Soteriologia e teologia della Redenzione: una...

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Soteriologia e teologia della Redenzione: una revisione. Antonio DUCAY Sommario: I. REVISIONE DEL FONDAMENTO BIBLICO. I. Soteriologia ed evoluzione della teologia negli ultimi decenni . II. Il fondamento della soteriologia nella vita e nella pasqua di Cristo: a) Gesù e il Regno. b) Gesù di fronte alla sua morte. c) Il Risorto e la salvezza. III. La contestualizzazione biblica dell‟opera salvifica di Cristo: a) Mediatore di salvezza. b) La mediazione salvifica: giustizia e sacrificio. II. REVISIONE DEL CONTENUTO. I. La questione dell‟“orizzonte” e dell‟unità della soteriologia: a) Soteriologia e unità del piano salvifico di Dio. b) Rivelazione e salvezza. c) Salvezza integrale. II. Il Mediatore e la sua azione salvifica: a) Trascendenza e storia nell’azione salvifica. b) Cristo, causa di salvezza. III. Sull‟opera redentiva: a) La Croce, rivelazione dell’amore di Dio. b) La Croce, assunzione del peccato del mondo. c) La Croce come dono sacrificale. d) Redenzione, liberazione e peccato. e) La Risurrezione, assunzione del mondo nella comunione trinitaria. III. OSSERVAZIONI CONCLUSIVE. Non tutti i trattati sono stati coinvolti allo stesso modo dal rinnovamento teologico maturato dal Concilio Vaticano II e prolungatosi negli anni successivi. Alcuni trattati, infatti, lo hanno potuto assumere avendo già un' identità ben definita, o perché il loro contenuto essenziale era già stato fissato in epoche anteriori (come nel caso del De Deo uno et trino), o perché il Concilio stesso ne diede, con la sua dottrina una strutturazione essenziale (come per il De Ecclesia o la mariologia). Per altri trattati non fu così. La storia della teologia ha conosciuto epoche nelle quali si è affrontata con più attenzione una specifica area del dogma: la Trinità, la cristologia, la grazia, quella che chiamiamo la "teologia fondamentale"..., ma non ci sono stati periodi dedicati specificatamente alla soteriologia. Le proposizioni magisteriali a riguardo sono limitate e sobrie. Ancorata a pochi riferimenti e fatta emblema di una nuova sensibilità teologica, la soteriologia ha sofferto, come pochi altri trattati, delle oscillazioni del processo di rinnovamento. Si è vista obbligata a prestare servizio ad aree molto diverse, assecondando la "svolta antropologica" e quei parametri che hanno occupato un ruolo preponderante nella scena teologica: la rivelazione, la fede, l'esistenza umana, la storia della salvezza, il "Gesù storico", l' "immagine di Dio"... Tutto ciò ha determinato una notevole pluralità Pag. 1/34

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Soteriologia e teologia della Redenzione: una revisione.

Antonio DUCAY

Sommario:

I. REVISIONE DEL FONDAMENTO BIBLICO. I. Soteriologia ed evoluzione della teologia negli ultimi decenni. II. Il

fondamento della soteriologia nella vita e nella pasqua di Cristo: a) Gesù e il Regno. b) Gesù di fronte alla sua morte. c) Il

Risorto e la salvezza. III. La contestualizzazione biblica dell‟opera salvifica di Cristo: a) Mediatore di salvezza. b) La

mediazione salvifica: giustizia e sacrificio.

II. REVISIONE DEL CONTENUTO. I. La questione dell‟“orizzonte” e dell‟unità della soteriologia: a) Soteriologia e

unità del piano salvifico di Dio. b) Rivelazione e salvezza. c) Salvezza integrale. II. Il Mediatore e la sua azione salvifica: a)

Trascendenza e storia nell’azione salvifica. b) Cristo, causa di salvezza. III. Sull‟opera redentiva: a) La Croce, rivelazione

dell’amore di Dio. b) La Croce, assunzione del peccato del mondo. c) La Croce come dono sacrificale. d) Redenzione, liberazione e

peccato. e) La Risurrezione, assunzione del mondo nella comunione trinitaria.

III. OSSERVAZIONI CONCLUSIVE.

Non tutti i trattati sono stati coinvolti allo stesso modo dal rinnovamento teologico maturato dal

Concilio Vaticano II e prolungatosi negli anni successivi. Alcuni trattati, infatti, lo hanno potuto

assumere avendo già un' identità ben definita, o perché il loro contenuto essenziale era già stato

fissato in epoche anteriori (come nel caso del De Deo uno et trino), o perché il Concilio stesso ne

diede, con la sua dottrina una strutturazione essenziale (come per il De Ecclesia o la mariologia).

Per altri trattati non fu così.

La storia della teologia ha conosciuto epoche nelle quali si è affrontata con più attenzione una

specifica area del dogma: la Trinità, la cristologia, la grazia, quella che chiamiamo la "teologia

fondamentale"..., ma non ci sono stati periodi dedicati specificatamente alla soteriologia. Le

proposizioni magisteriali a riguardo sono limitate e sobrie. Ancorata a pochi riferimenti e fatta

emblema di una nuova sensibilità teologica, la soteriologia ha sofferto, come pochi altri trattati,

delle oscillazioni del processo di rinnovamento. Si è vista obbligata a prestare servizio ad aree

molto diverse, assecondando la "svolta antropologica" e quei parametri che hanno occupato un

ruolo preponderante nella scena teologica: la rivelazione, la fede, l'esistenza umana, la storia della

salvezza, il "Gesù storico", l' "immagine di Dio"... Tutto ciò ha determinato una notevole pluralità

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di orizzonti e di contesti per la produzione soteriologica, e non ne ha favorito un sereno sviluppo1.

Da ciò deriva un certo disorientamento, specialmente per chi non ha molta familiarità con

l'argomento.

Con questo articolo ci proponiamo di offrire ai giovani professori e agli studenti degli ultimi

cicli di teologia uno strumento che permetta loro di orientarsi nell'ambito della teologia della

redenzione e dei suoi recenti sviluppi. Ci limiteremo alla teologia cattolica2 e alle questioni che ci

paiono di maggior rilevanza per la “disciplina” soteriologica3. Non è nostro intento fare una cronaca

di ciò che è stato detto, desideriamo invece far emergere gli aspetti principali, le linee di tendenza e

le correnti della soteriologia recente. Privilegeremo perciò gli aspetti di novità, senza però

soffermarci sulle posizioni dei singoli autori, salvo in casi che lo richiedano4. La trattazione si

comporrà di due parti: prima forniremo una revisione dei contenuti biblici che stanno alla base della

soteriologia e poi ne esamineremo i principali contenuti teologici5.

Per iniziare però conviene soffermarsi brevemente su ciò che costituisce il quadro di

riferimento di tutto questo, ossia i passi compiuti dalla soteriologia sul percorso che ha guidato il

rinnovamento comune a tutta la teologia e che ha portato a mettere in rilievo le questioni bibliche.

1 Nel 1989, O. González de Cardedal affermava: «la soteriologia sistematica si trova oggi di fronte ad una

montagna di problemi. Non è un caso che compaiano varie elaborazioni che si propongono come un abbozzo di una

nuova soteriologia. Si ha l'impressione di dover cominciare a pensare un problema con categorie nuove, con una nuova

sensibilità, con una rinnovata lettura della Sacra Scrittura. Sono pochi gli ambiti dove sia così evidente, come in questo,

la condizione e il limite del linguaggio teologico secondo quanto indicava la Mysterium Fidei. Le espressioni teologiche

anteriori nel trasmettere il dogma ad un epoca concreta ne assumevano le speranze e le precomprensioni; oggi noi non

possiamo riprendere le medesime espressioni senza correggerne gli accenti, i presupposti e le intuizioni». La

soteriologia contemporánea, «Salmanticenses» 36 (1989) 294-295. Traduzione nostra.

2 Altri autori o linee di pensiero saranno incluse nella misura in cui influenzano la teologia cattolica.

3 A rigore, “soteriologia” copre un campo semantico più vasto rispetto a “teología de la redención” (la prima fa

riferimento a tutto ciò che è relativo alla salvezza). Nel contesto di questo lavoro, però, li useremo come termini

equivalenti. La nostra prospettiva, in ogni caso, sarà quella di una “teologia della redenzione”, perché in essa si centra

la soteriologia come “disciplina” teologica.

4 Data la ampiezza dell'esposizione e per rendere più agevole la lettura in ambito accademico, ci è parso

opportuno riportare tutte le citazioni in italiano; quando l'originale è in un'altra lingua e abbiamo potuto disporre della

traduzione spagnola lo abbiamo tradotto all'italiano mantenendo il rif. bibliografico delle edizioni in spagnolo. La

traduzione è sempre nostra (NdT).

5 Non tratteremo in questa sede alcune questioni che, per la loro grande attualità sono già state oggetto di

eccellenti esposizioni. Non tratteremo, in particolare, il tema della universalità salvifica di Cristo in riferimento alle

religioni, né temi a questo vicini, come quello della salvezza fuori dalla Chiesa. Rimando, a modo di introduzione, a

G. CANOBBIO, Salvezza solo in Gesù Cristo?, «La Rivista del Clero Italiano» 88 (2007), 340-354; J. RATZINGER, La

unicidad y la universalidad salvífica de Cristo y de la Iglesia, in Cristo, camino, verdad y vida, Murcia, Universidad

Católica San Antonio 2003, 307-322; A. AMATO, L'unicità della mediazione salvifica di Cristo: il dibattito

contemporaneo, en M. CROCIATA, Gesù Cristo e l'unicità della mediazione, Edizioni paoline, Milano 2000, 13-44; G.

O'COLLINS, Christ and the Religions, «Gregorianum» 84 (2003), 347-362.

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I. Revisione del fondamento biblico.

I. Soteriologia ed evoluzione teologica degli ultimi decenni

Il quadro generale è determinato dalla questione problematica della "comunicabilità" della fede

in un mondo che si percepisce sempre più lontano dalla dottrina cristiana. Come spiega Ratzinger,

ogni volta che si apre una distanza, o un contrasto, tra l'aspetto storico dell'uomo e ciò che per lui è

essenziale, si apre anche una dinamica di revisione nella quale l'uomo "smonta" - per così dire - il

suo passato per ricostruirlo dalle radici6.

La rotta tracciata dall'ideale dell'uomo del XVIII e XIX secolo aveva aperto questa distanza e

creava lo spazio per una nuova formulazione del cristianesimo che entrasse in dialogo con le nuove

prospettive. Tanto in ambito cattolico come in ambito protestante venne accolta tale esigenza, e si

cercarono nuove modalità di comunicazione e di rinnovamento dottrinale tornando alle radici del

dogma cristiano e alle sue fonti.

Ciò fu fatto in modi molto diversi, il mondo protestante privilegiò inizialmente la via

antropologica, vale a dire la ricerca di punti di contatto tra le istanze genuinamente cristiane e quelle

che parevano più vere e familiari allo spirito moderno. Tale desiderio di "attualizzazione" della fede

alla modernità fu senz'altro alla base della ricerca che tentava di indagare il Gesù autentico, capace

di commuovere l'uomo7, o del Gesù che introduce l'esistenza umana nella sua dimensione

"autentica" (Bultmann)8. Questi progetti però vennero meno quando fu manifesto il rischio

6 Teoría de los principios teológicos. Materiales para una teología fundamental, Herder, Barcelona 1985, 181.

7 Fu questo l'intento principale della scuola liberale protestante presso la quale si designa come “prima ricerca”

della vita di Gesù (First Quest). La First Quest si sviluppò principalmente lungo il XIX secolo, lesse i Vangeli come

documenti biografici sorti dall'impatto suscitato dalla figura di Gesù e cercò di ricostruire l'evoluzione psicologica della

sua affascinante personalità. La bibliografia riguardo ai vari metodi di accesso al Gesù dei Vangeli è molto numerosa.

Per un’introduzione si veda: J.-N. ALETTI, Exégètes et théologiens face aux recherches historiques sur Jesús,

«Recherche de Science Religieuse» 87 (1999), 423-444; G. BARBAGLIO, L'attuale ricerca storica su Gesù. Un'opera

monumentale, «Cristianesimo nella storia» 25 (2004), 877-896; A. CADAVID, La investigación sobre la vida de Jesús,

«Teología y vida» 43 (2002), 512-540; V. FUSCO, Un secolo di metodo storico nell'esegesi cattolica, «Studia Patavina»

41 (1994), 37-94; A. J. GODZIEBA, From «Vita Christi» to «Marginal Jew». The Life of Jesus as Criterion of Reform in

Pre-critical and Post-critical Quests, «Louvain Studies» 32 (2007), 111-133; D. MARGUERAT, La ricerca del Gesù

storico tra storia e teologia: nessi e tensioni, «Teologia» 33,1 (2008), 37-54; J. SCHLOSSER, La recherche historique

sur Jésus: menace et/ou chance pour la foi?, «Revue des Sciences Religieuses» 80,3 (2006), 331-348; G. SEGALLA, La

verità storica dei vangeli e la “terza ricerca” su Gesù, «Lateranum» 61 (1995), 461-500.

8 La costatazione di Albert Schweitzer del 1906, che metteva in evidenza come la ricostruzione del Gesù storico

dipendesse dalle preferenze di ogni storiografo, che finiva per tracciare la figura di Gesù di maggiore interesse per sé,

pose termine alla First Quest e portò alcuni autori a concludere che il Gesù dei vangeli era inaccessibile e inutile alla

fede, e che la fede cristiana non potesse dipendere dalla storia di Gesù. Da qui la conclusione di R. Bultmann che la

storia di Cristo sia irrilevante ai fini della fede e che ciò che è decisivo sia la predicazione del messaggio di Gesù sul

desiderio di Dio di salvare il mondo. Questo messaggio sarebbe in sintonia con gli interrogativi degli uomini sul senso

della propria esistenza e permetterebbe loro di orientare la vita.

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dell'arbitrarietà che portavano in sé; ne venne una forte reazione, volta a sottolineare l'oggettività

della Rivelazione cristiana. Può essere utile soffermarci brevemente su questi passaggi perché da

essi provengono due elementi che hanno poi influenzato notevolmente la soteriologia cattolica.

In primo luogo, con K. Barth9 si sottolinea decisamente il carattere verbale, divino e

indisponibile della Rivelazione (intesa come Parola di Dio in Cristo che si rende presente all'uomo

in virtù della fede che essa stessa suscita); il soggetto/oggetto della teologia non è l'uomo con le sue

inquietudini, ma il Dio superno (il Totalmente Altro) che in Cristo traccia l'unico cammino di

salvezza. Sebbene la teologia cattolica non seguirà la via del teologo svizzero nella sua pretesa di

annullare il significato teologico del mondo e dell'uomo, non ne sottovaluterà tuttavia la

rivendicazione della priorità dell'azione salvifica di Dio, né l'insistenza sul fatto che l'economia

della salvezza sia fondata su un movimento verticale di ordine discendente.

Grazie a O. Cullmann [Cristo y el tiempo (1946)10] e alla scuola della historia salutis11, si

giunse in seguito ad una comprensione della Rivelazione come "storia di salvezza", preparata dalla

Antica Alleanza e compiuta in Cristo, orientata permanentemente alla futura consumazione

escatologica. Al carattere verbale della Rivelazione sottolineato da Barth, Cullmann contrappone la

visione secondo la quale essa sarebbe essenzialmente avvenimento, kairós, sequenza di eventi

salvifici che Dio compie nella storia.

Sono anni di rinnovamento anche per la teologia cattolica, che accoglie l'idea di fondo del

teologo di Strasburgo, purificando l'opposizione tra evento e parola e sottolineandone, al contrario,

la mutua implicazione e la reciproca comprensione12 (come sarà poi reso esplicito dalla Dei

Verbum).

In questo stesso periodo, la prospettiva storico-salvifica è ben sostenuta anche dalla prospettiva

scritturistica. Da una parte infatti si comincia a superare lo scetticismo di Bultmann e a prendere

9 Si veda soprattutto l'opera monumentale Die Kirchliche Dogmatik, EVZ-Verlag, Zürich, 13 voll., 1932-1967.

10 Orig. Christus und die Zeit. Die urchristliche Zeit- und Geschichtsauffassung, Evangelischer Verlag, Zollikon

(Zürich), 1946.

11 Cfr. G. SEGALLA, Teologia biblica del Nuovo Testamento. Tra memoria escatologica di Gesù e promessa del

futuro regno di Dio, Elledici, Leumann (TO) 2006, 44-45.

12 Se ne fa eco specialmente J. Danielou nel 1953, quando pubblica il suo Essay sur le mystère de l‟histoire,

Èditions du Seuil, Paris 1953.

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coscienza che la storia ha parte ineludibile nel kerigma13, e cioè che i Vangeli non sono solo

messaggio posto nella storia, ma che la storia del messaggio è parte integrante di essi; i vangeli

infatti desiderano trasmettere proprio la memoria della storia di Cristo, raccolta da chi ne fu

testimone. D'altra parte, gli studi sull'Antico Testamento del bavarese G. von Rad affrontavano da

un'altra prospettiva l'integrazione della storia all'interno della Rivelazione14. Il professore tedesco

proponeva una lettura dinamica dei testi biblici, comprendendoli in seno alla tradizione che li aveva

generati, sia per il contesto storico sia per il contesto di fede nei quali furono scritti ed elaborati. Da

questo punto di vista, la Parola di Dio che la Scrittura trasmette è una Parola incarnata nella storia

della comprensione della fede del popolo d'Israele e solo a partire da essa diviene pienamente

accessibile.

Nonostante alcune circostanze particolari portarono i teologi cattolici ad elaborazioni differenti,

molte di queste istanze si ritrovano anche tra loro15 che, con il mondo protestante, condivisero le

sollecitazioni provenienti dal mondo della cultura. Si percepì innanzitutto come inadeguata la

concezione teologica dominante – che era di stampo neoscolastico e apologetico – poiché appariva

come un sistema di pensiero costrittivo ed eccessivamente rigido per la mentalità contemporanea16.

Emerse dunque un conflitto tra sensibilità distanti (una più ontologica ed una più storica) che diede

luogo a due sistemi e a due metodi teologici differenti17. Da un lato la dottrina cristiana pretendeva,

nella sua versione scolastica, di essere una verbalizzazione dell'Assoluto, dell'immutabile verità

13 In questo è contenuto l'apporto della "seconda ricerca" della vita di Gesù (chiamata anche New Quest). L'inizio

della seconda fase viene attribuito alla conferenza di E. Käsemann (uno dei discepoli di Bultmann), pronunciata a

Marburgo nel 1953, pubblicata con il titolo, Das Problem des historichen Jesus, ZTK 51 (1954), 125-153. Come indica

Bordoni, «per Käsemann è necessario ammettere che il Gesù terrestre appartiene costitutivamente alla fede nel Cristo

pasquale, e che l'indagine sul Gesù storico è un'esigenza della fede nel Cristo Salvatore». M. BORDONI, Gesù di

Nazaret. Signore e Cristo, I: Problemi di metodo, Herder - PUL, Roma 1982, 46.

14 Theologie des Alten Testaments, Bd I, Die Theologie der geschichtslichen Überlieferungen Israels, München

1957; Bd II, Die Theologie der Prophetischen Überlieferungen Israels, München 1960.

15 Cfr. G. ANGELINI, La vicenda della teologia cattolica nel secolo XX, en Dizionario Teologico Interdisciplinare,

III, Marietti, Torino 1982, 609-672; G. CANOBBIO, Uno sguardo complessivo sulla teologia del '900, in IDEM, Teologia

e storia: l'eredità del '900, San Paolo, Cinisello Balsamo 2002, 7-32; J. M. CONNOLLY, Le renouveau théologique dans

la France contemporaine (orig. inglese: The voices of France. A survey of contemporary theology in France), Éditions

Saint-Paul, Paris - Fribourg 1966; R. AUBERT, La théologie catholique durant la première moitié du XX siècle, in R.-V.

VAN DER GUCHT, H., Bilan de la Théologie du XX siècle, I, Paris 1970, 423-478; B. MONDIN, Storia della teologia,

EDB, Bologna 1996-1997, 446-571; A. DONI, La riscoperta delle fonti, en R. FISICHELLA (a cura di), Storia della

teologia, III: Da Vitus Pitcher a Henry de Lubac, EDB, Roma - Bologna 1995, 443-474; R. GIBELLINI, La teologia del

XX secolo, Queriniana, Brescia 2007, 161-270; R. WINLING, La théologie contemporaine : (1945-1980), Le centurion,

Paris 1983, 60-92.

16 Cfr. WINLING, La théologie contemporaine, 67.

17 Le correnti che cercano di rinnovare in questi anni il modo e la forma di fare teologia costituirono il

movimento della Nouvelle Théologie.

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divina, e quindi di essere al riparo dalla mutevolezza dei tempi, come si conviene a chi raccoglie

una verità rivelata da Dio e pertanto eterna. Dall'altro lato, per una mentalità che si era esercitata a

cogliere i fenomeni secondo le loro caratteristiche storiche questo carattere di immutabilità risultava

frutto di una concezione di stampo fondamentalista, imposizione arbitraria di un unico modo di

accedere alla realtà, e non un'esigenza resa necessaria dalla trasmissione genuina del dogma

cristiano18.

Questo conflitto acutizzato nella forma del modernismo fu giustamente condannato dal

Magistero della Chiesa nei primi anni del Novecento, ma l'istanza di verità resa presente dal

movimento di rinnovamento era destinata ad emergere, sia a livello del dibattito sullo specifico

cristiano (l'essenza del cristianesimo), sia sul piano metodologico delle vie di accesso a tale

specificità.

Si metteva in evidenza (Danielou) che «la rivelazione cristiana non è soltanto una teoria

sull'ordine ideale del cosmo, ma insieme di testimonianze di avvenimenti che, nella loro

successione progressiva, sono le categorie che fanno la "storia della salvezza"»19. Si volse dunque

lo sguardo ai Padri che con il loro schema della oeconomia salutis offrivano l'opportunità di

intrecciare la Tradizione al rinnovamento teologico desiderato; al contempo si estendeva una

maggiore accettazione del metodo storico applicato alla Sacra Scrittura man mano che si potevano

riconoscere i buoni risultati raggiunti da alcuni esegeti protestanti che lo applicavano20. Tutto

questo appuntava, seguendo il parere di Doni, a «una maggior libertà nel campo delle

interpretazioni e dei costrutti teologici, (...) e ad una percezione più ricca e globale del mistero

rivelato»21. Il mondo teologico cattolico si andava spostando da una posizione più concettuale e

centrata sulle formulazioni dogmatiche ad una maggiormente storica e personale, più centrata su

Cristo e sul suo mistero.

18 Su questo aspetto si veda cfr. J. RATZINGER, Teoría de los principios teológicos, Herder, Barcelona 2005, 105-

109; CANOBBIO, Uno sguardo complessivo, 10.

19 Cfr. G. ANGELINI, Storia, storicità, en Dizionario Teologico Interdisciplinare, III, 343, che sintetizza la

posizione di Danielou.

20 Il cardinale J. Ratzinger ricordava quest'ultimo aspetto in una conferenza tenuta davanti alla Pontificia

Commissione Biblica a motivo dei 100 anni dell'istituzione. Cfr. J. RATZINGER, La relación entre Magisterio de la

Iglesia y exégesis, Zenit, 9-V-2005.

21 DONI, La riscoperta delle fonti, 458.

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I vantaggi di questo spostamento erano evidenti: ancorare il discorso cristiano a ciò che ne

costituisce il fondamento, vale a dire all'azione salvifica di Dio, attribuiva la priorità al dato rivelato

rispetto alle speculazioni teologiche e alle dottrine di scuola, e semplificava la presentazione della

dimensione apologetica del cristianesimo, che si fonda sui fatti testimoniati e non sulle dottrine

teoriche; avvicinava infine il discorso cristiano ad una cultura che evidentemente era propensa alla

storia e ad una rinnovata sensibilità per il dato storico. Ma anzitutto si sottolineava la distanza che

intercorre tra la fede cristiana e ogni genere di narrazione mitologica o di soggettivismo religioso, e

si affermava la realtà dell'extra-nos della salvezza, così come la volle Dio e cioè offerta

nell'incarnazione e nel mistero del Figlio di Dio. Si poteva inoltre scorgere meglio la profonda unità

tra l'evento che fonda il cristianesimo, la comprensione che ne ebbe la prima comunità cristiana e la

formulazione dogmatica che se ne fece posteriormente, in modo da mostrare più chiaramente la

coerenza della Chiesa rispetto alla propria origine e allo sviluppo che seguì 22.

In ogni caso, come afferma Serenthà, «riscoprire il primato dell'economia, la centralità della

dimensione storico-salvifica, porta a mettere in primo piano, come conseguenza logica, la

cristologia, l'azione di salvezza operata da Cristo, includendo tutta la sua vicenda storica fino

all'apice della sua Pasqua»23. L'attenzione dunque, non solo degli esegeti, ma anche dei teologi, si

orientò sul significato della vita di Cristo, del suo messaggio e della sua predicazione, delle sue

guarigioni e dei miracoli, del processo che lo condusse alla morte e alla glorificazione.

Ci soffermeremo di seguito su tre ambiti degni di special nota in questa revisione della figura

del Cristo: la sua concezione del Regno, il suo pensiero riguardo alla propria morte e la realtà della

sua risurrezione corporale.

II. Il fondamento della soteriologia nella vita e nella pasqua di Cristo

a) Gesù e il Regno

Una delle domande principali che ha dovuto affrontare la teologia negli ultimi decenni potrebbe

essere formulata così: che cosa volle fare Gesù? ovvero: come intese la sua missione? Anche se la

risposta a tale questione ha una risonanza su tutta la dogmatica cristiana, la teologia della

redenzione ne è toccata in modo particolare giacché il fondamento del discorso soteriologico

22 Cfr. M. BORDONI, Gesù di Nazaret. I, 24 ss.

23 Cfr. M. SERENTHÀ, Gesù Cristo, ieri, oggi e sempre, Elle-Di-Ci, Torino-Leumann 1986, 15.

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cristiano non può che essere costituito dalla missione che Cristo venne a realizzare e ciò può essere

fondato soltanto su ciò che Egli stesso disse e operò.

La questione sulla missione di Cristo è stata affrontata seguendo approcci diversi. Il più

recente, in linea con la Third Quest 24, cerca di stabilire gli obiettivi di Gesù a partire dalla stessa

comprensione che Gesù ebbe delle Scritture di Israele e delle aspettative del suo tempo. Si potrebbe

formulare il punto di partenza in questi termini: quale era la prospettiva nella quale Gesù

considerava le promesse di Dio a Israele?25. La risposta non è semplice, soprattutto se si accoglie

l'opinione di Dunn, secondo la quale i diversi motivi della speranza di Israele all'epoca di Gesù non

sono riconducibili ad una prospettiva uniforme e determinabile ma costituiscono «una serie di realtà

disperse, di speranze e aspirazioni giustapposte, senza alcuna pretesa di totalità »26. In ogni caso, a

partire dai racconti evangelici e dalle formulazioni delle speranze dell'Antico Testamento, è

possibile stabilirne alcuni aspetti fondamentali.

Genericamente tutti gli specialisti si trovano in accordo nello stabilire che «la missione di Gesù

fu orientata completamente alla venuta del regno di Dio e alla sovranità salvifica di Dio, presente e

futura»27. Il regno di Dio fu il centro unitario della missione e dell'opera di Cristo. Per determinare

come Gesù intese questo Regno e il ruolo che in esso attribuì a se stesso, bisogna riprendere tre

questioni che storicamente sono state sollevate su questo tema in area protestante. Le accenniamo

qui semplicemente per poi chiarirle a poco a poco in seguito.

24 La New Quest constatò l'impossibilità di separare la vita di Gesù dall'annuncio che di Lui fecero i primi

discepoli (cfr. nota 13), e si volse ad individuare ciò che fosse caratteristico di Gesù, con la piena consapevolezza che

le fonti erano costituite da testimoni credenti. In seguito, grazie alla scoperta di nuove fonti sul contesto socio-religioso

giudaico del primo secolo, si aprirono nuove prospettive per inquadrare la figura di Cristo. L'interesse teologico

(escatologico) della New Quest lasciò il passo ad un nuovo orientamento, a carattere più sociologico, che si suole

designare come Third Quest.

25 A questo proposito è stato oggetto di dibattito il libro di N. T. WRIGHT, Jesus and the victory of God, SPCK,

London 1996. Wright propone un' interpretazione delle intenzioni di Gesù in linea con Is 52,7-12, (la restaurazione di

Israele da parte di Dio). Scrive: «Gesù condivise i sentimenti di molti dei suoi contemporanei: il Dio di Israele aveva

deciso di agire definitivamente nella storia per compiere le sue promesse: liberare Israele e instaurare il diritto nel

mondo intero. Gesù pensò che il suo compito e la sua vocazione consistessero nel portare a termine (bring about) questi

accadimenti». N. T. WRIGHT, In Grateful Dialogue. A Response, en C. C. Newman (ed.), Jesus & the Restoration of

Israel. A critical assessment of N.T. Wright's „Jesus and the Victory of God‟, InterVarsity Press - Paternoster Press,

Downers Grove (IL) - Carlisle (UK) 1999, 270.

26 J. D. G. DUNN, Jesus and the Kingdom: how Would his Message Have Been Heard?, in D. E. AUNE et al.

(edited by), Neotestamentica et Philonica. Studies in honor of Peder Borgen, Brill, Leiden-Boston 2003, 3-36 (citazione

alle pp. 8-9).

27 G. SEGALLA, Il Regno di Dio centro unitario della missione e dell'opera di Gesù, in IDEM, Teologia biblica,

131.

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La prima è la nota obiezione di von Harnack (+1930) secondo la quale nel Vangelo la

"cristologia" sarebbe marginale, mentre il punto focale sarebbe la relazione degli uomini con il

Padre28. Da ciò si potrebbe dedurre che la Chiesa primitiva avrebbe corrotto il cristianesimo quando

incentrò la propria dottrina sulla predicazione di Gesù, Figlio di Dio, quasi estraendola dal contesto

del regno di Dio che Gesù predicava. Un secondo aspetto sarebbe la tesi (oggi ampiamente

superata) del "segreto messianico", messa in luce da Wrede (+1906), che consisterebbe nel fatto che

Gesù non avrebbe avuto l'intenzione di proclamarsi Messia prima della sua Risurrezione, fornendo

così una spiegazione al silenzio imposto ripetutamente da Gesù circa la sua identità e specialmente

marcato nel vangelo di Marco29. Infine facciamo riferimento alla domanda formulata soprattutto a

partire dall'opera di J. Weiss, sul carattere di fondo della predicazione di Cristo, e, concretamente,

sulla domanda se Gesù concepisse la sua predicazione come un annuncio di conversione radicale

nelle imminenze dalla fine del mondo30.

Tenendo presenti tali quesiti, cerchiamo ora di enucleare su che cosa si centrò il ministero

pubblico di Gesù e che tipo di Regno predicò e come intese la propria relazione con questo Regno.

Per far questo conviene descrivere prima brevemente l'attività iniziale di Gesù e vederne lo sviluppo

posteriore.

Non c'è dubbio che in un dato momento della sua vita Gesù comprese che era giunta l'ora di

agire pubblicamente. Nei Sinottici questo momento è marcato dall'esperienza dello Spirito, che

avvenne in occasione del suo battesimo nel Giordano, per mano di Giovanni. A partire da allora

«Gesù andava attorno per tutta la Galilea, insegnando nelle loro sinagoghe e predicando la buona

novella del regno e curando ogni sorta di malattie e di infermità nel popolo» (Mt 4,23).

L'Evangelista Marco sintetizza la predicazione di Cristo con queste parole: «Il tempo è compiuto, e

il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo» (Mc 1,15).

28 «L'unico che costituisce il Vangelo predicato da Gesù è il Padre, non il Figlio » in A. VON HARNACK, La

esencia del cristianismo (1900), [J. MIRÓ FOLGUERA, v. I, Barcelona 1904, 133].

29 W. WREDE, Das Messiasgeheimnis in den Evangelien. Zugleich ein Beitrag zum Verständnis des

Markusevangeliums, Göttingen 1901. Per Wrede il vangelo di Marco sorse con l'intento di spiegare perché Gesù ebbe

un atteggiamento così poco "messianico" per tutta la sua vita. Attraverso l'artificio letterario del “segreto” (Gesù che

proibisce ai demoni, ai sanati, ai discepoli, di rivelare la sua identità), Marco ha ottenuto di stabilire che Gesù è il

Messia –come pensava la Chiesa del suo tempo– e che nessuno lo seppe fino a dopo la sua morte, poiché fu rivelato

solo con la proclamazione della sua Risurrezione.

30 J. WEISS, Die Predigt Jesu vom Reiche Gottes, Gottingen 1892. La tesi fu poi sostenuta in modo più sistematico

nell'opera di A. Schweitzer. Cfr. Geschichte der Leben-Jesus-Forschung, Tübingen, 4a ed. 1926.

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I contemporanei di Gesù non dovettero rimanere sorpresi dal fatto che Gesù metteva al centro

del suo messaggio il regno di Dio. La confessione monoteista e la particolare relazione dell'unico

Dio con Israele costituivano il fondamento della vita sociale giudaica. Ogni pio israelita recitava la

professione che si legge in Dt 6, 4-5: «Ascolta Israele: il Signore è il nostro Dio, unico è il Signore.

Tu amerai il Signore, tuo Dio, con tutto il cuore, con tutta l'anima, con tutte le forze». Un israelita

devoto sentiva come propria l'espressione che Davide aveva cantato quando l'arca fu trasportata a

Gerusalemme e raccolta più volte nei Salmi: “Il Signore è il Re” o “il Signore regna” (Jhwh malak):

Dio si è proclamato re e governa su Sion. Quando Gesù parla del "regno di Dio", o del "regno dei

cieli" (hē basileía toû theoû o tôn ouranôn) fa riferimento alla sovranità regale di Dio, anche se

l'immagine del Regno che predicava Gesù, incentrata sul volto di un Dio paterno e misericordioso,

che ama gli uomini, non mancava di elementi di originalità31. Gesù non affermava soltanto la

prossimità del Regno, come faceva Giovanni il Battista, ma anche la sua presenza: il Regno è

giunto32, si trova in mezzo ai discepoli33, e questo si deduce dalle opere stesse che Gesù compie:

esorcismi, miracoli, guarigioni. Tale presenza – che forse costituisce « l'aspetto più caratteristico del

Regno predicato da Gesù»34– manifesta che il Regno è «un dono puramente gratuito di Dio, un bene

che offre all'uomo senza che questi possa in alcun modo forzarlo a venire né accelerarne i tempi»35;

è l'inizio della salvezza definitiva dalla condizione di miseria e di peccato nella quale si trova

l'uomo. L'accento è, pertanto, sul cambiamento epocale che Gesù porta con sé: il tempo della

promessa termina e si entra nel tempo decisivo, escatologico, del compimento.

31 G. SEGALLA, Teologia bíblica, 133. Secondo J. D. G. Dunn, nel quadro delle aspettative messianiche di Israele,

era comune pensare che «Yahweh è re ed Egli ha un disegno coerente su Israele, che si sta compiendo». Questo però

non significava che ci fosse una visione uniforme di come questo compimento di sarebbe dato. Cfr. Jesus and the

Kingdom, 3-36 (cit. pp. 8 y 9).

32 Cf. Mt 12,28.

33 Cf. Lc 17,21.

34 G. SEGALLA, Teologia bíblica, 157. Che il Regno sia presente nella persona, nell'insegnamento e nelle opere di

Gesù, è posizione quasi unanime tra gli esegeti di ambito cattolico. Nel mondo protestante si riconosce a questa scelta

una posizione un equilibrio tra le correnti dell'escatologia “conseguente” che, con A. Schweitzer, affermavano che Gesù

pensasse ad una irruzione imminente dell'ultima consumazione, e quelle della escatologia “realizzata”, che con C. H.

Dodd, suggerivano che il Regno consistesse precisamente nel dono che attraversava la storia nell'agire di Gesù. Queste

due correnti continuano ad influenzare l'ambiente dei teologi della Riforma.

35 M. BORDONI, Gesù di Nazaret. Presenza, memoria, attesa, Queriniana, Brescia 1988, 141. La formulazione

stessa impiegata da Gesù quando parla della “venuta del Regno” (Mc 9,1; Mt 6,10), ne indica il carattere di dono

gratuito e, al contempo, definitivo: il Regno.

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Vi è certamente, nella predicazione di Cristo, un senso di urgenza e di imminenza, reso

manifesto dalla radicalità della chiamata a mettersi a totale disposizione dell'invito divino36 e dalla

convinzione di essere entrati nell'ora decisiva della conversione e della azione salvifica. Vero è pure

che Gesù inquadra il suo messaggio in un'ottica di futuro ultimo, nell'orizzonte del giudizio finale e

della consumazione del mondo37. Però Gesù non incentra la sua predicazione sul Giudizio o

sull'Ultimo Giorno, quanto piuttosto sul carattere definitivo della salvezza offerta da Dio per mezzo

di Lui e sulla necessità di non trascurarla38. Gesù non è il messaggero della fine dei tempi bensì

dell'inizio dei tempi definitivi, che, come tali, sono connessi alla fine dei tempi. Neppure nei suoi

miracoli39 si diedero le manifestazioni apocalittiche della fine dei tempi; essi furono invece segni

rivelatori di un mondo nuovo che trovava nella missione di Gesù la sua origine e il suo

compimento40.

Speciale interesse vi è nella relazione sussistente tra Gesù e il Regno, che diviene sempre più

evidente quanto più avanza la sua missione terrena. Si può approcciare questo rapporto, per così

dire, “dal di dentro”, a partire cioè da quanto è stata chiamata la “cristologia implicita”41, che ha

due elementi portanti: la “autorità” (éxousía) di Cristo e la “sequela” di Cristo.

36 Cfr. P. STUHLMACHER, Gesù di Nazaret, Cristo della fede, Dehoniane, Bologna 1992, pp. 29-39 (in particolare

si veda p. 31).

37 È caratteristica l'espressione «in quel Giorno ….», pronunciata in riferimento al giudizio ultimo di Dio e alla

consumazione del mondo. Cfr. Mt 7,22; Mc 2,20; Lc 5,3; 10,12 ecc.

38 Non accada che quel giorno giunga come un ladro e non si sia pronti. Questa disposizione alla vigilanza –

presente nelle parabole delle dieci vergini (Mt 25,1-13), del ladro di notte (Lc 12,39-40//Mt 24,43-44), del

amministratore disonesto (Lc 12,41-46//Mt 24,45-51), dei talenti o delle mine (Mt 25,14-30//Lc 19,11-27)– è ciò che

interessa a Gesù. Questo però non significa che Gesù abbia vissuto in attesa di questo evento messianico, secondo la

congettura di J. A. T. Robinson (The Most Primitive Christology of All, «Journal of Theological Studies» n. s. 7 (1956),

177-189).

39 Sui miracoli di Gesù e la loro storicità si veda B. L. BLACKBURN, Miracles and Miracle Stories, in J. B. GREEN,

et al. (ed.), Dictionary of Jesus and the Gospels, Inter-Varsity Press, Downers Grove (IL) - Leicester (UK) 1992, 549-

560; L. ERDOZAIN, Los milagros, «Estudios Eclesiásticos» 77 (2002), 141-162. Una disanima delle posizioni esegetiche

più recenti, ma eccessivamente acritica, è contenuta in J. J. BARTOLOMÉ, Jesús de Nazaret, “Ese varón acreditado por

Dios con hechos prodigiosos” (He 2,22). Una reseña de la investigación sobre los milagros, «Salesianum» 63 (2001),

225-266.

40 M. BORDONI, Gesù de Nazaret. Presenza, 143.

41 Vale a dire la cristologia che si ricava indirettamente da ciò che Gesù dice e fa. Si veda in merito J. M.

CASCIARO, La cristología implícita en los evangelios sinópticos, in IDEM, Jesús de Nazaret, Alga, Murcia 1994, 433-

484; J. SCHLOSSER, Q et la christologie implicite, in A. LINDEMANN, The Sayings Source Q and the Historical Jesus,

Peeters, Leuven 2001, 289-316.

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Da una parte, man mano che avanza nella sua missione, le opere che Gesù realizza, e l'autorità

e la sapienza con cui parla, sorprendono sempre più il popolo che si interroga con maggior interesse

riguardo alla sua identità: chi è mai costui, che perfino i venti e i mari gli obbediscono? (Mt 8,27).

Chi è costui che perdona anche i peccati? (Lc 7,49). Chi è dunque costui, del quale sento dire queste

cose? (Lc 9,9). La domanda nasce spontanea, giacché per mezzo di Lui si dispiega un'azione

potente di Dio nel mondo, e «cosa notevole, tale sovranità divina pare esercitarsi nell'autorità dello

stesso Gesù»42. A tale questione il Signore non dà una risposta diretta, almeno inizialmente; lascia,

per così dire, che parlino le opere da se stesse. Persino, seguendo il racconto di San Marco, si

potrebbe dire che Gesù non voglia che la sua identità di Messia venga chiaramente svelata (“segreto

messianico”: o più propriamente “riserbo”). L'atteggiamento del Signore manifesterà comunque un

cambiamento rispetto a questo punto. Vediamolo più dettagliatamente.

L'attività iniziale di Cristo si svolse in Galilea e nelle zone limitrofe, interrotta talvolta da brevi

viaggi a Gerusalemme in occasione di feste importanti. Dal momento che Gesù desiderava

predicare in luoghi nuovi e che la Galilea non è una regione molto estesa, dopo alcuni mesi il suo

messaggio era noto e diede luogo a reazioni contrastanti. È opinione piuttosto concorde tra gli

esegeti il fatto che, dopo un periodo iniziale di favore durante il quale Gesù era circondato da

moltitudini di persone, la sua attività sia entrata in una fase di crescente polemica e ostilità. Si

cominciò a delineare una certa opposizione, in parte per invidia in parte per l'esigenza della dottrina

che predicava, e in ultimo perché la sua figura, dopo un periodo di attesa, non coincideva con

l'immagine del Messia che si erano prefigurati43. Alcuni autori chiamano questa fase «la crisi

galilaica»44.

42 I. DE LA POTTERIE, Fundamento bíblico de la teología del Corazón de Cristo. La soberanía de Jesús. Su

obediencia al Padre. Su conciencia filial, in Instituto Internacional del Corazón de Jesús, Confirmación y desarrollo del

culto al Corazón de Cristo, Edapor, Madrid 1982, 84.

43 In questo senso il Vangelo ci presenta l'incredulità dei suoi familiari, i dubbi di Giovanni Battista in carcere, il

conflitto che lo stesso Gesù ebbe con i suoi concittadini in occasione della visita alla sinagoga di Nazareth, gli scribi che

dubitano della sua condizione messianica e chiedono un segno dal cielo. S. Giovanni racconta anche l'episodio della

resistenza al suo discorso sul pane di vita, e dice che molti lo abbandonarono e cessarono di seguirlo (cfr. Gv, 6,66). Di

questa incredulità sono eco le lamentazioni di Gesù sulle città di Corazim, Betzaida e Cafarnao, situate sulle sponde del

lago di Tiberiade (cfr. Mt 11, 21-24).

44 Cfr. W. KASPER, Jesús el Cristo, Sígueme, Salamanca 202, 115; M. BORDONI, Gesù di Nazaret. Signore e

Cristo, II: Gesù al fondamento della cristologia, Herder - PUL, Roma 1982, 313. In ogni caso non bisogna pensarla

come un fallimento o l'abbattimento di ciò che si era costruito; si tratta piuttosto di una fase di disinteresse e abbandono

da parte di molti. Dopo un lungo periodo di attività, non solo gli oppositori a anche i discepoli non lo capivano a

sufficienza. Cfr. R. T. FRANCE, The Gospel of Mark. A Commentary on the Greek Text, W.B. Eerdmans Paternoster

Press, Grand Rapids (MI) ; Cambridge Carlisle (UK) 2002, 309-319.

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L'evangelista Marco, struttura il suo racconto intorno a questo tema. Mentre nella prima

sezione del suo vangelo, quando Gesù è acclamato, insiste sul “segreto messianico”, dando a

intendere il rischio di una interpretazione erronea del messianesimo di Cristo45, a partire dalla

confessione di Pietro a Cesarea, quando l'incomprensione dei farisei e la disaffezione di numerosi

seguaci rende improbabile che si corra questo rischio, Gesù comincia a manifestare con maggiore

chiarezza il suo destino di croce e la sua identità. Così le due questioni –identità e tipologia di

messianesimo– sono intrecciati. Da questo momento, e dato il ritrarsi di molti dei suoi seguaci,

Gesù dedica più tempo alla formazione dei suoi46. Lo fa con un orientamento chiaro, che si intuisce

dalla durezza del rimprovero rivolto a Pietro47 e si conferma nell'insegnamento che in seguito

rivolge a tutti (discepoli e uditori): « Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda

la sua croce e mi segua» (Mc 8,34). In queste parole, la sovranità regale di Dio, che Gesù predica, si

realizza solo a condizione di seguirlo per la via della rinuncia e della abnegazione. Gesù non appare

come messaggero del Regno ma come il suo centro e il suo modello. Nelle intenzioni di Gesù, «il

discepolo non si caratterizza soltanto per aver accettato il messaggio del regno di Dio che viene

attraverso la conversione del cuore, ma per aver aderito in modo particolare a Cristo e alla sua

vita»48, vale a dire, per aver fatto propria la decisione radicale di condividere con Lui la sua

missione e il suo destino.

I due aspetti che abbiamo segnalati in riferimento alla “cristologia implicita” mostrano a

sufficienza la centralità di Cristo rispetto al regno che veniva a predicare. Esso si poteva fondare

ultimamente soltanto sul mistero della sua persona, e così come Egli stessa la percepiva, cioè nella

sua condizione di Figlio di Dio. La critica biblica degli ultimi decenni ha studiato a fondo anche

questo aspetto: la coscienza filiale di Gesù49. I dati dei Vangeli ci permettono di appurare che Gesù

45 L'enfasi posta dall'evangelista sul silenzio «serve a ritardare un giudizio prematuro sulla persona e il ministero

di Gesù, fino alla croce e alla resurrezione; lì e solo lì se ne disvela pienamente il significato». A. J. HULTGREN, Christ

and His benefits. Christology and Redemption in the New Testament, Fortress Press, Philadelphia (PA) 1987, 60.

46 Cfr. J. POTIN, Jésus. L'histoire vrai, Centurion, Paris 1994, 316-317; V. TAYLOR, The Gospel according to St.

Mark, Macmillan & Co., New York 1963, 147.

47 « E cominciò a insegnar loro che il Figlio dell'uomo doveva molto soffrire, ed essere riprovato dagli anziani,

dai sommi sacerdoti e dagli scribi, poi venire ucciso e, dopo tre giorni, risuscitare. Gesù faceva questo discorso

apertamente. Allora Pietro lo prese in disparte, e si mise a rimproverarlo. Ma egli, voltatosi e guardando i discepoli,

rimproverò Pietro e gli disse: "Lungi da me, satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini"».

(Mc 8,31-33). Ricordiamo che Marco riassume nel suo Vangelo la predicazione petrina: a Pietro queste parole dure non

smisero di risuonare.

48 BORDONI, Gesù di Nazaret, II, 323.

49 Le opere principali risalgono agli anni Sessanta, con W. MARCHEL, bbà ère La prière du Christ e des

chr tiens. tude e g tique sur les origines et la signification de l invocation à la divinit comme père, avant et dans le

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«parlava di Dio come Padre suo, in un senso assolutamente unico»50. Nei quattro Vangeli appare,

per bocca di Gesù, la distinzione tra “mio Padre” e “vostro Padre”51. Si è studiato abbastanza bene

anche l'uso particolare che Gesù fa del termine Abba (Padre mio: Mc 14,36), che dovette rimanere

impresso nei discepoli tanto da passare alla primitiva comunità cristiana come attesta S. Paolo (Gal

4, 6; Rm 8,15)52. In altre occasioni Gesù si riferiva a se stesso usando il titolo di “Figlio” in senso

assoluto (il Figlio)53. In definitiva, Gesù si sentiva Figlio di Dio e questa filiazione conteneva una

conoscenza intima ed esclusiva del Padre, e la consapevolezza di rappresentarlo pienamente nel

mondo54. D'altro canto, la sua filiazione e il suo stesso messianesimo potevano essere malintesi55;

perciò Gesù associò storicamente la sua filiazione alla sua obbedienza al Padre, e svelò la sua

identità principalmente nel contesto del suo destino di sofferenza56. Questo modo di agire che

teneva strettamente unite la propria identità filiale con il dono totale di sé, orientava nella direzione

di una comprensione di Dio e del Regno centrate sull'amore (agápe).

Nouveau Testament, Biblical Institute Press, Rome 1971 (1ª ed.: 1963) e J. JEREMIAS, Abba und das tägliche Gabet im

Leben Jesu und der ältesten Kirche, Göttingen, 1966 (traduzione spagnola in Abba y el mensaje central del Nuevo

Testamento, Salamanca, Sígueme 1981, 17-89).

50 DE LA POTTERIE, Fundamento bíblico, 106.

51 Ibidem.

52 Abbá si usava normalmente in ambito familiare, indicando “Padre” o “Padre mio”, ma non per la relazione con

Dio. Cfr. SEGALLA, Teologia biblica, 174 ss. I discepoli avranno ricordato l'espressione come qualcosa di proprio di

Gesù, di specificamente suo. Nel giudaismo del I secolo era frequente rivolgersi a Dio con l'espressione “Padre nostro

che sei nei cieli”.

53 Tra i luoghi di sicura autenticità, si trovano senz'altro la parabola dei vignaioli omicidi (Mc 12,1-9), il logion

dell'ora finale (Mc 13,32) e il passo sulla conoscenza reciproca del Padre e del Figlio (Mt 11,27). Cfr. M. GRONCHI,

Trattato su Gesù Cristo Figlio di Dio Salvatore, Queriniana, Brescia 2008, 187-189.

54 Cfr. Lc 10,22.

55 Come di fatto accadde con quelli che gli gridavano: « Ha confidato in Dio; lo liberi lui ora, se gli vuol bene. Ha

detto infatti: "Sono Figlio di Dio!" » (Mt 27, 43).

56 S. Giovanni lo esprime chiaramente nel suo Vangelo quando mette in bocca a Gesù queste parole: «Quando

avrete innalzato il Figlio dell'uomo, allora saprete che Io Sono e non faccio nulla da me stesso, ma come mi ha

insegnato il Padre, così io parlo» (Gv 8, 28).

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b) Gesù davanti alla propria morte

Ci si può dunque chiedere se una comprensione di questo genere, nella quale ogni cosa sembra

trovare unità (la concezione di Dio, la percezione del regno, il destino di sofferenza, ecc.), risponda

realmente alla storia o se non sia piuttosto un punto di arrivo di un processo di riflessione portato a

termine dalla primitiva comunità, la quale aveva bisogno, per essere ascoltata, di dare ragione della

morte di Gesù. In ultima analisi, seppure si sarebbe potuto trovare nella Scrittura i testi che

prefiguravano l'evento della Croce, la credibilità della predicazione cristiana sarebbe risultata

seriamente menomata se carente di un modello esplicativo del senso della “morte del Messia”1.

Per questo è legittima la domanda che pone in questione se la centralità della croce e della

dottrina del suo valore salvifico siano da attribuirsi a Gesù stesso o alla primitiva comunità.

Cercando di rispondere a tale questione, gli specialisti hanno enucleato tre distinti argomenti di

indagine: se si debba sostenere, dal punto di vista storico, che Gesù previde e abbracciò il suo

destino di croce; se, in caso positivo, attribuì un senso preciso a questa morte; come, infine, ed è la

domanda centrale, si possa compaginare la predicazione del Regno con la sua morte salvifica.

Riguardo al primo argomento, oggi non si possono nutrire dubbi. Lo scetticismo di Bultmann,

che non permetteva di dire nulla di preciso, è stato ampiamente superato2. Nonostante le predizioni

esplicite della passione (Mc 8,31; 9,31; 10,33) ammettano la possibilità di essere state precisate a

partire dall'avvenimento già accaduto, testi quali la parabola dei vignaioli omicidi (Mt 21,33-46) o

la domanda rivolta ai due discepoli (se potessero bere il «calice che io sto per bere » ed essere

battezzati con «il battesimo con cui io devo essere battezzato», in Mc 10,39 e Mt 20,23) offrono

garanzie sufficienti riguardo alle esigenze proprie della critica storica3. Lo stesso vale per il

comportamento di Gesù quando si dirige risolutamente verso Gerusalemme incontro al suo destino,

senza farsi trattenere dalla conoscenza della fine toccata ai profeti e di quella di Giovanni Battista4.

1 Cf. M. HENGEL, Crocifissione ed espiazione, Paideia, Brescia 1988, 43.

2 In reazione a Bultmann ebbero una certa importanza, tra gli altri, alcuni contributi di J. Jeremias raccolti nellasua Neutestamentiche Theologie. Teil 1. Die Verkündigung Jesu, Gütersloh, 1971 (trad. spagnola: Teología del NuevoTestamento, Salamanca, Sígueme 1985). In ambito cattolico fu notevole il contributo di H. SCHÜRMANN, Jesu ureigenerTod. Exegetische Besinnungen und Ausblick, Herder, Freiburg 1975 [trad. española: ¿Cómo entendió y vivió Jesús sumuerte? Reflexiones exegéticas y panorámica, Salamanca, Sígueme 1982]; IDEM, Gottes Reich, Jesu Geschick. Jesuureigener Tod im Licht seiner Basileia-Verkündigung, Herder, Freiburg 1983 (trad. italiana: Il Regno di Dio e il destinodi Gesù. La morte di Gesù alla luce del suo annunzio del Regno, Jaca Book, Milano 1996).

3 In un'altra occasione Gesù invita i discepoli a seguirlo sino in fondo, senza temere coloro che hanno il potere di“uccidere il corpo” (Lc 12,4 ss; 14.27)

4 Cf. C. PORRO, Sviluppi recenti della teologia della croce, «La Scuola Cattolica» 105 (1977), 383.

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Gesù, inoltre, aveva sperimentato molto presto l’opposizione di alcuni farisei e delle classi dirigenti,

sia in Galilea sia poi a Gerusalemme, ed era consapevole della determinazione con la quale alcuni

osteggiavano la sua dottrina fino a volere la sua morte5. Questi dati manifestano non soltanto la

prescienza di Gesù ma anche una sua disponibilità al patire, che ha lasciato tante tracce nei Vangeli,

anche in quello di S. Giovanni. Per esempio il quarto evangelista nel raccontare l’arresto di Gesù e

riportare il principio di resistenza manifestato dai discepoli, mette in bocca a Gesù una espressione

che prova la determinazione con cui Gesù si consegna alla sua passione: «il calice che il Padre mi

ha dato, non dovrò berlo? » (Gv 18,11).

È allo stesso modo ragionevole pensare che se Gesù potè prevedere la sua morte vi diede pure

un significato, coerente con la missione che il Padre gli aveva affidato. In questa linea, dopo aver

studiato i testi che verosimilmente raccolgono più alla lettera le affermazioni di Gesù (le parole

dell’istituzione dell’Eucarestia6, i logia del riscatto7, della spada8 e di Elia9, l’espressione “sarà

consegnato”10, i temi dell’aggressione al pastore11 e dell’intercessione per i peccatori12), J. Jeremias

conclude: «la passione si spiega, in generale, come azione vicaria a favore della moltitudine»13, vale

a dire avendo come orizzonte interpretativo il quarto poema del Servo di Yahvé (Is 52,13-53,12)14.

Tra questi testi i due testi più importanti sono probabilmente il logion del riscatto e le parole

5 Cfr. Mc 3,16; 11,18; Lc 13,31.

6 Cfr. 1Cor 11,23-33; Lc 22,15-20; Mc 14,22-25; Mt 26,26-28.

7 Cfr. Mc 10,45; Mt 20,28.

8 Cfr. Lc 22,35-38.

9 Cfr. Mc 9,12 ss.

10 Cfr. Mc 9,31 par; 14,41 par; Lc 24,7.

11 Cfr. Mc 14,27b.

12 Cfr. Lc 23,34a. Secondo Jeremias i testi di Lc 22,16-18 e di Mc 14,25 si devono intendere alla luce del digiunopraticato nella Chiesa di Palestina per affrettare la venuta del Messia.

13 Teologia del Nuevo Testamento, 342.

14 Non tutti però sono concordi sulla possibile identificazione di Gesù con la figura del Servo sofferente. Statusquaestionis parziale, sulle posizioni degli esegeti a riguardo, sono in W. M. BECKER, The Historical Jesus in the Faceof His Death. Internal, Historical, and Systematic Perspectives, Pontificia Universitas Gregoriana, Roma 1994, 105-160(specialmente alle pp. 98 e 99 le note 58 e 59); S. MCKNIGHT, Jesus and His Death: Some Recent Scholarship,«Currents in Research: Biblical Studies» 9 (2001), 185-228. Segnaliamo inoltre, anche se non abbiamo potutoconsultarlo, W. H. BELLINGER, Jr. - W. R. FARMER (eds.), Jesus and the Suffering Servant. Isaiah 53 and ChristianOrigins, Trinity Press International, Harrisburg (PA) 1998.

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pronunciate sul calice nell’Ultima Cena, sia per quanto concerne il significato, sia per le garanzie di

autenticità che offrono.

Il logion del riscatto corona alcuni insegnamenti di Gesù sulla necessità di servire. La

formulazione è la stessa in Matteo e Marco: «il Figlio dell’uomo non è venuto per farsi servire, ma

per servire e dare la sua vita in riscatto per molti» (Mt 20, 28; Mc 10, 45). Nella versione di Marco,

che è quella che seguirò, il logion del riscatto costituisce un testo chiave poiché con esso termina la

sezione centrale del vangelo che prepara la passione di Gesù15. A favore della storicità di queste

parole vi è il loro marcato carattere semitico16, la loro presenza tanto nei sinottici come in S. Paolo

(molteplice attestazione)17, e la loro collocazione al termine di una scena imbarazzante per i

discepoli: Gesù li riprende per la discussione sorta tra loro su chi dovesse essere il più grande nel

Regno. In tale contesto Gesù glossa la sua condizione di servo la quale deve essere normativa per il

discepolo. Notando che la seconda parte del logion (10, 45b: «e dare la propria vita in riscatto per

molti») è assente nella redazione di Luca al momento di presentare l’alterco tra i discepoli18, alcuni

autori la considerano una glossa dell’evangelista. Ci sono però motivi diversi per pensare che anche

questa seconda parte trasmetta le parole di Gesù, o almeno che l’idea ivi raccolta abbia in Gesù la

sua origine19. Da un lato è più unita alla prima parte di quanto appaia a prima vista, e dà anzi

l’impressione di esserne una parte integrante20; inoltre vi sono forti risonanze di Isaia21, il profeta

15 S. PAGE, Ramson Saying, en Dictionary of Jesus and the Gospels, 660. «Questo detto è uno dei più importantidel Vangelo », afferma V. Taylor (The Gospel According to Saint Mark, McMillan, London 1963, 444).

16 Le espressioni: “Figlio dell’Uomo”, “dare la sua vita”, “per molti” sono una buona prova. Cfr. W. J. MOULDER,The Old Testament Background and the Interpretation of Mark X, 45, New Testament Studies, 24 (1978), 120. Lo stilesemitico si apprezza anche se si confronta con la forma paolina, molto più ellenizzata, di 1 Tim 2, 5-6: «l’uomo CristoGesù, che ha dato se stesso in riscatto per tutti».

17 Mc 10,45; Mt 20,28; Lc 22, 27; 1 Tim 2,5-6.

18 Lc 22,24ss menziona soltanto il tema del servizio di Cristo, ma non parla di “riscatto”. Probabilmente elabora ildato tradizionale in maniera indipendente da Marco (Cfr. JEREMIAS, Teologia del Nuevo Testamento, 335-336).

19 Anche se l’evangelista avrebbe potuto unirle autonomamente nel suo lavoro di editing per meglio trasmetterel’idea.

20 Il libro di Daniele (Dn 7,13-14) presenta la figura del Figlio dell’Uomo, personaggio celeste che ricevedall”Anziano” (Dio) l’imperio, l’onore e la gloria, e che tutti popoli servono per sempre. Si evoca la promessa fatta daDio a Davide: «il suo potere è un potere eterno che non finirà mai, e il suo regno non sarà mai distrutto». Nel logion diMc, invece, la prospettiva cambia: il Figlio dell’Uomo non è servito ma servitore. Ancora di più, è venuto per questoservizio (V. Taylor: «Kaì gar può esser tradotto etenim, o, con maggior enfasi, nam etiam»; in italiano sarebbe: «Einfatti il Figlio dell’Uomo non è venuto …» The Gospel According, 444). Qui c’è una prossimità con la teologiadell’inno di Fil 2 che non è passata inavvertita (Cfr. MOULDER, The Old Testament, 122). L’enormità del paradossorichiede un’ulteriore spiegazione: perché deve abbassarsi a servire in così grande personaggio? La seconda parte dellogion dà la risposta: perché lui può veramente riscattare la moltitudine.

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che più spesso appare citato da Gesù; da ultimo, è frequente trovare parole di Cristo, di indubbia

autenticità, che hanno uno stile letterario simile e simile l’orizzonte di pensiero22. Ne segue che, da

un punto di vista rigorosamente storico, è probabile che Gesù abbia fatto allusione al riscatto dei

peccatori come al motivo della propria morte.

Questo senso emerge ancor più chiaramente dal racconto dell’Ultima Cena. Non ci dovrebbe

essere alcun dubbio in merito alla storicità di ciò che viene narrato anche se le quattro narrazioni

differiscono lievemente23. Si tratta di particolari accidentali che spiegano o precisano, per ogni

lettore-tipo, il significato comune ai testi. D’altra parte, la pratica eucaristica della Chiesa primitiva

è attestata con certezza fin dall’inizio, come mostrano i dati provenienti dall’epistolario paolino e la

memoria dei primi passi della Chiesa24. Per questo, e per molti altri motivi, bisogna attribuire a

Gesù i gesti eucaristici e il loro significato25. Il senso appare già implicito nella parola essenziale sul

corpo: «mentre mangiavano, prese il pane e recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro,

21 Sono numerosi gli esegeti che vedono punti di contatto con la teologia isaiana del Servo di Iahvè, specialmentecon Is 53,10-12. Non si tratta soltanto della terminologia: «al di là delle somiglianze linguistiche, la nozione di dare lavita è centrale in Is 53» (FRANCE, The Gospel of Mark, 420). Il tema è stato però oggetto di un intenso dibattito. Non siè prestata invece sufficiente attenzione al radicamento del logion nella teologia di Is 43, 3-4, a eccezione di P.Stuhlmacher (Vicariously Giving His Life for Many, Mark 10, 45 (Mt 20, 28), en IDEM, Reconciliation, Law andRighteousness: Essays in Biblical Theology, Philadelphia, Fortress Press 1986, 16-29) e W. Grimm. In Is 43,3-4 siafferma che, per amore, Dio dà uomini e nazioni in cambio della vita di Israele: «Perché tu sei prezioso ai miei occhi,perché sei degno di stima e io ti amo, do uomini al tuo posto e nazioni in cambio della tua vita» (v. 4). Di questa stessaopinione è M. HENGEL, Crocifissione, 181.

22 In vari testi (per esempio nelle parabole della pecorella smarrita o del figlio prodigo) Gesù considera il peccatocome “perdizione”. In Lc 19,10 si afferma che è questa perdizione all’origine della missione di Gesù: «il Figliodell’uomo è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto». In altri contesti si mette in relazione questa perdizionecon un prezzo, come in Mt 16,26: « quale vantaggio avrà un uomo se guadagnerà il mondo intero, ma perderà la propriavita? O che cosa un uomo potrà dare in cambio della propria vita?». Il testo lascia intravedere la presenza del temaveterotestamentario del riscatto: il peccatore non può riscattare la propria vita: «Certo, l’uomo non può riscattare sestesso né pagare a Dio il proprio prezzo», dice il Salmo 49,8 (fonte per Mt 16,26). «Certo, Dio riscatterà la mia vita, mistrapperà dalla mano degli inferi (seol)» afferma di seguito il salmista (Sal 49,16). Quello che invece l’uomo può fare èdedicare la sua vita alla causa di Gesù: «perché chi vuole salvare la propria vita la perderà, ma chi perderà la propriavita per causa mia, la troverà» (Mt 16,25). Tanto il linguaggio come le idee di questi testi contestualizzano il nostrologion: Gesù ha potuto considerare se stesso “strumento” dell’azione di Dio per riscattare i peccatori, dando la sua vitaper loro.

23 Cfr. 1Cor 11,23-33; Lc 22,15-20; Mc 14,22-25; Mt 26,26-28. Cfr. P. BENOIT, Les Récits de l’institution del’Eucharistie et leur portée, in IDEM, Exègése et théologie, t. I, Paris 1961; H. SCHÜRMANN, Le récit de la dernièreCène, Luc 22, 7-38, Éditions Xavier Mappus, Le Puy 1966.

24 Cfr. A. GARCÍA-IBÁÑEZ, La eucaristía, don y misterio. Tratado histórico-teológico sobre el misterioeucarístico, EUNSA, Pamplona 2009, che conclude (p. 51): «La cronologia dei racconti mostra che dalla morte diCristo all’apparizione di questa tradizione liturgica non passò un lasso di tempo significativo».

25 Paolo, per esempio, è convinto di aver ricevuto quanto trasmette sulla Cena da una tradizione che fa capodirettamente al Signore (cfr. 1 Cor 11,23). L’importanza attribuita dai racconti ai due gesti, del pane e del vino, e il fattoche tendono ad essere svincolati dal contesto della cena pasquale, attesta che si tratta di un ricordo di ciò che fece Gesù.Lo stile di Gesù è presente nell’amen che precede l’affermazione (Mc 14,25), nel passivo divino che usa Lc 22,22, etc.Cfr. J. JEREMIAS, La Última Cena. Palabras de Jesús, Cristiandad, Madrid 1980, 220-221.

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dicendo: “prendete, questo è il mio corpo”» (Mc 14, 22). La frazione e la distribuzione del pane tra i

presenti veicola l’idea che questo corpo che Gesù dona loro è il corpo che soffrirà e morirà per loro.

Il gesto successivo è ancora più esplicito: «Poi prese il calice e rese grazie, lo diede loro e ne

bevvero tutti» (v. 23). Tutti partecipano dell’unico calice, il cui significato è spiegato

immediatamente: «E disse loro: “questo è il mio sangue dell’alleanza, che è versato per molti”». La

formula, sobria ma densa di contenuto, evoca possibilmente tre rimembranze: la nuova alleanza26, il

sacrificio del servo27 e la liberazione pasquale28. Di tutto questo beneficiano i discepoli che

partecipano del calice.

È attestato da questi testi, dunque, che Gesù intese la sua morte come necessaria per instaurare

il Regno. Con essa si realizzava la riconciliazione definitiva di Dio con il suo popolo e si stipulava

una alleanza nuova, con valore e significato universali. Si apre perciò la questione se ci sia

compatibilità tra questa prospettiva e il ministero precedente, posto che anch’esso implicava la

salvezza. In altre parole: se Gesù predica che la salvezza o la perdizione si decidono riguardo alla

posizione che si assume rispetto a Lui e al suo messaggio, se è chiave accettare Gesù, la sua morte

che ruolo ha29? O meglio, se Gesù si aspettava un qualche successo dalla sua predicazione di

conversione, la sua morte non dovette avere inizialmente nessuna funzione. In realtà, però, non è

necessario opporre le due cose (ministero e morte), né è imprescindibile coniugarle in senso

puramente storico (prima Gesù pensa alla sua missione come ad una instaurazione del Regno ma

poi, dato l’insuccesso, si persuade che la sua stessa morte sia l’unico rimedio). Bisogna mettere in

evidenza, con Schürmann, che la basileia predicata da Gesù è contrassegnata dalla sua intima

conoscenza del Padre, e dalla sua convinzione che il Padre lo invia per la salvezza dei peccatori30.

26 Il sangue sparso evoca le parole di Mosè (Es 24,8) nella cerimonia originale dell’alleanza sinaitica che seguìalla Pasqua e all’uscita dall’Egitto e che concluse il processo di formazione del popolo di Dio: «Mosè prese il sangue ene asperse il popolo, dicendo “ Ecco il sangue dell’alleanza che il Signore ha concluso con voi sulla base di tutte questeparole!». Come la prima alleanza fu suggellata con un sacrificio, e Mosè asperse il popolo con il sangue della vittima,così analogamente la nuova alleanza si inaugura con un sacrificio del quale partecipa il nuovo popolo. Necessariamentesi evocano insieme le profezie di Ger 31,31-34 e il testo di Zc 9,11 che si riferiscono alla nuova alleanza che Dio potràstipulare. Cfr. FRANCE, The Gospel of Mark, 570.

27 Il linguaggio sacrificale seguito dal “per molti” evoca anche qui i “molti” della traduzione dei LXX nel quartopoema del Servo di Iahvè, in Is 53,11-12, come già accadeva per logion del riscatto. Cfr. Ibidem, 570-571.

28 Il contesto pasquale è senza dubbio presente nelle parole di Gesù. Il sangue dell’agnello pasquale segnò le casedei giudei e il sacrificio dell’agnello fece parte del piano di liberazione approntato da Dio. Cfr. Ibidem, 571.

29 «Come compaginare (con la predicazione del Regno) la convinzione che Dio realizza la salvezza degli uominisoltanto attraverso la morte di Gesù? Non si toglie valore così, a posteriori, a tutta la precedente attività di Gesùabbassandola a mero antecedente?» KASPER, Jesús el Cristo, 204-205. Cfr. anche SCHÜRMANN, Regno di Dio, 20.

30 SCHÜRMANN, Regno di Dio, 45-46.

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Con Wright sottolineiamo che Gesù attribuì sempre alle sue parole e azioni il senso di portare a

compimento quello che il Padre aveva promesso a favore di Israele e dell’umanità tutta31. In questa

prospettiva ciò che risulta davvero centrale è il disegno, ciò che il Padre determina in ordine

all’instaurazione del Regno; ciò che indicano le Scritture e ciò che Lui conosce nell’intimità della

sua filiazione. Questo è quello che volle Cristo. Che le reazioni potessero essere di opposizione,

anche radicale, non doveva essere sorprendente per Gesù, né fu qualcosa che scoprì con l’andare del

tempo. Non era forse patente che la stessa storia di Israele, quella passata come quella presente, era

marcata da tale opposizione? Fin dall’inizio gli fu chiaro che questo progetto avrebbe portato al

sacrificio della sua vita32. Forse la certezza a riguardo, e i contorni concreti di tale destino si

andarono profilando progressivamente nel constatare che la sua intuizione prendeva consistenza,

nelle resistenze di tante persone che lo ascoltavano e della classe dirigente di Israele, però la realtà

della piena e filiale messa a disposizione della sua vita33 dovette animare fin dall’inizio la sua

predicazione della basileia. Del resto, come mostrano le parole della sua preghiera nell’orto degli

ulivi, nella vita di Gesù rimase sempre uno spazio di libertà aperta al Padre, al di là di ogni sua

personale certezza: Gesù sa che, davanti all’ora della morte che si avvicina inesorabile, una

disposizione differente del Padre è sempre possibile34.

c) Il Risorto e la salvezza

«La salvezza non è soltanto qualcosa che Gesù ottenne, ma qualcosa che si realizzò in Lui »35.

Questa affermazione di padre Durrwell –uno degli autori che maggiormente contribuì a rinnovare la

teologia della risurrezione36– potrebbe sintetizzare la prospettiva dalla quale la soteriologia

31 WRIGHT, Jesus and the victory, 653.

32 Notiamo, con Schürmann, che tanto il celibato di Gesù (che aveva già più di trent’anni) quanto la sua riccadottrina sul Padre, sul Regno, ecc. (che non poterono formarsi nel breve intervallo della sua vita pubblica) testificanoche prima di cominciare la sua missione Gesù ne aveva già maturato le caratteristiche fondamentali. Cfr. Regno di Dio,36-37.

33 Il suo essere completamente dedito a realizzare la misericordia di Dio, anche se questa dovesse seguire vieimpraticabili.

34 «Padre, se vuoi, allontana da me questo calice». Lc 22,42.

35 F.-X. DURRWELL, La Pâque du Christ selon l'Écriture, in AA. VV., La Pâque du Christ, Mystère du salut, DuCerf, Paris 1982, 11.

36 Soprattutto con l’opera La Résurrection de Jésus, Le Puy 1950 rielaborata da lui stesso più volte e riscritta apartire dalla decima edizione francese del 1976 [trad. spagnola di questa decima edizione francese: La Resurrección deJesús misterio de salvación, Herder, Barcelona 1979]. In questo processo di rielaborazioni, l’autore andò perdendo lacontinuità con la theologia recepta e sostenne alcune opinioni criticabili, come per esempio la simultaneità di morte erisurrezione di Cristo. J. Mimeault ha studiato con profondità l’opera teologica di Durrwell, segnalando, oltre ai meriti

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contemporanea guarda al mistero della risurrezione di Gesù. Negli ultimi secoli infatti aveva

prevalso un approccio apologetico che presentava questo mistero sotto l’aspetto della credibilità

della fede cristiana, ma che lasciava poco spazio alla considerazione soteriologica. Tale carenza era

anche in parte frutto di una polarizzazione della soteriologia sul mistero della croce, che pareva

richiamare a sé tutto il tema relativo alla salvezza degli uomini. Vi era certamente uno squilibrio tra

i due avvenimenti salvifici ed era necessario colmarlo37. Nel Nuovo Testamento, infatti, la

risurrezione di Gesù presenta una soteriologia molto ricca: «è un atto di Dio, un atto di

creazione»38; è l’accesso ad una forma di esistenza corporale trasfigurata, incorruttibile, gloriosa,

piena, pneumatica39; è l’apertura di una fonte di presenza e di vita nuova per la Chiesa e per il

cristiano40; è la causa efficiente e configuratrice della risurrezione universale della fine dei tempi41.

È chiaro che gli elementi che tracciano la dimensione soteriologica della risurrezione di Gesù,

hanno per fondamento la realtà di quest’ultima (i.e. Gesù davvero è risorto) e il carattere corporeo

del risuscitato. Entrambi gli aspetti però sono stati messi in discussione.

La storicità della risurrezione di Gesù continua ad essere oggetto di numerosi studi. Il tema

continua ad essere una “spada a doppio taglio”, come al tempo di S. Paolo, perché tertium non

datur. I tentativi di mediazione tra le posizioni realiste (che affermano la risurrezione corporale) e le

posizioni scettiche (che la negano o la relegano alla soggettività del credente) finiscono con l’essere

giochi di parole. Vi è un consenso piuttosto generale sul fatto che dopo la morte di Gesù i discepoli

ebbero delle esperienze particolari che i vangeli esprimono come apparizioni del Risorto e che

diedero origine alla proclamazione del vangelo. Sebbene alcuni abbiano teorizzato che bastasse una

del religioso redentorista, gli aspetti discutibili dei suoi scritti (cfr. J. MIMEAULT, La sotériologie de François-XavierDurrwell. Exposé et réflexions critiques, Pontificia Università Gregoriana, Roma 1997).

37 Durrwell lo mostra bene, ricordando un’esperienza dei suoi studi da seminarista: «il professore di dogmatica–scrive–, il P. Dillenschneider, era il migliore. Cercava di superare un lunga tradizione che privilegiava gli aspettimorali e giuridici nello studio della Redenzione. Un giorno del 1937, verso la fine della mia permanenza nel seminario,dedicò un’ora al ruolo della risurrezione di Cristo (ndr: nella redenzione). Ispirandosi ad un articolo di San Tommasod’Aquino, mostrò che la risurrezione non è causa meritoria, che ha per oggetto ricompensare Cristo e che è per noimodello della giustificazione e causa della futura risurrezione dei corpi. Passata quell’ora, senza sapere perché, io erosicuro che la risurrezione di Cristo era molto di più, che era qualcosa di veramente grandioso». La Pâque, 11.

38 B. RIGAUX, Dio l'ha risuscitato. Esegesi e teologia biblica, Edizioni paoline, Cinisello Balsamo 1976, 429.

39 Cfr. Ibidem, 491-492.

40 «La risurrezione coinvolge il credente fin nelle fibre più intime del suo essere, perché mediante la fede ilcristiano entra nella dimensione escatologica, definitiva e ultima della rivelazione divina, dove la salvezza è determinatadalla presenza viva e dinamica di Cristo», Ibidem, 511.

41 Cfr. Ibidem, 555 ss.

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generica presenza di Cristo nell’anima dei discepoli per spiegare tali esperienze, l’interpretazione

che si tratti invece di vere apparizioni ha fatto valere le proprie credenziali42 ed è attualmente

sostenuta dai migliori specialisti43. Ciò che dà più peso a questa interpretazione è la constatazione

che la risurrezione di Gesù fu predicata fin dal primo momento (come testimonia la cronologia

paolina e le sue lettere) e il fatto che il linguaggio della risurrezione poteva essere compreso dal

mondo giudaico del I secolo solamente come un “ritornare alla vita” secondo la sua dimensione

corporea (per ciò la predicazione apostolica richiedeva che la tomba di Cristo fosse realmente

vuota). Alcuni aspetti delle narrazioni mostrano anche con chiarezza come gli eventi narrati siano

eventi ricordati (per esempio si noti il ruolo di primo piano attribuito alle donne) e alcune

affermazioni degli apostoli Pietro e Paolo che indicano che essi stessi erano ben consapevoli che

l’annuncio era difficile da accettare ma che non vi si potevano sottrarre senza rinnegare Dio44, e che

perciò furono disposti a pagare l’evangelizzazione al prezzo della loro vita. Una ricezione

maggiormente documentata di alcuni di questi aspetti, e l’assenza di alternative ragionevolmente

paragonabili, depone quindi sostanzialmente a favore di una reale storicità dei racconti45.

D’altro canto, al momento di concettualizzare il carattere corporale della risurrezione di Cristo

può sorgere un certo scetticismo. «Molti credenti nella risurrezione la intendono più o meno come

un fenomeno spirituale», scrive Gundry. E continua: «Alcuni sostengono che il racconto della

tomba vuota non sia storico, e che il corpo di Gesù abbia subito il normale processo di

42 Una sintesi delle diverse posizioni sulla risurrezione di Gesù si trova in G. R. HABERMAS, Mapping the RecentTrend towards the Bodily Resurrection Appearances of Jesus in Light of Other Prominent Critical Positions, in TheResurrection of Jesus. John Dominic Crossan and N. T. Wright in Dialogue, in R. STEWART, (ed), Fortress Press,Minneapolis 2006, pp. 78-92. Altre fonti utili in questa linea: IDEM, Experiences of the Risen Jesus: The FoundationalHistorical Issue in the Early Proclamation of the Resurrection, «Dialog: A Journal of Theology» 45 (2006) 288-297; G.O'COLLINS, The Resurrection. The State of the Question, en S. T. DAVIS - D. KENDALL - G. O'COLLINS (eds.), TheResurrection. An Interdisciplinary Symposium on the Resurrection of Jesus, Oxford University Press, Oxford 1997, 5-28; J. A. SAYÉS, La resurrección de Jesús y la historia. Problemática actual, Facultad de Teología del Norte de España,Burgos 1983.

43 Come J. D. G. Dunn, N. T. Wright, W. L. Craig, R. H. Gundry, G. R. Habermas, M. J. Harris, T. Peters e altri.

44 Paolo, per esempio, afferma che se al predicare la risurrezione di Cristo, questa non fosse avvenuta, la suapredicazione sarebbe blasfema: «Ma se Cristo non è risorto (…) noi, poi risultiamo falsi testimoni di Dio, perché controDio abbiamo testimoniato che egli ha risuscitato il Cristo mentre di fatto non lo ha risuscitato…» 1 Cor 15,14-15.Riguardo a Pietro si veda At 4,19b-20.

45 Da questo punto di vista risulta importante il voluminoso testo di N. T. WRIGHT, La resurrección del Hijo deDios. Los orígenes cristianos y la cuestión de Dios, Verbo Divino, Estella 2008 [orig. inglés, 2003]. D’altro canto,come sottolinea Pannenberg riferendosi ai tentativi di spiegare le apparizioni come esperienze psicologiche, «a volte sirimane sorpresi di quanto facilmente gli storici, che esaminano le proprie fonti con grandi dosi di scetticismo, credanoinvece alla propria immaginazione senza sottoporla a verifica con lo stesso rigore». W. PANNENBERG, Resurrection: theUltimate Hope, en K. TANNER - C. A. HALL, Ancient and Postmodern Christianity. Paleo-orthodoxy in the 21thCentury. Essays in honor of Thomas C. Oden, InterVarsity Press, Downers Grove 2002, 260.

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decomposizione dei cadaveri anche se Gesù potè godere di una risurrezione che fu una forma di

esaltazione incorporea o di un’esistenza celestiale. Altri, dando maggior credito alla tomba vuota,

dicono che era vuota perché il corpo di Gesù si dissolse [evaporated], per così dire, cosicché il Gesù

risorto non sarebbe un’entità fisica; oppure dicono che il suo cadavere si trasformò in un corpo vivo

ma essenzialmente immateriale, che adotterebbe caratteristiche fisiche solo quando le apparizioni lo

richiedano»46.

Il fondamento biblico per suffragare queste posizioni è stato attribuito alla visione paolina della

risurrezione di Cristo, con l’idea che questa contenga una concezione immateriale della risurrezione

e che sia anteriore alla formulazione dei racconti evangelici; questi ultimi, che sottolineano

maggiormente gli aspetti fisici, corrisponderebbero ad una fase successiva della tradizione. Si fa

dunque riferimento ad un discreto numero di testi paolini e, soprattutto, all’opposizione tra “corpo

naturale” e “corpo spirituale” (1 Cor 15,44). San Paolo, però, parla del risorto a partire dalla propria

esperienza –e perciò vi è una originalità nella sua comprensione– ma la sua visione non si oppone a

quella dei vangeli, piuttosto le due prospettive si rafforzano mutuamente. In entrambi i casi, sono

indicate con sottolineature differenti la continuità e la novità dell’esistenza gloriosa rispetto a quella

terrena. Ad esempio, proprio l’espressione particolare “corpo spirituale” (soma pneumatikon) di

1Cor 15 è preceduta da una lunga argomentazione che mette in evidenza esattamente questa

continuità/discontinuità. In tale contesto, l’apostolo parla di un “corpo spirituale” «non nel senso di

“immateriale” ma di “soprannaturale” (…) non perché sia fatto di “spirito” ma perché è un corpo

adattato alla condizione di esistenza escatologica e posto sotto il dominio dello Spirito»47. La stessa

precisazione si raccoglie anche dai racconti evangelici, laddove presentano le apparizioni come

avvenimenti insieme misteriosi e umani. La realtà fisica-corporale del Risorto è sottolineata in

modo paradossale48 senza occultare però che la sua nuova condizione la sottrae alle leggi fisiche e

storiche49. Non poteva essere altrimenti: le sue apparizioni «non potevano obbedire alle leggi delle

nostre constatazioni sensibili, effettuate nello spazio e nel tempo, sotto pena di divenire il segno di

46 Cfr. R. H. GUNDRY, The Essential Physicality of Jesus' Resurrection according to the New Testament, in J. B.GREEN - M. TURNER, Jesus of Nazareth: Lord and Christ. Essays on the Historical Jesus and New TestamentChristology, W.B. Eerdmans, Grand Rapids (MI) 1994, 204-205.

47 G. D. FEE, The First Epistle to Corinthians, Eerdmans, Grand Rapids (Michigan) 1987, 786. «Il corpo risortoanimato dallo Spirito, come il corpo terreno (il soma psychikon) è animato dal principio vitale, o dalla forza cheall’inizio della Creazione Dio diede all’uomo quando soffiò sopra di lui». B. WITHERINGTON III, Conflict andCommunity in Corinth. A Socio-Rhetorical Commentary on 1 and 2 Corinthians, Eerdmans, Grand Rapids (Michigan)1987, 308.

48 I discepoli mangiano con il Signore, camminano con Lui, ecc.

49 Gesù si presenta loro quando sono riuniti a porte chiuse, non lo riconoscono se non quando vuole Lui, ecc.

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ciò che non è; i discepoli, che non essendo risuscitati, hanno ancora bisogno dei loro sensi per

“vedere” Gesù e non possono servirsene se la manifestazione di Gesù non si inserisce in modo

sensato nella trama della loro storia con Lui»50. Le apparizioni dovevano perciò materializzare la

condizione escatologica, finale, nel presente storico. Si doveva cioè percepire che, «nonostante la

discontinuità tra l’attuale realtà fisica corruttibile e quella incorruttibile del mondo futuro, c’è una

continuità che soggiace alla vita corporale attuale e futura» 51.

Questa continuità/novità pone la vita umana al di là della morte, con «il realismo di una

“condizione di esistenza” personale, spirituale e corporale»52, nella quale si fa visibile la vita eterna

che Dio possiede in pienezza. Il nuovo corpo di Gesù è «il segno e la presenza escatologica della

realtà trinitaria di Dio nell’umanità e nel mondo»53: la salvezza compiuta. Secondo le Scritture,

questa salvezza si realizza in Cristo per noi e in nostro favore. Di modo che, come il suo corpo

offerto inaugura la possibilità universale del perdono, così il suo corpo risorto è la fonte della vita

nuova54. Il suo corpo consegnato alla morte si trasforma nel corpo dal quale viene la vita: ecco il

nucleo soteriologico della risurrezione di Gesù.

I. La concettualizzazione biblica dell’opera salvifica di Cristo

La soteriologia del Nuovo Testamento può essere considerata, genericamente, come una

meditazione su Gesù e più precisamente sul senso salvifico della sua venuta e della sua storia. La

cornice di questa meditazione su Gesù è la storia della salvezza del popolo di Israele, e le Scritture

danno il contesto e i presupposti per inquadrare la figura e l’azione salvifica di Gesù. I presupposti

potrebbero essere riassunti così: in primo luogo il fatto che Dio è Salvatore55, ed è l’unico vero

salvatore56, anche se a volte di serve di intermediari. Poi che la salvezza è gratuita ed è frutto del

50 B. SESBOÜE, Jesucristo, el único mediador. Ensayo sobre la redención y la salvación, II: El relato de lasalvación: propuesta de soteriología narrativa, Secretariado trinitario, Salamanca 1990, 208.

51 WRIGHT, Resurrección, 430.

52 BORDONI, Gesù di Nazaret, II, 569.

53 Ibidem, III, 591.

54 Cfr. Ro 4,25. Si veda anche: S. TOMÁS DE AQUINO, Summa Theologiae, III pars, q. 56.

55 Presente con insistenza nei Salmi: «Il Signore è mia luce e mia salvezza: di chi avrò timore? Il Signore è difesadella mia vita: di chi avrò paura?» (27,1). «Solo in Dio riposa l’anima mia: da lui la mia salvezza» (62,2). Altreespressioni simili ricorrono nei libri del Deuteroisaia: «io sono il Signore, tuo Dio, il Santo d’Israele, tuo Salvatore»(43,3).

56 Che l’uomo abbia bisogno di salvezza è ovviamente un presupposto correlativo al Dio Salvatore. Per laScrittura la necessità di salvezza è qualcosa di evidente. Sorge «dall’esperienza comune della fragilità della vita,

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suo amore fedele e misericordioso. Dio benedice Abramo e lo rende padre di una moltitudine

perché lo vuole e, per lo stesso motivo, si ricorda sempre, una volta e un’altra, della sua alleanza

con Abramo, con Isacco, con Giacobbe57. In ultimo, che Dio è un Dio geloso. Egli è fedele e non

viene meno al suo impegno perché ama davvero il suo popolo58. Tutto questo si fonda sulla

memoria dei prodigi che Dio ha compiuto in passato ma anche sulla sua presenza in mezzo al

popolo attraverso il Tempio, e sulla garanzia che, attraverso i sacrifici, Israele può considerarsi

sempre un popolo santo nonostante i peccati e le trasgressioni perché Dio restaura sempre il suo

patto59. Un altro presupposto è che il patto è orientato al futuro: dal futuro il popolo si attende di

lasciarsi alle spalle per sempre la reiterata esperienza di insuccessi e umiliazioni, di esilio e di

dominazione straniera che pesa su di esso. Il patto è orientato perciò ad un tempo nuovo, nel quale

tutto cambierà, Dio giustificherà il suo popolo, lo libererà dai nemici, gli concederà prosperità come

mai fu prima. Sarà il tempo del Messia e della restaurazione, quando Egli riverserà il suo Spirito e

riempirà Israele di benessere e di pace.

È proprio il compimento di questo futuro ciò che rilevano innanzitutto gli autori del Nuovo

Testamento. È la prima cosa che dice San Pietro nel discorso di Pentecoste: la promessa si è

realizzata con l’intronizzazione messianica del Risorto e l’invio dello Spirito60. Ciò da una parte

conferma tutto il quadro precedente del Dio dell’Alleanza61, ma d’altra parte pone il problema se la

promessa non si sia realizzata in un modo imprevedibile, in opposizione alle attese, perché

apparentemente la storia continua ad essere soggetta a calamità. La soteriologia del Nuovo

Testamento gira attorno a questo punto centrale: spiegare il fatto, percepito nella fede pasquale, che

la vita e la storia di Gesù culminata nella Pasqua, corrisponde profondamente, e sviluppa in modo

costantemente minacciata da un’interminabile sequenza di rischi –malattia, dolore, raccolti persi, fame, inondazioni,eserciti nemici, ingiustizia, oppressioni, errori umani, usura, incidenti, vecchiaia e molto altro–. Il termine salvezzaraccoglie in sé l’aiuto necessario, il riscatto atteso, ecc., in definitiva la condizione di uno che è sopravvissuto a tutti ipericoli e ha raggiunto una posizione che è al di sopra di essi: la posizione di chi è stato salvato». J. D. G. DUNN, NewTestament Theology. An Introduction, Abingdon Press, Nashville (TN) 2009, 71.

57 Cfr. Gn 12,1-3; Ex 2,24; 6,4-5.

58 «Rendete grazie al Signore perché è buono, perché il suo amore è per sempre» dice il Salmo 117,1.

59 Cfr. DUNN, New Testament, 78-79.

60 Cfr. At 2,14ss.

61 Tanto che San Paolo può dire ai giudei di Roma: «è a causa della speranza di Israele che io sono legato daquesta catena» (At 28,20).

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nuovo e impensabile, l’immagine di Dio Salvatore. Spiegare che la sua vita realizza e compie la

salvezza promessa e cominciata dallo stesso Dio, con la scelta dei Padri e ancor prima62.

Le promesse di Dio si sono realizzate in Cristo. Gli autori del Nuovo Testamento considerano

fondamentalmente «ciò che Dio ha realizzato per noi nella vita, morte e risurrezione di Gesù Cristo,

la rimozione di tutti gli ostacoli che si frapponevano tra Dio e noi e il dono che ci fa partecipi della

sua Vita»63. Questa sintesi, così corretta, è però forse prematura; per giungervi, bisogna risolvere

prima due questioni di fondo presenti in essa: quella del Mediatore e quella della mediazione: del

ruolo cioè che Cristo ha avuto nella salvezza e del linguaggio appropriato ad esprimere la sua

mediazione salvifica.

a) Mediatore della salvezza

Che Gesù sia il mediatore della salvezza è un’affermazione chiave del Nuovo Testamento: con

Lui giunge la salvezza. Tracciare però le linee dello sviluppo di questa mediazione, e del suo

significato nel Nuovo Testamento, è un compito più complesso. Dietro ogni modo di

concettualizzare la mediazione di Cristo, soggiacciono vari fattori: quelli relativi al tipo di scritto

cui si fa riferimento; quelli relativi all’ambiente nel quale esso viene prodotto; quelli riferiti al grado

di sviluppo della cristologia, con la maggiore o minore attesa di un suo pronto ritorno, ecc.

Hultgren, per esempio, distingue quattro tipi principali di mediazione applicata a Cristo nel Nuovo

Testamento64: nei primi due l’attore principale è Dio anche se Cristo è l’agente della redenzione;

mentre negli altri due tipi, al contrario: l’accento cade maggiormente su Cristo, visto come il

protagonista del riscatto dell’umanità e della sua riconciliazione con Dio. I quattro tipi di

mediazione proposti sono: la redenzione compiuta in Cristo65; la redenzione confermata attraverso

Cristo66; la redenzione guadagnata da Cristo67 e la redenzione mediata da Cristo68. Ad ogni modo

62 Cfr. J. WERBICK, Soteriologia, Queriniana, Brescia 1993, 162; M. SERENTHÀ, Gesù Cristo, 152.

63 COMISIÓN TEOLÓGICA INTERNACIONAL, Cuestiones selectas sobre Dios Redentor (1994), [IDEM, Documentos1969-1996, Madrid 1998, 499-500].

64 HULTGREN, Christ and His benefits, 41-44.

65 Dio opera la riconciliazione con l’uomo attraverso il mistero pasquale di Cristo. Questa visione si attribuiscesoprattutto alle prime lettere di San Paolo e al vangelo di Marco.

66 La croce e risurrezione di Gesù verranno essenzialmente a confermare il proposito redentivo di Dio,manifestato nelle sue promesse. Questa sarebbe la visione espressa dal vangelo di Matteo e dagli scritti di Luca.

67 Si sottolinea l’azione potente di Cristo per sconfiggere le potenze nemiche e stabilire il suo regno celeste. Lalettera agli Ebrei, le lettere pastorali e alcune della lettere chiamate deuteropaoline, sarebbero i testi che marcano questavisione.

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queste fluttuazioni non vanno interpretate come un tentativo di mettere in campo soteriologie

alternative o concorrenziali69; esse sono piuttosto il segno della difficoltà ad esprimere in modo

sistematico e completo qualcosa di così ricco come è la mediazione di Cristo. Se, come sostiene

Grillmeier, «in nessuno scritto del Nuovo Testamento esiste una sistematizzazione della realtà

salvifica»70, ciò avverrebbe a causa di un “eccesso di realtà”: l’opera di Cristo non può essere

affrontata se non da prospettive molteplici e plurali. È comunque chiara la constatazione comune a

tutte le prospettive: «l’amore di Dio, la giustificazione di Dio, la ricchezza e benedizione di Dio

sono offerte all’uomo (in Cristo) affinché, accogliendole, esso divenga giusto, ricco, santo e

compiuto, della ricchezza, santità, giustizia e vita di Dio»71; ma al momento di declinare tale

affermazione un unico linguaggio risulta insufficiente72. Questo è il motivo per cui si accumulano le

“categorie”, dal frequente tenore metaforico73, e si parla di: salvezza, redenzione e riscatto,

liberazione giustificazione, consegna per i peccati, perdono e purificazione, riconciliazione,

vivificazione, adozione filiale, espiazione, sacrificio e propiziazione, pacificazione, cambiamento di

regno, e altre ancora74. Senza dimenticare che, quando le parole terminano con –zione solitamente

valgono sia nella forma dei verbi sia in quella dei sostantivi. Nella Scrittura, parole come

redenzione, riconciliazione, possono riferirsi al processo di essere redenti, riconciliati, o al risultato

68 Cristo è la Parola del Padre nella quale ci vengono date tutte le cose, e particolarmente la vita eterna. Il corpusIoanneum sarebbe il principale latore di questa impostazione.

69 Da questo punto di vista convince poco lo studio di Hultgren, che appare condizionato da alcuni presuppostitipici della New Quest. Egli tende a sottolineare gli aspetti redazionali e in genere ad esagerare sulla differenza dellafisionomia tra gli scritti, forse con il proposito di stabilire, come normativo per la fede di oggi, una sorta di minimocomun denominatore del contenuto dei diversi scritti. Cfr. Christ and His benefits, 179. A ragione, I. H. Marshall necritica questo aspetto (New Testament Theology. Many Witnesses, One Gospel, Inter-Varsity Press, Downers Grove (IL)2004, 727-730).

70 A. GRILLMEIER, La afirmación bíblica sobre el efecto de la acción salvífica de Dios en Cristo, in J. FEINER - M.LÖHRER (eds.), Mysterium Salutis, III/2, Cristiandad, Madrid 1971, 380.

71 GONZÁLEZ DE CARDEDAL, La soteriología contemporánea, 262.

72 Come afferma G. D. Fee, «sebbene le metafore [le categorie soteriologiche bibliche: ndr] diano davveroespressione ad una dimensione della realtà, nessuna di esse è adeguata per dire completamente la realtà», Paul and theMetaphors for Salvation: some Reflections on Pauline Soteriology, in S. T. DAVIS - D. KENDALL - G. O'COLLINS (eds.),The Redemption. An Interdisciplinary Symposium on Christ as Redeemer, Oxford University Press, Oxford 2004, 48.

73 Secondo Sesboüe, queste categorie soteriologiche sono modi per concettualizzare l’evento salvifico narratodalle fonti. «I racconti –afferma il teologo francese– agiscono per quello che sono, sollecitano la nostra libertà (…) èimportante però segnalarne il senso in maniera più speculativa. La funzione della categoria consiste nell’esercitare unpotere di regolamento nel discorso, per assicurarne l’ordine e la coerenza. La categoria però illumina nella misura in cuiè generata dal racconto, dove essa riceve il suo soffio di vita e dove, da parte sua, ricapitola in sé ciò che i raccontiintendevano dire». SESBOÜE, Jesucristo, el único mediador, II, 124.

74 GONZÁLEZ DE CARDEDAL, La soteriología contemporánea, 278.

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dell’azione (lo stato di redento, riconciliato) oppure anche a entrambe le possibilità75. Ciò dà

un’idea dell’ampiezza di ciò cui abbiamo fatto riferimento sopra.

b) La mediazione salvifica: giustizia e sacrificio.

Di tutti i linguaggi, il più utilizzato è quello della salvezza, anche se forse quello della

redenzione è più in uso nella teologia76. Quest’ultimo accentua, più del primo, l’aspetto di

liberazione presente nell’opera di Cristo. Mentre redenzione appunta più al passato, all’evento di

salvezza, all’obiettività di ciò che fece Cristo, la categoria della salvezza si riferisce più al presente

e al futuro ed evoca maggiormente l’aspetto soggettivo. Entrambi i termini, però, godono di certa

flessibilità. Altri linguaggi invece, come quello del sacrificio o dell’espiazione hanno un campo

semantico chiaramente più ristretto giacché si riferiscono al modo/mezzo della redenzione o della

salvezza77.

Nell’ordine della mediazione, dunque, due questioni sembrano avere la priorità sulle altre:

quella del significato di “giustizia di Dio” nella sua azione di salvezza, e la sua caratterizzazione in

termini di “sacrificio, propiziazione ed espiazione”.

a) Quando nell’Antico Testamento ci si riferisce alla giustizia di Dio, ci si muove in un ambito

che comprende tanto la norma giuridica come il rapporto personale78. Nel senso più immediato, la

giustizia è conformità alla norma e per tanto chi si predispone ad essa è giusto. Siccome la Legge è

la norma per eccellenza di Israele, il giusto è colui che la compie, o ancor meglio, colui che vive di

essa. Il concetto veterotestamentario di giustizia non si esaurisce però in questo. È giusto anche

colui che adempie agli obblighi che discendono da una relazione: il re è giusto quando compie i

suoi doveri verso i sudditi, il giudice quando amministra correttamente la giustizia ai ricchi come ai

poveri; collocata in questo ambito relazionale si trova l’espressione “giustizia di Dio”79. Dio è

75 G. O'COLLINS, Jesus Our Redimer. A Christian Approach to Salvation, Oxford University Press, New York2004, 3.

76 I vocaboli «salvezza e redenzione possono spesso servire come equivalenti nei testi biblici, liturgici e teologici,ma il significato del primo appare più ricco e più ampio, specialmente nei contesti nei quali sono implicati il progetto, ilcarattere e l’immagine di Dio (e del Figlio di Dio)». Ibidem, 10.

77 Cfr. G. O'COLLINS, Redemption: Some Crucial Issues, in S. T. DAVIS - D. KENDALL - G. O'COLLINS (eds.), TheRedemption, 5, nota 4.

78 Cfr. B. JOHNSON, Sādaq, in G. W. ANDERSON, et al. (eds.), Grande lessico dell'Antico Testamento, Paideia,Brescia 2007, cols. 516-539 (spec. 516-518).

79 Cfr. DUNN, New Testament, 77-78.

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giusto perché è garante del bene del popolo eletto. Da qui il concetto assume la connotazione

soteriologica. È chiaro infatti che, sulla base dell’impegno assunto con Israele, sarà proprio della

giustizia di Dio rialzare i suoi, dar loro riparo e sostenerli nella loro comunione con Lui. Così per

esempio il salmista prega: «Signore ascolta la mia preghiera! Per la tua fedeltà, porgi l’orecchio alle

mie suppliche e per la tua giustizia rispondimi» (Sal 143,1), che equivale a dire “per la tua

benevolenza” o “per lealtà riguardo alle tue promesse”. In questa prospettiva, dunque, l’intervento

salvifico e liberatore di Dio non esce dall’ambito della sua giustizia, ma piuttosto la manifesta. La

giustizia di Dio è perciò strettamente legata alla sua fedeltà a se stesso, alla sua misericordia e alla

stabilità del suo amore.

Nel Nuovo Testamento l’espressione “giustizia di Dio” è fondamentalmente paolina80. Quando

San Paolo la usa non si riferisce al giusto giudizio con il quale Dio castiga il malvagio, ma –in linea

con l’Antico Testamento– intende la sua giustizia portatrice di salvezza, cioè l’azione potente di

Dio che opera la salvezza predeterminata da lui stesso81. L’espressione dice relazione a Dio Padre,

non a Cristo; in cambio la giustizia si realizza e si rivela in Cristo, cosicché Cristo stesso è la

giustizia che Dio ci fa82. Anche se potrebbe sembrare ovvio, giova notare la direzione discendente

di questo approccio: «non è stato Cristo a cambiare un (presunto: ndr) giudizio divino di condanna

con uno di giustificazione. Piuttosto, la morte di Cristo si qualifica come l’atto salvifico che

proviene dalla giustizia manifestata fin dal principio dal Dio Unico nei riguardi di Israele»83. Cristo,

giustizia di Dio, rivela e dispiega definitivamente la fedeltà di Dio alla sua creazione e al suo

popolo e lo fa con la sua morte e risurrezione84. Si tratta pure di una giustizia dall’incidenza

antropologica, che non elude l’umano né prescinde dall’uomo ma che cambia e trasforma l’uomo.

80 Cfr. A. PITTA, Il vangelo paolino e la giustizia, in AA.VV., Giustizia e giustificazione nella Bibbia, Borla,Roma 2001, 171-173.

81 Cfr. Rm 1,16, dove S. Paolo parla del vangelo come «potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede», e diseguito dice che il vangelo rivela la giustizia di Dio. Il concetto di “giustizia di Dio” in S. Paolo si può affrontare apartire dalle seguenti opere: J. D. G. DUNN, The Theology of Paul the Apostle, W.B. Eerdmans, Grand Rapids (MI);Cambridge 1998, 340-346; K. L. ONESTI - M. T. BRAUCH, Righteousness, Righteousness of God en G.F. HAWTHORNE -R.P. MARTIN -D.G. REID (eds.), en Dictionary of Paul and His Letters, Intervarsity Press, Leicester 1993, 827-837; K.KERTELGE, “Giustificazione” in Paolo. Studi sulla struttura e sul significato del concetto paolino di giustificazione,Paideia, Brescia 1991, 83-130; A. PITTA, Il vangelo paolino, 170-207; J.-N. ALETTI, Comment Dieu est-il juste? Clefspour interpréter l'épître aux Romains, Seuil, Paris 1991.

82 Cfr. 1Cor 1,30.

83 DUNN, Theology of Paul, 718. Cfr. anche PITTA, Il vangelo paolino, 179-180.

84 DUNN, Theology of Paul, 724. Diremo qualcosa più avanti riguardo a questa relazione tra la giustizia di Dio e lapasqua di Cristo; si tratta di un tema centrale, anche se ostico, della soteriologia paolina.

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Indipendentemente da come si debba intendere l’idea della “giustificazione per la fede”85, è chiaro

che nella teologia paolina non la si può isolare né dalla santificazione né dalla glorificazione,

termini riferiti all’operare di Dio nel giustificato. Neppure “giustizia di Dio” sostituisce gli altri

linguaggi di grande portata come quello dell’essere “nuova creatura” e dell’essere “in Cristo

Gesù”86 o dell’inabitazione dello Spirito Santo nel credente. Soltanto se prese nella loro

complementarietà queste espressioni ci danno il significato paolino della salvezza in Cristo87. Se lo

stesso cristiano arriva ad essere “giustizia di Dio”88 è perché nel suo essere e nella sua vita si fa in

qualche modo presente ciò che Dio ha operato a suo favore. Se l’uomo è «partner del Dio della

Alleanza, difficilmente smetterà di essere trasformato da una relazione vitale con il Dio che dà la

vita»89. Inoltre, anche se l’uomo si appropria della giustizia di Dio in virtù della fede e non delle

opere, la sua giustificazione non prescinde dalle opere, giacché si colloca nel quadro del giudizio

della parusia, vale a dire del giorno della «rivelazione del giusto giudizio di Dio, il quale darà a

ciascuno secondo le sue opere» (Rm 2,5)90. Le opere, illuminate e realizzate nella fede, hanno

anch’esse un ruolo decisivo nel processo di salvezza.

b) Al momento di spiegare come la giustizia salvifica di Dio si misura con la storia, il Nuovo

Testamento ricorre soprattutto al linguaggio sacrificale91. Abbiamo già avuto modo di considerare

85 Cfr. N. T. WRIGHT, Redemption from the New Perspective? Towards a Multi-Layered Pauline Theology of the

tradizionale, la giustificazione ha soprattutto un valore dichiarativo (di assenza di condanna, di non imputazione, ecc.)mentre la tradizione cattolica accentua più l’aspetto performativo (l’azione di essere colmato dalla giustizia –grazia–che viene da Dio).

86 «Essere “in Cristo” significa appartenere alla nuova creazione: il vecchio è passato, è giunto il nuovo. Questopunto di vista radicale del nuovo ordine –vita risuscitata, marcata dalla croce– è nel nucleo di tutto ciò che Paolo pensae fa» FEE, Paul and the Metaphors, in S. T. DAVIS - D. KENDALL - G. O'COLLINS, The Redemption, 47.

87 Parlando di come San Paolo concepisce la salvezza cristiana, G. D. Fee dice: «Ciò che questo può significareper chi si unisce al popolo di Dio attraverso la fede in Cristo, San Paolo lo esprime con una varietà di metafore, nessunadelle quali esaurisce la totalità [del significato, ndr] anche se ciascuna è partecipe dell’intero». Paul and the Metaphorsin S. T. DAVIS - D. KENDALL - G. O'COLLINS, The Redemption, 67. Y, e prima: «quasi sempre la metafora che sceglie S.Paolo è in funzione dell’aspetto della peccaminosità umana che ha davanti agli occhi. Gli schiavi del peccato (e dellalegge) sono “redenti”; i nemici di Dio sono “riconciliati”; i trasgressori della legge sono “giustificati”». Ibidem, 51.

88 Cfr. 2Cor 5,21.

89 DUNN, The Theology of Paul, 344.

90 Cfr. WRIGHT, Redemption from, S. T. DAVIS - D. KENDALL - G. O'COLLINS (eds.), The Redemption, 95. Qui lateologia paolina si intreccia pienamente con le affermazioni dei vangeli sul giudizio finale.

91 «Il Nuovo Testamento parla della morte di Cristo sotto diverse forme, che includono il destino dei profeti, lamorte del martire (Rm 5,6-8), la giustificazione del Giusto sofferente, il prezzo della redenzione dello schiavo, l’atto diriconciliazione, la vittoria sulle potenze ostili del male e la conquista del potere della morte. L’immagine però più usataè quella del sacrificio». DUNN, New Testament, 88.

Cross, S. T. DAVIS - D. KENDALL - G. O'COLLINS (eds.), The Redemption, 93-95. È notorio che per la visione protestante

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che tale linguaggio ha la sua origine in Gesù, perciò non risulta strano che in qualche modo abbia

avuto una certa risonanza in tutti gli scritti del Nuovo Testamento92. Non è semplice però

determinare il significato preciso del vocabolario sacrificale. In generale la morte-glorificazione di

Gesù porta a pienezza il sistema sacrificale giudaico, ma siccome quest’ultimo comprende vari tipi

di sacrifici, con differenti finalità e importanza93, l’idea generale finisce per dar luogo ad una

pluralità di immagini dal contenuto diverso94. I poli principali sono però senza dubbio due: la

pasqua giudaica, che evoca le categorie della liberazione-redenzione e dell’alleanza, e i sacrifici

espiatori (in particolare il rito del Giorno dell’Espiazione), o elementi relazionati all’espiazione

come il rito Propiziatorio. Di tutte queste immagini, la più importante, e anche la più delicata, è

quella del sacrificio di espiazione, o del sacrificio per i nostri peccati, sulla quale ora mi detengo

brevemente.

Nell’Antico Testamento, i sacrifici per il peccato hanno la funzione di rimediare alle colpe di

Israele riguardo all’osservanza della Legge, in modo che i peccati e le trasgressioni non

impediscano l’accesso a Dio, né originino la rottura del Patto. Sono soprattutto i sacrifici per il

peccato (Lv 4-5) e il rito annuale del Giorno dell’Espiazione (Lv 16). Per intenderne i modi e le

funzioni95 bisogna collocarsi nella prospettiva del rispetto per la santità di Dio e della condizione di

92 C’è una controversia sulla portata e il significato del linguaggio sacrificale nel Nuovo Testamento. Autoripostbultmanniani come E. Käsemann o F. Hahn vi attribuiscono scarsa importanza. Ponendosi su una linea analoga I.U. Dalferth afferma: «il linguaggio sacrificale è soltanto uno dei filoni, non il più importante, nella pluralità dei terminie simboli che il Nuovo Testamento usa per esprimere l’esperienza di salvezza». Christ Died for Us: Reflections on theSacrificial Language of Salvation., en S. W. SYKES (dir.), Sacrifice and Redemption. Durham Essays in Theology,Cambridge University Press, Cambridge 1991, 309. La maggior parte degli esegeti, però, constata che l’immagine piùlargamente utilizzata nel Nuovo Testamento per rappresentare il valore della morte di Cristo è quella del sacrificio (Cfr.nota precedente). Come osserva G. Paximadi: «sono molti i testi del Nuovo Testamento che attribuiscono un valoresacrificale alla morte di Cristo». I sacrifici nell'Antico Testamento e il sacrificio di Cristo, «Rivista Teologica diLugano» 11,2 (2006), 313.

93 Una spiegazione dei diversi tipi di sacrificio (con bibliografia) si può trovare in G. A. ANDERSON, Sacrifice andSacrificial Offerings (OT), in A. B. BECK - D. N. FREEDMAN - G. A. HERION, The Anchor Bible Dictionary, V,Doubleday and Co., New York etc. 1992, 870-886. Utili anche, G. PAXIMADI, I sacrifici nell’Antico, 291-315, e l’operaclassica di R. DE VAUX, Les sacrifices de l'Ancien Testament, J. Gabalda et C.ie, Paris 1964.

94 G. Paximadi nota che il Nuovo Testamento riferisce la morte di Cristo tanto alle forme levitiche del sacrificio(l’olocausto, il sacrificio di comunione, il sacrificio per il peccato ecc.) come ad altre non levitiche (il sacrificiodell’Alleanza, il sacrificio di Isacco, ecc.) I sacrifici nell’Antico, 313.

95 Si discute sul senso di questi riti: se siano soltanto di purificazione (dell’altare e del santuario) o se si offronoper il perdono dei peccati individuali e del popolo. Con Bell pensiamo che questa seconda interpretazione, condivisa daalcuni esegeti di Tubinga, annovera maggiori motivazioni a suo favore. È inoltre espressamente indicata dai testi delLevitico che menzionano il peccato e il perdono (si vedano per esempio Lv 4,10.26.31.35). Una disanima delle dueposizioni in R. H. BELL, Sacrifice and Christology in Paul, «Journal of Theological Studies» 53 (2002), 1-5 e in G. A.ANDERSON, Sacrifice and Sacrificial, 879-880. L’opera di S. LYONNET - L. SABOURIN, Sin, Redemption, and Sacrifice.A Biblical and Patristic Study, Biblical Institute Press, Rome 1970, riassume gli studi di autori come A. Feuillet, L.Moraldi e altri che si orientano a concepire l’espiazione in termini di “purificazione”. Un sintetico status quaestionis deltema si trova in G. MOIOLI, Cristologia. Proposta sistematica, Glossa, Milano 1989, 154-158.

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fragilità, peccato e impurità del popolo e dei suoi componenti. Un’intromissione dell’uomo nella

sfera divina è una specie di violazione della santità di Dio, e porta con sé la morte. Certamente

l’uomo non può contaminare Dio con la sua impurità, però, siccome Israele ha una fede salda nella

presenza del Signore in mezzo al suo popolo e specialmente nel suo Tempio, sono di fatto possibili

le profanazioni. Contaminare il Santuario con la propria impurità è un’offesa alla presenza divina;

esporre il Santo alla massa dei peccati è un’istigazione alla sua giusta ira96. I riti di espiazione

hanno perciò la funzione di neutralizzare questo problema. La vittima del sacrificio espiatorio

rappresenta in qualche modo la colpa del peccatore. Con l’imposizione della mano l’offerente lo

costituisce rappresentante della sua peccaminosità (o del peccato del popolo), del suo “io peccatore”

(o delle colpe di Israele). Nell’animale si offre a Dio la propria vita e si riconosce la propria

indegnità. L’immolazione della vittima però è solo un prolegomeno, è il modo per avere il sangue

che è l’elemento principale dell’espiazione97. L’espiazione risiede nel sangue98. Il sangue è latore di

vita, appartiene alla sfera divina e per questo è capace di dissipare la sporcizia del peccato e rendere

possibile il contatto con Dio99. In questo senso placa, o acquieta, la sua ira per i peccati e le

inavvertenze. Per mezzo del sangue l’offerente si inserisce nell’ambito della sacralità divina, si

abilita nuovamente alla relazione e alla comunione con Dio. Resta beninteso che, in tutto ciò,

l’azione dell’uomo è secondaria: l’espiazione è un dono di Dio, che attraverso la vita presente nel

sangue, dà all’uomo una via di purificazione e un modo di riabilitare la sua condizione di alleato, in

modo che Dio possa mantenere il suo patto, purificandolo, perdonandolo e ristabilendo il popolo

nella comunione.

Alcuni testi del Nuovo Testamento evocano in un modo o nell’altro questo insieme di idee100.

Sono ben noti i capitoli della lettera agli Ebrei che si riferiscono alle cerimonie del Giorno

96 È questo il contesto nel quale si trova meglio collocato il tema dell’ira di Dio: si tratta dell’ira di chi èostacolato nella sua volontà e azione di salvezza a causa dei peccati e degli sbagli; l’ira di chi non può abitare presso isuoi perché si sono riempiti di immondezze.

97 H. GESE, L'espiazione, in IDEM, Sulla teologia biblica, Paideia, Brescia 1989, 118. L’aspetto decisivo del cultoespiatorio «non è il semplice fatto di immolare, né l’annichilimento, ma l’offerta della vita a colui che è sacro, e alcontempo l’incorporazione alla sacralità attraverso il contatto con il sangue». Ibidem, 119. Cfr. anche J. WERBICK,Soteriologia, 293-297.

98 «Poiché la vita della carne è nel sangue . Perciò vi ho concesso di porlo sull’altare in espiazione per le vostrevite» (Lv 17,11).

99 Secondo la Lettera agli Ebrei, Cristo entrò con il proprio sangue nel vero santuario. Si presentò a Dio munitodel proprio sangue, capace di purificare le opere di morte. Cfr. Eb 9,11-14.

100 Anche se, come abbiamo già notato, la dottrina del Nuovo Testamento non si limita alle categorie sacrificaliper intendere l’efficacia salvifica della Pasqua, ma si estende a molte altre; neppure quando usa il vocabolariosacrificale si limita soltanto a quello dell’espiazione: in Ef 5,2, per esempio, S. Paolo usa un’immagine legata

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dell’Espiazione, e che vedono questi riti come prefigurazioni di ciò che in Cristo si sarebbe

compiuto una volta per sempre101. Anche la prima lettera di Giovanni parla di Gesù costituito

«come vittima di espiazione per i nostri peccati» (1Gv 4,10), e vede in ciò la manifestazione

dell’amore di Dio. San Paolo, da parte sua, dice che Dio ha prestabilito Cristo come «come

strumento di propiziazione (hilastērion) nel proprio sangue» (Rm 3,25)102. L’Apostolo segue anche

l’usanza ebraica di mettere in Dio il soggetto dell’espiazione103, e di vedere, per tanto, l’obiettivo

dell’atto dell’espiazione nella rimozione del peccato, sia di persona, sia di luogo sacro

(contaminazione)104. San Paolo porta oltre la teologia del sacrificio di Cristo, attraverso il tema

della “condanna del peccato”. «Dio, –dice in Rm 8,3– mandando il proprio Figlio in una carne

simile a quella del peccato e in vista del peccato, ha condannato il peccato nella carne»: vale a dire,

Cristo prese la carne sofferente per poter cancellare in essa il peccato. L’Apostolo allude

implicitamente al sacrificio espiatorio nel quale la vittima rappresentava in qualche modo il

peccatore e l’immolazione sacrificale rimuoveva il peccato105; in modo analogo, Cristo ci

rappresenta dinnanzi al peccato, lo rimuove con la sua morte e per questo noi otteniamo la

giustizia106. La stessa idea è presente in 2Cor 5,21: «Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo

trattò da peccato in favore nostro, perché noi potessimo diventare per mezzo di lui giustizia di Dio».

Qui il riferimento all’innocenza di Cristo (“non aveva conosciuto peccato”) allude all’insistenza

cultuale per la quale la vittima del sacrificio doveva essere pura e senza macchia, e potesse così

all’olocausto (nel quale la vittima veniva bruciata) e dice che «ha dato se stesso per noi, offrendosi a Dio in sacrificio disoave odore».

101 Soprattutto in Eb 8,1-10-31. Sul contesto e la struttura di questi capitoli si veda A. VANHOYE, La Lettre auxhebreux. Jesus-Christ, mediateur d'une nouvelle alliance, Desclee, Paris 2002, 109-113.

102 Hilastērion si riferisce al Propiziatorio, che era il luogo dove, nel Giorno dell’Espiazione, si versava il sangueper espiare per il santuario e per tutta l’assemblea di Israele (cfr. Lv 16,16-17).

103 A differenza di quanto accade nel mondo greco, dove la divinità è l’oggetto dell’espiazione e può essere“propiziata” o “placata”.

104 Cfr. DUNN, Theology of Paul, 214.

105 La considerazione dei testi che stiamo citando secondo la prospettiva sacrificale è quella più frequente nellatradizione esegetica. S. Agostino, per esempio, di 2Cor 5,21 scriveva: «Deus fecit Christum “peccatum”, id estsacrificium pro peccato (vel pro peccatis)» Carta 140, 73: Obras de S. Agustín (edición bilingüe), t. IXa: Cartas 124-187, BAC, Madrid 1986, 222. J.-N. Aletti non assume questa opinione e preferisce intendere l’espressione “lo fecepeccato” come una metonimia (dell’effetto per la causa). Bisognerebbe allora tradurre: «lo identificò con gli effetti delpeccato» (God Made Christ to Be Sin (2Corinthians 5, 21): Reflexions on a Pauline Paradox, en S. T. DAVIS - D.KENDALL - G. O'COLLINS (eds.), The Redemption, 118. Forse le due opzioni non vanno contrapposte: come abbiamomostrato, nel sacrificio di espiazione si dà una certa identificazione tra la vittima e gli effetti mortali del peccato.

106 Di fatto il testo continua menzionando la giustizia in relazione ai beneficiari della morte di Cristo: «perché lagiustizia della Legge fosse compiuta in noi…» (Rm 8,4).

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rappresentare il peccatore. In questo quadro di riferimento si colloca il tema di Cristo nuovo

Adamo107, che viene a introdurre la grazia nel mondo in analogia a come Adamo introdusse nel

mondo il peccato. Per questo prese la carne di peccato e per questo fu fatto peccato, cioè Dio pose

su di Lui l’“io peccatore” dell’umanità, affinché attraverso il suo sangue potessimo anche noi

arrivare ad essere giustizia di Dio.

In queste brevi frasi, San Paolo non ci dà una spiegazione completa (non si riferisce al motivo

ultimo della via scelta da Dio) ma lascia intravedere con chiarezza il suo pensiero, che non può

essere rinchiuso in uno schema “rappresentativo” né in uno schema “sostitutivo”. L’idea di Paolo è

quella dello “scambio108 o della capitalità: nel piano di Dio formiamo una sola cosa con Cristo109 e

per questo Egli prese su di sé la nostra morte affinché noi potessimo raggiungere la giustizia, come

indica chiaramente nella lettera ai Romani: «il nostro uomo vecchio è stato crocifisso con lui,

perché fosse distrutto il corpo del peccato, e noi non fossimo più schiavi del peccato. 11Così anche

voi consideratevi morti al peccato, ma viventi per Dio, in Cristo Gesù» (Rm 6, 6-11). San Paolo

sembra pensare in questo modo: Dio Padre ha imposto la mano su Cristo, cioè lo ha costituito

vittima di espiazione consegnandolo ai peccatori, i quali hanno dato corso alla logica del peccato

che è logica di morte. In questo senso Dio lo ha fatto “peccato per noi”, ha “condannato il peccato

nella sua carne” come si faceva con la vittima del sacrificio, al fine di eliminare il peccato. Non si

può accedere a Dio rimanendo nella condizione del peccato, vivendo sotto il “dominio della carne”.

Ma in Cristo non c’è solo la materialità del nostro “corpo di peccato”, c’è pure la sua fedeltà, la sua

obbedienza, che sono il mezzo usato da Dio per eliminare il peccato. Il sangue (il dono della vita) di

Cristo sopprime il dominio del peccato110 e riversa sul mondo la nuova vita dello Spirito. Per la fede

e il battesimo, il cristiano muore anche al peccato e riceve il pieno accesso a Dio, ottiene di essere

nuova creatura in Cristo e possiede la primizia della risurrezione futura.

107 Sviluppato specialmente in Rm 5 e in 2Cor 5,14: «L’amore del Cristo infatti ci possiede; e noi sappiamo beneche uno è morto per tutti, dunque tutti sono morti».

108 «L’insegnamento di Paolo non è che Cristo morì “al posto” di altri, così che questi non passassero attraversola morte (come richiede la logica della “sostituzione”). Piuttosto, Cristo, condividendo la loro morte, li fa capaci dicondividere la sua propria morte» DUNN, Theology of Paul, 223.

109 S. Paolo radica la relazione di Cristo con gli uomini in definitiva nella sapienza eterna di Dio, che haprogettato il piano della creazione e della salvezza (cfr. 1 Cor 2,7; Ro 8,29-30; Ef 1,3-12; ecc.) e nel quale Cristo èCapo e nuovo Adamo (cfr. 1Cor 11,3; 15,22.45; Ro 5,14; Ef 1,10; ecc.).

110 Dio ha costituito Cristo come «giustizia, santificazione e redenzione»: 1Cor 1,30.

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1

II. Revisione del contenuto

In questa seconda sezione presenteremo i contenuti della teologia della redenzione. La nostra

attenzione si concentrerà sui temi e dibattiti che hanno interessato lo studio dei teologi. Quali aspetti

sono emersi nel discorso soteriologico degli ultimi decenni? Quali sono gli aspetti di interesse per la

“disciplina” soteriologica? Il compito di rispondere a queste domande trova difficoltà in ciò che

abbiamo segnalato all'inizio, ovvero, una certa “dispersione” della soteriologia contemporanea e la

mancanza di unità nelle proposte e nei modi di pensare. Vi sono, in ogni caso, elementi di

unificazione su cui ora rifletteremo come la tendenza a vedere i problemi dal punto di vista del

progetto di Dio, l'assunzione di una idea di Rivelazione con una forte risonanza soteriologica1, e

altri ancora.

I. La questione dell’“orizzonte” e dell'unità della soteriologia

Nel clima di cambiamento e di incertezza che seguì il Concilio Vaticano II, M.-J. Le Guillou

invocava «un rinnovamento della capacità di comprensione (intelligenza) cristiana, che fosse in

grado di rendere manifesto, in maniera sempre più approfondita, il mistero cristiano»2. E definiva

l'oggetto del mistero in questi termini: «È, in realtà, il Dio vivente che nella sua Parola si rivela:

Lui stesso e il piano da Lui concepito liberamente di creare, adottare e salvare l'umanità nel suo

Figlio»3. Secondo il domenicano francese questo deve essere ritenuto il punto centrale di tutto il

lavoro teologico. Tale esigenza di adottare la prospettiva del progetto di Dio, per poter prendere in

considerazione i vari elementi teologici in modo unitario e integrato, è una delle caratteristiche

principali della teologia contemporanea. Quindi il discorso soteriologico è posto in continuo

riferimento a Dio, alla Rivelazione, all'uomo, alla Chiesa, alle realtà ultime e in particolare a Gesù

Cristo. Ci si propone così un progetto ambizioso che cerca di evitare il rischio di unilateralismo (che

ha avuto chiari esempi nella teologia della liberazione, nella soteriologia “femminista”, ecc.). Esso

cerca di pensare la soteriologia dal “centro”, dall'unità del mistero4, che conduce, a sua volta, ad

1 Questa nozione «esperimenta una trasformazione: da essere intesa fondamentale e quasi esclusivamente come

insieme di verità dottrinali, a comprendersi a partire da una prospettiva più storica, dinamica, cristologica, personale e

trinitaria» Á. CORDOVILLA PÉREZ, El ejercicio de la teología. Introducción al pensar teológico y a sus principales

figuras, Sígueme, Salamanca 2007, 63.

2 M.-J. LE GUILLOU, El misterio del Padre. Fe de los apóstoles, gnosis actuales, Encuentro, Madrid 1998, 36-37.

3 Ibidem, 41.

4 Ibidem, 102-105.

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2

inquadrarlo all'interno dell'unità: a) tra la creazione, la redenzione e l’escatologia; b) tra la

rivelazione e la salvezza; c) tra i “benefici della salvezza” e le “aspirazioni umane”.

a) Soteriologia e unità del piano divino

La soteriologia contemporanea ha cercato una migliore integrazione tra l’ordine della creazione

e l'ordine della chiamata a diventare figli di Dio5. C’è stata una certa frattura nell’esposizione

dogmatica degli ultimi secoli, che può essere attribuita al modo di comprendere la creazione.

Nell’orizzonte di una visione del mondo basata sulla scienza greca e araba, la cosmologia si

esprimeva in termini di “gerarchia” ed in una visione piuttosto “statica”. «Il mondo è stato

concepito come perfettamente ordinato (ordinata collectio creaturarum) e prestabilito, al punto che

l'uomo lo può solo ammirare e penetrare con la conoscenza (theoreîn). In questo modo il creato si

pensava come qualcosa di già compiuto all'inizio del tempo e dove risiedeva la perfezione totale

delle cose»6. In questo contesto, il tempo storico era soprattutto un tempo di “conservazione” e di

perdita della perfezione originale, ma anche di possibile “recupero” di ciò che si è perduto. L'opera

redentrice da questo punto di vista, era collegata solo con il peccato, ed è venuta a coincidere più o

meno, con un ristabilimento dell'ordine turbato. Ciò che la redenzione apporta si misura in rapporto

al passato, alle origini paradisiache che si erano perse7. La nostra epoca tende a considerare la realtà

creata in modo diverso: non come qualcosa di precostituito in maniera perfetta e originaria, ma

piuttosto come una realtà dinamica chiamata ad un progresso e ad una perfezione. «Essendo opera

di Dio, non si deve pensare la creazione come un evento che ha avuto luogo soltanto all'inizio del

tempo, che si estende nella storia attraverso “un atto di conservazione” e che eventualmente sarà

riportata all’ordine originario. L’opera di Dio è attiva, e dispiegandosi, fin dall'inizio, ripercorre la

storia conducendo il mondo alla sua perfezione finale, in cui si compiono le intenzioni creatrici di

5 Quest’istanza è presente anche in altre aree della teologia; come, per esempio, nell’antropologia nel tema della

“creazione in Cristo”: cfr. G. COLOMBO, La teologia della creazione nel XX secolo, in R. VAN DER GUTCH- H.

VORGRIMLER, Bilancio della teologia del XX secolo, Città Nuova, Roma 1972, 44-66; A. CORDOVILLA, La creación en

Cristo en la teología de K. Rahner y H.U. von Balthasar, PUG, Roma 2002; J. L. MARTÍNEZ CAMINO, “Through Whom

of Thing Were Made”: Creation in Christ, «Communio» 28 (2001), 214-229; F. MUSSNER, Creación en Cristo, IN J.

FEINER - M. LÖHRER (dir.), Mysterium Salutis, II/1, Cristiandad, Madrid 1969, 505-513; J. L. RUIZ DE LA PEÑA,

Creación, gracia, salvación, Sal Terrae, Santander 1993; S. VERGÉS, El hombre creado en Cristo, Ediciones

Secretariado Trinitario, Salamanca 1975. Un lavoro di ampio respiro sull’unità tra creazione ed alleanza (salvezza) si

trova in S. SANZ SÁNCHEZ, La relación entre creación y alianza en la teología contemporánea. Status quaestionis y

reflexiones filosófico-teológicas, EDUSC, Romae 2003.

6 BORDONI, Gesù di Nazaret, III, 728.

7 Ibidem.

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3

Dio»8. Questa visione dinamica del mondo, mostra con maggiore efficacia la trascendenza e la forte

enfasi escatologica attribuita alla storia nel pensiero biblico. Inoltre permette di radunare in unità i

tre grandi momenti del piano di Dio (la creazione, la redenzione, la consumazione) ed esprimere

cone maggiore profondità il ruolo e il posto di Cristo nel disegno di Dio, come perno attorno al

quale tutto ruota, fondamento di unità e coerenza del disegno del Padre9.

Cioè, se si pensa la creazione come momento fondatore e primo di un progetto destinato a

svilupparsi, e si riflettere alla luce della rivelazione su questo progetto, si è anche in grado di

percepire la chiave di esso, che è Gesù Cristo. Il secondo momento, la redenzione, sarà in una certa

misura uno sviluppo del primo: la trama nella quale, attraverso il peccato, emerge pienamente la

novità di Cristo. Certamente questa seconda creazione non è implicata nella prima, ma appartiene

ugualmente al progetto divino, libero e gratuito; c’è tuttavia uno stretto rapporto tra i due momenti

poiché la prima creazione è rivolta alla seconda e alla sua consumazione escatologica. In questo

modo «è sempre più chiaro che tutto comincia in Cristo e tutto in Lui assume valore»10

; non c'è un

prima che preceda Cristo nel piano di Dio e, quindi, le altre realtà teologiche (la stessa creazione,

l’elevazione soprannaturale, il peccato, ecc.) sono in qualche modo subordinate al dono

fondamentale di Gesù Cristo. Questo non è semplicemente accettare la posizione di Scoto,

abbandonando la tomista, perché in realtà, entrambe le posizioni tradizionali, con la loro enfasi

ontologica, orbitano attorno alla grandezza del Dio Uno e alla gloria che egli riceve per il suo

progetto. Invece, l'enfasi della teologia contemporanea nel dono di Gesù Cristo come fondamento

del piano di Dio, nella sua qualifica storica (vale a dire, alla luce della sua incarnazione, vita e

Pasqua) cerca di mettere in evidenza qualcosa di diverso: il movimento di Dio verso di noi, per

rivelarsi e salvarci. Il suo punto finale è la concezione di Dio come amore tri-personale, in cui le

persone divine si donano a vicenda, e sono quindi il fondamento di un progetto focalizzato sulla

manifestazione della purezza e gratuità dell'amore che giunge fino al sacrificio.

Almeno in parte, la soteriologia attuale assume il proprio orientamento sul motivo della venuta

di Gesù Cristo. Vede in essa la manifestazione del mistero di Dio e del Suo amore, che cerca di

8 Ibidem, 729.

9 Si fa riferimento in questo contesto all’originalità del pensiero paolino, che esprime in termini di “creazione” le

prospettive cosmologiche, cristologico-soteriologiche ed escatologiche, e le unifica nella persona e nell’opera di Cristo.

Cfr. R. PENNA, L'idea di creazione in Paolo e nel paolinismo: il ruolo di Cristo per un nuovo concetto di cosmo, di

uomo e di chiesa, en M. V. FABBRI - M. Á. TÁBET (a cura di), EDUSC, Roma 2009, 191-212. Ci riferiamo a quei testi

paolini che presentano Cristo come: l’archetipo, mezzo e fine dell’opera creatrice (p. es. Col 1,15-20); centro

ricapitolatore della realtà (Ef, 1, 10.22.29); capo del genere umano (Rm 5,12; 1Cor 15,22.45) e signore del cosmo (1Cor

11,3; Col 2,10; Ef 1,22); primogenito della creazione, nella quale Egli diffonde il pleroma divino (Ef 1,22-23; Col 1,19-

20; 2,9-10); Alfa e Omega della storia (Ap 1,8; 21,6; 22,13).

10

MOIOLI, Cristologia. Proposta, 61.

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4

comunicarsi agli uomini, di liberarli dal proprio peccato, perché risplenda la loro dignità di figli di

Dio. Si avvicina così, in qualche modo, alla concezione giovannea del rapporto tra l'opera di

salvezza e il mistero trinitario. Come nota Giovanni Paolo II, nel quarto vangelo è rivelata «la

logica più profonda del mistero salvifico contenuto nel piano eterno di Dio, come espansione

dell'ineffabile comunione del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. È la “logica” di Dio, che dal

mistero della Trinità porta al mistero della Redenzione del mondo attraverso Gesù Cristo»11

.

b) Rivelazione e salvezza

Con questo entriamo già nel secondo aspetto: l'unità della rivelazione e della salvezza. Qui le

istanze teologiche del trattato su Dio sono direttamente connesse alla soteriologia. «Il rinnovamento

del discorso sulla Trinità, che si afferma a partire dall'inizio del ’900, consiste principalmente nel

superamento di una concezione intellettualistica della fede, ricollocando al centro l'evento della

rivelazione, culminante in Gesù Cristo. [...] La storia della salvezza diventa sempre più il luogo

della rivelazione della Trinità»12

. Infatti, come risultato di questo rinnovamento, «l'orizzonte che

domina la riflessione, nel campo degli studi sulla Trinità, è la prospettiva economico-salvifica, così

come la troviamo attestata nella Scrittura [...]. Non si tratta tanto di comunicazione di verità su Dio,

quanto della sua autocomunicazione nella storia, dell’azione personale di Dio in favore degli

uomini»13

. O meglio, si tratta sempre di Dio e della sua relazione con l'uomo, ma si è consapevoli

del fatto che al Dio “in sé” (la “Trinità immanente”14

) si accede solo dalla sua rivelazione nella

storia della salvezza (la “Trinità economica”15

). In questo senso, a partire da K. Rahner16

, molti

autori hanno sottolineato il principio che «Dio è in sé, così come rivelato in Gesù Cristo per mezzo

11

Cfr. Enc. Dominum et Vivificantem, 11.

12

P. CODA, Trinità, in J.-Y. LACOSTE - P. CODA, Dizionario critico di teologia, Borla - Città nuova, Roma 2005,

1409.

13

J. PRADES LÓPEZ, “De la Trinidad economica a la Trinidad inmanente”. A propósito de un principio de

renovación de la teología trinitaria, «Revista española de teología» 58 (1998), 287-288.

14

Anche chiamata: Trinità in Sé, Trinità ontologica o Trinità ad intra.

15

Trinità per noi, Trinità soteriologica o Trinità ad extra.

16

Cfr. K. RAHNER, El Dios Trinitario como principio y fundamento trascendente de la historia de la salvación, en

J. FEINER - M. LÖHRER (dir.), Mysterium Salutis I/II, Madrid 1969, 359-449. In generale i teologi hanno accolto senza

difficoltà la prima parte del Grundaxiom rahneriano, cioè: «la Trinità economica è la Trinità immanente». Cfr. PRADES

LÓPEZ, De la Trinidad econàonomica, 291. La formulazione inversa, al contrario, è discutibile poiché corre il rischio di

dissolvere la “Trinità immanente” nella “Trinità economica”. L’analogia tra i due termine deve conservarsi, allora,

come ha affermato la Commissione Teologica Internazionale: «la distinzione tra “Trinità immanente” e “Trinità

economica” concorda con l’identità reale di entrambe». COMMISSIONE TEOLOGICA INTERNAZIONALE, Teologia,

Cristologia, Antropologia, I, C. 3 [IDEM, Documenti: 1969-1996, 250].

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5

dello Spirito Santo, o, meglio ancora, che nella sua rivelazione Dio si comunica realmente e si fa

conoscere come è veramente»17

. Ma dal momento che la rivelazione del mistero di Dio si svolge

nella testimonianza che abbiamo ricevuto (nella Chiesa) di quello che Dio ha operato e opera per

noi, si stabilisce un nesso inscindibile tra la realtà di Dio, la sua rivelazione nella storia e la salvezza

dell'uomo. È Dio stesso a rivelare se stesso e a renderci capaci di partecipare alla propria realtà,

salvandoci (senza prescindere dalla nostra libertà).

Queste prospettive riportano al centro della scena teologica la vita di Gesù e, soprattutto, il

mistero pasquale18

, che è ora considerato come luogo privilegiato della rivelazione di Dio e della

salvezza dell'uomo19

. Questa doppia dimensione soteriologica e rivelante, necessariamente

confluisce in unità, «perché laddove la Trinità immanente si comunica come Trinità economica (e

questo ha il suo vertice nell'evento pasquale), Essa si rivela al tempo stesso nella sua vita intima e

si comunica agli uomini, redimendoli dal peccato (perciò la soteriologia si mostra allora come unità

della redenzione nel senso stretto e della divinizzazione)»20

. In questo modo le due dimensioni sono

strettamente correlate21

: la rivelazione non è solo verbale, ma esistenziale22

; è rivelazione di una

Vita che si comunica proprio nell’azione salvifica e questa salvezza trova il suo presupposto e la

“norma” nell'amore preesistente all’interno della Trinità.

17

P. CODA, Trinità, 1410. 18

In questa linea, ha avuto molto influsso l’opera di G. LAFONT, Peut-on connaître Dieu en Jésus-Christ?, Cerf,

Paris 1969, insieme ad altri lavori. Segnaliamo, tra questi: H. U. VON BALTHASAR, El misterio pascual, in J. FEINER -

M. LÖHRER (dir.), Mysterium salutis, III, Madrid, 1980, 666-814. Anche se in realtà si tratta di un movimento molto

ampio, come si vede passando in rassegna i teologi del secolo XX. Cfr. T. CITRINI, Gesù Cristo, rivelazione di Dio, La

Scuola Cattolica, Venegono Inferiore 1969.

19

Cfr. M. SCHMAUS, Teologia Dogmatica: III: Dios Redentor, Rialp, Madrid 1962, 325. A condizione

naturalmente che i misteri di Cristo si considerino fondati sull’Incarnazione, e questa sia intesa, contemporaneamente

come condizione ontologica permanente ed esistenziale e come processo temporale e storico di Gesù stesso. (Cfr.

BORDONI, Gesù di Nazaret, III, 930-931).

20

P. CODA, Acontecimiento pascual. Trinidad e historia, Secretariado Trinitario, Salamanca 1994, 166.

21

«La questione della salvezza cristiana non solo non può esser separata, ma deve esser necessariamente esposta a

partire dal Padre, dal Figlio e dallo Spirito Santo. Parlare di salvezza richiede di parlare del Dio Trino, in questo risiede

la novità cristiana: l’uomo si salva poiché il Dio Trino si comunica così com’è». M. GONZÁLEZ, Il ricentramento

pasquale-trinitario della teologia sistematica nel XX secolo, in P. CODA, - A. TAPKEN, La Trinità e il pensare. Figure,

percorsi, prospettive, Città nuova, Roma 1997, 353.

22

«È la stessa esistenza di Cristo, in tutto il suo sviluppo che culmina nella croce, la quale rivela il mistero

trinitario. Questa dimensione rivelativo-esistenziale (nel senso dinamico-evolutiva) è la dimensione più profonda del

mistero soteriologico». CODA, Acontecimiento pascual, 167. I caratteri italici sono dell’autore.

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6

Due osservazioni possono aiutare a cogliere meglio la portata del tema:

a) Con la ridefinizione dell'immagine di Dio a partire dall'evento pasquale si apre una serie di

questioni difficili23

: sul piano teologico la teologia “trinitaria” della croce dovrà pronunciarsi sulla

delicata questione della “immutabilità” e “sofferenza” in Dio; come anche sul rapporto di questo

Dio crocifisso con il Dio Creatore, al quale si accede con la ragione (“Dio dei filosofi”) e con la

Rivelazione (“teologia della gloria”). Analogamente a livello metodologico, il tema della

“normatività” della Pasqua nella definizione di Dio24

, non dovrà ignorare le diverse dimensioni del

mistero di Cristo (cosmica, storico-salvifica, escatologica), o le prospettive che la ragione umana ha

raggiunto nel suo pensiero su Dio per ea quae facta sunt25

. Ciò richiede una metodologia ben

sviluppata, in grado di evitare approcci unilaterali.

b) Nel trattare la soteriologia dal punto di vista della rivelazione trinitaria, avviene una

“inversione di tendenza”, con conseguenze significative. Nel secondo millennio aveva prevalso una

considerazione “ascendente” dell’opera salvifica. Questa mirava a riparare il peccato, e la

riparazione consisteva, secondo Sant’ Anselmo, nel risarcimento che Gesù ha offerto a Dio in

nostro favore (soddisfazione penale, espiazione vicaria). La nuova prospettiva, tuttavia, è verso il

basso, “discendente”. L'azione di Cristo è integrata nella rivelazione di Dio, che è possibile se si

considera l'espiazione dal punto di vista esistenziale, come dono generoso della vita, come essere-

23

Lo mostra con chiarezza l’esposizione di E. BENAVENT VIDAL, El misterio pascual en la teología reciente, in

Asociación Española de Profesores de Liturgia, El misterio pascual en la liturgia, Grafite, Bilbao 2002, 191-246

(soprattutto 195-213).

24

Posta con eccessiva radicalità nell’opera del teologo luterano J. MOLTMANN, Der gekreuzigte Gott. Das Kreuz

Christi als Grund Kritik christlicher Theologie, Kaiser, München 1972 [trad esp.: El Dios crucificado, Salamanca,

1975]. In ogni caso, il tema è presente anche in ambito cattolico: «Se la croce di Cristo è un avvenimento trinitario e se

la sofferenza in Dio deve esser intensa in chiave trinitaria, significa che la kenosi del Figlio nell’Incarnazione e,

soprattutto, nel momento culminante della croce, costituisce la pienezza della rivelazione della Trinità e che il

significato della croce si comprende solamente quando è contemplata come il luogo dove si scopre pienamente il Dio

cristiano». BENAVENT VIDAL, El misterio pascual, 205.

25

«La stessa santa madre Chiesa ritiene ed insegna che Dio, principio e fine di ogni cosa, può essere conosciuto

con certezza con la luce naturale della ragione umana a partire dalle cose create; “infatti, dalla creazione del mondo in

poi, le sue perfezioni invisibili possono essere contemplate con l’intelletto nelle opere da lui compiute” (Rm 1,20)».

CONCILIO VATICANO I, Const. Dogm. Dei Filius, 24-IV-1870, cap 2 [Dz-Sch, 3004].

Pag. 6/40

7

per-gli-altri26

(o proesistenza27

), usando allora concetti che permettono di mostrare la rivelazione

dell'amore di Dio28

.

Questa “inversione di tendenza” orienta la soteriologia verso una nuova sintesi, con nuovi

paradigmi significativi ed una diversa struttura interna rispetto alla precedente teologia. La

soteriologia di Anselmo e Tommaso d'Aquino situava la croce in collegamento con il giusto ordine

dato al mondo (ovvero, con l'ordine della creazione danneggiata dal peccato e risanata da Cristo) e

riconosceva nell’ontologia di Cristo (Deus-homo) la possibilità di recupero della giustizia persa da

Adamo in poi; la nuova prospettiva valuta la croce a partire dall'amore di Dio e fonda la sua

efficacia salvifica sulla corrispondenza degli atti di Cristo con questa carità: il mondo è salvato

perché negi atti di Cristo è presente la carità del Dio Trino29

. Ma se il parametro di riferimento non

è più il mondo visto in rapporto a Dio bensi la manifestazione del Dio-Amore, si origina anche un

cambio nel modo di considerare la mediazione di Cristo: il dato entitativo (Deus-homo) «non ha più

lo scopo di garantire il valore salvifico dell'azione di Cristo, ma piuttosto di tutelare la fedele

corrispondenza tra la manifestazione storica e l’auto-rivelazione di Dio, vale a dire che ciò che si

manifesta è espressione di Dio e non del mondo»30

. Nascono da questo nuove proposte per

articolare la mediazione di Cristo31

.

c) Salvezza integrale

La ricerca di unità della soteriologia si mostra anche nell’ambito dei benefici della redenzione.

Forse la nostra epoca passerà alla storia come quella che ha enfatizzato una salvezza conforme alla

26

Cfr. W. KASPER, Introducción a la fe, Sígueme, Salamanca 1976, 159; J. RATZINGER, Introducción al

cristianismo, Sígueme, Salamanca 1971, 200ss.

27

H. Schürmann ha dato un fondamento esegetico e ha promosso con abilità questa categoria nella teologia attuale.

Cfr. Il suo lavoro: ¿Cómo entendió y vivió Jesús su muerte? Reflexiones exegéticas y panorama, Sígueme, Salamanca

1982, 129-163. [Orig. Jesu ureigener Tod. Exegetische Besinnungen und Ausblick, Verlag Herder, Freiburg 1975].

28

«Ciò che nell’uso tradizionale si chiama “espiazione vicaria” deve essere inteso e sottolineato come un evento

trinitario». COMMISSIONE TEOLOGICA INTERNAZIONALE, Questioni scelte di cristologia, IV, C.3.5 [IDEM, Documenti:

1969-1996, 237].

29

«La morte di Gesù fu una “espiazione vicaria” definitivamente efficace, giacché il gesto del Padre di consegnare

e offrire il suo proprio Figlio si raccoglie esemplarmente e realmente in Cristo che dà se stesso, consegnandosi e

offrendosi con perfetta carità». Ibidem.

30

A. DUCAY, Revelación y salvación. Incidencia de la noción de revelación en la orientación actual de la teología

sobre la Cruz, in AA.VV, Cristo y el Dios de los cristianos. Hacia una comprensión actual de la teología, Eunsa,

Pamplona 1998, 453.

31

Cfr. Più avanti, la sezione II, 2, b.

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8

portata delle aspirazioni umane32

. La soteriologia recente ha cercato di riflettere sul bene integrale

dell'uomo, per mostrare che Dio in Gesù Cristo si prende cura della creatura umana tutta intera:

della sua vita terrena e del suo destino eterno, dei bisogni spirituali e materiali, della vita personale

e di quella sociale.

Tuttavia, questa esigenza non è stata il risultato di intuizioni particolarmente acute o di analisi

accurate. Piuttosto, su questo punto si concentra il conflitto e, in qualche misura, l’adozione del

processo del pensiero moderno da parte della soteriologia. Dal momento che si è sostituita la

concezione teocratica (ontocratica), che aveva fondato la sintesi medievale, in favore di

un’interpretazione che attribuiva all'uomo il ruolo centrale (e non a Dio o all'ordine o alle istituzioni

tradizionali)33

, la teologia necessitò di un adattamento: ha dovuto discernere, a poco a poco, gli

aspetti positivi del nuovo paradigma, orientato verso una visione antropocentrica della vita, e ha

dovuto rilevare anche ciò che per un cristiano era incompatibile con quella visione e inaccettabile

per l'uomo. In ogni caso, la forza e la validità del messaggio cristiano di salvezza richiedono, nel

nuovo contesto, di sottolineare il carattere pienamente umano della salvezza. Dio non è un redentore

unilaterale, preoccupato solamente degli aspetti morali e religiosi degli uomini, ma garantisce la

completa felicità delle sue creature.

L'ambito della teologia della redenzione è stato quindi sottoposto alle tensioni ed ai rischi

dell'incontro tra la fede cristiana e il “pensiero moderno”, e questi sono, in definitiva, gli aspetti che

hanno caratterizzato la soteriologia degli ultimi decenni. La constatazione della difficoltà di

annunciare il messaggio rivelato, la percezione di una certa inefficacia evangelizzatrice, gli aspetti

di verità presenti in alcune critiche hanno potuto generare l'impressione che fosse necessario un

cambiamento radicale: dare alla soteriologia una nuova identità per affrontare le attuali difficoltà.

Ma la ricerca frettolosa di una nuova sintesi come potrebbe evitare il rischio di un’acritica (o, a

volte, compiaciuta) assunzione delle mode del momento?34

«La constatazione -certamente

ingrandita, aggiungiamo noi- della distanza abissale tra il tradizionale dogma della redenzione e la

problematica esistenziale e tematica che l'uomo sperimenta a riguardo del proprio destino»35

è stata

origine di una soteriologia troppo centrata sull’uomo, concepito in modo unilaterale come un

progetto di umanizzazione e di emancipazione.

32

Cfr. G. COLZANI, La salvezza oggi: cultura e teologia, in A. TERRACCIANO (ed.), Attese e figure di salvezza oggi,

Campania notizie, Napoli 2009, 48-54.

33

Cfr. LOCHMAN, Christ ou Prométhée?, 93. Anche: WINLING, La théologie contemporaine, 16.

34

Cfr. L. SCHEFFCZYK, Il compito della teologia di fronte all'odierna problematica della redenzione, in AA. VV.,

Redenzione ed emancipazione, Queriniana, Brescia 1975, 13.

35

D. WIEDERKEHR, Fe, redención, liberación. De la soteriología antigua a la moderna, Madrid 1979, 6.

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9

L’esigenza di fondo, però, era reale. Era necessario mostrare che la salvezza cristiana non è

estranea alla promozione dell'uomo e che deve spingere per un mondo più umano. Buona parte di

quelle aspirazioni erano legittime e dovevano trovare spazio nella soteriologia cristiana. Da questo

punto di vista è degna di nota la riflessione del Magistero della Chiesa, tanto dell’epoca del

Vaticano II fino a quella contemporanea36

, dal momento che ha avuto il grande merito di presentare

in un quadro unitario gli aspetti trascendenti e storici della salvezza.

II. Il Mediatore e la sua azione salvifica

Tra le questioni trattate abitualmente dalla soteriologia classica di solito si trovava la domanda:

“Perché affermiamo che Cristo è il mediatore? Dove si fonda questa condizione?” San Tommaso le

ha dedicato una questione nella sua Summa Teologica37

, che ha trovato il favore dei teologi per

secoli38

. La soteriologia contemporanea non ha sollevato la questione esattamente negli stessi

termini. È stata più preoccupata dal senso e dalla dinamica della mediazione piuttosto che delle sue

formalità, sollevando la questione in questi termini: “Come possono mediare la salvezza gli atti di

Cristo, la sua vita e la sua storia?” La riflessione teorica su questo tema, anche se poco affrontata, è

importante, perché costituisce parte dei “presupposti” non sempre dichiarati delle varie

interpretazioni soteriologiche.

La questione è complessa, come vedremo, ma può essere strutturata attorno ad alcune polarità39

,

tra cui: la direzione prioritaria della mediazione (discendente o ascendente), la caratterizzazione

essenziale del Mediatore (la persona o la doppia natura), il modo di realizzazione della salvezza

36

Lo sforzo del magistero della Chiesa in questo settore è stato enorme: si pensi all’impulso dato alla promozione

sociale con le encicliche di Paolo VI Evangelii Nuntiandi e Populorum Progressio; alla teologia della dignità dell’uomo

e delle culture con le encicliche Redemptor Hominis e Redemptoris Missio; alla abbondante riflessione sopra la donna,

la famiglia, il valore del corpo ecc., di Giovanni Paolo II; allo sforzo comune degli ultimi Pontefici per affrontare, nel

solco della dottrina sociale cristiana, le questioni aperte nell’ambito lavorativo, dei sistemi economici, della giustizia

nelle relazioni internazionali, ecc. I principi di riflessione, i criteri di giudizio e le linee di azione, che offre il Magistero

costituiscono una vera praxis di liberazione della Chiesa «affinché si realizzino questi cambiamenti profondi che le

situazioni di miseria e di giustizia esigono, e tutto ciò si attui in modo che contribuisca al vero bene degli uomini».

CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Istruzione Libertatis Conscientiae, 22-III-86, cap. V, [EV X, nn. 292-

335].

37

La q. 26 de la III pars si intitola: De hoc quod Christus dicitur mediator Dei et hominum.

38

Studiata tra gli altri da G. GUITIÁN CRESPO, La mediación salvífica según Santo Tomás de Aquino, EUNSA,

Pamplona 2004.

39

Alcune di queste si possono incontrare in: GRONCHI, Trattato, 925; A. COZZI, Conoscere Gesù Cristo nella fede.

Una cristologia, Cittadella, Assisi 2007, 384-386; SESBOÜE, Jesucristo, el único mediador, I, 120-124; COMISSIONE

TEOLOGICA INTERNAZIONALE, Teologia, Cristologia, Antropologia, I, D, 1 [IDEM, Documenti: 1969-1996, 250-251].

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10

(manifestativo o performativo), la direzione della salvezza ottenuta (“deificazione” o

“umanizzazione”)40

. Al centro di tutte queste polarità risiede il problema di esprimere

adeguatamente le dimensioni trascendenti41

e storiche42

dell'atto salvifico di Cristo.

Inoltre, la mediazione salvifica è generalmente intesa in senso causale: Cristo è la causa della

nostra salvezza. Perciò si dovrà indagare come si è intesa tale causalità.

a) Trascendenza e storia nell’atto salvifico

Torniamo alla domanda circa il senso fondamentale della mediazione. Non c'è dubbio che

l'opera della salvezza è qualcosa che gli uomini non sono capaci di fare da soli. Non è possibile

l’autoredenzione e Dio si è fatto carne propter nos ed è giunto fino alla morte. Ma l’atto salvifico è

soprattutto Dio che opera in Cristo a nostro favore, o Cristo che opera per noi davanti a Dio?43

Qual

è il suo nucleo: l'amore di Dio che purifica il nostro egoismo o l'obbedienza di Cristo che espia i

nostri peccati? La prima posizione vede l'opera redentrice come carità e misericordia, la seconda

come riparazione e giustizia. Alla radice di queste valutazioni ci sono due prospettive diverse del

rapporto tra Dio e l'uomo: una più personale, l'altra più oggettiva. Esse indicano «un problema

fondamentale: la relazione tra l'ordine ontologico e quello personale sul piano del rapporto

dell'uomo con Dio»44

.

I due aspetti non devono opporsi radicalmente, anche se resta aperto il problema di come

coniugarli ed integrarli, e su quale porre la priorità. Abbiamo già segnalato che nel secondo

millennio, la soteriologia si era polarizzata intorno alla giustizia e la redenzione si esprimeva

principalmente con categorie “ascendenti”: la soddisfazione penale, il merito, il sacrificio di Cristo,

40

Di quest’ultimo argomento ci occuperemo brevemente più avanti.

41

L’iniziativa divina, la persona che lo realizza, la manifestazione della sua volontà salvifica, ciò che è misterioso

nella salvezza.

42

La presente situazione, l’azione umana, l’avvenimento storico, ciò che è “tangibile” nella salvezza.

43

Le categorie del Nuovo Testamento e della tradizione teologica per esprimere l’azione salvifica di Cristo sono

state ben studiate nel volume I dell’opera di Sesboüe, Jesucristo, el único mediador (già citata). L’autore rileva in esse

una prima strutturazione fondamentale: «le diverse categorie si ordinano secondo due movimenti principali: uno va da

Dio all’uomo attraverso l’umanità di Gesù; l’altro va dall’uomo a Dio, giacché in Gesù, il Figlio per eccellenza, l’uomo

“merita” di arrivare a Dio» (p. 65).

44

GONZÁLEZ DE CARDEDAL, La soteriología contemporánea, 314. L’ allusione all’ordine ontologico si riferisce a

ciò che in giustizia corrisponde all’uomo come creatura e a Dio come Creatore, in quanto diversa dalla relazione di

amicizia o benevolenza.

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11

mediatore di fronte a Dio45

. Recentemente, tuttavia, si è insistito a dare la priorità al movimento

“discendente”, perché «tutto viene innanzitutto da Dio e dalla sua grazia»46

: egli è il Salvatore. Se il

significato dell'opera di salvezza è posto nella riconciliazione, è soprattutto un «atto di Dio che ha

l'uomo come oggetto finale»47

, anche se comporta una certa reciprocità: “lasciarsi riconciliare”48

.

Ma non si deve «cadere in un unilateralismo inverso: questo movimento (discendente) deve

articolarsi con quello ascendente considerando l’armonia dei due aspetti della mediazione»49

. Le

due dimensioni possono dare una soteriologia soddisfacente solo nella loro reciproca convergenza

in un atto unico e personale, Cristo porta la salvezza di Dio per l'uomo e conduce l'uomo al Padre.

La seconda polarità è in qualche modo inclusa nella prima. Come vedere la mediazione di

Cristo. A partire dalla persona, dal Figlio di Dio, o dalle nature, come azione dell’uomo-Dio?50

La

cosa essenziale è il rapporto tra Gesù e Dio Padre nello Spirito Santo, con tutto il suo carico di

rivelazione della vita intima di Dio?51

Oppure deve essere prioritario il riferimento alla situazione

umana davanti a Dio e la riparazione richiesta all’uomo?52

Domande simili alle precedenti, ma con

una direzione diversa. Quando la dimensione personale è centrale, il referente di Cristo è il Padre e

la storia concreta di Gesù è sostanziale, divenendone l’espressione della persona; quando la natura è

l’elemento centrale, si evidenzia la perfezione del lavoro redentrice di Cristo-uomo dinnanzi a Dio,

della sua passione che è uno strumento di riconciliazione con Dio.

45

SESBOÜE, Jesucristo, el único mediador, I, 67-69.

46

Ibidem, 122.

47

Ibidem.

48

Cfr. 2Cor 5,20.

49

SESBOÜE, Jesucristo, el único mediador, I, 69.

50

Secondo G. Moioli, la teología occidentale ha proposto fondamentalmente due modelli di mediazione: «nel

primo l’unione ipostatica è la ragione profonda della “mediazione” di Cristo, però si parla di mediatore formalmente

perché è l’uomo ipostaticamente unito al Figlio di Dio; nel secondo –che ha guadagnato recentemente importanza–

Gesù è “mediatore” tanto quanto è “mediazione”, cioè, manifestazione-presenza-azione del Figlio di Dio Salvatore». Cristologia. Proposta, 149.

51

In linea con quanto abbiamo esposto nella sezione precedente.

52

Questa prospettiva della “doppia natura” la incontriamo nel documento della Comisione Teologica Internazionale

Questioni scelte di cristologia, IV, a) 2 [IDEM, Documenti: 1969-1996, 537]: «La redenzione, di conseguenza, è un

processo che implica tanto la divinità quanto l’umanità di Cristo. Se Egli non fosse divino, non potrebbe pronunciare il

giudizio di perdono efficace di Dio e neppure potrebbe far partecipare nella vita trinitaria intima di Dio. Però se non

fosse uomo, Gesù non potrebbe compiere la riparazione in nome dell’umanità per le offese commesse da Adamo e dalla

sua discendenza. Solamente perchè possiede entrambe le nature ha potuto offrire soddisfazione per tutti i peccatori e

concedere loro la grazia come loro capo rappresentativo».

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Se si adotta la prospettiva personale e si collega strettamente la storia di Gesù con la

rivelazione/salvezza sorge la questione di come qualcosa di contingente e di esteriore, come la

storia (di Gesù), possa far trasparire in maniera inequivocabile l'assoluto ed il divino53

. Per

risolverla è necessario dar rilievo alla questione della “unicità di Cristo”54

. Essa può certamente

essere intesa come «il darsi storico della trascendenza o dell'Assoluto nella storia di Gesù»55

(perché «nella contingenza dell’evento o dell’avvenimento concreto, rappresentato da Gesù di

Nazareth, si incontra una dimensione assoluta, normativa, universale, definitiva, ecc.»56

), ma, in

ultima analisi, si deve tener conto che la dimensione “del divino” presente nella storia si comprende

solo quando si considera a partire dalla “filiazione” (e quindi non della natura ma della persona):

cioè dal particolare rapporto tra Gesù e il Padre che si manifesta nella sua storia57

. La mediazione di

Cristo è intrinsecamente filiale e questa filiazione singolare è la novità radicale che Egli porta con

sé58

. Di conseguenza, il principale referente dei suoi misteri di salvezza non è un indistinto “Dio”,

ma il Padre, e il parametro per la valutazione di questi misteri non è l'ordine della creazione, intesa

a partire dalla “scala dell’essere” (in cui Dio e l'uomo si definiscono in base alle loro perfezioni

naturali), ma il progetto divino di creare, adottare e salvare l'umanità nel suo Figlio.

Anche la terza polarità può partire da quelle precedenti. Si riferisce al rapporto fra trascendenza

e storia, tra il disegno salvifico di Dio e le azioni libere degli uomini. Come si relaziona questo

progetto con la storia? Il piano di Dio contiene ciò che svilupperà la storia? O questo progetto si

53

G. E. Lessing e l’illuminismo tedesco hanno esposto un problema simile: Come un fatto singolare e contingente

può assumere il valore di principio di comprensione universale dell’uomo e della salvezza?: «le verità storiche, in

quanto contingenti, non possono servire da prove delle verità di ragione, che sono necessarie». G. E. LESSING, Escritos

filosóficos y teológicos, Herder, Barcelona 1990, 482. «Può fondarsi una felicità eterna su un sapere storico?» si

domandava Kierkegaard nel frontespizio dei suoi Frammenti filosofici (Madrid, Trotta, 1997).

54

Spesso anche chiamata: “singolarità” di Cristo. Qui ci interessa solo marginalmente.

55

G. MOIOLI, Per l'introduzione del tema della singolarità di Cristo nella trattazione teologica, «La Scuola

Cattolica» 103 (1975), 775. Cfr. también P. L. VIVES PÉREZ, La singularidad de Cristo: claves de comprensión en la

cristología contemporánea, «Revista española de teología» 67,4 (2007), 455-488.

56

G. MOIOLI, Cristologia, en Diccionario Teológico Interdisciplinar, I, Sígueme, Salamanca 1982, 769.

57

Come abbiamo visto questo è ciò che ha riconosciuto l’esegesi (particolarmente quella cattolica) nel suo intento

di definire con precisione ciò che è singolare ed unico in Cristo.

58

«Nel modo dell’azione si mostra la peculiarità della persona che agisce. Giacchè la persona agente dà la forma al

proprio agire, Cristo conferisce al suo agire umano precisamente il tratto distintivo che caratterizza la modalità

dell’azione divina: la sua filiazione eterna. (…) La conseguenza più importante che si deriva per il nostro tema è la

certezza che l’agire umano di Gesù, il suo modo di azione, rivela la vita del Dio Trino», afferma CH. VON SCHÖNBORN,

El icono de Cristo. Una introducción teológica, Encuentro, Madrid 1999, 109. E, forse per l’influenza di questo autore,

leggiamo nel Catechismo della Chiesa Cattolica: «la natura umana di Cristo appartiene propriamente alla persona divina

del Figlio di Dio che l’ha assunta. Tutto ciò che è e che compie in essa appartiene all’ “Uno della Trinità”. Il Figlio di

Dio comunica, allora, alla sua umanità il suo modo personale di esistenza nella Trinità. Così, nella sua anima come nel

suo corpo, Cristo esprime umanamente gli comportamenti divini della Trinità». Catechismo della Chiesa Cattolica,

470.

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attua nella forma di dialogo tra Dio e gli uomini, e rimane quindi aperto mentre perdura la storia?

Nel primo caso, la storia della salvezza, e soprattutto Cristo, diventa segno manifesto della salvezza

che Dio offre nel suo piano. Si accetta come premessa che nulla di compiuto nella storia è in grado

di determinare, facendole subire una flessione o un cambiamento, l'eterna volontà di Dio59

. La storia

della salvezza sarebbe, piuttosto, l'effetto visibile della volontà divina di perdonare e salvare l'uomo.

Questa posizione ha la difficoltà che non spiega la causalità salvifica di Cristo: come la sua vita e la

Pasqua sia realmente la causa della salvezza umana; sarebbe piuttosto il segno del perdono divino.

La soteriologia di K.Rahner si avvicina a questa posizione60

. Anche se in realtà il teologo tedesco

sostiene formalmente che la storia e la Pasqua di Cristo sono contemporaneamente causa ed effetto

della volontà salvifica di Dio61

, tuttavia nel suo sistema questi misteri rispondono alla

fenomenologia della salvezza, che, predeterminata da Dio, appare nella storia con la forma adeguata

per essere riconosciuta dall’uomo62

. Perciò i misteri di Cristo rientrano nell'ambito del segno, più

che della causa63

. Di fronte a questo è stato giustamente sottolineato il fatto che i misteri della

salvezza non solo rivelano l'amore eterno di Dio al mondo, ma anche “operano” un effettivo

cambiamento della situazione di colpa umana. Cioè, introducono una vera novità nella storia, che

riguarda il rapporto dell'uomo con Dio64

. Eppure anche questa posizione può non essere libera di

59

Cfr. GONZÁLEZ DE CARDEDAL, La soteriología contemporánea, 305.

60

Di cui il modello più radicale è, forse, la teologia di K. Barth. Cfr. A. SCHILSON - W. KASPER, Cristologie, oggi.

Analisi critica di nuove teologie, Paideia, Brescia 1979, 55-67: «nell’elezione eterna dell’uomo-Gesù si incontra

l’avvenimento, già costituito previamente, della creazione, rivelazione e salvezza. In questo modo la storia terrena di

Gesù corre il rischio di essere ridotta alla semplice apparizione di un qualcosa già deciso nell’eternità» (p. 65). E più

avanti: «anche se la croce e la resurrezione non sono una pura apparenza, sono molto vicine ad essere semplicemente la

maifestazione di un processo deciso da molto tempo nell’eternità di Dio, processo che solo una volta si fa “oggettivo”

sulla terra, e può essere riconoscito nella fede» (p. 67).

61

Effetto, perché Dio determina questi misteri, li pone come segno della salvezza e li compie in Cristo; causa

perché la salvezza deriva dal fatto che il segno si dà efficacemente nella storia e questo, a sua volta, è necessario perché

Cristo si dona liberamente alla volontà di Dio nei suoi misteri.

62

Rahner attribuisce ai misteri di Cristo una causalità di tipo quasi-sacramentale. Secondo lui, «Cristo e la

consumazione del suo destino (consumazione che si realizza nella resurrezione) è la causa della salvezza come la

costituzione storica dello stato di salvezza per tutti, che non è storicamente reversibile». K. RAHNER, Redención, en

AA.VV., Sacramentum mundi, vol V, Herder, Barcelona 1976-1978, p. 772. Però si noti che questo stato costituisce

nella storia solo ciò che già è stato previamente dato nella volontà divina e nella struttura della creatura (dottrina

rahneriana dell’esistenziale-soprannaturale). Cfr. G. MANSINI, Rahner and Balthasar on the Efficacy of the Cross, «The

Irish Theological Quarterly» 63 (1998), 234-237.

63

Da questo la Commissione Teologica Internazionale ha raccolto sinteticamente la critica che H. U. von Balthasar

espresse (Theodramatik, III, Johannes, Einsiedeln 1980, 253-263). Secondo la Commissione: «alcuni autori, tuttavia, si

sono chiesti se la teoria dà sufficiente spazio all’efficacia causale dell’avvenimento Cristo, e specialmente al carattere

redentivo della morte di Gesù sulla croce. Il simbolo Cristo esprime e comunica semplicemente ciò che

precedentemente è stato dato nella volontà salvifica di Dio?». Questioni scelte, III, b) 32 [CTI, Documenti: 1969-1996,

533] Su questo aspetto cfr. anche F. IANNONE, Karl Rahner: eteroredenzione o autoredenzione?, «Rassegna di

Teologia» 37 (1996), 597-622.

64

E. BABINI, Per un ripensamento della soteriologia. Approfondimento critico e prospettive, «Rassegna di

teologia» 39 (1998), 704-705.

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problemi: quando la novità si riferisce al dialogo che le persone della Trinità mantengono tra loro

nell’economia, il cambiamento ricade sulle stesse persone, soggetti di un evento che si situa allora

ad intra di Dio, e questo solleva la questione di come capire l’immutabilità divina. La teologia di H.

U. von Balthasar si colloca su questi percorsi, costringendo il teologo svizzero a “ripensare” la

Trinità immanente, così che in Essa possa entrare la croce con il suo carico di negatività. La

soluzione si rivela insoddisfacente65

. Di queste riflessioni forse la soteriologia deve mantenere l'idea

che, anche se gli eventi della storia non cambiano la volontà salvifica di Dio66

, tuttavia,

contribuiscono a darle una forma concreta, che dipende dalla libertà umana, e senza la quale la

volontà divina non avrebbe motivo a costituirsi come salvifica.

b) Cristo, causa della salvezza

Correlata a quello che abbiamo appena descritto, anche se meno speculativa, è la questione

della causalità salvifica di Cristo. Si tratta di illustrare teologicamente come gli atti di Cristo, che

sono azioni umane, siano fonte di salvezza per l'umanità. La soluzione classica tomista, con

precedenti in sant'Agostino e san Giovanni Damasceno, si basa sull'idea che la natura umana di

Cristo costituisce un canale “adeguato” per l'agire della sua persona divina. Ispirandosi al modello

antropologico di unione tra corpo e anima, san Tommaso nella Summa contra Gentiles spiega che il

Verbo, nell’assumere la sua umanità, la eleva e adatta a se stesso, così che gli sia propria e possa

operare le realtà divine67

. Costituita così in “strumento” della persona del Verbo, tutto ciò che

l'umanità di Cristo realizza possiede un’efficienza divina e salvifica, che le corrisponde

intrinsecamente68

.

65

Cfr. Le critiche di MANSINI, Rahner and Balthasar, 247-249, il quale termina il suo articolo con una punta di

ironia: «se usiamo Rahner per criticare Balthasar, e Balthasar per criticare Rahner, terminiamo affidandoci alla

tradizione primitiva, che parla con Sant’Anselmo e San Tommaso di “soddisfazione”» (p. 249). Segnalo anche: V.

HOLZER, Le Dieu Trinité dans l'histoire. Le differend theologique Balthasar-Rahner, Cerf, Paris 1995.

66

Già Sant’Agostino avvertiva il problema: «che cosa significa dire riconciliati per la morte di suo Figlio? Dio

padre, irato contro di noi, vista la morte pia di suo Figlio depose la sua ira a noi rivolta? Per caso il Figlio si era già

riconciliato con noi fino a morire per noi, mentre il Padre ancora nutriva la sua rabbia che si sarebbe placata solo a

condizione che il suo Figlio fosse morto per noi? [...] Forse, se il Padre non fosse stato placato da non perdonare suo

Figlio, lo avrebbe donato per noi? Non sembra questa frase contraddire le precedenti? (…) Però ci amò non solo prima

della morte del Figlio per noi, ma fin dalla creazione del mondo…», S. AGOSTINO, La Trinità, XIII, XI, 15 [Obras

Completas de S. Agustín (edición bilingüe), t. V: La Trinidad, BAC, Madrid, 1985, 616-617].

67

«La natura umana fu assunta in Cristo per realizzare strumentalmente operazioni che sono proprie solo di Dio:

perdonare i peccati, illuminare le coscienze mediante la grazia e introdurre nella perfezione della vita eterna. Per questo

la natura umana di Cristo è per Dio come uno strumento proprio e a lui unito, come la mano lo è per l’anima». SAN

TOMMASO D’ACQUINO, SCG, IV, cap. XLI.

68

Per San Tommaso, «la redenzione non esiste come “prodotto” dell’azione (ndr: di Cristo), ma è l’azione stessa di

Cristo [...] Tommaso non si separa mai dall’opera di Cristo e non intende le categorie del merito, della soddisfazione e

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Nel contesto contemporaneo, tuttavia, l'idea della strumentalità della umanità di Cristo, presenta

anche alcuni svantaggi: in primo luogo, sembra introdurre una giustapposizione tra l'azione divina e

la forma umana che essa adotta; lo strumento di solito è inteso come una realtà in se stessa, terza,

che media tra causa ed effetto. Questo non può corrispondere all’umanità di Cristo69

e neppure al

significato originale che ne dava la scolastica. Inoltre, «il pensiero contemporaneo, con il suo acuto

senso della distinzione tra il valore delle persone e delle cose, tende ad applicare il concetto di

strumento a queste ultime, o alle prime quando vengono trattate come le seconde: da ciò trae origine

il verbo strumentalizzare»70

. Pertanto, alcuni preferiscono abbandonare il linguaggio classico e

parlano di “causalità sacramentale”71

. Questa linea può essere compresa da varie prospettive72

, ma

in tutte la mediazione è intesa come il luogo in cui si rivela la persona del Salvatore attraverso le

sue azioni. «Come ci salva Gesù? Esercitando una causalità discendente e libera, che appartiene

all'ordine della rivelazione e della comunicazione, la causalità dell’amore [...]. La causalità salvifica

di Gesù può essere definita come una causalità sacramentale. Incarnata nella sua persona, nella sua

corporeità eloquente, che comprende tutta la sua esistenza terrena, la sua morte e risurrezione, Gesù

è il sacramento di salvezza»73

.

Altri preferiscono parlare di “causalità personale” per superare il pericolo di pensare la salvezza

in termini di “prodotto”, come un qualcosa, una realtà a sé, ottenuta in passato per l’opera di

Gesù74

. A questo contribuirebbe anche la tradizionale distinzione tra “redenzione oggettiva” e

della redenzione come realtà indipendenti da quella. Si tratta sempre di qualità di questa “azione umana”; che è azione

soddisfacente, meritoria, sacrificale, efficace». BORDONI, Gesù di Nazaret, III, 368.

69

Essa non è qualcosa “tra” Dio e l’uomo. Cfr. CITRINI, Gesù Cristo, rivelazione, 352.

70

Ibidem.

71

«La critica alla categoria di “strumento unito” deriva precisamente dal timore che un certo senso di esteriorità,

che il concetto di strumento porta con sé, soprattutto nel pensiero moderno, sottragga precisamente ciò che l’aggettivo

unito cerca di dare. E questo [...] a maggior ragione, dal momento che non si tratta dell’unità di due realtà preesistenti, o

pensabili come separate (il Verbo lo è, però questa umanità non lo è), ma della costituzione di una realtà (precisamente

quella sacramentum, l’umanità corporea di Cristo) che si costituisce in funzione dell’espressione dell’altra». Ibidem,

393.

72

«Si dovranno considerare, sicuramente, i protagonisti di questo discorso, con i loro modi originali di procedere:

E. Schillebeeckx e K. Rahner; mentre H. U. von Balthasar deve essere considerato a parte: fuori dalla preoccupazione di

fondare un discorso propriamente sacramentale». MOIOLI, Cristologia. Proposta, 142. Altre posizioni in CITRINI, Gesù

Cristo, rivelazione, 393-400.

73

SESBOÜE, Jesucristo, el único mediador, II, 241 y 242.

74

Cfr. B. A. WILLEMS, La Redenzione nella Chiesa e nel mondo, Morcelliana, Brescia 1969, 28. Alcune idee nella

stessa direzione in SESBOÜE, Jesucristo, el único mediador, II, 246-248.

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16

“redenzione soggettiva”75

, che tende a consolidare una visione astratta e impersonale della

redenzione. In particolare, Bordoni, parlando di “causalità personale”, sottolinea il fatto che la

redenzione è un incontro tra persone, e quindi deve essere trattato con categorie che rispettino la

natura personale di questo rapporto76

. A suo parere, sarebbe vantaggioso sostituire la classica

distinzione (tra redenzione oggettiva e soggettiva)77

, con il binomio “offerta-accettazione” della

salvezza. Dal momento che la redenzione è soprattutto «dono gratuito di sé da parte di una persona

ad un'altra, mediante il quale la seconda riceve la chiamata a liberarsi dalla propria chiusura [...], il

termine “redenzione oggettiva” può, allora, esprimersi in termini personali, come l'offerta di amore

che irrompe nella nostra vita, da quella persona»78

. Il teologo romano comprende questo tipo di

causalità alla luce del mistero della risurrezione di Cristo, che racchiude in sé il trascendente amore

di Dio rivelato nella croce e nella vita di Gesù. «È mediante la risurrezione che l’amore del

Crocifisso mi viene incontro qui e ora, personalmente, modificando la struttura interpersonale della

mia esistenza e operando efficacemente in favore della mia libertà»79

. In questo modo la “causalità

personale” può essere ricondotta alla dinamica trinitaria della communicatio personae Christi, dove

l'invito a seguire Cristo mediante la parola esteriore risuona interiormente per la presenza operante

di Cristo risorto, e simultaneamente concede alla libertà umana la possibilità di accoglierla nello

Spirito80

. La causalità “personale” sembra un modo interessante di attualizzare l'approccio

tradizionale.

III. La riflessione sull'opera redentiva

75

Secondo il modello attribuito a M. J. Scheeben. «Da allora –afferma Bordoni– la teologia ha pensato la categoria

dell’efficacia causale come un processo in due momenti: nel primo (la redenzione oggettiva) Cristo avrebbe costituito,

con la sua vita e la sua morte, come un deposito di forza redentrice, già completo per sempre; mentre nel secondo

momento (redenzione soggettiiva) avrebbe luogo l’attuazione di questa energia lungo il corso della storia, per tutti gli

uomini. In modo che i meriti acquisiti una volta per sempre dal redentore, siano comunicati a ciascun credente». Gesù

di Nazaret, III, 488. Nell’ ultima frase l’autore sta citando A. D’ALÈS, De Verbo Incarnato, Paris 1930, 379.

76

BORDONI, Gesù di Nazaret, III, 487-490.

77

«È il modello stesso di pensiero oggetto-soggetto che attualmente tende ad essere oggetto di critiche: esso cerca,

effettivamente, di spiegare la redenzione con categorie importate dall’ambito della natura impersonale e fisica». Ibidem

78

Ibidem, 489.

79

Ibidem, 496.

80

«Nello Spirito di Cristo Risuscitato, si supera tutto l’oggettivismo e soggettivismo della redenzione, perché in

Lui non solo la parola del kerigma acquisisce forza comunicativa per la presenza personale del Salvatore, ma anche lo

stesso soggetto umano è costituito soprannaturalmente come partner del dialogo della rivelazione, capace di accogliere

e rispondere, aprendosi nella propria intimità, all’offerta di salvezza». Ibidem, 498.

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17

Per introdurre questa sezione può essere utile fare riferimento a San Tommaso. La sua quaestio:

“De modo efficiendi Passionis Christi”81

ha avuto grande risonanza nei trattati classici di

soteriologia. Il santo teologo esamina come la passione di Cristo produca frutti di salvezza e offre

cinque modi di efficacia salvifica: il merito, la soddisfazione, il sacrificio, la redenzione,

l'efficienza. Sono nessi causali che legano la salvezza dell'uomo all’opera redentrice di Cristo, e

definiscono gli ambiti di relazione tra queste due realtà. Nella recente soteriologia queste aree non

sono scomparse, ma sono state sottoposte ad una “inversione di tendenza”, come abbiamo

sottolineato in precedenza. Considerata come opera di Dio in Cristo, la croce rimanda alla bontà

compassionevole di Dio che assume la sofferenza, che porta in sé il peccato umano, che si dona

vincendo le nostre resistenze, che ci libera dal nostro egoismo e che ci rende partecipi della sua

resurrezione82

. Useremo queste prospettive per strutturare la sezione; essa cercherà di esporre alcuni

aspetti di interesse delle più recenti riflessioni sull’opera redentrice83

, e per fare ciò ci ispireremo

liberamente a queste categorie tomiste.

Un'altra osservazione è anche necessaria. Spesso, si è sottolineato che non è possibile isolare un

singolo mistero della vita di Gesù per erigerlo ad unica causa di salvezza. Ciò che ci salva è la

venuta di Cristo, considerata nella sua interezza: dalla sua Incarnazione alla sua gloriosa

Ascensione, con l'invio del suo Spirito. Ciascuno dei suoi misteri possiede un’ efficacia salvifica

specifica che viene rivelata solo a partire dell’unità del senso della venuta di Cristo. Niente è in

eccesso o è inefficace nella vita di Cristo. Tuttavia, per motivi pratici, può essere attribuita

l'efficacia salvifica di Cristo alla sua croce o al suo mistero pasquale84

. Non si cade nell’errore

perché «donando la propria attività, i propri pensieri e sentimenti, l'uomo fa certamente dono di sé,

però nella morte più che consegnarsi in una serie di atti, si consegna direttamente nel proprio

essere»85

, e perché «la risurrezione di Cristo è la risurrezione dei morti: per essere intesa deve

sempre rinviare alla morte sulla croce»86

. Ma se è legittimo riassumere il senso della vita di Gesù

81

SAN TOMMASO D’ACQUINO, Summa Theologica, III pars, q. 48: De modo efficiendi passionis Christi.

82

Una soteriologia matura deve saper integrare tutti questi aspetti discendenti ed ascendenti. Deve così

comprendersi l’osservazione della Commissione Teologica Internazionale: «Un certo numero di teologi cattolici

contemporanei stanno cercando di mantenere in tensione i temi “ascendente” e “discendente” della soteriologia».

Questioni scelte, III, b) 37 [CTI, Documenti: 1969-1996, 535].

83

Ciò che nel mondo anglosassone si suole definire salvific work of Christ.

84

Oltre al fatto che il mistero pasquale possiede un’essenza ed uno statuto che non hanno gli altri misteri. Infatti,

propriamente, in esso si compie l’opera salvifica che gli altri misteri annunciano ed avviano.

85

J. GALOT, Gesù Liberatore, LEF, Firenze 1978, p. 265.

86

SERENTHÀ, Gesù Cristo, 349.

Pag. 17/40

18

nel mistero della croce, non si deve mai dimenticare che questa è una sintesi e si sta concentrando

tutto il mistero in una delle sue parti. Non è corretta, quindi, una lettura di questa “parte” che rompa

l'unità con le altre o non concedere a queste altre uno spazio adeguato.

a) La Croce rivelazione dell'amore di Dio

«La radice del merito è la carità», dice San Tommaso87

. Se trascuriamo i riferimenti alla visione

classica, dobbiamo riconoscere che la teologia recente ha utilizzato poco il linguaggio del merito. In

parte perché solo in un senso improprio si può riferire il merito all'azione di Dio, e anche perché

all’interno del diffuso linguaggio dell’amore può essere implicato il criterio di merito. In ogni caso,

se vi è una parola usata in soteriologia è questa: “amore”. C'è una convinzione fondamentale che «la

salvezza è legata all'amore»88

. Filosofi e teologi cristiani hanno sviluppato questa affermazione a

partire da posizioni personaliste89

: il potere che redime l’uomo è l'amore, perché senza la capacità di

amare, senza un “tu” che lo accetti e approvi, l'uomo è sempre troncato. Giovanni Paolo II ha

espresso brillantemente questo concetto: «L'uomo non può vivere senza amore. Egli rimane un

essere incomprensibile a se stesso, la sua vita è priva di senso se l'amore non si rivela, se non si

incontra l'amore, se non lo sperimenta e lo fa proprio, se non vi partecipa vivamente»90

. Quindi, la

salvezza che Cristo offre deve essere sotto il segno dell'amore; deve essere una manifestazione di

amore e una comunicazione che permetta alle persone di riacquistare la loro capacità di amare.

Se la venuta di Cristo è la grande manifestazione dell'amore di Dio, la sua croce è in particolare

il momento più radicale ed estremo di questo amore. Tale affermazione chiara e comune nella

teologia incontra, tuttavia, il problema della presentazione della croce sotto il segno della giustizia

vendicativa, comune nella tradizione protestante e, talvolta, anche nella teologia e retorica

cattolica91

. Si è così potuta presentare la partecipazione del Padre nell’evento della croce in modo

87

SAN TOMMASO D’ACQUINO, Summa Theologica, III pars, q.48, a.1, 3.

88

Questo è stato formulato da J. Ratzinger nel 1972 in un suo intervento durante un Congresso di teologia. Cfr. J.

RATZINGER, Questioni preliminari ad una teologia della redenzione, in AA.VV., Redenzione ed emancipazione, 187.

89

Il tema è stato molto trattato e comprende, tra molti altri, i nomi di G. Marcel, J. Pieper, R. Spaemann. E anche

K. WOJTYLA, Persona y acción, Editorial Católica, Madrid 1982.

90

Enc. Redemptor Hominis, 10.

91

Cfr. il dossier già classico di SESBOÜE, Jesucristo, el único mediador, I, 59-97. «La croce non è piuttosto il segno

di un Dio crudele, collerico, violento, che necessita di un capro espiatorio e che sacrifica il proprio Figlio come prezzo

da pagare per la riconciliazione?» W. KASPER, La Croce come rivelazione dell'amore di Dio, «Lateranum» 73 (2006),

420.

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19

passivo, sottolineando in particolare l’esigenza del sacrificio imposto al Figlio, con inflessibile

volontà, al fine di ottenere una riparazione per i peccati dell'umanità92

. In questo senso è stato posto

l’accento eccessivamente sulla giustizia retributiva, piuttosto che sull’amore e sulla misericordia.

Ma, leggendo con attenzione la Scrittura emerge chiaramente che non vi è passività da parte del

Padre; infatti, il Nuovo Testamento considera la croce a partire dall'unità d'amore del Padre e del

Figlio93

. Contrariamente a quanto avvenuto per Isacco, Dio non ha voluto salvare il proprio Figlio,

ma lo ha dato per noi94

, coinvolgendosi profondamente nel dramma del Calvario. Lui, in prima

persona, ha assunto l'onere di salvare l'uomo dal pesante fardello del peccato. Ha assunto questo

peso con tutte le sue conseguenze, mostrando una generosità e un amore oltre ogni misura. «Dio

permette che la sua fedeltà gli domandi il suo Figlio, la sua stessa vita»95

. Il Crocifisso ci dice che

«questo Dio apparentemente debole è il Dio che perdona senza misura, è il Dio tanto più forte

quanto più sembra impotente»96

.

Tra le dimensioni di questo amore, per lo più evidenziate nel contesto contemporaneo, vi è

l'assunzione della sofferenza. Nella kenosi della croce, efficacemente descritta nell’inno della lettera

ai Filippesi, ha il suo punto di arrivo tutta la teologia del Dio vicino, compassionevole e

misericordioso, del «Padre degli orfani» (Sal 68,6) , che sempre accompagna l'uomo nel suo dolore

e nella sofferenza. Sia che si faccia riferimento al libro di Giobbe, ai passi del Deutero-Isaia, alla

storia di Geremia o alla impressionante teologia di Osea, che riconosce la santità di Dio come

disponibilità al perdono, in tutti questi casi Dio mostra sempre la sua pazienza compassionevole97

.

In ogni situazione, anche nella notte oscura della sofferenza, Dio dimora con gli uomini: è l'aiuto

della vita, il padre degli orfani. Per lui «la storia della salvezza è totalmente compenetrata da questa

domanda preoccupata: Dove sei popolo mio? Dove sei, uomo? Ritorna da me!»98

. È l’inquietudine

92

Cfr. J. GALOT, La paternité divine: révélation et engagement, «Gregorianum» 79 (1998), 708-709.

93

Non solo il corpus giovanneo possiede questa prospettiva, ma anche San Paolo mostra che considera la croce

solo a partire da questa unità (cfr. Gal 2,20; Rm 5,8; 8,32). Cfr. K. ROMANIUK, L'amour du Pere et du Fils dans la

soteriologie de saint Paul, Biblical Institute Press, Rome 1974.

94

Cfr. Rm 8,32.

95

J. RATZINGER, Cerco il tuo volto, Dio. Meditazioni nel corso dell'anno liturgico, Edizioni paoline, Roma 1985,

22.

96

J. RATZINGER, La sal de la tierra. Cristianismo e Iglesia católica ante el nuevo milenio: una conversación con

Peter Seewald, Palabra, Madrid 1997, 30.

97

Cfr. F. COURTH, Un Dios que sufre con el hombre. Sobre la identidad de la fe en Dios Trino, in J. MORALES

MARÍN et al. (eds.), Cristo y el Dios de los cristianos. Hacia una comprensión actual de la teología, Servicio de

Publicaciones de la Universidad de Navarra, Pamplona 1998, 354-358.

98

Ibidem, 357.

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20

che si è fatta carne, che si fa evento sul Calvario. Dio nella sua ricerca dell’uomo, non ha voluto

stare lontano dai mali di questo mondo, che sono propri solamente dell'uomo e delle creature. Si è

vincolato con la nostra storia nel suo Figlio e nello Spirito Santo. Nella notte oscura della vile

esecuzione di Gesù Cristo, il Santo e Onnipotente Dio, senza cessare di essere tale, si è fatto

compartecipe «degli umiliati e offesi, degli oppressi e sfruttati»99

. Facendosi vittima di tale

sofferenza e aprendola alla speranza, ha risposto, in modo pratico, alla questione fondamentale della

sofferenza innocente. Il dolore e la morte non hanno l'ultima parola, sono il cammino verso la

trasfigurazione e resurrezione eterna.

Queste considerazioni mostrano la sofferenza della croce come la massima solidarietà di Dio

con la storia della sofferenza dell'umanità100

. Il Crocifisso è qui, in modo eccellente, «Dio con noi»

(Is 7,14), «uomo dei dolori, esperto nella sofferenza» (Is 53,3), portatore dell’immenso amore

divino che cerca l'uomo perduto, che si rivolge agli indigenti ed ai diseredati. «La croce, Giovanni

Paolo II ha detto, è il più profondo chinarsi della Divinità sull'uomo e su tutto ciò che l’uomo,

specialmente nei momenti difficili e dolorosi, chiama il suo destino infelice»101

. È evidente il valore

della solidarietà di Cristo con il nostro destino102

, per condividere, aiutarci e sostenerci, perché fino

a questo arriva l’amore. La legge di Cristo, dice S. Paolo, si esprime nel fatto di “farsi tutto a tutti

per guadagnare tutti” e “portare gli uni i pesi degli altri”103

, come la sofferenza di Cristo ha

sopportato le nostre. Così la solidarietà del crocifisso diventa via della misericordia divina, perché,

riconoscendoci persona amata, si innesca nell’uomo una potente spinta alla conversione e all'amore.

La salvezza è infatti legata all'amore.

b) La Croce come assunzione del peccato del mondo

99

Ibidem.

100

Cfr. BORDONI, Gesù di Nazaret, III, 484.

101

GIOVANNI PAOLO II, Enc. Dives in Misericordia, 8. E continua: «la croce è come un tocco dell’eterno amore

sopra le ferite più dolorose dell’esistenza terrena dell’uomo».

102

Sulla dimensione cristologica di questa categoria cfr. SESBOÜE, Jesucristo, el único mediador, I, 127-131; 416-

426; II, 313-315; KASPER, Jesús el Cristo, Salamanca, Sígueme 2002, 347-365; GALOT, Gesú liberatore, 284-292. Più

in generale, I. SANNA, La solidarietà. Aspetti teologici in Carità e politica, la dimensione politica della carità e la

solidarietà nella politica, EDB, Bologna 1990, 207-221; L. BOISIO, Solidarietà in S. GAROFALO (a cura di), Dizionario

del Concilio Ecumenico Vaticano II, UNEDI, Roma 1969, col. 1862-1864; R. COSTE, Solidarité in Dictionnaire di

Spiritualité, XIV, Beauchesne, Paris 1990, 999-1006.

103

Cfr. 1Cor 9,19 e Gal 6,2.

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21

La categoria tomista di soddisfazione si colloca nel campo della pena e dell’onere del peccato

umano. La sua espressione più importante si deve a Sant’Anselmo nel suo Cur Deus Homo104

. La

sua tesi parte dalla gloria di Dio che si riflette nell'ordine del mondo. La rottura di questo ordine è

un affronto al Creatore. Ma poiché l'uomo è una creatura preziosa ai suoi occhi, Dio non lo

abbandona al suo destino e gli dà una via di salvezza, che non consiste nella pura misericordia,

poiché il Dio perfetto deve anche esprimere l'infinita giustizia dei propri atti. Si richiede all’uomo

una riparazione per compensare il danno commesso, ma l'uomo non può farlo da solo; infatti, come

può l'uomo dare qualcosa a Dio e compensarlo, se tutto quello che ha lo ha ricevuto da lui? E per

questo Dio ha mandato il suo Figlio per compiere questa riparazione. Il dono che Cristo fa della sua

vita è veramente un dono realizzato a nostro nome, giacché, a causa della sua santità, Cristo non era

soggetto alla legge della morte. Ripara, quindi, con la sua morte il reato umano.

La novità e la coerenza con cui il santo arcivescovo presentò la sua riflessione garntì al Cur

Deus Homo un posto privilegiato nella teologia della redenzione per parecchi secoli. Ultimamente

però la modifica dei parametri introdotti dal pensiero moderno nella cultura e nella teologia, ha

indebolito l’efficacia del suo approccio, dando origine al recente dibattito sul valore e sui limiti

della sua esposizione105

. Oggetto centrale delle critiche è il rischio che, seguendo le argomentazioni

di Anselmo, si incorra in una presentazione non corretta di Dio. Il Dio presentato da Anselmo non

sarebbe il Dio della rivelazione cristiana, «ma piuttosto uno stereotipo mitologico di un Dio geloso

e arrabbiato che richiede il risarcimento “per la giustizia” anche a spese del sangue innocente del

suo Figlio»106

. Non tutti, però, sono d'accordo. Tracciando lo status quaestionis di tale discussione,

M. Serenthà osservava nel 1980 che il giudizio dei vari autori andava «dal rifiuto radicale alla più

104

S. ANSELMO, Cur Deus Homo [J. ALAMEDA (ed.), Obras Completas de San Anselmo, vol I, BAC, Madrid 1952,

739-891]. 105

Tra la bibliografia recente segnaliamo: N. ALBANESI, Cur Deus Homo: la logica della redenzione. Studio sulla

teoria della soddisfazione di S. Anselmo arcivescovo di Canterbury, Pont. Univ. Gregoriana, Rome 2002; D. J. BILLY,

Anselm of Canterbury's Meditatio Redemptionis Humanae, «Studia Moralia» 42 (2004), 391-410; D. DEME, The

Christology of Anselm of Canterbury, Aldershot (UK) - Burlington (VT), Ashgate 2003; M. DENEKEN, Le salut per la

croix dans la theologie catholique contemporaine: 1930-1985, Cerf, Paris 1988; A. DUCAY, Dios Padre en el Cur Deus

Homo de San Anselmo, in AA.VV., El Dios y Padre de nuestro Señor Jesucristo, Eunsa, Pamplona 2000, 151-163; S.

R. HOLMES, The Upholding of Beauty. A Reading of Anselm's Cur Deus Homo, «Scottish Journal of Theology» 54

(2001), 189-203; V. HUERTA, Libertad, pecado y redención en el pensamiento teológico de S. Anselmo, «Excerpta et

Dissertationibus in Sacra Theologia» 23 (1993), 101-152; A. MILANO, Croce e Trinità: la questione storico-teologica

ed il caso di sant'Anselmo di Aosta, «Ricerche Teologiche» 14 (2003), 273-317; R. NARDIN, Il Cur Deus Homo di

Anselmo d'Aosta. Indagine storico-ermeneutica e orizzonte tri-prospettico di una cristologia, PUL, Roma 2002; A.

OREZZO, Il “Cur Deus Homo” di S. Anselmo, «Rassegna di Teologia» 39 (1998), 889-898; M. SERENTHÀ, La

discussione più recente sulla teoria anselmiana della soddisfazione- Attuale 'status quaestionis', «La Scuola Cattolica»

108 (1980), 344-393; N. VARISCO, Per una lettura del 'Cur Deus Homo' di Anselmo di Aosta, «Rivista di filosofia neo-

scolastica» 90 (1998), 121-124.

106

BORDONI, Gesù di Nazaret, III, 365. Cfr. La presentazione succinta di queste critiche in BABINI, Per un

ripensamento, 694-702.

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22

vigorosa difesa»107

. Dal dibattito si possono dedurre, in ogni caso, alcune conclusioni: Anselmo

comprese la sua visione nel contesto della razionalità della fede e cercò di dare argomenti che

servissero sia ai cristiani che ai pagani108

; spesso ciò che si critica è una visione distorta e positivista

del suo pensiero109

, che, indubbiamente, fu forgiato nel contesto della società medievale del suo

tempo110

. Infatti, esso presenta correttamente e con grande vigore intellettuale la logica dell'atto

redentivo, come ritorno del mondo all'amore di Dio operato “dal di dentro”, attraverso il dono del

consegnarsi del Dio-uomo. Tuttavia, alcuni aspetti fondamentali non sono inclusi nel suo

approccio111

: in particolare, dà poco spazio al carattere filiale di Cristo, alla risurrezione ed alla vita

di Gesù, al fatto che furono i malvagi coloro che condannarono il Signore. Così l'approccio di

Anselmo risulta poco adatto per presentare la dimensione trinitaria della croce, il senso complessivo

della venuta di Cristo e la dimensione storica della salvezza.

Alla scomparsa dell’ordo medievale e giungendo al forte individualismo moderno, si

accentuarono gli aspetti giuridici in chiave nominalista e si giunse a pensare che nella croce si

attribuissero estrinsecamente a Cristo i peccati degli uomini112

, questa teoria ebbe un ruolo

importante nella visione dei riformatori protestanti. A differenza di Anselmo che collegava la

soddisfazione all'offerta gratuita della vita di Gesù, Lutero comprende la croce come il luogo dove

Gesù si fece carico dei nostri peccati e patì l’ira di Dio. Qui non si tratta della lode e della gloria che

107

SERENTHÀ, La discussione recente, 345. Cfr. anche G. BIFFI, Soddisfazione vicaria o espiazione solidale?, in

Miscellanea Figini, Venegono 1964, 643-663.

108

Secondo l’interpretazione di M. Corbin (Lettre sur l'incarnation du Verbe. Pourquoi un Dieu-homme, in

L'oeuvre d'Anselme de Cantorbéry, vol. III, Cerf, Paris 1988, 11-163) la preoccupazione di Anselmo è mostrare

l’identità in Dio tra la giustizia e la misericordia, e pensare entrambe in modo tale che non possa concepirsi nulla di

maggiore. Gradualmente conduce il suo interlocutore, Bosone, a scoprire la profondità di questa armonia divina, da cui

scaturisce il cammino di redenzione. Mostrando così la grandezza di questo Dio Anselmo cerca di portare alla

conversione Bosone.

109

«Sant’Anselmo non è un uomo di diritto, ma un contemplativo, che parte dalla realtà di Dio come amore e

giustizia, come volontà ed intelligenza la cui azione risponde sempre alle esigenze oggettive. L’azione mai è arbitraria o

violenta. La sua opera risponde ad un criterio di giustizia, rettitudine e correttezza. Il fatto dell’incarnazione e morte di

Gesù corrisponde ad un ordine di realtà. L’azione di Gesù si lega all’ordine dell’essere. La redenzione va al passo con le

esigenze della creazione. La storia si misura sull’ordine dell’essere». GONZÁLEZ DE CARDEDAL, La soteriología

contemporánea, 280-281.

110

Segnala W. Kasper che la teoria fu elaborata nel contesto dell’ordine germanico dell’epoca, il quale è fondato

sulla relazione di reciproca fedeltà tra signore e vassallo: «il vassallo riceve dal signore il feudo e la protezione e, con

esso, una parte del pubblico potere; il signore riceve dal vassallo la promessa di adesione e servizio. Pertanto, il

riconoscimento dell’onore del signore è la base dell’ordine, della pace, della libertà e del diritto». KASPER, Jesús el

Cristo, 355-356.

111

«Riducendo tutta l’opera redentrice alla soddisfazione, la teoria soffre di una certa miopia, dal momento che

pretende di spiegare e giustificare l’opera redentrice solo in funzione del peccato». M. PONCE CUÉLLAR, Cristo, siervo y

Señor, EDICEP, Valencia 2007, 319-320.

112

Ibidem.

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23

Cristo dona al cuore del Padre per riparare il peccato, ma piuttosto del fatto che la punizione di Dio

non è imposta ai colpevoli, ma al solo giusto, Gesù (sostituzione vicaria). Il che porta

necessariamente ad una prospettiva diversa da quella anselmiana. Lutero infatti considera l'evento

della croce come manifestazione della salvezza, la quale però viene eseguita in modo dialettico: Dio

mostra la sua misericordia dando spazio alla sua ira113

. Ciò che avviene in Gesù Crocefisso è il

giudizio di Dio sul peccato, per questo la sua morte è la manifestazione dell’ira divina. Dio salva in

realtà ma sotto le apparenze della condanna (theologia crucis luterana). In questa posizione si

riconosce ancora l’ortodossia protestante114

, anche se oggi c'è un forte dibattito all'interno di essa115

.

Smile presenta sinteticamente i problemi: la stranezza di dire che Dio si placa con se stesso, la

difficoltà di allontanare l'idea che Dio deve essere persuaso al perdono, l'affermazione che Cristo è

stato punito al posto dei peccatori. Chi sostiene questo tipo di sostituzione vicaria tende a dire che

tutto questo non è esatto, e si tratta di cattive interpretazioni, ma, tuttavia, rimane aperta la questione

se esista un linguaggio che non faccia sorgere equivoci. La domanda di fondo sembra essere: Gesù

prende in sé il giudizio di Dio sul peccato, o semplicemente va a fondo, fino alle sue ultime

conseguenze, di un mondo che è dominato dal peccato?116

In ambito cattolico chi più ha sostenuto l'idea della sostituzione è stato H. U. von Balthasar117

.

Il teologo svizzero riprende le idee della riforma sul giudizio di Dio che si compie in Cristo, ma le

integra in un quadro originale, nel quale l'ira che scende su Cristo per eliminare il peccato del

mondo, si lega all’amore kenotico iscritto nella Trinità delle Persone divine. Attraverso un concetto

di amore come espropriazione e rinuncia di sé, come abbandono e consegna all’altro, Balthasar

riesce a presentare l'assunzione da parte di Cristo di tutti i peccati umani come una forma di amore

113 Su questi aspetti risulta sempre utile W. L. VON LÖWENICH, Theologia crucis. Visione teologica di Lutero in

una prospettiva ecumenica, Dehoniane, Bologna 1975. E anche A. E. MCGRATH, Luther's theology of the cross. Martin

Luther's Theological Breakthrough, B. Blackwell, New York 1985.

114 Fu anche la posizione di K. Barth: «in Gesù –dice– vediamo il peccato, però come condannato. Ecce Homo:

guarda ciò che è l’uomo! Il nemico di Dio, e per questa ragione –chi potrà resistere a Dio?- schiacciato dalla collera

divina» (Traduciamo dalla versione inglese: Credo, Scribner, New York 1962, 90).

115

Indicazioni sulle diverse posizioni si trovano in I. H. MARSHALL, Aspects of the Atonement. Cross and

Resurrection in the Reconciling of God and Humanity, Paternoster Press (London) - Colorado Springs (CO), Hyderabad

2007, 1-9.

116

T. SMILE, Once and for All. A Confession of the Cross, London, DLT 1998, 80-99.

117

Cfr. H. U. VON BALTHASAR, Teodramática, 5 vols., Encuentro, Madrid 1990-1995. In una direzione analoga,

ma più promettente di quella del teologo svizzero, cfr. N. P. HOFFMANN, Kreuz und Trinität. Zur Theologie der Sühne,

Johannes-Verlag, Einsiedeln 1982. Una comparazione tra i due autori in F. G. BRAMBILLA, Redenti nella sua croce.

Soddisfazione vicaria o rappresentanza solidale?, in F. G. BRAMBILLA et al., La redenzione nella morte di Gesù, San

Paolo, Cinisello Balsamo 2001, 15-83 (in particolare: 50 ss.).

Pag. 23/40

24

assoluto118

. Dio, quando ha voluto sollevare e sanare l'uomo dal di dentro, ha dovuto mettere

l'accento precisamente sulla peccaminosità e sulla caducità dell’uomo, nella povertà e tristezza per

la sua separazione da Lui. Così Cristo, venuto nel mondo nella nostra carne peccaminosa, prende su

di sé il peccato e soffre davvero ciò che il peccatore merita, cioè la separazione da Dio, fino alla

separazione più completa e finale che è inerente al peccato: l’oscurità della morte eterna119

. Ma

questo dramma, incentrato sulla sostituzione vicaria di Cristo, non è altro che l’attuazione nella

storia dell’amore assoluto del Padre che si separa dal Figlio e lo lascia andare su questa strada di

abbandono, amore assoluto del Figlio che si sottomette con disponibilità totale al volere del Padre e

infine amore assoluto dello Spirito che mantiene l'unità delle due persone divine in lontananza e

separazione “economica”. Così Dio condivide la contraddizione della situazione dell’uomo nella

condizione di peccato: diventando uomo Egli si allontana da se stesso, e allontanandosi da sé mostra

l'amore che egli è.

Questa visione mistica di Dio, espressa in termini di abbandono e di sostituzione penale, non è

stata priva di critiche. Essa si fonderebbe più sull'esperienza mistica privata120

che nella Scrittura e

nella tradizione121

. Si forza, forse, la realtà dell'amore, con le categorie che provengono

dall’esperienza della nostra condizione decaduta e applicandole a Dio si cerca di aprire in Lui lo

spazio necessario per il dramma della salvezza122

. Si utilizza una visione di sostituzione di matrice

luterana che non convince fino in fondo. Come Remy nota: «La contraddizione che riguarda le

relazioni trinitarie, a seguito dell’incarnazione nella carne del peccato, ha come luogo e soggetto

l'umanità nella quale si abbassa il Figlio. Ma il peccato di cui è rivestito per questo motivo, e che lo

allontanerebbe da Dio, non lo fa realmente. Al contrario lo avvicina interiormente, giacché è

118

Cfr. G. REMY, La déréliction du Christ: terme d'une contradiction ou mystère de communion?, «Revue

Thomiste» 98 (1998), 93.

119

Si domanda Von Balthasar: «Non c’è qualcosa come un misterioso farsi carico da parte di Cristo del peccato del

mondo, che certamente non ha commesso, ma la cui essenza e gli effetti Egli riceve e sperimenta nella sua ora –l’ora del

Padre e allo stesso tempo delle tenebre? Non c’è forse come un’identificazione del Redentore con i suoi fratelli, con i

peccatori, in un modo tale che Egli non voglia distinguersi da essi di fronte a Dio, fino al punto di attrarre sopra di Sé,

come un parafulmine, il giudizio di Dio sopra la realtà dell’antidivino del mondo?». Gesù ci conosce? Noi conosciamo

Gesù?, Morcelliana, Brescia 1981, 33.

120

Mi riferisco in particolare alla dipendenza della teologia di Balthasar dalle esperienze mistiche di A. von Speyr.

Cfr. H. U. VON BALTHASAR, Adrienne von Speyr e sa mission théologique, Paris - Montreal 1976.

121

Cfr. G. REMY, La substitution. Pertinentia ou non-pertinentia d'un concept théologique, «Revue Thomiste» 94

(1994), 585-596.

122

Ibidem, 585-587. «In una parola l’abbandono può servire da categoria comune a Cristo e al peccatore da

permettere il meccanismo della sostituzione?» (p. 599). «La trasposizione della kenosis a livello intratrinitario, il rigido

gioco della sostituzione al livello economico, non conducono sull’orlo di una mitizzazione?» (p. 600).

Pag. 24/40

25

segnato da un’obbedienza che conduce il Figlio alla più piena auto-spoliazione»123

. Ma poi, in

definitiva, «il Cristo è estraneo al “no” del peccato, perché è il “sì” a Dio in persona»124

. C'è sempre

un elemento che impedisce l'identificazione di Cristo con il peccato, perché quanto più sembra

concentrare il peccato in se stesso, tanto più risulta evidente che solo la sua santità ed assenza di

peccato possono essere la causa della distruzione di quest’ultimo. Inoltre, anche se Balthasar

presenta la sostituzione in senso inclusivo125

, come incorporazione a Cristo, al fine di evitare la

posizione che l'uomo non è cooperatore alla propria salvezza, si ha l'impressione che la libertà e la

storia umana siano, per così dire, risanate dell'amore assoluto di Dio, senza un intervento

sostanzialmente umano126

.

A differenza di Balthasar, la maggior parte dei teologi cattolici evitano di introdurre una

dialettica intratrinitaria, e fondano l'opera della redenzione sull'unità d'amore tra il Padre e il

Figlio127

. Ugualmente si segue la prospettiva tradizionale che non enfatizza la giustizia vendicativa:

l'amore del Padre è presente in Cristo, come san Tommaso128

ha detto. Si sottolinea la priorità della

dimensione discendente dell'iniziativa e dell’opera della Trinità, ma si segnala anche la dimensione

ascendente quando si parla della convenienza di un intervento di riparazione. Questa categoria è

preferita alla tradizionale di soddisfazione, perché «più generale» e perché «include quanto di

comune c'è nei termini di redenzione, soddisfazione, merito, sacrificio, carità, liberazione,

123

IDEM, La déréliction, 82.

124

Ibidem.

125

Cfr. IDEM, La substitution, 559-600. Praticamente tutto l’articolo si riferisce all’uso di questa nozione in Von

Balthasar.

126

M. SCHUMACHER, The Concept of Representation in the Theology of Hans Urs von Balthasar, in «Theological

Studies», 60 (1999), 62-63. In quest’ultima pagina, afferma: «Balthasar insiste forse troppo unilateralmente in una

soluzione al problema dall’alto. La dinamica Creatore-creatura si dissolve nell’eterno dramma tra il Padre ed il Figlio,

con l’obbedienza di quest’ultimo che tende a sostituirsi Egli stesso alla relazione tra Dio e l’uomo più che integrarla in

sé».

127

Quest’unità appare ben presente nel finale del Cur Deus Homo, mostrando così la sua diversità rispetto alla

presentazione luterana: «In riferimento alla misericordia di Dio, che pareva sul punto di venir meno quando

consideravamo la giustizia di Dio ed il peccato dell’uomo, la incontriamo tanto grande e tanto conforme alla giustizia,

che non si può pensare nulla di maggiore, nulla di più giusto. Perché che cosa può pensarsi di più misericordioso che

un peccatore condannato ai tormenti eterni, e senza potersi redimere da solo, gli venga detto da Dio Padre: “Ricevi il

mio Unigenito e offrilo per te”, e il Figlio a sua volta: “Prendimi e compi la tua redenzione”? Questo viene a dirci

quando siamo chiamati alla fede cristiana e siamo attratti da essa». S. ANSELMO, Cur Deus Homo, L II, c. XX, [IDEM,

Obras Completas, vol I, BAC, Madrid 1952, p. 887].

128

Dopo aver risposto affermativamente alla domanda se Dio ha consegnato Cristo alla passione, San Tommaso si

domanda nella Summa Teologica se questa azione non costituisca un atto crudele da parte del Padre. «No, –risponde–

perché fu lo stesso Padre ad ispirare nel Figlio la volontà di patire per noi». III pars, q. 47, a. 3, ad 1°.

Pag. 25/40

26

espiazione»129

. È anche un modo per evitare l'idea di una giustizia commutativa, con la difficoltà,

che ne conseguirebbe, nell'indicare il ruolo attivo del Padre. La riparazione, in ogni caso, è

giustificata dall'amore del Padre: «c'è stata una richiesta di riparazione perchè il Padre nel suo

amore desiderava la collaborazione dell’uomo nella salvezza e ha voluto dare all'uomo il potere di

riparare. La redenzione è stata l’opera del Figlio di Dio, perché il Padre ha voluto dare il proprio

Figlio: in questo modo è stato il primo a pagare il prezzo di riparazione. Cristo è morto, perché il

Padre non ha esitato a darlo in sacrificio in favore degli uomini. Fornendo Egli stesso la riparazione

che richiedeva, il Padre ha sottolineato la gratuità dell’opera della salvezza»130

. È Cristo, tuttavia,

che ha effettuato l’opera, attraverso la pena ed i dolori, in riparazione per i nostri peccati, anche se

per Lui non ha propriamente avuto il carattere di “pena”131

. Comunque, se la riparazione viene

compresa come l'oggetto diretto della missione di Cristo, si incorre nei problemi di linguaggio che

abbiamo segnalato prima. Sia che si parli di Cristo che si addebita il giudizio di Dio sul peccato, o

che si parli della sua riparazione, i malintesi circa l'immagine di Dio e la missione di Cristo sono

alla porta, come un segno di qualcosa di insufficiente. Manca, in effetti, la mediazione del contatto

di Cristo con il mondo deteriorato. La missione di Cristo è quella di introdurre la realtà divina nelle

profondità di un mondo dominato dal peccato, per purificarlo e fornirgli una via d’uscita. «Il

comandamento del Padre è questo: che il Figlio torni al Padre con il mondo per la cui salvezza è

stato mandato dal Padre in missione»132

. Il pro nobis della salvezza è la via per realizzare il pro

Patre. Il suo addentrarsi nel mondo fino all’ingiustizia estrema per ricostituirlo dal di dentro,

attraverso la sua umanità innocente e giusta, è l'oggetto della riparazione compiuta per l'amore del

Padre, e costituisce un’opera di riparazione solo nella misura in cui è strettamente una completa e

gratuita ricostruzione dell'umanità caduta nel peccato.

c) La Croce come donazione sacrificale

La categoria del sacrificio, la terza che considera San Tommaso nella quaestio che stiamo

seguendo, si trova in un orizzonte somigliante a quello della soddisfazione, anche se entrambi i

concetti mantengono differenze significative tra loro. Nella teologia recente è stata applicata anche

129

A. AMATO, Gesù il Signore, Saggio di cristologia, Dehoniane, Bologna 1991, 430.

130

GALOT, Gesù Liberatore, 275.

131

Assumere una pena come riparazione non è lo stesso che assumere il castigo dovuto al peccato, e non origina

una sostituzione nel castigo. Non sono concetti equivalenti: «Ille proinde qui, sine ullo debito, poenam peccati assumit

ex mera pro reo charitate, dici sane potest aliquo modo punire pro alio, nam patitur materialiter poenam alii debitam,

sed tamen illa poena non habet pro illo rationem poenae» P. GALTIER, De Incarnatione et Redemptione, Beauchesne,

Parisiis 1926, 398.

132

M. SCHUMACHER, Concept of Representation, 69.

Pag. 26/40

27

al sacrificio la prospettiva discendente. Già notavamo, quando si trattavano gli studi biblici, il fatto

che tutta l'azione sacrificale d’Israele è inquadrata nell’iniziativa divina della salvezza. Lo stesso si

deve dire ora: nel sacrificio di Cristo l'iniziativa appartiene al Padre. «Paradossalmente -nota

Sesboüé- visto che il sacrificio di sé è una categoria ascendente, il sacrificio di Gesù è vissuto

secondo un movimento discendente, che sospinge ad accettare la morte in croce per la salvezza

della moltitudine dei suoi fratelli. L’obbedienza di Gesù al Padre, la quale può essere considerata a

buon diritto come un aspetto centrale del suo sacrificio, è presentata dall’inno di Filippesi 2 come

punto estremo del suo abbassamento (v. 8). Se vogliamo andare fino in fondo a questo paradosso,

dobbiamo dire che il sacrificio di Gesù è anzitutto ed in primo luogo un sacrificio che Dio fa

all’uomo, prima di ed al fine di poter divenire un sacrificio che l’uomo fa a Dio»133

.

Si cerca, anche qui, di evitare una visione del sacrificio «come un transfert liberatorio per cui

l’umanità peccatrice verrebbe a sgravarsi delle colpe gettandole sulla vittima designata da Dio, che

verrebbe uccisa al nostro posto (sostituzione penale) per soddisfare la sete divina di giustizia»134

.

Per questa ragione, la teologia cattolica, superando sterili dibattiti sull'opportunità o meno

dell'utilizzo di questo concetto135

, ha puntato a sottolineare sempre più il fatto che la redenzione

sacrificale è il frutto e la manifestazione di una iniziativa di amore di Dio che offre se stesso nel suo

Figlio completamente, e pone quindi un’esigenza di risposta perfetta da parte dell’uomo. La

dinamica di amore guida alla comprensione del sacrificio: esso rimuove dal di dentro l'ostacolo che

il peccato costituisce perché l'amore assoluto di Dio possa radicarsi nella creatura136

.

Diverse sollecitazioni conducono a questa conclusione:

133

SESBOÜE, Jesucristo, el único mediador, II, 233. Cfr. E anche in questo senso B. HILBERATH-TH. SCHNEIDER,

Sacrificio, in AA.VV, Enciclopedia Teologica, Queriniana, Brescia 1989, 924-932.

134

BORDONI, Gesù di Nazaret. Presenza, 376.

135

L’esegeta ed il teologo devono illuminare il significato del linguaggio sacrificale, e spiegarlo in modo

accessibile a tutte le culture. Non hanno, tuttavia, la libertà di rifiutarlo o sostituirlo con altro. È sufficiente la lettura

diretta del Nuovo Testamento per rendersi conto che questo linguaggio non è uno dei tanti (qualcosa di opzionale come

sostiene I. U. DALFERTH, Christ Died for Us, en S. W. SYKES, Sacrifice, 302); né è del tutto vero che nella nostra

cultura «il concetto di sacrificio si è trasformato in qualcosa di molto equivoco e poco comprensibile, per la mancanza

di un referente nell’ambito delle nostre esperienze» (H. KÜNG, Essere cristiani, Mondadori, Milano 1976, 481); non è

neppure sufficiente l’accesso a questa categoria dell’antropologia culturale per comprendere rettamente il senso biblico

(R. GIRARD, Des choses cachées depuis la fondation du monde, B. Grasset, Paris 1978). Proposte come quella di M.

Deneken (Le salut per la croix dans la theologie catholique contemporaine: 1930-1985, Cerf, Paris 1988, 332) di

abbandonare il linguaggio sacrificale sono poco utili e costruttive.

136

BORDONI, Gesù di Nazaret. Presenza, 376-377.

Pag. 27/40

28

a) Seguendo gli studi di teologia biblica, i teologi hanno messo in evidenza il rapporto

particolare del sacrificio con il dono personale137

. Inserito nel contesto dell’Alleanza e della

giustizia salvifica di Dio, il concetto di sacrificio è vicino a quello del dono, svincolandosi così da

una visione prevalentemente giuridica. Nel contesto del pensiero biblico, l'azione salvifica di Dio

non è indirizzata principalmente al passato come un tempo di peccato e d’infedeltà, ma riguarda

piuttosto la fedeltà e la misericordia di un Dio, che dal peccato e dal giudizio divino transitorio,

conduce la storia verso una meta di grazia, e si dirige verso un futuro che deve compiersi secondo

l'intenzione originaria di Dio. Il sacrificio di Cristo si integra in questo orizzonte divino come

suprema manifestazione dell'amore di Dio, fedele alle sue promesse, che realizza in lui la sua

definitiva giustizia salvifica138

. Inoltre, si concentra in questo sacrificio la tendenza, perfettamente

distinguibile nell’Antico Testamento, di una trasfigurazione e spiritualizzazione del sacrificio139

:

più che gli aspetti rituali e cruenti, si favoriscono sempre più gli atti interiori di obbedienza e di

amore. Così, S. Paolo riassume la teologia del sacrificio di Cristo nel dono di sé140

e S. Giovanni, in

misura ancora maggiore, la presenta come il grande segno dell'amore di Dio per il mondo141

.

Specialmente per il quarto evangelista l’obbedienza e la santità di Cristo, che si offre in sacrificio,

mostra, ed allo stesso tempo attua anche storicamente, il mistero della comunione del Padre e del

Figlio. Cosicché è solo l'amore del Padre per l'umanità che conduce Gesù a donarsi come vittima di

redenzione: «Gesù si è abbandonato con immensa gratitudine alla forte corrente d'amore che fluiva

dal Padre, e così fu in grado di trasformare la sua morte, inflitta da peccatori, con la più grande

137

Un quadro della riflessione recente sul sacrificio di Cristo nell’ambito cattolico lo offre: BORDONI, Gesù di

Nazaret, III, 503-511.

138

L’integrazione del sacrificio nell’azione divina si pone chiaramente nella novità radicale del sacerdozio di Cristo

rispetto a quello dell’Antico Testamento. A. Vanhoye si riferisce ad una doppia “inversione di tendenza” nel Nuovo

Testamento: nell’Antico la posizione del Sommo Sacerdote era ambita, Cristo indubbiamente la ottiene per la via

dell’abbassamento e della morte. Inoltre, la funzione del Sommo Sacerdote si fondava sulla separazione dagli altri: era

elevato, “assunto tra gli uomini”. Cristo al contrario entra nel mondo con una solidarietà che lo assimila in tutto ai suoi

fratelli. Gesù viene da Dio e si fa uno di noi abbassandosi : di queste caratteristiche parteciperà anche il suo sacrificio.

Cfr. A. VANHOYE, Sacerdotes antiguos, sacerdote nuevo según el Nuevo Testamento, Sigueme, Salamanca 1984, 84-

102.

139

Cfr. Il dossier relativo in BORDONI, Gesù di Nazaret, III, 103-109.

140

I testi in cui si mostra che: Dio ha dato il suo Figlio per tutti noi (Rm 8,32); Cristo se è consegnato per i nostri

peccati (Gal 1,4), per la Chiesa (Ef 5,25), per noi (Ef 5,2), per me (Gal 2,20). «Si tratta di un’attitudine interiore che non

si deve intendere disincarnata dalla realtà storica della croce, ma piuttosto come l’anima interiore che dà la vita

all’intero avvenimento, qualificandolo da un lato in riferimento al Padre, come atto di amore - obbedienza attraverso il

quale Gesù ritorna a lui (esaltazione: Fil 2,9-11; Ef 4,8-10), e dall’altro in riferimento a noi» BORDONI, Gesù di Nazaret,

III, 113.

141

In misura maggiore di San Paolo, San Giovanni riconduce l’evento della croce alla categoria dell’agape,

espressamente formulata nel testo di 1 Gv 4,8-10, ma soprattutto nel complesso dei suoi scritti: Cfr. A. FEUILLET, Le

mystère de l'amour divin dans la théologie johannique, Gabalda, Paris 1972.

Pag. 28/40

29

ingiustizia e crudeltà, in un dono di amore ed in una sorgente di ogni grazia»142

. Questo completo

affidamento di Gesù all’amore di Dio e per gli uomini ha condotto Schürmann a formulare la

categoria di “pro-esistenza”, con la quale si cerca d’indicare il pro aliis dell'esistenza di Cristo143

.

b) Dal punto di vista del disegno di Dio si è cercato di dimostrare che l'effetto della rimozione

del peccato, mediante il sacrificio, non è qualcosa di estrinseco all'amore di Dio che costituisce

questo progetto, ma piuttosto una dimensione interna ad esso144

. E questo, in primo luogo, perché

nel presceglierci e predestinarci al suo amato Figlio, Dio ha legato la nostra libertà (fallibile) alla

libertà santa del Figlio. In questo modo lo spazio della nostra risposta a Dio, positiva o negativa,

rimane nell’ambito dell'amore del Padre, che si mostra nel suo Figlio disposto al sacrificio per noi.

«Il mistero di Giuda -spiega Le Guillou- consiste in questo: pur essendo situato nel cuore del

sacrificio di Gesù, che continua ad avvolgerlo con il suo amore, egli si dirige in ogni caso verso “il

posto da lui scelto” (At 1,25) come “figlio della perdizione” (Gv 17,12) [...]. Pertanto, contribuisce

alla consumazione sacrificale dell’amore salvifico»145

. Questa logica può essere applicata a tutto il

peccato, il che dimostra come il sacrificio sia la forma dell'amore di Dio, alla risposta negativa

dell'uomo: «Quanto più l'uomo orienta la sua libertà contro il piano di adozione al quale la deve,

tanto più sacrificale viene ad essere questo disegno. Il “sino alla fine” per gli uomini, a cui Cristo è

voluto arrivare nella sua Pasqua, è il punto limite che coincide, senza poterlo annullare, con il

rifiuto da parte della libertà umana»146

. Questo rapporto tra il peccato e l'amore costituisce un

linguaggio persuasivo, un invito attraente di Dio al peccatore; da questo l’uomo capisce che il

sacrificio fa parte dell’ amore generoso e disinteressato di Dio, che si lascia mettere in uno stato di

“scacco matto”. È questo che dona la redenzione e, in definitiva, la conversione del cuore, che può

essere sanato da Dio dal di dentro, e senza alcuna manipolazione della libertà. Questo dimostra

anche che il sacrificio non è la giustizia di un Dio vendicativo che cerca un riscatto del suo onore, al

contrario, è il modo per essere fedele da parte di Dio alla grazia (dell’adozione filiale) che ha dato

all'uomo creandolo. Non c'è vera tensione qui tra la giustizia e l'amore, infatti, la giustizia si misura

142

A. VANHOYE, Dio ha tanto amato il mondo. Lectio sul sacrificio di Cristo, Paoline editoriale libri, Milano 2003,

127.

143

L’esegeta tedesco si esprime così: «in Gesù di Nazaret sembra venirci incontro una persona che, al posto del

cuore egoista degli uomini, dispone di uno “spazio libero”; spazio libero dal quale scaturisce un amore radicale verso

Dio e verso il prossimo. E questo perché da questo spazio libero fluisce l’amore di Dio per il mondo». SCHÜRMANN,

¿Cómo entendió?, 148.

144

Lo mostra con particolare efficacia M-J. Le Guillou nel suo libro su El misterio del Padre, già citato.

145

M-J. LE GUILLOU, Misterio del Padre, 89.

146

Ibidem.

Pag. 29/40

30

in relazione al disegno di amore e richiede che la redenzione si compia in virtù della stessa efficacia

dell’amore147

.

c) Alla luce di quanto notato sopra è possibile fare del sacrificio il centro della dinamica

trinitaria, così come sostiene Bordoni148

. Infatti, se il Padre si dona nell’Unigenito amato, e

attraverso di lui ci consegna la sua paternità, se il Figlio si dà a noi con la sua libera consegna fino

alla morte, e per questo dono del Padre e del Figlio la storia si riempie con la fecondità dello

Spirito, allora è proprio questa consegna, il sacrificio di Cristo, che produce e introduce nella storia

l'amore delle tre persone di Dio. Dio qui è presentato come offerta d'amore e di vita, che si esprime

attraverso l'offerta di Gesù della propria vita per i peccatori. Qui, come nella visione di Le Guillou,

la sofferenza di Cristo è dovuta al contatto dell’amore con la condizione decadente dell’umanità.

Infatti, «nella misura in cui l'azione dell’Amore Assoluto entra nel mondo della creazione, genera

un dramma che raggiunge, nella passione della croce e sotto forma di lotta (tentazione), la relazione

del Figlio incarnato con il Padre»149

. Dal momento che Cristo ha assunto la condizione mortale e

sottoposta alle passioni del genere umano, dominato dalla legge dell’affermazione di sé (eros), non

elude la resistenza che questa condizione ha nel compiere la volontà del Padre150

, e non potrà

neppure sfuggire alla ribellione ostinata di coloro che preferiscono vivere nel peccato. In breve, la

strada scelta dell'amore di Dio, la generosità e la pro-esistenza assolute, non possono che innescare

un conflitto in questo mondo autosufficiente. «Per essere in grado di esprimere un'esperienza

radicalmente nuova di amore, è necessario spezzare il circolo egoista che domina l'essere umano,

perché ci si apra, nel dono, ad essere totalmente e completamente per gli altri»151

. La sofferenza

della croce rende conto di questo conflitto, in cui la morte obbediente e altruista di Cristo rende

147

Ibidem, 112.

148

BORDONI, Gesù di Nazaret, III, 511-521. 149

Ibidem, 517.

150

Tradizionalmente si è sostenuto che Cristo (e lo stesso si deve dire di Maria, sua Madre) ha posseduto una

umanità santa e giusta dal primo istante della sua concezione. Non ha avuto un’inclinazione disordinata verso se stesso.

Tuttavia, possedendo un’umanità passibile e mortale come la nostra, ha sofferto le difficoltà di questa vita, perfino in

modo più drammatico per la maggiore delicatezza e perfezione del suo spirito. Anche per lui le esigenze dell’amore di

Dio sono state costose, sebbene siano state accettate volontariamente e con gioia. Bisogna prendere atto che il tema non

ha avuto molto rilievo nella teologia recente. Alcune indicazioni in T. G. WEINANDY, In the Likeness of Sinful Flesh. An

Essay on the Humanity of Christ, T. & T. Clark, Edinburgh 1993. Utile anche la monografia di P. GONDREAU, The

Passions of Christ's Soul in the Theology of St. Thomas Aquinas, Aschendorff, Münster 2002, sulla visione di San

Tommaso.

151

BORDONI, Gesù di Nazaret, III, 517.

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31

possibile che il mondo possa ricevere la forma dell’amore di Dio. Il mondo si rinnova in una nuova

condizione di essere: «l’essere trinitario Dio»152

.

d) Redenzione, liberazione e peccato

Il linguaggio della redenzione, centrale nella soteriologia, trasmette l'idea che Gesù ha cambiato

la condizione dell’umanità, liberandola dai mali che l'affliggono, e ha ottenuto per essa la possibilità

di una felicità piena ed eterna. Questo stesso linguaggio indica anche l'aspetto gravoso dell’opera di

Cristo, che ha dovuto versare il proprio sangue per questo scopo. L'Antico Testamento accosta

l’immagine della redenzione con quella del riscatto, e fa uso di entrambe in molti contesti153

. In

continuità con l'Antico, il Nuovo Testamento considera il sangue di Cristo come “prezzo del

riscatto”154

. Ciò potrebbe dare l'impressione che il nostro riscatto esiga un pagamento, una

transazione, che avviene attraverso la morte di Cristo: un corrispettivo richiesto da Dio (o dal

diavolo155

). Con il desiderio di evidenziare il ruolo della Trinità nell'opera di Cristo, evitando queste

interpretazioni, si è cercato di sottolineare i limiti che la Scrittura pone a questa metafora del prezzo.

Dicendo che Cristo è venuto a «dare la sua vita in riscatto per molti» (Mc 10,45) si indica la

condizione di schiavitù del genere umano, insieme al fatto che Gesù ha voluto “pagare con la

propria persona”, non esitando a “gravare se stesso” con l’onere di un riscatto doloroso e caro156

. Si

tratta della generosità di un amore che non si ferma di fronte alla morte, e al tempo stesso, del

grande valore che Cristo attribuisce a tutti coloro a cui Egli dona la vita. Questa è la sostanza

dell’insegnamento biblico, e quindi non prevede di estendere la metafora riflettendo sul destinatario

di questo prezzo. Una domanda di questo tipo «è oltre i limiti della pertinenza della metafora»157

,

che non è destinata a definire la natura dell’opera di salvezza, ma ad offrire un’analogia di essa in

un particolare ambito di significato. Il prezzo, in effetti lo ha pagato Dio nel suo Figlio, ma

l'articolazione interna della metafora, che distingue l'azione economica delle persone divine, si

152

Ibidem, 518.

153

Un’esposizione sulla redenzione nell’antico Testamento con una bibliografia adeguata in G. IAMMARRONE,

Redenzione. La liberazione dell'uomo nel cristianesimo e nelle religioni universali, San Paolo, Cinisello Balsamo 1995,

66-101.

154

Cfr. Mt 27,9; 1Cor 6,20;7,23; 1Pt 1,18.

155

È ben noto che nell’antichità si giunse a pensare che questo prezzo sarebbe servito a compensare il diritto che il

diavolo aveva sui peccatori. Cfr. L. RICHARD, The mystery of Redemption, Helicon, Baltimore – Dublin 1965, 149-156.

156

SESBOUE, Jesucristo, el único mediador, I, 164.

157

Ibidem, 165.

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32

sofferma su Gesù che offrì la sua vita al Padre per i nostri peccati, e in questo senso, a causa della

filiazione di Cristo, questo prezzo è anche qualcosa di consegnato al Padre.

Più importante è stata la questione della schiavitù umana: lo scopo di questo riscatto. Nel

contesto del pensiero moderno, con la sua insistenza antropocentrica e la sua esigenza di

concretezza, efficienza e tangibilità, tale domanda tende a formularsi in questi termini: da che cosa

dovremmo essere liberati? I tentativi di soluzione, inoltre, sarebbero da ricercare nell’azione storica

destinata a combattere la disumanizzazione. La soteriologia recente ha cercato di avvicinarsi a

queste istanze evidenziando il carattere pienamente umano della salvezza cristiana. Purtroppo ci

sono stati eccessi, soprattutto quando si è preteso di identificare la salvezza con progetti terreni, con

l'utopia di una umanizzazione in grado di risolvere le contraddizioni della vita. In ogni caso, i

tentativi di avvicinare la soteriologia alle moderne aspirazioni si sono sviluppati principalmente in

tre direzioni: emancipazione, giustizia, liberazione politica e sociale158

. Anche se tale progetto

sembra ora dissolversi in una moltitudine di stimoli che finiscono per avere soltanto una debole

relazione con il messaggio cristiano.

a) Nei suoi ultimi scritti Dietrich Bonhoeffer formulò lucidamente la domanda cruciale. Come

conciliare la coscienza di un mondo che si ritiene adulto e cerca la propria autonomia, con la fede in

Cristo? Rifiutando posizioni estreme, Bonhoeffer era a favore di una “interpretazione secolare”

della fede159

. Per questo vedeva necessaria una nuova comprensione dei concetti fondamentali del

cristianesimo (Dio, Cristo, Chiesa, fedele cristiano, ecc.) in grado di cambiare la nostra immagine di

Dio. Si propose allora di abbandonare il “Dio della religione”, cioè l’Essere onnipotente che

schiaccia l'uomo e non può smettere di essere in conflitto con la sua autonomia, e di aderire al Dio

di Gesù Cristo160

: un Dio che dà spazio all’uomo, dice Bonhoeffer.

La riflessione del teologo luterano può essere considerata paradigmatica per tutta la corrente

che comprende la liberazione soprattutto come un processo di emancipazione. In questa prospettiva,

il Vangelo coincide con una piena e radicale umanizzazione, che è stata intesa da alcuni, ad esempio

da H. Küng, come assunzione delle istanze moderne di libertà e di solidarietà, e come rifiuto di ogni

158

Qui potremo limitarci solamente ad un breve cenno.

159

Cfr. D. BONHOEFFER, Cartas 30.IV.1944; 5.V.1944, citato da GIBELLINI, La teologia del XX secolo, 124.

160

Cfr. R. GIBELLINI, La teologia del XX secolo, o. c., pp. 124-126.

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33

dogmatismo, tradizionalismo, e biblicismo volti a sottomettere l'uomo ad un controllo estrinseco161

.

In tale ottica, Küng ha criticato la redenzione intesa come divinizzazione, tra le altre ragioni, perché

«il nostro problema non è la deificazione dell'uomo, ma piuttosto la sua umanizzazione»162

. In

questi approcci, in cui la mentalità moderna tende a riplasmare radicalmente gli elementi principali

della fede, si rilevano i rischi di una sostituzione della mediazione della Chiesa con quella della

cultura163

, di un esilio dalla fede nella soggettività164

e di un dissolvimento della grazia di Cristo

nella retta intenzione umana. È innegabile che questi sono major problems.

b) Nella direzione della giustizia è andata soprattutto la “teologia politica”, con i suoi sforzi per

dare vita ad una prassi cristiana di trasformazione della società. L'accusa di presunta inefficacia del

cristianesimo nel forgiare una società più giusta, ha portato a ripensare il problema della felicità

umana, identificata nel problema del dolore, della storia di sofferenza e di una giustizia possibile165

.

G. B. Metz ha cercato di fondare un discorso pratico166

, in grado di dare senso alle vittime

dell’umanità, dimenticate, a suo parere, da una soteriologia eccessivamente interessata con la

redenzione delle colpe167

. Se si condannano all'oblio le vittime, ha detto Metz, si corre il rischio di

avere solo una storia di vittorie168

. Ma una storia scritta in questo modo non è sorgente di

161

Cfr. KÜNG, Essere cristiani, 26.

162

Ibidem, 501. In una linea simile si sono mossi altri autori come J. I. González Faus. Cfr. La humanidad nueva.

Ensayo de cristología, Sal Terrae, Santander 1984. Sulla teologia di quest’opera, cfr. la critica di J. L. ILLANES, La

nueva humanidad. Análisis de un ensayo cristológico, «Burgense» 22 (1981), 265-304 (e la risposta in appendice

dell’edizione del libro citato) e J. A. MATEO GARCÍA, La cristologia de J. I. González Faus. lcances l ites de un

ensa o cristol gico, PUG, Romae 1998.

163

Questa è stata una delle critiche più comuni del pensiero di Hans Küng, e una di quelle che portò alla

dichiarazione della Congregazione per la Dottrina della Fede del 1979 sugli Errori nella dottrina teologica del

professore H. Küng [EV 6, 1942-1951].

164

Cfr. R. BEAUD, Hans Küng, problèmes posés, «Revue Thomiste» 81 (1981), 91-103.

165

In questa linea si è sviluppata buona parte della teologia dell’evangelico J. Moltmann, orientato ad elaborare una

teologia fondata sulla categoria della speranza (J. MOLTMANN, Teologia della speranza. Ricerche sui fondamenti e sulle

implicazioni di una escatologia cristiana, Queriniana, Brescia 1970), e diretta a promuovere la presenza liberatrice del

Rgno di Dio nel mondo.

166

Qui Metz si avvicina alla scuola di Francoforte, in particolare, a M. Horkheimer. Cfr. J. J. SÁNCHEZ BERNAL,

Teología política y teología de la liberación. Un discurso crítico-liberador sobre Dios, in AA.VV., El Dios de la

teología de la liberación, Secretariado Trinitario, Salamanca 1986, 101.

167

Cfr. J. B. METZ, Memoria Passionis. Un ricordo provocatorio nella società pluralista, Queriniana, Brescia

2009, 72-80.

168

«La teologia cristiana, in nome della vittoria di Cristo non ha epurato e pulito minuziosamente la storia da tutte

le contraddizioni con un po’ troppa facilità? [...] E in questo modo non si è relazionata alle catastrofi con l’apatia dei

vincitori?». J. B. METZ, Auschwitz: termine locale irrinunciabile di un discorso cristiano su Dio, in BENEDETTO XVI,

Dove era Dio? Il discorso di Auschwitz (con contributi di A. A. Cohen, W. Bartoszewsky, J. B. Metz), Queriniana,

Brescia 2007, 57.

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34

cambiamento né di miglioramento, non impregna il mondo con il fermento cristiano né trasforma la

realtà. Pertanto, è necessario coltivare la denuncia critica, ben presente nella tradizione biblica, ed

evidenziare le caratteristiche della figura di Cristo che, come buon samaritano, mostra compassione

per la sofferenza e la sua sensibilità per la povertà umana169

. La memoria della pasqua di Gesù,

coltivata dalla Chiesa, dovrà sempre essere «memoria critica delle false ideologie e aperta alla

realizzazione continua e progressiva di un futuro di libertà e di umanità, che deve compiersi solo in

Dio»170

. La memoria pasquale è soprattutto memoria degli ultimi, di quelli che nessuno ricorda,

affinché, nella fede, la storia della sofferenza di Cristo e la solidarietà con le vittime, diventi fonte di

una compassione che riporti ogni uomo alla propria dignità di soggetto di fronte a Dio. Metz

segnala qui un aspetto interessante, che bisogna tuttavia interpretare bene. Concretamente quella

“memoria degli ultimi” non può essere limitata a una considerazione puramente sociologica (il

povero, l’emarginato), ma dovrà trovare il suo oggetto dalla prospettiva di una salvezza

trascendente (lo scandalizzato, lo spogliato dalla religione).

c) Infine, la “teologia della liberazione”171

, ha cercato di affermare la forza della Buona Novella

della liberazione dell'uomo attraverso Cristo, in un mondo governato dalla sopraffazione e dalla

morte172

. Da una situazione socio-culturale in cui il problema fondamentale non è la crisi o l'eclissi

di Dio proprio delle società occidentali, ma l’oppressione e la morte delle masse povere del

continente (latinoamericano)173

, questa teologia si schierava con la moderna critica della religione,

secondo la quale il Dio sofferente cristiano non è il Dio liberatore del popolo, ma colui che legittima

il loro dolore e conforta la loro rassegnazione. Per superare questa critica la teologia della

liberazione rileggeva la figura di Cristo alla luce della proclamazione dell'amore liberatore di Dio e

della sua opposizione allo sfruttamento e alla miseria dei poveri. In ogni caso, la polarizzazione su

169

«La prima intenzione di Gesù non si diresse al peccato degli altri, ma al dolore del prossimo. Per lui, il rifiuto di

partecipare al dolore dell’altro, il rifiuto di pensare oltre all’oscuro orizzonte della propria storia di sofferenza non è un

elemento secondario del peccato [...]. Chi riconosce il Dio di Gesù Cristo, sa che per la disgrazia del prossimo può

essere necessario andare contro al proprio interesse, come mostra la parabola del Buon Samaritano» METZ, Memoria

Passionis, 153.

170

P. CACCIAPUOTI, L'idea di salvezza nella teologia contemporanea, in A. TERRACCIANO (ed.), Attese e figure di

salvezza oggi, Campania notizie, Napoli 2009, 73.

171

Sorge negli anni ’60 e si manifesta con chiarezza nella II Conferenza Episcopale Latinoamericana (Medellin

1968) e con la pubblicazione del libro Teología de la Liberación di Gustavo Gutiérrez nel 1971 (vers. spagnola:

Sígueme, Salamanca 1972).

172

Cfr. G. IAMMARRONE, Redenzione, 237.

173

Cfr. SÁNCHEZ BERNAL, Teología política, 112. Anche in questo è evidente la differenza d’accento e di metodo

rispetto alla teologia politica. Le preoccupazioni di quest’ultima si situano in relazione alla crisi religiosa del mondo

industrializzato.

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questi temi portò ad una radicale politicizzazione delle affermazioni di fede. Promuovendo la reale

liberazione sociale attraverso la mediazione dell’analisi marxista, si stabiliva una pericolosa

comunione (e confusione) tra il marxismo e la fede cristiana. Di qui la contro-critica da parte della

Congregazione per la Dottrina della Fede, che evidenziava come questa teologia si orientasse verso

un messianismo temporale, che tendeva a identificare la figura del Redentore con gli uomini

impegnati a combattere per gli oppressi174

, i poveri della Scrittura con il proletario marxista, e ad

opporre una chiesa popolare alla Chiesa gerarchica secondo una dialettica di classe175

.

Senza dubbio, insieme ad aspetti non condivisibili, sussistono anche in queste tendenze aspetti

equi e ragionevoli, e in particolare la necessità di collegare la redenzione cristiana con una vita

piena e umana. Questo pone il problema di quale sia la fonte, il criterio di misura di una tale

pienezza e umanità, e se per determinare questo criterio la priorità debba essere attribuita a quanto

impariamo da Cristo, o a ciò che sembra ragionevole o desiderabile fare alla luce delle concrete

circostanze o della situazione generale dell'uomo nel mondo. In definitiva si pone la questione della

relazione tra cristologia e antropologia su questi aspetti176

. Ma la priorità epistemologica non può

non corrispondere alla cristologia perché, come indica la Gaudium et Spes, la manifestazione del

mistero umano e la sublimità della sua vocazione si compiono nella stessa rivelazione del mistero

del Padre e del suo amore, che costituisce propriamente l'opera di Cristo. Cioè, Dio, «mentre destina

l'uomo all’eterna comunione con lui, allo stesso tempo gli fa intravedere qualcosa della sua essenza

intima, della sua grandezza e dignità, del senso dell'esistenza umana»177

. È precisamente attraverso

l’azione salvifica di Dio che l'uomo comprende la nobiltà del suo essere destinato all'amore di Dio,

ma anche la propria condizione di peccaminosità178

. Pertanto la manifestazione dell’uomo si può

dare pienamente solo nella fede, nella conversione e nella Chiesa che è il “luogo” della memoria

Christi. La situazione storica dovrà essere considerata a partire da questa consapevolezza, e questo

vale ugualmente per l'azione diretta al miglioramento del mondo.

174

Cfr. CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Istruzione Libertatis Nuntius, 6-VIII-1984, X, 11.

175

Ibidem, IX, 10-13.

176

Il tema è stato trattato in vari documenti del magistero (Gaudium et Spes, Redemptor Hominis, ecc.) e in

numerosi lavori. Segnaliamo tra questi: COMMISSIONE TEOLOGICA INTERNAZIONALE, Teologia, Cristologia,

Antropologia, [IDEM, Documenti: 1969-1996, 243-264]; M. BORDONI, Cristologia e antropología in Gesù di Nazaret, I,

186-229; P. O'CALLAGHAN, Cristo revela el hombre al propio hombre, «Scripta Theologica» 41 (2009), 85-111.

177

O'CALLAGHAN, Cristo revela, 98.

178

Ibidem, 98-99.

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36

Tenuto conto di questa priorità cristologica, l’aspetto centrale della liberazione non può che

essere la liberazione dal peccato, e quindi la ricreazione nell’anima dell'uomo di una nuova libertà,

che San Paolo chiama la «libertà gloriosa dei figli Dio» (Rm 8,21). La liberazione consiste,

essenzialmente, nell’essere sciolti dal proprio egoismo per l’influsso della potenza salvifica del

Risorto179

. G. B. Metz ha giustamente evidenziato come l’uomo moderno tende ad attribuirsi i

successi e le vittorie, mentre scarica su vari automatismi (biologici, sociologici, strutturali) i propri

fallimenti e sconfitte180

, bloccando così la novità liberante di Cristo. Il cristianesimo ha sempre

notato l'inganno che si trova in questa lettura della realtà; ha considerato l'uomo “imputabile”,

proprio perché è ha preso atto del fatto che egli è libero e superiore agli automatismi della natura.

Solo chi è libero e responsabile, può essere davvero colpevole e, allo stesso tempo, solo chi è in

grado di riconoscere la sua colpa davanti a Dio può tenere un dialogo autentico ed essere soggetto

di vera comunione181

. Nell'ambito dell'Alleanza, di un Dio che si preoccupa profondamente per

l'uomo fino ad adottarlo filialmente, questo “stare” dell'uomo davanti a Dio, con la propria

grandezza e miseria, con la colpa e il peccato, non può essere relegato ad un ruolo secondario.

Quindi la salvezza cristiana possiede necessariamente il carattere di redenzione, implica il perdono

dei peccati e costituisce l’uomo in un nuovo rapporto con Dio. Questo aspetto “verticale” di

redenzione non sostituisce o esime dalla ricerca della salvezza “integrale”, ma al contrario la

fonda182

. Precisamente da ciò, la salvezza cristiana si estende alla sfera dei rapporti umani e delle

relazioni tra uomo e mondo, con i suoi componenti di emancipazione e di liberazione umana e

sociale183

.

e) La Resurrezione, assunzione del mondo per la comunione trinitaria

Nella quaestio che abbiamo citato all'inizio di questa sezione San Tommaso applica alla

passione di Cristo la causalità efficiente strumentale184

. La teologia contemporanea estende questo

179

«La redenzione consiste nella potenza creatrice di Dio che trasforma il nostro essere per amore» R. GUARDINI,

El Señor, II, Rialp, Madrid 1954, 193-194.

180

Memoria Passionis, 167.

181

Cfr. Ibidem.

182

Cfr. GIOVANNI PAOLO II, Es. Ap. Reconciliatio et Poenitentia, 7.

183

Cfr. Y. M. CONGAR, Un popolo messianico, Queriniana, Brescia 1983, p. 145-154.

184

Cfr. Summa Theologica, III pars, q. 48, a. 6, c.

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37

concetto al mistero pasquale e sottolinea in particolare l'unità tra la croce e la risurrezione185

.

Un’unità intrinseca, perché la fedeltà al Padre manifestata sulla croce conduce alla salvezza

definitiva della resurrezione. Questa ultima presuppone la morte, e non una morte qualsiasi, ma una

morte tale che possa tradursi in una piena e perfetta accoglienza da parte del Padre186

. Croce e

risurrezione vengono così ad essere, in prospettiva soteriologica, come due facce della stessa

moneta. La carne annientata dal peccato e la carne ricreata dalla potenza di Dio, compiono il

passaggio dalla caducità di un mondo di peccato all’eternità del mondo di Dio. Quest’ultimo si

presenta come l’opera che Dio realizza quando il peccato smette di essere una possibilità, perché

definitivamente confinato nel passato187

, e si dà pieno corso all’amore188

. In questo senso, la

risurrezione è una seconda creazione (che però presuppone la prima) ed è escatologica, cioè, non

ammette alcun miglioramento.

In Gesù risorto appare con evidenza che né la morte né le altre realtà ad essa associate hanno il

dominio sul Cristo (Rm 6,8). Infatti, sono state annientate dalla croce e non possono intaccare il

corpo di Cristo, nella cui spiritualizzazione si riflette l’impassibilità e l'immortalità di Dio. Il

Risorto è l'immagine vivente della cancellazione del peccato umano e del suo confinamento in un

passato che non può tornare. È quindi il simbolo e l'incarnazione dell’eterno presente di Dio, che

non ammette la miseria, la disintegrazione o la caducità189

. Da questa prospettiva, la risurrezione

corona tutto ciò che è stato detto sulla croce. La solidarietà nella sofferenza che Dio ha stabilito con

l'uomo diventa nella risurrezione, nuovo atto dell’amore di Dio, una costante comunione nella

185

«La teologia contemporanea ha studiato il mistero pasquale partendo principalmente dalla relazione tra morte e

risurrezione. Questi due misteri della vita di Cristo si presentano oggi così intrecciati, che si può dire che costituiscano

“due momenti” di un “processo salvifico unitario”, due momenti correlativi di un unico avvenimento». PORRO, Sviluppi

recenti, 391.

186

«Gesù affrontò la morte per i peccati degli uomini, e li cancellò con il suo morire in croce. E questa stessa morte

nella risurrezione di Gesù Cristo si rivelò come vita, si compì nella vità. Il morire della croce si svelò come vita di Dio e

per Dio». H. SCHLIER, La Risurrezione di Gesù Cristo, Morcelliana, Brescia 1973. p. 52.

187

Nel suo libro Memoria e Identità (Esfera de los libros, Madrid 2005) Giovanni Paolo II ha sottolineato l’idea

che «la Redenzione è il limite divino imposto al male [...], in essa il male è vinto radicalmente dal bene, l’odio

dall’amore, la morte dalla resurrezione» (p. 36).

188

Sottolineare la relazione tra resurrezione e amore è l’intento di fondo di G. O'COLLINS, Gesu risorto.

Un'indagine biblica, storica e teologica sulla risurrezione di Cristo, Queriniana, Brescia 1989. Giovanni Paolo II

esprime con profondità questo aspetto nell’enciclica dedicata alla misericordia: «Nel compimento escatologico, la

misericordia si rivelerà come amore, mentre nel tempo, nella storia dell’uomo –che è contemporaneamente storia di

peccato e di morte- l’amore deve rivelarsi innanzi tutto come misericordia e attuarsi come tale». Dives in Misericordia,

8.

189

Soprattutto W. Pannenberg ha insistito su queste prospettive: «La resurrezione del crocifisso è l’autorivelazione

escatologica di Dio» (Rivelazione come storia, Dehoniane, Bologna 1969, 183). Il suo influsso in ambito cattolico è

stato notevole, soprattutto la sua presentazione della risurrezione di Cristo come anticipazione (prolepsis) del futuro

ultimo verso cui cammina la storia.

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38

pienezza della gioia. L'abbassamento e l'umiliazione che sono state mediatrici dell’espiazione del

peccato lasciano il posto al nuovo mondo riconciliato ed elevato alla comunione con Dio. Il dono di

se stesso e la consegna “proesistente” compiuta una volta e collocata nella storia, aprono la strada

ad un maggiore dono di sé, che è senza limiti nel tempo o nello spazio. Mediante la risurrezione di

Cristo il mondo e la storia cominciano a vivere sotto il segno della grazia, a partecipare alla nuova

vita nel Signore Risorto in ordine alla salvezza190

.

Questa partecipazione conduce alla dimensione trinitaria della risurrezione: «nella gloria della

risurrezione e dell'elevazione alla destra del Padre, il Figlio porta con sé la creazione redenta e

aperta alla perfetta comunione dell'amore trinitario»191

. In particolare, l'immanenza eterna del Padre

e del Figlio viene pienamente partecipata nell’assunzione della carne, costituendo l'umanità gloriosa

del Salvatore in “luogo” dal quale questa reciproca presenza si riversa su tutto il mondo192

. «La

risurrezione conferisce una dimensione universale al messaggio di Cristo, alla sua azione e a tutta la

sua missione»193

. Ciò conduce particolarmente a riconoscere il valore dell’azione e della presenza

dello Spirito del Risorto, perché tanto l'offerta della salvezza, come l'incontro e l'adesione con

Cristo sono frutto dello Spirito Santo194

. Il dono pasquale dello Spirito rende concreta l’apertura

dinamica della comunione divina con il mondo umano, così che il mistero pasquale non può non

comprendere la Pentecoste195

. In virtù di questo «il Cristo vivente diventa la fonte di vita dei suoi e,

attraverso di essi, del mondo intero»196

.

Dal momento che la terza persona è la via di comunicazione di questa nuova vita, tale

comunicazione è, a sua volta, il nostro luogo principale per la conoscenza dello Spirito.

190

«Cristo risuscitato inaugura la redenzione, perché la sua presenza ci è offerta e può essere accolta, in particolare

nella comunione ecclesiale…». M. FLICK - Z. ALSZEGHY, Il mistero della Croce, Queriniana Brescia 1978, 227.

191

BORDONI, Gesù di Nazaret, III, 518.

192

Cfr. Gv 17,21. L’inabitazione trinitaria nel battezzato è una partecipazione di questa immanenza divina nel

Cristo glorioso.

193

GIOVANNI PAOLO II, Enc. Redemptoris Missio, 16.

194

Nella terza persona della Trinità «la vita intima di Dio uno e trino si dona interamente (…) [Lo Spirito] è amore

e dono (increato) dal quale deriva come una fonte (fons vivus) ogni dono per le creature (dono creato): il dono

dell’esistenza ad ogni cosa mediante la creazione; il dono della grazia agli uomini mediante tutta l’economia della

salvezza». Giovanni Paolo II, Enc. Dominum et Vivificantem, 10.

195

«Il mistero pasquale è in modo eccellente il luogo in cui questa perfetta comunione si diffonde e rivela nello

Spirito». BORDONI, Gesù di Nazaret, III, 519.

196

J.-M. PERRIN, Il est ressuscité pour moi. La résurrection du Christ, G. Beauchesne, Paris 1969, 61.

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39

III. Osservazioni conclusive

Concludo con tre osservazioni generali:

1. Come il resto della teologia, anche la soteriologia si fonda sulla storia di Cristo, sul

significato che Gesù ha dato alla sua vita ed alla Pasqua e sulla comprensione che la prima

comunità cristiana, seguendo Gesù ed assistita dal suo Spirito, ha avuto di questo evento originario.

È quindi importante che il teologo sistematico abbia una buona conoscenza delle principali linee

dello sviluppo della soteriologia del Nuovo Testamento e possa strutturare, alla luce di queste linee,

il ricco e variegato dato della tradizione ecclesiale e della storia teologica. Inoltre,

l’approfondimento critico della Scrittura si rivela essenziale per sviluppare una soteriologia che

risponda alle sollecitazioni di verità proprie del nostro tempo197

. Si dovrà rinforzare o realizzare un

quadro ragionevolmente consistente della genesi e dello sviluppo della soteriologia

neotestamentaria, che possa servire, entro l'ermeneutica di fede della Chiesa, come criterio

normativo della costruzione sistematica.

2. La mediazione salvifica di Cristo, come tema teologico, presenta delle oscillazioni che non

facilitano un discorso soteriologico coerente198

. A mio parere la soteriologia deve continuare a

sottolineare la priorità della dimensione discendente, evitando unilateralismi. Il modo migliore per

farlo è quello di dare la dovuta importanza al carattere intrinsecamente filiale della mediazione di

Cristo. Infatti, questo permette di collegare: la persona divina con la sua espressione umana199

,

l'ontologia con le dinamiche storiche200

, gli aspetti discendenti con quelli ascendenti201

, la

rivelazione trinitaria con l'azione salvifica202

. La soteriologia classica, con i suoi innegabili meriti, è

stata forse insufficiente da questo punto di vista.

197

«La questione della rivelazione non ricerca un’istanza autoritaria, che ponga a tacere i problemi critici e il

proprio giudizio (così come è stato ritenuto nell’ambito dell’illuminismo), ma come manifestazione della realtà divina,

che mostra di esserlo di fronte ad una matura comprensione dell’uomo» W. PANNENBERG, Stellungsnahme zur

Diskussion in J. B. COBB - J. M. ROBINSON (ed.), Theologie als Geschichte, Zwingli, Zürich - Stuttgart 1967, 294.

198

Sono stati esposti nella sezione II, II.

199

La filiazione eterna assume una connotazione umana nell’Incarnazione.

200

La persona incarnata del Figlio di Dio vive la sua storia a partire da una prospettiva filiale: la coscienza della sua

relazione col Padre, del suo essere inviato dal Padre in nostro favore, ecc.

201

Allora la filiazione presenta in unità due dimensioni: una iconica (Gesù incarna il volto paterno di Dio) e l’altra

responsoriale (Gesù incarna la risposta perfetta all’amore del Padre).

202

Poiché la filiazione di Cristo è simultaneamente la via della rivelazione del mistero trinitario e il principio del

rinnovamento che introduce nel mondo il mistero pasquale.

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40

3. La soteriologia si perde quando si ferma a considerare il dramma, sia anche il dramma tra

Dio e l'uomo, come in alcuni modelli classici, o tra il Padre e il Figlio, come in alcuni modelli

recenti. Ciò che è importante nell’opera salvifica non è il dramma, ma piuttosto l'assunzione: il fatto

che Dio “riprende” il mondo (si associa a lui e lo fa suo in un modo nuovo, umano) e lo conduce al

suo compimento in Gesù Cristo. Il dramma realizza solo la forma, il modo in cui è stato assunto il

mondo. L'amore di Dio per il mondo è un requisito indispensabile per l'intero progetto: che questo

amore passi attraverso la croce è “solo” la determinazione del dramma. Non è possibile fondare una

soteriologia subordinandola ad una determinazione contingente, ma, anche per quella

determinazione, il criterio ultimo deve essere quello che fonda il progetto e costituisce la sua

premessa assoluta. Lo stesso amore e lo stesso “impegno” (in primo luogo di Dio Padre, come fons

et origo totius Trinitatis203

) già testimoniato dalla creazione, si realizza nella storia della salvezza

veterotestamentaria e poi, in un modo nuovo (assumendo la realtà creata sino all’estremo contatto

con l'ingiustizia), nella vita e nella Pasqua di Gesù, in cui il mondo raggiunge il suo compimento

finale. Da questo punto di vista l’opera redentrice si configura come un “trascinamento”, una

“riassunzione” o un “innesto” del mondo nell’amore di Dio, che si realizza nell’impegno, nella

dedizione e nel dono di sé compiuto da Gesù. Attraverso questo dono si dischiede

sacramentalmente per noi l’intimità trinitaria e si costituisce l’eterna alleanza.

203

CONCILIO VI DI TOLEDO, 9-I-638 [Dz-Sch 490]. Cfr. S. BASILIO DI CESAREA, Contra Sabellianos et Arium et

Anomaeos, 4 [CPG 2869].

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