Speciale AboutPharma. La stipsi nel trattamento con oppiacei

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La stipsi nel trattamento con oppiacei GLI SPECIALI di

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La stipsi nel trattamento con oppiacei

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La stipsi nel trattamento con oppiacei

GLI SPECIALIdi

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EDITORIALE––

Questa edizione della serie Ri-Do, Rifiuta il Dolore, realizzata da AboutPharma and Medical Devices con il contributo non condizionato di Mundipharma, si concentra sul tema della stipsi in pazienti in trattamento con oppiacei. Lo scenario, chiaramente, delinea un soggetto che nella maggior parte dei casi proviene oppure è ancora all’interno di un trattamento oncologico.

Quando si parla di stipsi si parla, direttamente e senza mezzi termini, di qualità della vita e ci si riferisce ancora in certa misura a quella definizione OMS del 1948 in cui si precisava che “la salute è uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale e non consiste soltanto in un’assenza di malattia o di infermità”. L’OMS parlava di “possesso”, un concetto che il British Medical Journal ha recentemente messo in discussione e forse superato, contrapponendo una definizione di processo a quella di stato: salute potrebbe essere forse oggi meglio definita come “un processo che permette alle persone di aumentare il controllo su di sé e migliorare la propria salute”. Un processo che oggi deve per forza di cose essere concepito su più piani: il paziente per un miglior controllo di sé, il servizio sanitario per tendere all’alta qualità e alla sostenibilità complessiva del sistema di cure, il clinico perché possa al meglio svolgere in scienza e coscienza il suo mandato di curante. Questa sottolineatura “di processo” ci porta dinamicamente all’interno dei due studi che vengono qui presentati, il Candrilli e lo Hjalte. Il secondo, in particolare, è una ricerca scandinava che si concentra su due fattori: necessità di monitorare la soggettività nella problematica di stipsi e incidenza economica del suo trattamento in termini di costi diretti, indiretti e sociali. Gli oppiacei sono la base più avanzata in ambito di cure palliative, l’effetto collaterale della

Walter Gatti AboutPharma and Medical Devices

stipsi (doloroso per la persona e costoso per il servizio sanitario) può essere un motivo per bloccarne l’utilizzo? Certamente no: vorrebbe dire riconsegnare la persona al dolore primario. Semmai imprime una accelerazione all’insieme dei processi da avviare, che riguardano in primis lo sviluppo di molecole sempre più mirate all’azione antagonista, così come la ricerca scientifica e la produzione sta mostrando negli ultimi anni, e la sempre miglior conoscenza da parte dei clinici e dei team specialistici delle associazioni farmacologiche più performanti ed efficaci.

L’ultimo tassello del “processo” è rappresentato dall’empowerment. Stipsi in molti casi significa nuovi farmaci e a volte ricovero d’urgenza. Stipsi significa, in ultima analisi, una minore compliance verso il trattamento da oppiacei e addirittura in molti soggetti un abbandono della terapia. Combattere la stipsi – sottolineano alcuni dei clinici che qui intervengono – significa anche impostare in un corretto rapporto medico-paziente, uno stile di vita e di alimentazione differente (attività fisica, molti liquidi, cibi ricchi di fibra). Offrire al paziente informazioni, strumenti e metodi per l’autopromozione della propria salute: questo è il tassello finale della strategia complessiva sulla stipsi. Come diceva la Carta di Ottawa For Health Promotion (1986): “La promozione della salute è il processo che mette in grado le persone di aumentare il controllo sulla propria salute e di migliorarla… mettendo in grado tutte le persone di raggiungere appieno il loro potenziale di salute”, attraverso un’azione congiunta che comprenda “la disponibilità di informazioni, abilità personali e opportunità che consentono di fare scelte sane”. Un’osservazione globale che calza perfettamente al caso particolare della stipsi.

Oppiacei e stipsi:verso una migliore qualità della vita

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EditoreHPS srlVia Piccinni 2, 20131 Milanotel. 02.2772991 fax. 02.29526823www.aboutpharma.com [email protected]: 1935962

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Direttore ResponsabileWalter [email protected]

Direttore CommercialeDomenico Mancini [email protected] In redazioneMaddalena [email protected] [email protected] [email protected] [email protected]

Ha collaboratoArturo Zenorini

Sono intervenutiFabio IntelligenteAnestesia e Rianimazione, Humanitas RozzanoVittorio IornoAnestesia e rianimazione, Centro di Medicina del Dolore “Mario Tiengo”-Fondazione IRCCS Cà Granda Ospedale Maggiore Policlinico di MilanoMarco LacerenzaNeurologia, Ospedale Pio X MilanoSusan MengoMaster Cure Palliative, Hospice Santa Maria delle Grazie MonzaAurora MiedicoOncologia, Ospedale MagentaRocco Rizzo Anestesia e rianimazione CTO, Azienda Ospedaliera Istituti Clinici di Perfezionamento MilanoFabio Gerardo RubinoAnestesia e rianimazione, Ospedale Niguarda MilanoVivian SardoGinecologia, Ospedale GarbagnateBettina UllrichChemioterapia Ospedale Bassini Cinisello Balsamo Azienda Ospedaliera Istituti Clinici di Perfezionamento MilanoLaura Emanuela Lucia Velutti Oncologia, Humanitas Rozzano

Progetto grafico e impaginazioneStudio Priori & CIn collaborazione conBarbara Borgonovo

Illustrazione di copertinaCristina Del Buono per Dissociate

StampaHH GLOBAL S.r.l. – Bergamo

AutorizzazioneTribunale di Milano n. 451 del 20/09/2002

© AboutPharma and Medical DevicesÈ vietata la riproduzione anche parziale di testi e immagini presenti su tutta la rivista.

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sommario

01 EDITORIALE

Oppiacei e stipsi: verso una migliore qualità della vita

04 cLInIcAL TRIAL

L’impatto della stipsi da oppiacei

09 cLInIcAL pRAcTIcE

09 L’esperienza di oncologi e terapisti del dolore a confronto Oppiacei e stipsi: costi ed efficacia12 La stipsi incide sulle risorse14 Le strategie per contrastare la stipsi da oppiacei18 Oppiacei nelle cure palliative: possibili sviluppi

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L’impatto della stipsi nel trattamento con oppiacei

La stipsi che deriva dall’impiego di oppiacei per il trattamento del dolore severo, particolarmente nei pazienti oncologici, ha un impatto considerevole sull’efficacia della terapia, sulla qualità di vita del paziente, sull’impiego delle risorse sanitarie e sui costi per la società; per questo motivo è sempre più sentita l’esigenza di nuove molecole che possano eliminare, o quanto meno ridurre, il problema rappresentato dalla stipsi durante il trattamento con oppiacei. È questo il senso che emerge da due analisi dei costi determinati da tale problematica: il primo studio, statunitense (Candrilli SD et al. 2009), è stato condotto sui dati di oltre 8800 pazienti affetti da neoplasia, mentre il secondo, realizzato da autori svedesi (Hjalte F et al. 2010), è stato realizzato su un campione meno ampio di circa 300 soggetti con dolore cronico.

I criteri di inclusione e valutazione da un database di oltre 40 milioni di pazientiLo studio realizzato da Sean D. Candrilli, senior director dell’Health Economics dell’RTI Health Solutions in North Carolina, ha utilizzato come fonte di dati un vasto archivio elettronico relativo a 75 piani sanitari nazionali, in grado di coprire oltre 40 milioni di pazienti degli Stati Uniti. Un primo criterio generale di inclusione è stata la presenza in un soggetto di almeno una diagnosi di cancro associata a una richiesta alla propria assicurazione sanitaria di prescrizione di un analgesico oppiaceo forte. Allo scopo di consentire una corretta interpretazione dei dati, i pazienti inclusi nello studio dovevano avere seguito, in precedenza, per almeno 6 mesi un piano sanitario senza alcuna evidenza di impiego di oppiacei. Inoltre, per assicurarsi che i soggetti inseriti nell’analisi facessero uso cronico di oppiacei, e non un uso occasionale per un dolore transitorio, era necessario che ogni soggetto selezionato seguisse una terapia con oppiacei per almeno 30 giorni durante il periodo di follow-up di 12 mesi. Infine, per essere certi che qualsiasi mancanza di eventi correlati all’assistenza successiva all’inizio del trattamento con oppiacei fosse davvero dovuta a una mancata attività medica e non al termine del contratto assicurativo, era necessario che i soggetti selezionati per lo studio avessero la copertura continua di un piano sanitario per 12 mesi dopo la data indice. Tra le caratteristiche del paziente rilevate al basale (ossia alla data indice) vi erano: età, sesso, regione geografica, tipo di piano sanitario, soggetto pagante. Inoltre, allo scopo di valutare il carico complessivo di comorbilità precedente l’inizio del trattamento con oppiacei, è stato calcolato per ogni paziente il punteggio Charlson Comorbidity Index (CCI) che include 17 categorie di comorbilità.Come parametri per misurare i risultati, gli autori hanno preso in considerazione sia i pattern di utilizzazione degli oppiacei con gli effetti collaterali associati, sia il volume e i costi dei servizi sanitari utilizzati. Questi parametri sono stati valutati per un periodo di 12 mesi dall’inizio del trattamento antalgico, mettendo a confronto un gruppo di pazienti affetti da stipsi con un gruppo di controllo, paragonabile per caratteristiche demografiche ma senza stipsi.I pattern di impiego degli oppiacei sono stati valutati stimando la percentuale di pazienti con almeno un’interruzione del trattamento, la durata della terapia, l’entità dello switch cioè l’uso di un oppiaceo alternativo successivo all’oppiaceo iniziale, e la percentuale di pazienti che facevano uso concomitante di più oppiacei.Attraverso un’analisi statistica basata su modelli di regressione semilogaritmica

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in due parti, si è giunti quindi a definire l’impatto della stipsi sull’impiego delle risorse sanitarie e i costi associati.

In presenza di stipsi, spesso vi sono anche altri effetti collateraliI ricercatori hanno individuato 8836 soggetti che soddisfacevano tutti i criteri di inclusione; di questi, il 57,6% era di sesso femminile, l’età media del campione di 52,1 anni e il punteggio medio CCI di 3,98. Degli 8836 pazienti del campione globale, 821 (9,3%) hanno evidenziato fenomeni di stipsi durante i 12 mesi successivi all’inizio del trattamento con oppiacei.Rispetto al gruppo di controllo senza stipsi (n = 821), nel gruppo di soggetti affetti da stipsi è stata registrata sia una percentuale maggiore di pazienti con almeno una interruzione del trattamento con oppiacei e successivo riavvio della terapia, sia una percentuale maggiore di pazienti che hanno fatto uso continuativo di questi farmaci (Tabella 1). Per quanto riguarda la durata media della terapia con oppiacei, essa è stata superiore di quasi 30 giorni nei pazienti con stipsi rispetto a quelli senza stipsi. La percentuale di casi in cui si è rilevato l’uso concomitante di almeno

2 oppiacei in qualsiasi momento durante i 12 mesi di follow-up è stata significativamente maggiore nel gruppo con stipsi (44,1%) rispetto all’altro (31,4%). Analogamente, il numero di pazienti che è passato da un oppiaceo a un altro è stato più elevato nel gruppo con stipsi (54%) rispetto a quello senza stipsi (36,1%). Ancora, nel gruppo con stipsi, rispetto al gruppo senza, si sono avuti più casi di nausea, vomito, depressione respiratoria o dispnea, ostruzione intestinale, delirio o disorientamento, e ritenzione urinaria (Tabella 2).Gli autori sono poi passati ad analizzare l’utilizzazione delle risorse sanitarie da parte del campione di popolazione. Una percentuale più elevata di pazienti del gruppo con stipsi ha subito almeno un ricovero ospedaliero rispetto al gruppo di controllo (69,2% vs 49,5%; p < 0,0001), così come il numero medio di giorni trascorsi in ospedale è stato più elevato nei primi rispetto ai secondi (18,7 vs 10; p < 0,0001). Da sottolineare ancora che i pazienti affetti da stipsi correlata a oppiacei hanno utilizzato in misura significativamente superiore i reparti di Pronto Soccorso, l’hospice, l’assistenza sanitaria e i servizi infermieristici domiciliari, oltre a un maggior numero di prescrizioni farmaceutiche.

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con stipsi (n=821) Senza stipsi (n=821) p

n. % n. %

Sospensione

> 1 interruzione con successivo riavvio 294 35,81 223 27,16 0,0002

Interruzione senza riavvio 321 39,10 440 53,59 <0,0001

Uso continuativo 206 25,09 158 19,24 0,0043

Durata della terapia (giorni)

Media 155,91 128,45 <0,0001

Deviazione standard 115,12 109,63 –

Mediana 117 78 –

Minimo 30 30 –

Massimo 365 365 –

Distribuzione della durata della terapia

30-90 343 41,78 449 54,59 <0,0001

91-180 169 20,58 154 18,76 0,3520

181-270 119 14,49 78 9,50 0,0018

271-365 190 23,14 140 17,05 0,0021

Switching

Passaggio a un oppiaceo diverso rispetto a quello di partenza 443 53,96 296 36,05 <0,0001

Uso concomitante

Uso >2 oppiacei in un qualunque

momento dei 12 mesi di follow-up 362 44,09 258 31,43 <0,0001

Tabella 1. pattern di utilizzo degli oppiacei durante i 12 mesi successivi all’inizio del trattamento

Fonte: Candrilli SD et al, 2009

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Dopo l’applicazione dei modelli statistici, è risultato che la stipsi – in generale – si associa a un aumento dei costi totali di oltre il 109%.

Relazione tra effetti collaterali, compliance ed efficacia della terapiaI risultati di questo studio di Candrilli et al. indicano che i pazienti oncologici trattati con oppiacei e affetti da stipsi hanno, rispetto ai soggetti che non soffrono di stipsi, differenti pattern di utilizzazione di tali farmaci e impiegano maggiori risorse che si associano a costi superiori. Ciò ha implicazioni rilevanti riguardo alla compliance. Già studi precedenti avevano sottolineato l’impatto negativo degli effetti collaterali sull’adesione alla terapia con oppiacei, in quanto tali effetti possono indurre i pazienti a sospendere il trattamento, pregiudicando il raggiungimento del controllo del dolore (Thorpe DM, 2001). Se è vero che talvolta i pazienti possono sviluppare tolleranza per alcuni effetti collaterali, la stipsi di solito rappresenta un problema pressante e persistente. D’altra parte, una forma di stipsi cronica grave, che insorga come conseguenza dell’uso di oppiacei, può indurre il medico a ridurre la posologia a livelli insufficienti per un’analgesia efficace, o a sospendere del tutto il trattamento: due eventualità che portano comunque a una riacutizzazione del dolore, che compromette ulteriormente lo stato del paziente.Va detto, inoltre, che il paziente può sperimentare un effetto collaterale con un determinato oppiaceo ma non con un altro; questo fatto può indurre allo switch tra oppiacei che richiede una consulenza clinica

aggiuntiva, con ulteriore aggravio degli oneri già rilevanti sostenuti dai pazienti.Va precisato, infine, che l’analisi del gruppo di Candrilli ha valutato soltanto i costi medici diretti associati alla stipsi, mentre ha tralasciato i più onerosi costi sociali comunemente associati a questa condizione, tra i quali la ridotta produttività lavorativa (dovuta ad assenteismo e/o disabilità a breve termine) e le spese sostenute personalmente per terapie “da banco” non incluse nelle prescrizioni del database. Nel complesso, secondo gli autori, l’analisi effettuata pone l’accento sull’importanza nella pratica clinica di valutare i sintomi della stipsi a intervalli frequenti in modo da adottare tempestivamente le misure appropriate per alleviare i sintomi e ottimizzare quindi i risultati della terapia contro il dolore.

I costi della stipsiCondotta su un campione minore di soggetti, l’analisi realizzata da Frida Hjalte, dello Swedish Institute for Health Economics di Lund, affronta con un differente metodo lo stesso problema: il costo (in termini sia clinici sia economici) determinato dalla stipsi indotta da oppiacei e il suo influsso sulla qualità di vita e sull’efficacia del trattamento. In questo caso la fonte dei dati era costituita da uno studio non-interventistico svedese, l’UPPSIKT, relativo a pazienti trattati con oppiacei forti per un periodo di 6 mesi. A seconda della patologia di base, i soggetti erano gestiti da specialisti in terapia del dolore, palliativisti, oncologi o medici di medicina generale. Nello studio sono stati coinvolti 331 pazienti,

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Tabella 2. Incidenza di altri effetti collaterali correlati al trattamento con oppiacei nei 12 mesi successivi all’inizio del

trattamento

Fonte: Candrilli SD et al, 2009

con stipsi (n=821) Senza stipsi (n=821) p

n. % n. %

Nausea (da sola) 175 21,32 93 11,33 <0,0001

Vomito (da solo) 97 11,81 52 6,33 0,0001

Nausea con vomito 274 33,37 161 19,61 <0,0001

Prurito 11 1,34 18 2,19 0,1899

Ostruzione intestinale 164 19,98 53 6,46 <0,0001

Delirio/disorientamento 36 4,38 20 2,44 0,0296

Mioclono 5 0,61 4 0,49 0,7384

Depressione respiratoria/dispnea 211 25,70 151 18,39 0,0003

Ritenzione urinaria 64 7,80 23 2,80 <0,0001

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afferenti a 38 cliniche distribuite sull’intero territorio svedese, sofferenti di dolore di origine oncologica e non oncologica. I dati sono stati raccolti mediante un questionario di base completato dal medico e da sei questionari mensili stilati dai pazienti nel corso dei 6 mesi successivi. Il questionario iniziale raccoglieva informazioni circa età e sesso del paziente, causa e tipo di dolore, trattamento farmacologico, effetti collaterali, motivi determinanti l’inizio della terapia attuale o la sua modificazione, valutazione del benessere del paziente in rapporto al dolore. I sei questionari rivolti ai pazienti richiedevano informazioni relative a sollievo del dolore, contatti con il personale sanitario, terapia farmacologica, motivi determinanti la modifica della terapia antalgica, effetti collaterali, qualità di vita e capacità lavorativa. Inoltre, era chiesto agli intervistati di attribuire un punteggio, compreso tra 0 e 10, alla gravità della stipsi.Per quanto attiene ai costi economici, essi sono stati calcolati per mese-paziente (cioè per ciascun paziente durante ogni mese di studio), suddividendo il campione tra soggetti con e senza stipsi, e hanno incluso i costi diretti (l’assistenza ambulatoriale, le consulenze telefoniche e le visite dello specialista e del medico di medicina generale, le prestazioni fornite da infermieri e fisioterapisti, le cure ospedaliere) e i costi indiretti. Mediante le analisi statistiche si è valutato l’utilizzo delle risorse sanitarie in relazione alla gravità della stipsi.Complessivamente hanno risposto a tutti e sei i questionari mensili dello studio 197 pazienti (circa il 60% di tutti i soggetti arruolati). Di questi, la maggioranza (117) erano donne (59%), mentre l’età media era di 61 anni. La causa più comune del dolore non era di natura oncologica (80%), mentre il 15% dei pazienti ha riportato dolore correlato a neoplasia e il 5% ha riferito una causa combinata di dolore. Il dolore percepito dai pazienti era di tipo nocicettivo (85% dei casi), neuropatico (55%) e viscerale (11%). Al basale, più del 20% dei pazienti era stato trattato con oppiacei forti per oltre 5 anni. Quasi il 40% aveva assunto oppiacei per un periodo compreso tra 1 e 5 anni, il 15% li aveva presi per un periodo tra 1 e 6 mesi, il 5% era stato trattato con oppiacei per meno di 1 mese, mentre il 7% era naïve agli oppiacei.Circa il 60-70% dei pazienti ha affermato di aver avuto problemi di stipsi di un certo grado ogni mese. In particolare, nel corso dello studio circa il 12% dei mesi-paziente è stato

classificato come mesi caratterizzati da gravi problemi di stipsi da oppiacei, il 25% come mesi con problemi di grado moderato, il 26% con problemi di grado lieve, e infine si è registrato un 37% di mesi senza fenomeni di stipsi.

Costi più elevati e qualità di vita peggiore quando la stipsi è più graveI costi medi totali si sono attestati a 1034 euro per i mesi in cui i pazienti non riferivano problemi di stipsi. I pazienti con stipsi grave hanno fatto registrare i costi più elevati, con 1525 euro per mese-paziente; più contenuti gli oneri nei gruppi con stipsi di grado lieve e moderato: rispettivamente 1196 e 1088 euro. Non si sono invece riscontrate differenze significative di costi in relazione alla durata dell’uso degli oppiacei o alla causa del dolore.I soggetti senza stipsi, con stipsi di grado lieve, moderato o grave hanno fatto registrare punteggi decrescenti di qualità di vita pari, rispettivamente, a 4,9, 4,9, 4,7 e 3,8. Anche per il grado di soddisfazione si è verificato un andamento analogo, essendo i soggetti con stipsi grave meno soddisfatti del trattamento antalgico rispetto agli altri gruppi di pazienti (Figura 1).

Per gli autori dello studio svedese, la differenza per mese-paziente tra un soggetto con grave stipsi rispetto a un altro senza stipsi ammonta a 490 euro per i costi totali e a 188 euro per i costi diretti. In particolare, sono i costi per l’assistenza extraospedaliera e i farmaci a contribuire in massima parte alla differenza nei costi diretti. Occorre ribadire che i costi correlati alla stipsi da oppiacei non differiscono in relazione alla durata d’uso degli oppiacei.Per diminuire il disagio generato dalla stipsi, i pazienti potrebbero non assumere la stessa dose di oppiacei che assumerebbero in assenza di tale effetto collaterale: in questo modo verrebbe ridotto l’effetto collaterale ma si avrebbe una riacutizzazione del dolore. A tale proposito, l’indagine PROBE 1 ha confermato che circa un terzo dei pazienti è indotto a tralasciare, ridurre o sospendere il trattamento analgesico con oppiacei (Bell TJ et al, 2009). Inoltre, va sottolineato che i lassativi orali, soprattutto se assunti cronicamente, sono disagevoli e scarsamente efficaci in quanto esclusivamente sintomatici (e cioè attivi sul sintomo/effetto causato dalla disfunzione intestinale da oppiode, ma non in grado di intervenire sulla causa stessa). Come

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Bibliografia

Bell TJ, Panchal SJ, Miaskowskij C, Bolge SC, Milanova T, Williamson R. The prevalence, severity, and impact of opioid-induced bowel dysfunction: results of a US and European patient survey (PROBE I). Pain Med 2009; 10:35-42.

Candrilli SD, Davis KL, Iyer S. Impact of Constipation on Opioid Use Patterns, Health Care Resource Utilization, and Costs in Cancer Patients on Opioid Therapy. J Pain Palliat Care Pharmacother 2009; 23(3):231-41.

Hjalte F, Berggren AC, Bergendahl H, Hjortsberg C. The Direct and Indirect Costs of Opioid-Induced Constipation. J Pain Symptom Manage 2010; 40(5):696-703.

Miles CL, Fellowes D, Goodman ML, Wilkinson S. Laxatives for the management of constipation in palliative care patients. Cochrane Database Syst Rev. 2006 Oct 18;(4):CD003448

Thorpe DM. Management of opioid-induced constipation. Curr Pain Headache Rep 2001; 5:237-40.

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ben dimostrato in vari studi clinici mirati (Miles Cl et al, 2006), tutti i lassativi si sono dimostrati inadeguati in questo contesto, e il più delle volte si è reso necessario il ricorso a monovre “rescue” (clisteri, manovre meccaniche etc).

ConclusioneNonostante la terapia sintomatica e in particolare i lassativi possano determinare qualche sollievo al paziente che lamenta

stipsi correlata al trattamento del dolore con oppiacei, si avverte l’esigenza di nuove terapie. Su questa conclusione del lavoro svedese sembrano convergere le attese di tutti gli operatori del settore sanitario: da una parte i clinici, che desiderano disporre di molecole sempre più efficaci, maneggevoli e meglio tollerate dal paziente, e dall’altra i decisori, che hanno la necessità di ridurre gli elevati costi aggiuntivi che questo effetto collaterale comporta.

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figura 1. Stima della qualità di vita e del grado di soddisfazione per la gestione del dolore (media su tutti e 6 i mesi)

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Senzastipsi

Stipsilieve

Stipsimoderata

Stipsigrave

Qualità di vitaSoddisfazione per la gestione del dolore

Fonte: Hjalte F et al, 2010

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Oppiacei e stipsi: costi ed efficacia

Il sintomo stipsi è molto comune nei pazienti in terapia antalgica con oppiacei. Esso non deve essere trascurato e va trattato a tutti i livelli di intervento. Inoltre, è assolutamente necessario informare il paziente sulla possibilità di sviluppo di tale sintomo, fornendogli anche indicazioni sulle possibili contromisure da adottare. “La stipsi indotta da oppiacei (opioid-induced constipation, OIC) è il più frequente effetto collaterale associato all’utilizzo cronico di terapie a base di oppiacei. La profilassi e la cura della OIC sono fondamentali quando si adottano questi trattamenti. Studi precedenti hanno evidenziato che i pazienti con OIC necessitano più frequentemente di cure mediche, si assentano più spesso dal lavoro e hanno un peggioramento nello svolgimento delle attività quotidiane rispetto ai pazienti senza stipsi” afferma la dott.ssa Aurora Miedico. “In clinica la stipsi è il più comune e persistente effetto collaterale osservato nei pazienti in trattamento cronico con oppiacei. Nella pratica quotidiana il controllo e il contenimento della stipsi da oppiacei è una sfida costante che impegna energie, tempo e risorse economiche legate anche alla terapia farmacologica. In particolare, tale terapia riguarda i lassativi, che vengono prescritti − secondo una consolidata buona pratica clinica − contestualmente alla prescrizione degli oppiacei. L’aspetto più interessante dei dati presentati è quello legato alla soggettività del paziente ovvero alla propria percezione della qualità della vita, oltre che alla soddisfazione per il trattamento, elementi che emergono come inversamente correlati alla stipsi” aggiunge la dott.ssa Laura E. L. Velutti. “Per la sua elevata incidenza, per l’alto impatto gestionale, per la disponibilità di nuovi strumenti terapeutici mirati, la stipsi ha attirato con crescente interesse l’attenzione del mondo clinico-scientifico e si può ritenere un sintomo di cui continuare a occuparsi prendendo in considerazione tutti i momenti caratterizzanti l’approccio palliativistico, dalla diagnosi alla terapia e al monitoraggio, considerando le figure professionali coinvolte (infermiere e medico), il tempo impiegato per l’analisi e il trattamento, gli strumenti utilizzati, i farmaci, i presidi e i centri di costo derivati (costi diretti, costi indiretti e costi intangibili) afferma la dott.ssa Vivian Sardo. “Si tratta di problemi che riscontriamo nella pratica clinica quotidiana. Esiste la necessità importante di educare il paziente: al fine di evitare telefonate continue o visite al pronto soccorso, bisogna informare sui possibili effetti dell’uso di oppiacei, bisogna parlare di dieta e idratazione corrette, e delle possibili limitazioni alla mobilità. È necessario partire con un farmaco che ovvi il problema, oppure associare lassativi. Il problema appare dunque superabile con la prevenzione e l’educazione del paziente” commenta la dott.ssa Susan Mengo.

Il lavoro di Hjalte sui costi diretti e indiretti della stipsi indotta dagli oppiacei, utilizzati nel trattamento del dolore, evidenzia che questi sono elevati e direttamente proporzionali alla gravità della stipsi. Inoltre lo studio PROBE 1 dimostra che la stipsi da oppiacei può ridurre l’efficacia della terapia antalgica. Che cosa ne pensa? Che impatto hanno questi aspetti nella sua pratica clinica?

L’esperienza di oncologi e terapisti del dolore a confronto

Stipsi

effetto collaterale

comune nella

terapia con

oppiacei

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Una delle conseguenze peggiori della stipsi è l’impatto negativo sulla qualità della vita. “A causa del dolore addominale aggiuntivo e del necessario aumento del trattamento farmacologico e delle prestazioni infermieristiche, la stipsi peggiora spesso la qualità di vita, riducendo fortemente la compliance del paziente alla terapia antalgica” afferma la dott.ssa Miedico. “Purtroppo, in un’alta percentuale di casi la stipsi peggiora la qualità di vita dei pazienti affetti da neoplasia in trattamento con oppiacei. Questo perché la stipsi ostinata aumenta il dolore addominale, così come l’utilizzo di farmaci e il tempo infermieristico e comporta ricoveri d’urgenza, producendo quindi un impatto negativo sulla qualità della vita” ribadisce il dott. Fabio G. Rubino. “Nella mia esperienza clinica ho osservato che alcuni pazienti, in particolare anziani, decidono arbitrariamente di ridurre o sospendere l’assunzione di oppiaceo pur di migliorare la stipsi, diminuendo o annullando l’effetto antalgico. Altri pazienti affrontano con difficoltà la decisione di introdurre un oppiaceo nella terapia anche per il timore di peggiorare una stipsi già presente. A questo si associa il carico farmacologico dell’associazione di uno o, spesso, due lassativi al giorno. Ritengo quindi che i disturbi legati alla stipsi possano modificare la compliance generale al trattamento riducendo anche la possibilità di una stretta adesione alle terapie anti-stipsi necessarie quando si instaura un trattamento con oppiacei forti” afferma il dott. Marco Lacerenza. “Il controllo del dolore è mirato all’innalzamento della qualità di vita e al recupero dell’autonomia e dell’attività lavorativa. In questo contesto, la comparsa di effetti collaterali anch’essi “invalidanti” rende impossibile il raggiungimento dell’obiettivo terapeutico anche in presenza di un sufficiente controllo del dolore” aggiunge il dott. Fabio Intelligente. “Un sintomo trattato in maniera inadeguata, oppure non trattato, incide sull’efficacia della terapia e quindi anche sulla qualità di vita. È indispensabile quindi un approccio terapeutico sempre più rivolto al benessere complessivo del malato e che tenga conto anche della funzionalità intestinale, non considerandola un aspetto secondario della qualità di vita del paziente” aggiunge la dott.ssa Sardo. “Ritengo che l’efficacia della terapia antalgica sia influenzata solo marginalmente; tuttavia sono del parere che la stipsi possa arrivare al punto da richiedere il cambio dell’oppiaceo.

La rotazione dell’oppiaceo può causare dolori e disagi al paziente, e per questo motivo andrebbe evitata” sostiene la dott.ssa Bettina Ullrich.

Oltre a impattare negativamente sulla qualità della vita del paziente, è stato dimostrato che la stipsi da oppiacei provoca un aumento dei costi diretti e indiretti della patologia, soprattutto nei pazienti con stipsi severa. “Per costi diretti si intendono le risorse utilizzate per la cura della stipsi, ovvero costi per ricoveri, gestione ambulatoriale e costi per le terapie farmacologiche. I costi indiretti comprendono invece la perdita di “produttività” dovuta alla patologia. Lo studio di Hjalte è stato condotto su un buon numero di pazienti (197) in trattamento con oppiacei per dolore da neoplasia e da malattia cronica, e ha evidenziato effettivamente un incremento dei costi (farmaci, attività ambulatoriali etc.) per tutti i pazienti con stipsi, e in maniera più spiccata per i pazienti con stipsi severa. Ancora più interessante è l’evidenza dell’incremento dei costi indiretti, problema di cui noi medici ci occupiamo poco, ma che sempre più dovrà essere preso in considerazione in futuro. Anche questo costo risulta tanto maggiore quanto più grave è il problema della stipsi” afferma la dott.ssa Miedico “Per quanto riguarda il particolare setting dei pazienti in trattamento con oppiacei maggiori per un dolore legato alla patologia neoplastica, l’attenzione va posta soprattutto sulla rilevazione dei costi diretti (quelli indiretti si riferiscono alla produttività lavorativa, ridotta in questi pazienti), in particolare dovuti alla terapia farmacologica, che risultano correlati all’intensità della stipsi” afferma la dott.ssa Velutti. “Questi risultati sono importanti nella gestione dei pazienti perché mettono in evidenza l’impatto effettivo, sia in termini di costi oggettivi sia in termini di vissuto, della OIC da parte del paziente. La gestione degli effetti collaterali degli oppiacei riveste un ruolo fondamentale nella cura dei nostri pazienti, e deve oggi trovare una risposta nei nuovi farmaci, pena un sistema sanitario meno efficiente ed efficace” sostiene la dott.ssa Miedico. “Anche nella mia esperienza di medico palliativista nella gestione del dolore oncologico ho potuto costatare che la stipsi comporta un aumento dei costi per la necessità di utilizzare lassativi, clisteri e alcune volte evacuazione

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Stipsi

ha impatto

negativo sulla

qualità della vita

La stipsi

aumenta i

costi diretti

e indiretti

della patologia

oncologica

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manuale, con impegno notevole da parte dell’equipe domiciliare” aggiunge il dott. Rocco Rizzo. “Se l’obiettivo terapeutico è il recupero dell’autonomia del paziente, tutte le terapie necessarie a eliminare il dolore, a migliorare la qualità della vita e a minimizzare i possibili effetti collaterali invalidanti sono benvenute. In un periodo di spending review come questo, tutte le risorse devono essere giustamente ottimizzate. Nella pratica clinica è corretto considerare il dolore cronico una condizione debilitante che determina perdita dell’autonomia e delle capacità lavorative, con conseguente innalzamento dei costi economici e sociali del singolo paziente e di tutta la sua famiglia. In ambito oncologico tale condizione è spesso aggravata dalla malattia sottostante” afferma il dott. Intelligente.

Le caratteristiche farmacologiche dei nuovi agenti possono garantire profili di sicurezza, efficacia e tollerabilità che assicurano la possibilità di un buon controllo del dolore, con minimi effetti collaterali e con benefici rilevanti sulla qualità della vita. “L’impiego degli oppiacei nelle cure palliative è di indiscusso valore terapeutico nella salvaguardia della qualità di vita di questi pazienti: basti pensare come nei Paesi nord-europei lo sviluppo delle terapie palliative abbia ridotto la richiesta di eutanasia. Il miglioramento delle caratteristiche dei farmaci sotto il profilo di efficacia, sicurezza e tollerabilità si tramuta nella possibilità di garantire un buon controllo del dolore, limitando gli effetti collaterali in modo da ridurre anche la necessità di tecniche invasive e demolitive a scopo antalgico” aggiunge il dott. Vittorio Iorno.

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La stipsi incide sulle risorse

La risposta a questa domanda è risultata positiva nella totalità degli intervistati. È da sottolineare che la comparsa di stipsi nel paziente in trattamento palliativo comporta invariabilmente un aumento dei costi di gestione, farmacologici e non, del paziente stesso, indipendentemente dalla patologia sottostante. “Tutto questo è vero, la stipsi nei pazienti sottoposti a cure palliative con l’uso di oppiacei porta in molti casi a un insufficiente controllo del dolore, cui consegue a volte un aumento sproporzionato dei dosaggi dei farmaci adiuvanti, un aumento dell’uso delle risorse e un maggior uso del ricovero in hospice o in reparti di emergenza per sospetta occlusione intestinale” afferma il dott. Rocco Rizzo. “Purtroppo è così! In almeno la metà dei pazienti ricoverati nelle unità di cure palliative è riportata stipsi ostinata (50-100%)” aggiunge il dott. Fabio G. Rubino. “Sarebbe semplicistico considerare l’aumento dei costi solo a carico delle preparazioni farmacologiche anti-stipsi. Vanno infatti considerate anche le altre complicanze legate alla stipsi serrata, che possono portare all’ospedalizzazione del paziente. Inoltre, la stipsi può aggravare la nausea e il vomito, con la concreta possibilità di non ingestione/assorbimento del farmaco prescritto per via orale, e così ridurre lo stato di analgesia: anche questo elemento porta a maggiore ricorso a visite specialistiche, visite in pronto soccorso, ricoveri impropri, necessità di aumentare i dosaggi, di ruotare più spesso gli oppiacei, di associare altri farmaci che in ultima analisi contribuiscono anch’essi all’aumento della stipsi e quindi alla creazione della sindrome ostruttiva intestinale. Questa è una vera e propria complicanza che andrebbe meglio conosciuta, studiata e riconosciuta in ambito non solo specialistico diretto, ma riportata anche sul territorio presso i medici di medicina generale” afferma il dott. Vittorio Iorno.

I dati salienti emersi dallo studio di Candrilli sottolineano che la presenza di stipsi è spesso causa del fenomeno della rotazione (switch) degli oppiodi, che non risulta tuttavia sempre efficace e che costringe a un controllo più serrato della risposta e degli effetti nel paziente. Sono inoltre significativamente aumentati i costi destinati a ricoveri, visite ambulatoriali, farmaci aggiuntivi e trattamenti domiciliari. “La rotazione degli oppiacei, o switching, è una sistema che permette talvolta di ottenere maggiore analgesia con minori effetti collaterali; non sempre però esso funziona e in ogni caso necessita di un maggior numero di visite e controlli ambulatoriali. Tutto questo è di fatto ciò che vediamo quotidianamente nei nostri pazienti, quando la stipsi compare e a fatica viene alleviata da dieta, attività fisica e lassativi, determinando un incremento dei costi e un utilizzo meno efficace dei farmaci oppiacei. La stessa rotazione degli oppiacei infatti comporta non solo un maggior consumo di risorse ma anche una minore efficacia palliativa dovuta alla ricerca della nuova dose minima efficace” ribadisce la dott.ssa Aurora Miedico. “Nei pazienti con stipsi vi è un più alto impiego di risorse

Dallo studio di Candrilli si ricava che nei pazienti sottoposti a cure palliative la stipsi da oppiacei incide sulle modalità d’uso degli stessi (impiego più frequente di dosaggi elevati e di associazioni di due o più molecole) e sull’uso delle risorse (maggiore ricorso a hospice, reparti di emergenza, cure domiciliari), portando a costi totali sostanzialmente più elevati (oltre 109%). È un quadro ancora attuale e assimilabile alla nostra realtà sanitaria?

La stipsi

da oppiacei

aumenta i costi

di gestione

del paziente

in terapia

La stipsi aumenta

anche la tendenza

allo switching

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assistenziali e un diverso pattern nell’uso di oppiacei, elementi che si traducono in un più alto costo economico. Nella nostra realtà clinica i pazienti oncologici più complessi, fragili, sintomatici incorrono in complicanze legate ai trattamenti, hanno maggiori necessità assistenziali, necessitano di oppiacei per maggiore tempo e con schemi personalizzati” aggiunge la dott.ssa Laura E. L. Velutti.

Per un buon approccio alla stipsi è necessario indagare accuratamente i fattori di rischio che sottendono il suo sviluppo. “La stipsi è presente in oltre il 50% dei pazienti oncologici. A mio parere, l’impostazione di una terapia con oppiacei dovrebbe sempre prevedere una raccolta anamnestica mirata all’evidenziazione dei fattori di rischio per la stipsi, quali: una storia di stipsi cronica, comorbilità con patologie che possano rallentare il transito intestinale (morbo di Parkinson, sclerosi multipla, diabete, patologie spinali, sclerosi laterale amiotrofica), una storia di ansia in relazione alle funzioni intestinali, presenza di ostruzioni meccaniche (emorroidi, neoplasie rettali o coliche), dolore intestinale severo, ipotiroidismo, allettamento, familiarità per stipsi. A questa situazione di rischio possono associarsi delle concause di stipsi che precipitano un equilibrio precario anche in presenza di trattamento lassativo. Le più frequenti sono: l’ospedalizzazione o il cambio delle abitudini di vita, la depressione, l’associazione con farmaci che promuovono stipsi come neurolettici, antidepressivi triciclici, anticolinergici, antiacidi, antiepilettici, antiemetici (antagonisti della serotonina), antipertensivi, antidiarroici, alcaloidi della vinca, diuretici, ferro per somministrazione orale. E ancora la disidratazione, l’iperkaliemia, la sedazione e la malattia in fase terminale” commenta il dott. Marco Lacerenza.

Inoltre, appaiono molto importanti uno stretto monitoraggio e un follow-up ravvicinato del paziente. “Dalla mia esperienza, un adeguato monitoraggio del paziente (massimo 1 settimana tra un controllo e il successivo) e degli adatti interventi correttivi evitano nella totalità dei casi il ricorso all’ospedalizzazione

nella stipsi da oppiacei” afferma la dott.ssa Bettina Ullrich. “Ottenuta una stima del rischio di stipsi nel singolo paziente, è indispensabile impostare un trattamento personalizzato e condiviso dal soggetto. La gestione talvolta risulta difficile, richiedendo follow-up ravvicinati, l’intervento di personale infermieristico specializzato, diverse valutazioni specialistiche nonché l’effettuazione di esami strumentali. Tutto ciò, oltreché generare disagio nel paziente e nei caregivers, incide fortemente sull’impiego di risorse e sulla spesa sanitaria” aggiunge il dott. Lacerenza. “Lo stretto monitoraggio del paziente consentirebbe anche di evitare l’accesso a strutture quali Pronto Soccorso o ricoveri precoci in hospice per sollevare pazienti e familiari dalla gestione domiciliare di sintomi “difficili”, altrimenti evitabili con una corretta gestione da parte degli operatori e una buona educazione delle famiglie. Inoltre, tali evenienze si ripercuotono anche su altri reparti di degenza, come nel caso di sospette sub-occlusioni intestinali, mal diagnosticate” ribadisce la dott.ssa Vivian Sardo.

In conclusione, emerge dalla situazione attuale un quadro di sotto-trattamento della stipsi conseguente ai trattamenti palliativi con oppiacei. “In Italia si pensa che al 50% circa dei pazienti trattati con oppiacei non sia offerta una adeguata terapia per risolvere o migliorare la condizione di stipsi. Anche la storica abitudine italiana al ridotto impiego di analgesici oppiacei contribuisce alla scarsa esperienza nel riconoscimento e gestione di questo comune effetto collaterale, molto influente sulla qualità di vita dei pazienti” rimarca il dott. Lacerenza. “Oggi si calcola che tra i pazienti che ricevono analgesici oppiacei e che sviluppano stipsi, circa la metà non sia adeguatamente trattata al fine di ridurre o eliminare la sintomatologia della stipsi. Certamente l’impiego di elevati dosaggi di oppiacei e di due o più molecole di oppiacei differenti (non consigliabile) determina a sua volta un ulteriore incremento dell’incidenza di stipsi e degli altri effetti collaterali. Complessivamente, tale incremento si traduce in un inevitabile ricorso più frequente alle strutture di supporto, con relativi incrementi dei costi della spesa sanitaria” afferma il dott. Fabio Intelligente.

fondamentali

la valutazione dei

fattori di rischio

e il monitoraggio

del paziente con

stipsi da oppiacei

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Le strategie per contrastare la stipsi da oppiacei

Al fine di contrastare il fenomeno della stipsi nei pazienti in trattamento con oppiacei è anzitutto necessario comprendere la sua eziopatogenesi e i suoi meccanismi di sviluppo, impostando una diagnosi corretta. “La stipsi rientra nella più ampia sindrome di disfunzione intestinale indotta dagli oppiacei, che comprende, oltre ad essa, anche la nausea, il vomito e la sindrome da reflusso gastro-esofageo. Tale insieme di effetti collaterali è dovuto all’interazione degli oppiacei con il sistema nervoso enterico: questi farmaci si legano infatti direttamente ai recettori mu, siti a livello dei plessi mioenterici e sottomucosi, causando la riduzione della motilità intestinale, del flusso sanguigno locale e delle secrezioni intestinali, insieme a un’alterazione del tono sfinterico. Senza dubbio la stipsi è uno degli effetti indesiderati più comuni del trattamento con oppiacei e, a differenza di altri, non si riduce nel tempo, ma tende a peggiorare con l’aumento della dose di oppiacei assunta” afferma il dott. Fabio Intelligente. La diagnosi deve tenere conto dell’eventuale rapporto di causalità con la terapia oppiaceo, e può oggi fare ricorso a criteri validati e pubblicati dalle principali Società scientifiche nazionali e internazionali. “La diagnosi di stipsi deve essere formulata in presenza di una chiara evidenza di rapporto causale tra l’introduzione di un oppiaceo e la comparsa o il peggioramento della stipsi, e deve essere diagnosticata e monitorata secondo i criteri proposti dalle Società scientifiche di riferimento (vedi: Raccomandazioni per il trattamento della Stipsi indotta da Oppiacei − Gruppo Italiano per la Stipsi indotta da Oppiacei-RICP, n. 1, primavera 2009: www.sicp.it). Sono state anche validate alcune scale di valutazione della stipsi” commenta la dott.ssa Vivian Sardo.

Una volta effettuata una corretta diagnosi, l’approccio generale alla stipsi nel paziente in trattamento con oppiacei prevede una serie di misure multifattoriali, che hanno trovato accordo unanime nella totalità degli intervistati. Esse riguardano sostanzialmente un corretto approccio dietetico e allo stile di vita, un’idratazione abbondante e l’utilizzo eventuale di farmaci lassativi. “Per il controllo di questo sintomo è necessaria una strategia integrata che miri a suggerire stili di vita e alimentari: incoraggiare il movimento, quando possibile e non controproducente per il controllo del dolore, un’alimentazione ricca di fibre e un’abbondante idratazione per os se non controindicati. Inoltre in tale strategia è necessaria, quasi sistematicamente, la prescrizione di un lassativo” afferma la dott.ssa Laura E. L. Velutti. “Per contrastare la stipsi nei soggetti con dolore oncologico le strategie dovrebbero essere su più piani: 1) prevenzione; 2) cura; 3) osservazione. Analogamente, le modalità di azione dovrebbero essere esercitate su più fronti: 1) infermieristico; 2) medico. In particolare la prevenzione e il monitoraggio vanno effettuati dal punto di vista infermieristico con indicazioni sulla dieta e sulle attività

Quali strategie andrebbero utilizzate per contrastare il fenomeno della stipsi nei soggetti con dolore oncologico trattati con oppiacei?

Importante

identificare la

stipsi associata al

trattamento con

oppiacei

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quotidiane, e con la continua attenzione posta al problema attraverso domande, questionari, brochure, poster. Dal punto di vista medico invece, è necessario conoscere bene e utilizzare le terapie farmacologiche a disposizione per la prevenzione e la cura di questo importante effetto collaterale” ribadisce la dott.ssa Aurora Miedico. “Le strategie da seguire per contrastare il fenomeno della stipsi con dolore oncologico trattati con oppiacei sono multimodali: dieta, mobilizzazione, idratazione, prevenzione con somministrazione di lassativi appena si inizia la terapia antalgica e all’aumento del dosaggio degli oppiacei, oppure utilizzando oppiacei con effetto meno costipante” conferma il dott. Rocco Rizzo. “L’impiego di lassativi a scopo profilattico, ha risultati variabili ed evidenze contrastanti in merito all’efficacia. In secondo luogo è opportuna la ricerca della minima dose efficace di oppiaceo, mentre una limitazione del dosaggio è comunque impensabile perché sarebbe in contrasto con il raggiungimento dell’analgesia. A tale scopo è utile considerare l’introduzione di farmaci adiuvanti non oppiacei” afferma il dott. Intelligente. “Le principali regole da seguire nel trattamento di questi pazienti sono: una tempestiva identificazione del paziente con stipsi, la costante valutazione della funzionalità intestinale durante la terapia e un adeguato supporto farmacologico ed educativo. È necessario intraprendere terapie efficaci per contrastare questa condizione, rendendo possibile un’evacuazione almeno ogni 1-2 giorni. Il trattamento deve essere pianificato a lungo termine” asserisce la dott.ssa Sardo. “Il primo livello di approccio terapeutico può riguardare l’introduzione di cambiamenti nella dieta e nelle abitudini del paziente, anche se spesso queste misure risultano inadeguate per i pazienti con stipsi iatrogena. In questi casi, il secondo passo è quello di ricorrere all’utilizzo di farmaci che aiutino il paziente a ridurre o eliminare la stipsi. Si preferisce iniziare con farmaci somministrabili per via orale, possibilmente di gusto accettabile o gradevole, che siano efficaci contro la stipsi ma che abbiano il minor rischio possibile di causare diarrea, e che siano somministrabili il minor numero di volte possibile nell’arco della giornata con una quantità di liquidi accettabile per le condizioni del paziente. Fino a oggi la scelta di elezione in medicina palliativa è stata rappresentata dall’impiego di diverse categorie di lassativi, che costituiscono la classe di farmaci di riferimento contro la

stipsi” afferma il dott. Fabio G. Rubino. “Per la prescrizione di lassativi devono essere presenti sintomi di stipsi o il numero di evacuazioni deve essere inferiore a 3 alla settimana. È importante quindi condividere con il paziente un piano terapeutico che lo induca a seguire con meticolosità la terapia lassativa prescritta, senza arbitrarie riduzioni o sospensioni del trattamento. Si può iniziare associando una terapia orale con un lassativo emolliente e un lassativo da contatto o di volume, in relazione alla tollerabilità e alle aspettative del paziente” sostiene il dott. Marco Lacerenza. La prescrizione dei lassativi deve essere tuttavia effettuata con la dovuta attenzione. “È indicato prescrivere un lassativo specifico (per esempio macrogol 4000)” afferma la dott.ssa Bettina Ullrich. “Non emerge una sostanziale differenza nell’efficacia dei vari lassativi comunemente impiegati. In questo contesto i farmaci con azione antagonista sui recettori mioenterici per gli oppiacei possono trovare un impiego per un trattamento cronico volto al contenimento della stipsi” aggiunge la dott.ssa Velutti. È sempre da rimarcare, tuttavia, l’importanza di una corretta informazione al paziente nella gestione del problema della stipsi. “Una chiara educazione del paziente su cosa sta assumendo e un cambiamento delle abitudini di vita, dell’alimentazione e idratazione sono fondamentali” sottolinea la dott.ssa Susan Mengo.

Le nuove opzioni terapeutiche oggi disponibili offrono un vantaggio nella gestione della stipsi da oppiacei

Nuove associazioni farmacologiche sono oggi disponibili per affrontare il problema della stipsi nel paziente trattato conoppiacei. Tra queste, sono da segnalare gli agenti antagonisti dei recettori mioenterici degli oppiacei, il cui meccanismo d’azione consiste nel prevenire il legame dell’oppiaceo con i recettori mu a livello intestinale. “I farmaci ad azione antagonista sui recettori mioenterici degli oppiacei, recentemente sviluppati, sono i primi strumenti introdotti in clinica per il controllo della stipsi che presentano un meccanismo d’azione patogenetico e non sintomatico, come invece avviene per i lassativi. La stipsi è indotta dal legame dell’oppiaceo sui propri recettori a livello intestinale: questo riduce la motilità viscerale e la secrezione di fluidi, fenomeni

Approccio

farmacologico

con lassativi

convenzionali

Approccio

multimodale

alla stipsi:

educazione,

stili di vita,

farmaci

prospettive

degli antagonisti

recettoriali

intestinali

degli oppiacei

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che si traducono in un rallentato transito intestinale. I farmaci antagonisti, prevenendo il legame dell’oppiaceo al proprio recettore, limitano le condizioni che producono e mantengono la stipsi. Tra i farmaci di questo tipo è da segnalare naloxone, che viene assunto per via orale e che, proposto in formulazione a lento rilascio, può costituire un vantaggio in termini di facilità di assunzione, durata e costanza di assorbimento. Al momento, esiste in commercio un’unica formulazione di naloxone per questo scopo, in associazione con ossicodone a lento rilascio. L’ossicodone è indicato dalle recenti linee guida EAPC (European Association for Palliative Care) come un farmaco di prima scelta nel III scalino dell’OMS e, a basso dosaggio, viene considerato un farmaco del II scalino” afferma la dott.ssa Velutti. “Agire sui meccanismi recettoriali/molecolari che stanno alla base del sintomo può definirsi il passo in avanti più significativo compiuto dalla ricerca farmacologica in questi ultimi anni. Disporre di una associazione di molecole (ad esempio ossicodone/naloxone) in grado di evitare o quanto meno ridurre moltissimo la comparsa del problema, per i pazienti si è dimostrato un notevole miglioramento della qualità della vita” afferma il dott. Vittorio Iorno. “Recentemente è stata presentata una nuova categoria di farmaci di interessante impiego nel trattamento della stipsi da oppiacei, la cosiddetta terapia target, una terapia mirata con antagonisti dei recettori degli oppiacei in cui uno dei farmaci contrasta gli effetti collaterali dell’altro: sono nate le terapie di

associazione con gli antagonisti periferici dei recettori mu degli oppiacei. Una molecola disponibile è il metilnaltrexone bromuro: si trattata di un farmaco costoso, disponibile solo per somministrazione per via sottocutanea, e con un’indicazione limitata alla stipsi indotta da oppiacei in pazienti con malattia avanzata che ricevono cure palliative, nel caso in cui la risposta alla terapia lassativa usuale non sia sufficiente” ribadisce il dott. Marco Lacerenza.“Il naloxone invece, è attualmente disponibile nella formulazione orale a rilascio prolungato in associazione all’ossicodone. La scelta della somministrazione contemporanea del naloxone all’oppiaceo lo pone come forma di prevenzione nella comparsa della stipsi. Infine, sul fronte dei procinetici per la terapia della stipsi, prucalopride e lubiprostone sono ancora in fase sperimentale” aggiunge il dott. Intelligente.

L’associazione ossicodone/naloxone rappresenta oggi in effetti una proposta molto versatile, che si distingue per la semplicità di utilizzo. “Mentre l’ossicodone viene assorbito e messo in circolo, il naloxone agisce prevalentemente a livello locale intestinale, riducendo notevolmente lo sviluppo della stipsi da oppiacei. Questo semplice sistema ha portato a una significativa riduzione dell’incidenza di stipsi nei pazienti trattati” aggiunge la dott.ssa Miedico. “L’associazione ossicodone/naloxone a rilascio prolungato, recentemente introdotta sul mercato italiano, rappresenta una proposta versatile e di semplice impiego.

utilizzo di

naloxone e

metilnaltrexone

figura 1. Severità della disfunzione intestinale (a sinistra) ed utilizzo di lassativi (a destra) in pazienti trattati con ossicodone (OX) e con l’associazione ossicodone-naloxone (OXn)

100

80

60

40

20

0

Bowe

l func

tion i

ndex

0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12

10

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70

50

30

Settimane

p < 0,0001

50

30

20

0

60

40

10

%70

OX

OXN

OX OXN

p < 0,0001

59%

36,5%

Fonte: Loewenstein O, Leyendecker P, Lux EA, et al. Efficacy and safety of combined prolonged-release oxycodone and naloxone in the management of moderate/severe chronic non-malignant pain: results of a prospectively designed pooled analysis of two randomised, double-blind clinical trials. BMC Clin Pharmacol. 2010;10:12

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La somministrazione per via orale di un antagonista selettivo per i recettori degli oppiacei come il naloxone in associazione a un oppiaceo potente e molto utilizzato, come l’ossicodone, è di sicuro interesse nella pratica clinica. Il razionale è il blocco dell’azione dell’ossicodone a livello dei recettori oppiacei del tratto gastrointestinale, in funzione profilattica della stipsi da oppiaceo. Dati di ricerca clinica dimostrano una pari efficacia antalgica della formulazione a lento rilascio di ossicodone a fronte di una minor incidenza e severità della stipsi da oppiacei” afferma il dott. Lacerenza. “Gli specialisti e i medici di famiglia italiani impegnati nella lotta al dolore cronico, di origine oncologica e non, hanno oggi a disposizione un’arma in più. È infatti disponibile anche nel nostro Paese un farmaco innovativo che unisce i vantaggi terapeutici dell’ossicodone − la molecola più utilizzata al mondo per il trattamento del dolore cronico e la cui efficacia è sostenuta da forti evidenze in letteratura − a quelli del naloxone, antagonista degli oppiacei che, se somministrato per via orale, è in grado di contrastare l’azione dell’ossicodone a livello intestinale, prevenendo l’insorgenza della stipsi” commenta la dott.ssa Sardo. Naturalmente, tali associazioni

farmacologiche sono maggiormente efficaci se unite alle variazioni degli stili di vita alimentari e comportamentali già citate in precedenza. “L’utilizzo di oppiacei associati al naloxone che sbloccano i recettori a livello intestinale offre sicuramente un vantaggio, soprattutto se associato all’osservanza di regole che possono contribuire alla riduzione del rischio di stipsi, tra cui incrementare l’assunzione di liquidi e di cibi ricchi di fibre, incrementare l’attività fisica (quando possibile) e l’esercizio routinario delle funzioni intestinali” afferma il dott. Rubino.

Queste terapie miglioreranno molto la compliance intestinale dei pazienti. “Non dover più assumere macrogol con necessità di abnorme idratazione (diversamente non funziona) per rendere compliante la funzione intestinale nei pazienti è un vero e proprio regalo, soprattutto quando neppure tali presidi funzionano e il paziente è costretto a ricorrere a pratiche invasive che vengono sempre mal tollerate (dal semplice clistere allo svuotamento manuale dell’ampolla rettale), creando imbarazzo psicologico in chi le subisce e in chi le deve praticare” aggiunge il dott. Iorno.

positiva

associazione

oxicodone/

naloxone

nella stipsi

del paziente

trattato

con oppiacei

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Oppiacei nelle cure palliative: possibili sviluppi

Naturalmente, l’aspetto più favorevole dell’utilizzo degli agenti oppiacei, riportato dalla totalità dei clinici intervistati, è senza dubbio la capacità di tale farmaci di controllare molto efficacemente il dolore in tutte le sue manifestazioni, soprattutto in caso di dolore severo. Al contrario dei FANS, del paracetamolo e degli oppiacei deboli, gli oppiacei del 3° gradino non hanno invece un “effetto tetto” e forniscono al paziente una qualità di vita molto accettabile. “Gli aspetti favorevoli dell’utilizzo della terapia antalgica con oppiacei nel dolore oncologico sono tantissimi. Il trattamento con oppiacei permette di vivere una vita sociale accettabile, cosa che viene solitamente molto limitata dalla presenza di un dolore forte; inoltre permettono di vivere di più, perché controllando il dolore non abbiamo ipertensione da liberazione di adrenalina, non sviluppiamo tachicardia, respiriamo meglio e ci alimentiamo. Il dolore è una malattia e non un sintomo, quando non viene controllato” afferma il dott. Rocco Rizzo. “Gli aspetti positivi sono sicuramente il controllo del dolore e dell’angoscia che ne consegue; inoltre, è da segnalare la possibilità che la terapia, se impostata precocemente e seguita dal medico, possa fornire una buona qualità di vita, a patto che siano ben controllati i possibili effetti collaterali” aggiunge il dott. Fabio G. Rubino. “Gli oppiacei sono di fatto il miglior trattamento per il dolore moderato e severo” commenta la dott.ssa Aurora Miedico. “L’impiego degli oppiacei nelle cure palliative è di indiscusso valore terapeutico nella salvaguardia della qualità di vita di questi pazienti” conferma il dott. Fabio Intelligente. “Ovviamente l’analgesia è l’aspetto principale della terapia con oppiacei: un paziente senza dolore è una persona che torna alla vita. Ricorderò sempre il caso di un uomo affetto da tumore spino-cellulare del cavo orale con invasività metastatica alla mandibola. In corrispondenza della prima visita in reparto il paziente accusava un punteggio sulla scala del dolore NRS di 9/10, era depresso, annichilito dal dolore, incapace di parlare, masticare, deglutire e quindi di alimentarsi. Trattato con terapia oppiacea, alla visita di controllo del giorno successivo era già in piedi, passeggiava nel reparto, leggeva il giornale: in poche parole, era tornato alla vita. L’oppiaceo ha ridotto il dolore e ha trattato anche lo stato di depressione e di ansia che il dolore oncologico porta sempre con sé; un dolore totale, la cui severità è sempre collegata alla progressione di malattia” dichiara il dott. Vittorio Iorno. “Gli oppiacei sono una classe di farmaci insostituibile per il controllo del dolore nei pazienti oncologici, in tutte le fasi della malattia. Usati in modo appropriato, personalizzato, con monitoraggio costante dell’efficacia antalgica e degli effetti collaterali, sono farmaci efficaci, maneggevoli e sicuri” sostiene la dott.ssa Laura E. L. Velutti.

Un secondo fattore positivo è che esiste un’ampia varietà di molecole di oppiacei tra cui scegliere, in modo da personalizzare meglio tale scelta in base alle necessità del paziente. Le associazioni degli oppiacei con farmaci antagonisti come naloxone, come descritto in precedenza, permettono anche di migliorare significativamente il controllo degli effetti collaterali.

Quali sono gli aspetti favorevoli e quelli negativi legati all’impiego degli oppiacei nelle cure palliative, e quali sviluppi positivi si sono registrati e si attendono in questo settore?

Il principale

vantaggio degli

oppiacei è

l’efficace controllo

del dolore,

anche severo

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“Negli ultimi anni i clinici hanno assistito a un aumento delle molecole disponibili e a una diversificazione delle formulazioni e delle vie di somministrazione” afferma la dott.ssa Velutti. “Tra gli effetti positivi, evidenzierei senz’altro l’ampia possibilità di scelta tra un gran numero di farmaci oppiacei, diversificati tra loro per: 1) diversa rapidità di risposta sul paziente; 2) modalità di somministrazione; 3) diversa risposta con riferimento agli effetti collaterali. Di contro, in Italia i farmaci lassativi sono a pagamento per tutti i pazienti non ospedalizzati, con un forte aggravio di costi per la comunità e un grave disagio per i pazienti stessi” afferma la dott.ssaBettina Ullrich. “La presenza di diverse molecole con profili farmacologici differenti permette una personalizzazione del trattamento e, quando necessaria, una rotazione degli oppiacei. L’introduzione dell’associazione ossicodone/naloxone è un esempio di come la ricerca sia tesa al superamento di effetti collaterali inevitabili di questi trattamenti, al fine di migliorare la gestione del dolore severo cercando di conservare una buona qualità di vita nei nostri pazienti. Nel futuro ci aspettiamo farmaci sempre più efficaci ma anche selettivi, maneggevoli e privi di effetti collaterali” dichiara il dott. Marco Lacerenza. “Lo scenario delle molecole è abbastanza ampio e permette quindi di scegliere quella più corretta per il paziente: questo è sicuramente un vantaggio aggiunto” afferma la dott.ssa Susan Mengo. “Esistono ormai diversi tipi di molecole disponibili ed è sempre più importante selezionare i pazienti per l’utilizzo di un principio attivo o di un altro” ribadisce la dott.ssa Miedico. “La recente associazione con il naloxone comporta anche un altro aspetto estremamente positivo: la ridottissima comparsa di effetti collaterali sul sensorio e sulla funzione cognitiva. In uno studio pilota su 120 casi portati al congresso di FederDolore a Taormina all’inizio di ottobre, ho potuto registrare che sonnolenza, confusione mentale, delirio, disorientamento si potevano contare sulla punta delle dita, anche se la popolazione in oggetto era costituita da anziani (oltre i 75 anni di età). Ritengo che la ricerca debba essere sempre più indirizzata, affinché si superino le diffidenze ancora presenti e i rischi di sovradosaggio accidentale o da abuso che attualmente sono riportati nei pazienti americani” sostiene il dott. Iorno.

Gli effetti collaterali, degli oppiacei e soprattutto la stipsi, rimangono tuttavia il

principale limite del trattamento. La stipsi è particolarmente preoccupante, in quanto non va incontro a tolleranza, come invece si verifica per altri effetti collaterali degli oppiacei. “Tutti gli oppiacei presentano il problema degli effetti collaterali che, nonostante lo sviluppo di una certa tolleranza, determinano una minore efficacia, minore compliance e maggiori costi. L’introduzione dell’associazione ossicodone/naloxone ha permesso di ridurre l’incidenza di stipsi. La speranza è che vengano individuati sempre nuovi farmaci in grado di ridurre anche altri importanti effetti collaterali degli oppiacei, quali ad esempio il fenomeno nausea/vomito, che causa un importante peggioramento della qualità di vita dei pazienti” afferma la dott.ssa Miedico. “L’introduzione nella pratica clinica di molecole con azione antagonista sui recettori mioenterici degli oppiacei va nella direzione di un controllo patogenetico della stipsi. Le molecole che possono essere assunte per via orale hanno semplificato questo tipo di trattamento. È auspicabile che nel prossimo futuro il naloxone venga associato alle formulazioni orali a lento rilascio anche degli altri oppiacei maggiori, attualmente disponibili. Inoltre, dato il metabolismo epatico di primo passaggio e l’intrinseco limite d’uso ad alti dosaggi, è possibile ipotizzare il disegno di formulazioni di associazione in cui a dosaggi “tetto” di naloxone corrisponda un incremento progressivo del dosaggio dell’oppiaceo associato” sostiene la dott.ssa Velutti.

Un ultimo aspetto negativo del trattamento con oppiacei rimane, infine, la barriera culturale che ancora in diversi ambiti sanitari tende a frenare l’utilizzo di questi farmaci. Lo sviluppo di nuove molecole a maggiore selettività e una migliore informazione/educazione su tale trattamento potranno risolvere questo problema. “Il progresso in medicina è un processo fondamentale per poter fornire a ogni tipo di paziente una cura adeguata al suo stato di salute. In particolare, andrebbero utilizzati farmaci sempre più specifici e selettivi e caratterizzati da un migliore profilo di tollerabilità; a questo si accompagna la necessità di un aggiornamento costante del personale sanitario, e in particolare di quello medico e infermieristico. Purtroppo è noto che l’utilizzo degli oppiacei, fondamentali per il controllo dei sintomi (dolore, dispnea etc.) soprattutto nelle cure palliative, viene spesso frenato dalla presenza di barriere culturali. È necessario prendere

un altro

vantaggio

è nella grande

diversità

di molecole

disponibili

uno svantaggio

degli oppiacei,

oggi tuttavia

superabile, è

rappresentato

dalla stipsi

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coscienza che il trattamento sub-ottimale, o addirittura assente, di alcuni sintomi e/o segni può avere conseguenze negative sull’intero percorso di cura o di supporto; in particolare la stipsi necessita di una sempre maggior considerazione al pari di numerose altre manifestazioni patologiche.

Nel caso della stipsi, pertanto, tutti gli interventi prima descritti rappresentano l’approccio attualmente ritenuto migliore per raggiungere l’obiettivo di una maggiore dignità e una migliore qualità di vita per ogni paziente e per i suoi familiari” afferma la dott.ssa Vivian Sardo.

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