Steve jobs

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L a saga di Steve Jobs incarna il mito della Silicon valley elevato all’ennesima poten- za: una startup nata nel ga- rage di casa si trasforma nell’azienda tecnologica più importante del mondo. Anche se in realtà non ha inventato mol- te cose, Jobs è stato un maestro nel combi- nare idee, arte e tecnologia in modo da reinventare il futuro. Ha progettato il Mac dopo aver intuito le potenzialità dell’inter- faccia grafica che la Xerox non aveva colto in pieno, e ha costruito l’iPod dopo aver ca- pito quanto poteva essere divertente avere mille canzoni in tasca, mentre la Sony, pur avendo tutte le risorse necessarie, non c’era mai riuscita. Alcuni leader sanno innovare perché hanno una visione d’insieme. Altri ci riescono grazie all’ossessione per i detta- gli. Jobs faceva entrambe le cose, senza fer- marsi mai. Ha rivoluzionato sei industrie: compu- ter, film d’animazione, musica, telefoni, tablet ed editoria digitale. Se ne potrebbe aggiungere una settima: la vendita al detta- glio. Non solo ha costruito dei prodotti ca- paci di trasformare il mondo, ma ha anche messo in piedi un’azienda che ha il suo stes- so dna, piena di designer creativi e ingegne- ri ribelli che porteranno avanti la sua filoso- fia. Per questo è diventato il più grande im- prenditore della nostra epoca. La storia lo collocherà accanto a Thomas Edison e a Henry Ford. Jobs ha realizzato prodotti in- novativi che uniscono la bellezza della poe- sia alla potenza dei processori. E ha saputo infondere alla sua azienda una sensibilità estetica, un perfezionismo e una creatività tali che probabilmente faranno prosperare la Apple ancora a lungo. Lunghe passeggiate All’inizio dell’estate del 2004 Steve Jobs mi telefonò. Nel corso degli anni più di una vol- ta era stato molto cordiale con me, soprat- tutto quando voleva far apparire un nuovo prodotto sulla copertina di Time o in qual- che programma della Cnn. Da quando ave- vo smesso di lavorare lì, però, non l’avevo quasi più sentito. Parlammo un po’ dell’Aspen institute, del quale ero entrato a far parte da poco, e lo invitai a parlare al no- stro campus estivo in Colorado. Sarebbe venuto con piacere, mi disse, ma non per salire su un palco. Voleva fare una passeg- giata e parlare. Mi sembrò un po’ strano. Ancora non sapevo che le lunghe pas- seggiate erano il suo modo preferito per avere una conversazione seria. Mi chiese di scrivere la sua biografia. Ne avevo appena pubblicata una di Benjamin Franklin e ne stavo scrivendo un’altra di Albert Einstein, e la mia prima reazione fu quella di chieder- gli, scherzando, se si considerasse il loro erede naturale. Ero convinto che fosse a metà della sua carriera, e che avesse di fron- te ancora molti alti e bassi. Non ancora, gli risposi. Magari tra dieci o vent’anni, quando sarà l’ora della pensio- ne. Solo in seguito scoprii che mi aveva tele- fonato subito prima di sottoporsi a un inter- vento. Guardandolo combattere contro il cancro, con un’intensità solenne unita a un sorprendente romanticismo emotivo, finii con l’esserne profondamente affascinato e mi resi conto di quanto i suoi prodotti ri- specchiassero la sua personalità. Passione, perfezionismo, desideri, doti artistiche, mente diabolica e ossessione per il control- lo: ogni aspetto della sua personalità era intimamente collegato al suo lavoro. Decisi Il mago del c Walter Isaacson, Time, Stati Uniti Alcuni leader sanno innovare grazie alla visione d’insieme. Altri si concentrano sui dettagli. Jobs faceva entrambe le cose. Per questo è stato il più grande imprenditore della nostra epoca DIANA WALKER (SJ/CONTOUR/GETTY IMAGES) 14 Internazionale 919 | 14 ottobre 2011 In copertina

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Alcuni leader sanno innovare grazie alla visioned’insieme. Altri si concentrano sui dettagli. Jobsfaceva entrambe le cose. Per questo è statoil più grande imprenditore della nostra epoca.

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La saga di Steve Jobs incarna il mito della Silicon valley elevato all’ennesima poten-za: una startup nata nel ga-rage di casa si trasforma nell’azienda tecnologica

più importante del mondo. Anche se in realtà non ha inventato mol-

te cose, Jobs è stato un maestro nel combi-nare idee, arte e tecnologia in modo da reinventare il futuro. Ha progettato il Mac dopo aver intuito le potenzialità dell’inter-faccia gra�ca che la Xerox non aveva colto in pieno, e ha costruito l’iPod dopo aver ca-pito quanto poteva essere divertente avere mille canzoni in tasca, mentre la Sony, pur avendo tutte le risorse necessarie, non c’era mai riuscita. Alcuni leader sanno innovare perché hanno una visione d’insieme. Altri ci riescono grazie all’ossessione per i detta-gli. Jobs faceva entrambe le cose, senza fer-marsi mai.

Ha rivoluzionato sei industrie: compu-ter, film d’animazione, musica, telefoni, tablet ed editoria digitale. Se ne potrebbe aggiungere una settima: la vendita al detta-glio. Non solo ha costruito dei prodotti ca-paci di trasformare il mondo, ma ha anche messo in piedi un’azienda che ha il suo stes-so dna, piena di designer creativi e ingegne-ri ribelli che porteranno avanti la sua �loso-�a. Per questo è diventato il più grande im-prenditore della nostra epoca. La storia lo collocherà accanto a Thomas Edison e a Henry Ford. Jobs ha realizzato prodotti in-novativi che uniscono la bellezza della poe-sia alla potenza dei processori. E ha saputo

infondere alla sua azienda una sensibilità estetica, un perfezionismo e una creatività tali che probabilmente faranno prosperare la Apple ancora a lungo.

Lunghe passeggiateAll’inizio dell’estate del 2004 Steve Jobs mi telefonò. Nel corso degli anni più di una vol-ta era stato molto cordiale con me, soprat-tutto quando voleva far apparire un nuovo prodotto sulla copertina di Time o in qual-che programma della Cnn. Da quando ave-vo smesso di lavorare lì, però, non l’avevo quasi più sentito. Parlammo un po’ dell’Aspen institute, del quale ero entrato a far parte da poco, e lo invitai a parlare al no-stro campus estivo in Colorado. Sarebbe venuto con piacere, mi disse, ma non per salire su un palco. Voleva fare una passeg-giata e parlare. Mi sembrò un po’ strano.

Ancora non sapevo che le lunghe pas-seggiate erano il suo modo preferito per avere una conversazione seria. Mi chiese di scrivere la sua biogra�a. Ne avevo appena pubblicata una di Benjamin Franklin e ne stavo scrivendo un’altra di Albert Einstein, e la mia prima reazione fu quella di chieder-gli, scherzando, se si considerasse il loro erede naturale. Ero convinto che fosse a metà della sua carriera, e che avesse di fron-te ancora molti alti e bassi.

Non ancora, gli risposi. Magari tra dieci o vent’anni, quando sarà l’ora della pensio-ne. Solo in seguito scoprii che mi aveva tele-fonato subito prima di sottoporsi a un inter-vento. Guardandolo combattere contro il cancro, con un’intensità solenne unita a un

sorprendente romanticismo emotivo, �nii con l’esserne profondamente a�ascinato e mi resi conto di quanto i suoi prodotti ri-specchiassero la sua personalità. Passione, perfezionismo, desideri, doti artistiche, mente diabolica e ossessione per il control-lo: ogni aspetto della sua personalità era intimamente collegato al suo lavoro. Decisi

Il mago del caWalter Isaacson, Time, Stati Uniti

Alcuni leader sanno innovare grazie alla visione d’insieme. Altri si concentrano sui dettagli. Jobs faceva entrambe le cose. Per questo è stato il più grande imprenditore della nostra epoca

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dunque di provare a scrivere la sua storia, come uno studio sulla creatività. Il legame tra la personalità di Jobs e i suoi prodotti si fonda innanzitutto sul suo tratto più salien-te: l’intensità. Era chiaro �n dalle superiori. All’epoca aveva già cominciato a sperimen-tare le diete compulsive che lo avrebbero accompagnato per tutta la vita – di solito a

base di frutta e verdura – per mantenersi magro e asciutto come un levriero. Imparò a �ssare le persone senza sbattere le palpe-bre, e perfezionò il suo modo di alternare lunghi silenzi a ra�che di parole. Quest’in-tensità alimentava una visione binaria del mondo. Per lui eri un eroe o un coglione, a volte nel corso della stessa giornata. Lo

stesso valeva per i prodotti, le idee, le cose da mangiare. Una cosa era incredibilmente fantastica oppure faceva assolutamente schifo. Jobs era capace di assaggiare due avocado, indistinguibili al palato dei comu-ni mortali, e sentenziare che uno era il mi-gliore che avesse mai mangiato, mentre l’altro era disgustoso. Si considerava un ar-tista, e fu questo a instillare in lui la passione per il design.

Mentre progettava il primo Macintosh, all’inizio degli anni ottanta, ripeteva che doveva essere più friendly, un concetto del tutto estraneo agli ingegneri dell’epoca. Il

el capitalismo

Steve Jobs nella sua casa di Palo Alto, 2004

Da sapere

Aprile 1976

Luglio 1976

1980

1984

1985

1986

1996

1997

1998

1999

2000

Maggio 2001

Ottobre 2001

2003

Agosto 2004

2006

2007

Gennaio 2009

Giugno 2009

Gennaio 2010

Maggio 2010

Gennaio 2011

Giugno 2011

Agosto 2011

Fonda la Apple con Stephen Wozniak

Apple lancia il suo primo computer

L’azienda fa il suo ingresso in borsa

Apple lancia il Macintosh

Viene cacciato dalla Apple

È uno dei fondatori della Pixar

Torna alla Apple come consulente

È amministratore delegato ad interim

Lancia il computer iMac

Lancia il computer portatile iBook

È confermato amministratore delegato

Apre il primo Apple store

Lancia l’iPod

Lancia iTunes

Prende un mese di congedo per malattia

Apple coinvolta in uno scandalo in borsa

Lancia l’iPhone

Prende un altro congedo per malattia

Torna al lavoro

Lancia l’iPad

Apple diventa l’azienda tecnologica

che vale di più in borsa

Prende un nuovo congedo per malattia

Annuncia la nascita di iCloud

Si dimette da amministratore delegato

Steve Jobs è nato nel 1955, quando i telefoni erano a disco e i computer erano grandi come una stanza. È morto il 5 ottobre 2011, dopo aver messo un computer dentro al telefono e quel telefono in 120 milioni di tasche. Bloomberg Businessweek

Fonte: The Economist

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risultato fu che la parte frontale del Mac fu disegnata in modo da ricordare un volto umano, arrivando per�no a mantenere la parte alta più sottile in modo che non sem-brasse l’uomo di Neanderthal. Sapeva co-gliere d’istinto i segnali che il design poteva trasmettere.

Quando nel 1998 lui e il suo braccio de-stro John Ive progettarono il primo iMac, Ive decise che nella parte superiore ci sa-rebbe stata una maniglia. Era una cosa sim-patica più che utile. Pochi l’avrebbero usata per trasportare il computer. Eppure manda-va il segnale che non bisognava aver paura della macchina. Potevi toccarla, e lei ti avrebbe ubbidito.

Gli ingegneri fecero notare che la mani-glia avrebbe fatto aumentare i costi, ma Jobs decise di farla lo stesso.

Dietro alla ferrea volontà della Apple di esercitare il controllo assoluto su ogni pro-dotto, c’è la ricerca costante della perfezio-ne. Molti hacker e appassionati di computer si divertivano a modi�care le loro macchine e collegare dispositivi di ogni tipo. Per Jobs questa era una minaccia al buon funziona-mento del computer. Il suo socio degli inizi, Steve Wozniak, hacker nell’anima, non era d’accordo. Lui voleva includere nell’Apple II otto slot in cui gli utenti potessero inserire qualsiasi tipo di scheda o di periferica. Jobs accettò a malincuore. Qualche anno dopo, però, quando si trattò di costruire il Macin-tosh, fece di testa sua. Fece sparire gli slot e usò delle viti speciali perché nessuno potes-se aprire il computer e modi�carlo. Gli ve-niva l’orticaria quando vedeva il suo sof-tware fantastico girare su una macchina scadente. Allo stesso modo non sopportava l’idea che un’applicazione potesse inquina-re la perfezione dei suoi dispositivi.

Un uomo riservatoL’astronomo Keplero diceva che “la natura ama la semplicità e l’unità”. Anche Steve Jobs le amava. Per questo decise di non mettere a disposizione delle altre aziende il sistema operativo Macintosh.

Microsoft fece l’opposto, permettendo che Windows fosse dato in licenza a chiun-que. Questa scelta non produsse dei com-puter eleganti, ma portò Microsoft a domi-nare il mondo dei sistemi operativi. Quan-do la quota di mercato della Apple scese sotto il 5 per cento, l’approccio di Microsoft fu dichiarato vincente. Sul lungo periodo, però, il modello di Jobs ha mostrato alcuni vantaggi. La sua insistenza sull’integrazio-

ne totale ha permesso alla Apple di partire in vantaggio quando è arrivato il momento di collegare i computer ai nuovi dispositivi portatili. L’iPod, per esempio, fa parte di un sistema chiuso e fortemente integrato. Per usarlo bisogna usare iTunes e scaricare i contenuti dall’iTunes Store. Il risultato è che l’iPod, rispetto alla concorrenza, è un prodigio di eleganza e semplicità.

Per Steve Jobs l’integrazione era una vir-tù. “Non siamo maniaci del controllo”, spiegava. “Vogliamo fare degli ottimi pro-dotti, perché abbiamo a cuore chi li usa e perché preferiamo assumerci la responsa-bilità di tutta l’esperienza d’uso”. In un mondo pieno di oggetti fatti male, messaggi d’errore indecifrabili e interfacce irritanti, la passione di Jobs per la semplicità ha crea-to prodotti incredibili. Usare un prodotto Apple è un po’ come entrare in uno dei giar-dini zen di Kyoto che Jobs amava tanto, e nessuna delle due cose si ottiene lasciando sbocciare migliaia di �ori a caso. A volte è bello a�darsi alle mani di un maniaco del controllo.

Qualche settimana fa sono andato a tro-vare Jobs per l’ultima volta nella sua casa di Palo Alto. Si era trasferito in una stanza al

pianterreno perché era troppo debole per salire e scendere le scale. Era piegato dal dolore, ma la sua mente era lucida e il suo senso dell’umorismo ancora brillante. Ab-biamo parlato della sua infanzia e mi ha da-to alcune foto di suo padre e della sua fami-glia da usare nella biogra�a. Il mestiere di giornalista mi ha abituato al distacco, ma al momento di salutarlo ho sentito un’ondata di tristezza. Per mascherare l’emozione, gli ho rivolto l’ultima domanda sulla quale continuavo ad arrovellarmi. Perché nei due anni in cui abbiamo fatto quasi cinquanta interviste e conversazioni mi aveva raccon-tato tante cose, lui che in genere era così ri-servato? “Vorrei che i miei �gli mi cono-scessero”, ha risposto. “Non sempre per loro ci sono stato. Vorrei che sapessero cosa ho fatto e perché”. mc

L’AUTORE

Walter Isaacson è il presidente dell’Aspen Institute. Ha diretto il settimanale Time. È l’autore della biogra�a Steve Jobs che sarà pubblicata in Italia da Mondadori il 24 ottobre.

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Steve Jobs con il gruppo che ha disegnato l’iPhone

In copertina

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Come ormai è noto a tutti, la ca-ratteristica principale di Steve Jobs era il perfezionismo. La na-scita del Macintosh, per esem-

pio, aveva richiesto più di tre anni a causa della sua ossessione per i dettagli. Jobs ave-va bocciato l’idea di una ventola inter-na, perché pensava che fosse rumorosa. E voleva che i suoi tecnici riprogettassero la scheda madre del Mac, perché non era ab-bastanza elegante.

Alla NeXT, la società che aveva fondato dopo essere stato buttato fuori dalla Ap-ple nel 1985, aveva fatto impazzire i tecnici perché voleva un computer che somigliasse a uno splendido cubo di magnesio. Dopo il suo ritorno alla Apple, cominciò a interes-sarsi personalmente di cose come il numero di viti che c’erano nel guscio di un portati-le. Ci vollero sei mesi prima che fosse sod-disfatto di come funzionavano le barre di scorrimento del sistema operativo Os X. Jobs pensava che un oggetto doveva essere perfetto nei minimi particolari, an-che quelli nascosti.

Questo perfezionismo è stato determi-nante per il successo della Apple. Spiega anche perché i suoi prodotti trasmettono una sensazione di integrità: sembrano un tutto unico, non un insieme di parti. Ma il perfezionismo di Jobs aveva anche un prez-zo molto alto. Negli anni ottanta Jobs voleva che nelle pubblicità per le riviste e sulle con-fezioni il logo della Apple fosse stampato in sei colori invece di quattro, e questo faceva salire il costo del 30 o del 40 per cento. E c’erano anche spese più importanti. La sua idea era che la Apple dovesse controllare ogni aspetto dell’esperienza dell’utente. L’hardware era brevettato, l’azienda aveva

Com’è cambiato Steve Jobs

Negli anni ottanta creò dei computer più potenti e più facili da usare di quelli dell’Ibm. Ma costavano troppo e nessuno li comprava. Così decise di cambiare strategia

James Surowiecki, The New Yorker, Stati Uniti

la sua fabbrica di Mac e preferiva montare cavi, unità disco e �li elettrici speciali inve-ce di quelli standard. Anche il software era brevettato: se si volevano usare i suoi pro-grammi bisognava avere un computer della Apple. Questo rendeva i computer più co-stosi e più di�cili da personalizzare, e alle imprese non piaceva. Perciò, anche se negli anni ottanta la Apple ha cambiato comple-tamente il mondo dell’informatica, con macchine che erano più facili da usare e più potenti di quelle dell’Ibm, tutti compravano un pc.

Mercati più caoticiQuando Jobs tornò, voleva ancora che la Apple possedesse e controllasse la tecnolo-gia di base dei suoi prodotti. Ma era un po’ meno ossessionato dall’idea del controllo. Era più disponibile a giocare con gli altri, e questo è stato fondamentale per lo straordi-nario successo della Apple negli ultimi dieci anni. Prendiamo l’iPod. Il vecchio Jobs avrebbe insistito perché riproducesse solo musica codi�cata nel formato digitale pre-ferito dalla Apple, l’advanced audio coding. Questo le avrebbe permesso un maggior controllo sulla qualità, ma avrebbe limitato le vendite, dato che milioni di persone pos-sedevano già dei �le mp3. Perciò la Apple ha reso l’iPod compatibile con gli mp3. Jobs avrebbe anche potuto insistere, come vole-va fare all’inizio, perché iPod e iTunes fun-

zionassero solo con i Mac. Ma questo avreb-be tagliato fuori la stragrande maggioranza delle persone che usavano un computer. Quindi nel 2002 la Apple ha lanciato un iPod compatibile con Windows, e le vendite sono salite alle stelle.

L’iPhone ha segnato un ulteriore allen-tamento delle redini. Anche se la Apple fab-brica direttamente sia il telefono sia il siste-ma operativo, e anche se ogni applicazione si vende attraverso l’App Store, il sistema è molto più aperto di quanto il Mac non sia mai stato: esistono più di 400mila applica-zioni per iPhone create da programmatori esterni. Alcune sono state prodotte dalla concorrenza – per leggere un libro si può usare Kindle invece che iBooks – e alcune sono così brutte che Jobs deve averle odiate. Queste applicazioni rendono l’iPhone me-no elegante di come avrebbe potuto essere, ma ne aumentano il valore commerciale. Il vecchio Jobs probabilmente avrebbe cerca-to di limitare il numero delle applicazioni nell’interesse della qualità: ripeteva sempre che dire di no a certe idee è importante quanto dire di sì. Il nuovo Jobs ha cambiato strategia. E così l’e�etto network che aveva penalizzato la Apple negli anni ottanta, fa-cendone in pratica una marca da boutique, oggi è un vantaggio: più applicazioni ci so-no, più le persone vogliono usare i prodotti Apple, più i programmatori creano altre ap-plicazioni, e così via. Non c’è dubbio che il successo dell’azienda sia dipeso dalla capa-cità di Jobs di introdurre prodotti che co-glievano lo spirito del tempo.

Ma se è diventata una delle aziende più potenti del mondo è perché Jobs non ha so-lo creato oggetti fantastici, ma ha creato mercati che ruotano intorno a quegli appa-recchi. Forse sono mercati più caotici di quanto avrebbe voluto, ma sono anche più redditizi. Per gli standard dell’informatica open source di oggi, le piattaforme della Apple sono ancora troppo chiuse. Google, invece, quando ha progettato il sistema operativo Android per i cellulari, ha accet-tato che i fabbricanti di telefonini lo usasse-ro come volevano. Ma oggi la Apple è molto più aperta rispetto al passato. Rinunciando a un po’ di controllo, Jobs ha conquistato molto più potere. bt

Richard Stallman, uno dei principali difensori del software libero, il 6 ottobre ha scritto sul suo sito: “Steve Jobs, il pioniere del computer inteso come una prigione dorata, è morto. Il sindaco di Chicago Harold Washington una volta disse di un collega corrotto: ‘Non sono felice che sia morto, ma sono felice che se ne sia andato’. Nessuno merita di morire. Né Jobs né Bill né le persone con colpe più gravi delle loro. Ma noi meritiamo la �ne dell’in�uenza deleteria di Jobs sul mondo dei computer. Purtroppo quell’in�uenza continua nonostante la sua assenza. Speriamo che i suoi successori facciano meno danni”.

Da sapere

L’AUTORE

James Surowiecki è un giornalista statunitense. Questo articolo è uscito sul New Yorker. Altre column di James Surowiecki sono su newyorker.com.

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Steve Jobs era un nemico della no-stalgia. Credeva che il futuro ri-chiedesse spirito di sacri�cio e co-raggio. Ha scommesso sulle nuove

tecnologie anche quando la strada era in-certa. Diceva spesso ai giornalisti che era �ero sia dei prodotti che lanciava sul mer-cato, sia di quelli che scartava. Era un mae-stro del cosiddetto kni�ng the baby (“accol-tellare il bambino”, che nel gergo della Sili-con valley indica la capacità di saper sacri-�care alcuni prodotti in partenza), qualcosa che gli innovatori più sensibili non riescono a fare, perché si innamorano delle loro cre-azioni. Uno dei segreti del successo della Apple sotto la guida di Steve Jobs era la sua capacità di analizzare le nuove tecnologie con occhio freddo e distaccato, per elimi-nare tutto ciò che non era essenziale.

Questo atteggiamento critico era il suo dono più grande. Jobs ha creato un modello di stile nel mondo dei computer proprio perché sapeva correggere e migliorare i suoi prodotti. Chissà cosa penserebbe delle manifestazioni di cordoglio arrivate da tut-to il mondo dopo la sua morte, il 5 ottobre scorso. Sicuramente ne sarebbe lusingato, ma il suo acuto spirito di osservazione po-trebbe avere la meglio. Stiamo parlando di un uomo che una volta chiamò un ingegne-re di Google durante un �ne settimana per dirgli che la tonalità di giallo della seconda “o” era imperfetta. Un uomo che, pur es-sendo l’amministratore delegato più famo-so del mondo, rispondeva alle email inviate da sconosciuti con una regolarità impres-sionante. La sua inso�erenza verso gli stu-pidi era leggendaria, e la valanga di articoli sulla sua vita che si pubblicano oggi gli da-rebbe sicuramente ai nervi. Di fronte a un

problema, molti dirigenti della Silicon val-ley si chiedono con fervore quasi religioso: “Cosa farebbe Steve al mio posto?”.

Credo che il signor Jobs darebbe un giu-dizio freddo e obiettivo della sua vita, e non si risparmierebbe qualche critica severa. Non avrebbe alcun problema a riconoscere che era un genio, visto che aveva un ego estremamente sviluppato, ma spieghereb-be anche con parole pungenti quali aspet-tative ha deluso e, con il senno di poi, cosa avrebbe dovuto fare per perfezionare il suo stile.

Steve Jobs lascia dietro di sé un’azienda importante nel settore tecnologico. Ha mantenuto la promessa che fece nel lonta-no 1997, quando tornò a Cupertino: salvare la Apple dalla rovina. Grazie al suo straor-dinario successo nella vendita di musica online e dispositivi mobili, la Apple è più forte che mai e usa questa posizione di van-taggio per limitare la libertà dei suoi utenti

Nessuna nostalgia

Apple aveva a disposizione tutte le risorse per rendere i suoi stabilimenti più umani. Ma ha subappaltato la produzione in Cina, dove le condizioni di lavoro sono spaventose

Mike Daisey, The New York Times, Stati Uniti

e imporre restrizioni più severe che in pas-sato. Tutti i prodotti Apple – l’iPod, l’iPhone e l’iPad – usano sistemi operativi chiusi. Gli utenti non possono installare i programmi da soli: devono scaricarli dai server della Apple, controllati e gestiti dalla casa ma-dre, che decide a suo piacimento cosa si può distribuire e cosa no, e quando interve-nire con la censura senza dare spiegazioni, o quasi.

Gli operai della FoxconnLo Steve Jobs che fondò la Apple come un’azienda anarchica per promuovere un’idea di libertà (i primi progetti con Ste-phen Wozniak erano dispositivi pirata e schede informatiche aperte) sarebbe spiaz-zato dal modo in cui il colosso di Cupertino sta costruendo il suo futuro.

Oggi nessuna azienda del settore tecno-logico somiglia più della Apple al Grande Fratello di 1984, usato in un celebre spot pubblicitario della Apple. È la dimostrazio-ne della velocità con cui il potere riesce a corrompere. Il successo dell’azienda è an-dato di pari passo con la trasformazione del sistema industriale globale. Appena dieci anni fa i computer della Apple erano as-semblati negli Stati Uniti, mentre oggi sono prodotti nella Cina meridionale in condi-zioni di lavoro spaventose. Come la stra-

Da sapere

iPadIncassa 5 miliardi di dollari nel primo anno sul mercato

iPhoneDiventa la parte più grande del fatturato Apple

iTunes e prodotti collegatiApple è tra i pionieri della vendita di musica online

iPodDal 2007 più di 50 milioni venduti ogni anno

SoftwareSoprattutto piccole applicazioni scaricabili

Computer e perifericheÈ il settore con cui Apple ha cominciato. Sta attraversando una nuova fase di crescita

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Steve Jobs torna come amministratore delegato. Se n’era andato nel 1985

Lancio dell’iMac

Lancio dell’iBook

Lancio dell’iPod

Lancio dell’iPhone

Fatturato annuale della Apple, miliardi di dollari. I dati si riferiscono agli anni �scali, che cominciano a settembre. Dati per il 2011 non ancora disponibili.

miliardi di dollari

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In copertina

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Fiori nella notte, candele e per�-no delle lacrime. Tutto questo davanti a dei negozi. Possibile

che solo gli eroi del capitalismo siano capaci di suscitare simili emozioni? No. Steve Jobs, morto nella notte di mercoledì 5 ottobre a 56 anni, era mol-to più di un grande imprenditore.

Il cofondatore della Apple ha cam-biato il mondo. Più di tanti grandi capi di stato, il suo lavoro ha trasformato la vita di centinaia di milioni di persone. La sua scomparsa ha provocato un nu-mero di reazioni u�ciali e anonime per�no superiore a quello che ci si po-trebbe aspettare per la morte di una grande rock star.

Su Sina Weibo, l’equivalente cinese di Twitter, quasi 35 milioni di micro-blog la mattina del 6 ottobre hanno parlato della sua morte.

La genialità di questo americano è consistita nel controllare la tecnologia per farla entrare nelle nostre vite. Mentre dal dopoguerra in poi molte aziende informatiche si sono lanciate nella corsa alla potenza, alle prestazio-ni, all’innovazione tecnologica, l’os-sessione di quest’uomo della Silicon valley è stata creare dei prodotti sem-plici e utili. Il mouse non è stato inven-tato dalla Apple, ma l’azienda della mela è stata la prima ad avere l’idea di lanciare un computer con un mouse: il

Macintosh. Era il 1984. I lettori mp3 non sono stati inventati dalla Apple, e neanche la musica online, ma il lancio nel 2001 dell’iPod e dell’iTunes store ha attirato le generazioni che fuggiva-no dalle grandi case discogra�che.

Internet sul cellulare, gli schermi touchscreen o i servizi online esisteva-no già da anni, ma è stata l’azienda ca-liforniana con l’iPhone nel 2007, l’App Store nel 2008 e l’iPad nel 2010 a ren-dere questo universo accessibile a tut-ti.

Senza diplomaPiù volte Jobs ha saputo rompere con il passato, segnando delle date che ri-marranno nella storia industriale in-sieme ad alcune grandi invenzioni. Un successo ancora più emblematico poi-ché si lega strettamente al mondo del-la Silicon valley. Nel 1976, a 21 anni, senza nemmeno avere un diploma fondò la Apple con un suo amico di origine polacca, Steve Wozniak.

La sua è stata la carriera di un im-prenditore fuori dal comune, in parti-colare per il ritorno nel 1997 a capo della “sua” impresa, da cui era stato al-lontanato dodici anni prima dagli azionisti. Ma prima ancora di essere una star mondiale, Jobs era un leader globalizzato, che ha saputo sfruttare senza limiti i vantaggi forniti dalla glo-balizzazione.

La fabbrica taiwanese Foxconn, che nei suoi stabilimenti giganti della Cina meridionale produce gli iPhone e gli iPad, è uno degli strumenti di que-sto successo. E i dipendenti della Foxconn e anche quelli della stessa Apple ne sanno qualcosa.

Le esigenze, talvolta assurde, di Steve Jobs hanno provocato non pochi danni alla società. È stato uno degli in-ventori del mondo di oggi, famoso co-me pochi potranno esserlo. Tanto di cappello. adr

Jobs è stato un uomo fuori dal comune. Ma le sue esigenze, talvolta assurde, hanno anche provocato dei danni

Un leader globalizzato

Le Monde, Francia

L’opinionegrande maggioranza delle aziende dell’in-dustria elettronica, la Apple aggira le leggi sul lavoro subappaltando tutta la produzio-ne a imprese come la Foxconn, tristemente nota per i suicidi nei suoi stabilimenti, per un operaio morto dopo aver fatto un turno di 34 ore, per i numerosi casi di maltratta-menti e per la tendenza a fare qualsiasi cosa pur di soddisfare gli alti standard di produ-zione �ssati da colossi del settore tecnolo-gico come la Apple.

Ho viaggiato nella Cina meridionale e ho intervistato molti operai dell’industria elettronica. Uno di loro aveva la mano de-stra rattrappita: era stata schiacciata da una pressa metallica in uno stabilimento della Foxconn, dove si assemblano i portatili e gli iPad. Resterà deformata a vita.

Quando gli ho mostrato il mio iPad l’operaio è rimasto a bocca aperta, perché non ne aveva mai visto uno acceso. Ha pas-sato la mano sullo schermo ed è rimasto incantato di fronte alle icone che scorreva-no avanti e indietro. Poi ha detto al mio tra-duttore: “Sembra magico”.

Un giudizio severoLa magia di Steve Jobs ha i suoi costi. Pos-siamo ammirare la perfezione del design e il suo �uto per gli a�ari, ma dobbiamo an-che riconoscere la verità: avendo a disposi-zione delle risorse immense, Steve Jobs avrebbe potuto rivoluzionare il settore in-troducendo un sistema di produzione più umano e aperto. A essere impietosi, senza cedere alla nostalgia, Jobs è stato un grande uomo con un talento per il design, una ca-pacità di comunicare e una competenza nel mondo delle tecnologie che resteranno a lungo senza rivali.

Ma è stato anche un uomo che in de�ni-tiva non è riuscito a “pensare in modo di-verso” – come recitava uno slogan della Apple, Think di�erent – nel senso più pro-fondo del termine, alle esigenze umane dei suoi utenti e dei suoi dipendenti.

È un giudizio molto severo, ma Steve Jobs ha sempre creduto fortemente nella sincerità brutale, e la verità è quasi sempre spiacevole. Dopo la sua morte, il compito di realizzare gli obiettivi che lui non è riuscito a raggiungere spetta a tutti i ribelli, i disa-dattati e i folli che pensano di poter cam-biare il mondo. eds

L’AUTORE

Mark Daisey è l’autore del monologo The

agony and the ecstasy of Steve Jobs.

Mentre le altre aziende cercavano la potenza, lui studiava la semplicità

Internazionale 919 | 14 ottobre 2011 19