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Un Natale assieme ai “Neet” A S I niziano con la stessa lette- ra Neet e Natale. Proprio nell’approssimarsi di que- sto giorno che vuole sottoli- neare la svolta dell’umanità con Dio, che entra nella storia dell’uomo per condividerne i passi, ecco che viene resa nota una rilevazione statistica: i “not in education, employment or training” che hanno un età compresa tra i 15 ed i 34 anni, sono oltre il 27%. Più di uno su quattro, insomma non studia, non lavora e non è in un per- corso di formazione ed ad Sud la percentuale è del 36,2%, oltre 2 milioni di persone. Si tratta di una percentuale infe- riore solo alla Bulgaria e alla Grecia e – elemento allarman- te – “se si guarda agli under 29 nel Mezzogiorno sono fuori dal percorso lavorativo, for- mativo e di istruzione il 36,2% dei giovani a fronte del 34,7% del terzo trimestre 2012”. Dietro questi numeri si cela innanzi tutto la difficoltà di un sistema, che contraddice aper- tamente il proprio fine, che a parole dice di considerare le nuove generazioni perché sono il “futuro” e nei fatti copre sot- to una coltre di terra persone, propositi e destino collettivo di una nazione. Si cela, tuttavia – e la speranza è di sbagliare – anche l’arrendersi a cercare, l’abulia che deriva dalla delu- sione di una ricerca orientata male e prematuramente inter- rotta. In questi giorni di “for- coni” branditi a fatti o a paro- le, val la pena di dire che una protesta fine a sé stessa non serve ed è necessario piuttosto trarre il massimo dal proprio disagio, perché non ci sia la malavita ad offrire “un’occa- sione”. Visto che la ricetta (nemmeno tanto segreta) sembra essere lo stare insieme, vale la pena credere ed agire pensando che si possa predisporre un proget- to comune di “lavoro solida- le” per “una vita più degna”. Quell’opera dell’uomo, cioè – ce lo dice anche il Compendio – che serve a “far crescere ef- fettivamente la dignità e la cre- atività di ogni singola persona, la sua capacità di rispondere alla propria vocazione e, dun- que, all’appello di Dio, in essa contenuto”. Non è questione di fervorini, ma di traduzione in qualcosa di fattibile queste parole, con l’acume di chi, tra 15 e 34 anni, ha la freschezza e l’apertura della mente, ancora – speriamo – non oppressa dai troppi calcoli e brutture che la collettività è capace di conce- pire. Le assemblee dei “for- coni” ed il presepe sembrano avere una cosa in comune: lo stare insieme. Il fine, tuttavia, ce lo indica una stella che non è invito a guardare il cielo in attesa che accada qualcosa: quel “qualcosa” è già accadu- to. Bisogna andargli incontro. Con speranza e fiducia. EDITORIALE C arissimi figli, Le feste del santo Natale sono rivestite di un’atmosfera particolare, che affascina piccoli e grandi. Le luci per la città, lo scambio dei doni, i giochi in famiglia caratterizzano questo tempo, che diventa pieno di senso solo se lo spirito si pone in adorazione del Verbo eterno che irrompe nella storia del mondo e in quella di ciascuno di noi. Ogni anno ci proponiamo di andare all’essenza del Natale e di lasciare da parte gli inviti della pubblicità, che ci parla di una felicità ottenuta attraverso i beni materiali, ma sappiamo bene quanto è difficile liberarci da una mentalità consumistica. Un aiuto ci viene da Betlemme. Lì impariamo due atteggiamenti fondamentali: lo stupore e la gratuità. Si resta infatti stupefatti al pensiero che Dio ha scelto di farsi nostro fratello in tutto e per tutto, condividendo le nostre gioie e i nostri dolori e tutto questo gratuitamente, come scrive san Paolo ai Filippesi: «Cri- sto Gesù, pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò sé stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini» (Fil 2,6-7). Quando Gesù viene alla luce a Betlemme è un tripudio di gioia: gli angeli dal cielo cantano «Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini che Egli ama» (Lc 2,14), mentre accanto a Gesù i Magi offrono ricchi doni e i pastori accorrono, non portando altro che sé stessi e lo stupore di aver potuto ve- dere le meraviglie di Dio racchiuse in un piccolo corpo avvolto in fasce e in una povera dimora. Purtroppo oggi lo stupore dei pastori sembra impossibile, offu- scato dalle nebbie dell’inquinamento, dal dramma dell’assenza del lavoro e delle tensioni sociali e politiche. Eppure la luce di Cristo continua a ridare speranza, perché attesta da un lato la cura instancabile di Dio per l’uomo e, dall’altro, il richiamo per ogni cristiano: il fratello che è accanto e che chiede un po’ di pane, che è solo in ospedale o in carcere, che è sfruttato o insul- tato è Cristo che vagisce nella culla e che soffre sulla croce. Alziamo allora lo sguardo e stendiamo le braccia: il nuovo anno sia fatto di accoglienza, incontri e rispetto. La solidarietà ha come sorelle la giustizia e la gratuità. Non importa il “quanto”, basta il “come”: Cristo piccolo e povero ci attende forse dietro l’angolo di casa, nel fratello che ci è più prossimo di quanto pos- siamo immaginare. Dio per Natale ci “dona” il suo unico Figlio: accogliamolo con gratitudine e condividiamolo con chi ancora lo attende e così potremo assistere a una nuova nascita, quella di Cristo in noi. Auguri di santo Natale e di un felice anno nuovo, + Domenico Et habitabit in nobis Vita Diocesana A Leverano la “Cena di Fraternità” Servizi a pagina 12 Focus Il 2015 dedicato alla Vita Consacrata Servizi a pagina 4 Primo Piano L’Arcivescovo: “Ascolto del Popolo di Dio e coraggio dell’obbedienza” Di Coste a pagina 5 Il messaggio dell’Arcivescovo Domenico Caliandro L’essenza del Natale, lo stupore e la gratuità Ai Lettori Anno XXXVI 12 Dicembre 2013 Redazione: piazza Duomo, 12 Brindisi E-mail: [email protected] Spedizione in A.P. - art. 2 - c.20 - L.662/96 In caso di mancato recapito inviare al CDM di Brindisi per la restituzione al mittente previo pagamento Resi 1.00 Mesagne, S. Maria in Betlem - Natività

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Un Nataleassieme

ai “Neet”A!"#$% S&%!%'&()*%

Iniziano con la stessa lette-ra Neet e Natale. Proprio nell’approssimarsi di que-

sto giorno che vuole sottoli-neare la svolta dell’umanità con Dio, che entra nella storia dell’uomo per condividerne i passi, ecco che viene resa nota una rilevazione statistica: i “not in education, employment or training” che hanno un età compresa tra i 15 ed i 34 anni, sono oltre il 27%. Più di uno su quattro, insomma non studia, non lavora e non è in un per-corso di formazione ed ad Sud la percentuale è del 36,2%, oltre 2 milioni di persone. Si tratta di una percentuale infe-riore solo alla Bulgaria e alla Grecia e – elemento allarman-te – “se si guarda agli under 29 nel Mezzogiorno sono fuori dal percorso lavorativo, for-mativo e di istruzione il 36,2% dei giovani a fronte del 34,7% del terzo trimestre 2012”.Dietro questi numeri si cela innanzi tutto la diffi coltà di un sistema, che contraddice aper-tamente il proprio fi ne, che a parole dice di considerare le nuove generazioni perché sono il “futuro” e nei fatti copre sot-to una coltre di terra persone, propositi e destino collettivo di una nazione. Si cela, tuttavia – e la speranza è di sbagliare – anche l’arrendersi a cercare, l’abulia che deriva dalla delu-sione di una ricerca orientata male e prematuramente inter-rotta. In questi giorni di “for-coni” branditi a fatti o a paro-le, val la pena di dire che una protesta fi ne a sé stessa non serve ed è necessario piuttosto trarre il massimo dal proprio disagio, perché non ci sia la malavita ad offrire “un’occa-sione”.Visto che la ricetta (nemmeno tanto segreta) sembra essere lo stare insieme, vale la pena credere ed agire pensando che si possa predisporre un proget-to comune di “lavoro solida-le” per “una vita più degna”. Quell’opera dell’uomo, cioè – ce lo dice anche il Compendio – che serve a “far crescere ef-fettivamente la dignità e la cre-atività di ogni singola persona, la sua capacità di rispondere alla propria vocazione e, dun-que, all’appello di Dio, in essa contenuto”. Non è questione di fervorini, ma di traduzione in qualcosa di fattibile queste parole, con l’acume di chi, tra 15 e 34 anni, ha la freschezza e l’apertura della mente, ancora – speriamo – non oppressa dai troppi calcoli e brutture che la collettività è capace di conce-pire. Le assemblee dei “for-coni” ed il presepe sembrano avere una cosa in comune: lo stare insieme. Il fi ne, tuttavia, ce lo indica una stella che non è invito a guardare il cielo in attesa che accada qualcosa: quel “qualcosa” è già accadu-to. Bisogna andargli incontro. Con speranza e fi ducia.

EDITORIALE

Carissimi fi gli,Le feste del santo Natale sono rivestite di un’atmosfera particolare, che a! ascina piccoli e grandi. Le luci per la

città, lo scambio dei doni, i giochi in famiglia caratterizzano questo tempo, che diventa pieno di senso solo se lo spirito si pone in adorazione del Verbo eterno che irrompe nella storia del mondo e in quella di ciascuno di noi.Ogni anno ci proponiamo di andare all’essenza del Natale e di lasciare da parte gli inviti della pubblicità, che ci parla di una felicità ottenuta attraverso i beni materiali, ma sappiamo bene quanto è di" cile liberarci da una mentalità consumistica. Un aiuto ci viene da Betlemme. Lì impariamo due atteggiamenti fondamentali: lo stupore e la gratuità. Si resta infatti stupefatti al pensiero che Dio ha scelto di farsi nostro fratello in tutto e per tutto, condividendo le nostre gioie e i nostri dolori e tutto questo gratuitamente, come scrive san Paolo ai Filippesi: «Cri-sto Gesù, pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò sé stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini» (Fil 2,6-7).Quando Gesù viene alla luce a Betlemme è un tripudio di gioia: gli angeli dal cielo cantano «Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini che Egli ama» (Lc 2,14), mentre

accanto a Gesù i Magi o! rono ricchi doni e i pastori accorrono, non portando altro che sé stessi e lo stupore di aver potuto ve-dere le meraviglie di Dio racchiuse in un piccolo corpo avvolto in fasce e in una povera dimora.Purtroppo oggi lo stupore dei pastori sembra impossibile, o! u-scato dalle nebbie dell’inquinamento, dal dramma dell’assenza del lavoro e delle tensioni sociali e politiche. Eppure la luce di Cristo continua a ridare speranza, perché attesta da un lato la cura instancabile di Dio per l’uomo e, dall’altro, il richiamo per ogni cristiano: il fratello che è accanto e che chiede un po’ di pane, che è solo in ospedale o in carcere, che è sfruttato o insul-tato è Cristo che vagisce nella culla e che so! re sulla croce.Alziamo allora lo sguardo e stendiamo le braccia: il nuovo anno sia fatto di accoglienza, incontri e rispetto. La solidarietà ha come sorelle la giustizia e la gratuità. Non importa il “quanto”, basta il “come”: Cristo piccolo e povero ci attende forse dietro l’angolo di casa, nel fratello che ci è più prossimo di quanto pos-siamo immaginare. Dio per Natale ci “dona” il suo unico Figlio: accogliamolo con gratitudine e condividiamolo con chi ancora lo attende e così potremo assistere a una nuova nascita, quella di Cristo in noi.

Auguri di santo Natale e di un felice anno nuovo,+ Domenico

Et habitabit in nobis

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A Leveranola “Cenadi Fraternità”

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Focus

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Primo Piano

L’Arcivescovo:“Ascolto del Popolo di Dioe coraggio dell’obbedienza”

Di Coste a pagina 5

Il messaggio dell’Arcivescovo Domenico CaliandroL’essenza del Natale, lo stupore e la gratuità

Ai Lettori

Anno XXXVI n° 12Dicembre 2013

Redazione: piazza Duomo, 12 BrindisiE-mail: [email protected] Spedizione in A.P. - art. 2 - c.20 - L.662/96

In caso di mancato recapito inviare al CDM di Brindisi per la restituzione al mittente previo pagamento Resi

€ 1.00

Mesagne, S. Maria in Betlem - Natività

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Primo Piano 315 Dicembre 2013

DOMANDE E RISPOSTESULLE OFFERTE INSIEME AI SACERDOTICHI PUÒ DONARE L’OFFERTA PER I SACERDOTI?Ognuno di noi. Per se stesso, ma anche a nome della famiglia o di ungruppo parrocchiale. Importante è che il nome del donatore corri-sponda ad una persona fisica.

COME POSSO DONARE?Con conto corrente postale n. 57803009 intestato a “Istituto cen-trale sostentamento clero - Erogazioni liberali, via Aurelia 796 00165Roma”Con uno dei conti correnti bancari dedicati alle Offerte, indicati sulsito www.insiemeaisacerdoti.it Con un contributo diretto all’Istituto sostentamento clero dellatua diocesi. La lista degli IDSC è su www.insiemeaisacerdoti.itCon carta di credito CartaSì, chiamando ilnumero verde CartaSì 800-825 000 o donando on line suwww.insiemeaisacerdoti.it

DOVE VANNO LE OFFERTE DONATE?All’Istituto Centrale Sostentamento Clero, a Roma. Che le distribuisceequamente tra i circa 37 mila preti diocesani. Assicura così una remu-nerazione mensile tra 883 euro netti al mese per un sacerdote appe-na ordinato, e 1.380 euro per un vescovo ai limiti della pensione. LeOfferte sostengono anche circa 3 mila preti ormai anziani o malati,dopo una vita intera a servizio del Vangelo e del prossimo. E 600 mis-sionari nel Terzo mondo.

PERCHÉ OGNI PARROCCHIA NON PUÒ PROVVEDERE DA SOLA ALSUO PRETE?L’Offerta è nata come strumento di comunione tra sacerdoti e fedeli,e delle parrocchie tra loro. Per dare alle comunità più piccole gli stes-si mezzi di quelle più popolose, nel quadro della “Chiesa-comunione”delineata dal Concilio Vaticano II.

CHE DIFFERENZA C’È TRA OFFERTE PER I SACERDOTI E L’OBOLO RACCOLTO DURANTE LA MESSA?È diversa la destinazione. Ogni parrocchia infatti dà il suo contributo alparroco. Che può trattenere dalla cassa parrocchiale una piccola cifra(quota capitaria) per il suo sostentamento. È pari a 0,0723 euro almese per abitante. E nella maggior parte delle parrocchie italiane, checontano meno di 5 mila abitanti, ai parroci mancherebbe il necessario.Le Offerte e l’8xmille vengono allora in aiuto alla quota capitaria.

PERCHÉ DONARE L’OFFERTA SE C’È GIÀ L’8XMILLE?Offerte e 8xmille sono nati insieme. Nel 1984, con l’applicazione degliaccordi di revisione del Concordato. L’8xmille oggi è uno strumentoben noto, e non costa nulla in più ai fedeli.Le Offerte invece sono un passo ulteriore nella partecipazione: com-portano un piccolo esborso in più ma indicano una scelta di vitaecclesiale. Tuttora l’Offerta copre circa il 3% del fabbisogno, e dunqueper remunerare i nostri sacerdoti bisogna ancora far riferimentoall'8xmille. Ma vale la pena far conoscere le Offerte perché questodono indica una scelta consapevole di vita ecclesiale. E raggiungeanche i sacerdoti di parrocchie piccole e lontane.

PERCHÉ SI CHIAMANO ANCHE “OFFERTE DEDUCIBILI”?Perché si possono dedurre dal reddito imponibile nella dichiarazionedei redditi fino a un massimo di 1.032,91 euro l’anno.

I SACERDOTI FANNO TANTO PER TUTTI NOI. Con un’Offerta possiamo ringraziarli tutti.

ESISTONO REALTÀ IN CUI I SACERDOTISONO L'UNICA LUCE.AIUTALI A TENERLAACCESA.A difesa delle creature, di terra e acqua,dono di Dio. Don Maurizio Patriciello,parroco di San Paolo apostolo aCaivano, è oggi voce di tanti senza vocenella Terra dei fuochi. Un’area di duemilioni di abitanti tra le province diNapoli e Caserta, dove da anni brucia-no senza sosta roghi tossici, controllatidalla camorra. Un business senza fine,alimentato dallo smaltimento illegale dirifiuti tossici da parte di imprese di tuttaItalia, nel silenzio di amministratori epolitici corrotti o collusi con i clan.“L’anticamera dell’inferno” l’ha definitaun comandante del Corpo Forestale.Oggi la mortalità sul territorio è doppiarispetto al resto del Paese. Non c’è

ormai una famiglia che non conti uno odue vittime. Hanno dai 9 ai 55 anni inomi di quelli che don Maurizio ricordanelle celebrazioni. “La terra avvelenata e tradita avvelena etradisce l’uomo - dice il sacerdote - oggii rifiuti vengono sia interrati, sia bruciatiper non lasciare tracce”. In Italia, tra dif-fuse violazioni ambientali e cambia-menti climatici, sono sempre più nume-rosi i preti diocesani che si dedicano aquesta nuova evangelizzazione, attra-verso la custodia del creato. Perchédalla salvaguardia del patrimonio natu-rale dipendiamo per la salute e la vita.Don Patriciello non è solo. L’interaChiesa è con lui. Dai vescovi e parrocicampani a tutti i fedeli italiani chesostengono la sua missione, ancheattraverso le Offerte per il sostentamen-to. Segno di vicinanza e corresponsabili-tà verso i nostri preti diocesani, che sifanno pane spezzato nell’annuncio delVangelo e nel servizio ai più deboli.

VICINO AI SACERDOTI,VICINO AL CUOREDELLA CHIESA.Ognuno di noi è parte della Chiesa. LaChiesa è cosa mia, io le appartengo elei mi appartiene. Se credo in GesùCristo, se ho questa speranza dentro ilcuore, e non la disperazione, è meritosuo, è della Chiesa che mi ha accolto.Perciò mi sento responsabile: toccaanche a me contribuire perché que-sta Chiesa possa accogliere tanti altricome me. Al cuore di tutto l’Eucarestia. E con Essai sacerdoti. Vicini. E lontani, lontanissi-mi, che mai vedrò ma che esistono ehanno bisogno di me, perché io appar-tengo a loro e loro a me. Don Donato, a Roma è parroco di unadelle 26.000 parrocchie italiane, e faparte della Chiesa. Così come anchedon Luigi a Rimini, don Giancarlo aLamezia Terme, don Antonio a Napolie via via, insieme a tutti i 37.000 sacer-doti diocesani, compresi quelli anzianie malati. Tutti sono nel cuore dellanostra Chiesa.

La responsabilità di provvedere econo-micamente al loro sostentamento tornasu ogni fedele, proprio come un tempo,alle origini, quando tutto cominciò.Questione di “dovere” penserà qualcu-no. Giusto. Prima ancora è questionedi “fede” e di “affetto”, che dannosenso al dovere.Innanzitutto c’è questo pensiero. Alloral’offerta, destinata esclusivamente alloro sostentamento, smette di essereun semplice esborso di denaro e diven-ta un gesto di comunione. Questo ilsenso della Giornata Nazionale che sicelebra il 24 novembre.Comunione e libertà di donare. Iltempo donato è un gesto d’amoreimportante, verso il prossimo e versoDio. E il Signore ama chi dona e chi “si”dona con gioia. Siamo liberi di donaretempo, sorrisi, confortare e aiutare. Eliberi di sostenere economicamente laChiesa anche tramite una piccolaofferta destinata non solo al nostroparroco, ma a ogni “don” che si èofferto di servire Gesù e la Chiesa attra-verso un “sì” alla Sua chiamata.

Maria Grazia Bambino

La fraternità come “dimensione essen-ziale dell’uomo”, che s’impara in fami-glia e c’insegna a vedere gli altri come

“fratelli da accogliere e da abbracciare”, e non come “nemici e concorrenti”. La frater-nità come antidoto all’egoismo individuale e collettivo, alla “globalizzazione dell’indif-ferenza” che “ci fa lentamente abituare alla so!erenza dell’altro”, alla “mentalità dello scarto” grazie alla quale la convivenza uma-na diventa solo un “do ut des”. La fraternità come via per la pace, che in politica chiede la cessazione del “clima perenne di conflit-to” a favore di “politiche e"caci” che sap-piano ridurre la “sperequazione del reddito”, contrastare la “povertà relativa” e il disagio, eliminare la corruzione e la criminalità or-ganizzata, migliorare le condizioni disu-mane delle carceri. Sono questi alcuni temi del primo messaggio di Papa Francesco per la Giornata mondiale della pace, che si ce-lebrerà il 1° gennaio sul tema: “Fraternità, fondamento e via per la pace”. Nel testo, il Papa lancia un doppio appello: a fermare la guerra, “esperienza dilaniante che costitui-sce una grave e profonda ferita inferta alla fraternità”, e a favorire il disarmo “da parte di tutti, a cominciare dal disarmo nucleare e chimico”.

Le guerre visibili e quelle invisibili. “La glo-balizzazione dell’indi!erenza ci fa lenta-mente abituare alla so!erenza dell’altro”. È la denuncia del Papa, secondo il quale “in tante parti del mondo, sembra non cono-scere sosta la grave lesione dei diritti uma-ni fondamentali, soprattutto del diritto alla vita e di quello alla libertà di religione”. Come “inquietante esempio”, il Papa cita “il tragico fenomeno del tra"co degli esseri umani, sulla cui vita e disperazione specula-no persone senza scrupoli”. “Alle guerre fat-te di scontri armati” si aggiungono “guerre meno visibili, ma non meno crudeli, che si combattono in campo economico e finan-ziario con mezzi altrettanto distruttivi di vite, di famiglie, di imprese”. Nella famiglia di Dio, ribadisce il Papa, non ci sono “vite di scarto”, perché “tutti godono di un’eguale e intangibile dignità”. Tutti sono amati da Dio, “è que-sta la ragione per cui non si può rimanere indi!erenti davanti alla sorte dei fratelli”.

Politiche contro disagio e povertà. In un mondo in

cui diminuisce la povertà assoluta ma aumenta la “povertà relativa” e i “diversi tipi di disagio, di emargi-nazione, di solitudine e di varie forme di dipendenza patologica”, per il Papa servono “politiche e"caci che promuovano il principio della fraternità, assicurando alle persone di accedere ai capitali, ai servizi, alle ri-

sorse educative, sanitarie, tecnologiche”. In particolare, urgono “politiche che servano ad attenuare una eccessiva sperequazione del reddito”, seguendo l’insegnamento del-la Chiesa sull’“ipoteca sociale” dei beni. Per “essere veramente cristiani”, però, serve “il distacco di chi sceglie di vivere stili di vita sobri ed essenziali”. La crisi odierna può essere anche “un’occasione propizia per re-cuperare le virtù della prudenza, della tem-peranza, della giustizia e della fortezza”: le quattro virtù cardinali “ci possono aiutare a superare i momenti di"cili e a riscoprire i vincoli fraterni che ci legano gli uni agli altri”, andando oltre l’obiettivo della “mas-simizzazione del proprio interesse indivi-duale”.

No alla guerra, sì al disarmo. “Molti sono i conflitti che si consumano nell’indi!e-renza generale”, denuncia il Papa, che lan-cia un “forte appello a quanti con le armi seminano violenza e morte: riscoprite in colui che oggi considerate solo un nemico da abbattere il vostro fratello e fermate la vostra mano! Rinunciate alla via delle armi e andate incontro all’altro con il dialogo, il perdono e la riconciliazione per ricostruire la giustizia, la fiducia e la speranza intorno a voi!”. Poi l’appello al disarmo.

I mali del nostro tempo. “Un autentico spi-rito di fraternità vince l’egoismo individua-le”. Ad assicurarlo è il Papa, che stigmatizza l’“egoismo” che “si sviluppa socialmente sia nelle molte forme di corruzione, oggi così capillarmente di!use, sia nella formazione delle organizzazioni criminali”. Tra i mali del nostro tempo, il Papa elenca il “dramma lacerante della droga”, la “devastazione del-le risorse naturali” e l’inquinamento in atto, la “tragedia dello sfruttamento del lavoro”, i “tra"ci illeciti di denaro” e la speculazione, la prostituzione e il tra"co di esseri umani, i reati e gli abusi contro i minori, la schiavitù, la “tragedia spesso inascoltata dei migranti sui quali si specula indegnamente nell’ille-galità”, le condizioni disumane delle carceri. Per la terza volta in tre giorni, infine, torna

a denunciare la “vergogna della fame nel mondo”, che ci porta a domandarci “in che modo usiamo le risorse della terra”.

M.Michela Nicolais

GIORNATA MONDIALE Reso noto il Messaggio per il 1° Gennaio 2014

La globalizzazione della fraternità costruisce la pace

Pace e fraternità. È il primo messaggio che Papa Fran-cesco invia per la Giornata mondiale della pace. Sul tema è stato detto molto, se non tutto, nel Concilio e

nei messaggi inviati da Paolo VI che ha voluto questa Gior-nata e dagli altri Papi che si sono succeduti in questi 46 anni dall’inizio, senza contare la “Pacem in terris” (1963) di Giovanni XXIII. La curiosità di molti è sapere se e in che cosa si possa trovare un aspetto specifico della mentalità e dello stile del nuovo Pontefice. È risaputo che il nome di Francesco suona pace per vari motivi che è inutile ripete-re, tanto sono noti, ed egli, fin dalle prime righe del testo annuncia, “a tutti, singoli e popoli”, che la fraternità uni-versale è il nuovo nome della pace. Chi legge ha da subito l’impressione di trovarsi di fronte a un documento impor-tante, solido, pensato e studiato, quasi un piccolo trattato della relazione tra la pace e la fraternità. Questa è prima di tutto considerata una dimensione fondamentale e radicale di ogni essere umano, un anelito, un’aspirazione. L’uomo cerca i suoi fratelli e le sue sorelle, non può vivere da solo, la sua famiglia è l’intera umanità dentro la quale dovrebbe e vorrebbe sentirsi a casa sua, sicuro di non aver motivo di temere alcun male. È anche una vocazione: “Tale voca-zione è però ancor oggi contrastata e smentita nei fatti, in un mondo caratterizzato da quella ‘globalizzazione dell’in-di!erenza’ che ci fa lentamente ‘abituare’ alle so!erenze dell’altro, chiudendoci in noi stessi”.Semplice e diretto, il discorso di Francesco coglie il centro del problema ed evoca l’antica storia primordiale del fratri-

cidio e dei motivi che l’hanno causato. Chiamati dall’unico Padre di tutti a vivere in pace tra loro, gli uomini si sono macchiati del sangue dei fratelli, sparso lungo tutta la loro storia. Il progresso e le trasformazioni sociali non migliora-no il cuore umano. Anche la globalizzazione, ad esempio, “ci rende vicini ma non fratelli”. In essa convivono ingiusti-zie, sperequazioni, sfruttamento, individualismo, egocen-trismo e consumismo, conflittualità tanto da dover sentire ancor oggi attuale la domanda di Dio a Caino: “Dov’è tuo fratello?” (Gn 4,9). Tale domanda non trova risposta se non nel cuore di chi crede e, considerato Dio come Padre di tutti, si fa discepolo di Cristo che ha abbattuto ogni muro di separazione tra gli uomini attraverso la sua croce, defini-ta “il luogo definitivo di fondazione della fraternità che gli uomini non sono in grado di generare da soli”.Papa Francesco ripropone l’insegnamento sulla pace e le condizioni che la rendono possibile come sono state in-dicate dai suoi predecessori: la pace come sviluppo, come solidarietà, come frutto della giustizia, come dovere di ca-

rità. Propone, tuttavia, con forza la condizione della frater-nità come “fondativa” della pace: “Tutti sono amati da Dio, tutti sono riscattati da Cristo, morto in croce e risorto per ognuno. E questa è la ragione per cui non si può rimanere indi!erenti davanti alla sorte dei fratelli”.La dottrina sociale della Chiesa non è per Francesco un trat-tato di sociologia, di economia o di politica, ma sta dentro un concezione teologica e mistica e fa parte dell’evangeliz-zazione: “Non si tratta di una fraternità, indistinta e stori-camente ine"cace” - come quella proclamata nella triade illuministica della Rivoluzione francese, aggiungiamo noi – “bensì dell’amore personale, puntuale e straordinaria-mente concreto di Dio per ciascuno di noi” (cf Mt 6,25-30). Se vi fossero dubbi Francesco ribadisce: “La solidarietà cristiana presuppone che il prossimo sia amato non solo come un essere umano con i suoi diritti e la sua fondamen-tale uguaglianza davanti a tutti, ma come viva immagine di Dio Padre, riscattata dal sangue di Gesù Cristo e posta sotto l’azione permanente dello Spirito santo”. Se è vero, dice Francesco, che la fraternità così intesa è “fondamento e via per la pace”, allora ne scaturiscono conseguenze prati-che coerenti nei vari ambiti della vita sociale: “La fraternità spegne la guerra”, aiuta a “custodire e a coltivare la natura”, si oppone alla “corruzione e al crimine organizzato” e si pone a “servizio” dell’utilità comune: “Il servizio è l’anima di quella fraternità che edifica la pace”.

Elio Bromuri

GIORNATA MONDIALE Prime note leggendo il messaggio di Papa Francesco

Scegliere la fraternità fonda e genera la paceE scaturiscono conseguenze pratiche coerenti nei vari ambiti della vita sociale: “La fraternità spegne la guerra”, aiuta a “custodire e a coltivare la natura”, si oppone alla “corruzione e al crimine organizzato” e si pone a “servizio” dell’utilità comune

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Primo piano – Vita consacrata 15 Dicembre 2013 Esclusivo 515 Dicembre 2013

I l volto del vescovo appare un po’ stanco al termine di una intensa mattinata in cui sacerdoti e laici si sono susseguiti per con-

frontarsi con lui o semplicemente per salutarlo. È questo il prezzo (gradito) per aver deciso di rendersi disponibile a chiunque voglia incon-trarlo, senza passare per lunghe liste d’attesa o appuntamenti stabiliti. Anche noi siamo sta-ti in fila per incontrare monsignor Caliandro e rivolgergli qualche domanda a pochi giorni dal primo anniversario di ministero nella no-stra diocesi, inaugurato il 5 gennaio 2013.

Il ministero dell’ascoltoPartiamo proprio dalle udienze aperte a tutti e chiediamo il motivo di questa scelta inusuale per un’autorità: «Sono stato consacrato vesco-vo ventuno anni fa e dal primo momento ho deciso di mettermi in ascolto di chiunque ne avesse bisogno. Ho ereditato questa abitudi-ne da monsignor Armando Franco, che è stato per me un maestro in questo senso. Fu lui a suggerirmi con forza di dedicare almeno due o tre giorni all’ascolto del popolo di Dio e ne ho capito anche io l’importanza».E così, dal lunedì al mercoledì nella sala del-le udienze, seguendo l’ordine d’arrivo, giovani lavoratori, amici di un tempo, parroci e sa-cerdoti si mettono in fila per colloquiare col vescovo, che afferma categoricamente: «Per conoscere la diocesi occorre dedicare del tem-po all’ascolto di tutti. Possono venire perso-

ne con le esigenze più disparate, ma questo mi permette di capire quali sono le esigenze del nostra Chiesa locale», e aggiunge: «Lo stesso vale per gli uffici diocesani, che sono aperti nelle stesse giornate in cui il vescovo è a disposizione della gente. Questo perché chi viene in Curia ha la possibilità di trovare i sacerdoti incaricati per risolvere ogni proble-ma: dall’ufficio della Caritas a quello dei Beni culturali». Non si tratta solo di un’impostazione per ga-rantire un’efficiente servizio ai fedeli, ma di una vera e propria attitudine pastorale, per-ché a capo dei singoli uffici sono stati posti dei parroci. Conferma il vescovo: «Ogni uffi-cio deve avere uno stile pastorale e per questo a capo vi si trova un parroco. Certamente egli avrà un carico maggiore di impegni, ma anche più stimolo per comprendere le richieste dei

fedeli e risolverle con rapidità e con la con-cretezza di chi vive accanto alla gente giorno dopo giorno».

Il coraggio di obbedireMai nulla va dato per scontato, anche nella vita di un vescovo. Alla domanda sui senti-menti provati dopo la nomina ad arcivescovo di Brindisi-Ostuni, monsignor Caliandro ri-sponde con molta onestà: «Sofferenza. Mi ero molto legato alla diocesi di Nardò-Gallipoli. Lì avevo svolto ben tredici anni di ministero pastorale e avevo stretto rapporti con tantis-sima gente, specialmente dopo la visita pasto-rale. Nella mia mente si riproponevano i volti di tante persone, le loro confidenze, le loro gioie e i loro problemi. Non è stato facile, ma c’è stata una condizione che ha permesso di intraprendere con serenità il nuovo incarico: l’obbedienza. Ho accettato questa nuova mis-sione con grande fiducia e quando si compie la volontà di Dio si ha in dono la pace interio-re. Il resto si è andato a sistemare nel corso dei

mesi, conoscendo i sacerdoti e le loro espe-rienze, l’entusiasmo dei preti giovani e le mo-tivazioni dei seminaristi. Le relazioni si ven-gono a creare solo quando si cerca il bene».L’obbedienza è un elemento fondamentale per il vescovo Caliandro, che la ritiene una virtù di cui si devono munire in particolare i sacer-doti: «I preti condividono con il vescovo e il popolo di Dio l’unico sacrificio di Cristo e non devono mai dimenticare che hanno fra le mani un immenso patrimonio, quello del Regno di Dio. Capita di avere a che fare con sacerdoti scontenti e tristi. Questo non va bene».I pensieri del vescovo si concentrano spesso sui giovani seminaristi e sui preti novelli che, a suo parere, devono essere uomini concreti e preparati per svolgere bene il proprio mini-stero: «Io chiedo a tutti, specialmente ai pre-ti giovani, di avere la logica della comunione. Solo in questo modo lo Spirito può agire, dare i suoi doni e vivificare la comunità. Occor-re inoltre che il prete sia competente. Natu-ralmente ognuno deve valorizzare le proprie sensibilità, ma deve essere preparato per poi mettersi a disposizione della Chiesa. La dio-cesi vive nella sinergia dei ministeri: il vesco-vo non domina, ma è confortato e aiutato dal-la collaborazione dei presbiteri e per questo serve che ognuno dia il proprio apporto. La chiusura non serve a nulla. Dobbiamo invece allargare gli orizzonti e guardare oltre il re-cinto della nostra parrocchia. Questo vale an-

che per i preti e non solo per i laici».

Le esigenze socialiDal rapporto tra vescovo e presbiteri si passa così alla presenza attiva dei laici nella vita del-la diocesi. Il vescovo afferma senza esitazione che «l’apporto dei laici nella vita della diocesi è fondamentale, perché a loro spetta partico-larmente il compito di portare il Regno di Dio nella vita di ogni giorno. Come farlo? Unendo l’impegno professionale all’annuncio cristia-no. Il cristiano vive il Vangelo nella sua vita concreta e nella professione che svolge quoti-dianamente».Il discorso fila, ma nella pratica ci si scontra con tanti problemi ogni giorno, dall’assenza del lavoro alla crisi ambientale. Il vescovo concorda e specifica che «la carenza di lavo-ro, gli incalzanti problemi ambientali e sociali ci chiedono di riflettere e di impegnarci, ma da cristiani. L’ambiente, per esempio, è un problema serio, che però va affrontato non a forza di scoop, ma cercando di prendere co-scienza della gravità della situazione, per poi agire. Lo stesso vale per la formazione, in cui è da sempre impegnata l’Azione Cattolica, o il mondo del lavoro, dove operano associazio-ni come le Acli o il Progetto Policoro: il no-stro compito non è solo di aiutare i giovani a trovare lavoro, ma di stimolarli, perché siano anch’essi a creare degli impieghi, collaboran-do così al bene della società».

Andrea Giampietro

A UN ANNO DALL’INSEDIAMENTO Intervista all’arcivescovo di Brindisi-Ostuni

Mons. Caliandro: Ascolto del popolo di Dio e coraggio di obbedireVerso il 2015 Impossibile dormiretra illusori guanciali

Il dono annunciato da Francesco non si re-stringe a chi lo riceve, quasi giungesse ad un destinatario che poi, in un qualche modo, lo

consuma, ma si dilata e si estende a tutti. Se in-fatti il consacrato o la consacrata fossero ripie-gati su loro stessi e chiusi in un bozzolo, verreb-be a mancare la condizione previa di vita donata all’Altissimo e a tutti i fratelli e le sorelle. L’annuncio di Francesco è una sorta di miccia che percorre la storia e la geografia del nostro pianeta e può illuminarlo con la luce di Cristo, meglio con Cristo, Luce del mondo.Le condizioni sono esigenti, bisogna conoscer-le e farle proprie, indubbiamente avremo tutto il 2015 per digerirle ma, per incarnarle, verrà messa in causa tutta intera l’esistenza di chi av-verte in sé l’urgenza della risposta a seguire il Signore da consacrati:.“Possono svegliare il mondo”: la sveglia non è proprio l’oggetto più simpatico che una persona possegga! Dobbiamo, noi consacrati, diventare proprio così antipatici e tormentare chi sta ri-prendendo forze dopo una giornata di fatiche? Svegliare va inteso in un altro senso, quello evan-gelico: scuotere la coscienza, destare dall’ingor-go e dall’a!anno dell’accumulo, della corsa alla carriera e da quel particolare sonno che, l’im-mersione nell’e"mero, produce come una sorta di anestesia e di chiusura verso le necessità al-trui. Tale risveglio non nega la realtà della storia e neppure la costruzione del benessere ma non lo lega al proprio benessere, alla propria como-dità. Gli occhi aprendosi si posano sensibili su ogni bisogno, su ogni silente richiesta di aiuto, a quel grido muto, per dignità o debolezza, che esplode o implode dalla persona cui è sottratta la propria elementare dignità: per fame, quando noi sprechiamo a dismisura; per servaggio, in sottomissione coatta a una libidine che impedi-sce di chiamare persona chi abusa di minori e di donne indifese e fa vergognare di condividere la stessa natura, la stessa nazionalità; per mancan-za di lavoro che porta alla depressione;“La vita consacrata è profezia”: annuncio della Parola di Dio che viene incontro alla creatura, testimonianza di un incontro con il Figlio che ha assunto la natura umana, da cui scaturisce una mentalità altra che ama il presente e vi leg-ge l’interazione del Misericorde e di coloro che si lasciano investire dalla sua luce in quel pel-legrinaggio, passo dopo passo, verso il Volto di Dio, lodandolo per la creazione, chiedendogli il dono della giustizia che solo può portare pace a tutti; “Uscire dal nido che ci contiene”: il rischio di es-sere depositari di un annuncio che si ripiega su se stesso e in fin dei conti dialoga con il proprio ombelico, è fortissimo e ci si salva solo con una dinamica di uscita, vale a dire di dimenticanza e oblio di sé per andare incontro e fare di ogni persona e di ogni situazione, luogo dell’incontro con Cristo;“Essere inviati nelle frontiere del mondo”: non si sceglie, ci si riconosce inviati, sollecitati e impos-sibilitati ad una stasi che, in realtà, assomiglia al sonno da cui bisognerebbe svegliare il mondo! Frontiere diverse: per le carmelitane il 2015 sarà l’anno in cui si celebrerà il VII centenario della nascita di Teresa di Gesù e la frontiera non sarà altro che una cella eremitica, tensione condivisa con le altre sorelle, che, se sveglia diventerà pre-senza ubiqua, universale; per la famiglia salesia-na nel II centenario della nascita di don Bosco sarà un qualsiasi luogo o circostanza in cui urge la condivisione, l’aiuto, l’annuncio di Colui che ci salva; per tutti delineate sulla base dei propri carismi;“Evitando la tentazione di addomesticarle”: è la frontiera che plasma e non noi, frontalieri e frontaliere, che riduciamo tutto alla nostra mi-sera misura; in gioco vi è la non misura della vita vissuta faccia a faccia con l’Altissimo, la cui ricaduta e prova del nove è semplicissima e si racchiude in una domanda: dov’è tuo fratello, dov’è tua sorella?Se faremo nostre queste indicazioni la speran-za si ritroverà rinvigorita e potremo pensare di non dormire fra comodi illusori guanciali ma ci staremo giocando nel modo più concreto di imitare il Signore.

Cristiana Dobner

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A fine novembre Papa Francesco ha an-nunciato che il 2015

sarà dedicato alla vita con-sacrata. L’annuncio è stato dato dal Pontefice nel cor-so dell’incontro avuto in Vaticano con i partecipanti all’82ª assemblea generale dell’Unione superiori ge-nerali (Usg), che si è svolta in questi giorni a Roma. A darne notizia è un comuni-cato dell’Unione, riferendo che nell’incontro, durato tre ore, Papa Francesco ha ri-sposto a braccio alle doman-de poste dai superiori gene-rali, in tutto 120. I religiosi, ha osservato il Santo Padre, “sono uomini e donne che possano svegliare il mondo” perché “la vita consacrata è profezia”. Dio, ha detto an-cora, “ci chiede di uscire dal nido che ci contiene ed es-sere inviati nelle frontiere del mondo, evitando la ten-tazione di addomesticarle”. Nel sottolineare l’impor-tanza del dialogo intercul-

turale, il Papa ha osservato che occorre introdurre nel governo degli Istituti reli-giosi persone di varie cultu-re. Centrale la formazione, basata per il Pontefice, si legge nella nota, su quattro pilastri fondamentali: for-mazione spirituale, intellet-tuale, comunitaria e aposto-lica. Da qui l’invito a evitare ogni forma di ipocrisia e clericalismo: “La formazio-ne è un’opera artigianale, non poliziesca”, “l’obiettivo è formare religiosi che ab-biano un cuore tenero e non acido come l’aceto. Tutti siamo peccatori, ma non corrotti. Si accettino i pec-catori, ma non i corrotti”.La fraternità, ha afferma-to quindi Papa Francesco, ha una forza di attrazione enorme. A volte è difficile, ma se non la si vive non si è fecondi. “Mai - il suo mo-nito - dobbiamo agire come gestori davanti al conflitto di un fratello: bisogna ac-carezzare il conflitto”. Per

quanto riguarda le frontiere della missione dei consacra-ti, esse, il parere del Ponte-fice, “vanno cercate sulla base dei carismi”. Le realtà di esclusione rimangono le priorità più significati-ve. Accanto a queste sfide, ha citato quella culturale e quella educativa nelle scuole e nelle università. Indican-do tre pilastri dell’educa-zione: “Trasmettere cono-scenza, trasmettere modi di fare, trasmettere valori”, il Papa ha chiarito che “at-traverso questi si trasmette la fede”. Per questo “l’educa-tore deve essere all’altezza delle persone che educa, e interrogarsi su come an-nunciare Gesù Cristo a una generazione che cambia”. Il ringraziamento del Pontefi-ce, infine, ai superiori gene-rali per lo “spirito di fede e la ricerca del servizio”; per la “testimonianza”, e “an-che per le umiliazioni per le quali dovete passare”.

ANNUNCIO Le parole del Pontefice nell’Assemblea dell’Ugs

L’anno 2015 dedicato alla Vita consacrata

ORDO VIRGINUM A base resta la consacrazione personale

Verso la tanto attesa Nota pastoraleLo scorso settembre, nel-

la sessione autunnale del Consiglio episcopale per-

manente, S. Ecc. Mons. France-sco Lambiasi, Presidente della Commissione episcopale per il clero e la vita consacrata, ha presentato la richiesta per la tanto auspicata Nota pastorale sull’Ordo virginum; Nota che ha conosciuto un lungo iter di preparazione e che, finalmente, pare stia per essere portato a compimento. Essa offrirà cer-tamente la possibilità di cono-scere ed approfondire uno stile di consacrazione che ha le sue origini proprio nei primi se-coli del cristianesimo e che è rifiorita grazie al Concilio Va-ticano II, il quale auspicava la revisione del rito della consacrazio-ne delle vergini (cfr. SC 80). L’Or-do virginum è una realtà presente sul territorio na-zionale, che conta oltre cinquecen-to consacrate in ben oltre cento diocesi italiane e altrettante in for-mazione. Nella nostra diocesi, ac-canto alle sei con-sacrate già pre-senti da otto anni, due donne, da tre anni circa, stan-no compiendo un cammino forma-tivo personale e con il delegato del Vescovo, mons. Pio Conte. Si trat-ta di una forma di consacrazione che non conosce al-cuna struttura, non dispone di superiori né prevede la vita co-munitaria o una regola comune o l’emissione dei voti religiosi. È una consacrazione personale,

in risposta al proposito di vergi-nità perpetua che Dio stesso ha ispirato, a servizio della Chie-sa particolare, nelle quotidiane situazioni della vita, mettendo a frutto e valorizzando i cari-smi personali. Ciò comporta un cammino formativo che orienti alla consapevolezza della scel-ta, fatta una volta per sempre senza tappe intermedie, di vive-re nello stato di verginità per-petua la propria appartenenza totale a Cristo, in un cammino di crescita umana anzitutto e di fede adulta. Nella persona del Vescovo, la comunità cristiana accoglie il dono che Dio stesso fa alla sua Chiesa e la vergine consacrata esprime nella realtà la condizione futura della Chie-

sa stessa, chiamata ad essere sposa di Cristo. In Italia esiste da molti anni un Gruppo per il collegamento tra le consacrate delle diverse diocesi italiane,

rinnovabile ogni biennio me-diante votazione assembleare, che ha il compito di portare avanti quanto da anni si sta ma-turando: anzitutto un percorso formativo nazionale, che pre-vede annualmente un Semina-rio di studio e un Incontro na-zionale; la cura e la redazione degli Atti ufficiali di questi ap-puntamenti; la cura dei rappor-ti con la Conferenza episcopale italiana; la cura e l’aggiorna-mento del sito ufficiale dell’Or-do (www.ordovirginum.org). A partire dallo scorso anno, l’Or-do virginum sta approfondendo le quattro Costituzioni conci-liari. Dopo la Gaudium et spes, il prossimo Incontro nazionale, che si svolgerà in agosto prossi-

mo in Sardegna, svilupperà come tema la vita li-turgica della con-sacrata alla luce della Sacrosan-ctum Concilium, preceduto dal Seminario di stu-dio del prossimo marzo, che rivisi-terà il rito di con-sacrazione delle vergini, che espli-cita con chiarez-za l’identità della consacrata. Non resta che atten-dere l’uscita del-la Nota pastorale ufficiale, auspi-cando una mag-giore conoscenza di questa forma di consacrazione, per una sua valo-rizzazione quan-to mai fedele al carisma, senza

forzature né storture che limi-tino la ricchezza e l’originalità del dono dello Spirito.

Anna Rita Lamendola

Page 4: Spedizione in A.P. - art. 2 - c.20 - L.662/96 Et …...Gr ecia e Ð elemento allarman-te Ð Òse si guar da agli under 29 nel Mezzogiorno sono fuori dal per corso lavorativo, for -

Vita Diocesana15 Dicembre 201315 Dicembre 2013Vita Diocesana6 7

Giornata del Malato 2014Fede e carità: “anche noi

dobbiamo dare la vita per i fratelli”

“La Chiesa riconosce in voi, cari ammala-ti, una speciale presenza di Cristo sof-ferente. È così: accanto, anzi, dentro la

nostra sofferenza c’è quella di Gesù, che ne por-ta insieme a noi il peso e ne rivela il senso”. Sono le parole di Papa Francesco nel suo messaggio in occasione della XXII Giornata mondiale del malato (11 febbraio 2014), che quest’anno ha come tema “Fede e carità: ‘Anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli’ (1 Gv 3,16)”. “Quando il Figlio di Dio è salito sulla croce - scrive il Papa - ha distrutto la solitudine della sofferenza e ne ha illuminato l’oscurità. Siamo posti in tal modo dinanzi al mistero dell’amore di Dio per noi, che ci infonde speranza e coraggio: speranza, perché nel disegno d’amore di Dio anche la notte del dolore si apre alla luce pasquale; e coraggio, per affrontare ogni avversità in sua compagnia, uniti a Lui”. “Il Figlio di Dio fatto uomo - prosegue - non ha tolto dall’esperienza umana la malattia e la sofferenza, ma, assumendole in sé, le ha tra-sformate e ridimensionate. Ridimensionate, per-ché non hanno più l’ultima parola, che invece è la vita nuova in pienezza; trasformate, perché in unione a Cristo da negative possono diventare positive. Gesù è la via, e con il suo Spirito pos-

siamo seguirlo. Come il Padre ha donato il Figlio per amore, e il Figlio ha donato se stesso per lo stesso amore, anche noi possiamo amare gli altri come Dio ha amato noi, dando la vita per i fra-telli”. “La fede nel Dio buono diventa bontà - afferma Papa Francesco -, la fede nel Cristo Crocifisso diventa forza di amare fino alla fine e anche i nemici. La prova della fede autentica in Cristo è il dono di sé diffondersi dell’amore per il prossi-mo, specialmente per chi non lo merita, per chi soffre, per chi è emarginato”. Il Papa ricorda che “quando ci accostiamo con tenerezza a coloro che sono bisognosi di cure, portiamo la speranza e il sorriso di Dio nelle contraddizioni del mondo. Quando la dedizione generosa verso gli altri di-venta lo stile delle nostre azioni, facciamo spazio al Cuore di Cristo e ne siamo riscaldati, offrendo così il nostro contributo all’avvento del Regno di Dio”. “Per crescere nella tenerezza, nella carità rispettosa e delicata - ricorda -, noi abbiamo un modello cristiano a cui dirigere con sicurezza lo sguardo. È la Madre di Gesù e Madre nostra, attenta alla voce di Dio e ai bisogni e difficoltà dei suoi figli”. “Lei sa come si fa questa strada - aggiunge più avanti - e per questo è la Madre di tutti i malati e i sofferenti. Possiamo ricorre-re fiduciosi a lei con filiale devozione, sicuri che ci assisterà, ci sosterrà e non ci abbandonerà. È la Madre del Crocifisso Risorto: rimane accanto alle nostre croci e ci accompagna nel cammino verso la risurrezione e la vita piena”.

Una delle mie esperienze quotidiane è di essere “testimone” degli interventi di Dio nel cuore di tante persone. Ciò non

è solo fonte di gioia e di arricchimento per me, ma anche stimolo a condividere con altri l’ope-ra di Dio. Quanto mi viene donato, subito dopo lo faccio circolare anzitutto tra gli ammalati e i loro parenti e, oggi, anche con te. Ci auguriamo che l’amore cresca e sovrabbondi tra noi e ver-so tutti, come chiede S. Paolo ai Tessalonicesi (1 Tess. 3,12) dandoci uno stimolo di vita nuo-va: è la legge insita nell’amore stesso, quel-la di una crescita costante. Altrimenti l’amore s’illanguidisce e può spegnersi anche in noi. Ma, se cresce, tanti altri, quasi istintivamente, si sentiranno attratti a vivere allo stesso modo. S. studia a Pavia l’ultimo anno d’infermiera. Intanto a casa sua la situazione peggiora: due zii molto anziani e invalidi, vivono con i suoi. Il padre, da anni, ha portato principalmente i pesi, le responsabilità varie e anche la difficol-tà di salute della moglie e della figlia + grande. Ora anche lui ha una malattia grave. S. mi pre-ga di telefonare a suo padre per incoraggiarlo. Metto in evidenza sul tavolo il numero di cel-lulare, ma vengo chiamato prima da un giovane che attraversa una crisi esistenziale che ascolto per quasi due ore. Questo si sente sollevato e dopo che va via, incontro in modo imprevisto il fratello di S. che mi dice tutta la sua sofferenza per la lontananza della sorella, che forse non si rende conto della situazione familiare … A sera mi chiama il papà: desidera venire a trovarmi. È un incontro di grazia. Tra 20 gg ritornerà la figlia e insieme potranno affrontare la nuova situazione che si va aggravando di giorno in giorno. Insieme ringraziamo il Signore per la sua Luce e per tutti i suoi doni, tra cui anche la confessione sacramentale che non frequentava da anni, senza che ci fossero stati motivi par-ticolari.L: è un ausiliare e mi ha chiesto di preparar-lo alla cresima; nei suoi confronti, in passato ho superato più volte, dei giudizi negativi, per come mi apparivano certi suoi comportamen-ti nel reparto. Dato il suo trascorso, credo che anch’egli ha dovuto fare dei superamenti nei confronti della chiesa e dei preti e già nel pri-mo incontro me ne parla. Ora stiamo facendo insieme questo cammino. Ha iniziato a venire nella mia stanza. Ho visto però che per lui è più semplice se vado nel reparto. Una volta, leggendo un foglio sulle beatitudini, è stato tal-mente preso anche dalle esperienze con cui le comunicavo, che ha voluto non interrompere, nonostante più volte ci fossimo dati dei tempi di scadenza. Gli infermieri che entravano nel-la nostra stanza, rimanevano meravigliati di quanto accadeva sotto i loro occhi.

C. (pediatria), un ragazzo di 4 elementare, ipe-rattivo, mi parla subito della sua preparazione all’incontro con Gesù Eucarestia. È ben soste-nuto nella formazione umana e spirituale dai suoi genitori. Dopo i primi incontri, mi ha re-galato un suo disegno di una chiesa con questa scritta: “La porta del Paradiso di Gesù. Per il mio carissimo d. Salvatore, mi è piaciuto ve-derti un’ultima volta prima di uscire dall’ospe-dale. Quando vieni nel reparto dei bambini, ri-cordati che nella stanza n° 9 c’ero io. Spero di uscire presto dall’ospedale e prega per la mia famiglia”. Ha voluto che ci scambiassimo il numero del cellulare e l’indirizzo mail. In que-sto dialogo tra noi abbiamo coinvolto anche A., una ragazza di 12 anni che è con lui, nella stes-sa stanza. Poi insieme, tutti e tre siamo andati a visitare G. che non si può muovere.T. e F. (ginecologia): desiderano condividere con me la loro esperienza, dopo aver comuni-cato come vivo la comunione dei beni spirituali e materiali. Alla fine decidono di condividere questa loro esperienza con gli altri ammalati dell’ospedale, autorizzandomi a riportarla die-tro il foglietto del vangelo della domenica. “Si sposano nel 1987 e mettono subito in cantie-re il concepimento di un figlio. Dopo un paio di settimane T. comincia ad accusare dolori, crampi addominali e malessere generale. Il gi-necologo dà questa diagnosi: “la signora è in-cinta ma non porterà a termine la gravidanza per l’utero estremamente fibromatoso; dato che l’utero non po-trà espander-si il bambino morirà e lei ri-schia di mori-re per l’emor-ragia se non verrà soccorsa prontamente. Il consiglio suo e di tutta l’équi-pe medica è di asportare quan-to prima utero e bambino. T. risponde riso-luta: “ Voi mi dite che senza l ’ i n t e r v e n t o , io ed il bambi-no quasi certa-mente faremo una brutta fine: Se il Signo-re mi ha fatto questo dono, voglio tentare

anche a rischio della mia vita. Son disposta a ricoverarmi se gli eventi dovessero precipita-re. I dottori accettano; il caso diventa uno stu-dio: man mano l’utero si è espanso, creando lo spazio vitale per il bambino; all’ottavo mese le sofferenze diventano sempre più forti; i medi-ci intervengono con taglio cesareo; nasce C., una bellissima bambina. Al primario che la vi-sita dopo qualche ora, chiedendole scusa per non averla appoggiata sin dall’inizio e compli-mentandosi con lei, dice “Egregio professore, quando si presenterà un’altra donna nelle mie condizioni, l’aiuti e l’assecondi: creda che c’è anche l’aiuto del Signore!”.Per san Paolo le comunità cristiane dovrebbe-ro avere la freschezza ed il calore di una vera famiglia, * combattendo 2 pericoli:- l’individualismo, la superficialità, la medio-crità.- l’adagiarsi in una vita ordinata e tranquilla, ma chiusa in se stessa.*costruendo comunità aperte, con l’amore di carità, verso i fratelli di fede e verso tutti, di-ventando più sensibili ai loro problemi e ne-cessità.*cogliendo il positivo ed unendo i nostri de-sideri e gli sforzi di bene, anche con chiunque mostra buona volontà.

don Salvatore Paladini

A MO’ DI DIARIO Parola al cappellano dell’ospedale “Perrino” di Brindisi

Esperienze in un luogo particolare alla luce del Vangelo

In vista della chiusura, entro il 31 dicembre 2013, del Pro-gramma europeo dell’Agea,

abbiamo fatto il punto della situa-zione con il Direttore della Cari-tas diocesana don Pietro Demita, sugli effetti che tale emergenza avrà sulla nostra realtà locale.Don Pietro, l’Agea ogni anno de-stina generi alimentari di prima necessità agli enti caritativi ita-liani. Cosa comporterà questa ca-renza nel nostro territorio?I generi alimentari distribuiti dal-le parrocchie attraverso i Centri Caritas - uno dei cosiddetti “ser-vizi” di Caritas - sono il frutto di un’opera che comprende l’acco-glienza del bisognoso, l’ascolto della sua vita, il discernimento per un giusto intervento. Non sempre questi passaggi sono rispettati, e il rischio di una “dipendenza dal pacco” non è esclusa. Con la chiu-sura di Agea le famiglie povere soffriranno ulteriormente; speria-mo che noi parroci , le comuni-tà parrocchiali e associative, che sono attive in quest’opera, non se ne dimentichino e trovino forme alternative di accompagnamento.Quali sono le principali esigenze e bisogni che a cui la Caritas dioce-sana deve far fronte ogni giorno?La crisi economica e la sua radice antropologica rischiano di sclero-

tizzare il cuore. Le povertà sono molteplici, la fame è soprattutto quella di uma-nità, di accoglienza, di condivi-sione; aumenta la rassegnazione, la sfiducia, la paura se i cuori si induriscono. E’ un rischio che vi-viamo tutti, tutti! L’invito di Gesù: “Date loro voi stessi da mangia-re!” ricorda che le persone, la loro opera gratuita, il servizio disin-teressato, l’impegno leale sono la prima risposta alle necessità dei bisognosi.Dal punto di vista quantitativo…quanti aiuti alimentari vengono offerti complessivamente ?Desidererei misurare più la gene-rosità dei volontari, il tempo e le risorse spese anche da chi ha poco o niente ma non rinuncia a stare accanto, ad accompagnare, a so-stenere. Tutto questo non può es-sere calcolato!Caritas diocesane e parrocchia-li stanno progettando di creare una sinergia con gli enti caritati-vi per affrontare l’emergenza. In tal senso, come si pensa di inter-venire nell’ambito della nostra diocesi?Fino a qualche mese addietro si sperava in una soluzione d’emer-genza in ordine alla chiusura di Agea. Ad oggi, non c’è stata. Ca-ritas italiana è impegnata alla

ricerca di interventi propositivi presso il Governo (l’istituzione del Reddito di inclusione socia-le, cosiddetto Reis) o alternativi (come l’ iniziativa “Misure an-ticrisi” appena conclusa). Non mancherà quella “fantasia della carità” di cui sono capaci gli ope-

ratori Caritas: condividere e met-tersi in ascolto di ogni esperien-za non può che essere un primo passo…posso dire di essere testi-mone di tanto bene che “passa” da Caritas Diocesana.

Daniela Negro

BRINDISI Intervista al direttore della Caritas diocesana don Pietro Demita

Testimone di tanto bene che “passa” dalle nostre strutture

I primi quattro/sei mesi del 2014 saranno duri per 4 milioni di italiani poveri che ricevono aiuti ali-mentari da 15mila parrocchie, empori, mense e

strutture caritative: nonostante le crescenti richieste a causa della crisi, si rischia un black out negli aiu-ti, dovuto alla chiusura, il 31 dicembre del 2013, del Programma europeo gestito dall’Agea, l’Agenzia per le erogazioni in agricoltura che ogni anno, dal 1987, destinava circa 100 milioni di euro agli enti carita-tivi italiani per l’acquisto di beni alimentari a favore degli indigenti. Queste risorse saranno sostituite da un fondo nazionale e uno europeo che però rischia di raggiungere, al massimo, 65 milioni di euro, con un buco di 35 milioni rispetto agli stanziamenti at-tuali. Sui banchi dei vari Empori della solidarietà della Caritas non ci saranno più prodotti come il riso, la pasta, il latte, i formaggi, i legumi, la farina, i biscotti, la polpa di pomodoro, i biscotti per l’infanzia, l’olio di semi e le fette biscottate. E se in parrocchia da gen-naio a giugno mancherà il pacco viveri per i poveri, non dipenderà dalla Chiesa italiana che ha tagliato i fondi alla carità: al contrario, i progetti 8xmille desti-nati agli interventi caritativi nelle diocesi, all’interno dei quali sono previsti anche aiuti alimentari, sono saliti del 34,5% dal 2011 al 2012, e sono state attiva-te specifiche iniziative contro la crisi (985 progetti ad agosto 2012). Negli ultimi mesi, da giu-gno a settembre 2013 sono pervenute a Caritas italiana 22 richieste di sostegno economiche da altrettante diocesi, pari a circa 600 mila euro, di cui il 40% (240 mila euro) serve per acquistare cibo e generi di prima necessità. Nel 2013 la ripartizione dell’8xmille destinata alle diocesi per gli interventi caritativi è stata di 125 milioni di euro. In allerta da ottobre. Le parrocchie e gli enti caritativi italiani sono in stato d’allerta dal 21 ottobre 2013, quando è arrivata la nota informativa dell’Agea, organismo pagatore dell’Unione eu-ropea, che avvisava della cessazione della distribuzione di aiuti alimentari agli indigenti a partire dal 2014. Cari-tas italiana ha subito inviato, nei gior-ni successivi, una circolare alle Caritas diocesana per chiarire la situazione. Al posto dei 100 milioni di euro l’an-no si potrà contare, per il futuro: su un Fondo nazionale di 5 milioni di euro, istituito dal governo Monti, approvato

ieri in Senato nell’ambito della legge di stabilità ma

che dovrà aspettare ancora l’ok definitivo della Ca-mera dei deputati; di un nuovo Fondo aiuti europei agli indigenti (Fead), il cui finanziamento dovrà es-sere approvato entro il 10 dicembre, stimato in cir-ca 40/50 milioni di euro l’anno di quota europea, a cui potranno essere aggiunti 10/20 milioni di euro di

quota volontaria da parte dei governi. Questo nuovo Fondo - che sostituisce il Pead - ha come obiettivo di promuovere la coesione sociale nell’Ue per ridurre il numero di persone a rischio o in condizioni di pover-tà, nell’ambito della Strategia Europa 2020, fornendo prodotti alimentari e beni di consumo alle persone indigenti, con particolare attenzione ai senzatetto e ai bambini. “Il problema - spiega Francesco Marsico, vice direttore di Caritas italiana - è che la cifra com-plessiva dei due fondi è comunque inferiore ai 100 milioni di euro dell’Agea, e che l’iter burocratico per arrivare all’approvazione e alla disponibilità dei fondi del Fead è molto lungo e non si concluderà prima di aprile/giugno 2014”. La “fantasia della carità” messa alla prova. Da gennaio a giugno, dunque, tutti gli enti caritativi che distribuiscono aiuti alimentari saranno in di"coltà: l’Agea ha coperto finora il 60% delle spese per i prodot-ti, il restante 40% viene raccolto nei territori tramite campagne di solidarietà, o!erte di privati, collette nei supermercati, eccetera. Per sopperire a questa caren-za le Caritas diocesane e parrocchiali si stanno sfor-zando di mettere in pratica una fantasia della carità senza precedenti. E’ nato perfino un coordinamento dei sette principali enti caritativi che distribuiscono

aiuti alimentari - Fondazione Banco alimentare, Fondazione Banco Ope-re della carità, Comunità di S. Egidio, Croce rossa italiana, Banco alimentare di Roma, Associazione Sempre insieme per la pace, Caritas italiana, San Vin-cenzo de Paoli - che sta portando avan-ti un’azione di lobby e advocacy presso le istituzioni, soprattutto il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, che sarà il nuovo gestore del Fead. Il Pre-sidente del Consiglio Enrico Letta è informato della questione. Il prossimo 5 dicembre il coordinamento di asso-ciazioni “Insieme per l’aiuto alimenta-re” incontrerà anche il presidente del Senato Pietro Grasso. Per Marsico i prossimi mesi saranno molto di"cili: “Servirebbe un aumento di risorse già nella legge di stabilità. E se non ci sono i soldi, sarebbe stato meglio usare i 40 milioni destinati all’ampliamento del-la sperimentazione della social card a questa emergenza”.

Patrizia Cai!a

EMERGENZA SOCIALE Il 31 dicembre si chiude il Programma europeo dell’Agea

Niente pacchi viveri per i nostri poveri nei primi mesi del 2014

Il 31 dicembre chiude il Programma europeo dell’Agea (Agenzia per le erogazioni in agricoltura) che ogni anno destinava circa 100 milioni di euro agli enti caritativi italiani per l’acquisto di alimenti per gli indigenti. Se in parrocchia mancheranno gli aiuti, non dipenderà certo dalla Chiesa italiana. Al contrario, i progetti 8xmille destinati agli interventi caritativi nelle diocesi, all’interno dei quali sono previsti anche aiuti alimentari, sono saliti, ma le risorse non bastano

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E’ una comunità raggiante quella della SS. An-

nunziata che riporta nell’ultimo numero del giornalino parrocchiale la cronaca della serata di intitolazione della «piaz-zetta» a don Tonino. «E’ bello – racconta un reso-conto fi rmato dalla presi-dente Maria Rita Denitto e da tutto il Comitato di quartiere - quando un sogno diventa realtà e si è potuto realizzare grazie all’aiuto di tanti! Non è facile organizzare tre eventi importanti che coinvolgono tante persone, tre giorni che sono serviti a far conoscere, a chi ancora non lo conosce, Don Tonino Bello, Pastore e Vescovo del Salento». Gli organizzatori hanno pen-sato a tutti gli strumenti per poter dare contenuti e signifi cato alla intitolazione di una piazza. «In molti – prosegue il rac-conto - conosciamo il valore di un vescovo come Don Tonino; durante il convegno sul tema: ”Don Tonino Pastore e Profeta di pace” del 18 Ottobre presso l’Auditorium del Castello di Mesagne abbiamo potuto approfondire ancora di più la cono-scenza sui molteplici aspetti della sua azione pastorale, grazie alle parole della dott. Rosa Siciliano, direttrice del giornale “Mosaico di Pace”. Come un fi ume in piena, Rosa ci ha offer-to una panoramica davvero appassionata dei temi che stavano a cuore a Don Tonino: la sua posizione precisa e netta sulla di-fesa della pace, non con l’uso delle armi, ma con una presenza attiva e forte nell’educare le coscienze; una continua denuncia per la salvaguardia del creato; l’impegno attivo di ciascuno di noi, in quanto Chiesa, nell’accogliere l’altro in diffi coltà, senza distinzione di razza, popolo o nazione. E poi tanto altro ancora. Amichevole e fraterno l’intervento, nella stessa sera-

ta, del dott. Giancarlo Piccinni, prima alunno e poi medico di Don Tonino. Molto semplici, ma toccan-ti, i riferimenti all’accettazione della sofferenza du-rante la sua malattia e della testimonianza della sua fede profonda fi no al giorno della sua morte». Nel «giornalino della SS. Annunziata» si racconta an-che del recital “Don Tonino messaggero di Pace” presentato dal Gruppo teatrale parrocchiale e della serata di festa a r i t m o di “piz-z i c a ” . La nota

si conclude con i ringraziamenti di rito: «Voglia-mo ringraziare il Sindaco Franco Scoditti, i rappre-sentanti dell’Am-m i n i s t r a z i o n e comunale, i due Sacerdoti Don Sal-vatore Tardio e Don Giuseppe Pendi-nelli, il coro della SS. Annunziata e la giovane artista Marcella Diviggia-no oltre ai tanti che hanno partecipato con la presenza o con la collaborazione». Infi ne l’auspicio: «Ci auguriamo che la “Piazza Don Tonino Bello” non rimanga solo il ricordo di un bell’evento, ma che possa diventare luogo di incontro e di arricchimento sociale, culturale e religioso».

Per lungo tempo e fino alla caduta del Muro era prassi comune che i nomi di vie e piazze seguissero la sensibilità politica delle Ammi-

nistrazioni locali in carica. «Rosse» o «bianche» che fossero, le Giunte intitolavano unilateralmen-te ai propri riferimenti culturali ed ideologici gli slarghi ed i vicoli dei propri «regni locali». La car-tina cittadina diventava «vessillo» della «propria» gestione del potere. Oggi, con le ideologie nel cas-setto degli strumenti fallimentari, lo «sguardo» quotidiano sta tornando a concentrarsi sula vita reale, quella di ogni giorno e dare «un nome ad una strada o ad una piazza» è diventato strumen-to per indicare alla memoria collettiva le figure, magari locali, che hanno saputo tracciare solchi significativi nella vita delle «comunità di base», della gente comune. Per questo merita attenzione la recente decisione di due Amministrazioni Co-munali del nostro territorio, Mesagne ed Ostu-ni, di prevedere nella toponomastica cittadina la memoria di due religiosi locali «del nostro tem-po» come don Tonino Bello e don Andrea Melpi-gnano. D’altronde è emblematico che siano state quelle stesse comunità «dal basso» (un comitati di quartiere a Mesagne, un Consiglio Pastorale Parrocchiale ad Ostuni) ad avanzare le «propo-ste». In un tempo in cui sembrerebbero scarsi i buoni maestri è piacevole scoprire questa sorta di nuova «toponomastica della testimonianza» che ce ne indica due tra quelli più fulgidi.

ant. rigl.

NUOVI CORSI Anche da noiLa toponomastica della testimonianza

“Il viale principale della lottizzazione in contrada Santo Magno è stato intitolato al compianto Mons. Don Andrea Melpignano, ‘infaticabile sacerdote e

uomo generoso, il cui ricordo è ancora vivo tra la popola-zione ostunese’. La Giunta Comunale, con atto n. 229 del 26 settembre scorso su indicazione del Sindaco Tanzarel-la, ha proceduto all’individuazione della strada comunale sancendo l’intitolazione con un provvedimento delibera-tivo. Nel settembre del 2009, il parroco del Santuario dei Santi Medici, don Paolo Zofra, facendosi portavoce della richiesta unanime del Consiglio Pastorale Parrocchiale, con il consenso dell’allora Arcivescovo di Brindisi-Ostuni, S.E. Mons. Rocco Talucci, chiedeva l’intitolazione di una strada della Città Bianca a Mons. Andrea Melpignano”. Così dice una nota del Comune ostunese, nel quale si ricorda come “don Andrea Melpignano, è stato un attivo sacerdote che ha realizzato la Chiesa e il gran-de campanile annesso dei Santi Medici, lungo via Fogazzaro” e si sottolinea il “grande dina-mismo, passione, fervore e at-tività che culminarono con la realizzazione nel breve tempo di tre anni (1956-1959) del-la grandiosa costruzione della nuova Chiesa dei Santi Medici dotata di opere annesse: casa canonica, palestra. Rettore del-la Confraternita Madonna dei Fiori, confessore in Seminario, cappellano nell’allora carcere mandamentale di Ostuni, diret-tore di colonie e campeggi della P.O.A., assistente dell’Onarmo, assistente del circolo e patrona-to Acli di Ostuni, assistente diocesano delle Acli, assisten-te diocesano della Gioventù Maschile di Azione Cattolica e, successivamente, anche degli uomini di A.C”. Non solo: “Nell’ottobre del 1976 lasciò la parrocchia dei Santi Medici e si assunse il compito di restaurare la Chiesa dei cappuccini, opera che portò a termine nel 1980 dopo tre anni di intensi lavori”, si aggiunge e in conclusione si completa: “Donò un terreno per la cooperativa dei giovani del Villaggio Sos di Ostuni così come fece con un altro suo terreno per la co-struzione ad Ostuni di un complesso per ospitare, in con-trada Lamacavallo, una sede della Comunità di Bose”.È diventata norma la memoria della esistenzialità e della testimonianza della persone.Persino la Parola di Dio si è fatta memoria della tradizione biblica rivelata e, in particolare, la stessa Eucaristia è me-moriale del mistero della Fede nel Cristo crocifi sso e risor-to, sempre vivente tra noi e con noi, contemporaneo nell’in-tero cammino storico dell’umanità redenta.Teologicamente le due memoria sono indivisibili: la memo-ria della Creazione nell’antica Alleanza e la memoria della Redenzione nella nuova. Entrambe si rinnovano nel culto della lode e della gratitudine al Signore, vincendo ogni ten-

tazione idolatrica, conducendo alla santifi cazione dell’uo-mo che, proprio dal culto reso al vero Dio, comprende la sacralità della persona umana fatta ad immagine del suo signore.In tale linea si colloca la memoria di quanti per legami pa-rentali o per vincoli testimoniali di servizio al bene comune, vanno ricordati per dovere di riconoscenza e per ispirazio-ne alle nuove generazioni verso un futuro migliore.Importate l’iniziativa civico–ecclesiale di intitolare in Ostu-ni, un viale a mons. Andrea Melpignano, mentre ancora vivono tanti che l’hanno conosciuto ed apprezzato come silenzioso, ma operoso pastore dei piccoli, del variegato mondo associativo ecclesiale e socie e fruiscono delle opere da lui realizzate per la promozione religiosa, civile e cultu-rale della Città bianca.Le opere sono monumenti rivelatori della fatica con cui

si incarnano gli ideali colti-vati nel cuore di chi pensa alla grande il percorso della propria vita. Per don Andrea uomo c’era la marcia in più del carisma sacerdotale con il motto paolino che soleva ripetere: “Guai a me se non evangelizzassi” (1 Cor 9, 16). Uomo di azione fu sulle frontiere nel tempo della ri-costruzione del Paese nel do-poguerra, come tanti pionie-ri della carità in tutta Italia, come pure in Ostuni insieme a mons. Italo Pignatelli.Venuto a conoscenza del nobile gesto del Comune di Ostuni di intitolargli il

viale nel nuovo quartiere Santo Magno per iniziativa con-divisa del sindaco Tanzarella e del parroco dei Ss. Medici don Paolo Zofra, unisco anche la mia voce con rinnovato a! etto verso il compianto don Andrea, che mi onorò del-la sua grande Amicizia. A lui dedicai nel 2001 un capitolo nel saggio “La pastorale del Cuore. Memoria e gratitudine” (Ed. Associazione Amici della Biblioteca De Leo), ed ora sono lieto del compiersi di un tale evento, che consegna la sua fi gura al cuore del popolo ostunese. Don Andrea era un generoso, umile e silenzioso. A chi parlava del “caro don Andrea”, rispondeva che “non era caro”, celiando nel signi-fi cato economico del termine, ma “di poco valore…”. Aveva compreso che Dio sceglie gli esseri deboli per confondere i forti, perché “la sua potenzia infatti si manifesta piena-mente della debolezza” (2 Cor 12, 9). Il viale mons. Andrea Melpignano sarà percorso dall’amore perenne dei suoi con-cittadini, mentre Egli rivive nel cammino di fede della Co-munità parrocchiale SS. Medici e nella lode salmodica dei monaci di Bose.

Angelo Catarozzolo

OSTUNI Una delibera di giunta ed ecco viale mons. Andrea Melpignano

Un luogo per un sacerdote umile e generoso

La «piazzetta» dedicata a don Tonino

15 Dicembre 2013 9Vita Diocesana

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MESAGNE Il Comitato di quartiere vede coronato un sogno in una bella domenica di festa

Piazzetta don Tonino Bello, un luogo di incontro e di dialogo

Riprende il 10 gennaio 2014, a Mesagne, la Scuola vica-riale degli Operatori pastorali. Quest’anno si articola secondo una serie di cinque incontri di 90 minuti circa

e ciascun incontro è caratterizzato dallo svolgersi di due temi, che saranno illustrati dal relatore in 30 minuti circa lascian-do 10/15 minuti agli interventi dei partecipanti. Si è inteso rifl ettere partendo dal tema che la Chiesa diocesana inizia ad a! rontare nel corso di quest’anno pastorale e, nei limiti del possibile, si allarga lo sguardo alla ricorrenza anniversaria del Concilio Vaticano II, alla chiusura dell’Anno della Fede, alla sempre crescente presenza di cittadini stranieri (soprattutto provenienti dall’Oriente cristiano) in mezzo a noi.E dunque, nel primo incontro ci si confronterà su “Identità della persona e identità cristiana, un’introduzione teologico-biblica e sociologica” e su “Il Battesimo, porta dei sacramenti tra libertà dai peccati e rigenerazione come fi gli di Dio (sguar-do al Codex e pastorale nelle parrocchie)”.Nel secondo incontro, obiettivo puntato su “Il Battesimo, l’An-tica Alleanza e il compimento delle sue prefi gurazioni (CCC 1217-1222 e 1222-1224)” e su “Il Battesimo e la comunità dei credenti”. Nel terzo incontro si parte dal rifl ettere su “Tutto nasce in giorno di Pentecoste: la missione del battezzato e la partecipazione alla vita della Chiesa” e quindi ci si orienta su “La corresponsabilità dei laici nella missione della Chiesa”.Il quarto incontro è caratterizzato dal tema: “Battesimo e sacerdozio comune, un tu! o nel Concilio Vaticano II” e da “Le forme di partecipazione nella vita della Chiesa”, mentre il quinto incontro verte su “Battesimo e magistero pontifi cio nell’Anno della Fede (Motu Proprio Porta Fidei, e Lettera en-ciclica Lumen Fidei, 41-43)”, nonché su “Battesimo ed ecume-nismo (Benedetto XVI a Sidney l’8 luglio 2008; intervento del card. Kurt Koch nell’Anno della Fede)”.Al termine di questi cinque incontri potrebbe ipotizzarsi un sesto incontro, nel corso del quale si verifi cano i primi mesi del cammino della Comunità diocesana attraverso il materia-le di formazione prodotto dagli U" ci.Ulteriori incontri di formazione potrebbero essere svolti considerando che il 4 dicembre di 50 anni addietro venivano promulgati due documenti del Concilio Vaticano II: Costitu-zione sulla Liturgia Sacrosanctum Concilium e Decreto Inter mirifi ca.

NUOVI CORSI Da gennaio 2014

Inizia la Scuola vicariale degli Operatori pastorali

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10 15 Dicembre 2013 15 Dicembre 2013 11

“La gioia del Vangelo riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù”: inizia così l’Esortazione apostolica “Evangelii Gaudium” con cui Papa Francesco sviluppa il tema dell’annuncio del Vangelo nel mondo attuale,

raccogliendo, tra l’altro, il contributo dei lavori del Sinodo che si è svolto in Vaticano dal 7 al 28 ottobre 2012 sul tema “La nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede”. “Desidero indirizzarmi ai fedeli cristiani – scrive il Papa - per invitarli a una nuova tappa evangelizzatrice marcata da questa gioia e indicare vie per il cammino della Chiesa nei prossimi anni” (1). Si tratta di un accorato appello a tutti i battezzati perché con nuo-vo fervore e dinamismo portino agli altri l’amore di Gesù in uno “stato permanente di missione” (25), vincendo “il grande rischio del mondo attuale”: quello di cadere in “una tristezza individualista” (2).

Il Papa invita a “recuperare la freschezza originale del Vangelo”, trovando “nuove strade” e “metodi creativi”, a non imprigionare Gesù nei nostri “schemi noiosi” (11). Occorre “una conversione pastorale e missionaria, che non può lasciare le cose come stanno” (25) e una “riforma delle strutture” ecclesiali perché “diventino tutte più missionarie” (27). Il Pontefice pensa anche ad “una conversione del papato” perché sia “più fedele al significato che Gesù Cristo intese dargli e alle necessità attuali dell’evangelizzazione”. L’auspicio che le Conferenze episcopali potessero dare un contributo a"nché “il senso di collegialità” si realizzasse “concretamente” – a!erma - “non si è pienamente realizza-to” (32). E’ necessaria “una salutare decentralizzazione” (16). In questo rinnovamento non bisogna aver paura di rivedere consuetudini della Chiesa “non direttamente legate al nucleo del Vangelo, alcune molto radicate nel corso della storia” (43).

Segno dell’accoglienza di Dio è “avere dappertutto chiese con le porte aperte” perché quanti sono in ricerca non incontrino “la freddezza di una porta chiusa”. “Nemmeno le porte dei Sacramenti si dovrebbero chiudere per una ragione qualsiasi”. Così, l’Eucari-stia “non è un premio per i perfetti ma un generoso rimedio e un alimento per i deboli. Queste convinzioni hanno anche conseguenze pastorali che siamo chiamati a conside-rare con prudenza e audacia”. (47). Ribadisce di preferire una Chiesa “ferita e sporca per essere uscita per le strade, piuttosto che una Chiesa … preoccupata di essere il centro e che finisce rinchiusa in un groviglio di ossessioni e procedimenti. Se qualcosa deve san-tamente inquietarci … è che tanti nostri fratelli vivono” senza l’amicizia di Gesù (49).

Il Papa indica le “tentazioni degli operatori pastorali”: individualismo, crisi d’identità, calo del fervore (78). “La più grande minaccia” è “il grigio pragmatismo della vita quo-tidiana della Chiesa, nel quale tutto apparentemente procede nella normalità, men-tre in realtà la fede si va logorando” (83). Esorta a non lasciarsi prendere da un “pes-simismo sterile” (84) e ad essere segni di speranza (86) attuando la “rivoluzione della tenerezza”(88). Occorre rifuggire dalla “spiritualità del benessere” che rifiuta “impegni fraterni” (90) e vincere “la mondanità spirituale” che “consiste nel cercare, al posto della gloria del Signore, la gloria umana” (93). Il Papa parla di quanti “si sentono superiori agli altri” perché “irremovibilmente fedeli ad un certo stile cattolico proprio del passato” e “invece di evangelizzare … classificano gli altri” o di quanti hanno una “cura ostentata della liturgia, della dottrina e del prestigio della Chiesa, ma senza che li preoccupi il reale inserimento del Vangelo” nei bisogni della gente. (95). Questa “è una tremenda corru-zione con apparenza di bene … Dio ci liberi da una Chiesa mondana sotto drappeggi spirituali o pastorali!” (97).

Lancia un appello alle comunità ecclesiali a non cadere nelle invidie e nelle gelosie: “all’in-terno del Popolo di Dio e nelle diverse comunità, quante guerre!” (98). “Chi vogliamo evangelizzare con questi comportamenti?” (100). Sottolinea la necessità di far crescere la responsabilità dei laici, tenuti “al margine delle decisioni” da “un eccessivo clericali-smo” (102). A!erma che “c’è ancora bisogno di allargare gli spazi per una presenza fem-minile più incisiva nella Chiesa”, in particolare “nei diversi luoghi dove vengono prese le decisioni importanti” (103). “Le rivendicazioni dei legittimi diritti delle donne …non si possono superficialmente eludere” (104). I giovani devono avere “un maggiore prota-gonismo” (106). Di fronte alla scarsità di vocazioni in alcuni luoghi a!erma che “non si possono riempire i seminari sulla base di qualunque tipo di motivazione” (107).

A!rontando il tema dell’inculturazione, ricorda che “il cristianesimo non dispone di un unico modello culturale” e che il volto della Chiesa è “pluriforme” (116). “Non possiamo pretendere che tutti i popoli … nell’esprimere la fede cristiana, imitino le modalità adot-tate dai popoli europei in un determinato momento della storia” (118). Il Papa ribadisce “la forza evangelizzatrice della pietà popolare” (122) e incoraggia la ricerca dei teologi invitandoli ad avere “a cuore la finalità evangelizzatrice della Chiesa” e a non acconten-tarsi “di una teologia da tavolino” (133).

Si so!erma “con una certa meticolosità, sull’omelia” perché “molti sono i reclami in relazione a questo importante ministero e non possiamo chiudere le orecchie” (135). L’omelia “deve essere breve ed evitare di sembrare una conferenza o una lezione” (138), deve saper dire “parole che fanno ardere i cuori”, rifuggendo da una “predicazione pura-mente moralista o indottrinante” (142). Sottolinea l’importanza della preparazione: “un predicatore che non si prepara non è ‘spirituale’, è disonesto ed irresponsabile” (145). “Una buona omelia … deve contenere ‘un’idea, un sentimento, un’immagine’” (157). La predicazione deve essere positiva perché o!ra “sempre speranza” e non lasci “pri-gionieri della negatività” (159). L’annuncio stesso del Vangelo deve avere caratteristiche positive: “vicinanza, apertura al dialogo, pazienza, accoglienza cordiale che non con-danna” (165).

Parlando delle sfide del mondo contemporaneo, il Papa denuncia l’attuale sistema eco-nomico: “è ingiusto alla radice” (59). “Questa economia uccide” perché prevale la “legge del più forte”. L’attuale cultura dello “scarto” ha creato “qualcosa di nuovo”: “gli esclu-si non sono ‘sfruttati’ ma rifiuti, ‘avanzi’” (53). Viviamo “una nuova tirannia invisibile,

a volte virtuale” di un “mercato divinizzato” dove regnano “speculazione finanziaria”, “corruzione ramificata”, “evasione fiscale egoista” (56). Denuncia gli “attacchi alla libertà religiosa” e le “nuove situazioni di persecuzione dei cristiani … In molti luoghi si tratta piuttosto di una di!usa indi!erenza relativista” (61). La famiglia – prosegue il Papa – “attraversa una crisi culturale profonda”. Ribadendo “il contributo indispensabile del matrimonio alla società” (66) sottolinea che “l’individualismo postmoderno e globaliz-zato favorisce uno stile di vita … che snatura i vincoli familiari”(67).

Ribadisce “l’intima connessione tra evangelizzazione e promozione umana” (178) e il diritto dei Pastori “di emettere opinioni su tutto ciò che riguarda la vita delle persone” (182). “Nessuno può esigere da noi che releghiamo la religione alla segreta intimità delle persone, senza alcuna influenza nella vita sociale”. Cita Giovanni Paolo II dove dice che la Chiesa “non può né deve rimanere al margine della lotta per la giustizia” (183). “Per la Chiesa l’opzione per i poveri è una categoria teologica” prima che sociologica. “Per questo chiedo una Chiesa povera per i poveri. Essi hanno molto da insegnarci” (198). “Finché non si risolveranno radicalmente i problemi dei poveri … non si risolveranno i problemi del mondo” (202). “La politica, tanto denigrata” – a!erma - “è una delle forme più preziose di carità”. “Prego il Signore che ci regali più politici che abbiano davvero a cuore … la vita dei poveri!”. Poi un monito: “Qualsiasi comunità all’interno della Chiesa” si dimentichi dei poveri corre “il rischio della dissoluzione” (207).

Il Papa invita ad avere cura dei più deboli: “i senza tetto, i tossicodipendenti, i rifugiati, i popoli indigeni, gli anziani sempre più soli e abbandonati” e i migranti, per cui esorta i Paesi “ad una generosa apertura” (210). Parla delle vittime della tratta e di nuove forme di schiavismo: “Nelle nostre città è impiantato questo crimine mafioso e aberrante, e molti hanno le mani che grondano sangue a causa di una complicità comoda e muta” (211). “Doppiamente povere sono le donne che so!rono situazioni di esclusione, mal-trattamento e violenza” (212). “Tra questi deboli di cui la Chiesa vuole prendersi cura” ci sono “i bambini nascituri, che sono i più indifesi e innocenti di tutti, ai quali oggi si vuole negare la dignità umana” (213). “Non ci si deve attendere che la Chiesa cambi la sua posizione su questa questione … Non è progressista pretendere di risolvere i pro-blemi eliminando una vita umana” (214). Quindi, un appello al rispetto di tutto il creato: “siamo chiamati a prenderci cura della fragilità del popolo e del mondo in cui viviamo” (216).Riguardo al tema della pace, il Papa a!erma che è “necessaria una voce profetica” quan-do si vuole attuare una falsa riconciliazione che “metta a tacere” i poveri, mentre alcuni “non vogliono rinunciare ai loro privilegi” (218). Per la costruzione di una società “in pace, giustizia e fraternità” indica quattro principi (221): “il tempo è superiore allo spa-zio” (222) significa “lavorare a lunga scadenza, senza l’ossessione dei risultati immediati” (223). “L’unità prevale sul conflitto” (226) vuol dire operare perché gli opposti raggiun-gano “una pluriforme unità che genera nuova vita” (228). “La realtà è più importante dell’idea” (231) significa evitare che la politica e la fede siano ridotte alla retorica (232). “Il tutto è superiore alla parte” significa mettere insieme globalizzazione e localizzazione (234).

“L’evangelizzazione – prosegue il Papa – implica anche un cammino di dialogo” che apre la Chiesa a collaborare con tutte le realtà politiche, sociali, religiose e culturali (238). L’ecumenismo è “una via imprescindibile dell’evangelizzazione”. Importante l’arricchi-mento reciproco: “quante cose possiamo imparare gli uni dagli altri!”, per esempio “nel dialogo con i fratelli ortodossi, noi cattolici abbiamo la possibilità di imparare qualcosa di più sul significato della collegialità episcopale e sulla loro esperienza della sinodalità” (246); “il dialogo e l’amicizia con i figli d’Israele sono parte della vita dei discepoli di Gesù” (248); “il dialogo interreligioso”, che va condotto “con un’identità chiara e gioiosa”, è “una condizione necessaria per la pace nel mondo” e non oscura l’evangelizzazione (250-251); “in quest’epoca acquista notevole importanza la relazione con i credenti dell’Islam (252): il Papa implora “umilmente” a"nché i Paesi di tradizione islamica assicurino la libertà religiosa ai cristiani, anche “tenendo conto della libertà che i credenti dell’Islam godono nei paesi occidentali!”. “Di fronte ad episodi di fondamentalismo violento” invi-ta a “evitare odiose generalizzazioni, perché il vero Islam e un’adeguata interpretazione del Corano si oppongono ad ogni violenza” (253). E contro il tentativo di privatizzare le religioni in alcuni contesti, a!erma che “il rispetto dovuto alle minoranze di agnostici o di non credenti non deve imporsi in modo arbitrario che metta a tacere le convinzioni di maggioranze credenti o ignori la ricchezza delle tradizioni religiose” (255). Ribadisce quindi l’importanza del dialogo e dell’alleanza tra credenti e non credenti (257).

L’ultimo capitolo è dedicato agli “evangelizzatori con Spirito”, che sono quanti “si aprono senza paura all’azione dello Spirito Santo” che “infonde la forza per annunciare la novità del Vangelo con audacia (parresia), a voce alta e in ogni tempo e luogo, anche contro-corrente” (259). Si tratta di “evangelizzatori che pregano e lavorano” (262), nella consa-pevolezza che “la missione è una passione per Gesù ma, al tempo stesso, è una passione per il suo popolo” (268): “Gesù vuole che tocchiamo la miseria umana, che tocchiamo la carne so!erente degli altri” (270). “Nel nostro rapporto col mondo – precisa – siamo invitati a dare ragione della nostra speranza, ma non come nemici che puntano il dito e condannano” (271). “Può essere missionario – aggiunge – solo chi si sente bene nel cercare il bene del prossimo, chi desidera la felicità degli altri” (272): “se riesco ad aiutare una sola persona a vivere meglio, questo è già su"ciente a giustificare il dono della mia vita” (274). Il Papa invita a non scoraggiarsi di fronte ai fallimenti o agli scarsi risultati perché la “fecondità molte volte è invisibile, ina!errabile, non può essere contabilizza-ta”; dobbiamo sapere “soltanto che il dono di noi stessi è necessario” (279). L’Esortazio-ne si conclude con una preghiera a Maria “Madre dell’Evangelizzazione”. “Vi è uno stile mariano nell’attività evangelizzatrice della Chiesa. Perché ogni volta che guardiamo a Maria torniamo a credere nella forza rivoluzionaria della tenerezza e dell’a!etto” (288).

EVANGELII GAUDIUM L’Esortazione apostolica in pillole di poche righe

L’annuncio del Vangelo nel mondo attuale necessità primaria

“Evangelii Gaudium”… e così (se lo vogliamo) sarà per sempre Anno della FedeSpecialeSpeciale

Una sorta di “summa” dello stile del pontificato, e della conseguente idea di Chiesa, con un accento particola-

re sulla gioia come requisito essenziale per il cristiano. È l’esortazione apostolica di Papa Francesco, “Evangelii gaudium”, nelle paro-le di monsignor Ignazio Sanna, arcivescovo di Oristano e membro della Commissione episcopale per la dottrina della fede, l’annun-cio e la catechesi della Cei. Il Papa, ha riferi-to padre Federico Lombardi, direttore della sala stampa della Santa Sede, durante la conferenza stampa di presentazione, ha lavorato all’esortazione apostolica - 220 pagine, sette punti raccolti in cinque capitoli - “di sua mano”, ad agosto, al ritorno da Rio e prima dell’inizio degli impegni autunnali. Nel testo, fa notare monsignor Sanna, “non si par-la mai di nuova evangelizzazio-ne, ma solo di evangelizzazione”, con l’invito a portare il Vangelo agli uomini di oggi “sine glossa”, senza aggettivi. Tra i gesti concreti che possiamo aspettarci dal Papa, secondo l’arcivescovo di Oristano, la valorizzazione del ruolo delle donne “anche là dove si deci-de, nella Chiesa e nella società”. All’attenzione dei vescovi, invece, la “salutare decentralizza-zione” chiesta da Papa Francesco nel senso della collegialità e sinodalità, tramite la “revi-sione” del ruolo delle Conferenze episcopali.

Monsignor Sanna, qual è la sua prima im-pressione sull’esortazione apostolica?“È un documento leggibile, molto semplice, diretto, immediato: non c’è il plurale maiesta-tis, né la ricerca di citazioni dotte. Papa Fran-cesco cita quasi sempre i Papi che lo hanno preceduto, in particolare Paolo VI, spessissi-mo l’Evangelii nuntiandi. Le espressioni che usa - per esempio quando dà consigli pratici sull’omelia - sono quelle delle omelie del mat-

tino o delle catechesi: nell’esortazione apo-stolica vengono riprodotte tutte, segno che il Papa attribuisce ad esse molta importanza. Papa Francesco insiste sulla gioia e sull’ottimi-smo: il Vangelo è vita e gioia, non un insieme di precetti. Riprende inoltre l’insegnamento del Concilio, quando esorta a una ‘gerarchia della verità’: dobbiamo andare all’essenzia-le, il suo invito, mentre molte volte ci siamo fermati agli aspetti secondari. E l’essenziale è che Gesù è il Salvatore, Gesù è la gioia, Gesù

è il Pastore: tutto il resto è secondario”.Il Papa insiste molto sul tema della “riforma” della Chiesa, a vari livelli...“Il Papa parte dalla parrocchia, chiedendo ad essa di essere sempre di più chiesa tra la gente ed esortando a inserire i movimenti e le associazioni all’interno di una pastorale uni-taria. Poi passa ai vescovi, chiedendo loro di privilegiare gli organismi di partecipazione e di collaborare tutti a portare avanti uno stile di collegialità. Poi parla di una ‘conversione del papato’, rilevando che si è fatto poco, ri-spetto a quanto aveva chiesto Giovanni Pa-olo II, in riferimento all’esercizio del primato petrino. Rivaluta, infine, le Conferenze epi-scopali, addirittura attribuendo a esse potere dottrinario e facendo riferimento agli statuti delle Conferenze episcopali regionali. L’ottica scelta dal Papa è, dunque, quella della ‘comu-nione’ della Chiesa, che non è fatta di singoli protagonisti”.

Papa Francesco stigmatizza anche alcuni “vizi”, o meglio “tentazioni” degli operatori pastorali: quali sono quelli da cui guardarsi maggiormente?“In primo luogo, quella che il Papa chiama ‘accidia pastorale’, cioè il senso di sfiducia nel-le capacità dello Spirito, che è vita: chi opera nella Chiesa non può lasciar andare avanti le cose per inerzia, deve imprimere un orienta-mento a queste. Altrimenti, si cade nel rela-tivismo pratico o nella mondanità spirituale.

C’è un verbo, in spa-gnolo, a cui il Papa dà molto rilievo: prime-rear, prendere l’ini-ziativa. Nella storia, è Dio che ci precede, noi andiamo appres-so a lui”.

“Chiesa in uscita”: così il Papa definisce

la comunità ecclesiale. Come realizzare quel-lo che chiama il “sogno missionario”?“L’obiettivo, il sogno, di Papa Francesco è una Chiesa aperta a tutti, anche a costo di esse-re ‘accidentata’, torna a ripetere: una Chiesa che sappia trovare le parole giuste per le cose vere, che dica no alla ‘cultura dello scarto’, che tenga conto delle fragilità degli uomi-ni. L’elenco che ne fa il Papa non dimentica nessuno, il suo è un atteggiamento di padre, improntato alla misericordia di Dio, che non giudica. Quando parla di aborto, ad esem-pio, Papa Francesco dice prima di tutto che non bisogna aspettarsi che la Chiesa cambi la sua dottrina: se, però, ogni persona è sa-cra, non possiamo non trarne le conseguen-ze. Ciò significa che il compito della Chiesa non è solo presentare la dottrina, ma anche trovare il modo di accompagnare le persone, soprattutto dove sono più fragili ed esposte. Partendo dai poveri”.

M.Michela Nicolais

EVANGELII GAUDIUM Intervista a mons. Ignazio Sanna

“Il Vangelo è vita e gioia Papa Francesco lo ricorda a tutti noi”

Monsignor Ignazio Sanna, arcivescovo di Oristano e membro della Commis-sione episcopale per la dottrina della fede, l’annuncio e la catechesi della Cei, rilegge l’esortazione apostolica di Papa Francesco come una sorta di “sum-ma” dello stile del pontificato. E ne sottolinea l’importanza sul fronte della riforma della Chiesa, della collegialità e della sinodalità. E soprattutto della “Chiesa in uscita”, cioè missionaria

“Desideriamo che questo Anno su-sciti in ogni credente l’aspirazione a confessare la fede in pienezza e

con rinnovata convinzione, con fiducia e spe-ranza. Sarà un’occasione propizia anche per intensificare la celebrazione della fede nella liturgia, e in particolare nell’Eucaristia”. Sono le parole di Benedetto XVI con le quali nella lettera apostolica “Porta fidei” indiceva l’Anno della fede che sta ormai per concludersi. Può essere, allora, opportuno domandarsi che cosa sia stato questo evento; natu-ralmente non è facile fare un bilancio che abbia am-piezza universale, come richiederebbe questa ini-ziativa. È ancora presto! Tuttavia, può essere utile indicare qualche pista per svolgere una prima veri-fica e l’ambito da cui partire è proprio quello della divina liturgia.L’Anno della fede è stato voluto, innanzitutto, perché ogni celebrazione liturgica, a comincia-re da quella eucaristica, esprimesse maggior-mente la fede. Sì c’è un intrinseco e naturale legame tra liturgia e fede, perché la prima espri-me precisamente quello che la Chiesa univer-sale nei secoli ha sempre professato. Per questo motivo, per esempio, nessuno può in modo ar-bitrario modificare i grandi testi della liturgia: spiegare, guidare, sì; sostituire no, perché essi esprimono un sentire la fede che supera ogni particolarismo. “La fede della Chiesa – insegna il Catechismo della Chiesa cattolica - precede la fede del credente, che è invitato ad aderirvi” (1124). Così quando la Chiesa celebra i sacra-menti, confessa la fede ricevuta dagli Apostoli.In questa prospettiva la divina liturgia ci mette direttamente in contatto con il patrimonio del-la fede, che la Chiesa custodisce ed annuncia a tutte le generazioni. Lo esprime nelle parole e nei gesti, inserendo coloro che le professano e li pongono nella comunione della Chiesa cat-

tolica, quasi un segno di riconoscimento e di autenticazione. La liturgia è fondamentale nel-la vita del credente perché parla il linguaggio della fede; non è un caso che il Concilio, di cui si celebra in quest’Anno della fede il cinquan-tesimo dall’inizio, abbia voluto come primo atto la riforma della liturgia. Essa doveva essere nuovamente capace di esprimere quel patri-monio di fede che i padri conciliari volevano presentare ai credenti in modo rinnovato.

Ma c’è qualcosa di più: non solo la liturgia pre-senta nelle sue preghie-re e nei suoi riti quello che la Chiesa crede: lo rende presente! Gli eventi principali della fede sono in essa at-tualizzati e partecipati a tutti coloro che acce-dono alla celebrazione.

Il motivo, cioè la forza della liturgia risiede nel fatto che in essa è presente Cristo Signore con l’energia della Pasqua. Il Vaticano II insegna a tal proposito che la liturgia è considerata come l’esercizio della funzione sacerdotale di Gesù Cristo. Egli è presente nella persona del mini-stro, è presente nei sacramenti, è presente nella Parola annunciata, è presente nella Chiesa che celebra. Se questa è la liturgia, celebrare nella fede si-gnifica aderire con tutto se stessi al mistero, cioè all’opera della salvezza, che si fa presente. Non si tratta principalmente di “fare qualcosa”, ma di “esserci” con la mente che ascolta e con il cuore che ama. Fondamentale è il raccogli-mento interiore, che si nutre di parole, ma anche di silenzi: a queste condizioni la liturgia opera e trasforma coloro che la celebrano. E, ai pastori è chiesta una responsabilità particolare: quella di adoperarsi a"nché i fedeli loro a"-dati prendano parte ai divini misteri in modo consapevole, attivo e fruttuoso. Ci si è riusciti un po’ di più?

M. Do.

ANNO DELLA FEDE 1 Note esplicite facendo un bilancio

Celebrazione più convinta

Ai pastori è chiesta una responsabilità particolare: quella di adoperarsi a!nché i fedeli loro a!dati prendano parte ai divini misteri in modo consapevole, attivo e fruttuoso. Ci si è riusciti un po’ di più? L’Anno della fede ha avuto tra i suoi obiettivi

quello di condurre i credenti a “riscoprire i contenuti della fede professata, celebra-

ta, vissuta e pregata e riflettere sullo stesso atto con cui si crede” (Porta fidei, 9). Tutto questo si raggiunge attraverso una catechesi capace di mo-strare come l’atto di fede sia ragionevole e quali siano i suoi contenuti.Lo strumento a disposizione per svolgere una catechesi di qualità è il Catechismo della Chiesa Cattolica, di cui si sono celebrati i vent’anni dalla pubblicazione. Esso, da una parte, costituisce uno dei frutti più importanti del Concilio Vaticano II, da un’altra, ne favorisce la ricezione. Benedetto XVI aveva auspicato che l’Anno della fede espri-messe “un corale impegno per la riscoperta e lo studio dei contenuti fondamentali della fede che trovano nel Catechismo della Chiesa Cattolica la loro sintesi sistematica ed organica” (Porta fidei, 11). Nel Catechismo, infatti, emerge la ricchezza di insegnamento che la Chiesa ha accolto, custo-dito e o!erto nei suoi duemila anni di storia. Dalla sacra Scrittura ai Padri della Chiesa, dai Maestri di teologia ai Santi che hanno attraversato i seco-li, il Catechismo o!re una memoria permanente dei tanti modi in cui la Chiesa ha meditato sulla fede e ha progredito nella dottrina per dare cer-tezza ai credenti nella loro vita di fede. Il Catechismo era stato voluto dai Padri riuniti

a Roma per l’Assemblea Straordinaria del Sino-do dei Vescovi nel 1985 in occasione del vente-simo anniversario dalla chiusura del Concilio. Moltissimi avevano espresso al Papa il desiderio che venisse composto un compendio di tutta la dottrina cristiana se-condo una prospettiva fortemente biblica e li-turgica e adatta alla vita attuale dei cristiani. Gio-vanni Paolo II fece suo questo desiderio, perché pienamente corrispon-dente a un vero bisogno della Chiesa universale, ma anche a quello delle Chiese particolari. Sette anni più tardi lo poteva presentare, a!ermando: “Questo Catechismo apporterà un contributo molto importante a quell’opera di rinnovamento dell’intera vita ecclesiale. Io lo riconosco come uno strumento valido e legittimo al servizio della comunione ecclesiale e come una norma sicura per l’insegnamento della fede” (Fidei depositum).La struttura del Catechismo è organica e comple-ta in quattro parti: alla spiegazione dei contenuti fondamentali del mistero ristiano secondo la for-mulazione del Credo segue quella della azioni li-turgiche, nella quale Cristo è presente, operante e continua a costruire la sua Chiesa. Senza la divina

liturgia e i Sacramenti, infatti, la professione di fede non avrebbe e"cacia, perché mancherebbe la grazia che sostiene la testimonianza dei cri-stiani. Fede conosciuta e grazia di Dio muovono

a una vita morale, intesa come sequela di Cristo: anche questa è organicamente insegnata dal Catechismo. Chiude la spiegazio-ne della preghiera composta dal Signore Gesù, che costituisce il modello di ogni domanda, di ogni lode, di ogni ringraziamento che l’uomo come figlio eleva al Padre.Per l’Anno della fede il Catechi-

smo è stato proposto come un vero strumento a sostegno della fede, soprattutto per quanti han-no a cuore la formazione dei credenti, impegno fondamentale nel nostro contesto culturale. Tra le iniziative che erano state suggerite dalla Con-gregazione per la dottrina della fede c’era quel-la di organizzare in ogni diocesi del mondo una giornata sul Catechismo della Chiesa Cattolica, invitando in modo particolare i sacerdoti, le per-sone consacrate e i catechisti. Come pure si era raccomandato di favorire la di!usione del testo come del suo Compendio, anche in edizioni ta-scabili o elettroniche.

Marco Doldi

ANNO DELLA FEDE 2 Il tema della formazione nel ventennale del CCC

Il Catechismo al centro della ricerca di senso

E’ stato proposto come un vero strumento a sostegno della fede, soprattutto per quanti hanno a cuore la formazione dei credenti, impegno fondamentale nel nostro contesto culturale

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12 15 Dicembre 2013Vita Diocesana 15 Dicembre 2013 13Vita di Chiesa

OSTENSIONE STRAORDINARIA Nell’anno del giubileo di San Giovanni Bosco

La Sindone “fa notizia” e scioglie il cuoreDifficile trovare un contesto più “to-

rinese”: l’ostensione della Sindone nell’anno del giubileo di don Bosco.

Con la visita (probabile, desiderata) di un Papa che ricorda con orgoglio le proprie origini piemontesi e che, sulla Sindone, ha già offerto una testimonianza di grande im-patto, nel videomessaggio per l’ostensione televisiva dello scorso Sabato Santo. Sono tre avvenimenti distinti, a cui si aggiungo-no altre manifestazioni importanti (come l’Expo di Milano); sono l’occasione, come ha ribadito l’arcivescovo custode, monsi-gnor Cesare Nosiglia, per realizzare intorno all’ostensione un altro passo di quel cammi-no di “rinascita” che la città e il territorio piemontese cercano e si aspettano. Negli ultimi 30 anni la Sindone ha cono-sciuto una “popolarità” come forse mai in passato. I risultati (controversi, e sempre meno “autorevoli”) dell’esame con il Carbo-nio 14 hanno aperto una stagione di ricer-che scientifiche di grande rilievo e interes-se, che ha permesso di conseguire risultati importanti per quanto riguarda la conser-vazione e le possibilità di studio dell’im-magine. Certo, si sono moltiplicati anche i tentativi di vantare scoperte clamorose: ma la comunità scientifica internazionale è parsa in grado di distinguere i frutti della ricerca seria e senza pregiudizi dagli espe-rimenti basati sull’ideologia, sui pregiudizi o, semplicemente, sulla logica del business. La “via maestra” scelta dalla Santa Sede e dalla Custodia è stata invece quella di in-dividuare le condizioni migliori per la con-

servazione; di avviare e portare a termine un coraggioso restauro del Telo, eliminan-do le scorie dell’incendio del 1532; di creare

le condizioni ottimali di pellegrinaggio; e, infine ma non ultimo, di proporre la realtà della Sindone nei temi di magistero - come hanno fatto Paolo VI e Giovanni Paolo II, Benedetto e Francesco. C’è poi l’esplosione di interesse nei confron-ti del Telo sui mezzi di comunicazione di massa, che negli ultimi 30 anni si sono im-padroniti di quell’immagine, e di tutti i suoi contesti, per affrontare argomenti “seri” o per dare fiato a improbabili scoop sulla for-mazione dell’immagine, sulle sue peregri-nazioni fra Asia ed Europa, sulla sua prove-

nienza da qualche lontano sistema solare (sì, venne detto e scritto anche questo). Il fatto è che la Sindone “fa notizia” non solo per

il suo “mistero” scientifico ma, ci pare, mol-to più per le domande esi-stenziali che essa suscita direttamente: sulla morte, sulla fede - in definitiva sul senso della vita. L’o s t e n s i o n e si presenta, dunque, non solo come un “evento” (nel senso, ormai peggiorativo,

che questo termine ha assunto), ma una proposta di accoglienza, e di fraternità. Le ostensioni del dopoguerra ci hanno inse-gnato non solo scienza e organizzazione, ma soprattutto che la Sindone “scioglie il cuore” delle persone che si lasciano inter-rogare. Questa volta il Telo si potrà vedere in tutto il mondo, attraverso le magie tec-nologiche della Rete: ma questi progressi rendono ancor più importante il “venire per vedere”, il farsi pellegrini a Torino.

Marco Bonatti (*)direttore “La Voce del Popolo” (Torino)

La Macchina di Santa Rosa a Viterbo, i Gigli di Nola, la Varia di Palmi e i Candelieri di Sassari: sono queste le

quattro processioni italiane riconosciute dall’Unesco come “patrimonio dell’uma-nità”. Anche la pietà popolare, quindi, è “cultura”: ma qual è il confine tra cultura e folklore, religiosità di popolo e devozio-nismo? Ne abbiamo parlato con monsi-gnor Antonio Staglianò, vescovo di Noto e membro della Commissione Cei per la cultura e le comunicazioni sociali.

Grazie all’Unesco, la pietà popolare en-tra nel patrimonio della cultura?“Sicuramente la notizia è bella e signifi-cativa, perché riconosce alla pietà popo-lare una valenza culturale: la fede è tale perché diventa cultura, e se non diventa cultura non è interamente pensata, pie-namente vissuta e genuinamente accolta, come diceva Giovanni Paolo II. Dall’altra parte, la decisione dell’Unesco chiede un particolare approfondimento, special-mente in merito al rischio che tale ambìto e importante riconoscimento si traduca in una sorta di ‘ingessatura’ di una forma particolare di processione, ingabbiando così la pietà popolare dentro un conteni-tore che la vuole assolutamente fissa. Il rischio, in altre parole - proprio perché tutto ciò che viene dichiarato ‘patrimonio dell’umanità’ dall’Unesco diventa intangi-bile e immodificabile - è di non potere nel futuro attivare un dinamico rinnovamen-to di forme e di linguaggi per dire, oggi e domani, lo stesso contenuto di fede”.

C’è quindi il rischio che l’Unesco si limi-ti a riconoscere gli aspetti folkloristici? “Sì, il pericolo è che ci si limiti alla for-ma folkloristica, al riconoscimento dello

svolgimento delle processioni citate esat-tamente come si svolgono oggi: cosa che rende impossibile entrare, nella stessa organizzazione delle feste, in modo cre-ativo. Il folklore fa certamente parte del costume di un popolo e di una determina-ta tradizione, e come tale va valorizzato, ma il ‘fissismo’ vieta di assumere forme nuove di pietà popolare, con un linguag-gio più attualizzante e comprensibile ai nostri contemporanei. Lo stesso Papa Francesco, nella Evangelii gaudium, dice espressamente che tante forme di pie-tà popolare hanno ormai perduto il loro senso e significato e rischiano di essere un omaggio soltanto idolatrico a un pas-sato che non ritornerà più”.

Cosa va conservato e cosa va “attualiz-zato” nelle nostre processioni?“Sicuramente va salvato l’omaggio al San-to: la processione eucaristica deve esse-re conservata, in quanto espressione del sentimento di un popolo che nel pellegri-naggio vuole dare visibilità alla propria fede. La devozione al Santo è l’espressio-ne di un popolo in cammino, che mentre cammina sulle strade degli uomini vuole rendere visibile, dare una testimonianza pubblica della propria fede. Ciò che deve restare, in altre parole, è il contenuto che si vuole testimoniare, il grande spessore umano e di fede che si accompagna alle espressioni della pietà popolare. Se, inve-ce, si privilegiano gli aspetti esteriori del costume e non si fanno prevalere le forme pratiche di vita, il rischio è che si snaturi la processione stessa”.

In passato, non sono mancate polemi-che per la presenza, in prima fila nelle processioni, di esponenti della crimina-

lità organizzata. Qual è l’atteggiamen-to della Chiesa?“Negli anni, nelle nostre diocesi si è por-tata avanti un’opera di grande evangeliz-zazione, con prese di posizione di alcuni vescovi veramente coraggiose. Posso te-stimoniare che, almeno nelle nostre par-rocchie, è avvenuta molta purificazione. Siccome si tratta però, nel caso delle pro-cessioni, di fenomeni di massa, più che di popolo, a volte è difficile governarle, e talvolta può accadere l’incontrollabile… Ma si tratta di casi isolati e di eccezioni: nelle nostre diocesi c’è molta chiarezza sull’inconciliabilità tra appartenenza alla Chiesa e appartenenza alle cosche mafio-se”.

Nella Evangelii Gaudium, il Papa parla della forza evangelica della pietà popola-re, come “autentica espressione dell’azio-ne missionaria spontanea del popolo di Dio”…“La pietà popolare è la vivacità straordi-naria del cuore, che entrando in contat-to con Dio si accorge della solidarietà, dell’amicizia, della fraternità che deve creare. Non si fanno le processioni per mostrare i vestiti o la sontuosità degli al-lestimenti, ma per diffondere più amore. Per questo, salutiamo con gioia la deci-sione dell’Unesco, che riconosce che la fede, nelle sue forme semplici e popolari, ha una grande valenza culturale, dove la cultura è intesa come luogo in cui l’uomo diventa più uomo. Nello stesso tempo, ci auguriamo però che l’Unesco valorizzi non tanto gli aspetti folkloristici, quan-to la qualità interiore, umana, spirituale e cristiana che emerge dalle processioni, in quanto genuine espressioni della pietà popolare”.

M. Michela Nicolais

RICONOSCIMENTO UNESCO Parla mons. Staglianò della Commisione Cei per la cultura

Nelle processioni la pietà popolare produce vera cultura

VOLONTARIATO Il meeting provinciale promosso dal CSV Poiesis

Ben-essere, proviamo a declinarlo con scelte concrete Meeting del Volontariato, quest’anno il tema è il Ben-essere Oltre cento vo-

lontari hanno partecipato nei giorni scorsi presso la Casa della Sussidiarietà al “Meeting del Volontariato”, un’occasione imperdibile per “fare rete”, sotto

il coordinamento del Csv Poiesis, il Centro Servizi al Volontariato della provincia di Brindisi, che ha voluto dare una connotazione diversa all’evento, giunto alla sua quinta edizione. “Abbiamo voluto coinvolgere - spiega Rino Spedicato, presidente del CSV - gli attori principali del territorio, quali Camera di Commercio, Cna, Con-findustria e Forum del Terzo Settore, per iniziare un dibattito con le associazioni,

perché ci piace dare un senso alle tante cose che ascoltiamo ogni giorno per strada, da chi dedica il proprio tempo al ser-vizio degli altri”.Dopo l’apertura dei lavori a"dati alla puntuale ana-lisi del Professor Angelo Salento, docente di Socio-logia all’Università del Sa-lento, la posizione di Con-findustria piuttosto critica nei confronti della politi-ca: “Il problema principale per chi vuole investire qui - dice senza mezzi termini

il presidente Angelo Guarini - é la giungla di autorizzazioni, al quale sottoporsi, una sorta di freno allo sviluppo ed all’impresa di chi crede nelle potenzialità della nostra terra. E’ triste am-metterlo, ma oggi stiamo sacrificando la parte produttiva del Paese per quella improduttiva, dove spesso troviamo sprechi, ine"cienze e parassitismo: mi auguro che quanto prima possa esserci un ricambio vero nella politica”.

Così, invece, Maurizio Guadalupi, portavoce del Forum del Terzo Settore della provincia di

Brindisi: “Finalmente si inizia a parlare di capitale umano, che può rappre-sentare un volano per lo sviluppo. Il terzo setto-re ha dato un contribu-to importante in settori importanti come quello delle tossicodipendenze, dell’Aids, della violenza sulle donne. Molti pen-sano che il welfare che si può realizzare solo dove c’é un’economia solida, ma io sono convinto che investire nel benessere possa essere un traino per la nostra società. Con un welfare piu attivo ed e"ciente può essere sostenuta la famiglia, che sta vivendo un momento di"cile e delicato, basti pensare a quanti disagi si vivano, laddove c’é una separazione in atto”.

Aperta alle idee ed alle esigenze dei volontari Sonia Rubini, direttrice Cna di Brindisi: “Mi piacerebbe capire quali sono i bisogni che la mia struttura puo provare a servire al mondo del Volontariato. Il cambiamento sociale va preparato, anche partendo dalle scuole, facendo prevenzione, pianificando progetti di utilità sociale e di cittadinanza attiva”.

“Ci sono parametri che il Pil non puó considerare - conclude Alfredo Malcarne, presidente della Camera di Commercio di Brindisi - come l’avere una vita dignitosa, la coesione sociale, la capacitá di avere relazioni, fattori che riguardano la sfera etica ed il welfare: i volontari presenti stasera sono la dimostrazione che spesso il benessere si crea operando sul campo”.

Tiziano Mele

ECUMENISMO L'arcivescovo Caliandro in visita nella Chiesa ortodossa di via Indipendenza

Nel nome di San Nicola il comune cammino fraternoConcluse il 6 dicembre con una pre-

ghiera comune degli ortodossi di Puglia alla tomba di San Nicola a

Bari, preghiera alla quale hanno partecipa-to anche gli ortodossi di Brindisi, le inizia-tive religiose in onore del Santo di comune venerazione tra cattolici ed ortodossi, pro-mosse dalla Chiesa Ortodossa di Brindisi guidata dal Archimandrita Arsenios.Il giorno precedente è stato celebrato il Grande Vespro con la suggestiva processio-ne della icona sacra di San Nicola per le vie del centro storico, mentre oggi è stata u"-ciata la Divina Liturgia, concelebrata da 5 sacerdoti venuti per questo motivo in parte dalla Grecia ed in parte dalla Calabria.Prima della Liturgia del 6 dicembre è sta-to accolto a!ettuosamente dai sacerdoti e dai fedeli ortodossi Mons. Domenico Ca-liandro, Arcivescovo di Brindisi- Ostiuni

in attesa visita alla storica Chiesa degli ortodossi di Brindisi e Salento. E’ stato salutato dal Rettore della Chiesa di Via Indipenden-za Padre Arsenios il quale ha sottolineato l’importan-za ed il grande significato di tale visita da parte del vescovo della città ricor-dando che dal ormai lon-tano 2002 si è intrapresa questa iniziativa congiun-ta con l’allora Arcivescovo Mons. Rocco Talucci. Tra l’altro P. Arsenios ha sot-tolineato che “quello che stano facendo ad alti livelli il Papa ed il Patriarca Ecu-menico, stiamo tentando

anche noi, nel nostro piccolo, qui a Brindisi”.Mons. Caliandro ha portato il saluto della Chiesa catto-lica a tutti i presenti ed ha assicurato la sua disponibilità per il proseguimento del comune camino fraterno tra le due comunità basato sul reciproco rispetto, sul dialogo e gli insegnamenti delle sacre scritture. Poi ha accetta-to “con grande gioia” l’invito pubblico a partecipare di persona alla tradizionale “benedizione delle acque e del porto” il 6 gennaio giorno dell’Epifania sia per cattolici che gli ortodossi.Presenti in questi due giorni di fitte celebrazioni ecclesia-stiche tanti fedeli ortodossi giunti anche dalla provincia di Brindisi, da Lecce e da Taranto. Presenti i monaci di Bose da Ostuni, rappresentanti dei Fratti Minori del Sa-lento della Parrocchia Vergine SS. Addolorata “La Pietà” di Brindisi, il Presidente dell’Autorità Portuale di Brindisi Hercules Haralambides ed il Presidente della Comunità Ellenica di Brindisi, Lecce e Taranto Ioannis Davilis.

Alfonso Costantino Donnicola

LEVERANO La “Cena di Fraternità” ed i rapporti di amicizia solidale

Caritas, luogo di incontro con Gesù uomo del nostro tempo Sembra proprio che gli extracomunitari, provenienti dai paesi più disparati e lonta-

ni e che cercano di insediarsi nelle nostre cit-tà, non abbiano nulla a che fare con noi: par-

lano lingue incomprensibili, hanno il colore della pelle diverso dal nostro, vestono in modo strano, credono in un Dio che non è il nostro, sporcano e distruggono i tuguri che noi furbescamente a"b-biamo loro come case …Eppure, basta che si avvicinino a noi per chiedere umilmente un tetto decoroso in cui vivere, un paio di scarpe da sostituire ai logori zoccoli di plastica consumati durante il loro peregrinare, un pasto, un maglione o una coperta per scaldare il cuore e le membra fiaccati da leggi ingiuste, da guerre fratri-cide o da menti interessate solo al profitto perché ci accorgiamo che, sotto le loro sembianze, è Gesù stesso che bussa alla nostra porta per saziare quella sete di amore, di giustizia, di verità insite in ciascu-no di noi. Le caritas parrocchiali cercano di fare questo nel-la convinzione che quando accolgono, sfamano, vestono, consolano stanno provando a colmare le loro stesse povertà.E’ con questo spirito ( e siamo al secondo anno ) che a Leverano, il 25 novembre scorso, nel salone della Parrocchia SS. Annunziata, noi tutti animatori Caritas, in collabora-zione con i diversi gruppi ecclesiali, abbiamo organizzato una “Cena di Fraternità” accogliendo una sessantina di immigrati con i quali tentiamo di instaurare rappor-

ti di solidale amicizia. Attorno alle tavole imbandite con piatti semplici, ma buoni, preparati con grande generosità dalla nostra Co-munità, abbiamo scoperto la bellezza dello stare insieme, abbiamo pregato nonostante le diverse religioni, ci siamo raccontate le reciproche storie, che non sono risultate tante diverse le une dalle altre. Infatti i nostri emigranti, che in un recente passato, con la valigia di cartone sono partiti per la Germania , la Francia o la Svizzera in cerca di un lavoro più stabile e sicuro hanno incontrato le stesse di"coltà che hanno oggi gli immigrati nel nostro territorio: lingue diverse, sguardi ostili o pieni di pregiudizio, fatiche non sempre rico-nosciute o remunerate, nostalgia della famiglia lasciata spesso nel luogo natio per risparmiare disagi, delusioni, sconfitte. Comunque lavorando sodo e non perdendo mai la speranza, essi hanno saputo costruirsi una vita dignitosa che dovrebbe essere un diritto di tutti, quella stessa che i fra-telli migranti cercano di conquistare adesso qui da noi. Siamo convinti che l’esclusione porta all’impove-rimento materiale e spirituale, mentre l’apertura

e l’accettazione della diversità può creare benessere, ricchezza soprattutto di valori che elevano e ci avvicinano a Gesù, vero Uomo, oltreché vero Dio.

La Caritas Interparrocchiale di Leverano

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15 Dicembre 2013 15Vita di Chiesa

Veronica, liceale di Vimercate (Monza e Brianza): “Il tablet è quello strumento che permette agli studenti di abbattere

i muri che fi no a poco tempo fa separavano la scuola dal mondo reale. Utilizzando questo di-spositivo che ci apre le porte al mondo dell’in-formazione di ogni genere riusciamo a capire stando tra i banchi di scuola cosa cambia fuori dall’aula tra questioni politiche, economiche e sociali. Inoltre avere un tablet allena gli alunni a condividere e comunicare le loro esperien-ze scolastiche sia all’interno della classe che all’interno dell’intero istituto fi no ad arrivare a una comunicazione e a una sperimentazio-ne di nuovi progetti didattici tra più istituti. La possibilità di comunicare in modo rapido e con più persone contemporaneamente soli-difi ca i rapporti interpersonali, invita gli alun-ni ad aprirsi e a puntare tutti verso un unico obiettivo che deve portare in alto il valore del lavoro di gruppo e non solo ed esclusivamente quello del singolo”.Sebastian e Martina, liceali di Bergamo: “Sia-mo convinti che il tablet possa essere usato a scuola solo come uno strumento integrativo al libro di testo cartaceo. Le strutture non ci

permettono di usare solo ed esclusivamente il tablet: troppo spesso abbiamo a che fare con reti internet che non funzionano o addirittura con prese della corrente insu" cienti. Proba-bilmente di questi tempi avere il tablet e dire che a scuola si fa lezione col tablet fa tendenza: al contrario noi pensiamo sia solo apparenza e che nella sostanza non ci sia nulla di buono, il reale benefi cio non esiste”.Pro e contro, tra studenti. Sono temi emer-si a Bergamo, all’incontro “Tablet School 2: processo alla scuola digitale”, dove studenti e docenti, da tutta Italia, si sono confrontati sull’uso delle tecnologie a scuola. Un dibattito acceso e tra “esperti”, cioè persone che hanno esperienza, tra i banchi e dalle cattedre, senza la pretesa di dire la parola defi nitiva, ma coin-volti in un “work in progress” che tiene conto dell’”inevitabilità” del digitale come anche del-le problematiche che porta con sé. Fa bene alla scuola? Probabilmente sì. Ma come? Se ne può fare a meno? Probabilmente no. Ma, ancora, fi ne a che punto?Sono domande che non si possono di! erire e di fatto se ne discute molto nel mondo della scuola e non solo. E’ evidente a tutti come la

scuola italiana sia impegnata - e debba impe-gnarsi - anzitutto in uno sforzo di adeguamen-to delle strutture di base. Tuttavia conosce da tempo importanti “fughe in avanti”, sguardi sul futuro. Utili anche perché indicano cosa serve per prepararlo per tutti. Oltre i luoghi comu-ni e gli slogan, considerando la “fatica” di una formazione sempre più adeguata e di a! ronta-re cambiamenti profondi: non basta sostituire la carta con il tablet - si passi la banalizzazio-ne - ma occorre cambiare mentalità e studiare didattiche apposite. Così Dianora Bardi - “in-segnante digitale”, verrebbe da dire - ideatrice e referente del progetto “A scuola con l’iPad”, da anni impegnata su questo versante a Ber-gamo: “Non possiamo negare che avere un ta-blet per studiare sia necessario di questi tempi e che permetta agli studenti di apprendere in modo nuovo e migliore. Ma è anche vero che la didattica deve cambiare. Il sistema che sta dietro alla cattedra deve aggiornarsi e corre-re al passo coi tempi altrimenti è ovvio che il tablet diventa un danno più che una risorsa”. Appunto.

Alberto Campoleoni

SCUOLA DIGITALE Studenti e docenti, da tutta Italia, a confronto a Bergamo

Tablet, pro e contro per farne davvero una risorsa

Al Sud non esiste solo il problema dei rifi uti pe-ricolosi - di cui da quasi

vent’anni sono stati indicati i siti, che non si bonifi cano - o quello della disoccupazione di-lagante o della povertà. Dietro tutti questi problemi, c’è quello della scuola. E non ci riferia-mo alla sua inadeguatezza in termini di competenza degli studenti meridionali rispetto ai loro colleghi del Nord - come dimostrano tutte le indagi-ni serie – o al fenomeno della dispersione scolastica, ma al problema ancor più elementare dell’agibilità fi sica e della sicu-rezza degli istituti scolastici.Sono stati ripetuti e frequenti, anche nelle ultime settimane, i disagi che hanno dovuto sop-portare gli studenti e i docenti di vari Istituti scolastici in molte regioni. E’ acca-duto in Puglia, in Sardegna, in Campania, in par-ticolare. E’ bastata qualche acquazzone e, oltre all’acqua piovana, sono caduti direttamente nelle aule o negli atrii, calcinacci e controso" ttature.Sembrano una vera e propria goccia nel mare i circa 112 milioni di euro per il Piano straordina-rio per la messa in sicurezza degli edifi ci scola-stici, previsto dal Governo, che si svilupperà su ben 989 edifi ci scolastici sparsi sul territorio na-zionale, con interventi a pioggia, in base ai bandi formulati dalle Regioni e senza basarsi sui dati di un’anagrafe dell’esistente e dei suoi problemi, di cui si parla da tempo, ma che tuttora non esiste. In base alla stima contenuta in un rapporto recente dell’Unione delle Province Italiane - che fi nora, non si sa che cosa accadrà dal prossimo mese di gennaio, hanno la competenza sugli edifi ci della scuola superiore - per la messa in sicurezza degli istituti scolastici occorrono almeno 5 miliardi di euro. Degli 8,5 miliardi di fabbisogno totale per gli oltre 5mila edifi ci di proprietà delle Pro-vince, il 60% servirebbe per adeguarli alle norme di legge - e questo signifi ca che attualmente le leggi non vengono rispettate; un altro 25% è ne-cessario per nuove costruzioni, ristrutturazioni, ampliamenti; il restante 15% sarebbe destinato ad assicurare l’e" cienza energetica.Non si tratta solo di evitare tragedie come quella che accadde 12 anni or sono a San Giuliano di Pu-glia, dove il crollo della scuola “Jovine” - causato non dal terremoto, ma dalla sopraelevazione in

cemento armato di un edifi cio in muratura - pro-vocò la morte di 27 bambini e della loro maestra. Si tratta di considerare la vetustà complessiva del patrimonio scolastico e la sua localizzazione in aree - soprattutto nel Mezzogiorno – fortemente esposte al rischio sismico e idro-geologico. Dal rapporto Ance-Cresme, emerge che dei 64.797 edifi ci scolastici censiti, 6.415 sono stati realiz-zati prima del 1919, 6.026 fra il 1919 e il 1945, 28.127 tra il 1945 e il 1971. Quindi, il 62% del patrimonio ha più di 40 anni ed ha subito spo-radici interventi di manutenzione straordinaria. L’esposizione al rischio è eccessiva e molto seria: si valuta che il 37% degli edifi ci scolastici si trovi in aree ad alto rischio sismico ed il 9,6% a elevato rischio idro-geologico. Delle 24.073 scuole loca-lizzate ad alto rischio sismico, 4.894 si trovano in Sicilia, 4.872 in Campania, 3.199 in Calabria. Sono 1.017 le scuole della Campania, secondo il rapporto, ad alto rischio idrogeologico.Non si tratta di suscitare panico o allarmi. C’è un semplice fatto, da considerare. In altri Paesi, terremoti e alluvioni sono contenibili nei loro ef-fetti. Da noi, come i fatti hanno dimostrato, no. Si potrebbe, però, avviare una profonda rivisi-tazione dell’intera questione, dedicando magari ad essa risorse disponibili - ci riferiamo ai fondi europei – che nella misura del 40% sono rimasti inutilizzati relativamente all’ultimo quinquen-nio. Si spera che le amministrazioni regionali si adoperino meglio per quelle previste per la pros-sima programmazione.

Roberto Rea

INFRASTRUTTURE Analisi della situazione su scala nazionale

Edilizia scolastica a pezzi

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Si è svolto a Bari un incontro tra i tecnici del Mini-

stero per l’Università e la ricerca scientifica i dirigenti del Centro Scolastico Regiona-le e le dirigenze sco-lastiche interessate, congiuntamente al personale degli uffici tecnici del Comune e delle Provincie coin-volte, finalizzato alla comunicazione del-le modalità operative per l’assegnazione dei finanziamenti comu-nitari, nell’ambito del-la misura PON FESR 2007-2013 “Ambiente dell’apprendimento-Asse 2°- Qualità de-gli ambienti scolastici Obiettivo C”. Il Comune di Brindisi ha ricevuto comuni-

cazione della disponi-bilità di quattro finan-ziamenti, dell’importo di 350.000 euro ca-dauno, per far fronte ad altrettanti inter-venti che interesse-ranno edifici scolastici appartenenti ai Com-prensivi Centro, Cen-tro 1, Bozzano e S.Elia. L’Ufficio tecnico del Comune dovrà redige-re i progetti esecutivi di tutte e quattro gli interventi, procedere alla loro approvazione presso il MIUR entro e non oltre il 28 febbraio 2014 per consentire il rapido avvio della fase successiva di appal-to ed esecuzione dei lavori. Gli interventi dovranno concludersi entro il mese di luglio 2015.

IN CITTA’ Ci sono i fi nanziamenti

Si intervienein 4 istituti

Page 9: Spedizione in A.P. - art. 2 - c.20 - L.662/96 Et …...Gr ecia e Ð elemento allarman-te Ð Òse si guar da agli under 29 nel Mezzogiorno sono fuori dal per corso lavorativo, for -

16 Vita di Chiesa 15 Dicembre 2013 1715 Dicembre 2013 Società & TerritorioCOLLETTA ALIMENTARE Un’esperienza vissuta intensamente anche nella nostra realtà

La solidarietà non va mai in crisi nemmeno adesso

PROPOSTA La lettera alle istituzioni di Bruno Mitrugno, già direttore della Caritas diocesana

Urgente istituire un Tavolo delle Povertà

IRC/MESSAGGIO CEI Messaggio della presidenza della CEI in vista della scelta per l’anno scolastico 2014-2015

Impegno e passione per la scuola della Chiesa in ItaliaCari studenti e cari genitori,

anche quest’anno sarete chiamati a decidere se avvalervi o non avvalervi dell’insegnamento della

religione cattolica. Si tratta di un servizio educativo che la Chiesa o!re alla scuola italiana in conformità a quanto stabilito dall’Accordo del 18 febbraio 1984 che ha modi-ficato il Concordato Lateranense e dalle Intese attuative che negli anni si sono succedute. Nel quadro delle finalità della scuola, cioè aderendo agli scopi educativi che moti-vano l’esistenza delle scuole di ogni ordine e grado in Italia, l’insegnamento della religione cattolica consente a tutti, a prescindere dal proprio credo religioso, di comprendere la cultura in cui oggi viviamo in Italia, così profondamen-te intrisa di valori e di testimonianze cristiane.Parlando a un gruppo di studenti, papa Francesco ha ri-cordato che “la scuola è uno degli ambienti educativi in cui si cresce per imparare a vivere, per diventare uomini e donne adulti e maturi, capaci di camminare, di percorrere la strada della vita. Come vi aiuta a crescere la scuola? Vi aiuta non solo nello sviluppare la vostra intelligenza, ma per una formazione integrale di tutte le componenti della vostra personalità” (Discorso agli studenti delle scuole ge-stite dai gesuiti in Italia e Albania, 7 giugno 2013).Sulla scia di queste parole, la Chiesa in Italia vuole ribadi-re il proprio impegno e la propria passione per la scuola.

Quest’anno e lo farà anche in maniera pubblica con un grande pomeriggio di festa e di incontro con il Papa in Piazza san Pietro il prossimo 10 maggio, a cui sono in-vitati gli studenti, gli insegnanti, le famiglie e tutti coloro che sono coinvolti nella grande avventura della scuola e dell’educazione. Riprendendo le parole del Papa, riteniamo che sia neces-saria una formazione completa della persona, che dunque non trascuri la dimensione religiosa. Non si potrebbero capire altrimenti tanti fenomeni storici, letterari, artisti-ci; ma soprattutto non si potrebbe capire la motivazione profonda che spinge tante persone a condurre la propria vita in nome dei principi e dei valori annunciati duemila anni fa da Gesù di Nazareth. È per questo che vogliamo ancora una volta invitare ogni studente e ogni genitore a guardare con fiducia e con simpatia al servizio educativo o!erto dall’insegnamento della religione cattolica.Per rendere tale servizio sempre più qualificato e adegua-to alla realtà scolastica, con l’Intesa stipulata nel 2012 tra la Conferenza Episcopale Italiana e il Ministero dell’Istru-zione, dell’Università e della Ricerca sono stati fissati livel-li sempre più elevati di formazione accademica degli in-segnanti di religione cattolica, almeno pari a quelli di tutti gli altri insegnanti e spesso anche superiori. Ringraziamo questi insegnanti, oggi in gran parte laici, che con la loro

passione educativa testimoniano nella scuola il valore del-la cultura religiosa, attraverso il cui servizio cerchiamo di venire incontro alle esigenze più autentiche degli alunni che oggi frequentano le scuole italiane, alle loro domande di senso, alla loro ricerca di una valida guida.Tutto questo è ben espresso nelle Indicazioni didattiche recentemente aggiornate e attualmente in vigore nelle scuole di ogni ordine e grado. In quelle specifiche per il primo ciclo di istruzione si dichiara in maniera impegna-tiva che “il confronto con la forma storica della religione cattolica svolge un ruolo fondamentale e costruttivo per la convivenza civile, in quanto permette di cogliere im-portanti aspetti dell’identità culturale di appartenenza e aiuta le relazioni e i rapporti tra persone di culture e reli-gioni di!erenti”. Nella fase storica che attualmente stiamo vivendo il contributo dell’insegnamento della religione cattolica può essere determinante per favorire la crescita equilibrata delle future generazioni e l’apertura culturale a tutte le manifestazioni dello spirito umano.Con questi sentimenti, e confortati dall’elevata adesione fino ad oggi registrata, vi rinnoviamo l’invito a scegliere l’insegnamento della religione cattolica per completare e sostenere la vostra formazione umana e culturale.

La Presidenza della CEI

IRC Un’analisi dopo trent’anni di esperienza in Italia

Perchè iscriversi? Un’occasione per crescereCome ogni anno, la presidenza della

Conferenza episcopale italiana tor-na, in prossimità della scadenza per

le iscrizioni scolastiche, a invitare studen-ti e genitori alla scelta per l’Insegnamento della religione cattolica (Irc).Lo fa con uno scritto che, pur avendo una sua ritualità, non è la ripetizione di un adempimento scontato, quasi meccanico e dovuto, a “onorare” la scadenza. Piutto-sto, ogni volta, il tradizionale messaggio in vista della scelta di avvalersi dell’Irc, è una riflessione rinnovata sull’identità di tale insegnamento, sulle ragioni che lo sostengono nella scuola di tutti, sull’im-pegno della Chiesa italiana per l’educa-zione dei giovani e il bene del Paese. È come se ogni anno si cogliesse l’occasione per comprendere meglio una prospettiva - quella dell’Irc neoconcordatario - adot-tata ormai trent’anni fa, per molta parte “figlia” del Concilio, frutto di un cammino

importante di riflessione nella Chiesa e nella società civile.Ogni volta, nel messaggio, parole “fresche” e provocanti, come quelle di Papa France-sco, ricordate dalla presidenza della Cei: “La scuola è uno degli ambienti educativi in cui si cresce per imparare a vivere, per diventare uomini e donne adulti e matu-ri, capaci di camminare, di percorrere la strada della vita. Come vi aiuta a crescere la scuola? Vi aiuta non solo nello svilup-pare la vostra intelligenza, ma per una for-mazione integrale di tutte le componenti della vostra personalità” (Discorso agli studenti delle scuole gestite dai gesuiti in Italia e Albania, 7 giugno 2013).E viene in mente la “stagione dei dibat-titi”, le lunghe discussioni, negli anni che hanno preceduto e preparato la revisione concordataria, sulla necessità di caratte-rizzare l’ambiente educativo scolastico, di puntare alla formazione integrale, di

cogliere l’opportunità dell’educazione, an-che religiosa, pur in un ambiente “laico”, di tutti e per tutti, come la scuola pubblica. L’Irc nasce in questo contesto: o!rire alla scuola un’opportunità perché possa essere sempre più e meglio... scuola. Nasce nella convinzione di una comunità cristiana che non chiede privilegi ma riconosce l’auto-nomia delle diverse realtà e sa mettersi al servizio, con umiltà, di un’istituzione non sua, collaborando “per la promozione dell’uomo e il bene del Paese”, come recita il Nuovo Concordato.Questa comunità, negli anni seguiti agli accordi, si è misurata con le di"coltà, an-che con le ambiguità che possono sussi-stere, muovendosi però sempre con chia-rezza al servizio dell’educazione e della scuola: impegnandosi a raccogliere, di volta in volta, le esigenze dei più giovani, ad adeguarsi ai cambiamenti rapidissimi della scuola stessa, a proporre una forma-

zione iniziale e in servizio costante e qua-lificata per i suoi docenti, “volto” concreto di una Chiesa che si spende per tutti, con lealtà e professionalità.Ecco, tutto questo viene in mente leggen-do il messaggio di quest’anno, che ricorda le nuove Indicazioni didattiche, la stipula dell’Intesa sui titoli di qualificazione, ri-chiama una volta di più l’orizzonte delle “finalità della scuola” e precisa come l’Irc “consente a tutti, a prescindere dal pro-prio credo religioso, di comprendere la cultura in cui oggi viviamo in Italia, così profondamente intrisa di valori e di testi-monianze cristiane”.A questo Irc vale la pena d’iscriversi, per non perdere un’opportunità. Per questo Irc vale la pena d’impegnarsi, per conti-nuare a o!rire un’occasione alla scuola italiana di fare bene il proprio mestiere.

Alberto Campoleoni

GIURISTI CATTOLICI Il Convegno nazionale si è tenuto a Milano nelle scorse settimane

La laicità non è unica e non è vincolo esterno alla libertà religiosaLa laicità oppure le laicità? La laicità è un traguar-

do o un processo dinamico? Regge ancora il si-stema del Concordato e delle Intese? Di questo

e altri temi connessi alla libertà religiosa, si è parlato a Milano nel corso del convegno nazionale dell’Unione giuristi cattolici italiani (Ugci). Dopo un approfondi-mento storico sull’idea di tolleranza svolto dal prefetto della biblioteca ambrosiana, monsignor Franco Buzzi, Giuseppe Dalla Torre, rettore della Lumsa, ha svisce-rato i diversi aspetti connessi al tema della laicità. Lo Stato non “nasce” laico. Dalla Torre ha subito chia-rito un presupposto fondamentale, ossia che lo Sta-to non è naturaliter laico: “La laicità non è elemento strutturale proprio, distintivo e genetico, di ciò che, nel senso più generico ed astorico possibile, chiamia-mo Stato”. Una conferma arriva dalla storia: “Gli Stati dell’antichità furono monisti, cioè non ebbero alcuna distinguibilità tra politica e religione”. Un elemento ri-scontrabile anche nella modernità: “Tra Ottocento e Novecento le ideologie, vere religioni secolari, senza Dio, hanno preteso di vincolare le coscienze alla volon-tà del Principe di turno”. La laicità non è traguardo che si raggiunge una volta per tutte, bensì “un processo in continuo divenire, una tensione che si manifesta in un certo momento della vicenda umana. Tutto ha origine con quella pretesa, propriamente cristiana, di distin-guere il regno di Dio dai regni di questo mondo”.Il cristianesimo secolarizza la politica. Il messaggio cristiano ha superato l’identificazione tra religione e Stato: “perché Cesare, vale a dire il potere politico, non è il signore assoluto”. A questa impostazione, sono

debitrici una serie di concezioni, valori e norme che caratterizzano la moderna democrazia, si pensi alla libertà religiosa, all’obiezione di coscienza, ma anche all’abbandono del giuramento quale strumento del potere politico. “Il principio dualistico cristiano – ha precisato Dalla Torre - ha messo in moto un processo di secolarizzazione della politica, riportando questa nei limiti suoi propri e ponendo un limite invalicabi-le all’espansione del potere secolare”. Compito della Chiesa, dunque, è il mantenimento di questa dualità, che non può tradursi in commistione tra i poteri, né in una ritirata della Chiesa nella sfera del privato.Tante laicità. Uno dei maggiori equivoci nell’a!ronta-re il tema della laicità dello Stato, risiede nella convin-zione che vi sia solo un modello di laicità dello Stato. La forma di Stato si è progressivamente avvicinata a quella della imparzialità, e “dal punto di vista formale, questo obiettivo è stato ad oggi pressoché raggiunto dai Paesi di tradizione cattolica. Se dal punto di vista normativo solo la Costituzione francese contiene un riferimento esplicito alla laicità dello Stato, dagli altri ordinamenti costituzionali è scomparso il riferimen-to alla religione di Stato”. Ma nei Paesi cristiani non cattolici non è così: “Molti sono ancora formalmente confessionisti, come ad esempio il Regno Unito”. Tut-tavia, dal punto di vista sostanziale negli Stati europei la laicità è stata raggiunta, vedi la immunità dal potere relativamente alle questioni di coscienza, “rivelando che l’esperienza della laicità ha una pluralità di forme”. Oggi, invece, è di!usa la concezione francese che la laicità sia unica. Il rischio è che si traduca in una lesio-ne della libertà religiosa: “Essa viene intesa come un

limite esterno alla libertà religiosa, basti pensare, ad esempio, al dibattito relativo all’obbligo per gli u"ciali si Stato civile francesi di celebrare matrimoni tra per-sone dello stesso sesso”. Il problema delle intese-fotocopia. La Corte europea dei diritti dell’uomo ha recentemente rivalutato il va-lore di una laicità quale espressione della libertà reli-giosa mentre in Italia “il disposto di cui al primo com-ma dell’art. 7 della Costituzione, secondo cui ‘lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani’ costituisce una sorta di ‘provvi-denziale’ inserimento nel testo costituzionale degli an-ticorpi necessari a mantenere sempre vivo il dualismo portatore di libertà” e “ha una portata che ridonda a vantaggio di tutti; fa distinguere lo spazio del pubblico, dove è anche la religione, dallo spazio politico; condu-ce ad una laicità positiva che distingue ma non separa; evita la confessionalizzazione della politica, così come la politicizzazione della religione”. Per le altre religioni il problema di intese-fotocopia, identiche per tutte le confessioni, ha indotto alcuni a pensare che sia me-glio abbandonare il sistema concordatario e pattizio a favore di una legge complessiva sulla libertà religio-sa, ma ciò impedirebbe una disciplina di!erenziata secondo il principio costituzionale di uguaglianza in base al quale si debbono trattare diversamente situa-zioni diverse. Infine, va ricordato che “la Costituzione non riconosce solo la libertà religiosa personale, ma anche istituzionale, ed è proprio su questo piano che oggi si gioca la libertà religiosa”.

Ilaria Nava

“La solidarietà non va mai in crisi”. Dovrebbe essere questo il titolo a “nove colonne” che quotidiani e network dovrebbero di!ondere

accanto alle tristi notizie della crisi che attanaglia senza tregua il nostro Paese. Le iniziative di solidarietà sono tante e in tutto il corso dell’anno ma nes-suna come la Giornata Nazionale della Collet-ta alimentare (quest’anno celebrata lo scorso 30 novembre) è capace di mettere insieme 135 mila volontari in ogni borgo d’Italia che in 11 mila supermercati hanno chiesto a 5 milioni e mezzo di italiani di “fare la spesa per chi non può farlo”.È il diciassettesimo anno che si ripete questo piccolo, grande miracolo nazionale. Nonostan-te la crisi morda notevolmente le famiglie ita-liane, rispetto allo scorso anno su scala nazione si è raccolto solo poco meno: 9037 tonnella-te complessive contro le 9622 del 2012. Poco male se si pensa che i market aderenti, invece, sono stati 2000 in più. A chi va questa impres-sionante mole di alimenti? A 8800 strutture caritative convenzionante con la Rete Banco Alimentare che a sua volta assiste ogni giorno oltre 1.800.000 poveri. Numeri da capogiro che ci fanno comprendere ancora una volta come il cuore dell’Uomo non sia a!atto in crisi. Le ra-gioni di tanta generosità, non solo da parte di chi “ha fatto la spesa” ma anche delle migliaia di volontari, che hanno dedicato una intera giornata a promuovere, im-paccare, trasportare ed organizzare, risiede ogni anno in un documento chiamato le “Dieci righe” sul quale gran parte dei volontari si ferma a riflettere prima della “militanza”. Quest’anno le “Dieci righe” richiamano le parole di Papa Francesco nell’Udienza Generale dello scorso 5 giugno: «La vita umana, la persona non sono più sentite come valore primario da rispettare e tute-

lare, specie se è povera. Il consumismo ci ha indotti ad abituarci al superfluo e allo spreco quotidiano di cibo, al quale talvolta non siamo più in grado di dare il giusto valore, che va ben al di là dei meri parametri economi-

ci. Invito tutti a riflettere sul problema della perdita e dello spreco del cibo per individuare vie e modi che, a!rontando seriamente tale problematica, siano veico-lo di solidarietà e di condivisione con i più bisognosi. Quando il cibo viene condiviso in modo equo, con soli-darietà, nessuno è privo del necessario, ogni comunità può andare incontro ai bisogni dei più poveri».Quell’ “andare incontro”, filo d’unione di tutto il Pon-tificato del papa argentino, è stato trasformato in ogni latitudine d’Italia in gesto concreto. Anche nel nostro

territorio, a Brindisi, dove hanno aderito 50 market tra grandi strutture e market di quartiere che hanno raci-molato 26.569 kg di alimenti frutto della generosità di brindisini, mesagnesi, carovignesi, sanvitesi, ostunesi,

francavillesi e cegliesi (queste le città coinvol-te). Soddisfazione per il coordinatore del gesto in Terra di Brindisi, Antonio Fanelli per il quale “ogni anni diventa sempre più di"cile, complice la crisi e la burocrazia, mettere insieme mezzi e risorse ma anche quest’anno la soddisfazione è più grande di ogni fatica”. Ma passata la Gior-nata nazionale, l’entusiasmo dei volontari e l’at-tenzione riservata dai grandi media cosa rimane negli altri 364 giorni dell’anno? Rimane la “Rete” del Banco Alimentare (la Onlus di Compagnia delle Opere che promuove la Colletta) che av-via incessantemente diversi accordi e program-mi di “recupero eccedenze”. Uno di questi è di recente istituzione ed interessa anche il nostro territorio: il recupero delle eccedenze alimen-tari (e conseguente distribuzione) dalla mensa aziendale della Augusta di Brindisi, a seguito di un accordo nazionale del Gruppo Finmeccanica con “il Banco”.Altra fondamentale attività della Fondazione è la gestione nel corso dell’anno di tutte queste risor-

se sui territori. Non solo semplice organizzazione di magazzino ma vera ricerca esistenziale per i volontari: andare fin dentro le singole case per “conoscere ed incon-trare” chi è nella di"coltà. Perché il bisogno di cibo è solo uno dei tanti “bisogni” di ogni Uomo e questo i volontari del Banco lo sanno bene. Per questo “incontrare” colo-ro che ricevono “il pacco” d’aiuto significa riconoscere di avere la stessa “fame” che nessun cibo, scarso o abbon-dante che sia, può placare. Fame di un Altro e di “un cibo che non perisce” e che nasce solo da un “incontro”.

Ant. Rigl.

Di povertà nei nostri paesi non si parla più, spesso neanche nelle nostre Chiese, se ne parla solo

quando i poveri diventano cronaca; oggi la storia di Silvano il senzatetto cacciato dalla stazione ferroviaria, ieri quella dello straniero buttato fuori dal-la finestra del Ferrohotel, famiglie che vivono nelle automobili, e sicuramente con l’approssimarsi dell’inverno, tante altre situazioni di disagio, di miseria che o!endono la dignità dell’uomo.La lotta alle vecchie e nuove povertà dovrebbe essere l’obiettivo principale di una comunità civile, farsi carico di chi fa fatica ad andare avanti non è solo un comandamento evangelico ma prin-cipio basilare dei diritti fondamentali dell’uomo. Poveri non si nasce diceva Don Tonino Bello, si può nascere poeti ma non poveri, poveri si diventa, come si diventa avvocati, tecnici, preti, è un fenomeno sociale costruito e prodotto dalle società umane.È sempre più di"cile la situazione del-le nostre famiglie, strette da una cri-si economica sempre più dura e che purtroppo non è destinata a diminuire presto, occorre allora un impegno serio delle Istituzioni locali per dare rispo-ste altrettante serie che vadano oltre alla ormai necessaria elemosina che i nostri servizi sociali con sollecitudine erogano ma che con cruda realtà biso-gna ammettere che oggi serve, perché il piatto in tavola lo devono poter met-tere tutti.A livello nazionale si è costituita nei giorni scorsi una “Alleanza Contro le Povertà” promossa dalle Acli in colla-borazione con Caritas Italiana e del-la quale fanno parte gli organismi più rappresentativi dell’Associazionismo italiano; Anci, Cgil – Cisl – Uil, Cna, Confcooperative, Conferenza delle Re-

gioni e delle Province Autonome, On-lus, Fondazione Banco Alimentare, Fo-rum Nazionale del Terzo Settore, Save

the Children.E come primo passo è stato presenta-to il progetto del Reddito d’inclusione sociale (Reis) la proposta cioè di un reddito minimo garantito come esiste in diversi paesi europei, a quelle fasce di popolazione che non hanno mezzi di sostentamento dignitosi.Per la provincia di Brindisi è quanto mai urgente costituire un Tavolo delle Povertà presso la Prefettura. Cosi come esiste per quanto concerne la Sicurezza Pubblica, che tra non molto sicuramen-te si dovrà occupare di pace sociale che mancherà perché la gente è esasperata, il Comune di Brindisi si potrebbe fare promotore e chiedere alla Prefettura la costituzione di un Tavolo delle Povertà,

un Organismo che raccolga Istituzioni, Comuni, Chiese e mondo del volonta-riato sociale, per definire interventi e

strategie volte a rispondere alle condi-zioni di disagio derivanti dalle povertà vecchie e nuove del territorio.Un Tavolo delle povertà che veda la partecipazione dei Comuni della no-stra provincia, delle organizzazioni di volontariato, dei sindacati, dei Vesco-vi, della Asl, questo pachiderma Isti-tuzionale che dovrebbe preoccuparsi in primis della nostra salute, sarebbe chiamato istituzionalmente a lavorare insieme agli altri nella lotta alle povertà e alle disuguaglianze che spesso hanno come teatro proprio le strutture sanita-rie pubbliche della nostra provincia.Da questo Tavolo far nascere proposte ed interventi concreti. Una Casa di ac-coglienza pubblica, in grado di o!rire

ospitalità temporanea per quelle situa-zioni di disagio e vera emergenza che si presentano ordinariamente e conti-nuamente nella vita di una città: fami-glie con minori sfrattate, o vittime di situazioni delicate che richiedono l’al-lontanamento temporaneo, barboni ed altro, situazioni per le quali attualmente non solo non ci sono strutture idonee, ma che assorbono notevoli risorse eco-nomiche per rette presso istituti vari. Interventi di lotta alle ludopatie, le di-pendenze da gioco che pescano adepti proprio nelle fasce più emarginate del-la società e che stanno creando enor-mi disagi nelle famiglie. In tante città italiane ci sono iniziative a più voci per arginare questo triste fenomeno. Co-ordinamento di iniziative comuni per i vari paesi , di lotta alle povertà e alle disuguaglianze.Il Tavolo delle Povertà, forse sicura-mente non risolverà i mali del nostro territorio ma potrà essere un segna-le di speranza da dare alla gente, spe-cialmente a coloro che fanno fatica ad andare avanti. “Nessuno nasce povero né sceglie di esserlo. È vero che una bambina che nasce in una famiglia di contadini in fuga dalla siccità in Etiopia o in una baraccopoli di Mumbai nasce ‘diversa’ dalla bambina di un membro della famiglia reale britannica. Ma come essere umano ‘nasce uguale’.Tutti noi nascendo riceviamo la vita, prima ancora di ‘vivere’ in condizioni considerate povere o ricche. È lo sta-to della società nella quale nasciamo che ci fa “poveri o ricchi”. Cosi recita il primo degli articoli di Banning Pover-ty, l’organismo che si propone entro il 2018 di far dichiarare dall’Onu l’illega-lità della povertà.

Bruno MitrugnoGià direttore della Caritas diocesana

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18 15 Dicembre 2013Libri 1915 Dicembre 2013 Cultura & Comunicazione

Preti del Novecento nel

Mezzogiorno d’Italia di S. Palese e E. Morciano

D i loro restano le opere, i di-scorsi, la vita, i sacrifici di chi

da anni è fedele al proprio ministero, la fedeltà di chi ogni giorno si spen-de per annunciare, difendere e dif-fondere la Verità, nella fedeltà della Rivelazione, conosciuta e vissuta, per

celebrare i divini ministeri, in ore di confessionale per la salvezza delle anime e per sollevare qual-siasi pena. Sono i sacerdoti che, «nel silenzio e nel nascondi-mento, offrono quotidianamente la propria eroica testimonianza di fedeltà a Cristo e alla Chiesa» (card. Mauro Piacenza), un esercito buono di pace e di bene, di amore, di luce e di misericordia. Alla figura del Curato d’Ars, san Giovanni Maria Vianney, in oc-

casione del 150° anniversario della morte, nel 2009 Benedetto XVI indis-se l’Anno sacerdotale per «contribuire a promuovere l’impegno d’interiore rinnovamento di tutti i sacerdoti per una loro più forte e incisiva testi-monianza evangelica nel mondo di oggi». Il patrono, ma anche modello e guida per tutti i sacerdoti, ha au-mentato l’interesse specialmente ver-so quel clero parrocchiale la cui gran-de positività, personale ed ecclesiale, forse è stata finora poco conosciuta e apprezzata. In questo interessante solco si inseriscel’importante volume di mons. Salvatore Palese e del prof. Ercole Morciano, «Preti del Novecen-to nel Mezzogiorno d’Italia. Reperto-rio biografico del clero della diocesi Ugento-S. Maria di Leuca» (Congedo, 390 pagine). Un saggio storico, scrive nella presentazione mons. Vito An-giuli, che «evidenzia il rapporto tra vescovi e clero, richiama le relazio-ni interpersonali dei sacerdoti tra di loro e con il popolo a loro affidato, descrive le diverse tipologie dei preti e la loro differente condizione eco-nomica, rileva la loro insufficienza numerica». Un dono, ha definito il li-bro il vescovo ugentino, «offerto alla comunità civile ed ecclesiale che ri-torna a beneficio di tutti». La ricerca, dopo l’introduzione metodologica, è divisa in due parti: la prima contie-ne 242 schede biografiche del clero diocesano e regolare (compresi gli ultimi 7 vescovi); la seconda raccoglie 90 necrologi firmati, editi in diverse pubblicazioni, estendendo il campo d’indagine ai sacerdoti defunti nel primo decennio del 2000. Il tutto ar-ricchito da indici dei nomi e da un al-bum fotografico di 160 ritratti. Se per Gustave Flaubert «ce nesontpas le perles qui font le collier, c’est le fil», le importanti testimonianze raccolte da Palese e da Morciano, non sono sol-tanto delle straordinarie «perle», ma intendono porre l’accento sul «filo» (e la natura) che le unisce: la Fede.

Dino Levante

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O Domenico Pinca. Pittore di Mesagne

di II° Circolo didattico Mesagne

N on poteva passare sotto silenzio il bicentenario della morte di

un pittore che – considerato “artigia-no dell’arte” – ha contribuito al viag-gio dei cristiani “oltre il velo”, offren-do i suoi pennelli alla comprensione della fede. E così, ecco che le classi

V del 2° Circolo didattico “Gio-vanni XXIII” di Mesagne nel corso dell’an-no scolastico 2012/23 hanno condotto una ricerca interdi-sciplinare che le ha portate – validamente guidate dalle docenti – alla pubblicazione di “Domenico Pinca, pittore di Mesagne (1736-1813)” (Loco-rotondo edito-re, pp. 127). I giovani autori hanno battu-

to biblioteche ed archivi ed hanno l’indubbio merito di aver posto una parola definitiva sulle date di nascita e di morte del pittore e della sua al-lieva, quella Teresa dello Diago, che fu prima maestra pubblica a Mesa-gne. Non solo: hanno realizzato, con questo libro, un attendibile e ben organizzato catalogo (il primo) delle opere di Domenico Pinca, al quale si deve l’ultimo organico intervento pittorico nella Chiesa matrice di Me-sagne nella seconda metà del XVIII secolo. I giovani studiosi hanno rin-tracciato i quadri di Pinca che sono nelle diverse chiese mesagnesi; han-no offerto una lettura formale, han-no valutato la realizzazione pittorica alla luce delle Sacre scritture o delle fonti agiografiche, hanno dato prova di aver lavorato dopo aver creato uno schema di lettura uniforme e meto-dologicamente corretto, capace di dare maggior lustro ad un approccio interdisciplinare, se è vero – com’è vero – che tutto il corpo docente ha validamente partecipato alla forma-zione di questi ragazzi. Di più. Nel li-bro viene anche documentato il per-corso didattico alla base dello studio critico. Va inquadrata in tale ottica la parte della pubblicazione relativa alle esperienze nei diversi laborato-ri e il lavoro di intervista ad esperti. Quelle V classi – studenti e docen-ti insieme – hanno fatto un’opera meritoria, aprendo la strada ad un nuovo interrogativo di ricerca. A due-cento anni di distanza dalla morte di Domenico Pinca, infatti, è più che le-gittimo chiedersi quali percorsi suc-cessivi abbia vissuto l’arte sacra nella cittadina mesagnese; quanti - ed in quale misura - siano stati i protago-nisti tout court e quelli mesagnesi in particolare; quale sensibilità abbia avuto il clero mesagnese e quale sia stata la sintonia con l’istituzione civi-ca. Alcuni quadri di Pinca, infatti, fu-rono rimossi quasi subito dagli altari, ma poi vi fecero ritorno: il motivo era lo “spirare divozione”, o meno. A ben vedere anche quello di devo-zione e committenza è tema tutto da studiare.

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O I love pope Benedict XVI

di Bambini della Corea

“M i vergogno un po’ a dirLe che mi piacerebbe cheLei fosse

mio nonno perché mio nonno sempre mi tratta con affetto. Gli adulti pensa-no che mio nonno non sa esprimere il suo affetto, ma a me non sembra così”.“Io sono il rappresentante della mia classe. Mentre facevamo la vota-

zione per l ’e l e z i o n e mi veniva un’asia nel cuore. Lei è veramente grande! Per-ché è diven-tato Papa fra moltissi-mi Cardina-li! E dopo un’elezione così piena di tensione se io fossi di-ventato Papa farei le cose con ancora più impegno perché sarei

tanto conten-to pensando di rappresentare tutti i fedeli del mondo e tutti i Cardinali e sarei doppiamente contento per aver risposto alla grazia di Dio”.“Ah! Tanti auguri perché mi hanno detto che Lei ha compiuto 60 ani di sacerdozio. In Corea il sessantesimo compleanno è molto speciale. Per una persona che compie 60 anni facciamo una grande festa e regaliamo un’immagine della tartaruga che è segno di lunga vita. In-fatti quando mia nonna ha compiuto 60 anni le ho regalato una collana e un anello con una tartaruga di creta. Vorrei regalare anche a Lei un porta-memo con una tartaruga che ho fat-to durante la classe d’arte”. Sono tre brani di altrettante lettere che hanno vinto il “Concorso di lettere a Sua San-tità Benedetto XVI in occasione del 60° anniversario della sua ordinazione sacerdotale” promosso e organizzato nel 2011 dall’Ambasciata della Repub-blica di Corea presso la Santa Sede in collaborazione con il giornale cattolico coreano “PyeonghwaShinmun”. Ora quei 33 lavori premiati sono raccol-ti nel volume “I bambini della Corea scrivono a Bemedetto XVI” , splendi-damente edito dalla “Libreria Editreice Vaticana” (pp. 188, Euro 58) in collabo-razione con la sopra citata Ambascia-ta. Il volume, che oltre alla prefazione dell’Ambasciatore Thomas Hong-Soon Han, reca una significativa lettera del card. Tarcisio Bertone, quale Segreta-rio di Stato, è davvero tutto da sfoglia-re. Evidenzia la limpidezza d’animo dei bambini, la levatura culturale di chi li educa. “Durante la lezione di storia – scrive una bimba – stiamo studiando l’inizio del Cattolicesimo in Corea che fu chiamato “Sh’hak” che significa la “Scienza Occidentale” e ho capito una cosa molto importante, cioè il Catto-licesimo non è stato accolto all’inizio come una religione. Non potevo cre-dere questo perché ero convinta che il Cattolicesimo era una Fede ma a scuola ci dicono che è entrato come una Scienza e dopo, poco a poco è stato accolto come fede”. Testi scritti da bambini: utili anche per i grandi.

(a. scon.)

C’È SEMPRE IL SOLE SU “CHECCO”

Regia: Gennaro Nunziante

Il ritorno nelle sale del comico barese: un successo annunciatoIl fenomeno Checco Zalone è tornato. E con “Sole a catinelle”, che esce con 1.200 copie in tutta Italia, è pronto a sbaraglia-re ogni altra pellicola al botteghino. Luca Medici, in arte Checco Zalone, una laurea in giurisprudenza, inizia la sua carriera artistica nel mondo della musica. Ma è la televisione a farlo conoscere al grande pubblico. In particola-re la trasmissione Zelig gli regala un successo inaspettato. Nel varie-tà comico di Italia 1 l’artista barese si diver-tiva a imitare i grandi cantanti italiani come Vasco Rossi o Jovanot-ti, dimostrando natu-rali capacità mimeti-che e spiccato senso dell’umorismo. Dopo la televisione il passo verso il cinema è quasi obbligatorio. Ormai in Italia, infatti, è una consuetudine il trapasso di comici tra tv e grande schermo (da Aldo, Giovanni e Gia-como a Enrico Brignano, Alessandro Siani e via dicendo). Nel 2009 “Cado dalla nubi”, suo esordio al cinema, incassa la cifra re-cord di 13 milioni di euro e conquista tutta Italia. Cifra che verrà addirittura superata con “Che bella giornata”, seconda pellicola dell’attore, che sbaraglia addirittura “Ava-tar” di James Cameron, con un incasso di 43 milioni di euro.Quale il segreto del successo di questo autore che non solo interpreta i suoi film ma addirittura li scrive insieme a Gennaro Nunziante (il regista)? Un mix di comicità strampalata, surreale, mai troppo volga-re (come invece troppo spesso accade ai comici italiani), che gioca su tormentoni (come le tante canzoni che compaiono in ogni pellicola, scritte dallo stesso Zalone)

e modi di dire dialettali. Una comicità che s’incarna nella maschera creata da Zalone: il meridionale ingenuo e un po’ scemotto, ma sincero e verace. Forse un po’ arretra-to nel pensiero ma buono nell’animo e in fondo ottimista.In “Sole a catinelle” l’attore torna a im-personare questo suo personaggio, ma rispetto ai due film precedenti, incentrati sulle storie amorose del protagonista, qui si concentra sul rapporto tra un padre e un figlio, che attraversano un’Italia in piena crisi economica. Il padre è in crisi lavorativa e familiare (la moglie lo ha mes-

so alla porta perché inconcludente) ma non si rassegna e promette al figlio una vacanza da sogno se prenderà tutti dieci in pagella. Il figlio ottiene il risultato, ora Checco deve “pagare” il suo debito. Peccato non ci siano i soldi! Per fortuna ad accorrere in aiuto a Checco arriverà una donna, madre di un bambino proble-matico, che chiederà

a Checco e al figlio di passare l’estate con loro. Ecco che i due si ritroveranno cata-pultati in una vacanza da sogno tra ric-chezza e lusso, con tutte le conseguenze comiche del caso.Naturalmente la trama del film è molto esile, ma la forza del cinema di Zalone sta tutta nell’esplosività del suo perso-naggio che si ritrova sempre “fuori posto” e crea scompiglio. Anche qui accade la stessa cosa e si ride molto ma, allo stesso tempo, si riflette. Cercando di non appe-santire la pellicola con prese di posizioni ideologiche, il film è, comunque sia, per-fettamente immerso nel contesto storico, economico e culturale del nostro Paese e ci offre uno sguardo ottimista, finalmente non cinico e nichilista, sulla nostra realtà, dove, alla fine vincono gli affetti familiari e la buona volontà.

Paola Dalla Torre

TRE STELLE TORNANO A BRILLARERegia: Luc Bessun

Sugli schermi: Silvester Stallone, Arnold Sch-warzenegger e Robert De NiroTre stelle del cinema non vogliono proprio smettere di brillare. Silvester Stallone, Arnold Schwarzenegger e Robert De Niro tornano sul grande schermo in contemporanea. Stallone e Schwarzenegger recitano insieme per la pri-ma volta (anche se già li abbiamo visti nella saga “I mercenari”, ma dividevano lo scher-mo solo per pochi mi-nuti) in “Escape Plane”, pellicola d’azione, in cui i due si alleano per sfuggire da una prigio-ne che sembra invul-nerabile. E vogliono di dimostrare di non aver perso lo smalto fisico dei tempi passati. D’al-tronde tutta la carriera di questi due attori si è mossa sul piano della prestanza fisica.Arnold Schwarzeneg-ger, classe 1947, austria-co di nascita ma diventato poi cittadino ame-ricano, ha iniziato, infatti, con il body building per arrivare poi al cinema, in ruoli che met-tessero in evidenza la sua forza muscolare. Da “Conan-Il barbaro”, all’eroe di tante pellicole d’azione come “Commando” o “True Lies”, fino al robot che arriva dal futuro di “Termi-nator”. Una carriera di successo, interrotta per scelta nel 2003 quando Schwarzy decise di darsi alla politica e diventò Governatore della California (carica che gli venne riconfermata nel 2006). Finito il suo doppio mandato, il ci-nema lo ha accolto di nuovo a braccia aperte. Certo pochi si sarebbero aspettati di vederlo sullo schermo con Stallone, il nemico cinema-tografico per eccellenza degli anni ‘80 e ‘90. Silvester Stallone, classe 1946, si affermava con eroi diventati vere e proprie icone del cinema come Rocky, il pugile italoamerica-no che da sconosciuto diventa campione del mondo, e Rambo, il reduce della guerra del Vietnam, simbolo dei drammi del conflitto.

Nate da un’idea dell’attore queste due figure lottano per prendersi una rivincita su una so-cietà corrotta, superando avversità e ingiusti-zie grazie alla propria forza.Un altro attore, invece, deve tutto alla reci-tazione. Stiamo parlando di Robert De Niro, classe 1943, italoamericano cresciuto nel quartiere di Little Italy a New York dove ha fatto l’incontro più importante della sua vita. Quello con un altro italoamericano, quel Mar-tin Scorsese che sarebbe diventato uno dei re-gisti più importanti del cinema americano. Da “Mean Street”, infatti, primo film girato insie-

me, fino a “Taxi Driver”, “Quei bravi ragazzi” e “Casinò”, la storia di De Niro e Scorsese è legata a doppia mandata e ha fatto grande il cinema statunitense. Ma De Niro ha recitato anche con altri grandissimi autori cinematografici: con Coppola per “Il Pa-drino”, dove interpreta il mafioso Don Vito Cor-leone, con Terry Gilliam nel film di fantascienza “Brazil”, con Sergio Leo-

ne nel gangster crepuscolare “C’era una volta in America”. Vincitore di due premi Oscar, la carriera di De Niro non si è mai interrotta e si è mossa principalmente sul versante del ci-nema d’autore, anche se in tempi più recenti lo abbiamo visto più che altro in commedie disimpegnate come la saga di “Ti presento i miei”. Oggi torna sul grande schermo con un film diretto dal francese Luc Besson: “Cose nostre Malavita”, parodia del genere gangster in cui interpreta un “padrino” che ha denun-ciato la sua famiglia mafiosa e ora deve vivere sotto copertura, con la moglie e i due figli, in una cittadina sperduta della Normandia.Circa due secoli in tre, ma Stallone, Schwar-zenegger e De Niro non mollano e lanciano la loro sfida al box office, generalmente do-minato da pellicole interpretate da divi più giovani. Riusciranno a richiamare al cinema il loro vecchio pubblico e magari intercettarne uno nuovo?

Paola Dalla Torre

GIOVANI E WEB Le domande di senso che pongono i social network

Veicoli per stimolare il protagonismo dei giovani

Ogni giorno l’opinione pubblica viene in-formata nei minimi

particolari su fatti delittuosi che formano ormai una lun-ga e triste catena di morti e di lutti. C’è un accanimento sui dettagli che suscita qual-che perplessità e qualche do-manda.

La regola del mestiere dice che bisogna raccontare tut-to, proprio tutto. La verità va assolutamente messa in pagina, senza sconti e a ogni costo. Bisogna scegliere i frammenti più scabrosi, bi-sogna mostrare le macchie di sangue sui muri e l’arma del delitto insanguinata. Oc-corre so!ermarsi minuziosamente sulla dinamica di un omicidio o di un suicidio. Nulla deve essere sottratto al sacrosanto diritto a essere informati. Se non si segue questa linea con fermezza non si è professionalmente credibili. Non si è all’altezza del compito.

Qualche dubbio sorge di fronte ad a!ermazioni tal-mente perentorie da rasentare l’arroganza. Davvero la verità, per essere pienamente raccontata e compresa, ha bisogno di sostegni morbosi ? È davvero necessario provocare forti scosse emotive per rendere più notizia-

bile un fatto di cro-naca nera e più ven-dibile il giornale che lo riporta? Il lettore, il radioascoltatore, il telespettatore han-no davvero bisogno di un supplemento di morbosità? Come è possibile ritenere che non abbiano ab-bastanza intelligen-za per comprendere pienamente un fatto delittuoso attraver-so una notizia con i dati essenziali? Sono alcune domande in

cerca di risposte. Forse la professionalità giornalistica vive di un’altra

responsabilità, ha un altro respiro umano ed etico so-prattutto quando tratta di raccontare atti che distrug-gono persone e famiglie. Forse l’accanimento sui detta-gli non fa bene neppure all’informazione.

È, questa, una questione dibattuta da tempo sia tra i addetti ai lavori che nell’opinione pubblica. Non si tratta di stabilire un elenco di buoni e un elenco di cattivi perché il mestiere di ascoltare e raccontare gli altri è comunque difficile per tutti. Si tratta piutto-

sto di ragionare intorno al rapporto tra la verità e la dignità delle persone. La prima non può escludere la seconda.

C’è allora un equilibrio a cui tendere con convinzione per rendere credibile la professione giornalistica e per non subordinarla a interessi che poco o nulla hanno a che fare con la ricerca e la narrazione della verità. Certamente non è un percorso facile: esige un eserci-zio permanente di riflessione sui fondamentali di un mestiere che ogni giorno si misura con le altezze e le bassezze dell’uomo.

Anche l’opinione pubblica ha una responsabilità nella crescita della propria capacità critica rispetto a un’in-formazione che fatica a mettere in linea la verità dei fatti con la dignità delle persone. Non è vero che questo equilibrio sia irraggiungibile. Molti giornalisti lo han-no raggiunto e lo raggiungono proprio per amore di una professione costruita con la fatica dell’ascolto, del pensiero e del racconto.

Non è vero che questo equilibrio sia irraggiungibile: c’è un’opinione pubblica che legge, vede e ascolta con competenza, che sa giudicare e distinguere il servizio alla verità dal servizio ad altri interessi.

È l’alleanza tra le due responsabilità, quella del gior-nalismo e quella dell’opinione pubblica, che può aiuta-re la verità e la dignità a farsi strada insieme nel grovi-glio dei fatti di ogni giorno, anche di quelli più tristi e dolorosi.

Paolo Busta!a

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