Tema 5: Croce e Pasqua nella soteriologia...

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Abbiamo già sottolineato che la soteriologia degli ultimi secoli faceva perno sugli aspetti di giustizia (commutativa: a tot corrisponde tot) dell'opera di Cristo, mentre quella recente insiste sopratutto sull'amore gratuito di Dio. E' convinzione radicata che la salvezza è legata all'amore . C'è una convinzione fondamentale che «la salvezza è legata all'amore» [1] . Filosofi e teologi cristiani hanno sviluppato questa affermazione a partire da posizioni personaliste [2] : il potere che redime l’uomo è l'amore, perché senza la capacità di amare, senza un “tu” che lo accetti e approvi, l'uomo è sempre troncato. Giovanni Paolo II ha espresso brillantemente questo 2. La Croce rivelazione dell'amore di Dio. 1. Introduzione Per strutturare questo Tema 5 è possibile seguire uno schema che rispecchia i vari aspetti trattati da S. Tommaso quando egli parla del modo come la passione di Cristo produce i suoi effetti di salvezza ( Summa Theologiae pars III, q, 48). Egli si chiede in forza di che cosa la passione e morte di Cristo produca i suoi effetti di salvezza. di meritare per noi davanti a Dio; di soddisfare a Dio per i nostri peccati; di ridare a Dio il culto da noi negato; di riscattare l'umanità dal dominio del diavolo; di infondere negli uomini la grazia divina che unisce a Dio. E risponde che la passione di Cristo è causa della nostra salvezza perché essa, in quanto opera dell'umanità di Cristo unita alla sua divinità ha la potenza: In questo modo la passione di Gesù da una parte rimuove l'ostacolo che il peccato costituiva per la comunione con Dio, e dall'altra unisce l'uomo con Dio per la grazia donata da Cristo. Croce come carità di Dio; Croce come eliminazione del peccato; Croce come sacrificio di Dio per noi; Croce come prassi di liberazione; Risurrezione di Cristo come fonte di salvezza e grazia. La teologia recente non abbandona questi ambiti ma li vedi in modo diverso, secondo il nuovo paradigma di cui abbiamo parlato nel tema precedente. Essa trasforma gli ambiti tomisti in questi: Consideriamoli adesso: Tema 5: Croce e Pasqua nella soteriologia contemporanea sabato 30 ottobre 2010 10:56 Traccia sviluppata Pagina 1

Transcript of Tema 5: Croce e Pasqua nella soteriologia...

Abbiamo già sottolineato che la soteriologia degli ultimi secoli faceva perno sugli

aspetti di giustizia (commutativa: a tot corrisponde tot) dell'opera di Cristo, mentre quella recente insiste sopratutto sull'amore gratuito di Dio. E' convinzione radicata

che la salvezza è legata all'amore.

C'è una convinzione fondamentale che «la salvezza è legata all'amore»[1]. Filosofi e teologi cristiani hanno sviluppato questa affermazione a partire da posizioni personaliste[2]: il potere che redime l’uomo è l'amore, perché senza la capacità di amare, senza un “tu” che lo accetti e

approvi, l'uomo è sempre troncato. Giovanni Paolo II ha espresso brillantemente questo

2. La Croce rivelazione dell'amore di Dio.

1. Introduzione

Per strutturare questo Tema 5 è possibile seguire uno schema che rispecchia i

vari aspetti trattati da S. Tommaso quando egli parla del modo come la passione di Cristo produce i suoi effetti di salvezza (Summa Theologiae pars III, q, 48).

Egli si chiede in forza di che cosa la passione e morte di Cristo produca i suoi

effetti di salvezza.

di meritare per noi davanti a Dio;•di soddisfare a Dio per i nostri peccati; •di ridare a Dio il culto da noi negato; •di riscattare l'umanità dal dominio del diavolo; •di infondere negli uomini la grazia divina che unisce a Dio.•

E risponde che la passione di Cristo è causa della nostra salvezza perché essa, in

quanto opera dell'umanità di Cristo unita alla sua divinità ha la potenza:

In questo modo la passione di Gesù da una parte rimuove l'ostacolo che il

peccato costituiva per la comunione con Dio, e dall'altra unisce l'uomo con Dio per la grazia donata da Cristo.

Croce come carità di Dio; •Croce come eliminazione del peccato; •Croce come sacrificio di Dio per noi; •Croce come prassi di liberazione; •Risurrezione di Cristo come fonte di salvezza e grazia. •

La teologia recente non abbandona questi ambiti ma li vedi in modo diverso,

secondo il nuovo paradigma di cui abbiamo parlato nel tema precedente. Essa trasforma gli ambiti tomisti in questi:

Consideriamoli adesso:

Tema 5: Croce e Pasqua nella soteriologia contemporaneasabato 30 ottobre 201010:56

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[1] Questo è stato formulato da J. Ratzinger nel 1972 in un suo intervento durante un Congresso di teologia. Cfr. J. Ratzinger, Questioni preliminari ad una teologia della redenzione, in AA.VV., Redenzione ed emancipazione, 187.[2] Il tema è stato molto trattato e comprende, tra molti altri, i nomi di G. Marcel, J. Pieper, R. Spaemann. E anche K. Wojtyla, Persona y acción, Editorial Católica, Madrid 1982. [3] Enc. Redemptor Hominis, 10.

approvi, l'uomo è sempre troncato. Giovanni Paolo II ha espresso brillantemente questo concetto: «L'uomo non può vivere senza amore. Egli rimane un essere incomprensibile a se stesso, la sua vita è priva di senso se l'amore non si rivela, se non si incontra l'amore, se non lo sperimenta e lo fa proprio, se non vi partecipa vivamente»[3].

Di conseguenza l'opera di salvezza tende a essere vista come la manifestazione

fondamentale sia dell'amore che Dio è, sia dell'amore di Dio verso l'uomo. E dunque come salvezza per l'uomo.

Tra le dimensioni più sottolineate di questo amore di Dio c'è quella

dell'assunzione della sofferenza. Questa assunzione si è svolto in varie linee:

“L'esperienza fondamentale del profeta va intesa come un con-sperimentare i

“sentimenti” di Dio, come un con-sentire con il “pathos di Dio”, che è il movente di fondo della profezia, come un con-sperimentare che si attua attraverso un'intima

imitazione o empatia”

Come sofferenza di Dio: Nel 1936 l'ebreo A. J. Heschel pubblicò la sua opera

Die Prophetie (v. inglese The Profets: 1962) nella quale egli sostiene che la rivelazione divina che il profeta ispirato partecipa al popolo nasce dal “pathos

divino” per Israele. Le parole profetiche esprimono in modo multiforme questo “sentimento” di Dio. In esse si colgono ora l'ira e la delusione di Dio,

ora l'amore e la benevolenza; in una parola: il “pathos” che muove Dio alla sollecitudine per il suo popolo.

Attraverso il concetto di “pathos divino”, Heschel polemizzava esplicitamente

con la tradizione filosofica di origine greca che affermava l'assoluta impassibilità divina. Heschel invece sostiene una radicale differenza tra il “Dio

dei filosofi” e il “Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe" tra le categorie della Torah ed i presupposti della metafisica occidentale.

Un Dio che soffre sembrerebbe essere un Dio imperfetto o infelice o

impotente o in-divenire

Un Dio che non può soffrire sembrerebbe essere un Dio apatico, lontano

dal Dio "appassionato" della Bibbia.

Dieci anni dopo il giapponese Kazoh Kitamori pubblico la sua Teologia del

dolore di Dio (v. inglese: Theology of the Pain of God: 1965), dove afferma che la Croce è il luogo della rivelazione del dolore di Dio. Dio infatti prova il

dolore perché desidera amare tutti coloro che sono invece gli oggetti della sua ira per il peccato. Sicché ira e amore creano un conflitto interno a Dio.

Benché il libro sia facilmente criticabile, metteva sul tappeto (come già quello del Heschel) il tema della sofferenza di Dio o della passibilità di Dio. Tema sul

quale c'è stata una lunga discussione con autori cattolici e protestanti coinvolti.

Al riguardo ha scritto Ardusso:

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(La fede provata, Effatà, Cantalupa (TO) 2006, 391)

Al riguardo ha scritto Ardusso:

Come compassione con le vittime della storia: Nell'AT Dio mostra spesso la

sua predilezione per ascoltare i sofferenti e gli indigenti (Sal 68,5; Is 1, 13.17; 38, 10-14.17-20; 58, 6-7; Prov 17,5; 22,22-23; Sir 3,30-4,4; 35, 15-22; ecc). I

libri di Giobbe, i passi del Deutero-Isaia, la storia di Geremia o la lettura di Osea danno corpo a questa predilezione divina.

Dio nella sua ricerca dell’uomo, non ha voluto stare lontano dai mali di questo mondo, che sono propri solamente dell'uomo e delle creature. Si è vincolato con la nostra storia nel suo Figlio e nello Spirito Santo. Nella notte oscura della vile

esecuzione di Gesù Cristo, il Santo e Onnipotente Dio, senza cessare di essere tale, si è fatto compartecipe «degli umiliati e offesi, degli oppressi e sfruttati».

Questa inclinazione di Dio di essere accanto all'indigente si fa evento nel

Calvario.

Specialmente il teologo tedesco J. B. Metz ha criticato come ideologica una

teologia che non pensa a partire dalle "vittime della storia" e non realizza una prassi sociale di compassione con le vittime. In una linea leggermente diversa

il teologo francese Christian Duquoc ha criticato una visione del Regno di Dio che non mira ad abolire gli strumenti di alienazione umana. I rappresentanti

della teologia latinoamericana della liberazione hanno enfatizzato questa direzione.

Ad ogni modo e indipendentemente delle precedenti linee teologiche, spesso

troppo unilaterali, la visione di un Dio che si fa solidale con l'uomo nella sofferenza costituisce un segno del amore e della divina vicinanza nelle prove

della vita, e riempie l'uomo di speranza di fronte ad esse.

Come manifestazione estrema della misericordia divina. In questa linea si è

mossa l'elaborazione del papa Giovanni Paolo II nell'Enciclica Dives in Misericordia: Egli scrive al n. 7:

"Gli eventi del Venerdì santo e, prima ancora, la preghiera nel Getsemani introducono, in tutto il corso della rivelazione dell'amore e della misericordia, nella missione

messianica di Cristo, un cambiamento fondamentale. Colui che «passò beneficando e risanando» e «curando ogni malattia e infermità» sembra ora egli stesso meritare la più

grande misericordia e richiamarsi alla misericordia, quando viene arrestato, oltraggiato, condannato, flagellato, coronato di spine, quando viene inchiodato alla croce e spira fra

tormenti strazianti. È allora che merita particolarmente la misericordia dagli uomini che ha beneficato, e non la riceve. Perfino coloro che gli sono più vicini non sanno

proteggerlo e strapparlo dalle mani degli oppressori. In questa tappa finale della missione messianica si adempiono in Cristo le parole dei profeti e soprattutto di Isaia, pronunciate

riguardo al Servo di Jahvè: «Per le sue piaghe noi siamo stati guariti».(...)

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(...)La croce, la quale - attraverso tutta la testimonianza messianica dell'Uomo-Figlio, che su di essa ha subito la morte - parla e non cessa mai di parlare di Dio-Padre, che è

assolutamente fedele al suo eterno amore verso l'uomo, poiché «ha tanto amato il mondo - quindi l'uomo nel mondo - da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque

crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna». Credere nel Figlio crocifisso significa «vedere il Padre», significa credere che l'amore è presente nel mondo e che questo amore

è più potente di ogni genere di male in cui l'uomo, l'umanità, il mondo sono coinvolti. Credere in tale amore significa credere nella misericordia".

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Abbiamo già presentato in precedenza la teoria della soddisfazione di S. Anselmo

nel suo Cur Deus Homo con le critiche (di natura culturale e teologica) che sono state mosse alla sua posizione.

Il passaggio da Anselmo alla visione protestante è dovuto principalmente a

correnti che esaltano la libertà di Dio; correnti legate al nominalismo che conducono ad una visione della giustizia di tipo forense (cioè relativa al foro,

all'ambito del processo giudiziale).

“Perché dunque ci sia spazio per la fede, è necessario che tutto ciò che è

creduto sia nascosto. D’altro canto non si può nascondere più profondamente che sotto una apparenza, una sensazione e una esperienza contrarie. Così, quando Dio da la vita, lo fa mentre uccide; quando giustifica lo fa mentre rende colpevoli; quando porta in cielo lo fa mentre conduce

all’inferno (...) Dio nasconde così la sua eterna bontà e misericordia sotto la collera eterna, la giustizia sotto l’iniquità” [1].

Secondo Lutero, poiché l’uomo ha sempre la pretesa di appropriarsi della

salvezza, di entrare in suo possesso per adattarla ai propri canoni egoistici, Dio pone il segno della sua rivelazione nella Croce, ben lontano da ogni simpatia umana. Egli non permette che nulla resti a disposizione dell’uomo, neanche la stessa figura della rivelazione divina. Egli si rivela sub contraria specie. Vediamo

come lo spiega il Riformatore:

La Croce realizza la misericordia di Dio sotto il segno della sua collera, opera la

salvezza mentre rivela il giudizio sul peccato e la sua condanna: Dio “ha condannato il peccato nella carne” del suo Figlio[2], ha lasciato abbattere su Cristo la sua collera per distruggere il peccato[3]. Lutero contempla Cristo caricato con i nostri peccati, identificato con essi, tanto da diventare lui stesso peccato, morte e

In seguito diamo una breve sintesi della visione luterana [la soteriologia de Lutero

spesso viene chiamata: "teologia dialettica" o "theologia crucis"]

Il Cur Deus Homo

Lutero

In questa sezione consideriamo la relazione tra Croce e peccato nella teologia

recente:

I punti da trattare sono quattro:

un certo rifiuto all'elaborazione di S. Anselmo. Questa teologia si sente

inadeguata per una presentazione aggiornata del mistero cristiano;

la presenza nella teologia della riforma di una visione sulla linea di quella di

Lutero;

la riflessione agapica e kenotica di H.U: von Balthasar;

i tentativi di attualizzazione della posizione classica tomista (che non è

distante di quella di Anselmo).

La teologia recente preferisce dissociarsi di questa linea (al meno in parte, vedi la

posizione quarta: tentativi di attualizzazione) e non considera la soddisfazione di Cristo al Padre come la principale categoria esplicativa della Passione di Gesù, ma

cerca di presentare la relazione tra la passione di Gesù e il peccato degli uomini da altre prospettive.

Presentazione

In Lutero l'evento

pasquale è colto dalla prospettiva

della rivelazione: nella Croce Dio

3. La Croce assunzione del peccato del mondo.sabato 30 ottobre 201012:33

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“Cristo ha preso per il collo il nostro peccato e quello di tutto il mondo e

oltre a ciò la collera di Dio, e li ha affogati in se stessi, così che noi siamo riconciliati davanti a Dio e siamo integralmente santi” [5].

nostri peccati, identificato con essi, tanto da diventare lui stesso peccato, morte e

maledizione[4]. Ma poiché Cristo resta interiormente il Figlio innocente, Egli può annullare il peccato e cancellare il nostro debito nella sua innocenza:

“Questo è il grado più alto della fede: credere che sia misericordioso chi

salva così pochi e condanna così tanti; credere giusto chi con la sua volontà ci rende necessariamente dannabili, per cui, come dice Erasmo, sembra che prenda piacere alle sofferenze dei miseri e sia degno di odio più che di amore”[6].

Risuonano di conseguenza le parole di S. Paolo: “non c’è dunque più nessuna

condanna per quelli che sono in Cristo Gesù” (Rm 8, 1), ma allora la collera di Dio per il peccato è in realtà segno del suo perdono, segno che resta indisponibile ad ogni tentativo di appropriazione da parte dell’uomo, poiché come dice il Riformatore:

[1] M. Lutero, De servo arbitrio, Claudiana, Torino 1993, p. 121; cf. WA 18, 633.[2] Cf. Rm 8, 3.[3] Il riferimento è come al solito a S. Paolo: “Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo trattò da peccato in nostro favore, perché noi potessimo diventare per mezzo di lui giustizia di Dio” (2 Cor 5, 21). [4] Enarratio uberior, cap 53, 1s; ed. di Wittenberg (1574), t. 4, pp. 216, 219. In virtù di questa identificazione, Gesù è il più grande ladro, ecc. che sia mai stato, dice Lutero.[5] WA 10/III, 137.[6] M. Lutero, De servo arbitrio, Claudiana, Torino 1993, p. 121; cf. WA 18, 633.

Vedi alcuni testi nel dossier del Sesboue: Gesù Cristo l'Unico Mediatore, I,

74-92 (spec. pp. 84-85).

La predicazione cattolica dell'epoca barocca pur senza pretendere di seguire

Lutero, non distingue sufficientemente tra Anselmo e Lutero, e di conseguenza usa un linguaggio simile a quello luterano (che considera la Croce come il

abbattersi della collera di Dio su Gesù), mentre pensa di esprimere bene la posizione cattolica tradizionale.

Una versione moderna cattolica, vicina alle posizioni protestanti in H. U. von

Balthasar.

La soteriologia di Balthasar si può svolgere a partire da tre principi: personalista,

trinitario, di rappresentanza (Stellvertretung).

Da un lato scopre “l’assoluta impartecipabilità del (suo) io e l’illimitata

partecipabilità dell’essere in quanto tale (che non viene ‘consumato’ dall’immensa molteplicità degli enti, in cui esso subsistit)”

D'altra parte egli coglie se stesso in una relazione di dipendenza, la quale non

lo soffoca, ma nell'atto di sorridergli, la madre gli lascia spazio e gli permette così di esistere in relazione.

Il principio personalista orienta tutta la sistematica balthasariana. Egli riprende le

idee di Gustaw Siewerth (filosofo tedesco) che riflette sul sorgere della coscienza. Balthasar usa come paradigma il rapporto madre-figlio: nel primo contatto con la

realtà che lo circonda la coscienza del bimbo si sveglia nel fatto di cogliere il sorriso della mamma. In questo sorriso il bimbo viene a contatto con due aspetti

fondamentali del mondo:

C'è una visione dell'essere come "essere in relazione" e della relazione come

"dipendenza nell'amore". La libertà esiste perché Dio ci permette di essere noi stessi, non ci obbliga, ci lascia essere e allo stesso tempo ci mostra che quel

lasciarsi essere è frutto dell'amore.

H. U. Von Balthasar

nella Croce Dio rivela la sua misericordia.

Ma lo fa in modo

dialettico: egli pone un segno della sua ira (carica Cristo con il peccato e lo distrugge)

Obbliga così

l'uomo a credere ciecamente in Lui invece di ragionare

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Il principio trinitario è in buona parte applicazione alla dottrina trinitaria

tradizionale del principio personalista. Le persone trinitarie sono "essere-per" e perciò il loro modo di essere persone è affermare l'essere dell'altro. Balthasar,

seguendo al teologo ortodosso Boulgakov (L'agnello di Dio: 1927), introduce un elemento di kenosi nella Trinità. Nel donare se stessi in totalità, proprio delle

persone trinitarie, Balthasar apprezza un elemento di rinuncia, di espropriazione di se stessi: donare se stessi implica non avere più se stessi. Ma le persone divine

sono frutto di un tale dono fatto tra di loro.

[Teodrammatica IV, 301].

«L’autoespressione del Padre nella generazione del Figlio [costituisce] la prima

"kenose" intradivina che abbraccia da ogni lato le altre, dal momento che il Padre ivi si disappropria radicalmente della sua divinità e la transappropria al Figlio: egli non la divide con il Figlio ma la partecipa al Figlio dandogli tutto il suo... Il Padre, che non può essere pensato (arcanamente) come esistente "prima" di questa

autodonazione, è questo movimento di donazione, senza trattenersi come per calcolo qualcosa... Nell'amore del Padre si trova una rinuncia assoluta ad essere Dio solo per se stesso, un lasciar andare dell'essere divino e, in questo senso, una (divina) a-teità (naturalmente dell'amore)»

B. Mondin, La Trinità mistero d'amore, EDS Bologna 1993, 85-86

(esposizione su Von Balthasar).

"Dall’eternità e per l’eternità il Padre ha donato se stesso al Figlio, ha rischiato il

suo essere nel Figlio, e dall’eternità il Figlio è stato un sì al Padre, nel completo e obbediente abbandono a lui. Così il rischiare se stesso del Padre verso il Figlio crea uno spazio per il Figlio. Il Padre separa se stesso da se stesso, affinché possa esistere il Figlio. Questa separazione è però collegata nell’eternità dallo Spirito

Santo, la comunione di amore del Padre e del Figlio".

Così le persone divine "sono" (sussistono) affermando l'una l'altra, trasfondendo

se stessi nel lasciare spazio e nell'affermare la peculiarità dell'altra persona. In questo senso sono una perfetta unità ma anche sussistono nella perfetta

differenza o alterità. La distanza trinitaria tra il Padre e il Figlio è, secondo Balthasar, infinita come è infinita la unità di entrambi.

Il principio di rappresentanza viene dal fatto che questa dinamica trinitaria si

ripercuote sui diversi livelli dell'economia: sulla creazione e sulla redenzione. L'apparizione dell'uomo è possibile perché Dio lascia spazio alla libertà finita

dell'uomo. Dio permette che l'uomo si allontani da Lui (cioè permette il peccato), ma Dio ha permesso questa separazione, che avrebbe per l'uomo effetti mortali,

perché essa può essere inclusa (e dunque cancellata: superata) nello spazio eterno che il Padre ha creato per il Figlio, nella "separazione di amore" delle due

prime persone, unite tra di loro nello Spirito.

Così come il Padre separandosi da se stesso crea spazio per il Figlio, così il Figlio

nell'economia può espropriare se stesso, donare se stesso per noi assumendosi il nostro peccato, per creare per noi uno spazio nella giustizia. Gesù si pone come

nostro rappresentante nel peccato, identificandosi con noi peccatori, e così introduce nella Trinità, nel suo amore al Padre, l'oggetto dell'ira divina: la nostra

ribellione. Caricandosi con i nostri peccati Gesù si separa o si allontana dal Padre e perciò esperisce su di sé il "no" divino al peccato: l'abbandono del Padre, la

distanza infinità tra la santità di Dio e la miseria del peccato.

«Non c’è qualcosa come un misterioso farsi carico da parte di Cristo del peccato

del mondo, che certamente non ha commesso, ma la cui essenza e gli effetti Egli riceve e sperimenta nella sua ora –l’ora del Padre e allo stesso tempo delle tenebre? Non c’è forse come un’identificazione del Redentore con i suoi fratelli, con i peccatori, in un modo tale che Egli non voglia distinguersi da essi di fronte

a Dio, fino al punto di attrarre sopra di Sé, come un parafulmine, il giudizio di

Si domanda Von Balthasar:

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Gesù ci conosce? Noi conosciamo Gesù?, Morcelliana, Brescia 1981, 33.

a Dio, fino al punto di attrarre sopra di Sé, come un parafulmine, il giudizio di Dio sopra la realtà dell’antidivino del mondo?».

Questa separazione completa esperita da Gesù nella sua croce, morte e discesa

agli inferi è in realtà per Balthasar l'essenza dell'inferno, l'abbandono completo da Dio Padre, che Cristo patisce nel suo sabato santo. Ma la rinuncia a se stesso e alla

sua propria gloria che il Figlio compie per il fatto di caricarsi con i nostri peccati è in realtà compiuto per la gloria del Padre e per l'amore del Padre, e per questo

motivo l'abbandono del Figlio resosi solidale con i peccatori non è in realtà che una forma "economica" dell'infinito amore trinitario.In questo modo, scrive Balthasar:

Teodrammatica IV, 326.

Allora il principio di rappresentanza viene a sostenere che il mondo è stato creato

in Cristo e salvato da Cristo, il quale agisce come nostro sostituto vicario, con una sostituzione rappresentativa che non toglie la nostra libertà ma crea lo spazio di

quella nostra libertà. Infatti siamo noi coloro che possiamo accogliere l'amore che ci ha manifestato Dio perché in Gesù siamo stati creati e salvati, e grazie a Gesù

siamo in grado di raggiungere il nostro destino eterno.

Luis F. Ladaria, La trinità mistero di comunione, 226

"Equivale a una kenosi il dono totale che il Padre fa al Figlio e allo Spirito

nelle'eterno scambio di amore senza il quale Dio non è?"

La vita intratrinitaria dovrebbe essere considerata pienezza e

felicità di un amore perfetto.

È davvero la generazione amorevole del Verbo una sorta di rinuncia per Dio?

O, in altre parole, c'è una kenosi nella vita intratrinitaria?

Non è in fondo superfluo introdurre in Dio la contraddizione propria del

peccato, frutto del fallimento non di Dio ma dell'uomo? Non si rischia di arrivare a definire Dio in qualche modo da questa contraddizione, da questo

"no", come se in Dio l'eterno "sì" che sono le Persone-in-relazione potesse da sempre ospitare un eterno "no"?

Alla fine non risulta il tutto un po' come un 'opera di teatro con attori divini,

un dramma che Dio compie sulla scena della storia, per il bel applauso di noi che siamo il pubblico?

Alcuni aspetti problematici per questo autore:

Significato della posizione balthasariana

Il modo di pensare la Trinità proposto da von Balthasar ha certamente alcuni

aspetti discutibili. Tuttavia il fatto di concepire la Trinità secondo la logica dell'amore assieme all'idea di raccordare strettamente vari concetti fondamentali

come:

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Tentativi di attualizzazione della posizione classica anselmiano-tomista.

A differenza di Balthasar, la maggior parte dei teologi cattolici evitano di

introdurre una (pseudo) dialettica intratrinitaria, e fondano l'opera della redenzione direttamente sull'unità d'amore tra il Padre e il Figlio. Ugualmente si

segue la prospettiva tradizionale che non enfatizza la giustizia vendicativa: l'amore del Padre è presente in Cristo, come san Tommaso[1] ha detto.

[1] Dopo aver risposto affermativamente alla domanda se Dio ha consegnato Cristo alla

passione, San Tommaso si domanda nella Summa Teologica se questa azione non costituisca un atto crudele da parte del Padre. «No, –risponde – perché fu lo stesso Padre

ad ispirare nel Figlio la volontà di patire per noi» . III pars, q. 47, a. 3, ad 1°.

Questi autori sottolineano la priorità della dimensione discendente dell'iniziativa

e dell’opera della Trinità, ma si segnala anche la dimensione ascendente quando si parla della convenienza di un intervento di riparazione.

«c'è stata una richiesta di riparazione perché il Padre nel suo amore desiderava la collaborazione dell’uomo nella salvezza e ha voluto dare all'uomo il potere di riparare. La redenzione è stata l’opera del Figlio di Dio, perché il Padre ha

voluto dare il proprio Figlio: in questo modo è stato il primo a pagare il prezzo di riparazione. Cristo è morto, perché il Padre non ha esitato a darlo in sacrificio in favore degli uomini. Fornendo Egli stesso la riparazione che

richiedeva, il Padre ha sottolineato la gratuità dell’opera della salvezza» (J. Galot, Gesù liberatore, 275).

La riparazione, in ogni caso, è giustificata dall'amore del Padre: Per la dimensione discendente si sottolinea il ruolo attivo del Padre:

Riparazione: questa categoria è preferita a quella tradizionale di

soddisfazione, perché «più generale» e perché «include quanto di comune c'è nei termini di redenzione, soddisfazione, merito, sacrificio,

carità, liberazione, espiazione» (A. Amato, Gesù il Signore, 430). È anche un modo per evitare l'idea di una giustizia commutativa, con la difficoltà,

che ne conseguirebbe, nell'indicare il ruolo attivo del Padre.

Per la dimensione ascendente si conviene sulla categoria di riparazione:

È Cristo, tuttavia, che ha effettuato l’opera, attraverso la pena ed i dolori, in

riparazione per i nostri peccati, anche se per Lui non ha propriamente avuto il carattere di "pena".

come:Trinità immanente Trinità economica creazione redenzionesono aspetti da valutare positivamente nella sistematica balthasariana. Un buon

numero di autori hanno ripreso queste idee e proposto modelli non lontani di quello di Balthasar, ma che cercano di evitare gli aspetti troppo personali del

teologo elvetico (i quali dipendono a sua volta dagli scritti della mistica elvetica A. von Speyr). [Vedremo qualcosa di questo nella prossima sezione].Tra questi teologi:

Norbert Hoffmann e Karl Heinz Menke in ambito tedesco (hanno approfondito la

categoria di "rappresentazione sostitutiva" intendendola come l'azione del "creare lo spazio per l'altro".

Joseph Ratzinger, parte dall'idea di K. Barth di una "rappresentazione" come un 'elezione

alla riprovazione in favore dei riprovati. Ratzinger la considera nella linea del portare il peso degli altri (peccatori) secondo la legge paolina di portate gli uni i pesi degli altri. Negli

ultimi scritti di Ratzinger si nota di più l'influsso di Schürmann è la rappresentanza di Gesù si caratterizza come proesistente.

Marcello Bordoni, Bruno Forte, Piero Coda in ambito italiano hanno impostato la salvezza

come rivelazione trinitaria nella storia.

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«Ille proinde qui, sine ullo debito, poenam peccati assumit ex mera pro reo

charitate, dici sane potest aliquo modo punire pro alio, nam patitur materialiter poenam alii debitam, sed tamen illa poena non habet pro illo rationem poenae» (P. Galtier, De Incarnatione et Redemptione, 398).

Assumere una pena come riparazione non è lo stesso che assumere il castigo

dovuto al peccato, e non origina una sostituzione nella punizione. Non sono concetti equivalenti:

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Questa dinamica della carità è in primo luogo dinamica della carità di Dio, poiché

è lui che attua nel sacrificio di Cristo la sua giustizia salvifica (la quale è mossa del suo amore).

Idea guida della teologia contemporanea

Tre elaborazioni contemporanee:

1. Sacrificio come proesistenza in H. Schürmann

Viene dell'ambito biblico. La idea di Schürmann si concentra sulla completa

disponibilità da parte di Gesù a donare la sua vita per ciò che il Padre chiederà. È come un atteggiamento di base, una disposizione previa ad ogni altro significato

teologico sul motivo ella passione e morte di Gesù. Le categorie esplicative usate per motivare questa passione e morte: sacrificio, riscatto, ecc, vengono dopo e si

fondano su questa disponibilità.

In Gesù tutto è in funzione del Padre e dei discepoli. Ciò ha portato Schürmann a

coniare la categoria di "proesistenza" con la quale il nostro autore vuole esprimere che:

«in Gesù di Nazaret sembra venirci incontro una persona che, al posto del

cuore egoista degli uomini, dispone di uno “spazio libero”; spazio libero dal quale scaturisce un amore radicale verso Dio e verso il prossimo. E questo

perché da questo spazio libero fluisce l’amore di Dio per il mondo».

Schürmann, ¿Cómo entendió?, 148.

Proesistenza significa dunque esistere come pura donazione per gli altri. In

parole di M. Bordoni:

A partire da questa chiave il sacrificio di Cristo è fondamentalmente il dono che egli

fa di sé per i fratelli. Riprendendo questa categoria dallo Schürmann, Ardusso vede in Gesù una:

La fede provata, 183.

La dinamica di amore guida alla comprensione del sacrificio: questo ultimo

rimuove dall'interno dell'uomo l'ostacolo che il peccato costituisce, affinché l'amore assoluto di Dio possa radicarsi nella creatura.

In sostanza la teologia contemporanea viene a dire che:

Misericordia+ Dono de sé

Questa idea di Schürmann è stata seguita da diversi autori (J. Gnilka, P.

4. La Croce come consegna sacrificalelunedì 15 novembre 201011:02

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2. Sacrificio come amore persuasivo in M-J. Le Guillou

Le Guillou cerca di mettere in evidenza che il sacrificio, non è qualcosa di estrinseco

all'amore di Dio ma piuttosto una dimensione interna ad esso.

Secondo lui, nel presceglierci e predestinarci nel suo amato Figlio, Dio ha legato la nostra

libertà (fallibile) alla libertà santa del Figlio. In questo modo lo spazio della nostra risposta a Dio, positiva o negativa, rimane nell’ambito dell'amore del Padre, che si mostra nel suo

Figlio disposto al sacrificio per noi.

«Quanto più l'uomo orienta la sua libertà contro il piano di adozione al quale la deve, tanto più

sacrificale viene ad essere questo disegno. Il “sino alla fine” per gli uomini, a cui Cristo è voluto arrivare nella sua Pasqua, è il punto limite che coincide, senza poterlo annullare, con il rifiuto da

parte della libertà umana» (El misterio del Padre (edizione spagnola), 89 ).

Ciò si vede anche chiaro guardando l'azione di Giuda:○

«Il mistero di Giuda -spiega Le Guillou- consiste in questo: pur essendo situato nel cuore del sacrificio di Gesù, che continua ad avvolgerlo con il suo amore, egli si dirige in ogni caso verso “il posto da lui scelto” (At 1,25) come “figlio della perdizione” (Gv 17,12) [...]. Pertanto, contribuisce

alla consumazione sacrificale dell’amore salvifico». Ibid.

Il grado di rinuncia e di sacrificio che Dio fa di se stesso nella storia è determinato

dall'atteggiamento di risposta dell'uomo dinanzi alle pretese dell'amore di Dio. Più questa nostra risposta è positiva meno necessario è che il disegno di Dio si svolga nella

storia secondo una procedura sacrificale. Infatti, afferma il nostro autore:

Questa logica può essere estesa a tutti gli ambiti del peccatore e del peccato, nel senso

che ogni peccato orienta il disegno di Dio per la via della rinuncia sacrificale del suo Figlio, per cui si può affermare che: il sacrificio è la forma che prende l'amore di Dio, "in

corrispondenza a" e "sulla base di" la risposta negativa dell'uomo.

È questo amore che dona la grazia di redenzione, ed spinge, in definitiva, alla

conversione del cuore. Il sacrificio di Cristo mira dunque a sanare dal di dentro, e senza alcuna manipolazione della libertà (cioè non come un'imposizione inevitabile),

il cuore del peccatore. Anche qui vediamo come "soltanto l'amore salva".

Ma: perché è così? Perché Dio collega il nostro peccato al suo sacrificio? Perché in questo

modo il sacrificio di Dio perde ogni ambiguità. Esso è chiaramente posizionato nell'ambito dell'amore per il peccatore (cioè per il "nemico"), e costituisce un linguaggio

persuasivo, un invito attraente di Dio al peccatore; da questo l’uomo capisce che il sacrificio fa parte dell’ amore generoso e disinteressato di Dio, che si lascia mettere da

noi in uno stato di “scacco matto”.

Di conseguenza, per Le Guillou, il sacrificio non è frutto della giustizia di un Dio •

Riflessioni

anche interessanti

per comprender

e la questione

della volontà di Dio nella

passione del suo Figlio

Questa idea di Schürmann è stata seguita da diversi autori (J. Gnilka, P.

Stuhlmacher ed altri), ma forse è stato J. Ratzinger a svilupparla più di nessun altro, in unione con l'idea che l'essere di Gesù si caratterizza come essere-da (Dio)

e dell'essere-per (il Padre, gli altri) di Cristo. Tra i tanti testi di Ratzinger scegliamo due:

Introduzione al cristianesimo, 142-143.

"Per Giovanni il termine 'Figlio' denota un essere-in-derivazione-dall'altro; con tale vocabolo, egli definisce l'essere di questo Uomo come un derivare dall'Altro ed essere polarizzato su di

lui, come un essere completamente aperto da entrambi i lati, che non conosce alcun spazio chiuso, riservato al solo 'io'. Se in tal modo appare chiaro che l'essere di Gesù in quanto Cristo

è un essere totalmente aperto, un essere 'derivante' e 'protendentesi', che non poggia mai su se stesso né sussiste mai per conto suo, è al contempo tanto ovvio che tale essere è pura relazione

(non sostanzialità), ed essendo pura relazione è anche pura unità"

Gesù di Nazaret II, 166-167.

"La teologia recente ha sottolineato a ragione la parola « per », comune a tutti e quattro i vangeli, una parola che può essere considerata come parola-chiave non solo dei racconti dell'ultima cena, ma della stessa figura di Gesù in genere. L'intera sua indole viene qualificata con la parola «pro-esistenza » - un esserci non per se stesso, ma per gli altri, e questo non soltanto come una dimensione qualsiasi di questa esistenza, ma come ciò che ne costituisce l'aspetto più intimo e più totalizzante. Il suo essere è come tale un «essere per ». Se riusciremo

a capire questo, allora ci saremo veramente avvicinati al mistero di Gesù, allora sapremo anche che cosa significhi sequela".

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Lo ha creato come un figlio e lo salva anche come si salva un figlio.○

Non c'è vera tensione qui tra la giustizia e l'amore, infatti, la giustizia si misura in

relazione al disegno di amore filiale e richiede che la redenzione si compia in virtù della stessa efficacia dell’amore paterno.

Di conseguenza, per Le Guillou, il sacrificio non è frutto della giustizia di un Dio

vendicativo che cerca un riscatto del suo onore, al contrario, rispecchia in modo "ragionevole" e adeguato la fedeltà di Dio alla grazia (dell’adozione filiale) che ha dato

all'uomo quando lo ha creato.

3. Sacrificio come rivelazione dell'Agapé di Dio in Bordoni.

M. Bordoni sviluppa un'idea per certi versi simile. Egli dice che Dio -il Dio Trino- si

presenta nella storia come offerta d'amore e di vita in nostro favore, e questo amore si esprime attraverso l'offerta della propria vita fatta da Gesù per i peccatori. Bordoni

sottolinea la prospettiva discendente e la chiave trinitaria. Infatti:

"il Padre si dona nell’Unigenito amato, e attraverso di lui ci consegna la sua paternità, il Figlio si dà a noi con la sua libera consegna fino alla morte, e per questo dono del Padre e del Figlio la storia si riempie con la fecondità dello Spirito", per cui si conclude che è "questa consegna, il sacrificio di Cristo, produce e introduce nella storia l'amore delle tre persone di Dio".

«nella misura in cui l'azione dell’Amore Assoluto entra nel mondo della creazione, genera un dramma che raggiunge, nella passione della croce e sotto forma di lotta (tentazione), la relazione del Figlio incarnato con il Padre» (Bordoni, Gesù di Nazaret, III, 517).

Nella visione di Bordoni, come in quella di Le Guillou, la sofferenza di Cristo è dovuta al

contatto dell’amore con la condizione decadente dell’umanità.

Ma proprio superando questa insidia, il Figlio apre la sua carne completamente alla

realizzazione dell'amore, all'amore Assoluto di Dio.

In questo modo la morte obbediente e altruista di Cristo rende possibile che il mondo

possa ricevere la forma dell’amore di Dio. Essa si riceve in primo luogo in Gesù e a partire da Gesù in tutti coloro che in lui credono. Così il mondo si rinnova in una nuova

condizione di essere: «l’essere trinitario di Dio» (Bordoni, Gesù di Nazaret, III, 518).

Bordoni

sottolinea di più la idea

dell'assunzione della "carne di

peccato" da parte di Gesù.

Come carne nella quale

l'amore di Dio solo può

penetrare attraverso il

combattimento.

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Croce e risurrezione si considerano, in prospettiva soteriologica, in unità:

come due facciate della stessa moneta.

Sono la carne annientata dal peccato e la carne ricreata dalla potenza di Dio:

insieme esprimono il passaggio dalla caducità di un mondo di peccato all’eternità del mondo di Dio.

La "carne passibile", quella che abbiamo nel presente storico, è la carne

adeguata per la prova della nostra libertà.

È anche la "carne di peccato" -come la chiama s. Paolo- perché di fatto

l'uomo ha peccato e si è meritato la morte.

In questo senso, la risurrezione è una seconda creazione (che però

presuppone la prima) ed è escatologica, cioè, non ammette alcun miglioramento.

Il Risorto è l'immagine vivente della cancellazione del peccato

umano e del suo confinamento in un passato che non può tornare. È quindi il simbolo e l'incarnazione dell’eterno presente di Dio, che

non ammette la miseria, la disintegrazione o la caducità.

Invece "la carne risorta" è la carne che ha superato il peccato e la prova,

e perciò contiene in sé tutte le possibilità che la materia ha di esprimere qualcosa di eterno e di divino.

Il suo influsso in ambito cattolico è stato notevole, soprattutto

la sua presentazione della risurrezione di Cristo come anticipazione (prolepsis) del futuro ultimo verso cui cammina

la storia.

Soprattutto W. Pannenberg ha insistito su alcune di queste

prospettive: «La resurrezione del crocifisso è l’autorivelazione escatologica di Dio» (Rivelazione come storia, Dehoniane, Bologna

1969, 183).

La carne risuscitata è il frutto, l’opera che Dio realizza quando il peccato

smette di essere una possibilità, perché rimane definitivamente confinato nel passato, e si può dare pieno corso all’amore.

La solidarietà nella sofferenza che Dio ha stabilito con l'uomo diventa

nella risurrezione, nuovo atto dell’amore di Dio, una costante comunione nella pienezza della felicità.

L'abbassamento e l'umiliazione che sono stati il mezzo dell’espiazione

del peccato lasciano il posto al nuovo mondo riconciliato ed elevato alla comunione con Dio nella gloria.

Il dono di se stesso e la consegna “proesistente” compiuta una volta e

realizzato nella storia, aprono la strada ad un maggiore dono di sé, che, nello Spirito del Risorto, è universale e la cui efficacia non ammette

limiti nel tempo o nello spazio.

La risurrezione corona tutto ciò che è stato detto sulla croce. ○

Mediante la risurrezione di Cristo il mondo e la storia cominciano a vivere

sotto il segno della grazia, a partecipare alla nuova vita nel Signore Risorto in ordine alla salvezza.

Questo avviene soprattutto per l'azione dello Spirito Santo che è lo

Spirito del Risorto.

La Croce,

manifestazione dell'amore di Dio

La Croce assunzione

del peccato del mondo

La Croce come

consegna sacrificale

5. La risurrezione, assunzione del mondo nella comunione trinitariamartedì 21 dicembre 201018:06

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Giovanni Paolo II, Enc. Dominum et Vivificantem, 10.

Nella terza persona della Trinità «la vita intima di Dio uno e trino si dona interamente (…) [Lo Spirito] è amore e dono (increato) dal quale deriva come una fonte (fons vivus) ogni dono per le creature (dono creato): il dono dell’esistenza ad ogni cosa mediante la creazione; il dono della grazia agli uomini mediante tutta l’economia della salvezza».

Spirito del Risorto.

In virtù di questo «il Cristo vivente diventa la fonte di vita dei suoi e,

attraverso di essi, del mondo intero» (J. M. Perrin).

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