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La settimana di cittanuova.it Direttore responsabile - Michele Zanzucchi Mail - [email protected] ANNO I - N. 0 - APRILE 2012 ANNO I - N. 11 - LUGLIO 2012 - La settimana di cittanuova.it - Direttore responsabile Michele Zanzucchi - Mail [email protected] SOMMARIO La spartizione delle poltrone in Rai di Gianni Di Bari pag. 2 Lo Stato trattò davvero con la mafia? di Roberto Mazzarella » 3 Roger Federer al settimo cielo di Marco Catapano » 5 Il gioco è bello se non si spende troppo di Maria e Raimondo Scotto » 6 Kenya, non è una guerra di religione di Liliane Mugombozi » 8 L'unico superstite di Flavia Cerino » 9 Alla ricerca di una verità condivisa sulla Diaz di Carlo Cefaloni » 10 Quell'11 luglio a Srebrenica di Vincenzo Buonomo » 11 Biancaneve e il cacciatore di Mario Dal Bello » 12 Nepi, non solo acque di Oreste Paliotti » 13 Ulaan Baatar, Mongolia. L’11 e il 12 luglio di ogni anno migliaia di mongoli accorrono nella capitale per celebrare la Festa di Naadam, in ricordo della conquista dell’indipendenza nel 1921. Canti e danze in abiti e con musiche tradizionali precedono le competizioni sportive, cuore della festa, che si conclude con la spettacolare corsa sui cavalli. UN FATTO UNA FOTO

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Direttore responsabile - Michele Zanzucchi

Mail - [email protected]

ANNO I - N. 0 - APRILE 2012

ANNO I - N. 11 - LUGLIO 2012 - La settimana di cittanuova.it - Direttore responsabile Michele Zanzucchi - Mail [email protected]

SOMMARIO

La spartizione delle poltrone in Rai di Gianni Di Bari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 2Lo Stato trattò davvero con la mafia? di Roberto Mazzarella . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 3Roger Federer al settimo cielo di Marco Catapano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 5Il gioco è bello se non si spende troppo di Maria e Raimondo Scotto . . . . . . . . . . . . . . » 6Kenya, non è una guerra di religione di Liliane Mugombozi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 8L'unico superstite di Flavia Cerino . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 9Alla ricerca di una verità condivisa sulla Diaz di Carlo Cefaloni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 10Quell'11 luglio a Srebrenica di Vincenzo Buonomo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 11Biancaneve e il cacciatore di Mario Dal Bello . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 12Nepi, non solo acque di Oreste Paliotti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 13

Ulaan Baatar, Mongolia. L’11 e il 12 luglio di ogni anno migliaia di mongoli accorrono nella capitale per celebrare la Festa di Naadam, in ricordo della conquista dell’indipendenza nel 1921. Canti e danze in abiti e con musiche tradizionali precedono le competizioni sportive, cuore della festa, che si conclude con la spettacolare corsa sui cavalli.

UN FATTO UNA FOTO

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Nomine Rai

LA SPARTIZIONE DELLE POLTRONEIl vero spettacolo lo hanno dato, ancora una volta, i partiti intenti a dividersi i posti nel nuovo Consiglio di amministrazione

di Gianni Di Bari

E anche questa volta Beppe Grillo se la ride . Senza doversi spremere le meningi per cavare nuove battute, senza dover sprecare fiato per far partire altre invettive, il comico si vede recapitare direttamente a casa nuovi pacchetti di voti . A mandarglieli infiocchettati sono i partiti, quelli che a parole dicono di voler combattere la cosiddetta antipolitica, ma che nei fatti, con le loro azioni, con le loro scelte scellerate, continuano insensatamente a regalargli elettori, perseguendo il folle obiettivo di alimentare il fuoco dei sentimenti anticasta .

Una escalation di atteggiamenti autodistruttivi di cui l’ultima battaglia in Commissione di Vigilanza Rai per la nomina del nuovo Cda di viale Mazzini, è stata la più dirompente . Attorno all’azienda del servizio pubblico se ne erano viste già tante, di tutte e di più . Ma come l’ultima settimana, mai . Dopo alcune promesse e altrettanti tentennamenti, il premier Monti aveva dettato la linea: ora basta, fuori i partiti dalla Rai, e che si volti finalmente pagina . Non si potranno riscrivere in tempi brevi le regole del governo Rai, aveva dovuto prendere atto il premier bloccato dai veti delle segreterie politiche, ma che almeno si cambino facce e metodi . Di qui l’indicazione della Tarantola alla presidenza e di Gubitosi alla direzione generale .

Per i partiti doveva essere questa l’occasione giusta da prendere al volo per redimersi di fronte all’opinione pubblica, facendo finalmente non gli interessi propri o del proprio padrone, ma del Paese . Ed invece anche questa volta lo spettacolo mandato in onda, è stato di

quelli piuttosto scadenti, del tipo di quelli già in palinsesto in questi giorni d’estate . Repliche già viste di commedie di serie B .Il Pd si è arroccato sulla linea del Piave, o si cambia tutto o non si cambia niente, poi con ritardo ha accettato di avvallare almeno le nomine di due esponenti della società civile, Colombo e Tobagi, unica novità positiva in giorni di lottizzazione selvaggia .

Il Pdl è riuscito a fare molto peggio . Prigioniero del conflitto d’interessi, tenuto al guinzaglio dalle esigenze di Berlusconi, dopo aver provato a rinviare ogni decisione, giocando con la vita dell’azienda e dei suoi dipendenti pagati dai cittadini con il canone, è arrivato a far rinascere lo spettro dell’alleanza già sepolta con la Lega, pur di non perdere poltrone al Settimo piano . È stato così che è stata trasmessa la farsa Amato, il componente della Vigilanza rimosso un attimo prima di dare un voto contrario alle indicazioni del suo partito, con la nomina a tempo di record da parte del presidente del Senato, di un suo sostituto . Attivismo frenetico e decisioni fulminee che cozzano terribilmente con la prassi recente di un Parlamento che non decide più nulla e in cui i progetti di legge di riforma della Rai languono da anni nei cassetti .

Mentre si chiudono ospedali, si tagliano posti di lavoro, mentre i consumi languono e la gente non può permettersi neanche una vacanza, mentre è l’intero Paese a rischiare il fallimento, i principali partiti continuano a giocare a Risiko con i direttori di rete e di testata . Passatempo divertente se non fosse

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Lotta alla criminalità organizzata

LO STATO TRATTÒ DAVVERO CON LA MAFIA? A pochi giorni dall'attentato in cui morì Borsellino, tornano di attualità le sue parole. Ma cosa accadde in Italia in quell'anno? Qualcuno del governo o dei servizi segreti si accordò con la malavita?

di Roberto Mazzarella

Una sera di venti anni fa, presso l’atrio della biblioteca comunale di Palermo, Paolo Borsellino (nella foto con il giudice Falcone), pochi giorni prima di saltare in aria con la sua scorta, tenne il celebre discorso, un monito con la strage di Capaci ancora negli occhi . Era il 25 giugno del 1992 . Anch’io ero presente: ero stato appena eletto coordinatore del movimento per la democrazia La Rete . Un’elezione davvero singolare per la tempistica: subito dopo l’eccidio di Capaci e qualche settimana prima della strage di via d’Amelio . Non avevo mai fatto politica fino a quel momento e probabilmente mi era capitata l’occasione di farla nel momento più buio per la mia terra . Se non mi avesse sorretto la ferma convinzione di ritenere davvero la politica il “più grande atto d’amore per la propria gente” non avrei capito nulla di quel che mi stava accadendo e di quel che stava accadendo . A vent’anni di distanza viene spesso riproposto in televisione il celebre discorso che Borsellino – che sapeva della sua imminente fine – fece fumando una sigaretta dietro l’altra . «Qualche

Giuda», disse quella sera Borsellino non volendo fare nomi, ma lasciando ben intendere tutto . Risentire il suo discorso fa male . Si capisce che troppe bugie, troppi ignobili ritardi ci sono stati . «Paolo – dice Ingroia, procuratore aggiunto a Palermo – conosceva una verità che è morta con lui . Si è perso troppo tempo . Sembra che si voglia chiedere alla magistratura di rallentare . La politica – dice ancora Ingroia – faccia un passo avanti, lo dico senza polemica, eviti di insultare i giudici» . Si è parlato tanto in questi giorni della cosiddetta trattativa tra lo Stato e la mafia spesso senza capirne granché . Eppure riguarda un periodo storico contemporaneo a quelle terribili stragi . Nel 1993, infatti, Cosa Nostra lancia la sua offensiva contro lo Stato . Totò Riina è in carcere ma i suoi luogotenenti non desistono e vogliono che lo Stato allenti la pressione sulla mafia, conceda gli arresti ospedalieri a boss come Pippo Calò e Bernardo Brusca . Leoluca Bagarella, Giovanni Brusca, Filippo e Giuseppe Graviano vogliono davvero farsi sentire .Così, nella notte del 14 maggio 1993

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che così facendo l’azienda, patrimonio di tutti, continua a perdere ogni giorno milioni in pubblicità, assecondando i diktat di questo o quel leader . Quelli che ironizzavano sulla loro scarsa conoscenza della tivù, hanno chiamato marziani i nuovi dirigenti di Viale Mazzini .

Ma mentre Grillo sghignazza in vista delle politiche, la sensazione è che a venire da un altro pianeta siano ancora una volta loro, i partiti . E chi paga il canone è proprio lì, in un altro sistema solare, che adesso vorrebbe volentieri mandarceli in soggiorno obbligato .

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un’autobomba esplode in via Fauro, nel quartiere Parioli a Roma . In quel momento stava passando l’auto con a bordo il conduttore televisivo Maurizio Costanzo . Ma nei paraggi, fu trovata anche una macchina, una Y10 che apparteneva all’agente dei servizi segreti Lorenzo Narracci, stretto collaboratore del numero tre del Sisde, Bruno Contrada . Interessante ricordare che tra le macerie e i rottami causati dall’esplosione nell’autostrada di Capaci dove perse la vita Falcone, la moglie e gli agenti della sua scorta, fu trovato un biglietto con il numero di cellulare di Narracci . Il 27 maggio sempre del 1993, la mafia fa esplodere a Firenze un Fiorino Fiat in via dei Georgofili a pochi passi dalla galleria degli Uffizi . In questa esplosione muoiono ben cinque persone tra le quali una bambina di appena 50 giorni . Il 27 luglio un’altra bomba, questa volta a Milano, in via Palestro, e anche qui muoiono cinque persone . Nella stessa notte altre due bombe a Roma: in piazza san Giovanni e di fronte la chiesa di san Giorgio al Velabro . Il 10 agosto la Dia (Direzione investigativa antimafia) parla in una relazione segreta di «trattativa» e nella relazione si legge «che la strage di Capaci e l’omicidio dell’eurodeputato Salvo Lima sono da interpretare come due momenti significativi di una strategia a difesa di Cosa Nostra» . Dopo la strage di via d’Amelio, Cosa Nostra è divenuta compartecipe di un progetto «designato – si legge sempre nella relazione della Dia – e gestito insieme a un potere criminale diverso e più articolato . Da ciò è derivata per i capi l’esigenza di

riaffermare il proprio ruolo e la propria capacità di direzione anche attraverso la progettazione e l’esecuzione di attentati in grado di indurre le istituzioni a una tacita trattativa» .Tutto ci si sarebbe aspettati a seguito di questa informativa della Dia tranne quello che invece è accaduto: nel novembre successivo non vengono rinnovati 343 provvedimenti di carcere duro per detenuti mafiosi . Ancora oggi non si riesce a capire e a sapere chi fu a dare l’ordine .

Bugie e misteri «Se una cosa abbiamo capito in questi venti anni – ha detto qualche sera fa Rita Borsellino, sorella del giudice Paolo – è che sulle stragi ci hanno raccontato un mucchio di fandonie . C’è stata una rete fatta da chi ha diffuso ad arte le bugie per oscurare la verità» . La Borsellino, come si ricorderà, si riferisce al depistaggio delle indagini sulla strage di via d’Amelio e lei stesse si è chiesta: «Come è possibile che si sia arrivati a sentenze passate in giudicato e che tutto quel castello di bugie sia passato al vaglio anche di magistrati senza che venisse fuori prima la verità?» .La ricerca della verità è talvolta dura anche perché c’è chi rema contro, ma non si può parlare di rinnovamento della nostra democrazia, meno che mai parlare di riforme se non vengono sciolti questi nodi . La questione della legalità – come ho avuto modo di dire in altre occasioni – non è una questione che può riguardare solo l’ambiente della giustizia, ma deve davvero divenire pre-condizione per la politica, per l’economia, per l’educazione .

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Sport

ROGER AL SETTIMO CIELOFederer trionfa a Wimbledon. Un campione straordinario, che alla soglia dei trentuno anni torna anche a essere il numero uno del mondo

di Marco Catapano

Quando Roger Federer ha iniziato a giocare a tennis (aveva otto anni), mamma Lynette (sudafricana) e papà Robert (svizzero), gli appesero in camera i poster dei suoi primi idoli, Stefan Edberg e Boris Becker . Poi, crescendo, Roger ha sostituito quei poster con quelli di Pete Sampras, il talentuoso giocatore statunitense che, nel corso di una fantastica carriera, ha riscritto il libro dei record di questo sport . Prima che Federer cominciasse a portargli via primati su primati, Sampras è stato infatti il “suo eroe”, il giocatore che, tra l’altro, ha trionfato più volte a Wimbledon, il torneo di tennis più antico del mondo, ed è stato anche il tennista che ha occupato per più settimane la prima posizione della classifica mondiale . Domenica scorsa, aggiudicandosi per l’ennesima volta il prestigioso torneo londinese, in un colpo solo Federer ha eguagliato questi due primati . Al termine di una partita a tratti entusiasmante, disputata contro l’idolo di casa, lo scozzese Andy Murray, Roger ha alzato infatti per la settima volta in carriera (proprio come Sampras) la coppa d’argento riservata al vincitore di Wimbledon(dopo i cinque successi consecutivi ottenuti tra il 2003 e il 2007, ed il successo dell’edizione del 2009) .

Con questa vittoria, allo stesso tempo, Federer ha riconquistato anche il primo posto della classifica mondiale, posizione che ha occupato per l’ultima volta nel giugno di due anni fa . Roger, allora, era giunto ad un passo dal record di Sampras, che era stato numero uno del mondo per 286 settimane, mentre il campione svizzero si era fermato a quota 285 .

In questi due anni Federer, pur continuando a incantare gli appassionati con il suo gioco a tratti geniale, ha avuto un rendimento altalenante, ed è stato dato per finito più volte . In pochi credevano che ormai, giunto alla soglia dei trentun anni (li compirà il prossimo 8 agosto), potesse ancora trionfare in un torneo dello Slam, e men che meno che potesse riagguantare la prima posizione della classifica mondiale che, nel frattempo, è stata occupata a turno da due assi di questo sport molto più giovani di lui come lo spagnolo Rafa Nadal (che oggi ha ventisei anni) e il serbo Novak Djokovic (da poco venticinquenne) .

Roger, invece, ancora una volta ha smentito tutti . D’altro canto non stiamo parlando di uno sportivo normale, ma del tennista (forse) più forte di tutti i tempi . Stiamo parlando di un giocatore dalla continuità di rendimento impressionante, che da oltre nove anni è tra i primi tre giocatori del mondo, che nella storia ha vinto più tornei del Grande Slam di tutti (ben 17, di cui 7 Wimbledon, 5 Open degli Stati Uniti, 4 Australian Open e 1 Roland Garros), del campione che in questo decennio non ha solo vinto tutto quello che si poteva vincere ma che, caso più unico che raro, è riuscito a conquistare l’ammirazione e il rispetto anche dei tifosi dei suoi principali avversari, oltre che la stima dei suoi colleghi . Insomma, un esempio per tutti, dentro ma anche fuori dal campo .

Eh sì, intanto perché a vederlo giocare non ci si annoia mai, essendo un “artista” capace di mettere a segno ancora oggi dei colpi sensazionali che per gli altri giocatori del

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circuito sono quasi impossibili non solo da fare … ma anche da pensare . Come ha fatto in alcune fasi di gioco anche domenica, guarda caso proprio nei momenti decisivi della sfida con Murray, una partita durata quasi tre ore e mezza e giocata bene da entrambi ma dove l’esperienza e la voglia di vincere di Federer alla fine hanno avuto la meglio (4-6, 7-5, 6-3, 6-4 il punteggio finale) .

E poi Roger è un vero fenomeno cui è davvero impossibile non affezionarsi, anche perché non è solo un “re” in campo, ma anche una persona squisita fuori, con uno stile sempre composto, educato, mai fuori le righe . E lo è diventato ancor di più dopo che la sua Mirka, la moglie (ex tennista conosciuta durante i Giochi Olimpici di Sidney 2000), gli ha regalato due splendide gemelline che a giorni compiranno tre anni (Charlene Riva e Myla Rose), e che domenica erano in tribuna ad applaudire il loro papà insieme con gli altri 18 mila sportivissimi spettatori presenti sul Centre Court dell’impianto londinese .

Lui, nel tempo libero, adora giocare a carte e a ping-pong ed è un fan sfegatato della squadra di calcio svizzera del Basilea, ma non solo… Dopo il primo grande successo di una fantastica

carriera, ottenuto proprio a Wimbledon nel 2003, Roger ha sentito infatti l’esigenza di impegnarsi attivamente anche nel sociale . Così, nel 2003, ha creato una Fondazione che porta il suo nome che ha lo scopo di supportare progetti a vantaggio dei bambini disagiati, in particolare nel Sudafrica, Paese di origine della mamma, ma anche in Etiopia, Tanzania, Zambia, Zimbabwe e Malawi . Da allora, quasi 50 mila bambini hanno migliorato la qualità della loro istruzione di base . Alcuni di loro, in particolare, possono studiare, mangiare e praticare sport in una scuola di un paesino vicino a Port Elizabeth .

Roger è sempre in prima linea quando c’è da supportare qualche iniziativa di solidarietà . Così, in questi anni, ha dato il suo contributo a diversi progetti dell’Unicef, tra i quali quelli messi a punto per le vittime dello Tsunami thailandese del 2004, dell’uragano Katrina del 2005 e del terremoto giapponese dello scorso anno . Si è inoltre impegnato in prima persona a finanziare la costruzione di un centro sportivo a Zwide, in Sudafrica, posto che ha anche lo scopo di servire come luogo dove attuare una campagna di prevenzione dell’Aids tra i più giovani . Federer è davvero un esempio per tutti, dentro ma anche fuori dal campo .

10-07-2012

Emergenze sociali

IL GIOCO È BELLO SE NON SI SPENDE TROPPO80 miliardi di euro l'anno in lotterie, slot machine e giochi d'altro tipo. La probabilità di vincita è una su 600 milioni di giocate. Come difendersi da messaggi sempre più persuasivi e ingannevoli?

di Maria e Raimondo Scotto

Tutti amiamo giocare; fin da bambini il gioco è essenziale per la crescita umana . Man mano che si entra nel mondo degli adulti,

il desiderio di giocare rimane, anche se assume modalità diverse . È un desiderio insito nel cuore dell’uomo, che lo aiuta in qualche modo a

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ritrovare l’ingenuità e l’innocenza dell’infanzia, per superare e combattere lo stress quotidiano . Tutto sarebbe semplice, se non subentrassero i soliti furbi, che sanno sfruttare i desideri umani più giusti per fare quattrini . È un tema scottante ed attuale, di cui si parlerà anche al Fiuggi family festival (kermesse cinematografica dedicata alle famiglie), che si svolgerà dal 25 al 29 luglio, e che da anni mostra una particolare sensibilità su temi che coinvolgono anche la famiglia . I dati sull'argomento, del resto, sono allarmanti . Si sta passando, con ritmo vorticoso, dal gioco sano al gioco patologico, e sono ormai milioni le famiglie coinvolte . Un approfondimento sull'argomento è stato fatto, qualche tempo fa, in occasione di un seminario preparatorio al festival, che si è svolto a Roma . Con il suo intervento, il prof . Maurizio Fiasco, sociologo della Consulta nazionale delle fondazioni antiusura, ha spalancato un panorama sconosciuto e allarmante . Si comincia comprando un semplice biglietto della lotteria; poi, stimolati da una perversa campagna pubblicitaria che mostra, come miraggi facilmente raggiungibili, ingenti somme di danaro, le persone più varie cadono nella dipendenza dal gioco, fino a spendere per questo buona parte dello stipendio e a dover ricorrere agli usurai per poter pagare debiti enormi . In fondo siamo tutti un po’ creduloni; nel nostro inconscio rimane per sempre il desiderio della bacchetta magica che trasforma la zucca in carrozza dorata . Purtroppo questo, nella realtà, avviene solo a vantaggio di coloro che sanno ben sfruttare le debolezze umane e che portano nelle loro tasche carrozze piene di soldi, letteralmente rubati a ingenui giocatori . Gli esperti dicono che la probabilità di vincita in una lotteria, nel lotto, nelle scommesse, ecc ., è una su 600 .000 .000; ma nessun messaggio televisivo lo dirà mai al disarmato telespettatore, che vede già i grassi premi promessi, direttamente recapitati al suo indirizzo .

Il messaggio al quale siamo quotidianamente sottoposti dai media è che più si gioca, più si hanno buone possibilità di vittoria; allora è buono giocare, è una cosa sana, divertente, rischiare è dei forti, dei coraggiosi… Trasmissioni come “Affari Tuoi” che tutte le sere, nella fascia oraria più seguita dagli italiani tormentano le nostre famiglie, sottolineano lo stesso tipo di messaggio, inculcando l’idea che ci si può arricchire anche senza particolare abilità, solo tentando la sorte . Anche la dipendenza dalle slot machine si sta diffondendo a macchia d’olio, così come si aprono sempre nuove sale da gioco, botteghe per le scommesse, ecc . Nel 1992 gli italiani hanno speso per il gioco circa sei miliardi e nel 1999 circa 18; attualmente le cifre sono da capogiro, si parla di 80-90 miliardi . Nonostante la crisi economica, anzi proprio per la crisi, si cade più facilmente nel bisogno compulsivo di giocare e, sempre più frequentemente, gli psicologi devono curare le ludopatie . Si comincia a sospettare che dietro ai giochi d’azzardo di massa, preparati a livello industriale, ci siano nuove forme di criminalità organizzata . Si pensi al semplice gioco di “gratta e vinci”, che veicola miliardi nelle tasche di sconosciuti, subdoli imprenditori . Il grave è che manca una legge che regolarizzi il gioco industriale . Il seminario - nel quale sono intervenuti, tra gli altri, con vivacità e autorevolezza, la responsabile dell'Fff, Antonella Bevere Astrei, gli onorevoli Renato Mosella ed Eugenia Rocella, il conduttore televisivo Carlo Conti - ha sottolineato l’urgenza di educare a una visione critica dei media, a distinguere il gioco sano dal gioco aleatorio, di sostenere e formare le famiglie in un contesto storico problematico, come quello attuale . Si è poi lanciata la nuova edizione del Fiuggi family festival che sarà una splendida occasione per le famiglie e per tutti coloro che desiderano coniugare il desiderio di “gioco” e di riposo con la creazione di una cultura nuova nel campo dei media, che metta al centro l’uomo e non il profitto .

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11-07-2012

Africa

KENYA, NON È UNA GUERRA DI RELIGIONEScontri nel Paese, ma i motivi non sono religiosi. Musulmani e cristiani impegnati per promuovere la coesistenza pacifica

di Liliane Mugombozi - Africa New City

Negli ultimi tempi, a tenere banco tra le notizie in arrivo dall’Africa sono quelle in merito al conflitto tra cristiani e musulmani . Oltre all'altissima tensione che da mesi affligge la Nigeria, lo scorso 28 maggio la Tanzania – uno dei Paesi più pacifici dell'Africa Orientale – ha dovuto confrontarsi con un’ondata di violenze a Zanzibar: i membri di un gruppo che si fa chiamare "Jumuiya ya Uamsho na Mihadhara ya Kiislamu Zanzibar" (Associazione per la mobilitazione e la propaganda musulmana a Zanzibar) ha infatti incendiato due chiese e distrutto altri edifici . L’evento ha scioccato la classe politica di Dar Es Salaam, in quanto il gruppo chiede che Zanzibar esca dall'Unione del Tanganyka, sotto cui si è formata la Repubblica della Tanzania due anni dopo l'indipendenza .

Mentre gli africani stavano ancora cercando di sanare queste ferite, altre notizie sono arrivate dal Kenya: il 1° luglio due attacchi simultanei ad altrettante chiese a Garissa, nel Nord del Paese, hanno provocato 17 morti . Gli attentati sono stati collegati alla presenza delle truppe kenyote in Somalia, per combattere i militanti di al Shabaab .

I cristiani e i musulmani dell’Africa sono dunque in guerra? Due anni fa un rapporto del Pew, “Forum sulla religione e la vita pubblica”, ha indagato il complesso panorama religioso dell’Africa sub-sahariana, evidenziando come, sebbene la religione a volte provochi tensioni, porti anche alla tolleranza tra africani . Il direttore del Centro Pew, Luis Lugo, aveva

affermato che la scelta di una tale materia di indagine era stata motivata dal fatto che l’Africa sub-sahariana «è il più importante luogo di incontro nel mondo tra la cristianità e l’Islam, per cui è da lì che bisogna partire per esplorare le questioni della comprensione e dell’impegno interreligioso» .

Quindi, cosa sta accadendo? Molti la pensano come Amilcar Cabral, scrittore e politico della Guinea Bissau: «Teniamo sempre a mente che la gente non combatte per le idee, per qualcosa che ha in testa: combatte per avere benefici materiali, per vivere meglio, per far avanzare le proprie vite e garantire un futuro ai propri figli» .Alik Shahadah, studioso e regista cinematografico, guarda alla storia: «La storia dell’umanità testimonia che non abbiamo bisogno della religione per scatenare la violenza: dobbiamo fermarci a riflettere davanti agli 800 mila morti in 100 giorni del Ruanda, ai 5 milioni e 400 mila del Congo, al milione e 200 mila della guerra tra Nigeria e Biafra, ai 2 milioni dell’Etiopia, e chiederci dov’è la religione in tutto questo . E anche al di fuori dell’Africa: i 40 milioni di morti nella Cina di Mao, i 20 milioni nella Russia di Stalin, o i 42 milioni provocati da Hitler» .

Il clero kenyota di entrambe le fedi si è impegnato a far sì che non esploda la violenza settaria: «Questa non è una guerra religiosa, e deve essere affrontata secondo un paradigma diverso», ha affermato Adan Wachu, segretario generale del Consiglio supremo dei musulmani del Kenya e presidente del

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Consiglio interreligioso . Il cardinale John Njue ha confermato che «la Chiesa ritiene che il Paese non sia in preda ad una guerra di religione: chiediamo a tutti i kenyoti di

lavorare per promuovere una coesistenza pacifica» .

Traduzione di Chiara Andreola

11-07-2012

Immigrazione

L'UNICO SUPERSTITEOltre cinquanta migranti partiti dalla Libia sono morti in mare per disidratazione. Solo un eritreo si è salvato. Una tragedia torna alla ribalta

di Flavia Cerino

È proprio vero che solo la tragedia estrema fa notizia . L’eritreo salvato in mare, unico superstite tra oltre 50 persone che affollavano il barcone partito dalla Libia alcuni giorni fa, oggi è al centro dell’attenzione dei mass media . Eppure da alcune settimane sono ripresi gli sbarchi sulle coste siciliane . Gruppi di centinaia di persone che in patria non hanno alternative . Morire per morire, tanto vale tentare la traversata . Se va bene si può sperare di farcela e di rifarsi una vita . Tuttavia il segno del viaggio in mare rimarrà per sempre . La paura che si prova in quei giorni prima o poi emerge . A distanza di quasi due anni dallo sbarco alcuni ragazzi hanno crisi di panico, insonnia, paure all’apparenza ingiustificabili . È il ricordo di quelle ore che riemerge e che si aggiunge all’incertezza del futuro, all’incognita di quello che si potrà fare qui, in Italia, alla sofferenza profonda e lancinante per la lontananza dagli affetti più cari . A questo si aggiunge l’ansia di non deludere chi è rimasto

in patria e aspetta di ricevere quel piccolissimo aiuto economico per sopravvivere .Ma come si fa a spiegare che qui le cose vanno in maniera molto diversa da come ci si immagina? Che appena si arriva si viene rispediti indietro? Che il lavoro non c’è? Che non ci sono case in cui vivere, che è molto difficile avere un permesso di soggiorno, che per avere il riconoscimento della protezione internazionale, cioè l’asilo politico, possono passare anche 10 mesi di estenuante attesa e poi, forse, viene anche negato? La situazione è veramente molto più complessa di quanto possa sembrare . Il tema dell’accoglienza dovrebbe essere sviluppato e sostenuto, ma in tempo di crisi non se ne parla nemmeno perché accogliere e sfamare gente significa spendere soldi .Cosa ne sarà della vita dell’eritreo superstite? Difficile dirlo . Possiamo solo sperare che dopo le luci della ribalta possa trovare persone in grado di sostenerlo per recuperare - se possibile - le energie per sopravvivere sulla terraferma dopo essere sopravvissuto da solo in mare .

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12-07-2012

Sentenza Diaz

ALLA RICERCA DI UNA VERITÀ CONDIVISAUn dibattito a partire dalla decisione della Cassazione che ha confermato la condanna per alcuni funzionari di polizia per i fatti commessi nel 2001 a Genova

di Carlo Cefaloni

Si susseguono le dichiarazioni dopo la decisione della Corte di Cassazione del torrido 5 luglio 2012, che ha confermato la sentenza di condanna emessa dalla Corte d’Appello di Genova, il 18 maggio 2010, nei confronti di 25 agenti e funzionari di Polizia, accusati delle violenze commesse sui manifestanti del Genoa social forum durante l’irruzione nella scuola Diaz nel pieno delle contestazioni contro il G8 di Genova del luglio 2001 . Tra le persone condannate, l’attuale capo della Direzione centrale anticrimine, Francesco Gratteri, il dirigente dell’Aisi (Servizi segreti) Giovanni Luperi, e il capo del Servizio centrale operativo Gilberto Caldarozzi . I funzionari hanno raggiunto le attuali alte cariche durante l’iter del processo, conclusosi ora senza l’irrogazione di pene detentive agli imputati per la prescrizione dei reati di lesione . La sentenza ha comportato, tuttavia, nei confronti del personale di polizia la decadenza immediata dagli incarichi e l’interdizione dai pubblici uffici per cinque anni . La vicenda della Diaz, assieme ai fatti avvenuti a Genova nella caserma di Bolzaneto, è nota anche grazie alle discussioni sul web, ai film e documentari dedicati a quella che Amnesty International ha definito come «la più grande sospensione dei diritti democratici in un Paese occidentale dopo la Seconda guerra mondiale» . La stessa organizzazione internazionale per i diritti umani ha descritto la sentenza della Cassazione «tardiva e incompleta» ricordando, in particolare, la difficoltà delle attività investigative

dei magistrati, «ostacolate da agenti e dirigenti di polizia che avrebbero dovuto sentire il dovere di contribuire all’accertamento di fatti tanto gravi» . Celebre è rimasta, infatti, la definizione di «macelleria messicana» che Michelangelo Fournier, vicequestore di Roma, ha usato nella deposizione davanti al giudice nel 2007 per definire la scena che si trovò davanti nei locali della scuola Diaz dopo l’intervento dei suoi colleghi . Amnesty ha richiesto, perciò, che si arrivi a «conclusioni condivise su cosa non funzionò a Genova nel 2001 a livello di sistema e su come fare in modo che ciò non si ripeta più» . Occorre, quindi, un rinnovato legame di fiducia e di sostegno, fondato sul rispetto della legge, con gli uomini e le donne delle forze di polizia che ogni giorno si espongono al pericolo e alle minacce della criminalità organizzata per la sicurezza di tutti . In questo senso ospitiamo sul sito il contributo di Ennio Di Francesco ("La vicenda Diaz dal mio punto di vista"), anche egli già funzionario di primo piano nella polizia e tra gli ispiratori della legge del 1981 che portò alla storica riforma della Polizia di Stato . Un «commissario scomodo», così definito dalla stampa e come ripetuto nel titolo della sua autobiografia, uscita con la prefazione di Norberto Bobbio (cfr www .enniodifrancesco .it) . Un altro grande conoscitore della società italiana, Corrado Stajano, lo ha descritto come «uomo dello Stato che ha avuto una difficile vita per la sua intransigente fedeltà alle istituzioni della Repubblica» .

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12-07-2012

Memoria

QUELL'11 LUGLIO A SREBRENICA17 anni fa i serbo-bosniaci trucidavano oltre ottomila uomini come atto di pulizia etnica e controllo del territorio dell'attuale Bosnia-Erzegovina

di Vincenzo Buonomo

Lo scorso 28 giugno, quando il Tribunale penale internazionale per la ex-Jugoslavia decideva di cancellare l’accusa di genocidio a Ratovan Karadzic, leader politico dei serbo-bosniaci negli anni del conflitto, tra il 1992 e il 1995, il pensiero è corso subito all’episodio più drammatico di quegli anni: Srebrenica . In quel luogo, l’11 luglio 1995, oltre ottomila persone, distinte per sesso (solo gli uomini) ed età (risparmiati anziani e bambini), vennero trucidate dalle milizie serbo-bosniache per il solo fatto di appartenere a un gruppo etnicamente differente: si trattava di “non-serbi”, identificati con l’essere musulmani (in quel momento qualificazione solo funzionale e di poca rilevanza sul versante religioso) . L’obiettivo era di fare della pulizia etnica un “fatto compiuto” e così garantire il controllo serbo su parte del territorio dell’attuale Bosnia-Erzegovina nel contesto dei negoziati che portarono qualche mese dopo agli Accordi di Dayton . Quegli accordi tra l’altro davano vita a un “artificiale” Stato di Bosnia-Erzegovina, costruito attorno a equilibri o rapporti di forza ancora oggi precari . Ma la sorpresa di fronte alla notizia che giungeva dal Tribunale dell’Aja è durata solo per un momento . La decisione di scagionare Karadzic, infatti, non riguardava l’accusa del genocidio commesso a Srebrenica . E non solo per i riscontri oggettivi – per commettere genocidio basta pianificarlo o non impedirlo, non è necessario eseguirlo – che vedono imputato insieme a Karadzic anche Ratko

Mladic, il capo militare serbo-bosniaco, tra gli esecutori materiali del genocidio . Quello di Srebrenica è un episodio che tocca certamente la responsabilità penale di quanti hanno commesso il crimine, ma coinvolge responsabilità politiche non meno gravi, poiché riguarda comportamenti frutto di azioni, ma spesso anche di omissioni, della Comunità internazionale con le sue istituzioni (Onu e Nato in primis) e dei singoli Paesi (Serbia, ma anche i Paesi dell’Unione europea) . Basta il ricordo dei 300 caschi blu che, chiamati a proteggere l’area di Srebrenica, la lasciarono qualche giorno prima dell’11 luglio, nell’imminenza dell’operazione dei serbo-bosniaci, motivandola con mancate condizioni di sicurezza . Trascorsi 17 anni, mentre i familiari delle vittime ripropongono il loro dolore e aumentano le persone identificate dalle 74 fosse comuni a cui si dà finalmente sepoltura nel luogo simbolo di Potocari, non mancano le voci, pur autorevoli, di chi ritiene che quella di Srebrenica sia stata un’azione militare, non un genocidio . E questo cambierebbe tutto lo scenario: il genocidio come crimine internazionale non si prescrive per coloro su cui ricade l’accusa; inoltre impone la cosiddetta giurisdizione universale in base alla quale tutti gli Stati hanno il diritto-dovere di giudicare i colpevoli o di cederli a chi vuole o può giudicarli (in questo caso, poi, c’è un Tribunale internazionale competente) . Non ultimo impone ai politici responsabili non solo scuse formali (quella della Serbia arrivò nel

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2010), ma atti di riparazione specifici per i danni provocati alle vittime . E su questo tema, sempre dall’Aja, la Corte Internazionale di Giustizia è stata già chiara, pronunciandosi nel gennaio del 2007 dopo una denuncia della Bosnia-Erzegovina contro la Serbia .Disconoscere che c’è stato genocidio, quindi, non è solo un modo per tranquillizzare le coscienze, anche se viene proposto come strumento di riconciliazione . La riconciliazione è ben altro: non è negazione della giustizia, bensì accertamento dei fatti e accettazione delle decisioni conseguenti, ma con uno spirito di condivisone e desiderio di ricominciare un cammino comune, nonostante quanto è avvenuto . Qualcosa più di un monito! Monito che potrebbe servire per evitare analoghe situazioni . Come a Srebrenica, oggi in Siria i caschi blu sono impediti di intervenire e lasciano il campo di azione nonostante decisioni e piani di azione adottati e formalmente accettati dalle parti . Sembra quasi una resa di fronte a sommosse e campagne militari, e in particolare a conflitti interni a un Paese, abbandonati a un destino nel quale la barbarie e la non compliance degli standard

umanitari è sistematica .C’è da chiedersi se l’attuale equilibrio internazionale possa ancora dare risposte adeguate . Non regge più l’idea che tutto dipende dai veti incrociati che bloccano il Consiglio di sicurezza, la questione è più ampia poiché riguarda la modifica del concetto di conflitto e di conseguenza degli obiettivi di pace e sicurezza, non più esprimibili attraverso i contenuti della Carta delle Nazioni Unite, anche nelle forme di cooperazione regionale (le operazioni affidate alla Nato nell’area euroasiatica o all’Ecowas per l’Africa sono anch’esse inadeguate) . Le vittime di Srebrenica ci chiedono – la questione parte dal basso, non c’è alternativa… – almeno di concorrere a costruire, ognuno secondo le proprie responsabilità e funzioni, un ordine internazionale dove il rispetto della vita umana non resti uno slogan, ma il risultato di regole condivise ed applicate, di una cooperazione effettiva e di un’attenzione non strumentale all’altro . Siamo tutti convinti che il ricordo dell’11 luglio 1995 non dovrebbe esistere . E non solo per Srebrenica .

13-07-2012

Cinema

BIANCANEVE E IL CACCIATORELa favola disneyana rivisitata da Rupert Sanders, con Kristen Stewart nei panni di una combattiva Biancaneve e Charlize Theron nel ruolo della perfida regina

di Mario Dal Bello

Nell’estate, dove rinnoviamo il consiglio ad approfittare dei bel film nelle arene, esce l’ultima versione della favola di Biancaneve rivisitata nel XXI secolo .Si tratta di Biancaneve e il cacciatore, regia di Rupert Sanders, dove la sfida come nella

favola è tra Kristen Stewart, nota per la saga di Twilight, e Charlize Theron che interpreta la perfida regina . Nella favola è la principessa ad averla vinta, nel film, in verità, la Theron spavaldamente brava, supera sé stessa quanto a personalità e forza e vince di molto

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Biancaneve, qui trasformata in una condottiera che guida i ribelli contro la cattiva di turno . Largo alla donne, quindi, che cozzano tra loro a colpi di karate, di magie orroristiche e di effetti speciali di cui il film è zeppo, ma anche molto suggestivo e, diciamo la verità, piacevole . La favola è favola se ci sono mostri, incantesimi, castelli gotici, lo scontro tra buoni e cattivi e i sette nani, qui una specie di banditi guidati da Biancaneve, Robin Hood in gonnella .Dimenticavamo il cacciatore che dovrebbe uccidere la principessa . È un bandito triste e amareggiato, indipendente ed eroico a

modo suo (Chris Hemsworth), che litiga con la principessa ma poi va a finire che sotto sotto si innamora, anche se il principe azzurro sta in guardia . Il finale però è lasciato alla fantasia dello spettatore, cioè aperto, ma forse sarebbe stato meglio chiudere la favola con un “vissero tutti felici e contenti” . Dopo tante lotte, magie e furori, un po’ di gioia non sarebbe stata male . Ma oggi si ha paura di farla vedere . È la moda… Comunque, il film vola, recitato da un cast formidabile di attori anche nei ruoli secondari . Divertimento assicurato anche se non in senso disneyano .

13-07-2012

Itinerari

NEPI, NON SOLO ACQUEStoria, arte, natura e spiritualità in questo gioiello del viterbese, le cui origini precedono la fondazione di Roma

di Oreste Paliotti

Cosa non c’è da scoprire a Nepi, rupestre comune del Viterbese di neppure diecimila abitanti, che dall’alto di uno sperone tufaceo strapiomba sull’ondulata campagna romana! Città falisca ma fortemente influenzata dalla cultura etrusca e di antichissima fondazione (458 anni prima di Roma, a dare ascolto alla leggenda), deve il suo nome alla parola etrusca Nepa, ovvero acqua: e in effetti può definirsi “città delle acque” per quell’Acqua di Nepi oggi apprezzata ed esportata in tutta Italia .

Municipio ricco e potente sotto i romani, sede vescovile già nel IV secolo, saccheggiata più volte durante le invasioni barbariche, Nepi conobbe nell’Alto Medioevo un nuovo periodo di splendore perché attraversata dalla via Amerina, durante le guerre greco-gotiche unico collegamento tra Roma a Ravenna . Costituitasi in libero comune nel 1131, subì alterne vicende nelle lotte tra papato e impero; divenuta possedimento feudale, venne concessa agli

Orsini, ai Colonna, agli Sforza, e a questi poi tolta da papa Alessandro IV per donarla, elevata al rango di ducato, alla famosa figlia Lucrezia Borgia . E fu, questo che va dal 1537 al 1545, uno dei periodi più floridi per la cittadina . Che successivamente tornò sotto il dominio diretto della Santa Sede . Saccheggiata nel 1798 dalle truppe francesi in ritirata da quelle borboniche, conobbe lo scontro tra i due eserciti, nel quale ebbe la meglio quelle francese . Nel 1805 ospitò Pio VII di ritorno dall’esilio parigino; e finalmente, occupata nel 1870 dalle truppe italiane, fu annessa al Regno d’Italia .

Per gran parte del XIX secolo Nepi rientrò nel circuito del Grand Tour, che vide viaggiatori, artisti e pittori accorrervi a frotte, attirati anche dalle bellezze naturali degli immediati dintorni: luoghi spesso ancora selvaggi e incontaminati come le già citate Forre, scavate dalla millenaria azione erosiva dei torrenti in quel tufo caratterizzato dalle suggestive “vie cave”,

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antichissimi percorsi risalenti all’epoca falisca .Di tanta storia, la cittadina conserva ricchissime testimonianze: risalgono al periodo romano e tardo-imperiale le necropoli e la catacomba di Santa Savinilla (uno dei maggiori complessi funerari dell’Italia centrale), al Rinascimento la Rocca dei Borgia, circondata da possenti mura, e i Bastioni Farnesiani, progettati da Antonio da Sangallo il Giovane, al Settecento l’Acquedotto monumentale . E poi innumerevoli torri e palazzi medievali e rinascimentali, chiese paleocristiane e cinquecentesche .

Questi brevi cenni per quanto riguarda le glorie passate . Ma proprio di recente il nome di Nepi è tornato a risuonare al largo per un evento di carattere ecclesiale: la beatificazione, avvenuta il 17 giugno scorso, di Cecilia Eusepi, una giovane diciottenne originaria di Monte Romano (Viterbo), ma morta in questa cittadina il 1° ottobre 1928 e qui sepolta nella chiesa dei Servi di Maria, San Tolomeo . Una ragazza semplice, una mistica del nostro tempo: aveva dato il suo cuore a Dio, consapevole di «essere niente» . La sua passione? «Cantare l’amore» .

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Direttore responsabile: Michele Zanzucchi - Redazione: Maddalena Maltese, Sara Fornaro, Roberta Ruggeri

Progetto Grafico: Umberto Paciarelli

Gruppo editoriale Città Nuova. Autorizzazione tribunale di Roma n. 339/2009 del 06/10/2009

Info e prenotazioni Aziende per l’Expo: www.pololionellobonfanti.it - [email protected] - reception: 055 8330400Info e prenotazioni alloggi: 055 9051102 - [email protected]

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23 settembre ore 15.00-17.00

Gruppo Editoriale Città Nuova22-23 settembre 2012 Auditorium di Loppiano

sabato 22 ore 9.30-13.00Convegno annuale nazionale “Città Nuova e il Progetto Italia”.Laboratori su: politica, intercultura, famiglia, emergenza educativa, legalità,informazione, arte

domenica 23 ore 9.30-12.00Seconda sessione dei laboratori

Expo 2012 Aziende in rete 20-23 settembre 2012Polo Lionello Bonfanti

Aree tematiche: 1. Edilizia sostenibile, energie rinnovabili e sviluppo sostenibile2. Settore biologico,

enogastronomico e turismo relazionale

3. Il mondo dei servizi alla persona, dall’infanzia alla quarta età

giovedì 20 ore 15.30 Tavola rotonda. Meeting Expò

venerdì 21 ore 11.00 Seminario. Incubatore d’impresa

Convention Economiadi Comunione22-23 settembre 2012 Polo Lionello Bonfanti

ore 9.30-13.00“EdC come impegno personale e collettivo: una possibilità per tutti”. Dedicato a tutti coloro che vogliono ripensare le espressioni e i luoghi dell’economia di fronte alle sfide dell’attuale scenario economico nazionale, europeo e globale

Istituto Universitario SophiaGruppo Editoriale Città Nuova21 settembre 2012Auditorium di Loppiano

ore 21.00Mito e fraternità. Ospite d’onore la poesia

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sabato 22 settembre ore 18.00-19.00

In dialogo con Maria Voce,presidente del Movimento dei focolari