosamente leloro armi, e come furono fuora della porta Romana mes-sisi co’loro squadroni in ordinanza, ancor che non re-stasse molto del giorno, si avviano verso l’esercitofranzese, con tanta allegrezza e con tanti gridi che chinon avesse saputo altro arebbe tenuto per certo cheavessino conseguito qualche grandissima vittoria; i capi-tani stimolavano i soldati a camminare, i soldati gli ricor-davano che a qualunque ora si accostassino alloalloggiamento degli inimici dessino subito il segno dellabattaglia; volere coprire il campo di corpi morti, volerequel giorno spegnere il nome de’ fanti tedeschi, e di que-gli massime che, pronosticandosi la morte, portavano persegno le bande nere. Con questa ferocia accostatisi aglialloggiamenti de’ franzesi, non restando più di due ore di

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quel dì, principiorono il fatto d’arme, assaltando conimpeto incredibile le artiglierie e i ripari; col quale impe-to, appena erano arrivati che avevano urtato e rotto leprime squadre e guadagnata una parte dell’artiglierie: mafacendosi loro incontro la cavalleria e una grande partedello esercito, e il re medesimo cinto da uno valorososquadrone di gentiluomini, essendo alquanto raffrenatotanto furore, si cominciò una ferocissima battaglia; la qua-le con vari eventi e con gravissimo danno delle genti d’armefranzesi, le quali furono piegate si continuò insino a quat-tro ore della notte, essendo già restati morti alcuni de’capitani franzesi, e il re medesimo percosso da molti colpidi picche. Quivi, non potendo più né l’una né l’altra partetenere per la stracchezza l’armi in mano, spiccatisi senzasuono di trombe senza comandamento de’ capitani, simessono i svizzeri ad alloggiare nel campo medesimo, nonoffendendo più l’uno l’altro ma aspettando, come con ta-cita tregua, il prossimo sole; ma essendo stato tanto feliceil primo assalto de’ svizzeri, a’ quali il cardinale fece, comefurno riposati, condurre vettovaglie da Milano, che pertutta Italia corsono i cavallari a significare i svizzeri averemesso in fuga l’esercito degli inimici.

Ma non consumò inutilmente il re quel che avanzavadella notte; perché, conoscendo la grandezza del perico-lo, attese a fare ritirare a’ luoghi opportuni e a l’ordinedebito l’artiglierie, a fare rimettere in ordinanza le batta-

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glie de’ lanzchenech e de’ guasconi, e la cavalleria aisuoi squadroni. Sopravenne il dì: al principio del quale isvizzeri, disprezzatori non che dello esercito franzese madi tutta la milizia d’Italia unita insieme, assaltorono conl’impeto medesimo e molto temerariamente gli inimici;da’ quali raccolti valorosamente, ma con più prudenza emaggiore ordine, erano percossi parte dalle artiglierie partedal saettume de’ guasconi, assaltati ancora da i cavalli, inmodo che erano ammazzati da fronte e dai lati. Esopravenne, in sul levare del sole, l’Alviano; il quale,chiamato la notte dal re, messosi subito a cammino co’cavalli leggieri e con una parte più espedita dello eserci-to, e giunto quando era più stretto e più feroce il combat-tere e le cose ridotte in maggiore travaglio e pericolo,seguitandolo dietro di mano in mano il resto dello eser-cito, assaltò con grande impeto i svizzeri alle spalle. Iquali, benché continuamente combattessino con gran-dissima audacia e valore, nondimeno, vedendo sì gagliar-da resistenza e sopragiugnere l’esercito viniziano, dispe-rati potere ottenere la vittoria, essendo già stato più oresopra la terra il sole, sonorono a raccolta; e postesi insulle spalle l’artiglierie che aveano condotte seco voltornogli squadroni, ritenendo continuamente la solita ordi-nanza e camminando con lento passo verso Milano: econ tanto stupore de’ franzesi che, di tutto l’esercito,niuno né de’ fanti né de’ cavalli ebbe ardire di seguitar-

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gli. Solo due compagnie delle loro, rifuggitesi in una vil-la, vi furono dentro abbruciate da i cavalli leggieri de’viniziani. Il rimanente dello esercito, intero nella sua or-dinanza e spirando la medesima ferocia nel volto e negliocchi, ritornò in Milano; lasciati per le fosse, secondodicono alcuni, quindici pezzi di artiglieria grossa, cheavevano tolto loro nel primo scontro, per non avere co-modità di condurla.

Affermava il consentimento comune di tutti gli uomininon essere stata per moltissimi anni in Italia battaglia piùferoce e di spavento maggiore; perché, per l’impeto colquale cominciorono l’assalto i svizzeri e poi per gli erroridella notte, confusi gli ordini di tutto l’esercito e com-battendosi alla mescolata senza imperio e senza segno,ogni cosa era sottoposta meramente alla fortuna; il remedesimo, stato molte volte in pericolo, aveva a ricono-scere la salute più dalla virtù propria e dal caso che dal-l’aiuto de’ suoi; da’ quali molte volte, per la confusionedella battaglia e per le tenebre della notte, era stato ab-bandonato. Di maniera che il Triulzio, capitano che aveavedute tante cose, affermava questa essere stata battaglianon d’uomini ma di giganti; e che diciotto battaglie allequali era intervenuto erano state, a comparazione di que-sta, battaglie fanciullesche. Né si dubitava che se nonfusse stato l’aiuto delle artiglierie era la vittoria de’ sviz-zeri, che, entrati nel primo impeto dentro a’ ripari de’

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franzesi, tolto la più parte delle artiglierie, avevano sem-pre acquistato di terreno; né fu di poco momento la giun-ta dell’Alviano, che sopravenendo in tempo che la batta-glia era ancor dubbia dette animo a i franzesi e spaventoa i svizzeri, credendo essere con lui tutto l’esercitoviniziano. Il numero de’ morti, se mai fu incerto in batta-glia alcuna, come quasi sempre è in tutte, fu in questaincertissimo; variando assai gli uomini nel parlarne, chiper passione chi per errore. Affermorono alcuni esseremorti de’ svizzeri più di quattordicimila; altri dicevanodi dieci, i più moderati di ottomila, né mancò chi volesseristrignergli a tremila; capi tutti ignobili e di nomi oscuri.Ma de’ franzesi morirno, nella battaglia della notte, Fran-cesco fratello del duca di Borbone, Imbricort, Sanserro,il principe di Talamonte figliuolo del la Tramoglia, Boisìnipote già del cardinale di Roano, il conte di Sasart,Catelart di Savoia, Busichio e Moia che portava la inse-gna de’ gentiluomini del re; tutte persone chiare per no-biltà e grandezza di stati o per avere gradi onorati nelloesercito. E del numero de’ morti di loro si parlò, per lemedesime cagioni, variamente; affermando alcuni esser-ne morti seimila, altri che non più di tremila: tra’ qualimorirno alcuni capitani de’ fanti tedeschi.

Ritirati che furono i svizzeri in Milano, essendo in gran-dissima discordia o di convenire col re di Francia o difermarsi alla difesa di Milano, quegli capitani i quali pri-

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ma avevano trattata la concordia, cercando cagione menoinonesta di partirsi, dimandorono danari a MassimilianoSforza, il quale era manifestissimo essere impotente adarne; e dipoi tutti i fanti, confortandogli a questo Rostiocapitano generale, si partirono il dì seguente per andar-sene per la via di Como al paese loro, data speranza alduca di ritornare presto a soccorrere il castello, nel qualerimanevano mille cinquecento svizzeri e cinquecento fantiitaliani. Con questa speranza Massimiliano Sforza, ac-compagnato da Giovanni da Gonzaga e da IeronimoMorone e da alcuni altri gentiluomini milanesi, si rin-chiuse nel castello, avendo consentito, benché non sen-za difficoltà, che Francesco duca di Bari suo fratello sene andasse in Germania; e il cardinale sedunense andò aCesare per sollecitare il soccorso, data la fede di ritorna-re innanzi passassino molti dì; e la città di Milano, ab-bandonata d’ogni presidio, si dette al re di Francia, con-venuta di pagargli grandissima quantità di danari: il qua-le recusò di entrarvi mentre si teneva per gli inimici ilcastello, come se a re sia indegno entrare in una terra chenon sia tutta in potestà sua. Fece il re, nel luogo nelquale aveva acquistato la vittoria, celebrare tre dì solennimesse, la prima per ringraziare Dio della vittoria, l’altraper supplicare per la salute de’ morti nella battaglia, laterza per pregarlo che concedesse la pace; e nel luogomedesimo fece a perpetua memoria edificare una cappel-

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la. Seguitorno la fortuna della vittoria tutte le terre e lefortezze del ducato di Milano, eccetto il castello diCremona e quello di Milano: alla espugnazione del qua-le essendo preposto Pietro Navarra, affermava (non sen-za ammirazione di tutti, essendo il castello fortissimo,abbondante di tutte le provisioni necessarie a difendersie a tenersi, e dove erano dentro più di dumila uomini daguerra) di espugnarlo in minore tempo d’uno mese.

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CAPITOLO XVI

Accordi fra il pontefice ed il re di Francia. I francesicontro il castello di Milano. Accordi fra il re di Fran-cia e Massimiliano Sforza. Massimiliano Sforza inFrancia.

Avuta la nuova della vittoria de’ franzesi, il viceré,soprastato pochi dì nel medesimo alloggiamento più pernecessità che per volontà, potendo difficilmente per ca-restia di danari muovere l’esercito, ricevutane finalmen-te certa quantità, e in prestanza da Lorenzo de’ Mediciseimila ducati, si ritirò a Pontenuro, con intenzione diandarsene nel reame di Napoli. Perché, se bene il ponte-fice, inteso i casi successi, aveva nel principio rappresen-tato agli uomini la costanza del suo antecessore, confor-tando gli oratori de’ confederati a volere mostrare il vol-to alla fortuna e sforzarsi di tenere in buona disposizionei svizzeri e, variando loro, che in luogo suo si conducessinofanti tedeschi, nondimeno, parendogli le provisioni nonpotere essere se non tarde a’ pericoli suoi e che il primopercosso aveva a essere egli, perché, quando bene la ri-

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verenza della Chiesa facesse che il re si astenesse damolestare lo stato ecclesiastico, non credeva bastasse afarlo ritenere da assaltare Parma e Piacenza, come mem-bri attenenti al ducato di Milano, e da molestare lo statodi Firenze, nel quale cessava ogni rispetto, ed era offesasì stimata dal pontefice quanto se offendesse lo stato del-la Chiesa. Né era vano il suo timore, perché già il reaveva fatto ordinare il ponte in sul Po presso a Pavia permandare a pigliare Parma e Piacenza; e prese quelle cit-tà, quando il pontefice stesse renitente all’amicizia sua,mandare per la via di Pontriemoli a fare pruova di caccia-re i Medici dello stato di Firenze. Ma già, per commissio-ne sua, il duca di Savoia e il vescovo di Tricarico suonunzio trattavano col re; il quale, sospettoso ancora dinuove unioni contro a sé e inclinato alla reverenza dellasedia apostolica per lo spavento che era in tutto il regnodi Francia delle persecuzioni avute da Giulio, era moltodesideroso dello accordo. Però fu prestamente conchiusotra loro confederazione a difesa degli stati d’Italia, e par-ticolarmente: che il re pigliasse la protezione della per-sona del pontefice e dello stato della Chiesa, di Giulianoe di Lorenzo de’ Medici e dello stato di Firenze; dessestato in Francia e pensione a Giuliano, pensione a Lo-renzo e la condotta di cinquanta lancie; consentisse cheil pontefice desse il passo per lo stato della Chiesa alviceré di tornare con l’esercito nel regno di Napoli; fusse

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tenuto il pontefice levare di Verona e dallo aiuto di Cesa-re contro a’ viniziani le genti sue; restituire al re di Fran-cia le città di Parma e di Piacenza, ricevendo in ricom-penso dal re che il ducato di Milano fusse tenuto a levareper uso suo i sali da Cervia, che si calcolava essere cosamolto utile per la Chiesa, e già il pontefice nella confe-derazione fatta col duca di Milano aveva convenuto secoquesto medesimo; che si facesse compromesso nel ducadi Savoia se i fiorentini avevano contrafatto alla confede-razione che avevano fatto col re Luigi, e che avendocontrafatto avesse a dichiarare la pena, il che il re dicevadimandare più per onore suo che per altra cagione. Efatta la conclusione, Tricarico andò subito in poste a Romaper persuadere al pontefice la ratificazione; e Lorenzo,acciò che il viceré avesse cagione di partirsi più presto,ritirò a Parma e Reggio le genti che erano a Piacenza, edegli andò al re per farsegli grato e persuadergli, secondogli ammunimenti artificiosi del zio, di volere in ogni eventodelle cose dipendere da lui. Non fu senza difficoltà in-durre il pontefice alla ratificazione, perché gli eramolestissimo il perdere Parma e Piacenza, e arebbe vo-lentieri aspettato di intendere prima quel che deliberassinoi svizzeri: i quali, convocata la dieta a Zurich, cantoneprincipale di tutti gli elvezi e inimicissimo a’ franzesi,trattavano di soccorrere il castello di Milano, nonostanteche avessino abbandonato le valli e le terre di Bellinzone

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e di Lugarno ma non le fortezze, benché il re pagati seimilascudi al castellano ottenesse quella di Lugarno; ma nonabbandonorono già i grigioni Chiavenna. Nondimeno,dimostrandogli Tricarico essere pericolo che il re nonassaltasse senza dilazione Parma e Piacenza e mandassegente in Toscana, e magnificando il danno che i svizzeriavevano ricevuto nella giornata, fu contento ratificare;con modificazione però di non avere egli o suoi agenti aconsegnare Parma e Piacenza, ma lasciandole vacue disue genti e di suoi officiali, permettere che il re se lepigliasse; che il pontefice non fusse tenuto a levare legenti da Verona per non fare questa ingiuria a Cesare, mabene prometteva da parte di levarle presto con qualchecomoda occasione; e che i fiorentini fussino assoluti dal-la contrafazione pretensa della lega. Fu anche in questoaccordo che il re non pigliasse protezione di alcunofeudatario o suddito dello stato della Chiesa, né solo[non] vietare al pontefice come superiore loro il proce-dere contro a essi e il gastigargli, ma eziandio obligandosi,quando ne fusse ricercato, a dargli aiuto. Trattossi anco-ra che il pontefice e il re si abboccassino in qualche luo-go comodo insieme, cosa proposta dal re ma desideratadall’uno e dall’altro di loro: dal re, per stabilire meglioquesta amicizia, per assicurare le cose degli amici cheaveva in Italia, e perché sperava, con la presenza sua econ offerire stati grossi al fratello del pontefice e al nipo-

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te, ottenere di potere con suo consentimento assaltare,come ardentissimamente desiderava, il reame di Napoli;dal pontefice, per intrattenere con questo officio, o conla maniera sua efficacissima a conciliarsi gli animi degliuomini, il re mentre che era in tanta prosperità, nono-stante che da molti fusse dannata tale deliberazione comeindegna della maestà del pontificato, e come se conve-nisse che il re, volendo abboccarsi seco, andasse a tro-varlo a Roma. Alla quale cosa egli affermava condiscen-dere per desiderio di indurre il re a non molestare il re-gno di Napoli durante la vita del re cattolico; la quale,per essere egli, già più di uno anno, caduto in mala di-sposizione del corpo, era comune opinione avesse a es-sere breve.

Travagliavasi in questo mezzo Pietro Navarra intornoal castello di Milano; e insignoritosi di una casamatta delfosso del castello per fianco verso porta Comasina, e ac-costatosi con gatti e travate al fosso e alla muraglia dellafortezza, attendeva a fare la mina in quel luogo: e levatele difese ne cominciò poi più altre; e tagliò con gliscarpelli, da uno fianco della fortezza, grande pezzo dimuraglia e messela in su i puntelli, per farla cadere neltempo medesimo che si desse fuoco alle mine. Le qualicose benché, secondo il giudicio di molti, non bastassinoa fargli ottenere il castello se non con molta lunghezza edifficoltà, e già s’avesse certa notizia i svizzeri preparar-

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si, secondo la determinazione fatta nella dieta di Zurich,per soccorrerlo; nondimeno, essendo nata pratica traGiovanni da Gonzaga condottiere del duca di Milano,che era in castello, e il duca di Borbone parente suo, edipoi intervenendo nel trattare col duca di BorboneIeronimo Morone e due capitani de’ svizzeri che eranonel castello, si conchiuse, con grande ammirazione ditutti, il quarto dì di ottobre; con imputazione grandissi-ma di Ieronimo Morone, che o per troppa timidità o perpoca fede avesse persuaso a questo accordo il duca conla autorità sua, che appresso a lui era grandissima; il qua-le carico egli scusava con allegare essere nata diffidenzatra i fanti svizzeri e gli italiani. Contenne la concordia:che Massimiliano Sforza consegnasse subito al re di Fran-cia i castelli di Milano e di Cremona; cedessegli tutte leragioni che aveva in quello stato; ricevesse dal re certasomma di danari per pagare i debiti suoi, e andasse inFrancia, dove il re gli desse ciascuno anno pensione ditrentamila ducati o operasse che fusse fatto cardinale conpari entrata; perdonasse il re a Galeazzo Visconte e acerti altri gentiluomini del ducato di Milano, che si era-no affaticati molto per Massimiliano; desse a’ svizzeriche erano nel castello scudi seimila; confermasse a Gio-vanni da Gonzaga i beni che per donazione del ducaaveva nello stato di Milano, e gli desse certa pensione;confermasse similmente al Morone i beni propri e i do-

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nati dal duca e gli uffici che aveva, e lo facesse maestrodelle richieste della corte di Francia. Il quale accordofatto, Massimiliano, altrimenti il moro per il nome pater-no, uscito del castello, se ne andò in Francia; dicendoessere uscito della servitù de’ svizzeri, degli strazi di Ce-sare e degli inganni degli spagnuoli: e nondimeno, lo-dando ciascuno più la fortuna di averlo presto deposto ditanto grado che di avere prima esaltato uno uomo che,per la incapacità sua e per avere pensieri estravaganti ecostumi sordidissimi, era indegno di ogni grandezza.

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CAPITOLO XVII

Richieste d’aiuti dei veneziani al re di Francia. Mor-te dell’Alviano e onori resigli dai soldati; giudizio del-l’autore. Successi dei veneziani. Veneziani e francesicontro Brescia; insuccesso dell’impresa.

Ma innanzi alla dedizione del castello di Milanovennono al re quattro imbasciadori, de’ principali e piùonorati del senato viniziano, Antonio GrimannoDomenico Trivisano Giorgio Cornero e Andrea Gritti, acongratularsi della vittoria, e a ricercarlo che, come eratenuto per i capitoli della confederazione, gli aiutassealla recuperazione delle terre loro: cosa che non avevaaltro ostacolo che delle forze di Cesare, e di quelle gentiche con Marcantonio Colonna erano per il pontefice inVerona; perché il viceré, poi che levato del piacentinoebbe soggiornato alquanto nel modenese, per aspettarese il papa ratificava lo accordo fatto col re di Francia,intesa la ratificazione, se ne era andato per la Romagna aNapoli. Deputò il re prontamente in aiuto loro il bastar-do di Savoia e Teodoro da Triulzio con settecento lancie

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e settemila fanti tedeschi: i quali mentre differiscono apartirsi, o per aspettare quello che succedeva del castel-lo di Milano o perché il re volesse mandare le genti me-desime alla espugnazione del castello di Cremona,l’Alviano, al quale i viniziani non avevano consentitoche seguitasse il viceré perché desideravano di recupera-re, se era possibile senza aiuto d’altri, Brescia e Verona,andò con l’esercito verso Brescia. Ma essendo entrati dinuovo in quella città mille fanti tedeschi, l’Alviano, es-sendosi molti dì innanzi Bergamo arrenduto a’ viniziani,si risolveva a andare prima alla espugnazione di Veronaperché era manco fortificata, per maggiore comodità del-le vettovaglie e perché, presa Verona, Brescia, restandosola e in sito da potere avere difficilmente soccorso diGermania, era facile a pigliare; ma si tardava a dare prin-cipio alla impresa, per timore che il viceré e le genti delpontefice che erano in reggiano e modanese non passassinoil Po a Ostia per soccorrere Verona. Del quale sospettopoiché per la partita del viceré si restò sicuro, dava impe-dimento la infermità dell’Alviano; il quale, ammalato aGhedi in bresciano, minore di sessanta anni, passò ne’primi dì di ottobre, con grandissimo dispiacere de’viniziani, all’altra vita; ma con molto maggiore dispiace-re de’ suoi soldati, che non si potendo saziare della me-moria sua tennono il corpo suo venticinque dì nello eser-cito, conducendolo, quando si camminava, con grandis-

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sima pompa. E volendo condurlo a Vinegia, non com-portò Teodoro Triulzio che per potere passare per vero-nese si dimandasse, come molti ricordavano,salvocondotto a Marcantonio Colonna; dicendo non es-sere conveniente che chi vivo non aveva mai avuto pauradegli inimici, morto facesse segno di temergli. A Vinegiafu, per decreto publico, seppellito con grandissimo ono-re nella chiesa di Santo Stefano, dove ancora oggi si vedeil suo sepolcro; e la orazione funebre fece AndreaNovagiero gentil uomo viniziano, giovane di molta elo-quenza. Capitano, come ciascuno confessava, di grandeardire ed esecutore con somma celerità delle cose deli-berate, ma che molte volte, o per sua mala fortuna o,come molti dicevano, per essere di consiglio precipitoso,fu superato dagli inimici: anzi, forse, dove fu principaledegli eserciti non ottenne mai vittoria alcuna.

Per la morte dell’Alviano, il re, ricercato da’ viniziani,concedette a governo dello esercito loro il Triulzio; desi-derato per la sua perizia e riputazione nella disciplinamilitare e perché, per la inclinazione comune della fa-zione guelfa, era sempre stato intratenimento ebenivolenza tra lui e quella republica. Il quale mentreche andava allo esercito, le genti de viniziani espugnoronoPeschiera; ma innanzi l’espugnassino roppono alcunicavalli e trecento fanti spagnuoli che andavano per soc-correrla, e di poi ricuperorno Asola e Lunà, abbandona-te dal marchese di Mantova.

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Alla venuta del Triulzio si pose, per gli stimoli del se-nato, il campo a Brescia; avvenga che l’espugnazionesenza l’esercito franzese paresse molto difficile, perchéla terra era forte e dentro mille fanti tra tedeschi espagnuoli, stati costretti a partirsi numero grandissimode’ guelfi e imminente già la vernata, e il tempo dimo-strarsi molto sottoposto alle pioggie. Né ingannò l’even-to della cosa il giudicio del capitano: perché avendo co-minciato a battere le mura con le artiglierie, piantate insul fosso dalla parte onde esce la Garzetta, quegli di den-tro che spesso uscivano fuora, spinti una volta millecinquecento fanti tra tedeschi e spagnuoli ad assaltare laguardia della artiglieria, alla quale erano deputati centouomini d’arme e seimila fanti, e battendogli anche con lascoppietteria, distesa per questo in su le mura della terra,gli messeno facilmente tutti in fuga, ancora che GiampaoloManfrone con trenta uomini d’arme sostenesse alquantolo impeto loro; ammazzorono circa dugento fanti,abbruciorno la polvere e condusseno in Brescia diecipezzi d’artiglieria. Per il quale disordine parve al Triulziodi allargarsi con lo esercito per aspettare la venuta de’franzesi, e si ritirò a Cuccai lontano dodici miglia da Bre-scia; attendendo intratanto i viniziani a provedere di nuovaartiglieria e munizione. Venuti i franzesi, si ritornò allaespugnazione di quella città, battendo in due diversi luo-ghi, dalla porta delle Pile verso il castello e dalla porta di

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San Gianni; alloggiando da una parte l’esercito franzese,nel quale, licenziati i fanti tedeschi, perché recusavanoandare contro alle città possedute da Cesare, era venutoPietro Navarra con [cinquemila] fanti guasconi e franzesi.Dall’altra parte era il Triulzio co’ soldati viniziani; soprail quale rimase quasi tutta la somma delle cose, perché ilbastardo di Savoia ammalato era partito dell’esercito.Battuta la muraglia, non si dette l’assalto perché queglidi dentro aveano fatto molti ripari, e con grandissimadiligenza e valore provedevano tutto quel che era neces-sario alla difesa: onde Pietro Navarra, ricorrendo al rime-dio consueto, cominciò a dare opera alle mine e insiemea tagliare le mura co’ picconi. Nel quale tempoMarcantonio Colonna, uscito di Verona con seicentocavalli e cinquecento fanti, e avendo incontrato in su lacampagna Giampaolo Manfrone e Marcantonio Bua, checon quattrocento uomini d’arme e quattrocento cavallileggieri erano a guardia di Valeggio, gli roppe; nel qualeincontro Giulio figliuolo di Giampaolo, mortogli mentrecombatteva il cavallo sotto, venne in potestà degli inimici,e il padre fuggì a Goito: occuporno di poi Lignago, ovepresono alcuni gentiluomini viniziani. Finalmente, mo-strandosi ogni dì più dura e difficile la oppugnazione,perché le mine ordinate da Pietro Navarra non riusciva-no alle speranze date da lui, e intendendosi venire diGermania ottomila fanti, i quali i capitani che erano in-

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torno a Brescia non si confidavano di impedire, furnocontenti i viniziani, per ricoprire in qualche parte l’igno-minia del ritirarsi, convenire con quegli che erano in Bre-scia, che se infra trenta dì non fussino soccorsiabbandonerebbono la città, uscendone, così permetteva-no i viniziani, con le bandiere spiegate con l’artiglierie econ tutte le cose loro: la quale promessa, tale era la cer-tezza della venuta del soccorso, sapeva ciascuno dovereessere vana, ma alla gente di Brescia non era inutile illiberarsi in questo mezzo dalle molestie. Messono dipoii viniziani in Bré, castello de’ conti di Lodrone, ottomilafanti: ma come questi sentirno i fanti tedeschi, a’ quali siera arrenduto il castello di Amfo, venire innanzi, siritirorno vilmente all’esercito. Né fu maggiore animo ne’capitani: i quali, temendo in un tempo medesimo nonessere assaltati da questi e da quegli che erano in Bresciae da Marcantonio co’ soldati che erano a Verona, siritirorno a Ghedi; ove prima, già certi di questo acciden-te, aveano mandate l’artiglierie maggiori, e quasi tutti icarriaggi. E i tedeschi, entrati in Verona senza contrasto,proveduta che l’ebbono di vettovaglie e accresciuto ilnumero de’ difensori, se ne ritornorono in Germania.

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CAPITOLO XVIII

Incontro del pontefice e del re di Francia a Bologna equestioni trattate. Ritorno del re in Francia; suoi ac-cordi con gli svizzeri. Mutamento di governo in Siena.

Aveano in questo mezzo stabilito il pontefice e il re diconvenire insieme a Bologna; avendo il re accettato que-sto luogo, più che Firenze, per non si allontanare tantodal ducato di Milano, trattandosi massimamente del con-tinuo per il duca di Savoia la concordia tra i svizzeri elui; e perché, secondo diceva, sarebbe necessitato, pas-sando in Toscana, menare seco molti soldati; e perchéconveniva all’onore suo non entrare con minore pompain Firenze che già vi fusse entrato il re Carlo, la quale perordinare si interporrebbe dilazione di qualche dì, la qua-le al re era grave, e per altri rispetti; e perché tanto piùsarebbe stato necessitato a ritenere tutto l’esercito, delquale, ancora che la spesa fusse gravissima, non avevainsino a quel dì né intendeva, mentre era in Italia, licen-ziare parte alcuna. Entrò adunque, l’ottavo dì di dicem-bre, il pontefice in Bologna; e due dì appresso vi entrò il

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re, il quale erano andati a ricevere a’ confini del reggianodue legati apostolici, il cardinale dal Fiesco e quello de’Medici. Entrò senza gente d’arme né con la corte moltopiena; e introdotto, secondo l’uso, nel concistorio publicoinnanzi al pontefice, egli medesimo, parlando in nomesuo il gran cancelliere, offerse la ubbidienza la qualeprima non aveva prestata. Stettero dipoi tre dì insieme,alloggiati nel palagio medesimo, facendo l’uno verso l’al-tro segni grandissimi di benivolenza e di amore. Nel qualtempo, oltre al riconfermare con le parole e con le pro-messe le già fatte obligazioni, trattorono insieme moltecose del regno di Napoli; il quale non essendo allora il reordinato ad assaltare, si contentò della speranza dataglimolto efficacemente dal pontefice di essergli favorevolea quella impresa, qualunque volta sopravenisse la mortedel re d’Aragona, la quale per giudicio comune erapropinqua, o veramente fusse finita la confederazioneche aveva seco, che durava ancora sedici mesi. Interce-dette ancora il re per la restituzione di Modona e di Reggioal duca di Ferrara, e il pontefice promesse di restituirlepagandogli il duca i quarantamila ducati i quali il papaaveva pagati per Modena a Cesare, e oltre a questi certaquantità di danari per spese fatte nell’una e l’altra città.Intercedette ancora il re per Francesco Maria duca diUrbino; il quale, essendo soldato della Chiesa con dugentouomini d’arme e dovendo andare con Giuliano de’ Me-

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dici all’esercito, quando poi per la infermità sua vi fuproposto Lorenzo, non solamente aveva ricusato di an-darvi, allegando che quel che contro alla sua degnitàavea consentito alla lunga amicizia tenuta con Giuliano,di andare come semplice condottiere e sottoposto allaautorità di altri nell’esercito della Chiesa, nel quale erastato tante volte capitano generale superiore a tutti, nonvoleva concedere a Lorenzo; ma oltre a questo, avendopromesso di mandare le genti della sua condotta le rivocòmentre erano nel cammino, perché già secretamente aveaconvenuto o trattava di convenire col re di Francia, edopo la vittoria del re non aveva cessato per mezzo d’uo-mini propri concitarlo quanto potette contro al pontefi-ce. Il quale, ricordevole di queste ingiurie, e già pensan-do di attribuire alla famiglia propria quel ducato, dinegòal re la sua domanda; dimostrandogli con dolcissime pa-role quanta difficoltà farebbe alle cose della Chiesa ildare, con esempio così pernicioso, ardire a’ sudditi diribellarsi: alle quali ragioni e alla volontà del papa cedet-te pazientemente il re; con tutto che per l’onore proprioavesse desiderato di salvare chi per essersi aderito a luiera caduto in pericolo, e che al medesimo lo confortassinomolti del suo consiglio e della corte, ricordando quantofusse stata imprudente la deliberazione del re passatod’avere permesso al Valentino opprimere i signori picco-li di Italia, per il che era salito in tanta grandezza che se

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più lungamente fusse vivuto il padre Alessandro arebbesenza dubbio nociuto molto alle cose sue. Promesse ilpontefice al re dargli facoltà di riscuotere per uno annola decima parte delle entrate delle chiese del reame diFrancia. Convennero ancora che il re avesse lanominazione de’ benefici che prima apparteneva a’ col-legi e a’ capitoli delle chiese, cosa molto a proposito diquegli re, avendo facoltà di distribuire ad arbitrio suotanti ricchissimi benefici; e da altra parte, che le annatedelle chiese di Francia si pagassino in futuro al ponteficesecondo il vero valore e non secondo le tasse antiche, lequali erano molto minori: e in questo rimase decetto ilpontefice; perché avendosi, contro a coloro che occulta-vano il vero valore, a fare l’esecuzione e deputare i com-missari nel regno di Francia, niuno voleva provare niunoeseguire contro agli impetratori, di maniera che ciascunocontinuò di spedire secondo le tasse vecchie. Promesseancora il re di non pigliare in protezione alcuna dellecittà di Toscana; benché non molto poi, facendo instanzache gli consentisse di accettare la protezione de’ lucchesii quali gli offerivano venticinquemila ducati, e allegandoesserne tenuto per le obligazioni dello antecessore, ilpontefice, recusando di concedergliene, gli promesse dinon dare loro molestia alcuna. Deliberorno oltre a que-ste cose mandare Egidio generale de’ frati di SantoAgostino, ed eccellentissimo nelle predicazioni, a Cesa-

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re, in nome del pontefice, per disporlo a consentire a’viniziani, con ricompenso di danari, Brescia e Verona.Le quali cose espedite, ma non per scrittura (eccetto quelloche apparteneva alla nominazione de’ benefici e al paga-mento delle annate secondo il vero valore), il pontefice,in grazia del re e per onorare tanto convento, pronunziòcardinale Adriano di Boisì fratello del gran maestro diFrancia, che nelle cose del governo teneva il primo luo-go appresso al re. Da questo colloquio partì il re moltocontento nell’animo, e con grande speranza dellabenivolenza del pontefice: il quale dimostravacopiosamente il medesimo ma dentro sentiva altrimenti;perché gli era molesto come prima che ’l ducato di Mila-no fusse posseduto da lui, molestissimo avere rilasciatoPiacenza e Parma, parimente molesto il restituire al ducadi Ferrara Modona e Reggio. Benché questo, non moltopoi, tornò vano: perché avendo il pontefice in Firenze,ove dopo la partita da Bologna stette circa uno mese,ricevute dal duca le promesse de’ danari che s’aveano apagare subito che fusse entrato in possessione, ed essen-do di comune consentimento ordinate le scritture degliinstrumenti che tra loro s’aveano a fare, il pontefice, nonnegando ma interponendo varie scuse e dilazioni, e sem-pre promettendo, ricusò di dargli perfezione.

Ritornato il re a Milano licenziò subito l’esercito, ri-servate alla guardia di quello stato [settecento] lancie e

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seimila fanti tedeschi e quattromila franzesi, di quellasorte che da loro sono chiamati venturieri; egli con gran-dissima celerità, ne’ primi dì dell’anno mille cinquecen-to sedici, ritornò in Francia, lasciato luogotenente suoCarlo duca di Borbone: parendogli avere stabilite in Ita-lia le cose sue, per la confederazione contratta col pon-tefice, e perché in quegli dì medesimi avea convenuto co’svizzeri. I quali, benché il re di Inghilterra [gli] stimolas-se a muovere di nuovo l’armi contro al re, rinnovornoseco la confederazione, obligandosi a dare sempre in Ita-lia e fuori, per difesa e per offesa contro a ciascuno, colnome e con le bandiere publiche, a’ suoi stipendi qua-lunque numero di fanti dimandasse; eccettuando sola-mente dall’offesa il pontefice, l’imperio e Cesare: e daaltra parte il re riconfermò loro le pensioni antiche, pro-messe pagare in certi tempi i quattrocentomila ducaticonvenuti a Digiuno, e trecentomila se gli restituivano leterre e le valli appartenenti al ducato di Milano. Il chericusando di fare e di ratificare la concordia i cinque can-toni che le possedevano, cominciò il re a pagare agli altriotto la rata de’ danari appartenente a loro; i qualil’accettorno, ma con espressa condizione di non esseretenuti di andare a gli stipendi suoi contro a’ fanti de’cinque cantoni.

Nel principio dell’anno medesimo il vescovo de’Petrucci, antico familiare del pontefice, coll’aiuto suo e

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de’ fiorentini cacciato di Siena Borghese figliuolo diPandolfo Petrucci cugino suo, in mano del quale era ilgoverno, arrogò a sé la medesima autorità: movendosi ilpontefice perché quella città, posta tra lo stato dellaChiesa e de’ fiorentini, fusse governata da uomo confi-dente a sé; e forse molto più perché sperasse, quandofusse propizia la opportunità de’ tempi, potere con vo-lontà del vescovo medesimo sottoporla o al fratello o alnipote.

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CAPITOLO XIX

Morte del re d’Aragona; giudizio dell’autore. Mortedel gran capitano. Aspirazione del re di Francia allaconquista del regno di Napoli e sue speranze. Libera-zione di Prospero Colonna dalla prigionia.

Rimasono in Italia accese le cose tra Cesare e i viniziani,desiderosi di ricuperare, coll’aiuto del re di Francia, Bre-scia e Verona: l’altre cose parevano assai quiete. Ma pre-sto cominciorno ad apparire princìpi di nuovi movimen-ti, che si suscitavano per opera del re di Aragona; il qua-le, temendo al regno di Napoli per la grandezza del re diFrancia, trattava con Cesare e col re di Inghilterra che dinuovo si movessino l’armi contro a lui: il che non sola-mente non era stato difficile persuadere a Cesare, deside-roso sempre di cose nuove, e il quale da se stesso difficil-mente poteva conservare le terre tolte a viniziani; maancora il re di Inghilterra, potendo meno in lui la memo-ria dell’avere il suocero violatogli le promesse che laemulazione e l’odio presente contro al re di Francia, viassentiva. Stimolavalo oltre a questo il desiderio che il re

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di Scozia pupillo fusse governato per uomini o propostio dependenti da lui. Le quali cose si sarebbono tentatecon maggiore consiglio e con maggiori forze se, mentre sitrattavano, non fusse succeduta la morte del red’Aragona; il quale, afflitto da lunga indisposizione, morìdel mese di [gennaio], mentre andava colla corte a Sibilia,in Madrigalegio, villa ignobilissima. Re di eccellentissimoconsiglio e virtù, e nel quale, se fusse stato costante nellepromesse, non potresti facilmente riprendere cosa alcu-na; perché la tenacità dello spendere, della quale eracalunniato, dimostrò facilmente falsa la morte sua,conciossiaché avendo regnato [quarantadue] anni nonlasciò danari accumulati. Ma accade quasi sempre, per ilgiudicio corrotto degli uomini, che ne’ re è più lodata laprodigalità, benché a quella sia annessa la rapacità, chela parsimonia congiunta con la astinenza della roba dialtri. Alla virtù rara di questo re si aggiunse la felicitàrarissima, perpetua, se tu levi la morte dell’unico figliuo-lo maschio, per tutta la vita sua: perché i casi delle fem-mine e del genero furno cagione che insino alla morte siconservasse la grandezza; e la necessità di partirsi, dopola morte della moglie, di Castiglia fu più tosto giuoco chepercossa della fortuna. Tutte l’altre cose furno felicissi-me. Di secondogenito del re di Aragona, morto il fratellomaggiore, [ottenne quel reame], pervenne, per mezzo delmatrimonio contratto con Isabella, al regno di Castiglia;

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scacciò vittoriosamente gli avversari che competevano almedesimo reame; recuperò poi il regno di Granata, pos-seduto dagli inimici della nostra fede poco meno di otto-cento anni; aggiunse allo imperio suo il regno di Napoli,quello di Navarra, Orano e molti luoghi importanti de’liti di Africa: superiore sempre e quasi domatore di tuttigli inimici suoi. E, ove manifestamente apparì congiuntala fortuna con la industria, coprì quasi tutte le sue cupiditàsotto colore di onesto zelo della religione e di santa in-tenzione al bene comune.

Morì, circa a uno mese innanzi alla morte sua, il grancapitano, assente dalla corte e male sodisfatto di lui: enondimeno il re, per la memoria della sua virtù, avevavoluto che da sé e da tutto il regno gli fussino fatti onoriinsoliti a farsi in Spagna ad alcuno, eccetto che nella mor-te de’ re; con grandissima approbazione di tutti i popoli,a’ quali il nome del gran capitano per la sua grandissimaliberalità era gratissimo e, per l’opinione della prudenza eche nella scienza militare trapassasse il valore di tutti icapitani de’ tempi suoi, era in somma venerazione.

Accese la morte del re cattolico l’animo del re di Fran-cia alla impresa di Napoli, alla quale pensava mandaresubito il duca di Borbone con ottocento lancie e diecimilafanti; persuadendosi, per essere il regno sollevato per lamorte del re e male ordinato alla difesa, né potendol’arciduca essere a tempo a soccorrerlo, averne facilmen-

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te a ottenere la vittoria. Né dubitava che il pontefice, perle speranze avute da lui quando furno insieme a Bolognae per la benivolenza contratta seco nello abboccamento,gli avesse a essere favorevole; né meno per lo interesseproprio, come se gli avesse a essere molesta la troppagrandezza dello arciduca, successore di tanti regni del recattolico e successore futuro di Cesare. Sperava oltre aquesto che l’arciduca, conoscendo potergli molto nuo-cere l’inimicizia sua nello stabilirsi i regni di Spagna especialmente quello di Aragona (al quale, se alle ragionifusse stata congiunta la potenza, arebbono aspirato alcu-ni maschi della medesima famiglia), sarebbe procedutomoderatamente a opporsegli. Perché se bene, vivente ilre morto e Isabella sua moglie, era stato nelle congrega-zioni di tutto il regno interpretato che le costituzioni an-tiche di quel reame escludenti dalla successione dellacorona le femmine non pregiudicavano a’ maschi nati diquelle, quando nella linea mascolina non si trovavanofratelli zii o nipoti del re morto o chi gli fusse più prossi-mo del nato delle femmine o almeno in grado pari, e cheper questo fusse stato dichiarato appartenersi a Carloarciduca, dopo la morte di Ferdinando, la successione,adducendo in esempio che per la morte di Martino red’Aragona morto senza figliuoli maschi era stato, persentenza de’ giudici deputati a questo da tutto il regno,preferito Ferdinando avolo di questo Ferdinando, ben-

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ché congiunto per linea femminina, al conte d’Urgelli eagli altri congiunti a Martino per linea mascolina ma ingrado più remoto di Ferdinando: nondimeno era statainsino ad allora tacita querela ne’ popoli che in questainterpretazione e dichiarazione avesse più potuto la po-tenza di Ferdinando e di Isabella che la giustizia; nonparendo a molti debita interpretazione, che esclude lefemmine possa essere ammesso chi nasce di quelle, e chenella sentenza data per Ferdinando vecchio avesse piùpotuto il timore dell’armi sue che la ragione. Le qualicose essendo note al re, e noto ancora che i popoli dellaprovincia d’Aragona di Valenza e della contea diCatalogna (includendosi tutti questi sotto il regnod’Aragona) arebbeno desiderato un re proprio, speravache l’arciduca, per non mettere in pericolo tanta succes-sione e tanti stati, non avesse finalmente a essere alienodal concedergli con qualche condecevole composizioneil regno di Napoli. Nel qual tempo, per aiutarsi oltre alleforze co’ benefici, volle che Prospero Colonna, il qualeconsentiva di pagare per la liberazione suatrentacinquemila ducati, fusse liberato pagandone sola-mente la metà; onde molti credettono che Prospero gliavesse secretamente [promesso] di non prendere armecontro a lui, o forse di essergli favorevole nella guerranapoletana, ma con qualche limitazione o riserbo del-l’onore suo.

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CAPITOLO XX

Si ravviva la lotta fra tedeschi e franco-veneziani. Di-scesa di Cesare con nuove milizie in Italia; suoi succes-si; intimazione ai milanesi. I francesi si restringono inMilano. Arrivo degli svizzeri. Timori di Cesare e suaritirata dal milanese. Ritorno di svizzeri in patria. Sac-co di Lodi e di Sant’Angelo. Condotta ambigua del pon-tefice durante l’impresa di Cesare. Presa di Brescia.

In questi pensieri costituito il re, e già deliberando dinon differire il muovere dell’armi, fu necessitato per nuoviaccidenti a volgere l’animo alla difesa propria: perchéCesare, ricevuti, secondo le cose cominciate a trattarsiprima col re d’Aragona, centoventimila ducati, si prepa-rava per assaltare, come aveva convenuto con quel re, ilducato di Milano, soccorse che avesse Verona e Brescia.Perché i viniziani, fermato l’esercito, il quale, essendoritornato il Triulzio a Milano, reggeva Teodoro da Triulzifatto governatore, sei miglia presso a Brescia, scorrevanocogli stradiotti tutto il paese: i quali, assaltati uno dì daquegli di dentro, e concorrendo da ciascuna delle partiaiuto a’ suoi, gli rimessono dopo non piccola zuffa in

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Brescia, ammazzatine molti di loro e preso il fratello delgovernatore della città. Pochi dì appresso, Lautrech, prin-cipale dell’esercito franzese, e Teodoro da Triulzi, senti-to che a Brescia venivano tremila fanti tedeschi per ac-compagnare i danari che si conducevano per pagare isoldati, mandorno per impedire loro il passare GianusFregoso e Giancurrado Orsino, con genti dell’uno e l’al-tro esercito, alla rocca d’Anfo; le quali n’ammazzornocirca ottocento, gli altri insieme co’ danari si rifuggirno aLodrone. Mandorno di poi i viniziani in Val di Sabiadumila cinquecento fanti per fortificare il castello di Anfo,i quali abbruciorno Lodrone e Astorio.

Il pericolo che Brescia, così stretta e molestata, non siarrendesse costrinse Cesare ad accelerare la sua venuta;il quale, avendo seco cinquemila cavalli, quindicimilasvizzeri datigli dai cinque cantoni e diecimila fanti traspagnuoli e tedeschi, venne per la via di Trento a Verona;onde l’esercito franzese e viniziano, lasciate bene custo-dite Vicenza e Padova, si ridusse a Peschiera, affermandovolere vietare a Cesare il passare del fiume del Mincio:ma non corrispose, come spesso accade, l’esecuzione alconsiglio, perché come sentirno gli inimici approssimar-si, non avendo alla campagna quella audacia a eseguireche aveano avuta ne’ padiglioni a consigliare, passatoOglio, si ritirorono a Cremona, crescendo la riputazionee lo ardire allo inimico e togliendolo a se stessi. FermossiCesare, o per cattivo consiglio o tirato dalla mala fortuna

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sua, a campo ad Asola, custodita da cento uomini d’armee quattrocento fanti de’ viniziani; ove consumò vana-mente più giorni: il quale indugio si credé certissimamenteche gli togliesse la vittoria. Partito da Asola passò il fiu-me dell’Oglio a Orcinuovi, e gli inimici, lasciati inCremona trecento lancie e tremila fanti, si ritirorno di làdal fiume dell’Adda con pensiero di impedirgli il passa-re; per la ritirata de’ quali tutto il paese che è tra l’Oglioe il Po e l’Adda si ridusse a divozione di Cesare, eccet-tuate Cremona e Crema, l’una guardata da’ franzesi l’al-tra da viniziani. Seguitavano Cesare il cardinale sedunensee molti fuorusciti del ducato di Milano e MarcantonioColonna soldato del pontefice con [dugento] uominid’arme: per le quali cose cresceva tanto più il timore de’franzesi, la maggiore parte della speranza de’ quali siriduceva se diecimila svizzeri, a’ quali era stato numera-to lo stipendio di tre mesi, non tardavano più a venire.Passato l’Oglio, si accostò Cesare al fiume dell’Adda perpassarla a Pizzichitone; dove trovando difficoltà venne aRivolta, stando i franzesi a Casciano di là dal fiume. Iquali il dì seguente, non essendo venuti i svizzeri epossendosi l’Adda guadare in più luoghi, si ritirorono aMilano; non senza infamia di Lautrech, che avevapublicato e scritto al re che impedirebbe a Cesare il pas-so di quello fiume: al quale, passato senza ostacolo,s’arrendé subito la città di Lodi. Accostatosi a Milano apoche miglia, mandò uno araldo a dimandare la terra,

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minacciando i milanesi che se fra tre dì non cacciavanolo esercito franzese, farebbe peggio a quella città chenon aveva fatto Federigo Barbarossa suo antecessore; ilquale, non contento di averla abbruciata e disfatta, vifece, per memoria della sua ira e della loro rebellione,seminare il sale.

Ma tra i franzesi, ritirati con grandissimo spavento inMilano, erano stati vari consigli; inclinando alcuni adabbandonare bruttamente Milano per non si riputare paria resistere agli inimici né credere che i svizzeri, ancorchégià si sapesse essere in cammino, avessino a venire, eperché si intendeva che i cantoni o avevano già coman-dato o erano in procinto di comandare che i svizzeri sipartissino da’ servizi dell’uno e dell’altro: e parevadubitabile che non fusse più pronta la ubbidienza di que-gli che ancora erano in cammino che di quegli che giàerano cogli inimici. Altri detestavano la partita come pie-na di infamia; e avendo migliore speranza della venutade’ svizzeri e del potere difendere Milano, consigliavanoil mettersi alla difesa, e che rimosso in tutto il pensiero dicombattere e ritenuto in Milano tutti i fanti e ottocentolancie, distribuissino l’altre e quelle de’ viniziani e tutti icavalli leggieri per le terre vicine, per guardarle e permolestare agli inimici le vettovaglie. Nondimeno, si sa-rebbe eseguito il primo consiglio se non avessino moltodissuaso Andrea Gritti e Andrea Trivisano proveditoride’ viniziani; l’autorità de’ quali, non potendo ottenere

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altro, operò questo, che il partirsi si deliberò alquantopiù lentamente, di maniera che, già volendo partirsi,sopravennero novelle certe che il dì seguente sarebbeAlberto Petra con diecimila tra svizzeri e grigioni a Mila-no. Per il che ripreso animo, ma non però confidando didifendere i borghi, si fermorno nella città, abbruciati pureper consiglio de’ proveditori viniziani i borghi: i qualiconsigliorono così o perché giudicassino essere necessa-rio alla difesa di quella terra o perché, con questa occa-sione, volessino sodisfare all’odio antico che è tra i mila-nesi e i viniziani. Cacciorono ancora della città, oritenneno in onesta custodia, molti de’ principali dellaparte ghibellina, come inclinati al nome dello imperioper lo studio della fazione e per essere nello esercitotanti della medesima parte.

Cesare intratanto si pose con l’esercito a Lambrà, vici-no a due miglia a Milano; dove essendo, arrivorno a Mi-lano i svizzeri: i quali, mostrandosi pronti a difenderequella città, recusavano di volere combattere con gli altrisvizzeri. La venuta loro rendé gli spiriti a’ franzesi, mamolto maggiore terrore dette a Cesare. Il quale, conside-rando l’odio antico di quella nazione contro alla casa diAustria, e ritornandogli in memoria quello che, per tro-varsi i svizzeri in tutti due gli eserciti oppositi, fusse acca-duto a Lodovico Sforza, cominciò a temere che a sé nonfacessino il medesimo; parendogli più verisimile

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ingannassino lui, che aveva difficoltà di pagargli, che ifranzesi, a’ quali non mancherebbono i danari né perpagargli né per corrompergli: e accrescevagli ladubitazione che Iacopo Stafflier, capitano generale de’svizzeri, gli aveva con grande arroganza domandata lapaga; la quale, oltre alle altre difficoltà, si differiva per-ché, venendogli danari di Germania, gli erano stati rite-nuti da’ fanti spagnuoli che erano in Brescia, per pagarside’ soldi corsi. Però commosso maravigliosamente daltimore di questo pericolo, levato subito l’esercito, si riti-rò verso il fiume dell’Adda: non dubitando alcuno che setre dì prima si fusse accostato a Milano, il quale tempodimorò intorno ad Asola, i franzesi molto più ambigui eincerti della venuta de’ svizzeri sarebbono ritornati di làda’ monti; anzi non si dubita, che se così presto non sipartivano, o che i franzesi, non si confidando pienamen-te de’ svizzeri per il rispetto dimostravano a quei cheerano con Cesare, arebbono seguitato il primo consiglio,o che i svizzeri medesimi, presa scusa dal comandamentode’ suoi superiori che già era espedito, arebbono abban-donato i franzesi.

Passò Cesare il fiume dell’Adda non lo seguitando isvizzeri; i quali, protestando di partirsi se non erano pa-gati tra quattro dì, si fermorno a Lodi; dando continua-mente Cesare, che si era fermato nel territorio di Bergamo,speranza de’ pagamenti, perché diceva aspettare nuovi

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danari dal re di Inghilterra, e minacciando di ritornare aMilano: cosa che teneva in sospetto grandissimo i franzesi,incerti più che mai della fede de’ svizzeri. Perché, oltrealla tardità usata studiosamente nel venire e l’avere sem-pre detto non volere combattere contro a’ svizzeri del-l’esercito inimico, era venuto il comandamento de’ can-toni che partissino dagli stipendi de’ franzesi; per il qua-le ne erano già partiti circa duemila e si temeva che glialtri non facessino il medesimo: benché i cantoni, da al-tra parte, affermavano al re avere occultamente coman-dato a’ suoi fanti il contrario. Finalmente Cesare, il qua-le, riscossi dalla città di Bergamo sedicimila ducati, eraandato sotto speranza di uno trattato verso Crema, ritor-nato senza fare effetto nel bergamasco, deliberò di anda-re a Trento. Però, significata a’ capitani dell’esercito lasua deliberazione, e affermato muoversi a questo per farenuovi provedimenti di danari, co’ quali e con quegli delre di Inghilterra, che erano in cammino, ritornerebbe su-bito, gli confortò ad aspettare il suo ritorno: i quali, sac-cheggiato Lodi ed espugnata senza artiglierie la fortezzae saccheggiata la terra di Santangelo, stretti dal manca-mento delle vettovaglie, si erano ridotti nellaGhiaradadda. È fama che Cesare nel medesimo parla-mento, perché i cappelletti de’ viniziani (sono il medesi-mo i cappelletti che gli stradiotti), divisi in più parti ecorrendo per tutto il paese infestavano dì e notte l’eser-

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cito, stracco insieme con gli altri da tante molestie, dissea’ suoi che si guardassino da’ cappelletti, soggiugnendo(se è vero quel che allora si divulgò) che gli erano sem-pre, come si diceva di Iddio, in qualunque luogo.

Fu dopo la partita di Cesare qualche speranza che i sviz-zeri, co’ quali a Romano si unì tutto l’esercito, passassinodi nuovo il fiume dell’Adda; perché nel campo era venutoil marchese di Brandiborg, e a Bergamo il cardinalesedunense con trentamila ducati mandati dal re di Inghil-terra: per il quale timore il duca di Borbone, da cui eranopartiti quasi tutti i svizzeri, e i soldati viniziani erano venu-ti con l’esercito in sulla riva di là dal fiume. Ma diventornofacilmente vani i pensieri degli inimici, perché i svizzeri,non bastando i danari venuti a pagare gli stipendi già corsi,ritornorno per la valle di Voltolina al paese loro; e per lamedesima cagione tremila fanti, parte spagnuoli parte te-deschi, passorono nel campo franzese e viniziano. Il qua-le, avendo passato il fiume dell’Adda, non aveva cessatodi infestare più dì con varie scorrerie e scaramuccie gliinimici, con accidenti vari, ora ricevendo maggiore dannoi franzesi (i quali in una scaramuccia grossa appresso aBergamo perderono circa dugento uomini d’arme), ora gliinimici, de’ quali in uno assalto simile fu preso CesareFieramosca: il resto della gente, ricevuto uno ducato peruno, si accostò a Brescia; ma, essendo molto molestati da’cavalli leggieri, Marcantonio Colonna co’ fanti tedeschi e

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con alcuni fanti spagnuoli entrò in Verona, e gli altri tuttisi dissolverono.

Questo fine ebbe il movimento di Cesare, nel quale alre fu molto sospetto il pontefice; perché avendolo ricer-cato che, secondo gli oblighi della lega fatta tra loro,mandasse cinquecento uomini d’arme alla difesa dellostato di Milano, o almeno gli accostasse a’ suoi confini, egli pagasse tremila svizzeri, secondo allegava avere offer-to ad Antonmaria Palavicino, il pontefice, rispondendofreddamente al pagamento de’ svizzeri e scusando esseremale in ordine le genti sue, prometteva mandare quellede’ fiorentini: le quali con alcuni de’ soldati suoi simossono molto lentamente verso Bologna e verso Reggio.Accrebbe il sospetto, che la venuta di Cesare fusse statacon sua partecipazione, l’avere creato legato a lui, comeprima intese essere entrato in Italia, Bernardo da Bibbienacardinale di Santa Maria in Portico, solito sempre a im-pugnare appresso al pontefice le cose franzesi; e moltopiù l’avere permesso che Marcantonio Colonna segui-tasse con le sue genti l’esercito di Cesare. Ma la verità fu[che al pontefice fu] molesta, per l’interesse proprio, lavenuta di Cesare con tante forze, temendo che vincitorenon tentasse di opprimere, secondo l’antica inclinazio-ne, tutta Italia; ma per timore, e perché questo procedereera conforme alla sua natura, occultando i suoi pensieri,si ingegnava farsi odioso il meno che poteva a ciascuna

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delle parti. Però non ardì rivocare Marcantonio, non ardìmandare gli aiuti debiti al re, creò il legato a Cesare; e daaltra parte, essendo già partito Cesare da Milano, operòche il legato, simulando infermità, si fermasse a Rubiera,per speculare innanzi passasse più oltre dove inclinava-no le cose: e dipoi, per mitigare l’animo del re, volle cheLorenzo suo nipote, continuando la simulazione delladependenza cominciata a Milano, gli facesse donare da’fiorentini i danari da pagare per uno mese tremila svizze-ri; i quali danari benché il re accettasse, diceva nondime-no, dimostrando di conoscere le arti del pontefice, che,poiché sempre gli era contrario nella guerra né la confe-derazione fatta seco gli aveva giovato ne’ tempi del peri-colo, voleva di nuovo farne un’altra che non l’obligassese non nella pace e ne’ tempi sicuri.

Dissoluto l’esercito di Cesare, i viniziani, non aspettatii franzesi, si accostorno all’improviso una notte a Bre-scia con le scale, confidandosi nel piccolo numero de’difensori, perché non vi erano rimasti più che secentofanti spagnuoli e quattrocento cavalli; ma non essendo lescale lunghe a bastanza, e resistendo valorosamente que-gli di dentro, non l’ottennono. Sopravenne poi l’esercitofranzese sotto Odetto di Fois, eletto nuovamente succes-sore al duca di Borbone, partito spontaneamente dal go-verno di Milano. Assaltorno questi eserciti Brescia conl’artiglierie da quattro parti, acciò che gli assediati non

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potessino resistere in tanti luoghi: i quali si sostentornomentre ebbono speranza che settemila fanti del contadodi Tiruolo, venuti per comandamento di Cesare alla mon-tagna, passassino più innanzi; ma come questo non suc-cedette, per l’opposizione fatta da’ viniziani alla roccad’Anfo e ad altri passi, essi non volendo aspettare labattaglia che, essendo già in terra spazio grande di mura-glia, si doveva dare il dì seguente, convennono i soldatidi uscire della terra e della fortezza, con le cose lorosolamente, se infra un dì non erano soccorsi.

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CAPITOLO XXI

Monitorio del pontefice contro il duca di Urbino. Oc-cupazione del ducato da parte di Lorenzo de’ Medici;resa delle fortezze. Investitura di Lorenzo. Ragioni disospetti e di malcontento del re di Francia riguardo alpontefice.

In questi tempi medesimi il pontefice, preparandosi dispogliare con l’armi del ducato di Urbino FrancescoMaria della Rovere, cominciò a procedere con le censu-re contro a lui, publicato un munitorio nel quale si narra-va che, essendo soldato della Chiesa, denegandogli legenti per le quali avea ricevuto lo stipendio, si era conve-nuto secretamente cogli inimici: l’omicidio antico delcardinale di Pavia, del quale era stato assoluto per grazianon per giustizia; altri omicidi commessi da lui; l’averemandato, nel maggiore fervore della guerra tra ’l pontefi-ce Giulio (del quale era nipote, suddito e capitano) [e ilre di Francia], Baldassarre da Castiglione per condursi a’soldi del re; l’avere nel tempo medesimo negato il passoad alcune genti che andavano a unirsi coll’esercito della

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Chiesa, e perseguitati, nello stato quale possedeva comefeudatario della sedia apostolica, i soldati della medesi-ma sedia fuggiti del fatto d’arme di Ravenna. Aveva ilpontefice avuto nell’animo di muovergli, più mesi prima,la guerra, movendolo, oltre alle ingiurie nuove, lo sde-gno quando negò di aiutare il fratello e lui a ritornare inFirenze; ma lo riteneva alquanto la vergogna di persegui-tare il nipote di colui per opera del quale era salita laChiesa a tanta grandezza, e molto più i prieghi di Giulia-no suo fratello; il quale, nel tempo dello esilio loro, di-morato molti anni nella corte di Urbino appresso il ducaGuido e, morto lui, appresso al duca presente, non pote-va tollerare che da loro medesimi fusse privato di quelducato nel quale era stato sostentato e onorato. Ma mor-to dopo lunga infermità Giuliano de’ Medici in Firenze ediventato vano il movimento di Cesare, il pontefice, sti-molato da Lorenzo nipote e da Alfonsina sua madre,cupidi di appropriarsi quello stato, deliberò non tardarepiù; allegando per scusa della ingratitudine, la quale damolti era rimproverata, non solamente l’offese ricevuteda lui, le pene nelle quali secondo la disposizione dellagiustizia incorreva uno vassallo contumace al suo signo-re, uno soldato il quale obligatosi e ricevuti i danaridenegava le genti a chi l’aveva pagate, ma molto più es-sere pericoloso il tollerare, nelle viscere del suo stato,colui il quale avendo cominciato, senza rispetto della

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fede e dell’onore, a offenderlo, poteva essere certo chequanto maggiore si dimostrasse l’occasione tanto più sa-rebbe pronto a fare per l’avvenire il medesimo.

Il progresso di questa guerra fu che, come Lorenzo,coll’esercito raccolto de’ soldati e de’ sudditi della Chiesae de’ fiorentini, toccò i confini di quel ducato, la città diUrbino e l’altre terre di quello stato si dettono volonta-riamente al pontefice; consentendo il duca, il quale siera ritirato a Pesero, che, poi che non gli poteva difende-re, si salvassino. Fece e Pesero il medesimo, come l’eser-cito inimico si fu accostato: perché, con tutto vi fussinotremila fanti, la città fortificata e il mare aperto, France-sco Maria, lasciato nella rocca Tranquillo da Mondolfosuo confidato e i capitani e i soldati nella terra, se neandò a Mantova, dove prima avea mandato la moglie e ilfigliuolo; o non si confidando a soldati la maggiore partenon pagati o, come molti scusando il timore con l’amoreaffermavano, impaziente di stare assente dalla moglie.Così il ducato di Urbino, insieme con Pesero e conSinigaglia, venne in quattro dì soli alla ubbidienza dellaChiesa, eccettuate le fortezze di Sinigaglia e di Pesero,San Leo, e la rocca di Maiuolo. Arrendessi quasi imme-diate quella di Sinigaglia; e quella di Pesero, benché for-tissima, battuta due dì con l’artiglierie, convenne di ar-rendersi se fra venti dì non era soccorsa, con condizioneche in quel mezzo non vi si facesse ripari né alcuna

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fortificazione: il quale patto male osservato fu cagioneche Tranquillo, non avendo avuto soccorso infra il ter-mine convenuto, recusò di consegnarla, e cominciato dinuovo a tirare l’artiglierie assaltò la guardia di fuora. Maera più dura la sua condizione, perché, ritornatosene,avuta che fu la terra, Lorenzo a Firenze, i capitani restatinello esercito avevano fatto trincee intorno alla rocca emesso in mare certi navili per vietare non vi entrasse soc-corso: però, spirato il termine, si cominciò subito a bat-terla; ma il dì medesimo i soldati che vi erano dentro,fatto tumulto contro a Tranquillo, lo dettono per salvaresé ai capitani, da’ quali in pena della sua contravenzionefu condannato al supplicio delle forche. Arrendessi po-chi dì poi la rocca di Maiuolo, luogo necessario ad asse-diare San Leo, perché è vicina a un miglio e situata alloopposito di quella. Intorno a San Leo furno messi duemilafanti che lo tenessino assediato, perché per il sito suofortissimo niuna speranza vi era di ottenerlo se non perl’ultima necessità della fame; e nondimeno, tre mesi poi,fu preso furtivamente per invenzione maravigliosa di unomaestro di legname il quale, salito una notte per unalunghissima scala sopra uno dirupato che era riputato ilpiù difficile di quel monte, e fatta portare via la scala,dimorato in quel luogo tutta la notte, cominciò, subitoche apparì il dì, a salire con certi ferramenti, tanto che sicondusse insino alla sommità del monte; donde scen-

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dendo, e con gli instrumenti di ferro facilitando alcunide’ luoghi più difficili, la notte seguente, per la medesi-ma scala, se ne ritornò agli alloggiamenti: dove fatto fedepotersi salire, ritornò la notte deputata per la medesimascala, seguitandolo cento cinquanta fanti de’ più eletti;co’ quali fermatosi in sul dirupato, come fu l’alba del dì,perché era impossibile salire di notte più alto, cominciornoper quegli luoghi strettissimi a salire uno a uno. Ed eranogià montati alla sommità del monte circa trenta di lorocon uno tamburino e con sei insegne, e occultatisi interra aspettavano i compagni che montavano; ma essen-do dì alto, una guardia che partiva dal luogo suo gli viddecosì prostrati in terra, e avendo levato il romore, essivedutisi scoperti, non aspettati altrimenti i compagni,dettono il cenno come erano convenuti a quegli del cam-po: i quali, secondo l’ordine dato, assaltorono subito conmolte scale il monte da molte parti, per divertire queglidi dentro. I quali, correndo ciascuno a’ luoghi ordinatispaventati per vedere già dentro sei insegne che scorreva-no il piano del monte e avevano morto qualcuno di loro,si rinchiusono nella fortezza, che è murata nel monte:dove essendo già saliti degli altri dopo i primi, apersonola porta per la quale si entrava in sul monte; per la qualeentrati gli altri che ancora non erano saliti, e così preso ilmonte, quegli che erano nella rocca, benché la fusse beneproveduta di ogni cosa, si arrenderono il secondo dì.

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Acquistato con l’armi quello stato, che insieme con Peseroe Sinigaglia, membri separati dal ducato di Urbino, nonera di entrata di più di venticinquemila ducati, Leone,seguitando il processo cominciato, ne privò per sentenzaFrancesco Maria, e di poi ne investì nel concistorio Lo-renzo suo nipote; aggiugnendo, per maggiore validità,alla bolla espedita sopra questo atto la soscrizione dellapropria mano di tutti i cardinali. Co’ quali non volleconcorrere Domenico Grimanno vescovo di Urbino, emolto amico di quel duca: donde temendo lo sdegno delpontefice partì, pochi dì poi, da Roma; né vi ritornò maise non dopo la sua morte.

Era stata molesta al re di Francia l’oppressione del ducadi Urbino, spogliato per quel che aveva trattato seco:erangli più moleste molte opere del pontefice. Perchéessendosi Prospero Colonna, quando ritornava di Fran-cia, fermato a Busseto terra de’ Palavicini, e dipoi persospetto de’ franzesi venuto a Modona, dovemedesimamente era rifuggito Ieronimo Morone, insospet-tito de’ franzesi, che contro alle promesse fatte gli aveanocomandato che andasse in Francia, trattavano continua-mente, mentre che Prospero stette a Modona e poi aBologna, di occupare per mezzo di alcuni fuorusciti fur-tivamente qualche luogo importante del ducato di Mila-no; concorrendo alle medesime pratiche Muzio Colon-na, a cui il pontefice, conscio di queste cose, avea con-

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sentito alloggiamento per la compagnia sua nel modonese.Aveva inoltre il pontefice confortato il re cattolico (cosìdopo la morte dell’avolo materno si chiamava l’arciduca)che non facesse nuove convenzioni col re di Francia; eappresso a’ svizzeri Ennio vescovo di Veroli nunzio apo-stolico, che poi quasi decrepito fu promosso alcardinalato, oltre a molti altri offici molesti al re confor-tava i cinque cantoni a seguitare l’amicizia di Cesare.Onde trattandosi nel medesimo tempo tra Cesare, il qua-le fermatosi tra Trento e Spruch spaventava più i franzesicon le dimostrazioni che con gli effetti, e il re di Inghil-terra e i svizzeri che di nuovo si assaltasse il ducato diMilano, temeva il re di Francia che queste [cose] non sitrattassino con volontà del pontefice; del quale apparivaanche in altro il malo animo, perché con varie eccezioniinterponeva difficoltà nel concedergli la decima de’ be-nefici del regno di Francia promessagli a Bologna. E non-dimeno (tanta è la maestà del pontificato) il re si inge-gnava di placarlo con molti offici: onde, volendo, dopola partita di Cesare, molestare, per trarne danari, laMirandola, Carpi e Coreggio come terre imperiali, se neastenne per le querele del pontefice, che prima avea rice-vuti i signori di quelle terre in protezione; e infestando imori d’Affrica con molti legni il mare di sotto, gli offersedi mandare, per sicurtà di quelle marine, molti legni chePietro Navarra armava a Marsilia di consentimento suo,

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per assaltare, solo per la speranza di predare, con seimilafanti i liti della Barberia. E nondimeno il pontefice, per-severando nella sentenza sua, con tutto che parte negas-se parte scusasse queste cose, non consentì mai non chealtro alla sua dimanda, fatta con grande instanza, di ri-muovere il vescovo verulano del paese de’ svizzeri; némai rimosse Muzio Colonna del modonese, ove fingevaessere alloggiato di propria autorità, se non quando, par-tito Prospero da Bologna e rimaste vane tutte le cose chesi trattavano, non era più di momento alcuno la stanzasua. Al quale fu infelicissimo il partirsi, perché non mol-to poi, entrato con le forze de’ Colonnesi e con alcunifanti spagnuoli furtivamente di notte in Fermo, morì inspazio di pochi giorni d’una ferita ricevuta la notte me-desima mentre dava opera a saccheggiare quella città.

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CAPITOLO XXII

Trattative fra il re di Francia e il re di Spagna. Miliziefrancesi nel veronese e nel mantovano; rifiuto di fantitedeschi del Lautrech di assalire Verona. Accordi aNoion fra Francia e Spagna. Francesi e veneziani con-tro Verona. Il Lautrech si ritira a Villafranca; rinforziin Verona. Pace fra Cesare e il re di Francia; accordidel re cogli svizzeri. Verona ritorna ai veneziani.

In questo stato delle cose facendo il senato venetoinstanza per la ricuperazione di Verona, Lautrech, aven-do nell’esercito seimila fanti tedeschi i quali a questaimpresa erano convenuti pagare i viniziani, venne insull’Adice per passare il fiume a Usolingo e accamparsiinsieme coll’esercito veneto a Verona; ma dipoi, crescen-do la fama della venuta de’ svizzeri e per il sospetto dellastanza di Prospero Colonna in Modena, cresciuto peressersi fermato nella medesima città il cardinale di SantaMaria in Portico, si ritirò non senza querela de’ viniziania Peschiera, distribuite le genti di qua e di là dal fiumedel Mincio: nel quale luogo, con tutto che fussino cessati

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i sospetti già detti e che di Verona fussino passati aglistipendi veneti più di dumila fanti tra spagnuoli e tede-schi e continuamente ne passassino, soprastette più d’unmese, aspettando, secondo diceva, danari di Francia eche i viniziani facessino provedimenti maggiori di danaridi artiglierie e munizioni. Ma la cagione più vera era cheaspettava quel che succedesse delle cose che si trattava-no tra ’l suo re e il re cattolico. Perché il re di Francia,conoscendo quanto a quell’altro re fusse necessaria lasua amicizia per rimuoversi le difficoltà del passare inIspagna e dello stabilimento di quegli regni, non conten-to a quel che prima si era concordato a Parigi, cercava diimporgli più dure condizioni, e di pacificarsi per mezzosuo con Cesare, il che non si poteva fare senza la restitu-zione di Verona a’ viniziani; e il re di Spagna per consi-glio di [monsignore] di Ceures con l’autorità del quale,essendo nell’età di quindici anni, totalmente si reggeva,non recusava di accomodare a’ tempi e alle necessità lesue deliberazioni. Però erano congregati a Noion, per laparte del re di Francia, il vescovo di Parigi il gran mae-stro della sua casa e il presidente del parlamento di Pari-gi, e per la parte del re cattolico il medesimo di Ceures eil gran cancelliere di Cesare.

L’esito delle quali cose mentre che Lautrech aspetta, siesercitavano continuamente, come è il costume della mili-zia del nostro secolo, le armi contro agli infelici paesani:

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perché e Lautrech, gittato il ponte alla villa diMonzambaino, attendeva a tagliare le biade del contadodi Verona e a fare correre per tutto i cavalli leggieri, eavendo mandato una parte delle genti ad alloggiare nelmantovano, distruggeva con gravissimi danni quel paese,dalla quale molestia per liberarsi il marchese di Mantovafu contento di pagargli dodicimila scudi; e i soldati di Ve-rona, correndo ogni dì nel vicentino e nel padovano,saccheggiorono la misera città di Vicenza. Passò pur poiLautrech, stimolato con gravissime querele da’ viniziani,l’Adice per il ponte gittato a Usolingo, e fatta per il paesegrandissima preda, perché non si era mai creduto che l’eser-cito passasse da quella parte, si accostò a Verona per porviil campo; avendo in questo mezzo, con l’aiuto degli uomi-ni del paese, occupata la Chiusa, per fare più difficile ilpassare al soccorso che venisse di Germania. Ma il mede-simo dì che si accostò a Verona, i fanti tedeschi, o sponta-neamente o subornati da lui tacitamente, ancora chesostentati già tre mesi colle pecunie de’ viniziani,protestorno non volere, ove non era l’interesse principaledel re di Francia, andare all’espugnazione di una terraposseduta da Cesare. Però Lautrech, ripassato l’Adice, siallontanò uno miglio dalle mura di Verona; e l’esercitoveneto, nel quale erano cinquecento uomini d’arme cin-quecento cavalli leggieri e quattromila fanti, non gli pa-rendo stare sicuro di là dal fiume, andò a unirsi con lui.

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Nel qual tempo i deputati de’ due re convennero, ilquintodecimo dì di agosto, a Noion, in questa sentenza:che tra il re di Francia e il re di Spagna fusse pace perpe-tua e confederazione, per difensione degli stati loro con-tro a ciascuno: che il re di Francia desse la figliuola, cheera di età di uno anno, in matrimonio al re cattolico,dandogli per dote le ragioni che pretendevaappartenersegli al regno di Napoli, secondo la partigionegià fatta da’ loro antecessori, ma con patto che insinoche la figliuola non fusse di età abile al matrimonio pa-gasse il re cattolico, per sostentazione delle spese di lei,al re di Francia, ciascuno anno, centomila scudi; la qualese moriva innanzi al matrimonio e al re ne nascesse alcu-na altra, quella con le medesime condizioni si desse al recattolico; e in caso non ve ne fusse alcuna, Renea, quellache era stata promessa nella capitolazione fatta a Parigi;e morendo qualunque di esse nel matrimonio senza fi-gliuoli, ritornasse quella parte del regno di Napoli al redi Francia: che il re cattolico restituisse al re antico ilreame di Navarra fra certo tempo, e non lo restituendofusse lecito al re di Francia aiutargliene recuperare, ma,secondo che poi affermavano gli spagnuoli, se prima quelre gli faceva constare delle sue ragioni: avesse Cesarefacoltà di entrare in termine di due mesi nella pace, maquando bene vi entrasse fusse lecito al re di Francia diaiutare i viniziani alla recuperazione di Verona; la quale

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città se Cesare metteva in mano del re cattolico, con fa-coltà di darla infra sei settimane libera al re di Franciache ne potesse disporre ad arbitrio suo, gli avessino aessere pagati da lui centomila scudi, e centomila altri,parte nell’atto della consegnazione, parte fra sei mesi,da’ viniziani, e liberato di circa trecentomila avuti dal reLuigi quando erano confederati; e che in tal caso fussetregua per diciotto mesi tra Cesare e i viniziani, e che aCesare rimanesse Riva di Trento e Rovereto con tuttoquello che allora nel Friuli possedeva, e i viniziani con-tinuassero di tenere le castella che allora tenevano diCesare insino a tanto che il re di Francia e il re di Spagnaterminassero tra loro le differenze de’ confini. Nominòl’una parte e l’altra il pontefice.

Per la concordia fatta a Noion non cessorno i vinizianidi stimolare Lautrech che si ponesse il campo a Verona,perché erano incerti se Cesare accetterebbe la pace eperché, per la quantità de’ danari che gli arebbono apagare, desideravano il recuperarla più presto con l’ar-mi. Da altra parte al re di Francia, per lo stabilimentodella pace con Cesare, era più grata la concordia che laforza; e nondimeno Lautrech, non gli rimanendo più scusaalcuna, perché i viniziani aveano copiosamente soldatifanti e fatto tutti i provedimenti dimandati da lui, né ilanzchenech ricusavano più di andarvi insieme con glialtri, consentì alla volontà loro. Però gli eserciti passorono

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separatamente il fiume dello Adice, l’uno per uno pontegittato di sopra alla città l’altro per uno ponte gittato disotto. Dell’artiglierie dell’esercito franzese, posto allaTomba, una parte si pose alla porta di Santa Lucia l’altraco’ fanti tedeschi alla porta di San Massimo per batterepoi tutti ove il muro tra la cittadella e la città si viene acongiugnere col muro della terra; acciò che, potendo inuno tempo medesimo entrare nella cittadella e nella cit-tà, quegli di dentro avessino necessità di dividersi, perrispetto del muro di mezzo, in due parti. Passò l’esercitoviniziano di sotto a Verona in Campo Marzio, e si pose aSanto Michele tra ’l fiume e il canale, per levare quivi leoffese e battere alla porta del Vescovo, parte più debolee manco munita. Levoronsi ne’ primi due dì con l’arti-glierie l’offese, che erano assai forti e per fianco; ma conmaggiore difficoltà si levorono, dal canto de’ viniziani,l’offese de’ tre bastioni: le quali levate, cominciò ciascu-na delle parti a battere la muraglia con diciotto pezzigrossi di artiglieria e quindici pezzi mezzani per batteria,e il terzo dì erano da ciascuno degli eserciti gittate interra settanta braccia di muraglia e si continuava di batte-re per farsi molto più larga la strada; e nondimeno iviniziani, dalla parte de’ quali era la muraglia più debo-le, ancora che avessino abbattuti quasi tutti i bastioni eripari, non avevano mai levato interamente le offese didentro per fianco, perché erano tanto basse, e quasi nel

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fosso, che l’artiglierie o passavano di sopra o innanzi viarrivassino battevano in terra. Tagliavasi anche nel tem-po medesimo il muro co’ picconi; il quale, con tutto chepuntellato, anticipò di cadere innanzi al tempo disegna-to da’ capitani. In Verona erano ottocento cavallicinquemila fanti tedeschi e [mille cinquecento] spagnuolisotto il governo di Marcantonio Colonna, non più solda-to del pontefice ma di Cesare; i quali, attendendo a ripa-rare sollecitamente e provedendo e difendendo valoro-samente per tutto dove fusse necessario, dimostravanoferocia grande: con somma laude di Marcantonio, il qua-le, ferito benché leggiermente da uno scoppietto nellaspalla, non cessava di rappresentarsi a qualunque ora deldì e della notte, a tutte le fatiche e pericoli. Già l’artiglie-rie piantate da’ franzesi in quattro luoghi dove erano letorri, tralla porta della cittadella e la porta di Santa Lu-cia, aveano fatta ruina tale che ciascuna delle rotture eracapace a ricevere i soldati in ordinanza; né molto minoreprogresso avevano fatto quelle de’ viniziani: e nondime-no Lautrech dimandava nuove artiglierie per fare la bat-teria maggiore, abbracciando prontamente, benché re-clamando invano i viniziani i quali stimolavano si dessela battaglia, qualunque occasione che si offeriva di diffe-rire. Perché era accaduto che, venendo per il piano diVerona allo esercito ottocento bariglioni di polvere insulle carra e molte munizioni, il volere i conduttori de’

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buoi entrare l’uno innanzi all’altro gli fece in modo ac-celerare che, per la collisione delle ruote suscitato il fuo-co, abbruciò la polvere insieme con le carra e co’ buoiche la conducevano. Ma agli assediati si aggiugneva un’al-tra difficoltà, perché nella città, stata vessata dallapropinquità degli inimici già tanti mesi, cominciavano amancare le vettovaglie; non ve ne entrando se non picco-la quantità e occultamente per la via de’ monti.

Stando le cose di Verona [in questo termine],sopravennono [nove] mila fanti tedeschi mandati da Cesa-re per soccorrere quella città; i quali pervenuti alla Chiusal’ottennero per concordia, e occuporno il castello dellaCorvara, passo in sul monte propinquo all’Adice versoTrento, stato nella guerra tra Cesare e i viniziani occupatodall’una parte e dall’altra più volte. Per l’approssimarsi diquesti fanti, Lautrech, o temendo o simulando di temere,levato il campo contro alla volontà de’ viniziani, si ritirò aVillafranca e con lui una parte delle genti viniziane, l’al-tre sotto Giampaolo Manfrone si ritirorno al Boseto di làdall’Adice, col ponte preparato: né si dubitando più cheaspettava se Cesare accettava la concordia di Noion, comegli dava speranza uno mandato a lui dal re cattolico, iviniziani, disperati dell’espugnare Verona, mandorno tuttel’artiglierie grosse parte a Padova parte a Brescia. Dun-que, non avendo ostacolo, i fanti tedeschi si fermoronoalla Tomba dove prima alloggiava l’esercito franzese,

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donde una parte di loro entrò nella città, l’altra, restatafuora, attendeva a mettervi vettovaglie, le quali messedentro si partirono; rimasti a guardia di Verona sette inottomila fanti tedeschi, perché la maggiore parte deglispagnuoli, non potendo convenire co’ tedeschi, era sottoil colonnello Maldonato passata nel campo viniziano:soccorso, a giudicio di ognuno, di piccolo momento, per-ché non condussono seco altri danari che ventimila fiorinidi Reno mandati dal re di Inghilterra, e consumorono,mentre vi stettono, tante vettovaglie che pareggioronoquasi la quantità di quelle vi condussono. Ridotte le gen-ti a Villafranca, dove consumavano il veronese e ilmantovano, furno necessitati i viniziani, (acciocché i sol-dati franzesi, i quali il comandamento del re non bastavaa ritenere, non se ne andassino alle stanze) a provedereche la città di Brescia donasse loro tutta la vettovaglianecessaria: spesa, ciascuno dì, di più di mille scudi.

Finalmente le cose cominciorono a riguardare manife-stamente alla pace, perché si intese che Cesare, con tuttoche prima avesse instantemente procurato col nipote chenon convenisse col re di Francia, anteposta ultimatamentela cupidità de’ danari all’odio naturale contro al nomefranzese e agli antichi pensieri di dominare Italia, avevaaccettata e ratificata la pace; e deliberato di restituire,secondo la forma di quelle convenzioni, Verona. Dondeseguitò un’altra cosa in beneficio del re di Francia: che

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tutti i cantoni de’ svizzeri, vedendo deporsi l’armi traCesare e lui, si inclinorno a convenire seco, come primaavevano fatto i grigioni; adoperandosi molto in questacosa Galeazzo Visconte, il quale, essendo esule e in con-tumacia del re, ottenne da lui per questo la restituzionealla patria e in progresso di tempo molte grazie e onori.La convenzione fu: che il re pagasse a’ svizzeri, in termi-ne di tre mesi, trecento cinquantamila ducati, e dipoi inperpetuo annua pensione: fussino obligati i svizzericoncedere, per publico decreto, agli stipendi suoi, qua-lunque volta gli ricercasse, certo numero di fanti; ma inquesto procederono diversamente, perché gli otto canto-ni si obligorono a concedergli eziandio quando facesseimpresa per offendere gli stati di altri, i cinque cantoninon altrimenti che per difesa degli stati propri: fusse inpotestà de’ svizzeri di restituire al re di Francia le rocchedi Lugano e di Lucerna, passi forti e importanti alla sicurtàdel ducato di Milano; ed eleggendo il restituirle, dovesseil re pagare loro trecentomila ducati. Le quali rocche,subito fatta la convenzione, gittorono in terra.

Queste cose si feciono in Italia l’anno mille cinquecen-to sedici. Ma ne’ primi dì dell’anno seguente, il vescovodi Trento venuto a Verona offerse a Lautrech, col qualeparlò tra Villafranca e Verona, di consegnare al re di Fran-cia, infra il termine di sei mesi statuito nella capitolazio-ne, quella città, la quale diceva tenere in nome del re di

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Spagna: ma rimanendo la differenza se il termine comin-ciava dal dì della ratificazione di Cesare o dal dì si erariconosciuto Verona tenersi per il re cattolico, si disputòsopra questo alquanti dì; ma il dimandare i fanti di Vero-na tumultuosamente [denari] costrinse il vescovo diTrento ad accelerare. Però, pigliando il principio del dìche Cesare gli avea fatto il mandato, convenne conse-gnare Verona il quintodecimo dì di gennaio: nel qual dì,ricevuti da viniziani i primi cinquantamila ducati, equindicimila che secondo la convenzione doveano paga-re a’ fanti di Verona, e da Lautrech promessa di fare con-durre a Trento l’artiglierie che erano in Verona, conse-gnò a Lautrech quella città, riceventela in nome del re diFrancia; e Lautrech, immediate, in nome del medesimore, la consegnò al senato veneto, e per lui a Andrea Grittiproveditore; rallegrandosi sommamente la nobiltà e ilpopolo viniziano che di guerra sì lunga e sì pericolosaavessino, benché dopo infinite spese e travagli, avuto fe-lice fine. Perché, secondo che affermano alcuni scrittoridelle cose loro, spesono in tutta la guerra fatta dopo lalega di Cambrai cinque milioni di ducati; de’ quali neestrassono, della vendita degli offici, cinquecentomila.Ma non meno si rallegravano i veronesi e tutte l’altrecittà e popoli sottoposti alla loro republica; perché spe-ravano, riposandosi per beneficio della pace, aversi a li-berare da tante vessazioni e tanti mali, che così misera-

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bilmente avevano, ora da una parte ora dall’altra, tantotempo sopportati.

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LIBRO TREDECIMO

CAPITOLO I

Vane speranze di pace e di quiete per l’Italia. Fran-cesco Maria della Rovere assolda milizie straniere perla riconquista del ducato d’Urbino. Timori e sospettidel pontefice. Il pontefice e Lorenzo de’ Medici invia-no soldati in Romagna. Liete accoglienze delle popo-lazioni a Francesco Maria entrato nel ducato;riconquista di Urbino. Tentativi contro Fano. Posizio-ne di Pesaro.

Pareva che deposte l’armi tra Cesare e i viniziani, e ri-mosse dal re di Francia l’occasioni di fare la guerra conCesare e col re cattolico, avesse Italia, vessata e conquassatada tanti mali, a riposarsi per qualche anno: perché e i sviz-zeri, potente instrumento a chi desiderasse turbare le cose,parevano ritornati nella amicizia antica col re di Francia,non avendo per questo l’animo alieno dagli altri prìncipi;e nella concordia fatta a Noion si dimostrava tale speranzache, per stabilire congiunzione maggiore tra i due re, si

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trattava che insieme convenissino a Cambrai, dove per or-dinare il congresso loro erano andati innanzi Ceures, ilgran maestro di Francia e Rubertetto; e in Cesare non sidimostrava minore prontezza, il quale oltre all’avere resti-tuita Verona aveva mandato al re di Francia dueimbasciadori a confermare e a giurare la pace fatta. Dun-que, non senza giusta cagione si giudicava che la concor-dia e la pace tra i prìncipi tanto potenti avesse a spegneretutti i semi delle discordie e delle guerre italiane. E nondi-meno, o per la infelicità del fato nostro o perché, per esse-re Italia divisa in tanti prìncipi e in tanti stati, fusse quasiimpossibile, per le varie volontà e interessi di quegli chel’avevano in mano, che ella non stesse sottoposta a conti-nui travagli, ecco che appena deposte l’armi tra Cesare e iviniziani, anzi non essendo ancora consegnata la città diVerona, si scopersono princìpi di nuovi tumulti, causati daFrancesco Maria dalla Rovere, il quale aveva sollevato ifanti spagnuoli che avevano militato in Verona e nello eser-cito franzese e viniziano intorno a quella città, che loseguitassino alla recuperazione degli stati, de’ quali la sta-te medesima era stato cacciato dal pontefice: cosa persua-sa con grandissima facilità, perché a soldati forestieri, as-suefatti nelle guerre a’ sacchi delle terre e alle prede erapine de’ paesi, nessuna cosa era più molesta che la pacealla quale vedevano disposte tutte le cose d’Italia. Peròdeliberorno seguitarlo circa cinquemila fanti spagnuoli,

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de’ quali era il principale Maldonato, uomo della medesi-ma nazione ed esercitato in molte guerre; a’ qualis’aggiunsono circa ottocento cavalli leggieri sotto Federigoda Bozole, Gaioso spagnuolo, Zuchero borgognone, An-drea Bua e Costantino Boccola albanese, tutti condottieriesercitati e di nome non disprezzabile nelle armi: tra i qua-li di riputazione molto maggiore, per la nobiltà della casae per i gradi che insino da tenera età aveva avuti nellamilizia, era Federigo da Gonzaga signore di Bozole, statouno de’ più efficaci instrumenti a persuadere questa unio-ne, mosso non solamente per il desiderio di accrescerecon nuove guerre la fama sua nell’esercizio dell’armi e perla amicizia grande che e’ teneva con Francesco Maria, maancora per l’odio che aveva contro a Lorenzo de’ Medici;perché quando in Lorenzo de’ Medici fu trasferita, per lainfermità di Giuliano suo zio, l’autorità di tutte l’armi del-la Chiesa e de’ fiorentini, gli avea denegato il capitanatogenerale delle fanterie concedutogli prima da Giuliano.Questo esercito adunque, da essere stimato per la virtùmolto più che per il numero o per gli apparati che avessinodi sostentare la guerra (perché non avevano né danari néartiglierie né munizioni né, da cavalli e armi in fuora, alcu-na di quelle tante provisioni che sogliono seguitare gli eser-citi), si partì per andare nello stato d’Urbino, il dì medesi-mo che a’ viniziani fu consegnata la città di Verona.

Della quale cosa, come fu sentita dal pontefice, ne ricevégrandissima perturbazione: perché considerava la quali-

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tà dello esercito, formidabile per l’odio de’ capitani eper la virtù e riputazione de’ fanti spagnuoli: sapeva lainclinazione che avevano i popoli di quel ducato a Fran-cesco Maria, per essere stati lungamente sotto il governomansueto della casa da Montefeltro, l’affezione dellaquale avevano trasferita in lui, nutrito in quello stato enato di una sorella del duca Guido. Dava, oltre a questo,molestia grandissima al pontefice l’avere a fare la guerracon uno esercito che, senza potere perdere cosa alcuna,si moveva solamente per desiderio di prede e di rapine;per la dolcezza delle quali temeva che molti soldati, re-stati per la pace fatta senza guadagni, non si unissino conloro. Ma quello che sopra tutto tormentava l’animo suoera il sospetto che questo movimento non fusse con par-tecipazione del re di Francia. Perché, oltre al sapere es-sergli stata molesta la guerra fatta contro a FrancescoMaria, era conscio a se medesimo quante cagioni avessedate a quel re di essere malcontento di lui: per non gliavere osservato nella passata di Cesare la confederazio-ne fatta dopo l’acquisto di Milano; per avergli, poi chefu ritornato a Roma, mandata una bolla sopra la colla-zione de’ benefici del regno di Francia e del ducato diMilano di tenore diverso dalla convenzione che n’avevafatta in Bologna (la quale per la brevità del tempo nonera stata sottoscritta), la quale il re sdegnato recusò d’ac-cettare; per le cose trattate occultamente con gli altri

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prìncipi e con i svizzeri contro a lui; per avere poco in-nanzi, desiderando di impedire direttamente larecuperazione di Verona, permesso che i fanti spagnuoliche da Napoli andavano a soccorrerla passassinoseparatamente per lo stato della Chiesa, scusandosi nonvolere dare loro causa di passare uniti perché non erasufficiente a impedirgli; non avere, secondo le promessefatte a Bologna, concedutagli la decima se non con im-plicate condizioni; non restituito le terre al duca diFerrara. Le quali ragioni gli davano giustissima causa disospettare della volontà del re, ma gli pareva anche ve-derne certi indizi; perché essendo stata questa solleva-zione ordinata intorno a Verona, era impossibile non fussevenuta molti dì innanzi a notizia di Lautrech, e avendolotaciuto si poteva prosumere del consenso suo. A che siaggiugneva che Federigo da Bozole era stato insino aquello dì agli stipendi del re, ma non si sapeva esserevero quello che in escusazione sua affermava Lautrech,che fusse finita la sua condotta. Dubitava ancora il pon-tefice della volontà de’ viniziani, i proveditori de’ qualisi diceva essersi affaticati in fare questa unione; essendoquello senato, per la memoria delle cose passate, malesodisfatto di lui né contento della grandezza sua, perchésucceduto in tanta potenza e riputazione del pontificatodisponeva dello stato de’ fiorentini ad arbitrio suo.Spaventavanlo queste cose, ma non lo confortava già né

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gli dava speranza la confidenza o congiunzione che aves-se con gli altri prìncipi: perché, oltre a essersi nuovamen-te o pacificati o confederati col re di Francia, non erastato grato ad alcuno il modo del procedere suo con oc-culti consigli e artifici; ne’ quali, se bene fusse stato in-clinato alla parte loro, nondimeno, andando renitenteallo scoprirsi e lentamente a mettere in effetto le inten-zioni o le promesse fatte loro, aveva sodisfatto poco aciascuno; anzi, temendo spesse volte di tutti, aveva pocoinnanzi mandato frate Niccolò tedesco, secretario delcardinale de’ Medici, al re cattolico per divertirlo dalloabboccamento che si trattava col re di Francia, dubitan-do che tra essi non si facesse maggiore congiunzione inpregiudicio suo.

In questa sospensione di animo non cessavano né Lo-renzo suo nipote né lui di mandare continuamente gentein Romagna, parte di fanti che si soldavano di nuovoparte di battaglioni dell’ordinanza fiorentina; acciocchéuniti con Renzo da Ceri e con Vitello, i quali erano conle loro genti d’arme a Ravenna, facessino resistenza altransito degli inimici. Ma essi, passato Po a Ostia, preve-nendo con la celerità loro gli apparati degli altri, eranoper la via di Cento e di Butrio, attraversato il contado diBologna, entrati nelle terre sottoposte al duca di Ferrara.Da’ quali luoghi, saccheggiato Granarolo castello delfaventino, si accostorono a Faenza per tentare se, per

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nome di uno giovane de’ Manfredi che era in quello eser-cito, facessino i faventini qualche mutazione; ma non simovendo dentro cosa alcuna passorono più oltre, senzatentare alcuna altra delle terre di Romagna, nelle qualitutte erano a guardia o genti d’arme o fanterie: e permeglio assicurarsi di Rimini, Renzo e Vitello vi eranoandati per mare. Venne e Lorenzo a Cesena per raccorrequivi e a Rimini le sue genti, ma essendo già passati gliinimici; né cessava in questo mezzo di soldare genti inmolti luoghi, le quali gli abbondorno sopra la volontà econsiglio suo; perché partendosi da Lautrech, per ritor-narsene alle case loro, dumila cinquecento fanti tedeschie più di quattromila guasconi, Giovanni da Poppi secretariodi Lorenzo, stato per lui più mesi appresso a Lautrech, oessendosi vanamente lasciato mettere sospetto che que-sta fanteria, non avendo stipendio da altri, seguiterebbeFrancesco Maria o persuadendosi leggiermente che conqueste forze si otterrebbe presto la vittoria, gli condussedi propria autorità, usando l’autorità di Lautrech co’ ca-pitani; e gli voltò subito verso Bologna: di maniera che alpontefice e a Lorenzo, a’ quali, per il sospetto che aveanodel re, fu questa cosa molestissima, non rimase luogo direcusargli; temendo che, poi che erano venuti tanto in-nanzi, non andassino a unirsi cogli inimici.

Procedeva in questo mezzo Francesco Maria, ed entra-to nello stato d’Urbino era ricevuto per tutto con letizia

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grande de’ popoli, non essendo nelle terre soldato alcu-no; perché Lorenzo, non avendo avuto tempo a provederein tanti luoghi, aveva solamente pensato alla difesa dellacittà di Urbino, sedia e capo principale di quel ducato.Perciò per consiglio di Vitello v’avea mandato duemilafanti da Città di Castello, e in luogo di Vitello, che ricusòdi andarvi, Iacopo Rossetto da Città di Castello: il quale,consigliando molti che, essendo il popolo sospettissimo,si cacciassero della città tutti coloro che erano abili aportare arme, ricusò di farlo. Voltossi adunque France-sco Maria, non perduto tempo altrove, a Urbino; e sebene la prima volta che si accostò alle mura fusse vano ilconato suo, nondimeno la seconda volta che vi si acco-stò, Iacopo Rossetto convenne di dargli la terra, mosso oda infedeltà, come molti credevono, o da timore, per es-sere il popolo tutto sollevato; perché delle forze soledegli inimici, che non aveano né artiglierie né apparati daspugnare terre, non avea causa di temere. Uscirno, se-condo le convenzioni, i soldati salvi con le robe loro: ilvescovo Vitello, che in nome del nuovo duca governavaquello stato, e sotto il quale pareva che niuna cosa suc-cedesse mai prosperamente, rimase prigione. Seguitòl’esempio di Urbino, da Santo Leo in fuora, che per ilsito munitissimo con piccolo presidio si difendeva, tuttoil ducato. La città di Agobbio, che da principio avea chia-mato il nome di Francesco Maria, e di poi, pentendosi,

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ritornata alla ubbidienza di Lorenzo, veduti i successitanto prosperi, fece il medesimo che l’altre. Rimanevanoin potestà di Lorenzo Pesero, Sinigaglia, Gradara eMondaino, terre separate dal ducato.

Ricuperato Urbino, voltò Francesco Maria l’animo ainsignorirsi di qualche luogo posto in sulla marina; eperché in Pesero e in Sinigaglia erano entrati molti sol-dati, fatta dimostrazione di andare a Pesero, si mosseverso Fano, più facile per l’ordinario a espugnare, e dellaquale città, non essendo mai stata dominata da lui, menosi temeva: ma Renzo da Ceri che era a Pesero, avuta no-tizia de’ suoi pensieri, vi mandò subito Troilo Savellocon cento uomini d’arme e con seicento fanti.Accostoronsi gli inimici con cinque pezzi di artiglierianon molto grossa, li quali aveano trovati in Urbino; eavendo anche carestia di polvere non gittorno in terrapiù che circa venti braccia di muro, né queste senza dif-ficoltà; pure dettono la battaglia, nella quale perderonocirca cento cinquanta uomini. Non spaventati da questo,assaltorno di nuovo il dì seguente, e con tanto valore chel’apertura della muraglia fu quasi abbandonata; ed en-travano senza dubbio se non fusse stata la virtù di Fabianoda Gallese luogotenente di Troilo, il quale rimasto allamuraglia con pochi uomini d’arme, facendo maravigliosadifesa, gli sostenne. Arebbono il dì seguente data un’al-tra battaglia, ma inteso che la notte vi erano entrati per

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mare da Pesero cinquecento fanti, si levorno e andornoad alloggiare al castello di Monte Baroccio posto in suuno monte molto alto e di sito munitissimo, donde èfacile la scesa verso Fossombrone e Urbino, difficile easprissima verso Pesero; nel qual luogo stando, poi chenon avevano per allora alcuna opportuna occasione, guar-davano il ducato di Urbino che rimaneva loro alle spalle.Da altra parte essendo venuti a Rimini, ove era Lorenzode’ Medici, i fanti tedeschi e guasconi, soldato oltre aquesto moltissimi fanti italiani e mille cinquecento altrifanti tedeschi, di quegli che erano stati alla difesa di Ve-rona, e raccolta insieme quasi tutta la cavalleria del pon-tefice e de’ fiorentini, Lorenzo, il quale inesperto dellaguerra si reggeva col consiglio de’ capitani, venuto conle genti d’arme a Pesero, mandò ad alloggiare i fanti ne’monti oppositi agli inimici.

È la città di Pesero situata in sulla bocca d’una vallatache viene di verso Urbino, della quale uscendo il fiumeche dagli abitatori è chiamato Porto, perché per la pro-fondità sua entrano in quello luogo le barche, si accostaalla città dalla parte di verso Rimini: la rocca è di verso ilmare, e tra il fiume e la città sono molti magazzini; i qualiRenzo, per la sicurtà della terra, aveva rovinati. Circon-dano parte grande della città monti da ogni parte, i qualinon si distendono insino al mare ma tra loro e il mareresta qualche spazio di pianura, la quale dalla parte di

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verso Fano si allarga circa due miglia; e in sulla collinasono due monti rilevati l’uno a rincontro dell’altro: quelloche è di verso la marina si chiama Candelara, l’altro diverso Urbino Nugolara; e nella sommità di ciascuno d’essiè uno castello del medesimo nome che ha il monte.Alloggiorno adunque i fanti italiani al castello diCandelara, i tedeschi e guasconi a quello di Nugolara,più vicino agli inimici. Né si faceva questo con intenzio-ne di combattere, se non con leggiere scaramuccie, conloro ma per impedirgli che non vagassino per il paeseliberamente se si determinassero a fare impresa alcuna;perché il consiglio del pontefice era che, ove non glitirasse la speranza quasi certa della vittoria, non si faces-se battaglia giudicata con gli inimici, conoscendo perico-loso il combattere con soldati valorosi e, per essere ine-guale il premio della prosperità, facili ad avventurarsi;dannosissimo l’essere vinto il suo esercito, perché simetteva in pericolo manifesto lo stato della Chiesa e de’fiorentini; e sicuro il temporeggiare attendendo a difen-dersi, potendosi con evidenti ragioni sperare che il man-camento de’ danari e delle vettovaglie, in paese tantosterile, avesse a disordinargli, né meno perché l’esercitosuo, per l’esperienza e perché di mese in mese si empievadi soldati più eletti, diventava migliore, e perché speravadoversi augumentare di dì in dì le cose sue.

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CAPITOLO II

Lamentele del pontefice coi prìncipi e richieste diaiuti. Risposte diverse dei prìncipi al pontefice, e nuo-va convenzione di questo col re di Francia. Patti stabi-liti nella convenzione.

Conciossiaché, nel principio di questo movimento, pro-curando di aiutarsi eziandio con l’autorità pontificale,avesse istantemente dimandato aiuto da tutti i prìncipi,querelandosi con gli oratori loro che erano in Roma e,per brevi apostolici e per messi, co’ prìncipi medesimi.Ma [non] con tutti nel modo medesimo: perché signifi-cando a Cesare e al re di Spagna la cospirazione fatta daFrancesco Maria dalla Rovere e da’ fanti spagnuoli, nelcampo del re di Francia e in su gli occhi del suo luogote-nente, inserì ne’ brevi tali parole che si poteva compren-dere avere non piccola dubitazione che queste cose fussinostate ordinate con saputa di quel re; ma col recristianissimo, dimostrando qualche sospetto di Lautrech,non passorno più oltre le sue querele.

Fu questa cosa da’ prìncipi predetti accettata diversa-mente. Perché Cesare e il nipote intesono molto lieta-

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mente che il pontefice riputasse questa ingiuria dal re diFrancia; conciossiaché Cesare, alienandosi già, per l’odioantico e per la sua incostanza, dal re di Francia, si eraconfederato di nuovo col re di Inghilterra, e convenutocol nipote appresso ad Anversa l’aveva confortato a nonsi abboccare col re di Francia, il che finalmente fuintermesso con consentimento dell’uno e dell’altro re; enel re di Spagna non bastava a cancellare l’emulazione eil sospetto la confederazione fatta con lui. Però offersonoal pontefice prontamente l’opera loro, comandorno a tuttii loro sudditi che si partissino dalla guerra che si facevacontro al pontefice; e il re cattolico mandò il conte diPotenza nel regno di Napoli perché, riordinate le gentid’arme, conducesse quattrocento lancie in aiuto suo, eper maggiore testimonianza della sua volontà, spogliòcome inobbediente Francesco Maria del ducato di Sora,il quale comperato dal padre possedeva ne’ confini diTerra di Lavoro. Ma al re di Francia furno grati per altracagione gli affanni del pontefice, come di principe cheavesse l’animo alieno da lui: però nel principio, segui-tando l’esempio suo, deliberando nutrirlo con vane spe-ranze, rispondeva averne ricevuto molestia grande pro-mettendo di operare che Lautrech darebbe favore allecose sue; soggiugnendo nondimeno che il pontefice pati-va di quel che era stato causato da se medesimo, perchégli spagnuoli non arebbono avuto tanto ardire se non

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fusse cresciuto il numero loro, per quegli che con licenzasua erano passati da Napoli a Verona. Questa fu da prin-cipio la intenzione del re. Ma dipoi, considerando che ilpontefice abbandonato da lui precipiterebbe senza alcu-no freno alla amicizia del re di Spagna, deliberò di darglifavore; ma traendo nel tempo medesimo qualche fruttodelle sue necessità. Però, ricercandolo il pontefice di aiu-to, ordinò che da Milano vi andassino trecento lancie; einsieme propose doversi fare nuova confederazione traloro, perché quella che era stata fatta a Bologna, essendostata violata dal pontefice in molti modi, non era più dialcuna considerazione. Aggiugneva alle offerte moltequerele: perché ora si lamentava che il pontefice gli des-se carico appresso agli altri prìncipi; ora che, per fareingiuria a sé e cosa grata al cardinale sedunense, avessescomunicato Giorgio Soprasasso, il quale favoriva ne’svizzeri le cose sue. Oltre a questo, la reggente, madredel re e appresso a lui di grande autorità, riprendeva sen-za rispetto la empietà del pontefice, che non gli bastandol’avere cacciato uno principe dello stato proprio l’avessepoi ancora tenuto sottoposto alle censure, e denegandodare le doti o gli alimenti di quelle alla duchessa vedovae alla duchessa giovane sua moglie, fusse cagione cheelle non avessino modo di sostentarsi: le quali paroleritornando agli orecchi del pontefice gli augumentavanoil sospetto. Ma costituito in tante difficoltà, e desideran-

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do gli aiuti suoi non per l’effetto ma per la riputazione eper il nome, le trecento lancie, partite sotto... di Sise daMilano, furno fatte dal pontefice, che non poteva dissi-mulare il sospetto, soprasedere molti dì nel modonese enel bolognese, e poi da Lorenzo fatte fermare a Rimini:perché essendo quella città lontana agli inimici aveano,stando quivi, minore facoltà di nuocergli. Né sialleggierirono questi sospetti per la confederazione, laquale, quasi in questo tempo medesimo, si conchiuse inRoma; perché il re, innanzi ratificasse, fece nuove diffi-coltà per le quali la cosa stette sospesa molti dì. Final-mente, cedendo a molte cose il pontefice, il re ratificò.

Contenne la confederazione obligazione reciproca tra’l pontefice e il re a difesa degli stati loro con certo nu-mero di gente, e di dodicimila ducati per ciascuno mese:che tra il re di Francia e i fiorentini, co’ quali sicongiugneva l’autorità di Lorenzo de’ Medici con inclu-sione del ducato di Urbino, fusse la medesima obligazione,ma con minore numero di genti, e di seimila ducati perciascuno mese: fusse tenuto il re ad aiutare il ponteficequando volesse procedere contro a’ sudditi e feudataridella Chiesa. Al re fu conceduta la nominazione de’ be-nefici e la decima, secondo le promesse fatte a Bologna,con patto che si deponessino i danari per spendergli con-tro a’ turchi (concedevasi sotto l’onestà di questo colorela decima) ma con tacita speranza data al re che, fatto il

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diposito di tutta la quantità, licenziata per un altro brevela condizione apposta, si convertissino liberamente inuso del re. Promesse il pontefice al re, per uno breveseparato, di non lo richiedere mai di aiuto contro al ducadi Ferrara, anzi essere contento che il re lo ricevesse nel-la sua protezione. Lunga altercazione fu sopra la restitu-zione di Reggio, Modona e Rubiera, dimandata con som-ma instanza dal re secondo le promesse ricevute a Bolo-gna, né dal pontefice dinegata ma riservata ad altro tem-po, allegando essergli molto indegno, e quasi confessio-ne di ultima necessità, il restituirle quando era oppressatodalla guerra; e il re facendo instanza ch’elle si restituissinodi presente. All’ultimo, dimostrandosi grande, se piùvolesse strignerlo, l’alterazione del pontefice, ed essen-do al re inimico il re di Inghilterra, sospetti Cesare il re diSpagna e i svizzeri, accettò che il pontefice, per uno bre-ve il quale fusse consegnato a lui, promettesse di restitu-ire al duca di Ferrara Modena, Reggio e Rubiera infrasette mesi prossimi: avendo il pontefice nell’animo, seprima cessavano i suoi pericoli, non fare maggiorestimazione del breve che delle parole dette in Bologna; eal re, poi che senza pericolo di grandissima indegnazionenon poteva più ottenere, parendo pure di qualche mo-mento che le promesse e la fede apparissino per iscrittura.

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CAPITOLO III

Scorrerie dell’esercito di Lorenzo nel territorio delducato. Ambasciatore di Francesco Maria trattenutoprigione da Lorenzo. Efficienza dell’esercito di Loren-zo. Fossombrone e il Vicariato. Prima occasione dibuon successo perduta dall’esercito di Lorenzo.

Ma mentre che queste cose si trattavano, essendoaugumentato assai l’esercito di Lorenzo, perché oltre amolti, soldati di nuovo da lui, il pontefice aveva soldatoa Roma mille fanti spagnuoli e mille tedeschi, parevafusse già maturo il tempo di tentare di liberarsi da questaguerra; alla qual cosa, per la fortezza dello alloggiamentodegli inimici, era unica speranza il costringerli, per lapenuria delle vettovaglie, a partirsi: però fu mandatoCammillo Orsino con settecento cavalli leggieri a scorre-re il paese che si dice il Vicariato, le vettovaglie del qualeper la maggior parte gli sostentavano.

Nel qual tempo, per uno trombetto venuto a Peserodell’esercito inimico, fu domandato a Lorenzosalvocondotto per il quale potesse venire a lui il capitano

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Suares spagnuolo e uno altro, che non si nominava, insua compagnia; il quale Lorenzo facilmente concedette,credendo fusse uno capitano col quale aveva secreta in-telligenza. Ma venne uno altro capitano del medesimonome, e con lui Orazio da Fermo secretario di FrancescoMaria; e dimandata publica udienza, Suares offerse innome di Francesco Maria che, potendosi decidere le dif-ferenze con abbattimento a corpo a corpo o di determi-nato numero con ciascuno di loro, era più convenienteeleggere uno di questi modi che perseverare in quellavia, per la quale si distruggevano empiamente i popoli ein pregiudicio di qualunque ne avesse a essere signore;però Francesco Maria offerire quale più gli piacesse diquesti modi. Dopo le quali parole, volendo leggere lascrittura che aveva in mano gli fu proibito. Rispose Lo-renzo, con consiglio de’ suoi capitani, che volentieri ac-cettava questa proposta purché Francesco Maria lascias-se prima quel che violentemente gli aveva occupato: dopole quali parole, stimolato da Renzo da Ceri, gli feceamendue incarcerare; perché Renzo affermava meritarepunizione per avere fatto uno atto troppo insolente. Mariprendendosi la violazione della fede dagli altri capita-ni, liberato Suares, ritenne solamente Orazio; scusandola infamia della fede rotta con false cavillazioni, come sefusse stato necessario nominare espressamente nelsalvocondotto Orazio, suddito per origine della Chiesa e

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secretario dello inimico: ma si faceva per intendere da luii secreti di Francesco Maria, e specialmente con consi-glio o per la autorità di chi avesse mossa la guerra. Soprale quali cose esaminato con tormenti, si divulgò la con-fessione sua essere stata tale che avea augumentato ilsospetto conceputo del re di Francia.

Ma il desiderio di Lorenzo, di impedire agli spagnuolile vettovaglie del Vicariato, avea bisogno di sforzo mag-giore, perché dalle correrie de’ cavalli leggieri non suc-cedevano se non effetti di piccolo momento; e già l’eser-cito era tale che poteva arditamente opporsi agli inimici,perché avea raccolti Lorenzo, oltre a mille uomini d’armee mille cavalli leggieri, quindicimila fanti di varie nazio-ni, tra i quali erano più di dumila spagnuoli soldati aRoma; fanteria tutta esercitata nell’armi e molto eletta,perché i fanti italiani, non si facendo guerra in altro luo-go e perché i capitani aveano avuto comodità di permu-tare di mano in mano in fanti più utili la piena degliinutili raccolta al primo stipendio tumultuariamente, eranoil fiore de’ fanti di tutta Italia. Deliberossi adunque diandare ad alloggiare a Sorbolungo, castello del contadodi Fano distante cinque miglia da Fossombrone, dal qua-le alloggiamento le vettovaglie del Vicariato facilmentesi impedivano agli inimici.

È la città di Fossombrone situata in sul fiume del Me-tro, fiume famoso per la vittoria de’ romani contro ad

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Asdrubale cartaginese; il quale fiume, avendo corso insinoa quello luogo per alveo ristretto tra’ monti, come hapassato Fossombrone comincia a correre per una vallatapiù larga; la quale tanto più si dilata quanto più siappropinqua al mare, distante da Fossombrone quindicimiglia, nel quale entra il Metro appresso a Fano, ma dal-la parte di verso Sinigaglia. Da mano destra, secondo ilcorso del fiume, è quel paese che si denomina il Vicariato,pieno tutto di colline fertili e di castella, il quale si di-stende per lungo spazio verso la Marca; e dalla manosinistra del fiume sono eziandio colline, ma allontanan-dosi si trovano monti alti e aspri; e lo spazio della pianu-ra che si distende verso Fano è largo più di tre miglia.

Quando adunque Lorenzo deliberò di andare ad allog-giare a Sorbolungo, dubitando che gli inimici, sentendomuoversi il campo suo non prevenissino, mandò la mat-tina innanzi giorno a pigliare il castello Giovanni de’Medici Giovambattista da Stabbia e Brunoro da Furlìcon quattrocento cavalli leggieri; e ordinato a’ fanti cheerano a Candelara e Nugolara che attraversando i montiandassino per unirsi con gli altri verso il Metro, egli contutto il rimanente dell’esercito, lasciato Guido Rangonealla guardia di Pesero con cento cinquanta uomini d’arme,a levata di sole prese il cammino da Pesero verso Fanoper il lito della marina, e voltatosi verso Fossombrone,dove comincia la valle, arrivò a mezzodì a uno luogo

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detto il mulino di Madonna in sul fiume, il quale tutti icavalli e i fanti italiani guadorono: ma i guasconi e i tede-schi passorno tanto tardamente per il ponte preparato aquesto che, non potendo l’esercito condursi il dì medesi-mo, secondo la deliberazione fatta, a Sorbolungo, fu ne-cessario che alloggiassino a San Giorgio, Orciano eMondavio, castelli distanti mezzo miglio l’uno dall’al-tro. Ma non ebbe migliore fortuna quello che era statocommesso a’ cavalli leggieri; perché parendo, nel cam-minare, a Giovanni de’ Medici (nel quale in questa suaprima esercitazione della milizia apparivano segni dellafutura ferocia e virtù) che per errore si pigliasse la via piùlunga, abbandonati gli altri i quali disprezzorono il con-siglio suo, entrò, più ore innanzi che sopravenisse la not-te, in Sorbolungo; gli altri due capitani, dopo lungo cir-cuito, ingannati secondo dicevano dalla guida, ritornornofinalmente all’esercito. Né potette Giovanni de’ Medicirimasto con la sua compagnia sola fermarsi la notte inSorbolungo, perché la mattina medesima Francesco Ma-ria, presentita la mossa degli inimici, immaginando doveandassino, si era con grandissima celerità mosso con tut-to l’esercito; il quale non ricevendo impedimento daltransito del fiume, perché lo passorno a Fossombronedove è il ponte di pietra, pervenne innanzi fusse la nottea Sorbolungo; per la venuta de’ quali Giovanni, veden-dosi impotente a resistere, si ritirò verso Orciano, segui-

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tandolo i cavalli degli inimici da’ quali furno presi moltide’ suoi. A Orciano, entrato nell’alloggiamento di Loren-zo, disse a lui, con grandissima indegnazione, o la negli-genza o la viltà di Brunoro e di Giovambatista da Stabbia,i quali erano presenti, avergli tolta quel dì la vittoria dellaguerra. Questa fu la prima ma non già sola occasione diprospero successo che perdesse l’esercito di Lorenzo, per-ché e di poi ne perdé dell’altre maggiori; e seguitoronocontinuamente più perniciosi disordini, accompagnando-si con la fortuna avversa i cattivi consigli.

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CAPITOLO IV

Ritirata dell’esercito di Lorenzo verso MonteBaroccio; scaramuccie coi nemici, che li prevengononell’occupazione del luogo. Posizione dei due eserciti.Nuovo spostarsi dell’esercito di Lorenzo. Presa di SanGostanzo. L’esercito di Lorenzo sotto Mondolfo; feritadi Lorenzo. Resa del castello.

Le castella di Orciano e Sorbolungo, poste in luogoeminente, sono distanti l’uno dall’altro poco più di duemiglia; nel mezzo sono tutte colline e monticelli, e unocastello chiamato Barti, dove era alloggiata parte dellagente di Francesco Maria: nella quale propinquità deglieserciti si attese tutto il dì seguente a scaramucciare. Varierano i consigli tra i capitani dell’esercito di Lorenzo:perché alcuni, e quegli massime dalla sentenza de’ qualinon pendeva la deliberazione, confortavano che si an-dasse ad assaltare gli inimici, parendo forse loro, senzamettere né sé né altri a pericolo, col proporre vanamenteconsigli arditi acquistare nome di coraggiosi; ma Renzo eVitello, il parere de’ quali era sempre seguitato da Lo-

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renzo, dissuaseno questo consiglio, perché gli inimicierano alloggiati in sito forte, avevano il castello a ridossodove non poteva andarsi se non per cammino difficile:dannando ancora il soprasedere in quegli luoghi comecosa inutile e da non partorire l’effetto per il quale sierano mossi da Pesero; perché essendo Sorbolungo inpotestà di Francesco Maria, era molto difficile impedirele vettovaglie del Vicariato. Con le quali ragioni, avendodannata ogn’altra deliberazione, ottenevano per necessi-tà che si dovesse ritornare indietro. E perché la ritiratanon avesse similitudine di fuga, proponevano non chel’esercito ritornasse agli alloggiamenti di prima ma che siandasse a occupare Montebaroccio e i luoghi da’ quali sierano partiti gli inimici, donde si poteva procedere inver-so Urbino. Con la quale deliberazione partì lo esercito lamattina seguente al fare del dì, ma si credeva questa esse-re non ritirata ma fuga. Dalla quale opinione, divulgataper tutto il campo, procedette che due uomini d’armefuggiti a Francesco Maria gli riferirono gli inimici pienidi spavento levarsi quasi fuggendo. Però parendogli d’ave-re la vittoria quasi certa, mosse subito l’esercito per ilcammino a traverso de’ monti, sperando di pervenire aloro come fussino calati nella pianura; i quali credevadovessino andare per la via più breve e più facile: per laquale se andavano, non poteva né l’una parte né l’altrafuggire il combattere. Ma la fortuna volle che per salvare

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un cannone, rimasto indietro il dì dinanzi perché allacarretta si era rotta una ruota, l’esercito di Lorenzo an-dasse a ripassare il Metro al medesimo Mulino di Ma-donna, luogo più basso più di quattro miglia che quelloal quale lo conduceva la strada più facile e più breve. Dacause e da accidenti tanto piccoli si variano nelle guerreeventi di grandissimo momento! Passorono tutti i cavallie i fanti a guazzo ma con grandissima tardità, e quegli cheerano passati si voltavano subito in ordinanza per il pia-no verso Fossombrone. Era già passata tutta la fanteria; edovendo passare le genti d’arme e i cavalli leggieri checamminavano nell’ultima parte del campo, comincioronoi cavalli leggieri degli inimici, che erano molti ed eletti, ascaramucciare con loro: nella quale scaramuccia fu pre-so Gostantino, figliuolo, anzi non manco nipote che fi-gliuolo, di Giampaolo Baglione, perché era nato di lui ed’una sorella sua. Però Giampaolo, il quale venuto nonmolti dì prima all’esercito conduceva l’avanguardia, at-tendendo a fare ogni sforzo per recuperarlo, tardò tantoche di avanguardia diventò retroguardo, succedendo nelprimo luogo Lorenzo che menava la battaglia, e nel luo-go della battaglia Troilo Savello che menava ilretroguardo; perché Renzo e Vitello andavano innanzico’ fanti. Ma come Francesco Maria e i suoi capitaniveddono che gli inimici, secondo che avevano passato ilfiume, si voltavano verso Fossombrone, si accorsono non

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essersi mossi per fuggire ma per occupare il MonteBaroccio: però cessando la cupidità prima del combatte-re, fondata in sul terrore immaginato degli inimici, la-sciate le bagaglie, corseno subito con somma celerità,senza ordine alcuno e con le bandiere in su le spalle, peroccupare uno passo forte del fiume chiamato leTavernelle, dove la natura ha fatto uno fossato dirupatoche piglia tutto il traverso d’uno piano insino al monte,né si può passare se non a uno passo che è fatto per lastrada; al quale se gli inimici, che secondo passavano sivoltavano a quella parte, fussino prevenuti, si riduceva-no in manifestissimo pericolo. E benché Lodovico figliuo-lo di Liverotto da Fermo il quale il dì medesimo era conmille fanti venuto nell’esercito di Lorenzo, e uno sergen-te spagnuolo, pratichi del paese, ne avvertissino Lorenzoe i suoi capitani, non feciono frutto alcuno; perché contutto che i fanti tedeschi e guasconi si dimostrassino pron-tissimi a combattere, il medesimo si gridasse per tutto ilcampo, e apparisse Lorenzo non ne essere alieno, nondi-meno Renzo da Ceri e Vitello consigliorno non esserebene farsi incontro agli inimici ma doversi ritirare a unocolle vicino, donde senza sottoporsi ad alcuno pericolofarebbono loro, nel passare il fiume, co’ cavalli espediti,danno gravissimo. Così, lasciato quel passo forte, Renzosi voltò verso il monte, e gli spagnuoli, come ebbonooccupato quel passo, salutati con gli archibusi i tedeschi

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a’ quali erano più propinqui, significorno con allegrissi-mo grido di conoscere di essere di manifesto pericoloridotti alla salute quasi certa. Così, o per imprudenza oper viltà (se già la malignità non vi ebbe parte), perdéLorenzo quello dì, a giudicio di tutti, l’occasione dellavittoria. Alloggiò la notte l’esercito suo a uno castellovicino detto Saltara; ma l’esercito di Francesco Maria,continuando con grandissima celerità il cammino insinoa non piccola parte della notte, si condusseall’alloggiamento di Montebaroccio, prevenendo duemilafanti mandativi da Lorenzo per occuparlo: il quale andò,il dì seguente, ad alloggiare due miglia più alto da Saltaraverso il monte, luogo volto verso Montebaroccio, ma piùbasso e dalla parte del mare. Stettono in questi luoghiamendue gli eserciti, vicini circa a uno miglio; ma conincomodità maggiore quello di Lorenzo, il quale pativaspesso di vettovaglie: perché, portandosi da Pesero a Fanoper mare, bisognava, quando i venti contrari impedivanola navicazione, condurle per terra, e a questo davano moltiimpedimenti i cavalli leggieri di Francesco Maria; i qualiavvertiti da’ paesani di ogni andamento, benché minimo,degli inimici correvano continuamente per tutto.

Nel qual tempo mandò Francesco Maria uno trombettoa mostrare a’ fanti guasconi certe lettere trovate nellescritture de’ secretari di Lorenzo, le quali, il dì che e’ sipartì dal castello di Saltara, erano state insieme con una

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parte de’ suoi carriaggi tolte da’ cavalli degli inimici; perle quali lettere si comprendeva che il pontefice, infastiditodelle disoneste taglie de’ guasconi, a’ quali era stato ne-cessario accrescere ciascuno mese immoderatissimamentei pagamenti, desiderava si facesse ogni opera per indurgli atornarsene di là da’ monti: per le quali lettere era pericoloche il dì medesimo non facessino qualche tumulto se Car-bone guascone loro capitano e Lorenzo de’ Medici, inge-gnandosi di persuadere essere lettere finte e inganni degliinimici, non gli avessino raffrenati. Nondimeno il sospet-to di questa cosa, la difficoltà delle vettovaglie, e lo esse-re alloggiati in luogo dove senza comparazione si mo-strava maggiore il pericolo di perdere che la speranza diacquistare, fece deliberare di levarsi (ancorché non pa-resse senza vergogna il discostarsi tanto spesso dagliinimici) ed entrare nel Vicariato da quella parte che è piùvicina al mare, e procedere insino al fine versoFossombrone: deliberazione approvata da tutto il cam-po, ma non senza infamia grande di Renzo e di Vitello;perché le voci di tutti i soldati risonavano che se da prin-cipio avessino deliberato questo medesimo arebbenomesso gli inimici in grande difficoltà di vettovaglie. AnziLorenzo medesimo gli riprendeva più che gli altri; la-mentandosi che, o per allungare per utilità propria laguerra o per impedire a lui il farsi famoso nell’armi, forsetemendo dalla grandezza sua effetti simili a quegli i quali

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aveva contro alle case loro prodotta la grandezza delduca Valentino avessino condotto in tante difficoltà e intanti pericoli uno esercito sì potente e tanto superiore dinumero e di forze agli inimici.

Andò adunque l’esercito a campo a San Gostanzo, ca-stello del Vicariato; gli uomini del quale benchécercassino, battendosi già le mura con l’artiglierie, di ar-rendersi, nondimeno, conoscendosi la facilità dello sfor-zarlo e desiderando di mitigare gli animi gonfiati de’guasconi, ritirati tutti gli altri soldati dalla muraglia, fulasciata la facoltà di assaltarlo a’ guasconi soli, acciò chesoli lo saccheggiassino. Preso San Gostanzo, andò il dìmedesimo il campo a Mondolfo distante due miglia, ca-stello più forte e migliore del Vicariato, situato in su unacollina in luogo eminente, cinto da fossi e di muraglia danon disprezzare, alla quale il sito del luogo fa terrapie-no, e dove erano a guardia dugento fanti spagnuoli.Piantoronsi la notte medesima l’artiglierie dalla parte diverso mezzodì, ma o per negligenza o per inconsiderazionedi Renzo da Ceri, il quale ebbe questa cura, furono pian-tate in luogo scoperto e senza ripari; in modo che, innan-zi che il sole fusse stato una ora sopra la terra, furonodall’artiglierie di dentro ammazzati otto bombardieri emolti guastatori, e ferito Antonio Santa Croce capitanodella artiglieria. Per il che commosso molto di animoLorenzo, ancora che sconfortato da tutti i capitani, che

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quello che poteva commettere ad altri non volesse ese-guire da se stesso con tanto pericolo, andò in persona afare fare i ripari; dove essendosi affaticato insino a mez-zodì, avendo proveduto opportunamente, si tirò indietroper andare a riposarsi sotto certi alberi, parendogli esserecoperto dalla sommità del monte: ma nello andare, man-cando l’altezza del colle, scoperse la rocca per fiancosituata dalla parte di ponente, né prima l’ebbe scopertache vidde dare fuoco a uno archibuso; il colpo del qualeper schifare gittandosi in terra bocconi, innanzi che arri-vasse a terra, il colpo, che altrimenti gli arebbe dato nelcorpo, gli percosse nella sommità del capo, toccandol’osso e riuscendo lungo la cotenna verso la nuca. FeritoLorenzo, i capitani accorgendosi che, ancora che fussebattuto il muro, restava troppa altezza del terrapieno,cominciorono a fare una mina, con la quale entrati sottouno torrione che era contiguo al muro battuto gli dettonoil quinto dì il fuoco; il quale avendo con grande impetogittato in terra a mezzodì il torrione e uno pezzo grandedella muraglia congiunta a quello, si cominciò subito adare la battaglia, ma con poco ordine e quasi a caso, laquale non partorì altro frutto che quello che soglionocomunemente partorire gli assalti male ordinati: nondi-meno, essendo venuta la notte, i soldati non sperandosoccorso, perché Francesco Maria, o per non perderequello sito o per altra cagione, non si era partito dallo

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alloggiamento di Montebaroccio, si arrenderono salvol’avere e le persone, lasciando in preda bruttamente gliuomini della terra.

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CAPITOLO V

Il cardinale di Santa Maria in Portico legato pontifi-cio all’esercito; tumulti per questioni fra soldati tede-schi e italiani; conseguente sospensione delle opera-zioni. Defezione di soldati spagnuoli dall’esercito pon-tificio. Strage di soldati tedeschi. Defezione di guasconie di tedeschi dall’esercito pontificio. Consiglio dei capidell’esercito di rimettere i Bentivoglio in Bologna esdegno del pontefice per tale proposta.

Per la ferita di Lorenzo, costituito in gravissimo perico-lo della vita, il pontefice mandò legato allo esercito ilcardinale di Santa Maria in Portico; il quale, congiuntagià la fortuna a’ pessimi governi, cominciò con infeliciauspici a esercitare quella legazione. Perché il dì seguen-te che e’ fu arrivato allo esercito, essendo nata a caso unaquistione tra uno fante italiano e uno tedesco, e corren-dovi i più vicini e ciascuno chiamando il nome della suanazione, si ampliò il tumulto per tutto il campo, in modoche, non si sapendo che origine avesse o che cagione,tutti i fanti per armarsi si ritiravano tumultuosamente agli

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alloggiamenti de’ suoi; ma quegli che nel ritirarsi si ri-scontravano in fanti di altre lingue erano molte volteammazzati da loro: e, quel che fu cagione di maggioredisordine, essendo i fanti italiani andati in ordinanza ver-so il luogo nel quale era cominciata la quistione, furonoda’ fanti guasconi saccheggiati gli alloggiamenti loro.Concorsono i capitani principali dello esercito, i qualiallora erano nel consiglio, per porre rimedio a tanto di-sordine; ma vedendo il tumulto grande e pericoloso, cia-scuno abbandonando i pensieri delle cose comuni per lointeresse particolare si ritirò a’ suoi alloggiamenti; e messesubito in ordine le loro genti d’arme, non pensando senon a salvare quelle, si discostorono con esse dal campocirca uno miglio. Solo il legato Bibbiena, con la costan-za e prontezza che apparteneva all’officio e all’onoresuo, non abbandonò la causa comune, riducendosi mol-te volte, per il furore della moltitudine concitata, in peri-colo non piccolo della vita; per opera del quale, nonsenza molte difficoltà e interponendosene molti de’ ca-pitani de’ fanti, cessò finalmente il tumulto; nel qualeerano stati, in diversi luoghi del campo, morti più di cen-to fanti tedeschi, più di venti italiani e qualche fantespagnuolo. Questo accidente fu cagione che, dubitando-si che se l’esercito stava insieme i fanti esacerbati per leoffese ricevute non combattessino per ogni piccolo casol’uno contro all’altro, si deliberasse non procedere per

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allora a impresa alcuna ma tenere separato l’esercito.Però furono alloggiate nella città di Pesero le genti d’armedella Chiesa e de’ fiorentini e i fanti italiani; perché lelancie franzesi, non essendo ancora risolute le difficoltàtra il pontefice e il re, non si erano mai mosse da Rimini.Alloggiorono i fanti guasconi nel piano, presso a mezzomiglio di quella città; gli altri fanti furono distribuiti insu il monte della Imperiale, monte sopra Pesero dallaparte di verso Rimini, in su il quale è uno palazzo fabricatodagli antichi Malatesti. E furono alloggiati con questoordine: gli spagnuoli in su la sommità del monte, i tede-schi più a basso secondo che il monte scende, e i corsialle radici del monte.

Così stettono ventitré dì, non si facendo in quel mezzoaltro che scaramuccie di cavalli leggieri; perché France-sco Maria, non potendo sperare di rompere alla campa-gna sì grosso esercito né tentare, per la vicinità loro,l’espugnazione di alcuna terra, attendendo a conservarequello che aveva acquistato, si stava fermo. Ma il vigesimoquarto dì, partito di notte da Montebaroccio, arrivò al-l’alba del dì in su la sommità del monte negli alloggiamentidegli spagnuoli; co’ quali, o con tutti o con parte di loro,si credette, per quello che dimostrò il progresso dellacosa, che avesse avuta secreta intelligenza. Venuto quivi,subito i suoi spagnuoli gridorno agli altri che se volevanosalvarsi gli seguitassino, alla quale voce la maggiore par-

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te, messosi ciascuno in sul capo uno ramuscello di fron-de verdi come aveano loro, gli seguitò: soli i capitani concirca ottocento fanti si ritirorono a Pesero. Così unitiandorono agli alloggiamenti de’ tedeschi, i quali non fa-cevano da quella parte custodia alcuna, per la sicurtàche dava loro la vicinità de’ fanti spagnuoli; trovatiglicosì incauti n’ammazzorno e ferirno più di secento, glialtri fuggendo negli alloggiamenti de’ corsi si discostoronoinsieme verso Pesero: i guasconi, sentito il tumulto, mes-sisi in ordinanza, non volleno mai muoversi del luogoloro. Uccisi i tedeschi e tirata a sé la maggiore parte de’fanti spagnuoli, Francesco Maria fermò l’esercito traUrbino e Pesero; pieno di speranza che con lui s’avessinoa unire i guasconi e quegli fanti tedeschi i quali, levati neltempo medesimo del campo di Lautrech, erano sempreandati, alloggiati e proceduti insieme.

Era tra’ guasconi Ambra, emulo del capitano Carbone;il quale, giovane di sangue più nobile e parente di Lautrech,aveva appresso a loro autorità maggiore. Costui aveva trat-tato occultamente, molti giorni, di passare con quei fanti aFrancesco Maria; e gli dava occasione che, non contentidi avere accresciuti immoderatamente gli stipendi,dimandavano di nuovo insolentemente condizioni moltomaggiori: alle quali repugnando i ministri del pontefice, siinterponevano per concordargli Carbone e il capitano del-le lancie franzesi, venuto da Rimini a Pesero per questa

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cagione. Ma cinque o sei dì da poi che era succeduto ilcaso degli spagnuoli e tedeschi al monte della Imperiale,Francesco Maria con tutto l’esercito si scoperse vicino aloro. Una parte de’ quali insieme con Ambra, messasi inbattaglia, con sei sagri e seguitata da’ tedeschi, si unì conlui; ingegnandosi invano Carbone con prieghi e con paro-le ardenti di ritenergli: col quale rimasono sette capitanicon mille trecento fanti; gli altri tutti, insieme co’ tede-schi, l’abbandonorno. E come nelle cose della guerra siaggiungono sempre a’ disordini nuovi disordini, i fanti ita-liani, vedendo la necessità che s’avea di loro, la mattinaseguente tumultuorno: i quali per quietare bisognò, ne’pagamenti, concedere dimande immoderate; non essendoné più vergogna né minore avarizia ne’ capitani che ne’fanti. Ed era certo cosa maravigliosa che nello esercito diFrancesco Maria, nel quale a’ soldati non si davano mai idanari, fusse tanta concordia ubbidienza e unione; nondependendo tanto questo, come con somma laude si dicedi Annibale cartaginese, dalla virtù o autorità del capitanoquanto dallo ardore e ostinazione de’ soldati: e per con-trario, che nello esercito della Chiesa, ove a’ tempi debitinon mancavano eccessivi pagamenti, fussino tante confu-sioni e disordini, e tanto desiderio ne’ fanti di passare agliinimici. Donde apparisce che non tanto i danari quantoaltre cagioni mantengono spesso la concordia e l’ubbi-dienza negli eserciti.

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Spaventati da tanti accidenti, il legato e gli altri cheintervenivano nel consiglio, esaminato lungamente quel-lo che per rimedio delle cose afflitte fusse da fare, néessendo più prudenti o abbondanti di modi abili aprovedere dopo i disordini seguiti che fussino stati aprovedere che non seguissino, movendogli ancora gli in-teressi e le cupidità particolari, conchiuseno essere daconfortare il pontefice che restituisse i Bentivogli in Bo-logna innanzi che essi, preso animo dalla declinazionedelle cose o incitati da altri, facessino qualche movimen-to: al quale come si potrebbe resistere, mostrarlo le diffi-coltà che avevano di sostenere la guerra in uno luogosolo. Però avendo, per dare maggiore autorità a tale con-siglio o per più giustificazione, in ogni evento, di tutti,fatto distendere in iscrittura il parere comune e sotto-scrittolo di mano del legato e dell’arcivescovo Orsino(l’uno de’ quali era congiunto d’antica amicizia a’Bentivogli, l’altro di parentado) e da tutti i capitani,mandorono, per il conte Ruberto Boschetto gentiluomomodonese, al papa questa scrittura. La quale non solo fudisprezzata da lui, ma si lamentò con parole molto acer-be che i ministri suoi, e quegli che da lui avevano ricevutitanti benefici o potevano sperare a ogn’ora di riceverne,gli proponessino, con tanto piccola fede e amore, consi-gli non manco perniciosi che i mali i quali gli facevanogli inimici; risentendosene principalmente contro all’ar-

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civescovo Orsino, per essere forse stato principalestimolatore degli altri a questo consiglio: il quale sdegnosi crede che forse fusse cagione di torgli la dignità delcardinalato, la quale gli era promessa da tutti nella primapromozione.

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CAPITOLO VI

Francesco Maria si volge verso Perugia. Esecuzionedi capi di milizie spagnuole colpevoli di accordi coinemici. Provvedimenti dei pontifici per far fallire l’im-presa del duca di Urbino. Accordi di GiampaoloBaglioni con Francesco Maria. I progressi dei nemicicostringono Francesco Maria a ritornare nel ducato.

Ma Francesco Maria, essendo tanto accresciute le for-ze sue e diminuite quelle degli avversari, alzò l’animo amaggiori pensieri, stimolato ancora dalla necessità; per-ché i fanti venuti seco erano stati tre mesi quasi senzadanari, a questi venuti nuovamente niuna facoltà avea didarne; ed essendo il ducato di Urbino esausto e quasitutto spogliato, non solo non vi avevano i soldati facoltàdi predare ma con difficoltà vi erano vettovaglie bastantia nutrirgli. Ma nella elezione della impresa gli bisognòseguitare la volontà di altri. Perché esso, per lo stabili-mento del suo stato, desiderava, innanzi tentasse altracosa, assaltare di nuovo Fano o qualcun’altra delle terreposte in sul mare; ma per l’inclinazione de’ soldati cupidi

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delle prede e delle rapine deliberò voltarsi più presto inToscana, dove, per essere pieno il paese, che era senzasospetto, ed esservi piccoli provedimenti, speravano po-tere fare grandissimi guadagni. Incitavalo oltre a questola speranza di potere, per mezzo di Carlo Baglione e diBorghese Petrucci, fare mutazione in Perugia e in Siena,donde sarebbono augumentate assai le cose sue, e lemolestie e i pericoli del pontefice e del nipote. Perciò, ildì seguente a quello nel quale ebbe raccolti i guasconi,mosse l’esercito verso Perugia, ma come fu nel piano diAgobbio, deliberò manifestare il sospetto suo, anzi scien-za quasi certa, che avea, della perfidia del colonnelloMaldonato e di alcuni altri congiunti nella medesimacausa con lui.

Era la cosa nata e venuta a luce in questo modo. Quan-do l’esercito passò per la Romagna, Suares, uno de’ ca-pitani spagnuoli, rimasto indietro sotto finzione di essereammalato, si era lasciato studiosamente fare prigione; emenato a Cesena a Lorenzo, gli disse, per parte diMaldonato e di due altri capitani spagnuoli, la causa dicongiugnersi con Francesco Maria non essere stata peraltro che per avere occasione di fare qualche servizionotabile al pontefice e a lui, poiché non era stato in po-testà di essi ovviare che questo movimento si facesse;promettendogli in nome loro che, subito che avessinoopportunità di farlo, lo metterebbono a esecuzione. Le

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quali cose non essendo note a Francesco Maria, comin-ciò a sospettare per alcune parole dette incautamente daRenzo da Ceri a uno tamburino degli spagnuoli; perché,come motteggiando, lo dimandò: — Quando vorrannoquegli spagnuoli darci prigione il vostro duca? — La qualevoce, entrata più altamente nel petto di Francesco Ma-ria, gli avea data cagione di osservare diligentemente senello esercito fusse fraude alcuna. Ma finalmente, per lescritture intercette ne’ carriaggi di Lorenzo, comprese,Maldonato essere autore di qualche insidia. La quale cosaavendo dissimulata insino a quello dì, né gli parendodoverla più dissimulare, chiamati a parlamento tutti i fantispagnuoli, egli stando in luogo rilevato in mezzo di tutti,cominciò a ringraziargli con efficacissime parole delleopere che con tanta prontezza avevano fatto per lui, con-fessando non essere, o ne’ tempi moderni o nelle istorieantiche, memoria di principe o di capitano alcuno cheavesse tante obligazioni a gente di guerra quante cono-sceva egli d’avere con loro: conciossiaché, non avendodenari né modo di promettere loro remunerazione, es-sendo, quando bene avesse recuperato tutto il suo stato,piccolo signore, non fatto mai loro alcuno beneficio, nonessendo della medesima nazione né avendo mai militatone’ campi loro, si fussino sì prontamente disposti a se-guitarlo contro a uno principe di tanta grandezza eriputazione; né tirati dalla speranza della preda, perché

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sapevano essere condotti in uno paese povero e sterile.Delle quali operazioni non avendo facoltà di rendere lorograzie se non con la sincerità della volontà e dell’animo,essersi sommamente rallegrato che avessino acquistato,non solo per tutta Italia ma per tutte le provincie di Eu-ropa, maravigliosa fama, alzando insino al cielo ciascu-no la loro egregia fede e virtù, che pochissimi di numero,senza danari senza artiglierie senza alcuna delle provisioninecessarie alla guerra, avessino tante volte fatto voltarele spalle a uno esercito abbondantissimo di danari e ditutte l’altre cose, nel quale militavano tante bellicosenazioni, e contro alla potenza di uno pontefice grandissi-mo e dello stato de’ fiorentini, a’ quali era congiuntal’autorità e il nome de’ re di Francia e di Spagna: di-sprezzati, per mantenere la fede e la fama degli uominimilitari, i comandamenti de’ propri signori. Le quali cosecome per la gloria del nome loro gli davano incredibilepiacere, così per contrario avergli dato e dargli molestiaincredibile tutte le cose che potessino oscurare tantosplendore. Malvolentieri e con inestimabile dolore in-dursi a manifestare cose che gli costrignessino a offende-re alcuno di quegli a ciascuno de’ quali aveva prima fattadeliberazione di essere, mentre gli durava la vita, schiavoparticolarmente; nondimeno, perché per il tacere suo ildisordine cominciato non diventasse maggiore, e perchéla malignità di alcuni non spegnesse tanta gloria acqui-

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stata da quello esercito, ed essendo anche convenienteche in lui potesse più l’onore di tutti che il rispetto dipochi, manifestare loro essere in quello esercito quattropersone che tradivano la gloria e la salute di tutti. Dellasua non fare menzione né lamentarsi, perché, travagliatoda tanti casi e stato perseguitato senza sua colpa sì acer-bamente dalla fortuna, essere qualche volta manco desi-deroso della vita che della morte; ma non patire leobligazioni che aveva con loro, non l’amore smisuratoche meritamente gli portava che non facesse loro paleseche il colonnello Maldonato (quello in cui doveva esse-re maggiore cura della salute e gloria di tutti), il capitanoSuares (quello che per ordire tanta tristizia, simulando diessere infermato, si era fatto in Romagna pigliare dagliinimici), e due altri capitani, avevano con scelerati consi-gli promesso tradirgli a Lorenzo de’ Medici: i quali con-sigli erano stati interrotti dalla vigilanza sua, per la qualerendendosi sicuro, non avere prima voluto manifestaretanto peccato; ma non gli parendo di tenere più sottopo-sto sé e tutti gli altri a sì grave pericolo, avere aperto loroquello che molto innanzi era stato saputo da lui. Appari-re queste cose per lettere autentiche trovate nelle scrittu-re che furono intercette di Lorenzo, apparire per moltiindizi e congetture; le quali tutte volere proporre loro,acciò che fussino giudici di tanto delitto, e udito le coseproposte, quello che in defensione loro dicessino questi

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accusati, potessino risolversi a quella deliberazione cheparesse loro più conforme alla giustizia, e alla gloria eutilità dello esercito. Finito che ebbe di parlare fece leg-gere le lettere ed esporre gli indizi. Le quali cose udite datutti con grandissima attenzione, non fu dubbio che pergiudicio comune non fussino, senza udirgli altrimenti,Maldonato, Suares e gli altri due capitani, condannatialla morte; la quale subito, fattigli passare in mezzo dellefile delle picche, fu messa a esecuzione: e purgato, se-condo dicevano, con questo supplizio tutta la malignitàche era nell’esercito, seguitorono il cammino versoPerugia.

Nella quale era già entrato Giampaolo Baglione, parti-tosi da Pesero subito che ebbe inteso il disegno loro, e sipreparava per difendersi, avendo armati gli amici e messidentro molti del contado e de’ luoghi vicini; e gli avevamandato il legato in aiuto Cammillo Orsino suo generocondottiere de’ fiorentini, con gli uomini d’arme dellacondotta sua e con dugento cinquanta cavalli leggieri:con le quali forze si credeva che avesse a sostenere l’im-peto degli inimici, massime essendosi fatto moltiprovedimenti per interrompere i progressi loro. Perché aCittà di Castello era andato Vitello con la compagnia suadelle genti d’arme e Sise con le lancie franzesi, le quali,perché tra ’l pontefice e il re era stabilita la confedera-zione, non erano più sospette; e Lorenzo de’ Medici, che

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guarito della sua ferita era nuovamente venuto da Anconaa Pesero, erane andato in poste a Firenze per fare di là leprovisioni che fussino necessarie alla conservazione diquello dominio e delle città vicine; e si era deliberatoche il legato col resto dello esercito, per necessitare Fran-cesco Maria ad abbandonare la impresa di Toscana, en-trasse nel ducato di Urbino, alla guardia del quale nonerano restati altri che gli uomini delle terre.

Accostossi Francesco Maria a Perugia, non senza spe-ranza di qualche intelligenza. Dove cavalcandoGiampaolo per la città, fu assaltato in mezzo della stradada uno della terra; il quale, non gli essendo riuscito ilferirlo, fu subito ammazzato dal concorso di quegli cheaccompagnavano Giampaolo: il quale, in questo tumul-to, fece ammazzare alcuni altri di quegli che gli eranosospetti; e liberato dalle insidie, pareva liberato da ognipericolo, perché gli inimici, stati già intorno a Perugiapiù dì, non avevano facoltà di sforzarli. E nondimenoGiampaolo, quando manco il pontefice aspettava que-sto, allegando in giustificazione sua che il popolo diPerugia, al quale non era in potestà sua di resistere, nonvoleva più tollerare i danni che si facevano nel paese,convenne con quello esercito di pagare diecimila ducati,concedere vettovaglia per quattro dì, non pigliare armecontro a Francesco Maria in quella guerra, e che essi siuscissino subito del perugino: cosa molto molesta e rice-

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vuta in sinistra parte dal pontefice, perché confermò laopinione insino da principio della guerra conceputa dilui, quando molto lentamente andò allo esercito con gliaiuti promessi, che per essergli sospetta la potenza diLorenzo desiderasse che Francesco Maria si conservasseil ducato di Urbino; aggiugnendosi l’essergli stato mole-sto che, mentre stette nel campo appresso a Lorenzo,fusse stata molto maggiore l’autorità di Renzo e di Vitel-lo che la sua. La memoria delle quali cose fu nel temposeguente, per avventura, cagione in gran parte delle suecalamità.

Convenuto Francesco Maria co’ perugini, si voltò ver-so Città di Castello; dove avendo fatto qualche scorreria,con intenzione di entrare dalla parte del Borgo a SanSepolcro nel dominio fiorentino, il pericolo dello statoproprio lo indusse ad altra deliberazione. Perché il lega-to Bibbiena, avendo di nuovo soldato molti fanti italiani,seguitando la deliberazione fatta a Pesero, [si] era colresto dell’esercito accostato a Fossombrone: la quale città,battuta dalle artiglierie, fu il terzo dì espugnata e sac-cheggiata. Andò dipoi a campo alla Pergola, dove il se-condo dì si unì coll’esercito il conte di Potenza, conquattrocento lancie spagnuole mandate dal re di Spagnain aiuto del pontefice. Non era nella Pergola soldato al-cuno, ma solamente uno capitano spagnuolo e molti uo-mini del paese, i quali impauriti cominciorono a trattare

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di arrendersi; ma mentre che si trattava essendo statoferito nel volto il capitano che stava in sul muro, voltatisii soldati, senza ordine alcuno e senza comandamento de’capitani, alla muraglia, preseno per forza la terra. DallaPergola si disegnava di andare a campo a Cagli; ma es-sendo venuto avviso che Francesco Maria, intesa la per-dita di Fossombrone, ritornava con celerità grande inquello stato, deliberorono di ritirarsi. Però la notte me-desima che il legato ebbe questa notizia si levorono dallaPergola, e venuti a Montelione e già cominciato a farvi loalloggiamento per stare quivi la notte, avuti avvisi nuoviche la prestezza degli inimici riusciva maggiore di quelloche si erano persuasi, e che mandava innanzi mille cavallicon un fante in groppa per uno, acciò che, costrignendoglia camminare più lentamente, avesse tempo l’esercito asopragiugnergli, andorono sette miglia più innanzi, a unoluogo detto il Bosco; donde partiti la mattina seguenteinnanzi al giorno, si ridussono la sera a Fano; avendo giàquasi alla coda i cavalli degli inimici, venuti con tantaprestezza che se solamente quattro ore fusse stata piùtarda la ritirata non sarebbe stato senza difficoltà il fuggi-re la necessità del combattere.

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CAPITOLO VII

Congiura del cardinale Alfonso Petrucci contro il pon-tefice. Esami e pene dei congiurati. Nomine numerosedi nuovi cardinali, di cui alcuni appartenenti a fami-glie nobili romane.

Ma non procedevano in questo tempo più felicementele cose del pontefice nelle altre azioni che ne’ travaglidella guerra: alla vita del quale insidiava Alfonso cardi-nale di Siena, sdegnato che il pontefice, dimenticatosidelle fatiche e de’ pericoli sostenuti già per PandolfoPetrucci suo padre perché i fratelli e lui fussino restituitinello stato di Firenze, e delle opere fatte da sé, insiemecon gli altri cardinali giovani nel conclave, perché e’ fusseassunto al pontificato, avesse in ricompensazione di tantibenefici fatto cacciare di Siena Borghese suo fratello elui; donde privato eziandio delle facoltà paterne nonpoteva sostenere splendidamente, come soleva, la degnitàdel cardinalato. Però ardendo di odio, e quasi ridotto indisperazione, aveva avuto pensieri giovenili di offender-lo egli proprio violentemente con l’armi; ma ritenendolo

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il pericolo e la difficoltà della cosa più che lo esempio olo scandolo comune in tutta la cristianità, se uno cardi-nale avesse di sua mano ammazzato uno pontefice, avevavoltato tutti i pensieri suoi a torgli la vita col veleno, permezzo di Batista da Vercelli, famoso chirurgico e moltointrinseco suo. Del quale consiglio, se tal nome meritacosì scelerato furore, questo aveva a essere l’ordine: sfor-zarsi, col celebrare, poiché altra occasione non ne aveva,con somme laudi la sua perizia, che il pontefice, il qualeper una fistola antica che aveva sotto le natiche usavacontinuamente l’opera di medici di quella professione,pigliandone buono concetto lo chiamasse alla cura sua.Ma la impazienza di Alfonso difficultò molto la speran-za di questa cosa. La quale mentre che si tratta con lun-ghezza, Alfonso non sapendo contenersi di lamentarsimolto palesemente della ingratitudine del pontefice, di-ventando ogni dì più esoso, e venuto in sospetto che nonmacchinasse qualche cosa contro allo stato, fu finalmen-te quasi costretto di partirsi, per sicurtà di se stesso, daRoma. Ma vi lasciò Antonio Nino suo secretario; tra ilquale e lui essendo continuo commercio di lettere, com-prese il pontefice, per alcune che furono intercette, trat-tarsi contro alla vita sua. Però, sotto colore di volereprovedere alle cose di Alfonso, lo chiamò a Roma,concedutogli salvocondotto, e data, per la bocca pro-pria, fede di non lo violare allo oratore del re di Spagna.

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Sotto la quale sicurtà, ancora che conscio di tanta cosa,andato imprudentemente innanzi al pontefice, furono,egli e Bandinello cardinale de’ Sauli genovese, fautoreanche esso della assunzione di Lione al pontificato maintrinseco tanto di Alfonso che si pensava fusse consciod’ogni cosa, ritenuti nella camera medesima del papa,donde furono menati prigioni in Castello Santo Agnolo;e subitamente ordinato che Batista da Vercelli, il qualeallora medicava in Firenze, fusse incarcerato eincontinente mandato a Roma. Sforzossi con ardentissimequerele e pretesti di fare liberare Alfonso l’oratore del redi Spagna, allegando la fede data a lui come a oratore diquel re non essere altro che la fede data al re proprio. Mail pontefice rispondeva che in uno salvocondotto, quan-tunque amplissimo e pieno di clausule forti e speciali,non si intende mai assicurato il delitto contro alla vitadel principe se non vi è nominatamente specificato: averela medesima prerogativa la causa del veleno, aborritotanto dalle leggi divine e umane e da tutti i sentimentidegli uomini che aveva bisogno di particolare e individuaespressione.

Prepose il pontefice all’esamina loro Mario Peruscoromano, procuratore fiscale, dal quale rigorosamente esa-minati confessorono il delitto macchinato da Alfonso consaputa di Bandinello; la quale confessione fu conferma-ta da Batista cerusico e da Pocointesta da Bagnacavallo,

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il quale sotto Pandolfo suo padre e sotto Borghese suofratello era stato lungamente capitano della guardia chestava alla piazza di Siena; i quali due furono publicamentesquartati. Ma dopo questa confessione fu, nel prossimoconcistorio, ritenuto e condotto nel castello Raffaello daRiario cardinale di San Giorgio, camarlingo della sediaapostolica; il quale per le ricchezze, per la magnificenzadella sua corte e per il tempo lungo che era stato in quel-la dignità, era senza dubbio principale cardinale del col-legio: il quale confessò non gli essere stata comunicataquesta macchinazione, ma il cardinale di Siena, lamen-tandosi e minacciando il pontefice, avergli detto più vol-te parole per le quali aveva potuto comprendere avere inanimo, se ne avesse occasione, di offenderlo nella perso-na. Querelossi dipoi il pontefice, in uno altro concistorio,nel quale i cardinali, non assuefatti a essere violati, eranotutti smarriti di animo e spaventati, che così crudelmentee sceleratamente fusse stato insidiato alla vita sua da queglii quali, costituiti in tanta degnità e membri principali dellasedia apostolica, erano sopra tutti gli altri obligati a di-fenderla; lamentandosi efficacemente del suo infortunio,e che non gli fusse giovato l’essere stato e l’essere conti-nuamente benefico e grato con ognuno, eziandio insinoa grado che da molti ne fusse biasimato: soggiugnendoche in questo peccato erano ancora degli altri cardinali, iquali se innanzi che fusse licenziato il concistorio

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confessassino spontaneamente il loro delitto, essere pa-rato a usare la clemenza e a perdonare loro, ma che finitoil concistorio si userebbe contro a chi fusse congiunto atanta sceleratezza la severità e la giustizia. Per le qualiparole Adriano cardinale di Corneto e FrancescoSoderino cardinale di Volterra, inginocchiati innanzi allasedia del pontefice, dissono, il cardinale di Siena averecon loro usate delle medesime parole che aveva usate colcardinale di San Giorgio.

Finiti e publicati nel concistorio gli esamini, furonoAlfonso e Bandinello, per sentenza data nel concistoriopublico, privati della degnità del cardinalato, degradati edati alla corte secolare. Alfonso, la notte prossima, fu occul-tamente nella carcere strangolato; la pena di Bandinellopermutata, per grazia del pontefice, dalla morte a perpe-tua carcere: il quale, non molto poi, non solo lo liberòdalla carcere ma, pagati certi danari, lo restituì alla degnitàdel cardinalato; benché con lui avesse più giusta causa disdegno perché, beneficato sempre da lui e veduto moltobenignamente, non si era alienato per altro che per la ami-cizia grande che aveva con Alfonso, e per sdegno che ilcardinale de’ Medici gli fusse stato anteposto nella peti-zione di certi benefici. E nondimeno non mancoronointerpretatori, forse maligni, che innanzi fusse liberato dallacarcere gli fusse stato dato, per commissione del pontefi-ce, veleno, di quella specie che non ammazzando

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subitamente consuma in progresso di tempo la vita di chilo riceve. Col cardinale di San Giorgio, per essere il delittominore, ancora che le leggi fatte e interpretate da’ prìncipiper sicurtà de’ loro stati voglino che nel crimine della maestàlesa sia sottoposto all’ultimo supplicio non solo chi mac-china ma chi sa chi accenna contro allo stato, e molto piùquando si tratta contro alla vita del principe, procedette ilpontefice più mansuetamente; avendo rispetto alla sua etàe autorità, e alla congiunzione grande che innanzi al pon-tificato era lungamente stata tra loro. Però, se bene fusse,per ritenere l’autorità della severità, nella sentenza mede-sima privato del cardinalato, fu quasi incontinente,obligandosi egli a pagare quantità grandissima di danari,restituito per grazia eccetto che alla voce attiva e passiva;alla quale fu, innanzi passasse uno anno, reintegrato. AAdriano e Volterra non fu dato molestia alcuna, eccettoche tacitamente pagorno certa quantità di danari: ma nonsi confidando, né l’uno né l’altro, di stare in Roma sicura-mente né con la conveniente dignità, Volterra con licenzadel pontefice se ne andò a Fondi, dove sotto l’ombra diProspero Colonna stette insino alla morte del pontefice; eAdriano, partitosi occultamente quello che si avvenisse dilui non fu mai più che si sapesse né trovato né veduto inluogo alcuno.

Costrinse l’acerbità di questo caso il pontefice a pensa-re alla creazione di nuovi cardinali, conoscendo quasi

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tutto il collegio, per il supplizio di questi e per altre ca-gioni, avere l’animo alienissimo da lui: alla quale procedétanto immoderatamente che pronunziò, in una mattinamedesima, in concistorio, consentendo il collegio per ti-more e non per volontà, trentuno cardinali; nella abbon-danza del quale numero ebbe facoltà di sodisfare a moltifini e di eleggere di ogni qualità di uomini. Perché pro-mosse due figliuoli di sorelle sue, e alcuni di quegli che,stati e nel ponteficato e prima a’ servizi suoi, e grati alcardinale de’ Medici e a lui per diverse cagioni, non era-no per altro rispetto capaci di tanta degnità; sodisfecenella creazione di molti a prìncipi grandi, creandogli aistanza loro; molti ne creò per danari, trovandosi esaustoe in grandissima necessità: furonvene alcuni chiari peropinione di dottrina, e tre generali, è questo tra loro ilsupremo grado, delle religioni di Santo Agostino di San-to Domenico e di Santo Francesco; e, quello che fu raris-simo in una medesima promozione, due della famigliade’ Triulzi, movendolo nell’uno l’essere suo cameriere eil desiderio di sodisfare a Gianiacopo, nell’altro la famadella dottrina aiutata da qualche somma di danari. Maquello che dette maggiore ammirazione fu la creazionedi Franciotto Orsino e di Pompeio Colonna e di cinquealtri romani delle famiglie principali che seguitavano oquesta o quella fazione: con consiglio contrario alledeliberazioni dell’antecessore, ma riputato imprudente e

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che riuscì poco felice per i suoi. Perché, essendo semprela grandezza de’ baroni di Roma depressione e inquietu-dine de’ pontefici, Giulio, essendo mancati i cardinaliantichi di quelle famiglie, le quali Alessandro sesto perspogliarle degli stati propri aveva acerbamente persegui-tate, non aveva mai voluto rimettere in alcuna di loroquella degnità; Lione tanto immoderatamente fece il con-trario: non potendo però dirsi che fusse stato tirato da’meriti delle persone; perché Franciotto fu promosso dal-la professione della milizia alla degnità del cardinalato,e a Pompeio doveva nuocere la memoria che, con tuttofusse vescovo, avea, per occasione della infermità [diGiulio], cercato di fare tumultuare il popolo romano con-tro allo imperio de’ sacerdoti, e dipoi si era ribellatoapertamente con l’armi dal medesimo pontefice, dal qualeera stato per questo privato della degnità episcopale.

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CAPITOLO VIII

Francesco Maria nella Marca. Offerte d’aiuto del redi Francia al pontefice; sospetti reciproci e sospettianche del re di Spagna. Battaglia ai borghi di Rimini;Francesco Maria passa in Toscana; difficoltà di Fran-cesco Maria e del pontefice. Concordia fra il ponteficee Francesco Maria. Considerazioni dell’autore sullaguerra e sul modo con cui è stata condotta. Il re diSpagna prende possesso dei suoi stati; i venezianiriconfermano la lega difensiva col re di Francia.

Ma in questo tempo Francesco Maria, poiché per laritirata, anzi più presto fuga, degli inimici non aveva avu-to facoltà di combattere, avendo l’esercito molto poten-te, perché alla fama del non avere resistenza nella cam-pagna concorrevano continuamente nuovi soldati, tiratidalla speranza delle prede, entrò nella Marca; doveFabriano e molte altre terre si composono con lui,ricomperando con danari il pericolo del sacco e dellerapine de’ loro contadi. Saccheggionne alcune altre, trale quali Iesi, mentre trattava di comporsi; e dipoi acco-

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statosi ad Ancona, alla difesa della quale città il legatoaveva mandato gente, vi stette fermo intorno più dì, condetrimento grande, per la perdita del tempo, delle cosesue, non combattendo ma trattando di accordarsi con glianconitani: i quali finalmente, per non perdere le ricoltegià mature, gli pagorono ottomila ducati, non deviandoin altro dalla ubbidienza solita della Chiesa. Assaltò dipoila città di Osimo poco felicemente. Messe finalmente ilcampo alla terra di Corinaldo, dove erano dugento fantiforestieri; da’ quali e dagli uomini della terra fu difesa sìfrancamente che, statovi intorno ventidue dì, alla fine,disperato di pigliarla, si levò: con grande diminuzionedel terrore di quello esercito, che non avesse espugnatoterra alcuna di quelle che avevano recusato di comporsi;il che non procedeva né dalla imperizia de’ capitani nédalla ignavia de’ soldati, ma perché non avevano artiglie-rie se non piccolissima quantità, e piccoli pezzi e quasisenza munizione. E nondimeno era stato necessario, alleterre le quali non avevano voluto cedergli, dimostrare dase stesse la sua costanza e il suo valore: perché i capitanidell’esercito ecclesiastico, de’ quali era principale il contedi Potenza, se bene avessino mandato gente a predareinsino in su le mura di Urbino, e Sise, ritornato da Cittàdi Castello in Romagna, fusse dipoi entrato nelMontefeltro e preso per forza Secchiano e alcune altrepiccole terre, si erano ridotti ad alloggiare cinque miglia

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presso a Pesero, deliberati di non soccorrere luogo alcu-no né di muoversi se non quanto gli facesse muovere lanecessità del ritirarsi; perché essendo, quando erano tan-to superiori di forze, succedute così infelicemente le cose,trovandosi ora tanto manco potenti di fanterie, nonarebbeno non che altro ardito di sostenere la fama delloapprossimarsi degli inimici.

Nella quale deliberazione, fatta secondo la mente delpontefice, gli confermava la speranza della venuta diseimila svizzeri, i quali il papa, seguitando il consigliodel re di Francia, avea mandato a soldare: perché quel re,dopo la confederazione fatta, desiderava la vittoria delpontefice, e nel tempo medesimo aveva di lui il medesi-mo sospetto che prima. Conservavanlo nel sospetto lerelazioni fattegli da Galeazzo Visconte e da MarcantonioColonna; l’uno de’ quali restituito dall’esilio nella pa-tria, l’altro per non gli parere che da Cesare fussino rico-nosciute l’opere sue, condotti con onorate condizioniagli stipendi del re, aveano riferito il papa essersi moltoaffaticato con Cesare e co’ svizzeri contro a lui: e moltopiù moveva il re, che il pontefice aveva occultamentefatta nuova confederazione con Cesare col re di Spagnae col re di Inghilterra; la quale benché gli fusse statolecito di fare, perché era stata fatta solamente a difesa,turbava pure non poco l’animo suo. Facevagli desiderareche si liberasse dalla guerra il timore che se il pontefice

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non vedeva pronti gli aiuti suoi non facesse co’ prìncipigià detti maggiore congiunzione; e oltre a questo gli co-minciava a essere molesta e sospetta la prosperità di quelloesercito, il nervo del quale erano fanti spagnuoli e tede-schi. Però, oltre ad avere consigliato il pontefice di ar-marsi di fanti svizzeri, gli aveva offerto di mandare dinuovo trecento lancie sotto Tommaso di Fois monsigno-re dello Scudo fratello di Odetto; allegando che, oltrealla riputazione e valore della persona, gli sarebbe utile afare partire da Francesco Maria i fanti guasconi, co’ qua-li questi fratelli di Fois, nati di sangue nobilissimo inGuascogna, aveano grande autorità. Aveva il ponteficeaccettata questa offerta ma con l’animo molto sospeso,perché dubitava come prima della volontà del re, dellaquale gli aveva accresciuto il sospetto la fuga de’ fantiguasconi, temendo che occultamente non fusse procedu-ta per opera di Lautrech. E certamente, chi osservò inquesto tempo i progressi de’ prìncipi potette apertamen-te conoscere che niuno intrattenimento niuno beneficioniuna congiunzione è bastante a rimuovere de’ petti lorola diffidenza che hanno l’uno dell’altro; perché non so-lamente era il sospetto reciproco tra il re di Francia e ilpontefice, ma il re di Spagna, intendendo trattarsi dellaandata de’ svizzeri e di Tommaso di Fois, non era senzatimore che il pontefice e il re congiunti insieme pensassinodi spogliarlo del regno di Napoli: le quali cose si crede

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che giovassino alle cose del pontefice, perché ciascunodi loro, per non gli dare causa o giustificazione di alie-narsi da sé, cercava di confermarlo e di assicurarsene co’benefici e con gli aiuti.

Ma Francesco Maria, partito da Corinaldo, ritornò nel-lo stato d’Urbino, per fare spalle a’ popoli suoi chefacessino le ricolte: donde, desiderando assai, come sem-pre aveva desiderato, l’acquisto di Pesero, nella qualecittà era il conte di Potenza con le sue genti, vi si accostòcon l’esercito; e per impedirgli le vettovaglie messe inmare alcuni navili. Ma all’opposito si preparorno a Riminisedici legni tra barche brigantini e schirazzi; i quali comefurno armati, andando a Pesero per sicurtà di certe bar-che che vi conducevano vettovaglie, si riscontrorno conquegli di Francesco Maria, co’ quali venuti alle mani,messo in fondo il navilio principale presono tutti gli altri:per il che egli, disperato di pigliare Pesero, si partì.Facevasi in questo mezzo lo Scudo innanzi con le tre-cento lancie; ma tardavano i svizzeri, perché i cantonirecusavano di concedergli se prima non erano pagati dalui del residuo delle pensioni vecchie: dalla quale dispo-sizione non si potendo rimuovergli, e il pontefice impo-tente per le gravissime spese a sodisfargli, i ministri delpontefice, dopo avere consumato in questa instanza moltidì, soldorno, senza decreto publico, duemila fanti parti-colari di quella nazione e quattromila altri tra tedeschi e

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grigioni. I quali essendo finalmente venuti e alloggiati aRimini ne’ borghi (i quali, divisi dal fiume dal resto dellacittà, sono circondati di mura), Francesco Maria, entratodi notte sotto le pile del ponte egregio di marmo cheunisce i borghi colla città, non potette passare il fiume,ingrossato per il ricrescimento del mare. Fu la battagliagrande tralle sue genti e i fanti alloggiati ne’ borghi, nellaquale fu ammazzato Gaspari, capitano della guardia delpapa che gli aveva condotti; ma fu maggiore il dannodegli inimici: ammazzati Balastichino e Vinea capitanispagnuoli, ferito Federico da Bozzole e Francesco Mariadi uno scoppietto nella corazza. Voltò dipoi l’esercitoverso Toscana, menato più dalla necessità che dalla spe-ranza, perché nello stato tanto consumato non si potevasì grande esercito sostentare. In Toscana dimorato qual-che dì, tralla Pieve di Santo Stefano, il Borgo aSansepolcro e Anghiari, terre de’ fiorentini, e occupatoMontedoglio, luogo debole e poco importante, dette unalunghissima battaglia ad Anghiari, terra più forte per lafede e virtù degli uomini che per la fortezza della mura-glia o per altra munizione; la quale non avendo ottenuta,si ridusse sotto l’Apennino, tra il Borgo e Città di Castel-lo, dove fatti venire quattro pezzi d’artiglieria daMercatello, alloggiò meno di un mezzo miglio presso alBorgo, in sulla strada per la quale si va a Urbino, incertodi quel che avesse a fare: perché, essendo gli inimici pas-

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sati dietro a lui in Toscana, [erano] entrati nel Borgomolti de’ soldati italiani, in Città di Castello si era ferma-to Vitello con un’altra parte, in Anghiari, nella Pieve aSanto Stefano e nelle altre terre convicine erano entrati ifanti tedeschi i corsi i grigioni e i svizzeri. Venne simil-mente, benché più tardi, Lorenzo de’ Medici da Firenzeal Borgo; ove stette intorno Francesco Maria oziosamen-te molti dì: ne’ quali luoghi cominciando ad avereincomodità grande di vettovaglie, né si vedendo presentesperanza alcuna di potere fare effetto buono, anzi diven-tato l’esercito suo (il quale era necessario si sostentassedi prede e di rapine) non manco formidabile agli amiciche agli inimici, cominciava egli medesimo a non cono-scere fine lieto alle cose sue; e i fanti che l’avevano se-guitato, non avendo pagamento, non speranza di poterepiù molto predare per non avere artiglierie e munizionidi qualità da sforzare le terre, sopportando carestia divettovaglie, vedendo gli inimici accresciuti di forze e diriputazione, poiché si era scoperto loro tanto favore de’prìncipi, cominciavano a infastidirsi della lunghezza del-la guerra, non sperando più poterne avere, né col com-battere presto né con la lunghezza del tempo, felice suc-cesso. E al pontefice, da altra parte, accadeva il medesi-mo: esausto di danari, poco potente per se stesso a fare leprovisioni necessarie nel campo suo, e dubbio, come mai,della fede de’ re e specialmente del re di Francia, il quale

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tardamente provedeva al sussidio de’ danari dovutogliper la capitolazione, e perché lo Scudo, fermatosi secon-do la volontà del papa in Romagna, aveva recusato dimandare parte delle sue genti in Toscana, allegando nonle volere dividere.

Però, e prima che gli eserciti passassino l’Apennino, emolto più ridotte le cose in questo stato, erano stati variragionamenti d’accordo tra il legato e Francesco Mariainsieme co’ suoi capitani, interponendosene lo Scudo edon Ugo di Moncada viceré di Sicilia, mandato dal recattolico per questo effetto; ma niente era succedutoinsino a quel dì, per la durezza delle condizioni proposteda Francesco Maria. Finalmente i fanti spagnuoli, indottidalle difficoltà che si dimostravano e dalla instanza didon Ugo, il quale trasferitosi a loro e aggiugnendo leminaccie alla autorità avea dimostrato questa essere pre-cisamente la volontà del re di Spagna, inclinorno allaconcordia: la quale, prestando il consentimento benchémalvolentieri Francesco Maria, e intervenendovi per ilpontefice il vescovo d’Avellino mandato dal legato, siconveniva in questo modo, consentendo ancora i fantiguasconi per la interposizione dello Scudo: che il ponte-fice pagasse a’ fanti spagnuoli quarantacinque mila ducati,dovuti secondo dicevano per lo stipendio di [quattro]mesi, a’ guasconi e a’ tedeschi uniti con loro ducati [ses-santa] mila, partissino tutti, fra otto dì, dallo stato della

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Chiesa, de’ fiorentini e di Urbino: che Francesco Maria,abbandonato nel termine medesimo tutto quello posse-deva, fusse lasciato passare sicuramente a Mantova;potessevi condurre l’artiglierie, tutte le robe sue, enominatamente quella famosa libreria che con tanta spe-sa e diligenza era stata fatta da Federigo suo avolo mater-no, capitano di eserciti chiarissimo di tutti ne’ tempi suoima chiaro ancora, intra molte altre egregie virtù, per ilpatrocinio delle lettere: assolvesselo il pontefice dallecensure, e perdonasse a tutti i sudditi dello stato d’Urbinoe a qualunque gli fusse stato contrario in questa guerra.La sostanza delle quali cose mentre che più prolissamen-te si riduce nella scrittura, voleva Francesco Maria vi siinserissino certe parole per le quali si inferiva, glispagnuoli essere quegli che promettevano lasciare al pon-tefice lo stato di Urbino; la qual cosa essi ricusando,come contraria all’onore loro, vennono insieme acontenzione; onde Francesco Maria, insospettito che nonlo vendessino al pontefice, se ne andò all’improviso nelpivieri di Sestina, con parte de’ cavalli leggieri co’ fantiitaliani guasconi e tedeschi e con quattro pezzi di arti-glieria. Gli spagnuoli, data perfezione alla concordia ericevuti i danari promessi andorno nel regno di Napoli,essendo quando partirno poco più o meno di secentocavalli e quattromila fanti; feciono il medesimo gli altrifanti, ricevuto il premio della loro perfidia; agli italiani

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soli non fu né data né promessa cosa alcuna. Perciò eFrancesco Maria, della salute del quale parve che lo Scudotenesse cura particolare, poiché si vedde abbandonatoda tutti, aderendo alla concordia trattata prima, se neandò per la Romagna e per il bolognese a Mantova, ac-compagnato da Federico da Bozzole e cento cavalli esecento fanti.

In questa maniera si terminò la guerra dello stato diUrbino, continuata otto mesi, con gravissima spesa e igno-minia de’ vincitori. Perché dalla parte del pontefice furo-no spesi ottocentomila ducati, la maggiore parte de’ qua-li, per la potenza che aveva in quella città, furno pagatidalla republica fiorentina; e i capitani appresso a’ qualiera la somma delle cose furono da tutti imputati di gran-dissima viltà, governo molto disordinato, e da alcuni dimaligna intenzione: perché nel principio della guerra,essendo molto potenti le forze di Lorenzo e deboli quel-le degli inimici, non seppeno mai, né con aperto valorené con industria o providenza, usare occasione alcuna.A’ quali princìpi, succeduta, per la perduta lororiputazione, la confusione e la disubbidienza dello eser-cito, si aggiunse nel progresso della guerra il mancamen-to in campo di molte provisioni; e in ultimo, avendo lafortuna voluto pigliare piacere de’ loro errori,moltiplicorono per opera di quella tanti disordini che sicondusse la guerra in luogo che il pontefice, scopertesegli

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insidie alla vita, travagliato nel dominio della Chiesa,temendo qualche volta e non poco dello stato di Firenze,necessitato a ricercare con prieghi e con nuove obligazionigli aiuti di ciascuno, non potette anche liberarsi da tantiaffanni se non pagando col suo proprio quelle genti del-lo esercito inimico o che erano state origine della guerrao che condotte a’ soldi suoi, dopo avergli fatto molteestorsioni, si erano bruttamente rivoltate contro a lui.

In questo anno medesimo, e quasi alla fine, il re diSpagna andò, con felice navigazione, a pigliare lapossessione de’ regni suoi; avendo ottenuto dal re di Fran-cia (tra l’uno e l’altro de’ quali, palliando la disposizio-ne intrinseca, erano dimostrazioni molto amichevoli) chegli prorogasse per sei mesi il pagamento de’ primicentomila ducati che era tenuto a dargli per l’ultimo ac-cordo fatto tra loro: e i viniziani riconfermorono per dueanni la lega difensiva, che avevano col re di Francia, colquale stando congiuntissimi tenevano poco conto del-l’amicizia di tutti gli altri; in tanto che ancora non aveva-no mai mandato a dare l’ubbidienza al pontefice. Il qua-le fu molto imputato che avesse mandato legato a VinegiaAltobello vescovo di Pola, come cosa indegna della suamaestà.

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CAPITOLO IX

Il 1518 anno di quiete e di pace per l’Italia: trattati-ve fra i prìncipi per una spedizione contro i turchi.Delitti domestici e progressi di Selim; i mammalucchi.Potenza di Selim. Appello del pontefice ai prìncipi cri-stiani, e disegni per la spedizione; pubblicazione inconcistorio d’una tregua di cinque anni fra i prìncipicristiani. Scarso entusiasmo dei prìncipi per l’impre-sa; morte di Selim.

Séguita l’anno mille cinquecento diciotto, nel qualeItalia (cosa non accaduta già molti anni) non sentì movi-mento alcuno, benché minimo, di guerra. Anzi apparivala medesima disposizione in tutti i prìncipi cristiani; tra’quali, essendone autore il pontefice, si trattava, ma piùpresto con ragionamenti apparenti che con consigli so-stanziali, la espedizione universale di tutta la cristianitàcontro a Selim principe de’ turchi: il quale aveva l’annoprecedente ampliata tanto la sua grandezza che, consi-derando la sua potenza e non meno la cupidità del domi-nare, la virtù e la ferocia, si poteva meritamente dubitare

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che, non prevenendo i cristiani di assaltarlo, avesse, in-nanzi passasse molto tempo, a voltare le armi vittoriosecontro a loro.

Perché Selim, avendo innanzi compreso che Baiset suopadre, già molto vecchio, pensava di stabilire la succes-sione dello imperio in Acomath suo primogenito, ribel-latosi da lui, lo costrinse con l’armi, e con l’avere corrot-to i soldati pretoriani, a rinunziargli la signoria; e si cre-dette anche universalmente che, per assicurarsi totalmentedi lui, lo facesse morire sceleratamente di veleno. Vinci-tore dipoi in uno fatto d’arme contro al fratello, lo privòapertamente della vita; il medesimo fece a Corcù fratellominore di tutti: né contento d’avere fatto ammazzare,secondo il costume degli ottomanni, i nipoti e qualun-que viveva di quella stirpe, si credé, tanto fu di ingegnoacerbo e implacabile, che qualche volta pensasse di pri-vare della vita Solimanno suo unico figliolo. Da questiprincìpi continuando di guerra in guerra, vinti gli adulitipopoli montani e feroci, trapassato in Persia contro alsofì, e venuto con lui a giornata lo ruppe, occupò la cittàdi Tauris, sedia di quello imperio, con la maggiore partedella Persia: la quale fu costretto ad abbandonare, nonper virtù degli inimici (che diffidandosi di potere soste-nere l’esercito suo si erano ritirati a’ luoghi montuosi esalvatichi), ma perché, essendo stato quello annosterilissimo, gli mancavano le vettovaglie. Da questa

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espedizione poiché ritornato in Costantinopoli, e punitimolti soldati autori di sedizione, ebbe restaurato per qual-che mese l’esercito, simulando di volere ritornare a de-bellare la Persia, voltò le armi contro al soldano re dellaSoria e dello Egitto, principe non solo di antichissimariverenza e degnità appresso a quella religione ma poten-tissimo, per la amplitudine del dominio per le entrategrandi e per la milizia de’ mammalucchi, dalle armi de’quali era stato posseduto quello imperio con grandissi-ma riputazione [trecento] anni. Perché essendo retto dasoldani, i quali non per successione ma per elezione ascen-devano al supremo grado, e dove non erano esaltati senon uomini di manifesta virtù, e provetti per tutti i gradimilitari, al governo delle provincie e degli eserciti, e con-stando il nervo delle armi loro non di soldati mercenari eforestieri ma di uomini eletti, i quali, rapiti da fanciullidelle provincie vicine, e nutriti per molti anni con parcitàdi vitto, tolleranza delle fatiche e con esercitarsi conti-nuamente nelle armi nel cavalcare e in tutte le esercita-zioni appartenenti alla disciplina militare, erano ascrittinello ordine de’ mammalucchi (succedendo di mano inmano in quello ordine non i figliuoli de’ mammalucchimorti ma altri, che presi da fanciulli per schiavi vi perve-nivano con la medesima disciplina e con le medesimearti che erano di mano in mano pervenuti gli antecessori)questi, in numero non più di sedici o diciottomila, tene-

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vano soggiogati con acerbissimo imperio tutti i popolidello Egitto e della Soria, spogliati di tutte l’armi e proi-biti di non cavalcare cavalli. Ed essendo uomini di tantavirtù e ferocia e che facevano la guerra per sé propri,perché del numero loro e da loro si eleggevano i soldani,loro gli onori le utilità e l’amministrazione di tutto quel-lo opulentissimo e ricchissimo imperio, non solo aveva-no domate molte nazioni vicine, battuti gli arabi, ma,fatte molte guerre co’ turchi, erano rimasti molte voltevittoriosi ma rare volte o non mai vinti da loro. Contro aquesti adunque mossosi con l’esercito suo Salim e rotto-gli in più battaglie in campagna, nelle quali fu ammazza-to il soldano, e dipoi preso in una battaglia l’altro soldanosuo successore, il quale fece morire publicamente conignominioso supplicio, e fatta uccisione grandissima anziquasi spento il nome de’ mammalucchi, debellato il Cairo,città popolosissima nella quale risedevano i soldani, oc-cupò in brevissimo tempo tutta la Soria e tutto lo Egitto;in modo che, avendo così presto accresciuto tanto loimperio, duplicate quasi le entrate, levatosi lo ostacolodi emuli tanto potenti e di tanta riputazione, era nonsenza cagione formidabile a’ cristiani. E accrescevameritamente il timore l’essere congiunta a tanta potenzae valore una ardente cupidità di dominare e di faregloriosissimo a’ posteri con le vittorie il suo nome; per laquale, leggendo spesso, come era la fama, le cose fatte da

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Alessandro magno e da Giulio Cesare, si cruciava nelloanimo mirabilmente che le cose fatte da sé non fussino inparte alcuna comparabili a tante vittorie e trionfi loro. Eriordinando continuamente i suoi eserciti e la sua mili-zia, fabricando di nuovo numero grandissimo di legni efacendo molte provisioni necessarie alla guerra, si teme-va pensasse di assaltare, quando fusse preparato, chi di-ceva Rodi, propugnacolo de’ cristiani nelle parti del-l’Oriente, chi diceva il regno d’Ungheria, già per la fero-cia degli abitatori temuto da’ turchi ma in questo tempoindebolito per essere in mano d’uno re pupillo, governa-to da’ prelati e da’ baroni del regno discordanti tra loromedesimi. Altri affermavano essere i suoi pensieri voltitutti a Italia; come se ad assaltarla gli desse audacia ladiscordia de’ prìncipi e il sapere quanto fusse lacerata dalunghe guerre, e lo incitasse la memoria di Maumeth suoavolo che, con potenza molto minore e con piccola ar-mata mandata nel regno di Napoli, aveva con assaltoimproviso espugnata la città d’Otranto, e apertasi, se nongli fusse sopravenuta la morte, una porta e stabilita unasedia da vessare continuamente gli italiani.

Però il pontefice insieme con tutta la corte romana spa-ventato da tanto successo, e dimostrando, per provedere asì grave pericolo, volere prima ricorrere agli aiuti divini,fece celebrare per Roma devotissime supplicazioni, allequali andò egli co’ piedi nudi; e dipoi voltatosi a pensare e

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a trattare degli aiuti umani scrisse brevi a tutti i prìncipicristiani, ammonendogli di tanto pericolo e confortando-gli che, deposte le discordie e contenzioni, volessino pron-tamente attendere alla difesa della religione e della salutecomune, la quale stava continuamente sottoposta a gravis-simi pericoli se con gli animi e con le forze unite di tuttinon si trasferisse la guerra nello imperio del turco eassaltassesi lo inimico nella casa propria. Sopra la qualecosa essendo stati esaminati molti pareri d’uomini militarie di persone perite de’ paesi, della disposizione delle pro-vincie e delle forze e armi di quello imperio, si risolvevaessere necessario che, fatta grossissima provisione di da-nari con la contribuzione volontaria de’ prìncipi e conimposizione universale a tutti i popoli cristiani, Cesareaccompagnato dalla cavalleria degli ungheri e de’ polloni,nazioni bellicose ed esercitate in continue guerre controa’ turchi, e con uno esercito, quale si convenisse a tantaimpresa, di cavalli e di fanti tedeschi, navigasse per il Da-nubio nella Bossina (dicevasi anticamente Misia) per an-dare di quivi in Tracia e accostarsi a Costantinopoli sediadello imperio degli ottomanni; che il re di Francia, contutte le forze del regno suo, de’ viniziani e degli altri d’Ita-lia, accompagnato dal peditato de’ svizzeri, passasse dalporto di Brindisi in Albania, passaggio facile e brevissimo,per assaltare la Grecia piena di abitatori cristiani, e perquesto e per la acerbità dello imperio de’ turchi dispostis-

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sima a ribellarsi; che i re di Spagna di Portogallo e d’In-ghilterra, congiunte l’armate loro a Cartagenia e ne’ portivicini, si dirizzassino con dugento navi piene di fantispagnuoli e d’altri soldati allo stretto di Galipoli, per as-saltare, espugnati che fussino i Dardanuli (altrimenti lecastella poste in su la bocca dello stretto), Gostantinopoli:al quale cammino navigasse medesimamente il pontefice,movendosi da Ancona, con cento navi rostrate. Co’ qualiapparati essendo coperta la terra e il mare, e assaltato datante parti lo stato de’ turchi, i quali fanno principalmenteil fondamento di difendersi alla campagna, pareva, aggiuntomassimamente l’aiutorio divino, potersi sperare di guerratanto pietosa felicissimo fine. Queste cose per trattare, oalmanco per non potere essere imputato di mancare alloofficio pontificale, Lione, tentati prima gli animi de’prìncipi, publicò in concistorio tregue universali per cin-que anni tra tutti i potentati cristiani, sotto pena di gravis-sime censure a chi contravenisse; e perché fussino accetta-te, e trattate le cose appartenenti a tanta impresa, le qualianche consultava continuamente con gli oratori de’ prìncipi,destinò legati il cardinale di Santo Sisto a Cesare, quellodi Santa Maria in Portico al re di Francia, il cardinaleEgidio al re di Spagna e Lorenzo cardinale Campeggio alre d’Inghilterra; cardinali tutti di autorità, o per esperienzadi faccende o per opinione di dottrina o per essereintrinsechi al pontefice. Le quali cose benché cominciate

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con grande espettazione, e ancora che la tregua universalefusse stata accettata da tutti, e che tutti contro a’ turchi,con ostentazione e magnificenza di parole, si dimostrassino,se gli altri concorrevano, di essere pronti con tutte le forzeloro a causa tanto giusta, nondimeno, essendo reputato datutti il pericolo incerto e molto lontano, e appartenentepiù agli stati dell’uno che dell’altro, ed essendo moltodifficile e che ricercava tempo lungo l’introdurre uno ar-dore e una unione tanto universale, prevalevano i privatiinteressi e comodità: in modo che queste pratiche non solonon si condusseno a speranza alcuna ma non si trattoronose non leggiermente e quasi per cerimonia: essendo anchenaturale degli uomini che le cose che ne’ princìpi si rap-presentano molto spaventose si vadino di giorno in giornoin modo diminuendo e cancellando che, non sopravenendonuovi accidenti che rinfreschino il terrore, se ne rendino inprogresso di non molto tempo gli uomini quasi sicuri. Laquale negligenza alle cose publiche, e affezione immode-rata alle particolari, confermò più la morte che succedette,non molto poi, di Salim: il quale, avendo per lunga infer-mità sospesi gli apparati della guerra, consumato final-mente da quella, passò all’altra vita, lasciato tanto imperioa Solimanno suo figliuolo; giovane di età ma riputato diingegno più mansueto e di animo, benché gli effettidimostrorono poi altrimenti, non acceso alla guerra.

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CAPITOLO X

Manifestazioni di cordialità fra il pontefice e il re diFrancia. Proroga della tregua dei veneziani con Cesa-re. Lega e parentado fra i re di Francia e d’Inghilterra.Conferma della pace fra i re di Francia e di Spagna.Morte di Gianiacopo da Triulzi; giudizio dell’autore.

Nel quale tempo tra il pontefice e il re di Francia sidimostrava grandissima congiunzione. Perché il re detteper moglie a Lorenzo suo nipote la damigella di Bolo-gna, nata di sangue molto nobile, e con entrata di scudidiecimila, parte donatagli dal re parte appartenenteglidel patrimonio suo; ed essendo nato al re uno figliuolomaschio, richiese il pontefice che lo facesse tenere albattesimo in nome suo. Per la quale cagione Lorenzo,che si ordinava per andare a sposare la nuova moglie,accelerando l’andata, si condusse in poste; dove fu mol-to carezzato e onorato dal re; al quale egli dimostrandodi darsi tutto, e promettendo di seguitare in ogni caso lasua fortuna, acquistò molto della sua grazia. Portò al reuno breve del pontefice per il quale gli concedeva che,

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insino a tanto che i danari riscossi della decima e dellacrociata non si avessino a spendere contro a’ turchi, po-tesse spendergli ad arbitrio suo, promettendo restituirgliogni volta che allo effetto per che era stata posta ne fussedi bisogno; convertendone però in uso di Lorenzo scudicinquantamila: e il re, che insino a quel dì aveva dissimu-lato il non eseguire il pontefice la promessa, fattagli perbreve, della restituzione di Modena e di Reggio, ancorache fusse passato il termine de’ sette mesi, conoscendonon potere fare al pontefice cosa più molesta che fargliinstanza di questa restituzione, e tenendo, come spessoaccade, più conto de’ maggiori che de’ minori, rimesse inmano di Lorenzo il breve della promessa.

Prorogorono anche, quasi nel tempo medesimo, i vinizianiper mezzo del re di Francia, la tregua loro con Cesare percinque anni, con condizione gli pagassino, ciascuno de’cinque anni, scudi ventimila; e nella quale era espressoche ciascuno anno pagassino a’ fuorusciti delle terre loro,i quali avevano seguitato Cesare, il quarto delle entratede’ beni che prima possedevano; tassando pagassino perquesta causa ducati cinquemila. E si sarebbe Cesare in-dotto per avventura, se gli avessino dato maggiore sommadi danari, a fare la pace; ma al re era più grata la treguaperché i viniziani, non assicurati del tutto, avessino mag-giore cagione di tenere cara la sua amicizia, e perché aCesare non fusse data facoltà di fare co’ danari che avesseda loro qualche innovazione.

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E dirizzandosi le cose da ogni banda a concordia, sicomposono anche le differenze tra il re di Francia e d’In-ghilterra, confermandole, acciocché la convenzione fussepiù stabile, con nuovo parentado; perché il re d’Inghil-terra promesse dare la figliuola sua unica (alla quale,non avendo altri figliuoli, si sperava doversi appartenerela successione del regno) al delfino figliuolo primogeni-to del re di Francia, con ducati quattrocentomila di dota;l’uno e l’altra di età sì tenera che infiniti accidenti pote-vano nascere innanzi che, per l’abilità della età, si potes-se stabilire il matrimonio. Fu fatta lega difensiva tra loro,nominandovi per contraenti principali Cesare e il re diSpagna in caso ratificassino infra certo tempo: e il re d’In-ghilterra si obligò a restituire Tornai, la guardia del qualegli era di spesa molto grave, ricevendo da lui di presenteper le spese fatte ducati dugento sessantamila;trecentomila ne confessasse d’avere ricevuti per la dotadella nuora, e pagandone trecentomila altri in tempo didodici anni; promettendo eziando di rendergli indietroTornai se la pace e il parentado non seguitasse. Per laquale lega e parentado essendo andati da l’una parte al’altra imbasciadori a ricevere le ratificazioni e i giura-menti, furono espediti questi atti nell’una e nell’altracorte con grandissima solennità e cerimonia, e stabilitoche i due re si abboccassino insieme tra Calès e Bologna,né molto poi fatta la restituzione di Tornai.

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Nel medesimo tempo, essendo morta la figliuola del redi Francia destinata a essere sposa del re di Spagna, furiconfermata tra loro la pace e prima capitolazione, conla promessa del matrimonio della seconda figliuola; ce-lebrando l’uno e l’altro principe questa congiunzionecon grandissime dimostrazioni estrinseche di benivolenza:il re di Spagna, che aveva già fattogli pagare in Lione icentomila ducati, portò publicamente l’ordine di SanMichele il dì della sua festività; e il re di Francia, il dìdedicato a santo Andrea, portò publicamente l’ordinedel tosone.

Così stando quiete le cose d’Italia e d’oltre a’ monti,solo Gianiacopo da Triulzi travagliava, non gli giovandoné la età ridotta quasi a ultima vecchiezza né la virtùesperimentata tante volte in servigio della casa di Fran-cia. Perché, dandone forse cagione in qualche parte l’am-bizione e la inquietudine sua, essendo combattuto da’sottili umori degli emoli suoi e perseguitato in molte coseda Lautrech, era stato fatto sospetto al re che egli e lacasa sua, per l’interesse della fazione guelfa e per antichiintrattenimenti, fusse troppo accetto a’ viniziani, dellegenti de’ quali era governatore Teodoro da Triulzi, e cheavevano nuovamente soldato Renato della medesima fa-miglia: però il re, essendo dopo la morte di FrancescoBernardino Visconte rimasto capo della fazione ghibellinaGaleazzo Visconte, per opporlo al Triulzio con maggiore

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autorità gli aveva dato l’ordine di San Michele, costitui-to pensione, ed egli e Lautrech in ogni occasione gli dava-no riputazione; le quali cose non passando senza depres-sione del Triulzio, male paziente a dissimulare e che silamentava frequentemente, diventava ogni dì più esoso epiù sospetto. Ma dette occasione a Lautrech e agli altri,che lo calunniavano appresso al re, l’essersi fatto borghe-se de’ svizzeri, come se e’ volesse per mezzo loro averepatrocinio contro al re e forse aspirasse a maggiori pensie-ri: delle quali calunnie essendo, così vecchio come era,andato in Francia a giustificarsi, non solo Lautrech, comeegli fu partito, per ordinazione avuta dal re, ritenne aVigevano con onesta custodia la moglie e il nipote natodel conte di Musocco suo unico figliuolo già morto, maeziandio dal re non fu raccolto né con benignità né conl’onore solito; anzi riprendendolo di essersi fatto svizzero,gli disse che da punirlo, secondo sarebbe stato convenien-te, non lo riteneva altro che la fama divulgata per tutto, masopra la verità, de’ meriti suoi verso la corona di Francia.Fu necessitato ritrattare quello che aveva fatto; e pochi dìpoi, seguitando la corte, ammalato a Ciartres, passò all’al-tro secolo. Uomo a giudizio di tutti (come avevano confer-mato molte esperienze) di valore grande nella disciplinamilitare, e sottoposto per tutta la vita alla incostanza del-la fortuna, che ora lo abbracciava con prosperi successiora lo esagitava con avversi; e a chi meritamente si con-

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venisse quello che, per ordine suo, fu inscritto nel suosepolcro: riposarsi in quello sepolcro Gianiacopo daTriulzi, che innanzi non si era mai riposato.

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CAPITOLO XI

Desiderio di Cesare che venga designato un suo ni-pote a re dei romani; sue preferenze per Ferdinando, epreferenze dei suoi consiglieri per Carlo. Azione del redi Francia contraria all’incoronazione imperiale diCesare. Morte di Cesare; giudizio dell’autore.

In questo anno medesimo Cesare, desideroso di stabili-re la successione dello imperio romano, dopo la morte,in uno de’ nipoti, trattava con gli elettori di farne elegge-re uno in re de’ romani; la quale degnità chi ha consegui-to succede immediatamente senza altra elezione oconfermazione, morto lo imperadore, allo imperio: e per-ché a questa elezione non si può pervenire insino a tantoche chi è stato eletto allo imperio non ha ottenuto lacorona imperiale, faceva instanza col pontefice che conesempio nuovo lo facesse, per mano di alcuni cardinalideputati legati apostolici a questo atto, incoronare inGermania. E benché Cesare avesse prima desiderato chequesta degnità fusse conferita a Ferdinando suo nipote,parendogli conveniente che, poiché al fratello maggiore

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erano concorsi tanti stati e tanta grandezza, egli sisostentasse con questo grado, e giudicando, che per man-tenere più illustre la casa sua e per tutti i casi sinistri chenella persona del maggiore potessino succedere, esseremeglio avervi due persone grandi che una sola; nondime-no, stimolato in contrario da molti de’ suoi e dal cardina-le sedunense, e da tutti quegli i quali temevano e odiava-no la potenza de’ franzesi, rifiutato il primo consiglio,voltò l’animo a fare opera che a questa degnità fusseassunto il re di Spagna: dimostrandogli questi tali esseremolto più utile alla esaltazione della casa di Austria ac-cumulare tutta la potenza in uno solo che, dividendolain più parti, fargli manco potenti a conseguitare i disegniloro. Essere tanti e tali i fondamenti della grandezza diCarlo che, aggiugnendosegli la degnità imperiale, si po-tesse sperare che avesse a ridurre Italia tutta e grandeparte della cristianità in una monarchia; cosa non soloappartenente alla grandezza de’ suoi discendenti ma an-cora alla quiete de’ sudditi e, per rispetto delle cose degliinfedeli, a beneficio di tutta la republica cristiana. Edessere ufficio e debito suo pensare allo augumento e allaesaltazione della degnità imperiale, stata tanti anni nellapersona sua e nella famiglia di Austria; la quale, insino aquello dì, stata per la impotenza sua e de’ suoi antecessorimaggiore in titolo e in nome che in sostanza e in effetti,non si poteva sperare aversi a sollevare né ritornare al

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pristino splendore se non trasferendosi nella persona diCarlo e congiugnendosi alla sua potenza: la quale occa-sione, portatagli dall’ordine della natura e della fortuna,non essere ufficio suo di impedire anzi di augumentare.Vedersi per gli esempli degli antichi imperadori, GiulioCesare, Augusto e molti de’ suoi successori, che man-cando di figliuoli e di persone della medesima stirpe,gelosi che non [si] spegnesse o diminuisse la degnitàriseduta nella persona loro, avere cercato successori, re-moti di congiunzione o non attenenti eziandio in partealcuna per mezzo delle adozioni; ed essere fresco l’esem-pio del re cattolico, che amando come figliuoloFerdinando, allevato continuamente appresso a lui, néavendo non che altro mai veduto Carlo, anzi provatolonella sua ultima età poco ubbidiente a’ precetti suoi,nondimeno, non avuta compassione della povertà di quel-lo che amava come figliuolo, non gli aveva fatto partealcuna di tanti stati suoi, né di quegli eziandio che peressere acquistati da lui proprio era in facoltà sua di di-sporre, anzi avere lasciato tutto a quello che quasi nonconosceva se non per strano. Ricordarsi Cesare il mede-simo re averlo sempre confortato ad acquistare aFerdinando stati nuovi ma a lasciare la degnità imperialea Carlo; ed essersi veduto che per fare maggiore la gran-dezza del successore aveva, forse con consiglio dannatoda molti e per avventura ingiusto ma non mosso da altra

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cagione che da questo, spogliato del regno d’Aragona ilcasato suo proprio tanto nobile e tanto illustre, e con-sentito, contro al desiderio comune della maggiore partedegli uomini, che il nome della casa sua si spegnesse e siannichilasse.

A questa instanza di Cesare si opponeva con ogni artee industria il re di Francia, essendogli molestissimo che atanti regni e stati del re di Spagna si aggiugnesse ancoral’autorità imperiale, che ripigliando vigore da tanta po-tenza diventerebbe formidabile a ciascuno: però cercan-do di disturbarla occultamente appresso agli elettori, fa-ceva instanza col pontefice che non consentisse di man-dare, con esempio nuovo, a Cesare la corona; e a’ vinizianiaveva mandato imbasciadori perché si unissino seco afare opposizione: ammonendo e il pontefice e loro delpericolo porterebbono di tanta grandezza. Nondimeno,e già gli elettori erano in grande parte tirati nella senten-za di Cesare, e già quasi assicurati de’ danari che perquesta elezione si promettevano loro dal re di Spagna, ilquale avea mandato per questo dugentomila ducati nellaAlamagna, non potendo anche con onestà, né forse sen-za pericolo di scandolo, avuto rispetto agli esempli pas-sati, denegare questa petizione; né si credeva che il pon-tefice, ancora che gli fusse molestissimo, recusasse diconcedere che per mano di legati apostolici Cesare rice-vesse in Germania in suo nome la corona dello imperio,

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con ciò sia che lo andare a incoronarsi a Roma, se benecon maggiore autorità della sedia apostolica, fusse perogn’altro rispetto più presto cerimonia che sostanzialità.

Con questi pensieri e con queste azioni si consumòl’anno mille cinquecento diciotto, non essendo ancorafatta la deliberazione dagli elettori; la quale, per nuovoaccidente, diventò più dubbia e più difficile: per la mortedi Cesare, succeduta ne’ primi dì dell’anno mille cinque-cento diciannove. Morì a Linz, terra posta ne’ confinidell’Austria, intento come sempre alle caccie delle fiere;e con la medesima fortuna con la quale era vivuto quasisempre; e la quale, statagli benignissima in offerirgli gran-dissime occasioni, non so se gli fusse parimente avversain non gliene lasciare conseguire, o se pure quello cheinsino alla casa propria gli era portato dalla fortuna ne loprivasse la incostanza sua, e i concetti male moderati edifferenti spesso dai giudìci degli altri uomini, congiuntiancora con smisurata prodigalità e dissipazione di dana-ri; le quali cose gli interroppono tutti i successi e l’occa-sioni. Principe, altrimenti, peritissimo della guerra, dili-gente secreto laboriosissimo, clemente benigno e pienodi molte egregie doti e ornamenti.

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CAPITOLO XII

Aspirazione del re di Francia e del re di Spagna al-l’impero. Speranze dell’uno e dell’altro sovrano. Pre-occupazioni e prudenza del pontefice. Allestimento diarmate da parte dei due re e simulazione d’amicizia.Morte di Lorenzo de’ Medici; il ducato d’Urbino passaalla sedia apostolica.

Morto Massimiliano, cominciorno ad aspirare alloimperio apertamente il re di Francia e il re di Spagna: laquale controversia, benché fusse di cosa sì importante etra prìncipi di tanta grandezza, nondimeno fu esercitatatra loro modestamente, non procedendo né a contumeliedi parole né a minaccie d’armi ma ingegnandosi ciascu-no, con l’autorità e mezzi suoi, tirare a sé gli animi deglielettori. Anzi il re di Francia, molto laudabilmente, par-lando sopra questa elezione con gli imbasciadori del redi Spagna, disse essere commendabile che ciascuno diloro cercasse onestamente di ornarsi dello splendore ditanta degnità, la quale in diversi tempi era stata nellecase delle persone e degli antecessori loro; ma non per

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questo doverselo l’uno di loro ripigliare dall’altro peringiuria, né diminuirsi per questo la benivolenza e con-giunzione, anzi dovere seguitare lo esempio che qualchevolta si vede di due giovani amanti che, benché aminouna dama medesima e si sforzi ciascuno di loro, con ogniarte e industria possibile, di ottenerla, non per questovengono tra loro a contenzione.

Pareva al re di Spagna appartenersegli lo imperiodebitamente per essere continuato molti anni nella casadi Austria, né essere stato costume degli elettori privarnei discendenti del morto senza evidente cagione della ina-bilità loro. Non era alcuno in Germania di tanta autoritàe potenza che avesse a competere seco in questa elezio-ne, né gli pareva giusto o verisimile che gli elettori avessinoa trasferire in uno principe forestiero tanta degnità conti-nuata già molti secoli nella nazione germanica; e quandoalcuno, corrotto con danari o per altra cagione, fusse diintenzione diversa, sperava e di spaventargli con le armipreparate in tempo opportuno e che gli altri elettori se gliopporrebbono, e almanco che tutti gli altri prìncipi el’altre terre franche di Germania non tollererebbono tantainfamia e ignominia di tutti, e massime trattandosi di tra-sferirla nella persona d’uno re di Francia, con accrescerela potenza d’uno re inimico alla loro nazione e donde sipoteva tenere per certo che quella degnità non ritorne-rebbe mai in Germania. Stimava facile ottenere la perfe-

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zione di quello che era già stato trattato collo avolo,essendo già convenuto de’ premi e de’ donativi con cia-scuno degli elettori. Da altra parte non era minore né lacupidità né la speranza del re di Francia, fondata princi-palmente in sulla credenza dello acquistare con grandis-sima somma di danari i voti degli elettori; de’ quali alcu-ni, congiunti seco per antica amicizia e intrattenimento,mostrandogli la facilità della cosa, lo incitavano a farneimpresa: la quale speranza (come sono pronti gli uominia persuadersi quello che desiderano) nutriva con ragionipiù presto apparenti che vere. Perché sapeva che ordina-riamente a’ prìncipi di Germania era molesto chegl’imperadori fussino molto potenti, per il sospetto chenon volessino in tutto o in qualche parte riconoscere legiurisdizioni e autorità imperiali occupate da molti; e peròsi persuadeva che in modo alcuno non fussino per con-sentire alla elezione del re di Spagna, sottomettendosi dase medesimi a uno imperadore più potente che dallamemoria degli antichi in qua fusse stato imperadore al-cuno, cosa che non pareva al tutto simile in lui, perchénon avendo stati né aderenze antiche in Germania nonpotevano avere tanto sospetta la sua grandezza: per laquale ragione, comune similmente alle terre franche, sti-mava non solo contrapesarsi ma opprimersi il rispettodella gloria della nazione, come sogliono comunementepotere più negli uomini senza comparazione gli stimoli

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dello interesse proprio che il rispetto del beneficio co-mune. Eragli noto essere molestissimo a molte case illu-stri in Germania, che pretendevano essere capaci di quel-la degnità, che lo imperio fusse continuato tanti anni inuna casa medesima, e che quello che oggi a l’una domania l’altra dovevano dare per elezione fusse cominciato,quasi per successione, a perpetuarsi in una stirpe medesi-ma; e potersi chiamare successione quella elezione chenon ardiva discostarsi da’ più prossimi della stirpe degliimperadori: così da Alberto d’Austria essere passato loimperio in Federigo suo fratello, da Federigo inMassimiliano suo figliuolo, e ora trattarsi di trasferirloda Massimiliano nella persona di Carlo suo nipote. I qualiumori e indegnazioni de’ prìncipi di Germania gli dava-no speranza che le discordie ed emulazioni tra loro me-desimi potessino aiutare la causa sua, accadendo spessonelle contenzioni che chi vede escluso sé, o chi è favori-to da sé, si precipiti, posposti tutti i rispetti, più presto aqualunque terzo che cedere a chi è stato opposito allasua intenzione. Sperò oltre a questo il re di Francia nelfavore del pontefice, così per la congiunzione ebenivolenza che gli pareva avere contratta seco comeperché non credeva che a lui potesse piacere che Carlo,principe di tanta potenza e che, contiguo col regno diNapoli allo stato della Chiesa, aveva per l’aderenza de’baroni ghibellini aperto il passo insino alle porte di Roma,

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conseguisse anche la corona dello imperio; non conside-rando che questa ragione, verissima contro a Carlo, mili-tava ancora contro a lui: perché e al pontefice e a ciascu-no altro non aveva a essere manco formidoloso lo imperiocongiunto in lui che in Carlo; con ciò sia che se l’uno diloro possedeva forse più regni e più stati, l’altro non erada stimare manco, perché non aveva sparsa e divulsa invari luoghi la sua potenza ma il regno tutto raccolto eunito insieme, con ubbidienza maravigliosa de’ popolisuoi e pieno di grandissime ricchezze. Nondimeno, nonconoscendo in sé quello che facilmente considerava inaltri, ricorse al pontefice supplicandolo volesse darglifavore, perché di sé e de’ regni suoi si potrebbe valerecome di proprio figliuolo.

Premeva grandissimamente il pontefice la causa di que-sta elezione, essendogli molestissimo, per la sicurtà dellasedia apostolica e del resto di Italia, qualunque de’ duere fusse assunto allo imperio; né essendo tale l’autoritàsua appresso agli elettori che sperasse con quella poteregiovare molto, giudicò essere necessario adoperare in cosadi tanto momento la prudenza e le arti. Persuadevasi cheil re di Francia, ingannato da qualcuno degli elettori,non avesse parte alcuna in questa elezione; né avere,benché in uomini venali, a potere tanto le corruttele cheavessino sì disonestamente a trasferire lo imperio dallanazione germanica nel re di Francia. Parevagli che al re

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di Spagna, per essere della medesima nazione, per le pra-tiche cominciate da Massimiliano e per molti altri rispet-ti, fusse molto facile conseguire lo intento suo, se non segli faceva opposizione molto potente; la quale giudicavanon potere farsi in altro modo se non che il re di Franciasi disponesse a voltare in uno degli elettori quelli mede-simi favori e danari che usava per eleggere sé. Parevagliimpossibile indurre il re a questo mentre che era nel fer-vore delle speranze vane; però sperava che quanto piùardentemente e con più speranza si ingolfasse in questapratica tanto più facilmente, quando cominciasse ad ac-corgersi riuscirgli vani i pensieri suoi, trovandosi già sco-perto e irritato, e in su la gara, aversi a precipitare a favo-rire la elezione d’uno terzo con non minore ardore cheavesse favorito quella di se medesimo; e potere in questotempo, acquistata che avesse fede col re di essergli favo-revole e d’avere desiderato quel medesimo che lui, esse-re udita l’autorità e il consiglio suo; e potere similmenteaccadere, favorendosi gagliardamente ne’ princìpi le cosedel re di Francia, che l’altro re, veduto difficultarsi ildesiderio suo e dubitando che il re avversario non vi avessequalche parte, si precipitasse medesimamente a uno ter-zo. Però non solo dimostrò al re di Francia di avere som-mo desiderio che in lui pervenisse lo imperio, ma lo con-fortò con molte ragioni a procedere vivamente in questaimpresa, promettendogli amplissimamente di favorirlo con

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tutta la autorità del pontificato. Né parendogli poterefare maggiore impressione, che questa fusse la sua inten-zione, che usare in questa azione uno instrumento il qua-le il re di Francia giudicasse dependere più da sé che daaltri, destinò subitamente nunzio suo in Germania RubertoOrsino arcivescovo di Reggio, persona confidente al re:con commissione che, e da per sé e insieme con gli agentiche vi erano per il re, favorisse quanto poteva appressoagli elettori la sua intenzione: avvertendolo perciò a pro-cedere o con maggiore o con minore moderazione secon-do che in Germania trovasse la disposizione degli eletto-ri e lo stato delle cose. Le quali azioni, discorse dal pon-tefice prudentemente e coperte con somma simulazione,arebbono avuto bisogno che nel re di Francia e ne’ mini-stri suoi che erano in Germania fusse stata maggiore pru-denza, e ne’ ministri del pontefice maggiore gravità emaggiore fede.

Ma mentre che queste cose si trattano con le pratiche enon con le armi, il re di Francia ordinò che Pietro Navarrauscisse in mare con una armata di venti galee e di altrilegni e con quattromila fanti pagati, sotto nome di repri-mere le fuste de’ mori (le quali avendo già molti anniscorso senza ostacolo i nostri mari scorrevano in questoanno medesimo più che mai) e di assaltare, se così pares-se al pontefice, i mori di Africa; ma principalmente per-ché il pontefice, scopertosi totalmente per lui nella cau-

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sa dello imperio, non avesse causa di temere delle forzedel re cattolico; il quale, più per timore che aveva diessere offeso che per desiderio che avesse di offenderealtri, preparava sollecitamente una armata per mandarlaalla custodia del reame di Napoli. E nondimeno, in que-ste diffidenze e sospetti, continuandosi tra l’uno e l’altrore nella simulazione di amicizia, si convennono in nomeloro a Mompolieri il gran maestro di Francia e monsi-gnore di Ceures, in ciascuno de’ quali consisteva quasitutto il consiglio e l’animo del suo re, per trattare sopralo stabilimento del matrimonio della seconda figliuoladel re di Francia col re di Spagna; e molto più per risol-vere le cose del reame di Navarra, la restituzione delquale all’antico re, promessa nella concordia fatta aNoion, benché molto sollecitata dal re di Francia, erastata insino a quel dì differita dal re di Spagna con varieescusazioni: ma la morte del gran maestro, succeduta in-nanzi parlassino insieme, interroppe la speranza di que-sta andata.

Morì in questo tempo Lorenzo de’ Medici, oppressatoda infermità quasi continua da poi che, consumato coninfelici auspici il matrimonio, era ritornato di Francia;perché, e pochissimi dì innanzi alla morte sua la moglie,avendo partorito, gli aveva morendo preparata la strada.Per la morte di Lorenzo, il pontefice, desideroso di tene-re congiunta, mentre viveva, la potenza de’ fiorentini a

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quella della Chiesa, disprezzati i consigli di alcuni che loconsigliavano che, non restando più, eccetto lui, alcunode’ discendenti legittimi per linea mascolina di Cosimode’ Medici fondatore di quella grandezza, restituisse allasua patria la libertà, propose il cardinale de’ Medici allaamministrazione di quello stato; o per desiderio di per-petuare il nome della sua casa o per odio, causato perl’esilio, contro al nome della republica. E pensando cheil ducato di Urbino si potesse difficilmente, per l’amorede’ popoli all’antico duca, tenere sotto nome della fi-gliuola restata unica di Lorenzo compresa nella investi-tura paterna, lo restituì insieme con Pesero e Sinigagliaalla sedia apostolica: né parendogli che questo bastasse araffrenare l’ardore de’ popoli, fece gittare in terra le muradella città di Urbino e degli altri luoghi principali delducato, eccetto di Agobbio, alla quale città, per non es-sere, per la emulazione che aveva con la città di Urbino,tanto inclinata con l’animo a Francesco Maria, voltò fa-vore e riputazione, costituendola come capo di quelloducato. Il quale per indebolire tanto più, dette a’ fioren-tini, in pagamento de’ danari spesi per lui nella guerrad’Urbino, de’ quali gli aveva fatti prima creditori in ca-mera apostolica, la fortezza di Santo Leo con tutto ilMontefeltro e il pivieri di Sestina, che soleva essere terri-torio di Cesena: contentandosi poco i fiorentini di questasodisfazione ma non potendo opporsi alla sua volontà.

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CAPITOLO XIII

Sforzi del re di Francia per guadagnarsi il favoredegli elettori dell’impero, e inclinazione dei popoli diGermania contraria a un sovrano straniero. Ancoradell’atteggiamento del pontefice. Elezione a imperato-re del re di Spagna. Impressione per l’elezione di Car-lo; ragioni di dissensi col re di Francia.

Restava la controversia dello imperio, con grandissimasospensione di tutta la cristianità, proseguita da l’uno el’altro re con maggiore caldezza che mai: nella quale il redi Francia si ingannava ogni dì più, indotto dalle promes-se grandi del marchese di Brandiborg, uno degli elettori;il quale, avendo ricevuto da lui offerte grandissime didanari, e forse qualche somma di presente, si era nonsolo obligato, con occulte capitolazioni, a dargli il votosuo ma promesso che l’arcivescovo di Magunza suo fra-tello, uno de’ tre prelati elettori, farebbe il medesimo.Promettevasi eziandio il re molto di un’altra parte deglielettori, e sperava, in caso che i voti fussino pari, nel votodel re di Boemia; per il voto del quale, discordando i sei

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elettori (che tre ne sono prelati, tre prìncipi) si decide lacontroversia: però mandò allo ammiraglio, il quale eraandato prima per queste cose in Germania, quantità gran-dissima di danari per dare agli elettori. E intendendo chemolte delle terre franche insieme col duca di Vertimbergh,minacciando chi volesse trasferire lo imperio in forestie-ri, congregavano molte genti, faceva provisione di altridanari per opporsi con le armi a chi volesse impedire chegli elettori non lo eleggessino. Ma era grande la inclina-zione de’ popoli di Germania perché la degnità imperialenon si rimovesse di quella nazione, anzi, insino a’ svizze-ri, mossi dallo amore della patria comune germanica,avevano supplicato il pontefice che non favorisse a que-sta elezione alcuno che non fusse di lingua tedesca. Ilquale, perseverando nondimeno nel favorire il re di Fran-cia, aveva, sotto pretesto della bolla delle tregue quin-quennali, publicata l’anno precedente, ammonito perbrevi il duca di Vertimbergh e molte delle terre francheche desistessino dall’armi; sperando pure che, dimostran-dosi così ardente per lui, il re avesse a udire con maggio-re fede i consigli suoi, co’ quali alla fine si sforzò dipersuadergli che, deposta la speranza d’avere a essereeletto lui, procurasse con quella instanza medesima laelezione di qualunque altro de’ prìncipi di Germania:consiglio dato senza alcuno frutto, perché l’ammiraglioe Ruberto Orsino, ingannati dalle promesse di quegli che

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per trarre danari di mano de’ franzesi davano certissimeintenzioni, e occupati dalla passione, l’uno per essere diingegno franzese e ministro del re, l’altro di naturaleggiero e desideroso di acquistare la grazia sua, lo con-fermavano con avvisi vani, ogni dì più, nella speranza diottenere. Con le quali pratiche essendosi condotti, se-condo l’uso antico a Franchefort, terra della Germaniainferiore, quegli a’ quali, non per più antica consuetudi-ne o fondata ragione ma per concessione di Gregorio[quinto] pontefice romano di nazione tedesco, appartie-ne la facoltà di eleggere lo imperadore romano, mentreche stanno in varie dispute per venire, al tempo debito,secondo gli ordini loro, alla elezione, uno esercito messoin campagna per ordine del re di Spagna, il quale fu piùpronto a spendere i danari in raccorre gente che a dargliagli elettori, avvicinatosi a Francofort sotto nome di proi-bire chi procurasse di violentare la elezione, accrebbel’animo agli elettori che favorivano la causa sua, tirò nel-la sentenza degli altri quegli che erano dubbi, e spaventòil brandiburgense, inclinato al re di Francia, talmenteche disperato che a questo concorressino gli altri eletto-ri, e volendo fuggire l’odio e la infamia appresso di tuttala nazione, non ebbe ardire di scoprire la sua intenzione:in modo che, venendosi allo atto della elezione, fu elet-to, il dì vigesimo ottavo di giugno, imperadore Carlo d’Au-stria re di Spagna da’ voti concordi di quattro elettori,

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l’arcivescovo di Magunza e quello di Cologna, dal contepalatino e dal duca di Sassonia. Ma l’arcivescovo diTreveri elesse il marchese di Brandiborg, il quale con-corse anche egli alla elezione di se stesso. Né si dubitache se, per la egualità de’ voti, la elezione fusse pervenu-ta alla gratificazione del settimo elettore, che sarebbesucceduto il medesimo; perché Lodovico re di Boemia,il quale era anche re di Ungheria, aveva promesso a Car-lo il voto suo.

Depresse questa elezione molto l’animo del re di Fran-cia e di quegli che in Italia dependevano da lui, e percontrario inanimì molto chi aveva speranze o pensiericontrari, vedendo congiunta tanta potenza in uno princi-pe solo, giovane, e al quale si sentiva per molti vaticiniessere promesso grandissimo imperio e stupenda felicità;e se bene non fusse copioso di danari quanto era il re diFrancia, nondimeno era tenuto di grandissima importan-za il potere empiere gli eserciti suoi di fanteria tedesca espagnuola, fanteria di molta estimazione e valore: cosache per il contrario accadeva al re di Francia, perché nonavendo nel regno suo fanti da opporre a questi non pote-va implicarsi in guerre potenti, se non cavando, con gran-dissima spesa e qualche volta con grandissima difficoltà,fanteria di paesi forestieri; la quale cosa lo necessitava aintrattenere con grande spesa e diligenza i svizzeri, tolle-rare da loro molte ingiurie, e nondimeno non essere mai

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totalmente sicuro né della loro costanza né della lorofede. Né si dubitava che tra’ due prìncipi, giovani, e tra’quali erano molte cause di emulazione e di contenzione,avesse finalmente a nascere gravissima guerra. Perché nelre dì Francia risedeva il desiderio di recuperare il regnodi Napoli, pretendendo avervi giusto titolo: eragli a cuo-re la reintegrazione del re don Giovanni al regno diNavarra, della quale comprendeva oramai essergli statedate vane speranze: molesto era a Cesare il pagamentode’ centomila ducati promessi nello accordo di Noion; egli pareva che il re, sprezzato l’accordo prima fatto aParigi, usando immoderatamente la occasione dello es-sere egli necessitato a passare in Spagna, l’avesse quasiper forza costretto a fare concordia nuova: era semprefresca tra loro la causa del duca di Ghelleri, la qualesola, per averne il re di Francia la protezione, e lo statodi Fiandra riputarlo inimicissimo, poteva essere bastantea eccitargli all’armi. Ma sopratutto generava nell’animodel nuovo Cesare stimoli ardentissimi il ducato diBorgogna, il quale occupato da Luigi undecimo per l’oc-casione della morte di Carlo duca di Borgogna, avolomaterno del padre di Cesare, aveva sempre tormentatol’animo de’ successori. Né mancavano stimoli o cause dicontroversie per cagione del ducato di Milano, del qualenon avendo il presente re, dopo la morte di Luigiduodecimo, ottenuta né dimandata la investitura, e pre-

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tendendosi molte eccezioni alle ragioni che gli nasceva-no della investitura fatta allo antecessore e di invalidità edi perdita di ragioni, era bastante questo a suscitare guer-ra tra loro. Nondimeno, né i tempi né l’opportunità con-sentivano che per allora facessino movimento: perché,oltre che a Cesare era necessario ripassare prima in Ger-mania, per pigliare in Aquisgrana, secondo l’uso deglialtri eletti, la corona dello imperio, si aggiugneva che,essendo ciascuno di loro di tanta potenza, la difficoltàdello offendersi l’uno l’altro gli riteneva dallo assaltarsise prima non intendevano perfettamente la mente e ladisposizione degli altri prìncipi, e specialmente (se si aves-se a fare guerra in Italia) quella del pontefice. La quale,recondita dalle simulazioni e arti sue, non era nota adalcuno e forse talvolta non resoluta in se medesimo: ben-ché, più presto per non avere occasione di negarglienesenza offendere gravemente l’animo suo che per liberavolontà, avesse dispensato Carlo ad accettare la elezionefattagli dello imperio, contro al tenore della investituradel regno di Napoli; nella quale, fatta secondo la formadelle antiche investiture, gli era proibito espressamente.

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CAPITOLO XIV

Aspirazione del pontefice all’acquisto di Ferrara. Ilvescovo di Ventimiglia muove con milizie con il dise-gno occulto di dar l’assalto alla città. Ragione del fal-limento dell’impresa. Scioglimento dell’esercito.

Conservavasi adunque Italia in pace per queste cagio-ni: benché nella fine di questo medesimo anno il ponte-fice tentasse di occupare la città di Ferrara, non con armimanifeste ma con insidie. Perché se bene si fusse credutoche, per la morte di Lorenzo suo nipote, mancando giàalla casa sua più presto uomini che stati, avesse levato ilpensiero dalla occupazione di Ferrara alla quale primaavea sempre aspirato, nondimeno, o stimolato dall’odioconceputo contro a quel duca o dalla cupidità di pareg-giare o almanco approssimarsi quanto più poteva allagloria di Giulio, non aveva, per la morte del fratello e delnipote, rimesso parte alcuna di questo ardore: donde chefacilmente si può comprendere che l’ambizione de’ sa-cerdoti non ha maggiore fomento che da se stessa. Nécomportando la qualità de’ tempi, e il sito e la fortezza di

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quella città, la quale Alfonso con grandissima diligenzaaveva renduta munitissima, che si pensasse a espugnarlacon aperta forza, avendo lui massime quantità quasi infi-nita di bellissime artiglierie e munizioni, e avendo, conlimitare tutte le spese, aggiugnere nuovi dazi e gabelle,fare vive in qualunque modo l’entrate sue e, esercitando-si con la industria, rappresentare in molte cose più ilmercatante che il principe, accumulato, secondo si cre-deva, grandissima quantità di danari, non restava al pon-tefice, se non si mutavano le condizioni de’ tempi, altrasperanza di ottenerla che con occulte insidie e trattati.De’ quali avendone per il passato tentato con Niccolò daEsti e con molti altri vanamente, ed essendosi Alfonso,per non avere notizia che attendesse più a queste prati-che, quasi assicurato non della sua volontà ma delle insi-die, parve al pontefice (per partiti che gli furono propostie per essere Alfonso, oppresso da lunga infermità, ridot-to in termine che quasi si disperava la sua salute, e ilcardinale suo fratello, per non stare con poca grazia nel-la corte di Roma, trovandosi in Ungheria) tempo oppor-tuno di tentare di eseguire qualche disegno che gli eraproposto da alcuni fuorusciti di Ferrara, e per mezzo loroda Alessandro Fregoso vescovo di Ventimiglia, abitanteallora a Bologna perché, aspirando a essere doge comeera stato il cardinale suo padre, era sospetto a OttavianoFregoso; il quale, stato poco felice ne’ trattati che aveva

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fatto per sé per rientrare nella propria patria, promettevapiù prospero successo in quegli che faceva per altri nellepatrie forestiere.

Sotto colore adunque di volere entrare con l’armi inGenova, il vescovo, ricevuti occultamente dal ponteficediecimila ducati, soldò, parte del paese di Roma partenella Lunigiana, duemila fanti. Al romore della qualeadunazione essendosi, per sospetto di sé, armato per ter-ra e per mare Ottaviano Fregoso, egli, come se per esserescoperti i suoi disegni restasse escluso di speranza dipotere per allora voltare lo stato di Genova, fatto inten-dere a Federigo da Bozzole (con l’aiuto di chi si mante-neva in grande parte la Concordia contro al conteGiovanfrancesco della Mirandola) poterlo servire di quel-le genti insino non fusse finita la paga loro la quale dura-va presso a uno mese, passato l’Apennino scese in quel-lo di Coreggio, pigliando lentamente il cammino dellaConcordia. Ed era il fondamento di questo trattato ilpassare il fiume del Po; al quale effetto certi ministri diAlberto da Carpi, conscio di questa pratica, avevano no-leggiato, sotto nome di mercatanti di grani, molte barcheche erano nella bocca del fiume della Secchia (così chia-mano i circonvicini quel luogo dove l’acque della Sec-chia entrano nel Po), con le quali passando Po, disegna-va il vescovo accostarsi prestamente a Ferrara: dove eglistato pochi mesi innanzi aveva speculato uno luogo della

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terra in sul Po dove erano in terra più di quaranta bracciadi muro, luogo aperto e molto facile a entrarvi. Il qualemuro essendo caduto non molto prima non si era restau-rato così presto, perché la vicinità del fiume e lo starsisenza timore avevano nutrito la negligenza di chi solevasollecitamente provedere a questi disordini.

Ma come fu sentito per il paese circostante il Ventimigliacon queste genti avere passato l’Apennino, il marchesedi Mantova, non per alcuno sospetto particolare ma perconsuetudine antica di difficultare alle genti forestiere ipassi de’ fiumi, ritirò a Mantova tutte le barche che era-no in bocca di Secchia; in modo che il Ventimiglia, nonpotendo servirsi delle barche noleggiate né avendo co-modità di provederne così presto dell’altre, massime per-ché i governatori vicini della Chiesa non erano avvertitidi questa pratica, né avevano commissione, quando benel’avessino saputa, di intromettersene, mentre che cercadi qualche rimedio, egli e i ministri di Alberto soggiornòcon le genti verso Coreggio e ne’ luoghi vicini: dove aven-do parlato con molti incautamente, e con alcuni scoper-to tutti i particolari del suo disegno, il marchese diMantova, avvertitone, notificò per uno uomo suo la cosaal duca di Ferrara. Il quale era tanto alieno da questosospetto che con difficoltà si indusse a prestargli fede;pure, movendolo più che altro quello riscontro del murorotto, cominciò a prepararsi di gente; né mostrando ave-

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re sospetto del pontefice, benché sentisse in sé altramente,fattogli intendere le insidie che gli erano ordinate dalvescovo Ventimiglia, lo supplicò che e’ commettessi aigovernatori vicini che, occorrendogli di bisogno, gliporgessino aiuto: la quale cosa fu dal pontefice con favo-revoli brevi eseguita prontamente, ma data però nel tem-po medesimo occultamente altra commissione.

La fama che a Ferrara si cominciasse a fare provisione,aggiunta alla difficoltà di passare Po, tolse al vescovoogni speranza: però condottosi con le genti presso allaConcordia, mentre che con quegli che vi erano dentro,insospettiti già di lui, tratta di volere offendere laMirandola, presentatosi allo improvviso una notte allemura della Concordia, gli fece dare la battaglia, ma perdare cagione agli uomini di credere che non per andare aFerrara ma per occupare la Concordia fusse venuto inquegli luoghi. Fu vano questo assalto: dopo il quale ifanti con sua licenza si dissolverono; lasciata opinione inmolti e in Alfonso medesimo che se non gli era interrottola facoltà di passare Po, arebbe ottenuta, per il murorotto, Ferrara, dove non era gente alcuna, non sospetto,il duca ammalato gravemente, e il popolo in modo malesodisfatto di lui che pochissimi, in uno tumulto quasiimproviso, arebbono prese l’armi o oppostisi al pericolo.

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CAPITOLO XV

Primo diffondersi delle idee luterane; occasione of-ferta dalla corte pontificia e scandalo della venditadelle indulgenze in Germania. Come Lutero passò anegare i princìpi della Chiesa. Misure prese dal ponte-fice contro Lutero; perché poco giovarono.

Séguita l’anno mille cinquecento venti: nel quale, con-tinuandosi per le medesime cagioni per le quali era stataconservata l’anno precedente la pace di Italia,cominciorono molto ad ampliarsi dottrine nate di nuovo,prima contro all’autorità della Chiesa romana dipoi con-tro alla autorità della cristiana religione. Il quale pestiferoveleno ebbe origine nella Alamagna, nella provincia diSassonia, per le predicazioni di Martino Lutero, frateprofesso dell’ordine di Santo Augustino, suscitatore perla maggiore parte, ne’ princìpi suoi, degli antichi erroride’ boemi; i quali, reprobati per il concilio universaledella Chiesa celebrato a Costanza, e abbruciati con l’au-torità di quello Giovanni Hus e Ieronimo da Praga, duede’ capi principali di questa eresia, erano stati lunga-

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mente ristretti ne’ confini di Boemia. Ma a suscitarglinuovamente in Germania aveva dato occasione l’autoritàdella sedia apostolica, usata troppo licenziosamente daLione; il quale, seguitando, nelle grazie che sopra le cosespirituali e beneficiali concede la corte, il consiglio diLorenzo de’ Pucci cardinale di Santi Quattro, aveva sparsoper tutto il mondo, senza distinzione di tempi e di luo-ghi, indulgenze amplissime, non solo per potere giovarecon esse a quegli che ancora sono nella vita presente macon facoltà di potere oltre a questo liberare l’anime de’defunti dalle pene del purgatorio: le quali cose non avendoin sé né verisimilitudine né autorità alcuna, perché eranotorio che si concedevano solamente per estorqueredanari dagli uomini che abbondano più di semplicità chedi prudenza, ed essendo esercitate impudentemente da’commissari deputati a questa esazione, la più parte de’quali comperava dalla corte la facoltà di esercitarle, ave-vano concitato in molti luoghi indegnazione e scandoloassai; e specialmente nella Germania, dove molti de’ministri erano veduti vendere per poco prezzo, o giuo-carsi in su le taverne, la facoltà del liberare le anime de’morti dal purgatorio. E accrebbe [l’indegnazione] che ilpontefice, il quale per la facilità della natura sua eserci-tava in molte cose con poca maestà l’officio pontificale,donò a Maddalena sua sorella lo emolumento e l’esazio-ne delle indulgenze di molte parti di Germania, la quale,

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avendo fatto deputare commissario il vescovoArcimboldo, ministro degno di questa commissione, chel’esercitava con grande avarizia ed estorsione, e sapen-dosi per tutta la Germania che i danari che se ne cavava-no non andavano al pontefice o alla camera apostolica(donde pure sarebbe forse stato possibile che qualcheparte se ne fusse spesa in usi buoni), ma era destinata asodisfare all’avarizia d’una donna, aveva fatto detestabi-le non solo la esazione e i ministri di quella ma il nomeancora e l’autorità di chi tanto inconsultamente le con-cedeva. La quale occasione avendo presa il Lutero, eavendo cominciato a disprezzare queste concessioni e atassare in queste l’autorità del pontefice, moltiplicando-gli in causa favorevole agli orecchi de’ popoli numerogrande di uditori, cominciò ogni dì più scopertamente anegare l’autorità del pontefice.

Da questi princìpi forse onesti o almanco, per la giustaoccasione che gli era data, in qualche parte scusabili,traportandolo l’ambizione e l’aura popolare, e il favoredel duca di Sassonia, non solo fu troppo immoderatocontro alla potestà de’ pontefici e autorità della Chiesaromana; ma trascorrendo ancora negli errori de’ boemi,cominciò in progresso di tempo a levare le immagini del-le chiese, a spogliare i luoghi ecclesiastichi de’ beni, per-mettere a’ monachi e alle monache professe il matrimo-nio, convalidando questa opinione non solo con l’auto-

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rità e con gli argomenti ma eziandio con l’esempio di semedesimo; negare la potestà del papa distendersi fuoradello episcopato di Roma, e ogn’altro episcopo averenella diocesi sua quella medesima autorità che aveva ilpapa nella romana; disprezzare tutte le cose determinatene’ concili, tutte le cose scritte da quegli che si chiamanoi dottori della Chiesa, tutte le leggi canoniche e i decretide’ pontefici, riducendosi solo al Testamento Vecchio allibro degli Evangeli agli Atti degli apostoli e a tutto quel-lo che si comprende sotto il nome del Testamento Nuovoe alle epistole di san Paolo, ma dando a tutte questenuovi e sospetti sensi e inaudite interpretazioni. Né stettein questi termini la insania di costui e de’ seguaci suoi,ma seguitata si può dire da quasi tutta la Germania, tra-scorrendo ogni dì in più detestabili e perniciosi errori,penetrò a ferire i sagramenti della Chiesa, disprezzare idigiuni le penitenze e le confessioni; scorrendo poi alcu-ni de’ suoi settatori, ma diventati già in qualche partediscrepanti dalla autorità sua, a fare pestifere e diaboli-che invenzioni sopra la eucarestia. Le quali cose, avendotutte per fondamento la reprobazione della autorità de’concili e de’ sacri dottori, hanno dato adito a ogni nuovae perversa invenzione o interpretazione; e ampliatosi inmolti luoghi, eziandio fuora della Germania, per conte-nere dottrina di sorte che, liberando gli uomini da moltiprecetti, trovati per la salute universale dai concili uni-

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versali della Chiesa dai decreti de’ pontefici dalla autori-tà de’ canoni e dalle sane interpretazioni de’ sacri dotto-ri, gli riducono a modo di vita quasi libero e arbitrario.

Sforzavasi ne’ princìpi suoi di spegnere questa pestiferadottrina il pontefice, non usando per ciò i rimedi e lemedicine convenienti a sanare tanta infermità. Perché citòa Roma Martino Luther sospeselo dallo officio del pre-dicare, e dipoi per la inobbedienza sua lo sottopose allecensure ecclesiastiche; ma non si astenne da molte cosedi pessimo esempio, e che dannate ragionevolmente dalui erano molestissime a tutti: donde il procedergli con-tro con l’armi ecclesiastiche non diminuì appresso a’popoli, anzi augumentò la riputazione di Martino, comese le persecuzioni nascessino più dalla innocenza dellasua vita e dalla sanità della dottrina che da altra cagione.Mandò il pontefice molti religiosi a predicare in Germa-nia contro a lui, scrisse molti brevi a prìncipi e a prelati;ma non giovando né questo né molti altri modi usati perreprimerlo (per la inclinazione de’ popoli, e per il favoregrande che nelle terre sue aveva dal duca di Sassonia),cominciava a parere in corte di Roma, ogni dì più, questacausa più grave, e a crescere la dubitazione che alla gran-dezza de’ pontefici alla utilità della corte romana e allaunità della religione cristiana non ne nascesse grandissi-mo detrimento. Per questo si facevano quello anno aRoma spessi concistori, spesse consulte di cardinali e

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teologi deputati nella camera del pontefice, per trovare irimedi a questo male che continuamente cresceva: e an-cora che non mancasse chi riducesse in memoria che lapersecuzione fattagli insino a quello dì, poi che non eraaccompagnata col correggere in loro medesimi le cosedannabili, gli aveva cresciuto la riputazione e labenivolenza de’ popoli, e che minore male sarebbe statodissimulare di non sentire questa insania, che forse per semedesima si dissolverebbe, che soffiando nel fuoco ac-cenderlo e farlo maggiore; nondimeno, come è naturadegli uomini di procedere volentieri a’ rimedi caldi, nonsolo furono accresciute le persecuzioni contro a lui econtro agli altri suoi settatori, chiamati volgarmente iluterani, ma ancora deliberato uno monitorio gravissimocontro al duca di Sassonia, dal quale esacerbato diventòfautore più veemente della causa sua. La quale, in spaziodi più anni, andò in modo moltiplicando che sia statomolto pericoloso che da questa contagione non resti in-fetta quasi tutta la cristianità. Né ha tanto raffrenato ilcorso suo cosa alcuna quanto lo essersi conosciuto, isettatori di questa dottrina non essere manco infesti allapotestà de’ prìncipi temporali che alla autorità de’ pon-tefici romani; il che ha fatto che molti prìncipi hanno,per lo interesse proprio, con vigilanza e con severità proi-bito che ne’ regni suoi non entri questa contagione: e percontrario, nessuna cosa ha sostenuto tanto la pertinacia

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di questi errori (i quali qualche volta, per la troppa tra-sgressione de’ capi di queste eresie e per la varietà edeziandio contrarietà dell’opinioni tra loro medesimi, sonostati vicini a confondersi e a cadere) quanto la licenziosalibertà che nel modo del vivere ne hanno acquistato ipopoli, e l’avarizia de’ potenti per non restare spogliatide’ beni che hanno occupati delle chiese.

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CAPITOLO XVI

Giampaolo Baglioni invitato a Roma dal pontefice,incarcerato e giustiziato. Nuove insidie del ponteficecontro il duca di Ferrara. Incoronazione di Cesare inAquisgrana; sue ragioni di preoccupazione. Minacciedi fanti spagnoli alle terre della Chiesa.

Non accadde questo anno in Italia cosa degna di me-moria: salvo che, essendo in Perugia Giampaolo e Genti-le della medesima famiglia de’ Baglioni, o perché na-scesse tra loro contenzione o perché Giampaolo, non glibastando avere più parte e più autorità nel governo, vo-lesse arrogarsi il tutto, cacciò Gentile di Perugia: il cheessendo molesto al pontefice, lo fece citare che perso-nalmente comparisse a Roma. Il quale, temendo a andar-vi, mandò Malatesta suo figliuolo a giustificarsi, e a offerirea essere presto a obbidire a tutti i suoi comandamenti: mainstando pure il pontefice della venuta sua, poiché fustato molti dì perplesso, si risolvé a andare, confidatosiparte nella antica servitù che in ogni tempo aveva avutocon la sua casa, parte persuaso da Cammillo Orsino suo

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genero e da altri amici suoi; i quali, usando l’autoritàloro e valendosi di mezzi potenti appresso al pontefice, oottennono fede espressa da lui (benché non per scrittura)o almanco furono dal pontefice usate tali parole con som-ma astuzia e fatte tali dimostrazioni che quegli che siconfidavano potere ritrarre da lui la mente sua gli dettonoanimo a comparire, dandosi a intendere che egli potessefarlo sicuramente. Ma arrivato a Roma, trovò che il pon-tefice, sotto specie di sue ricreazioni come altre volte erasolito di fare, era andato pochi dì innanzi in CastelloSanto Angelo. Dove andando la mattina seguenteGiampaolo per presentarsegli fu, innanzi arrivasse al co-spetto suo, incarcerato dal castellano, e dipoi per giudicidiputati esaminato rigorosamente confessò molti gravis-simi delitti, sì per cose attenenti alla conservazione dellatirannide come per piaceri nefandi e altri suoi interessiparticolari; per i quali, poi che fu stato in carcere più didue mesi, fu decapitato secondo l’ordine della giustizia:movendosi, secondo si credette, il pontefice a questo peravere, nella guerra d’Urbino, compreso per molti segniGiampaolo essere d’animo alieno da lui, avere tenutopratiche con Francesco Maria, né potere in qualunqueaccidente gli sopravenisse fare fondamento fermo in lui,e conseguentemente, mentre che egli era in quello stato,nelle cose di Perugia. Le quali per riordinare a suo pro-posito, essendosi i figliuoli di Giampaolo fuggiti come

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ebbono nuove della sua retenzione, dette quella legazio-ne a Silvio cardinale di Cortona, antico servidore e allie-vo suo; restituì Gentile in Perugia, al quale donò i beniche erano stati posseduti da Giampaolo, e appoggiandosia uno subietto molto debole voltò la riputazione e gran-dezza a lui.

Continuò medesimamente questo anno il pontefice (at-tribuendo più al caso o alla poca prudenza che ad altrol’occasione perduta del vescovo di Ventimiglia) di tenta-re nuove insidie contro al duca di Ferrara, per mezzo diUberto da Gambara protonotario apostolico, con Ridolfeltedesco, capitano di alcuni fanti tedeschi che Alfonsoteneva alla sua guardia; il quale gli aveva promesso dar-gli a suo piacere la entrata della porta di Castello Tialto.Dove potendo pervenire le genti che si mandassino daBologna e da Modena, senza avere a passare il Po se nonper il ponte di legname che è innanzi a quella porta, fudato ordine a Guido Rangone e al governatore di Mode-na che, raccolte certe genti sotto altri colori, andassinoallo improviso a occupare quella porta, per difenderlatanto che giugnessino gli aiuti da Modena e da Bologna;dove era posto ordine che la gente si movesse quasipopolarmente. Ma già statuito il dì dello assaltarla, siscoperse che Ridolfel, a chi per ordine del pontefice era-no stati dati da Uberto da Gambara circa dumila ducati,aveva da principio comunicato ogni cosa con Alfonso; il

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quale, poi che ebbe scoperto assai della mente del pon-tefice e de’ suoi disegni, non volendo che la cosa proce-desse più innanzi, tenne modo che la fraude di Ridolfelsi publicasse.

In questo anno medesimo passò Cesare, per mare, diSpagna in Fiandra; avendo nel passare, non per necessitàcome aveva fatto il padre, ma volontariamente, toccatoin Inghilterra, per parlare con quel re col quale restò inbuona concordia. Di Fiandra andato in Germania ricevé,del mese d’ottobre, in Aquisgrana, città nobile per l’an-tica residenza e per il sepolcro di Carlo Magno, con gran-dissimo concorso, la prima corona, quella medesima,secondo che è la fama, con la quale fu incoronato CarloMagno; datagli, secondo il costume antico, con l’autori-tà de’ prìncipi di Germania. Ma questa sua felicità eraturbata dagli accidenti nati di nuovo in Spagna. Perchéa’ popoli di quei regni era stata molesta la promozionesua allo imperio, perché conoscevano che, con grandis-sima incomodità e detrimento di tutti, sarebbe per variecagioni necessitato a stare non piccola parte del tempofuora di Spagna; ma molto più gli aveva mossi l’odiogrande che avevano conceputo contro alla avarizia diquegli che lo governavano, massime contro a Ceures, ilquale dimostratosi insaziabile aveva per tutte le vie accu-mulato somma grandissima di danari; il medesimo, ave-vano fatto gli altri fiamminghi, vendendo per prezzo a’

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forestieri gli uffici soliti darsi agli spagnuoli, e facendovenali tutte le grazie privilegi ed espedizioni che sidimandavano alla corte: in modo che, concitati tutti ipopoli contro al nome de’ fiamminghi, avevano, alla par-tita di Cesare, tumultuato quegli di Vagliadulit; e appenauscito di Spagna, sollevati tutti, non, secondo dicevano,contro al re ma contro a’ cattivi governatori, e comunica-ti insieme i consigli, non prestando più ubbidienza aglioffiziali regi, avevano fatta congregazione della maggioreparte de’ popoli: i quali, data forma al governo, si regge-vano in nome della santa giunta (così chiamavano il con-siglio universale de’ popoli). Contro a’ quali essendosilevati in arme i capitani e ministri regi, ridotte le cose inmanifesta guerra, erano tanto moltiplicati i disordini cheCesare piccolissima autorità vi riteneva: donde in Italia efuora cresceva la speranza di coloro che arebbono desi-derato diminuire tanta grandezza. Aveva nondimeno l’ar-mata sua acquistato contro a’ mori l’isola delle Gerbe, ein Germania era stata repressa in qualche parte lariputazione del re di Francia. Perché dando egli, pernotrire discordie in quella provincia, favore al duca diVertimberg discordante con la lega di Svevia, quegli po-poli risentitisi potentemente lo cacciorono del suo statoe acquistato che lo ebbono lo venderono a Cesare, desi-deroso di abbassare i seguaci del re di Francia, obligandosialla difesa contro a qualunque lo molestasse. Per il che

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quello duca, trovandosi distrutto sotto la speranza degliaiuti franzesi, fu necessitato ricorrere alla clemenza diCesare, e da lui accettare quelle leggi, che gli furonodate: non rimesso però per questo nella possessione delsuo ducato.

Nella fine di questo anno medesimo, circa tremila fantispagnuoli stati più mesi in Sicilia, non volendo ritornarein Spagna secondo il comandamento avuto da Cesare,disprezzata l’autorità de’ capitani, passorono a Reggiodi Calavria; e procedendo con fare per tutto gravissimidanni verso lo stato della Chiesa, messono in grave terro-re il pontefice (nell’animo del quale era fissa la memoriadegli accidenti di Urbino) che, o sollevati da altri prìncipio accompagnandosi con il duca Francesco Maria, co’figliuoli di Giampaolo Baglione e con gli altri inimicidella Chiesa, non suscitassino qualche incendio: massi-me recusando le offerte fatte dal viceré di Napoli e da luidi soldarne una parte, e agli altri fare donativo di danari.Dalle quali offerte preso maggiore animo, si movevanoverso il fiume del Tronto, non per il paese stretto delCapitanato ma per il cammino largo di Puglia; eaggiugnendosi continuamente altri fanti e qualche caval-lo, diventavano sempre più formidabili. Nondimeno, sirisolvé più facilmente e più presto che gli uomini noncredevano questo movimento; perché passato il Trontoper entrare nella Marca anconitana, nella quale il ponte-

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fice aveva mandate molte genti, e andati a campo aRipatransona, avendovi dato uno assalto gagliardo, per-duti molti di loro, furno costretti a ritirarsi: per il che,diminuiti molto di animo e di riputazione, accettoronocupidamente da’ ministri di Cesare condizioni moltominori di quelle le quali prima avevano disprezzate.