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SLOVENIA A TUTTO CARBONE IL BLUFF TREMONTI GIOVANI E TRASPORTO PUBBLICO SPAZZIAMO LA SPAZZATURA GLI APPUNTAMENTI DI MARZO IL MENSILE DEL VIVERE NATURALE N.164 MARZO 2011 DISTRIBUZIONE GRATUITA

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  • SOMMARIO 4 Slovenia a tutto carbone

    Il treno dei faraoni 5 Il bluff Tremonti 6 Nel magma di Piumini 7 Giovani e trasporto pubblico

    8 Debito ecologico e sociale nell'Ecuador

    9

    Serge Latouche a Trieste 10 Libri 12 Chi ha paura di aver paura? Siamo tutti intelligenti 2

    13 Spazziamo la spazzatura 14 La mia città. Unica.

    15 Assistenti familiari straniere e comunità locale

    16 Trieste "musicalissima" Trieste is rock 17 Belarus Free Theatre 18 Cinema 19 Teatri di confine 20 Alimentazione 21 La pecora istriana

    22 Cinofilia 23 Colonna vertebrale 24 Il bastone o la carota? 27 Appuntamenti di marzo

    KonradMensile di informazione di Naturalcubo s.n.c.Redatto dall’Associazione Konradvia Corti 2a - 34123 TriesteFax [email protected] - www.konradnews.itAut. Trib. di Udine n. 485del 5/9/80 Aut. fil. di Trieste

    Direttore editoriale: Roberto Valerio

    Direttore responsabile: Dario Predonzan

    Pubblicità: Alex Cibin cell. 340 4000934 [email protected]

    Copertina:Foto di Tiziana Gramaglia

    Hanno collaborato:Sara Biasutti, Maria Grazia Beinat, Nadia e Giacomo Bo, Lia Brautti, Felice Mill Colorni, Luciano Comida, Stefano Crisafulli, Adriana De Caro, Daniela De Narda, Giorgio Dendi, Sergio Franco, Óscar García Murga, Francesco Gizdic, Gianfranco Manfredi, Luisella Pacco, Guido Pesante, Giuliano Prandini, Livio Prodan, Riccardo Redivo, Marco Segina, Gianni Ursini, Severino Zannerini, Barbara Žetko

    Grafica e stampa:Tip. Villaggio del Fanciullo - Opicina Trieste - [email protected]

    Konrad non è responsabile della mancata pubblicazione degli annunci o di eventuali inesattezze. Konrad inoltre non si assume la responsabilità dei contenuti degli annunci e degli spazi pubblicitari. Il rinvenimento del giornale in luoghi non autorizzati non è di responsabilità dell’editore. è vietata la riproduzione e l’utilizzazione esterna del materiale qui pubblicato, salvo espressa autorizzazione scritta dell’Editore.Informativa sulla legge che tutela la privacy. In conformità della legge 675/96 sarà nostra cura inserire nell’archivio informatico della redazione i dati personali forniti, garantendone la massima riservatezza e utilizzandoli unicamente per l’invio del giornale. Ai sensi dell’art. 13 della legge 675/96 i dati potranno essere cancellati dietro semplice richiesta da inviare alla redazione.

    konrad 164 - marzo 2011

    Questo numero di Konrad è dedicato a Mohamed Bouazizi, il venditore ambulante tunisino morto il 4 gennaio 2011, dopo essersi dato fuoco per protesta contro i maltrattamenti subiti dalla polizia.è stata questa la scintilla della rivoluzione, che ha portato al crollo del regime corrotto del dittatore Ben Alì e si è poi rapidamente estesa in tutto il mondo arabo, contro altri regimi dittatoriali e corrotti: quelli dell’egiziano Mubarak, del libico Gheddafi, dell’algerino Bouteflika, dello yemenita Saleh, ecc. Il nostro augurio è che queste rivoluzioni diano vita a sistemi politici democratici e non a teocrazie oscurantiste, come avvenne nel 1979 in Iran dopo la cacciata dello Scià. Nel frattempo l’ineffabile sottosegretaria agli esteri, Stefania Craxi (una che di corrotti

    s’intende), il 18 febbraio – mentre la polizia libica stava massacrando i manifestanti - dichiarava: “le critiche al governo di Tripoli sembrano non scalfire il forte rapporto tra Gheddafi e il suo popolo”, mentre il 19 gennaio, in visita a Tunisi dopo la fuga di Ben Alì, aveva detto che: “il regime per anni ha consentito sviluppo… non bisogna correre il rischio di buttare il bambino con l’acqua sporca”. D’altronde anche Berlusconi il 19 febbraio, alla domanda se avesse chiamato l’alleato-amico Gheddafi nei giorni della rivolta, aveva risposto: “La situazione è in evoluzione e quindi non mi permetto di disturbare nessuno”. In effetti le decine di morti dei primi giorni stavano diventando centinaia: come si fa a importunare chi è tanto occupato ad organizzare una strage?

    Auguri da parte di tutta la redazione di Konrad a Luciano Comida per

    una pronta guarigione

    3 konrad marzo 2011

  • Non c’è solo il nucleare a minacciare il nostro futuro. Il Governo italiano ha infatti in programma un rilancio in grande stile di questa fonte, contro ogni logica. Anche altri Governi (non molti, in verità) sembrano intenzionati a costruire nuove centrali atomiche. Tra questi c’è la vicina Slovenia, che sta cercando partner stranieri – risulta che il premier Pahor ne abbia parlato con Obama durante la sua recente vista negli USA – per il raddoppio della centrale di Krško. Ad entrare nel business di questo impianto com’è noto sono anche altri, come il presidente della Regione Friuli Venezia Giulia, Tondo, supportato dagli industriali nostrani e non solo.Si tratta però di progetti a lungo termine, che dovranno superare molti ostacoli, economici e normativi – per non parlare dell’opposizione delle comunità locali - prima di concretizzarsi. In Italia si terrà poi, la prossima primavera, anche un referendum sulla legge voluta dal Governo per riaprire la strada al nucleare.Ci sono però altri progetti, non meno perniciosi per l’ambiente, che stanno procedendo senza troppi ostacoli. Sono quelli per la riconversione a carbone di centrali ad olio combustibile (è il caso, in Italia, delle centrali ENEL di Porto Tolle, nel delta del Po, e di Civitavecchia), o per l’”ammodernamento” di centrali a carbone esistenti. Come sta per accadere in Slovenia, a Šoštanj. Qui, a 22 km in linea d’aria da Celje, esiste dagli anni ’50 una centrale con quattro gruppi alimentati a carbone, per complessivi 725 MW (più 84 MW su turbine a gas), che

    produce 3.500-3.800 GWh/anno di elettricità (circa un terzo del consumo annuo della Slovenia), più 200-450 GWh/anno di energia termica, usata per il teleriscaldamento nelle aree abitate circostanti.La centrale consuma 3,5 – 4,2 milioni di tonn/anno di lignite (il carbone più “sporco” che ci sia), estratta dalla miniera di Velenje.La società che gestisce l’impianto, Slovenske Elektrarne, ha deciso però di sostituire i vecchi gruppi a carbone con uno nuovo e più efficiente da 600 MW.Ciò comporterebbe, sostiene il gestore, un grande vantaggio ambientale, poiché le emissioni di anidride carbonica (CO2) passerebbero dagli attuali 1,25 kg per kWh prodotto a 0,87 kg/kWh. Un valore, in ogni caso, più che doppio rispetto alle moderne centrali a ciclo combinato a metano, che emettono 0,36 kg/kWh di CO2.Il fatto è che rinnovando la centrale di Šoštanj la Slovenia si condanna ad emettere, per molti decenni, CO2 in eccesso, rispetto all’obiettivo, confermato dai leader dell’Unione Europea nel summit sui problemi energetici tenutosi ai primi di febbraio, di ridurre le emissioni dell’80-95% (rispetto ai valori del 1990) entro il 2050. Quest’obiettivo, per essere raggiunto, richiederebbe “una rivoluzione dei sistemi energetici che deve iniziare ora”, attraverso investimenti nello sviluppo delle fonti rinnovabili, la promozione dell’efficienza energetica, la costruzione di “smart grids” (le reti elettriche intelligenti, fondamentali per un

    futuro energetico a bassa intensità di carbonio), ecc.Il carbone, in uno scenario del genere, non può – o non dovrebbe – trovare alcuno spazio.Invece, le principali banche istituzionali dell’UE, la EIB (European Investment Bank) e l’ERDB (European Bank for Reconstruction and Development), hanno pensato bene di concedere un prestito agevolato di 750 milioni di Euro, su un investimento totale di 1,2 miliardi, per la costruzione del nuovo gruppo da 600 MW a lignite della centrale di Šoštanj. Sconcertante la risposta data dagli uffici del Commissario europeo all’ambiente, Janez Potočnik (che per inciso è sloveno), di fronte alle proteste di varie ONG contro i finanziamenti alla nuova centrale: “Ovviamente incoraggiamo gli Stati membri a muoversi verso le tecnologie più pulite, ma la questione (della centrale di Šoštanj, ndr) non infrange nessuna regola e dunque è competenza degli Stati membri”. Ponzio Pilato non avrebbe saputo dire meglio.

    Dario Predonzan

    La centrale termoelettrica di Šoštanj

    il treno dei faraoniOltre cinquanta pagine di relazioni trasportistiche, idrogeologiche, ambientali, con raffronti progettuali, citazioni di leggi e direttive comunitarie, dati precisi e dettagliati: è solo la “prima rata” di osservazioni per la VIA sul progetto preliminare della TAV Venezia-Trieste, presentate dal WWF il 21 febbraio scorso, ultimo giorno utile. Un documento cui hanno collaborato ingegneri, naturalisti, speleologi ed esperti di infrastrutture, che contesta nel merito le svariate migliaia di pagine consegnate alla fine di dicembre da RFI-Italferr. è stato uno sforzo immane di analisi dei documenti (683 solo per la Ronchi-Trieste e 446 per la Portogruaro-Ronchi) e di integrazione fra i dati, anche a causa dello “spezzatino” (o project splitting) in quattro tronconi in cui i proponenti hanno suddiviso il progetto della linea veneto-friul-giuliana, avviando altrettante procedure VIA distinte.Una pratica, peraltro, più volte censurata dalla Commissione Europea. Di qui la decisione dei WWF Veneto e Friuli Venezia Giulia di presentare un reclamo alla Commissione europea, richiedendo l’avvio di una nuova procedura VIA dopo che i quattro tronconi saranno stati riuniti in un unico progetto e gli studi saranno stati integrati con le parti mancanti, cioè l’analisi costi-benefici ed il piano economico-finanziario.Mancanze, queste, evidenziate anche nelle osservazioni che, punto per punto, smontano il castello di argomenti di RFI-Italferr a giustificazione della mega infrastruttura ferroviaria. A partire dal confronto con il progetto del 2003 per la tratta Ronchi-Trieste, ritirato perché bocciato sia dal Ministro dei Beni Culturali, sia dalla Commissione VIA del Ministero dell’ambiente, e in rapporto al quale l’attuale tracciato non comporta minori criticità ambientali, specie per quanto concerne gli impatti sul patrimonio speleologico carsico (sono previsti 24 km di gallerie).Le osservazioni del WWF si soffermano anche sulla quantità (quasi 9 milioni di metri cubi di roccia!) e sul destino dei materiali di scavo, sugli

    impatti relativi al traffico (circa 900 mila viaggi di camion sulla rete viaria locale solo per il trasporto della roccia scavata…) e le conseguenti emissioni inquinanti nell’atmosfera, nonché sulle alternative non considerate.è addirittura umoristico che l’unica “alternativa” menzionata da RFI-Italferr sia proprio l’assurdo progetto del 2003, bocciato ignominiosamente – come si è detto – dai ministeri competenti.Quanto all’impatto sugli ecosistemi, la TAV Venezia -Trieste è definita “insostenibile sia in rapporto agli obiettivi di conservazione della rete Natura 2000 sia, più genericamente parlando, in rapporto al territorio attraversato”.Manca soprattutto una seria motivazione della necessità dell’opera, definita “strategica” solo perché inserita nell’elenco di quelle previste dalla “Legge Obiettivo”, senza che ne sia in alcun modo dimostrata (a fronte di un costo stimabile in ben oltre 6 miliardi di Euro) l’effettiva capacità di trasferire quote rilevanti di traffico passeggeri e merci dalla gomma alla rotaia. La durata stimata dei lavori della Venezia-Trieste è di alcuni decenni, ma sia i programmi di crescita dei traffici portuali, sia l’insostenibile situazione del trasporto merci e passeggeri nel nord est d’Italia, troppo sbilanciata a favore di auto e TIR, richiederebbero interventi a breve-medio termine, per migliorare e rendere efficiente il trasporto ferroviario (sfruttando la capacità inutilizzata delle linee attuali), senza sprecare tempo e risorse su progetti faraonici che con ogni probabilità non saranno mai realizzati. O se saranno iniziati, non saranno mai portati a termine.

    D.P.

    Nel sito www.wwf.it/friuliveneziagiulia, sezione “documenti”, sottosezione “trasporti e grandi opere”, il testo integrale delle osservazioni del WWF sulla TAV Venezia-Trieste e molto altro materiale attinente

    Le osservazioni del WWF sulla TaV Venezia - Trieste

    slovenia a tutto carbone4 konrad marzo 2011

  • Giovanni La Torre è un economista di scuola keynesiana, per molti anni manager del settore finanziario. Ha scritto per le edizioni Melampo (la casa editrice fondata da Nando Dalla Chiesa) un pamphlet sull’“opera intellettuale” del ministro Tremonti (Il grande bluff. Il caso Tremonti: vita, opere e pensiero del genio dell’economia italiana, pp. 204, 16 euro).“Opera intellettuale”, più che semplice attività di governo. Perché il ministro ritiene che «viviamo in un tempo in cui l'intellettuale è politico, e il politico, se non è intellettuale, non è». Quel tempo sembra in realtà passato da un bel po', ma tanto vale prenderlo in parola, ha pensato La Torre. Del resto, Tremonti non è Previti, non è Cuffaro, non è Carfagna, non è Minetti. E non è neppure assimilabile ai suoi amici o sodali Bossi e Berlusconi. è uno che ha toccato l'apice del successo come avvocato tributarista, ma è anche uno che scrive libri, parecchi libri: un'eccezione, insomma.La Torre quei libri se li è letti e studiati tutti, sorpreso dal fatto che quasi nessun altro sembrasse averlo fatto. Quando un importante ministro in carica pubblica un libro, in un paese cortigiano come il nostro, di solito lo si recensisce con qualche rispetto, ma prudentemente ci si guarda bene dal prenderlo sul serio, salvo si appartenga alla specie degli accademici superciliosi e ancora consapevoli del proprio ruolo che, come l’economista del Corriere Francesco Giavazzi, gli hanno dato in buona sostanza dell’ignorante («Se gli chiedo che cos'è un grafico Is-lm o che cosa sono i classici, lui non lo sa»). Altri, come l’ex liberale (ora berlusconiano) Piero Ostellino, se la sono cavata attribuendogli diplomaticamente «troppa intelligenza», adatta a uno che forse è «più un teologo medievale che uno statista». Per il resto, grandi ossequi al ministro intellettuale: se poi il ministro in questione si atteggia a critico del "mercatismo" - termine, nota La Torre, inesistente nella scienza economica e intraducibile in altre lingue - anche qualche esponente un po' naïf dell'opposizione "antagonista" (è stato il caso di Bertinotti) si sentirà chiamato in causa e lusingato nei panni dell'interlocutore preso sul serio.A proposito, sarà forse a causa delle difficoltà di traduzione che un intellettuale di tale livello risulta poco esportabile, se si eccettua una traduzione in portoghese comparsa in Brasile

    e una sponsorizzata (vulgo: pagata) dal locale Istituto italiano di Cultura in Giappone.Si è detto che La Torre è economista di scuola keynesiana, e non ne fa mistero. Il suo libro può però piacere altrettanto a chi ne condivida le opinioni in materia di economia quanto al più radicale dei liberisti, dato che in sostanza dimostra come, nel corso di pochi anni, Tremonti abbia sostenuto tutte le tesi e il loro esatto opposto. L'assenza totale di una "veduta lunga", che è la caratteristica più catastrofica della politica occidentale contemporanea e su cui aveva richiamato l'attenzione in uno dei suoi ultimi interventi Tommaso Padoa-Schioppa, il predecessore di Tremonti, goffissimo comunicatore politico, ma statista di tutt’altra caratura politica e intellettuale, è quel che soprattutto consente alla politica di prendersi gioco dei cittadini, dei media, degli avversari sprovveduti.Così Tremonti può impunemente vantarsi di avere previsto e ammonito il pubblico e i colleghi dell'avvicinarsi del crollo dell'economia finanziaria occidentale, quando La Torre dimostra, citazioni alla mano, che ne prese atto solo dopo che la crisi era già iniziata da oltre un anno; di avere messo per tempo in guardia contro i rischi della eccessiva finanziarizzazione dell’economia internazionale, quando in precedenza aveva indicato come modello da seguire in tutto e per tutto quello

    irlandese e aperto agli enti locali italiani la via a speculazioni disastrose da effettuare col denaro dei contribuenti; di avere prima affermato che «non ci sono giustificazioni» per qualunque forma di condono, soprattutto fiscale, equiparandolo a una «indulgenza plenaria per i peccatori del fisco», e di esserne stato poi il principale sostenitore; di combattere da sempre la prevalenza della finanza sulle scelte della politica, quando in precedenza aveva proposto, letteralmente, l’abolizione di ogni norma regolatrice salvo solo quelle previste dalle leggi penali; di avere sostenuto l’idea di passare dalla tassazione delle persone a quella delle cose e a un radicale “federalismo fiscale”, salvo aver poi concorso ad abolire l’ICI, sola tassa federalista e patrimoniale esistente nell’ordinamento italiano; di predicare un convinto europeismo – e perfino, e giustamente, gli eurobonds – oggi che il crack sarebbe assicurato per un’Italia costretta a navigare da sola nel mare della crisi avendo lui e B. come nocchieri, dopo aver sostenuto un sostanziale smantellamento delle istituzioni europee; di avere sempre affermato il primato della politica e della volontà popolare, capace in sostanza di lavare berlusconianamente da sola ogni delitto commesso dai governanti, quando all'epoca di Tangentopoli aveva salutato nel pool di "Mani pulite" il risorgere del «giudice vindice medievale» contro le malefatte della cleptocrazia (“governo dei ladri”: formula, anche questa, non sua, ma copiata da Giulio Sapelli).Per non parlare dello sciocchezzaio degli ultimi anni, segnati dalla svolta clericale dell’ex commentatore socialista del “Manifesto”. «Per la prima volta nella storia ciò che è tecnicamente possibile non è automaticamente lecito dal punto di vista morale»: risulta che l’avesse già sostenuto Tibullo a seguito dell'invenzione delle spade. O delle fantasie complottarde e delle geremiadi contro la modernità - tutta la modernità, salvo come ovvio e prevedibile la televisione - con la conclusione finale che «questo è un punto della storia in cui non devi andare a leggere i libri di economia, ma la Bibbia».E questo è il pensiero economico di uno considerato fra i meno peggio dei nostri attuali governanti.

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    5 konrad marzo 2011

  • nel magma di piuminiRoberto Piumini (che ho incontrato nella sua casa di Milano il 5 gennaio di quest’anno) è un vulcano perennemente attivo: nato nel 1947, è poeta per bambini, per adulti, scrittore, attore, cantante… L’ingegno, le idee, le esperienze di Piumini sono un magma

    colante di vita non circoscrivibile in un’intervista. Qui di seguito troverete un piccolo estratto dal suo magma incandescente, un fiume narrativo che qui paleserà la propria densità in qualche goccia. Buona avventura!

    [Con la marea piuminiana, la mia domanda iniziale sulla messa in musica dei suoi testi si è perduta, è colata a picco per emergere in risposte che la sfiorano]Il mio problema, forse l’hai capito, è quello della – non è snobberia – totale incapacità, insofferenza, ad applicarmi alla difesa, promozione, valorizzazione delle mie cose. Per cui io non ho tutti i miei libri, perché sarebbe impossibile, non li curo, non sto a preoccuparmi […] se si trovano, se non si trovano, se mi scrivono: “ma non troviamo il suo libro”: che ci posso fare? Chiedetelo, non so. Vivo nella palese illusione che gli editori facciano il loro lavoro.[…] Ecco, una cosa – che poi ha a fare con la musica (perché molte di queste cose sono diventate anche opere o elaborazioni musicali) – sono i miei famosi “scritti locali”: io, nel corso di un periodo in particolare della mia carriera, […] dagli ottanta fino al ’95, ho scritto una quarantina di testi poetici su materiali locali, cioè materiali che mi venivano dati (fotografie, disegni, memorie, mappe, oggetti, testimonianze, disegni anche artistici, anche elaborazioni fantastiche, reperti sonori, oggettini trasportabili), tutti in scatoloni, con insegnanti che stavano al gioco perfettamente. Io li frequentavo, prima mi sputtanavo con delle classi, facendo vedere il poeta, “eccomi qua, io puzzo come tutti, non sono uno fuori…Bello bello, bravissimo.…sono uno che faccio delle parole, no? Sono uno bravo a fare delle parole, ma bravo cosa vuol dire? Adesso vediamo, facciamo un gioco e lo scopriamo. Datemi qualcosa di qui, del paese, che io non conosco, ma datemelo in una forma abbondante, non esagerata; ragionate un po’ su che cosa può servire a uno che non è di qui per sentire certe cose, per sapere certe cose…. Mettete tutto in uno scatolone tridimensionale, quindi non su carta bianca… poi vengo a prenderlo, me lo porto a Milano, me lo tengo due mesi come voi avete impiegato due mesi a raccogliere il vostro materiale. Mi prendo un bel tempo anch’io, perché tanto contemporaneamente sto facendo altra roba, abbiate pazienza, e io vi giuro e vi prometto che vi porto, primo, una poesia”. Perché? Perché con la poesia sono libero: posso reagire con la poesia molto più liberamente che con la prosa, che avrei bisogno di un ordine, di una…

    tattica, di una sequenza; invece con la poesia posso darci dentro, poi dopo sarà in realtà una poesia molto riconoscibile, molto narrativa, però sul piano microlinguistico, più micro che macro, potrò fare quello che vorrò. Sarò molto più giocoso con la poesia. “Prometto che sarà una poesia e che avrà dentro tantissime cose vostre. Come? Non lo so, ma vi assicuro che ci saranno tante”, e infatti facevo tutte ’ste robe: mi ricordo ogni tanto entravo in casa, stendevo tutte queste cose, che soprattutto erano cose visive. Gli insegnanti capivano che meno formalizzavano in parole il materiale dei ragazzi, meno loro si creavano aspettative testuali, cioè erano più legati all’emozione, poi avrebbero avuto un atteggiamento, no?, più sensoriale rispetto al testo, rispetto che se avessero creato…

    Che classi?Beh, prevalentemente medie, ma dal secondo ciclo alle superiori, modello che poi ho continuato a fare con Giovanni [Caviezel] in microlaboratori veloci, chiamati “Immagine e parola”, anche per adulti, per molti anni a seguire. […] Quindi un lavoro bello, per me, stimolante. Bellissima anche la risultanza poi, soprattutto dove c’era l’insegnante che sapeva scavare con il testo, con una facoltà di, come dire, apprendimento dei ragazzini, evidentemente all’ennesima potenza rispetto a Dante, con rispetto parlando, che si trova sul libro, perché a me mi conoscevano, li avevo fatti ridere, li avevo sfidati…Tu sei vivo e sei lì.Sono lì in situazione, poi simpatizzando. Ebbene qui, questa roba grandiosa, è stata la prima ed anche la più bella, questa esperienza […] con cinque classi, coordinate da questa signora professoressa, che poi ha dato origine a rappresentazioni teatrali […], dei filmati e una mostra in una chiesa sconsacrata, in cui c’era il testo mio, e poi tutti i riferimenti che i ragazzi in lettura avevano trovato… cioè una linguistica meravigliosa, da un punto di vista proprio di base. E poi, dopo, pubblicazioni locali, litigi col sindaco, perché c’era stata una strega nel poema che aveva detto certe cose…Vabbé, va benissimo……e via. Ecco, su quel modello lì ne ho fatte altre, sull’onda di quell’entusiasmo, di quella scoperta: ne ho fatte un’altra quarantina, sparse un po’ dappertutto […]. Chiaro, ci dovevano essere delle persone che avessero cultura, voglia di togliere tutte le sottoculture sulla poesia, eccetera, sufficienti insegnanti un minimo decodificatori (non impauriti o intimiditi dalla poesia) e anche un amichevole

    sostegno politico per le questioni logistiche e monetarie – perché noi lo facevamo pagare, poco, ma comunque era un lavoro che mi impegnava per periodo lunghi, in cui facevo cinque, sei, sette volte le visite. Quindi una cosa di cui io sono più orgoglioso da un punto di vista, chiamiamolo, politico di tutta la mi scrittura, perché è un modo diverso di essere…[…] Spesso mi chiedono: “tu preferisci scrivere per bambini o per adulti?” […] [per bambini] è più facile, certamente, però non è neanche l’ora di spiegargli il perché. Ultimamente io me la cavo così, allora: se per “scrivere per” vuol dire la scrittura proprio letteraria, mi piacciono tutte due le cose: in una faccio un certo tipo di gioco, consapevole, accettato, perché se scrivi per bambini – non ci sono santi – sai che scrivi per bambini, magari non parlerai di gnocca, questo non gliene frega nulla a loro, non farai psicologismi, anche perché non gliene frega nulla. Accetti, no?, il codice, ma non è che fai il bambino tu: lo sai, come quando giochi fisicamente col bambino, non è che usi tutta la forza che hai, con tutte le malizie…Moderi.Moderi, accetti alcune regole, dentro quelle però ti lasci, fai tutto, lo stupisci, lo stimoli, lo sconvolgi, all’interno di un’area di sconvolgibilità linguisticamente chiara. Quando scrivo per adulti è un altro gioco, lì non c’ho che un adulto consenziente davanti a me, posso sfogarmi, anzi tendenzialmente faccio giochi più elaborati. Difatti, come autore per adulti, sono più letterario, molto più letterario degli autori medi per adulti, che mi fanno solo per adulti, perché per compensazione, non perché mi manca questa cosa, ma perché sono giochi che, non facendo da una parte, posso… son due cose belle tutt’e due, e mi piacciono tutt’e due, non vedo il motivo per smettere.Ma se per “scrivere per” gli uni o per gli altri vuol dire l’esperienza globale, non c’è paragone, è infinitamente più bello scrivere per i bambini. Perché? Ma perché se scrivo per adulti cosa mi faccio? Non ti dico una cosa simpatica, mi faccio una pippa mia, bella, mistica, singolare, la metto giù, ah che bravo che sono, c’ho un orgasmo narcisistico, prendo la cosa, la infilo in un libro privato, un oggetto che se ne va attraverso canali monodimensionali in un altro, davanti a un altro singolo che si legge la cosa, gli piace, non gli piace, non sa un cazzo neanche lui, ma da solo; rarissimamente scrive all’autore (“quanto sei bravo”, “quanto sei bello” o “quanto sei coglione”), di solito si consuma la sua esperienza in solitudine. Schak, schak! [batte le mani come per scrollarsi la polvere] Finita lì. Se scrivo ai bambini, per gruppi, per famiglie, per mamme e bambini, per situazioni teatrali, per classi, per gruppi teatrali, mi chiamano, mi scrivono, mi mandano cazzate pazzesche, elaborazioni, disegni tremendi su quello che fanno; ma non importa, mi vogliono incontrare, creano situazioni o le creo io per loro, faccio incontri, spettacoli, trasformo quella roba lì in uno spettacolo, poi glielo facciamo vedere…Tutta un’altra risposta.

    Riccardo Redivo

    6 konrad marzo 2011

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    Servizio realizzato in collaborazione con Banca Popolare Etica e Arci Nuova Associazione Trieste

    Punto informativo gratuito della Provincia di Triesteprogettato e realizzato da LEGAMBIENTE

    orArIo: martedì dalle 10.00 alle 12.00 venerdì dalle 17.00 alle 19.00

    A TrIEsTE IN vIA DoNIzETTI, 5/A

    telefono: 366-5239111fax: 040-9890553e-mail: [email protected]/Ecosportello.htm

    l’Ecosportello è anche a Muggia,

    in via Roma,ogni giovedi dalle 17.00 alle 19.00

    La rivista “Trasporto Pubblico”, numero di ottobre del 2010, dedica un lungo articolo a firma di Corinna F. Dora a quello che i giovani chiedono al trasporto pubblico. La giornalista cita in proposito una ricerca dell’Associazione Trasporto Pubblico e dell’istituto Hermes, che parla di un nuovo modello di comportamento dei giovani, applicato anche ai loro spostamenti su mezzi pubblici e cioè l’uso del cosiddetto “multitasking”, ossia la messa in pratica di azioni multiple. Se nel trasporto delle persone le automobili continuano a fare la parte del leone, le nuove tecnologie di intrattenimento di cui sono dotate (navigatore satellitare, dvd, lettore di ipod) non sono sempre conciliabili con una guida attenta e responsabile, afferma la giornalista. Invece nel trasporto pubblico locale si può creare un rapporto virtuoso con le nuove tecnologie. Insomma la cosiddetta “net generation” (cioè della generazione che si serve prevalentemente del computer per acquisire informazioni ed altro) può trovare un motivo di preferenza per il mezzo pubblico, dove servirsi tranquillamente di telefonino e degli altri strumenti preferiti senza correre rischi, che sono fin troppo presenti quando il giovane è alla guida di un mezzo a quattro o, addirittura, due ruote. La ricerca in questione dedica anche un’attenta analisi alle politiche tariffarie agevolate in favore dei giovani. Non mancano numerosi esempi in varie parti d’Italia. Per esempio a Genova l’Azienda municipale prevede un abbonamento vantaggio per tutti i giovani (e non soltanto per gli studenti) al di sotto dei 26 anni. L’Azienda di trasporti di Alessandria, invece, prevede abbonamenti per i giovani a partire da soli 9 euro al mese in base al reddito. E poi c’è l’esempio un po’ sorprendente di Bari, dove l’Azienda di trasporti concede nel periodo natalizio la circolazione gratuita ai giovani sino ai 18 anni. Agevolazioni simili si riscontrano anche a Cosenza, Forlì, Lecco, ecc. Non mancano iniziative settoriali come a Roma, dove quattro autobus ecocompatibili sono messi a disposizione degli studenti e dei

    dipendenti dell’Università La Sapienza, per non parlare del servizio notturno per le discoteche, che ha trovato applicazione anche a Trieste, per garantire ai giovani il ritorno sicuro a casa. La giornalista di “Trasporto Pubblico” così commenta: “I nativi digitali, che mentre si spostano scrivono sms, parlano al telefonino, smanettano sull’ipod e intanto magari mangiano un panino e bevono una Coca Cola, sono più sicuri sui mezzi pubblici”. A parte il curioso modo di definire i giovani d’oggi come “nativi digitali”, anche se si capisce il perché, l’autrice dell’articolo ricorda il numero di incidenti stradali inaccettabile, a livello europeo ben 41.600 morti nel 2005 e in Italia 14 morti al giorno. Certamente ciò dipende anche dal numero enorme di quanti si spostano quotidianamente in Italia: nel 2008 sono state oltre 32 milioni le persone che hanno dichiarato di spostarsi giornalmente per recarsi nei luoghi di studio e di lavoro. Ben oltre 10 milioni sono studenti, dei quali il 26 per cento dichiara di spostarsi a piedi, mentre la stragrande maggioranza utilizza mezzi di trasporto. Fra i diversi mezzi utilizzati la statistica ci ricorda ancora una volta che l’auto privata prevale. Si spostano con tram e bus circa il 12 per cento e con i pullman circa la medesima percentuale. Tuttavia i giovani non hanno alcun pregiudizio nei confronti del trasporto pubblico e sarebbero pronti a preferirlo a certe condizioni, soprattutto legate alla libertà di cui possono disporre nell’utilizzo delle nuove tecnologie. Parecchi esempi ci vengono da altri Paesi, principalmente dagli Stati Uniti, di accesso gratuito a internet tramite wi-fi sugli autobus. In Italia il primo esperimento del genere si è registrato a Pordenone a partire dal settembre 2008, con la possibilità, cito testualmente dall’articolo, ”di collegarsi senza costi in modalità wi-fi su due autobus oppure telefonare in modalità voip”. Confesso che ignoro alcuni di questi termini e lascio ai lettori giovani la loro piena comprensione.

    Sergio Franco

    TrasporTi e ambienTe

    giovani e trasporto pubblico

    7 konrad marzo 2011

  • L’Ecuador presenta una proposta ai Paesi più sviluppati per ridurre l’emissione di CO2 e il danno che questo causa al pianeta. Nei campi petroliferi di Ishpingo, Tambococha, Tiputini (ITT), all’interno del parco nazionale dell’Yasuni, in territorio ecuadoriano, vicino alla frontiera con il Perù, ci sono importanti giacimenti di petrolio grezzo calcolati in 900 milioni di barili. Non è facile estrarre una simile quantità, giacché per ogni barile di petrolio si producono 4 barili d’acqua inquinata, e l’acqua deve essere reinserita nell’ambiente purificata, altrimenti si rischiano gravissimi danni alla natura e alla foresta amazzonica. L’Ecuador propone ai Paesi industrializzati di organizzare un fondo pari alla metà dell’ammontare che il Paese ricaverebbe da questo petrolio. In cambio, l’Ecuador vieterebbe qualunque perforazione nella giungla amazzonica del parco e userebbe il fondo per pagare il debito esterno. Questa soluzione innovativa serve a proteggere la foresta amazzonica ed evitare dei danni costosissimi, come è successo nell’altro parco amazzonico ecuadoriano di Nuova Loja, o Lago Agrio, dove la Texaco, in seguito assorbita dalla Chevron, è accusata di aver sversato in 30 anni (1964-1990) 68,5 miliardi di litri di acque inquinanti e 64,5 milioni di litri di petrolio (23 milioni di litri in più di quello versato dall’Exxon Valdez), lasciando centinaia di discariche all’aperto di prodotti tossici e producendo una “Chernobyl ambientale”. è in atto contro la Chevron una class-action per oltre 28 miliardi di euro promossa dalle 30.000 persone che abitano questa zona, perché i danni alla loro salute e alla qualità della vita hanno creato delle vere emigrazioni ambientali. è allucinante pensare che le multinazionali, quando sono in gioco i loro progetti, considerano le popolazioni dei Paesi poveri simili ad articoli “usa e getta” di nessun valore. Le popolazioni autoctone dell’America Latina conoscono questo problema. La ricchezza che la Spagna trovò nel Nuovo Continente non era soltanto l’oro, ma anche la schiavitù. Non era chiaro per i conquistatori se gli indios avessero un’anima, pertanto ritenevano che per convincere gli autoctoni a convertirsi al cattolicesimo anche la violenza fosse giustificata. La croce e la spada. La conversione era pagata con lo sfruttamento che subivano sotto gli “encomenderos”, coloro

    a cui il re di Spagna aveva conferito l’incarico, “encomienda”, di cristianizzare gli indigeni. Due romanzi, quello dello scrittore tedesco Reinhold Schneider “Las Casas vor Karl V” dell’editrice Suhrcamp Verlag, e il magnifico racconto “La guerra de los capinegros” dello scrittore spagnolo Francisco Pérez de Antón residente da oltre 40 anni in Guatemala, sintetizzano la crudele storia della conquista e della colonizzazione dell’America da parte della Spagna, ma anche la presa di coscienza di Carlo V, di Fray Bartolomé de Las Casas e dei “Fratelli Capinegros” che, resisi conto di tanta infamia, cercarono di fermare il massacro spagnolo. I due racconti si sviluppano nel periodo 1542 e 1545.Le date indicate sono lontane nel tempo; purtroppo, i fatti che si discutevano allora, sono ancora attuali. Sfruttamento, violenza, sottovalutazione delle culture autoctone da parte dei nuovi conquistatori, distruzione del loro habitat e distruzione delle culture locali sono i frutti che le multinazionali portano al Nuovo Mondo. La sola differenza sta nel fatto che, come nel racconto biblico, forse questa volta Davide riuscirà a sconfiggere Golia.Il 3 novembre 1993 inizia la causa contro la Texaco, portata avanti dal giovane avvocato Pablo Fajardo. Nel 1994 si costituisce il Frente de defenza de las Amazonas (Fronte di difesa dell’Amazzonia). Nel 1995 la Texaco promette di rimediare ammettendo di fatto di aver inquinato l’ambiente ed incomincia una bonifica che si protrae per 3 anni. In realtà si tratta di sola cosmetica. Nel 2001 la Texaco viene assorbita dalla Chevron, formando una nuova compagnia TexacoChevron con sede

    in California. Nel 2003, in Ecuador, ha inizio la class-action supportata dalla magistratura della California. Qualunque sentenza verrà emessa in Ecuador avrà effetto anche negli USA.Wilson Fajardo, fratello di Pablo Fajardo viene assassinato nel 2004. In molti ritengono che si tratti di uno scambio di persona.Nel 2005 gli avvocati difensori dei 30.000 contadini ricevono minacce di morte e di rapimento. Tali minacce hanno termine solo grazie all’intervento dei media internazionali. Nel 2008 l’avvocato Pablo Fajardo e l’organizzatore sociale Luis Yanza ricevono il prestigioso Goldman Environmental Prize, che rappresenta una specie di Premio Nobel nel mondo degli ambientalisti. Questo fatto scatena contro Fajardo e Yanza una guerra mediatica attraverso le più importanti testate dei mass media da parte della Chevron.Nel 2008 l’esperto del tribunale Richard Cabrera, valuta i danni in 28 miliardi di euro. A tutt’oggi la causa prosegue.è chiaro che una proposta come quella dell’Ecuador per il parco di Yasuni ha una profonda matrice ecologica e di protezione ambientale. Il disastro ambientale mette in ginocchio il mondo e colpisce duramente le popolazioni, come ci hanno insegnato ad esempio le recenti catastrofiche alluvioni in Pakistan, in Germania, in Guatemala, in Brasile, in Italia e in tante altre nazioni. In Australia, nella regione del Queensland le recenti inondazioni hanno sommerso un’area grande quanto Francia e Germania messe assieme.è indispensabile prendere coscienza dell’enorme problema e affrontarlo prima che sia troppo tardi.

    Óscar García Murga

    FontiReinhold Schneider, Las Casas vor Karl V, Suhrcamp Verlag, Drittes Kapitel, Seite 110 – 115Bartolomé de las Casas y Carlos V, Reinhold Schneider, Narrativas –EdhasaPolicia Nacional del Ecuador, Informe 2004-56-Subj-P.J.Shu 12 agosto 2004http://chevrontoxico.com/about/http://es.wikipedia.org/wiki/Pablo_Fajardo_Mendoza#Biograf.C3.ADahttp://newmedia.ufm.edu/gsm/index.php/Emprendedoresperezdeantonhttp://www.quetzal-leipzig.de/19. April 2010 |Ecuador: Streit um neue Ölverträge und Drohung der Enteignunghttp://www.liveyasuni.org/

    Discarica Gas Flaring Indigeno dell'Amazzonia

    Mappa dei parchi naturali dell'Ecuador

    Le FarFaLLe e Le caVaLLeTTe

    debito ecologico e sociale nell'ecuador

    8 konrad marzo 2011

  • serge latouche a trieste

    Le otto R Rivalutare. Rivedere i valori in cui crediamo e in base ai quali organizziamo la nostra vita, cambiando quelli che devono esser cambiati. Ricontestualizzare. Modificare il contesto concettuale ed emozionale di una situazione, o il punto di vista secondo cui essa è vissuta, così da mutarne completamente il senso. Questo cambiamento si impone, ad esempio, per i concetti di ricchezza e di povertà e ancor più urgentemente per scarsità e abbondanza, la “diabolica coppia” fondatrice dell’immaginario economico. L’economia attuale, infatti, trasforma l’abbondanza naturale in scarsità, creando artificialmente mancanza e bisogno. Ristrutturare. Adattare in funzione del cambiamento dei valori le strutture economico-produttive, i modelli di consumo, i rapporti sociali, gli stili di vita. Rilocalizzare. Consumare essenzialmente prodotti locali, prodotti da aziende sostenute dall’economia locale.Ridistribuire. Garantire a tutti gli abitanti del pianeta l’accesso alle risorse naturali e ad un’equa distribuzione della ricchezza.Ridurre. Sia l’impatto sulla biosfera dei nostri modi di produrre e consumare, sia gli orari di lavoro. Il consumo di risorse va ridotto sino a tornare ad un’impronta ecologica pari ad un pianeta. Riutilizzare. Riparare le apparecchiature e i beni d’uso anziché gettarli in una discarica, superando così l’ossessione, funzionale alla società dei consumi, dell’obsolescenza degli oggetti e la continua “tensione al nuovo”. Riciclare. Recuperare tutti gli scarti non decomponibili derivanti dalle nostre attività.

    Guido Pesante

    Serge Latouche: già professore di scienze economiche all’Università di Parigi XI e all’Istituto di Studi di Sviluppo Economico e Sociale di Parigi, è oggi uno dei principali teorici della decrescita: sul tema ha scritto libri fondamentali quali “La scommessa della decrescita“ e “Breve trattato sulla decrescita serena”; ma cos’è la decrescita?La decrescita: per capire di cosa si tratti è fondamentale aver presente la distinzione tra beni (apportatori di maggiore benessere) e merci (cioè i beni che passano attraverso il mercato e che sono contabilizzati dal PIL): non tutti i beni sono merci, non tutte le merci sono beni; possiamo dire che il paradigma di decrescita focalizza questa distinzione, che invece l’economia tradizionale cancella, e indica come obiettivo una diminuzione delle seconde, non necessariamente dei primi: anzi, una decrescita può essere indotta da una crescita di beni autoprodotti e di beni scambiati gratuitamente, in sostituzione di merci equivalenti; parallelamente, il paradigma di decrescita non confonde lavoro con occupazione retribuita e valuta il lavoro in rapporto alla sua utilità sociale, non in rapporto alla remunerazione monetaria (che potrebbe benissimo essere priva di relazione con l’utilità sociale del lavoro stesso).Per quanto, ovviamente, il modello di consumo di decrescita implichi sobrietà, la decrescita non predica ascetismo e mortificazione; anzi, una “recessione ben temperata” racchiude intrinsecamente un fattore di felicità, perché è un processo che punta a miglioramenti nella qualità della vita e degli ecosistemi, purché, accanto alla riduzione del consumo di merci, aumenti nella collettività la capacità di autoproduzione e la capacità di dono, cioè la capacità di approvvigionamento non monetario di beni.Un modello di questo tipo impone un elevato standard tecnologico, ma la tecnologia al servizio della riduzione d’uso di materiali e di energia non ha fine in sé stessa, come accade alla tecnologia applicata alla crescita - che ormai deve inventare i bisogni per poter generare assorbimento delle merci prodotte a ritmi sempre più accelerati - ma guarda alla qualità della vita (alla felicità dei singoli e alla conservazione attiva degli ecosistemi).Impone inoltre una riduzione della specializzazione lavorativa: solo chi non sa fare nulla deve comprare tutto dagli altri e quindi deve rifornirsi di merci; ed è stata la necessità di accrescere la produttività dei sistemi economici ad imporre una divisione del lavoro sempre più spinta: una necessità che la logica di decrescita, oggi, nega.Ed ancora, la logica di decrescita lavora ad un recupero della solidarietà dello scambio gratuito, contro l’agonismo interpersonale della concorrenza nella produzione e nell’acquisto di merci sul mercato. Le otto R sono i motori della decrescita.

    Martedì 8 marzo, Serge Latouche terrà una lectio magistralis destinata agli operatori comunali dell’educazione presso l’Università di Trieste. Il giorno successivo, mercoledì 9, alle ore 17.00, nell’aula magna del liceo scientifico G. Galilei (via Mameli 4) terrà una conferenza rivolta alla cittadinanza.Sabato 12 si svolgeranno nell’ edificio H2 bis (Centro di calcolo) dell’Università di Trieste, otto laboratori di buone pratiche, introdotti da Francesco Gesualdi, già allievo di don Milani, e conclusi da Paolo Cacciari: si tratta di due tra i più influenti teorici della decrescita italiani. Ciascuno dei laboratori sarà imperniato su una delle “R” che Latouche propone quali motori della decrescita stessa.

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    9 konrad marzo 2011

  • Libri

    bosnia expressDei conflitti, si parla. Di ciò che viene dopo, no. La pace non fa notizia, non commuove, non tocca. Sulle strade distrutte, come sulle anime devastate, cala l’indifferenza. Quanti di noi sanno cosa sia la Bosnia oggi, a tre lustri dalla guerra? Luca Leone - saggista e giornalista di quelli veri, che vanno sul campo a vedere e a soffrire, che si sporcano le mani, che rinunciano agli alberghi per dormire sotto un cielo malato, che parlano con le persone comuni guardandole negli occhi - ci dice le cose non dette di tutti questi anni, ci illumina di verità tristissime. Ci dà uno schiaffo.

    La Bosnia - scrive Leone, con immenso amore e una vena di poesia (lo stesso amore e la stessa poesia che conosciamo in Paolo Rumiz) - è religio-sa e puttana, giovane e antica, libera e incatenata, ricca fin’allo stordimento e povera fin’allo sgomento, limpida e impenetrabile. È femmina e bella, ferita nel profondo e piagata, in tutto e per tutto violentata.Dopo quindici anni, la Bosnia è un piatto in cui tutti hanno messo la forchetta, fregandosene delle conseguenze. è un paese in cui c’è sempre qualcosa che non quadra. Ascoltando la gente, il musicista, l’avvocato, l’agente immobiliare, l’ingegnere, Leone indaga sulla Bosnia oggi, sulle sue incongruenze, sulle sue corruzioni, sulle sue improbabili prospettive. La Bosnia non ha prospettive. Tutti sperano che non sia così ma ogni bo-

    sniaco - e sopra tutti i più giovani – sanno che purtroppo questa è la realtà. Il destino della Bosnia giace nelle mani e nelle mire di coloro che ne gestiscono le risorse. La Bosnia è un paese che fa gola, è un business mondiale sotto moltissimi aspetti. Ha una invidiabile posizione geografica, strategica dal punto geopolitico, e le risorse sono imponenti. C’è carbone, bauxite, zinco, e... petrolio. Per decine di miliardi di euro di valore. Il paese possiede anche un immenso patrimonio boschivo che produce legname di primissima qualità. Leone ha visitato personalmente a Visoko una fabbrica in cui vengono assemblati mobili e pianali per cucine, importati da aziende italiane (e la cucina poi sarà, chissà come mai, made in Italy...)Ma il territorio viene aggredito, il rimboschimento è insufficiente, e tra qualche anno il deturpamento sarà evidente. Paradossalmente, se una parte delle bellezze naturali si salverà, sarà “per merito” delle mine... Per sminare il territorio occorrono soldi e sminatori che oggi non ci sono. L’acqua è l’altra importantissima ricchezza bosniaca. Risorse immense sistematicamente svendute a società estere, che imbottigliano o utiliz-zano l’acqua per produrre bevande commerciali. Non società qualsiasi... Parliamo di Nestlè o di Coca Cola. Ma la risorsa davvero più importante della Bosnia – e quella più spreca-ta – è costituita dalle persone. La società civile ha perduto il senso della libertà, dell’espressione del pensiero. Ha perduto la speranza. Ha girato le spalle a se stessa, e al futuro. Luca Leone, con questo ottimo lavoro carico di sdegno e di passione, fa la sua parte nel difendere un paese e un popolo che meriterebbero, davvero e finalmente, un destino migliore.

    Luisella Pacco

    come diventare italiani in 24 oreDi questa scrittrice indiana, ma triesti-na d’adozione, ho già scritto qualche mese fa (per il suo romanzo Amiche per la pelle). Anche per quest’ultimo libro, uscito lo scorso novembre, vale il medesimo discorso fatto allora: Laila Wadia ci fa riflettere su molti temi importanti, sì, ma in maniera sempre leggera, ironica, gioiosa. Con Laila si sorride sempre. La protagonista di Come diventare italiani in 24 ore è una studentessa indiana (Laila stessa?) che arriva in Italia e si trova a dover battagliare con una lingua che è ricchissima, difficile e buffa, e con le abitudini di un popolo (ammettiamolo, ahinoi) abbastanza eccentrico…

    Arrivai a Roma all’età di ventun’anni con una valigia piena di vestiti fuori moda e due certezze: che mi avrebbero rubato il portafoglio e pizzicato il sedere. […] Con mio grande stupore, non successe né l’una né l’altra cosa, e non vi so dire quale delle due ferì di più il mio amor proprio. Cosa non era imbottito a sufficienza da risultare irresistibile, il portafoglio o il mio sedere indiano?

    Inizia così il resoconto che ci permette di seguire la giovane indiana nella sua scoperta dell’Italia e un po’ nella scoperta di sé. Integrarsi in un paese straniero, infatti, è come rinascere, sperimentare nuovi modi di essere vivi. Alla nostra protagonista l’energia non manca, la curiosità nemmeno. In-stancabile e acuta osservatrice, la ragazza persegue con determinazione ferrea il suo obiettivo: alzare il proprio QI. No no, non il quoziente d’intelligenza… Bensì, il quoziente d’italianità! Il suo diario è un delizioso susseguirsi di incontri, sorprese, frustrazioni e successi. E per far dono della ventennale esperienza ad altri “alieni” che sbarcano oggi in Italia, Laila Wadia, nella seconda parte del libro, riassu-me tutti i trucchi per diventare italiani presto e bene.Come si rilassano gli italiani, come si truccano le italiane, come fanno colazione, come guidano, come leggono i giornali, come fanno la spesa, come si vestono, come fanno le valigie, come gesticolano, eccetera eccetera… Una guida utile per gli stranieri che tentano di capirci nelle nostre strava-ganze. E uno specchio (spietatamente fedele) per i lettori italiani che ri-conosceranno tutte, e dico tutte!, le caratteristiche che Laila ci attribuisce. Chi ha autoironia, ne riderà di gusto. Chi non ne ha, sarà travolto dalla vergogna di sapersi così strambo, e si metterà a scrivere un altro libro, Come smettere di essere italiani. Sarà sicuramente un successo!

    L.P.

    Bosnia Express. Politica, religione, nazionalismo e povertà in quel che resta della porta d'Orientedi Leone Luca€ 12,002010, 160 pagine - Infinito edizioni

    Come diventare italiani in 24 oreDi Laila Wadia€ 12,902010, 148 p. Editore Barbera (collana Radio Londra)

    10 konrad marzo 2011

  • l’anno dei dodici inverniMa esistono in Friuli Venezia Giulia dei bravi scrittori di fantascienza? Certo che esistono. Il friulano Tullio Avoledo (è nato a Valvasone nel 1957, ed attualmente vive a Pordenone), ama la science fiction con tutto il suo cuore, e si vede. Le sue opere sono perfettamente all’altezza di quelle dei migliori scrittori anglosassoni. E pensare che per vivere fa l’impiegato di banca, uno dei mestieri meno avventurosi che ci siano. Il primo romanzo che ho letto di lui è stato “La ragazza di Vajont” (Einaudi 2008). è la storia di un amore impossibile, sullo sfondo apocalittico di un

    Nord-Est “parallelo” tormentato da una guerra civile e dai fantasmi della pulizia etnica. Poiché mi era piaciuto un sacco, sono corso a procurarmi pure i suoi romanzi precedenti, e cioè “L’elenco telefonico di Atlantide” e “Mare di Bering”, ambedue pubblicati da Sironi nel 2003. Devo dire che non sono rimasto deluso. Si tratta di romanzi fantastici nei quali la speculazione scientifica si coniuga con visioni profetiche, catastrofiche e molto pessimistiche, il tutto accompagnato da citazioni di alcuni tra i più importanti scrittori di fantascienza americani ed inglesi, di quelli pubblicati sulla rivista “Urania” della Mondadori dei tempi migliori, come Cliff Simak, Theodore Sturgeon, Robert Heinlein, Alfred E. Van Vogt, Fritz Leiber, John Wyndahm, ecc. ecc. tutti autori di ottimo livello sprofondati ingiustamente nell’oblio. Certo, lo scienziato britannico Arthur C. Clarke (il cui romanzo “Le sabbie di Marte” fu pubblicato nel primo numero dei “Romanzi di Urania” uscito nell’ottobre del 1952), ha acquisito fama imperitura grazie al film di Stanley Kubrick “2001, Odissea nello Spazio” ed Isaac Asimov verrà ricordato per sempre grazie alle tre leggi della robotica, ma tutti gli altri? Oggi si fa un gran parlare di Philip K. Dick, ma cinquant’anni fa costui era considerato solamente uno dei tanti scrittori di genere fantascientifico, e nemmeno dei più importanti. Le cose migliori che ci ha lasciato sono dei racconti brevi e lancinanti ai limiti della narrativa horror, come il celeberrimo “Impostore” pubblicato nella mitica antologia “Le meraviglie del possibile” stampata da Einaudi nel lontano 1959. I suoi romanzi invece

    mi sono sempre sembrati noiosi ed eccessivamente complicati. Preferivo di gran lunga le saghe spaziali. In ogni caso tutta questa sua esaltazione post mortem (è scomparso nel 1982), a causa delle sue numerose opere adattate per il cinema, mi appare sinceramente esagerata, ed anche lo scrittore Tullio Avoledo sembra essere della mia stessa opinione. Infatti nel romanzo “L’anno dei dodici inverni” si ipotizza che nel 2028 tutto il mondo occidentale sarà dominato dalla “Chiesa della Divina Bomba”, un movimento religioso ispirato alla santificazione dello scrittore americano, di gran lunga più potente dello stesso Cristianesimo. L’autore insiste molto sul fatto che il culto di San Filippo Dick avrà un’enorme importanza nel mondo futuro, e siccome nello “slang” (gergo) americano la parola “dick” viene usata per indicare quell’affarino che hanno tra le gambe i maschietti e che serve per fare la pipì ed anche altre cose, l’affermazione della sacralità di roba simile in tale contesto appare perlomeno stravagante. D’altra parte basta dare un’occhiata alle prime pagine dei giornali in questo inizio dell’anno 2011, con tutte quelle notizie relative alla vita sessuale pubblica e privata dell’attuale capo del governo italiano, per rendersi conto che alle volte la realtà può superare la fantasia più sfrenata. E per fortuna che il nostro premier non possiede ancora il segreto della macchina del tempo come invece nel romanzo di Tullio Avoledo succede alle alte gerarchie della Chiesa della Divina Bomba: altrimenti, chissà che uso strampalato e nocivo ne farebbe! In realtà Emanuele Libonati, il protagonista del romanzo ambientato nella prima parte in Italia tra Trieste, Udine e le spiagge della Toscana e poi in Inghilterra e Islanda, è un famoso poeta che viene incaricato di scrivere il nuovo Vangelo di San Filippo Dick. In cambio lui chiede di poter utilizzare la macchina del tempo per un breve periodo, in modo da rimediare ad alcuni errori che ha commesso nel corso della propria esistenza. Che cosa fareste se si potesse viaggiare nel passato? Uccidere Hitler e Stalin ancora in fasce? Assistere alla crocifissione di Gesù Cristo? Vedere le sette meraviglie del mondo antico? Andare a caccia di dinosauri? Beh, il protagonista del romanzo non fa nulla di tutto questo. Si limita a mettere un po’ d’ordine nella propria esistenza e a migliorare la vita di alcune persone vicine a lui. Tutto qua. Non vi sembra abbastanza? Ma io vi assicuro che il risultato è una storia molto affascinante, che si legge tutto d’un fiato e che riempie completamente le 377 pagine di questo ottimo libro, uno delle più belle opere di fantascienza scritte da autori italiani che io abbia letto negli ultimi anni.

    Gianni Ursini

    Tullio Avoledo L'anno dei dodici inverni Einaudi, 2009 pp. 377, Euro 19.00)

    guida sentimentale di triesteUna città raccontata al femminile, rivissuta come luogo della propria soggettività, guardata con amore, con quella dose di disincanto e ironia, con dolore, con gioia, con nostalgia, con rimpianto, con la voglia di ripercorrere ambienti e spazi che hanno a che fare con le storie private di ognuna. E’ un modo di riprendere confidenza con i luoghi che hanno accompagna-to le esperienze di ogni crescita, di ogni passaggio importante di vita, dall’infanzia e giovinezza, alla maturità e al presente, collocati in un contesto concreto di spazi che connotano la

    città, la sua fisionomia, rivelano tracce della sua storia, mostrano il suo aspetto contemporaneo.Come si presenta la città nelle narrazioni delle donne? Certamente questa è una “Guida” sbilanciata, che non cerca oggettività, nella quale si dà spazio ai particolari, agli umori, agli incontri imprevisti. è come se le autrici parlan-do della città parlassero anche d’altro: dei rapporti tra le persone, dell’im-patto con l’ambiente, dei ricordi intimi, dei momenti di vita intensamente vissuta, dei desideri che le attraversano e motivano le azioni. E Trieste assume un volto nuovo, meno ufficiale o imponente, meno “commerciale” o letterario. è una città che non lascia indifferenti.

    Questo libro è un rimando di sguardi. Scopre occhi che rivelano un amore profondo per la città, anche là dove si intravede una sofferenza, una osservazione critica o una presa di distanza, e la speciale connotazione di Trieste - usata, abusata, decantata, mitizzata, inventata - in tanti scritti di tanti autori contemporanei e del passato, trova qui una corrispondenza nei tratti di un sentimento espresso da chi la abita, sentimento che filtra tra le parole e ne forgia l’alone dei significati.Trieste città delle contraddizioni, città di carta, città dei matti, città di fron-tiera, città dei commerci, incrocio di civiltà, centro delle periferie, crogiuolo di culture, città mitteleuropea, nostalgica del suo passato, città plurilingue, città da cui si fugge ma a cui si torna, non luogo, città di “scontrosa grazia”, personaggio città, città senza pace, città della bora: sono tanti i fantasmi che aleggiano sulle sue strade o si incarnano – provvisoriamente – in una pietra sporgente da un palazzo. E anche se i suoi cittadini sorridono con ironia a tutta questa abbondanza di definizioni che restano sfuggenti, incapaci di catturare se non effimeri frammenti della sua realtà, tuttavia hanno un modo particolare di immaginare la sua specificità e la sua sedu-zione: diverso per ognuno – a seconda dei caratteri – trova dei presupposti comuni nella convinzione di vivere in un magnifico luogo “extratempo”. Anche il fascino che la città diffonde su chi la visita e cercando di capirla percorre le sue strade, entra nei musei e nelle chiese, sale le molte scalinate e si incanta davanti a uno scorcio, si dispiega in un effetto alone di natura contemplativa, di cui si coglie l’irrequietezza segreta e la disposizione distaccata e ironica.

    F.C.

    11 konrad marzo 2011

  • Il mio romanzo è terrorizzante? Non so, credo abbia ragione Luciano: l’effetto è soggettivo. Al di là di questo, io credo che la paura abbia senso se non ce ne compiacciamo troppo. è un’esperienza che è utile e importante attraversare, anche per imparare a distinguere i segnali di paura immaginari da quelli fondati. Per questo, più che l’horror io prediligo il gotico, che ci conduce attraverso i “fantasmi”, facendocene sempre dubitare, e che oltre i fantasmi ci indica il cielo. è stato il grande padre Dante a insegnarci, dopotutto, che si viaggia all’Inferno, per poi uscire a “riveder le stelle”. Se si va all’Inferno soltanto per godersi lo spettacolo dei suoi orrori senza fine, rischiamo di finirne prigionieri. Quando mi è capitato di scrivere degli episodi di Dylan Dog c’era un fatto che mi turbava un poco, da scrittore… il personaggio tende un po’ troppo a compiacersi delle sue paranoie. Quando ho inventato il personaggio di Magico Vento, uno sciamano lakota che vive

    esperienze piuttosto angosciose, mi sono sforzato sempre di mostrare come per gli indiani d’America, provare paura ha un fine preciso: trovare il coraggio di superarla. I ragazzini lakota, quando si cominciava a

    chi ha paura di aver paura?Ulteriori pensieri di Gianfranco manfredi sul suo ultimo libro

    siamo tutti intelligenti 2Qualche giorno fa ho ricevuto alcune mail da ragazzi incontrati in scuole di tutta Italia, che mi segnalavano la curiosità della data: era l’11 febbraio scorso. Infatti scrivendo la data in forma ggmmaaaa (come sugli F24, per chi paga le tasse…) si scrive 11022011: numero palindromo, oppure, come dicono i puristi, palindromico (visto che è aggettivo), cioè che si può leggere anche iniziando dal fondo. Palindromo, ovviamente, è un termine che deriva dal greco, ed è composto da πάλιν, che indica ripetizione, e da δρóμος, che indica una corsa (pensiamo alle parole autodromo o ippodromo).Anche cercando su internet, ho visto che tanti hanno notato la curiosità della data, ma… si può andare avanti?Intanto, esistono infiniti numeri palindromi: basta scrivere a caso con la tastiera le prime cifre; infatti da 65498114 ottengo 654981141189456, e quindi non sono rari. Sono rari se si vuole che le cifre formino un numero di un dato tipo, ad esempio una data. Ma una data… di che tipo? Se fossimo americani (che scrivono prima il mese, poi il giorno), 11022011 indicherebbe non l’11 di febbraio, ma il 2 di novembre, e qualche data che per noi risulterebbe possibile, nel loro calendario potrebbe non esistere; dobbiamo poi pensare se preferiamo indicare l’anno con due o con quattro cifre. Una situazione analoga risulta per le parole: onorarono per noi è parola palindroma, ma ritengo che in nessun’altra lingua capiti una combinazione analoga, traducendo quel vocabolo.Ma pensando al nostro 11022011, mi è venuta la voglia di fare il suo quadrato, cioè di moltiplicarlo per se stesso. Risultato: 121.484.726.484.121. Che sorpresa! Il numero è “quasi palindromo”, cioè se solo il 7 fosse un 6, oppure il 6 fosse un 7, il numero sarebbe palindromo, e che palindromo: 15 cifre. è una situazione abbastanza strana, dal momento che numeri palindromi anche piccoli, se elevati alla seconda, non sempre danno numeri palindromi; ad esempio 414 x 414 = 171.396; ma già 66 x 66 = 4356. Naturalmente a tutto c’è una spiegazione, anche al fatto che il numero da noi trovato sia “quasi palindromo”. Il fatto ancora più curioso è che dividendo in pezzi di tre cifre il numero, trovo 4 volte dei quadrati perfetti che sono numeri palindromi, e quadrati di numeri palindromi (per capirci, ad esempio, il numero formato dalle prime tre cifre è 121, che è palindromo e che è il quadrato perfetto di 11, che è un altro palindromo; così accade pure per 484, quadrato di 22).Le caratteristiche che si possono trovare sui numeri sono davvero tante, ma… mica le devo trovare tutte io, no?Buon lavoro, e arrivederci alla prossima data palindroma, che sarà il…???

    © Giorgio Dendi

    istruirli a diventare guerrieri, li si lasciava soli nelle Grandi Pianure, dopo adeguata preparazione, perché imparassero a cavarsela da soli. è certo una strana cultura rispetto alla nostra attuale. Noi ai figli vorremmo risparmiare qualsiasi rischio. Però questo non è il modo migliore per farli diventare adulti. Non è un caso che l’horror sia diventato così popolare tra i ragazzini: è, se non altro, un’esperienza di paura simulata, molto utile alla crescita. Chi ha paura d’aver paura, è doppiamente schiavo della paura. Si rinchiude in casa a doppia mandata, schiavo delle proprie paranoie. Agli adulti, poi, è chiesto un coraggio ulteriore, che è quello di non rinunciare mai a interrogarsi sul senso della vita. Sono convinto che un vero lettore cerchi anche questo in un romanzo: non semplicemente una storia avvincente, ma una traccia per mantenere vivi in noi certi interrogativi (filosofici, religiosi, scientifici, sociali, psicologici e sentimentali) senza i quali vivremmo davvero come bruti. Riguardo ai sogni di immortalità, attualmente la prospettiva è un’altra (e nel mio romanzo se ne parla parecchio), e cioè non quella del prolungamento della vita, bensì quella del prolungamento ad libitum della vecchiaia. Quando sento promettere enfaticamente per il prossimo futuro una vita media di 120 anni, la cosa mi dà i brividi. Ho passato i 60… sono soltanto alla metà? Mi scompensa questo pensiero. La vita sarà in futuro composta da un’infanzia sempre più corta, un’adolescenza troppo prolungata, e una vecchiaia largamente prevalente? Questo non sta già producendo da tempo distorsioni inquietanti nella nostra società? Non pretendete che io dia risposta a questi interrogativi nel romanzo: non li do e non saprei darli. Non credo nemmeno sia compito dei romanzi dare risposte o insegnamenti come se i lettori fossero degli ingenui “da istruire”. Credo che un romanzo possa e debba invece offrire delle occasioni narrative per riflettere e perché ciascuno possa trovare le sue risposte. Non bisogna mai negare al lettore questa sua libertà. Uno scrittore non deve mai supporre di essere più intelligente di chi lo legge. Pena fare la figura del saccente, o peggio, del fesso.

    Dal blog http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2010/10/14/tecniche-di-resurrezione/

    Collabora con Konrad Gian-franco Manfredi. Cantautore

    politico e ironico negli anni Settanta (Ma non è una

    malattia, Zombie di tutto il mondo unitevi), autore di

    fumetti (Magico Vento, Volto Nascosto), romanziere tra i più eclettici in Italia (Magia rossa, Ho freddo, Una fortuna d’an-

    nata, il recentissimo Tecniche di resurrezione), sceneggiato-

    re cinematografico.

    12 konrad marzo 2011

  • Come tutte le parole sporche che si rispettino, “spazzatura” ha molti sinonimi: uno è “rifiuti” ter-mine sottilmente consumistico e schizzinoso, che allude al disconoscimento, quasi al ripudio di un qualcosa che magari fino a poco prima si trovava in salotto, su uno scaffale o perfino nel nostro piatto. “Pattume” è oggi poco usato: è una parola di origine toscana, da “pattóna”, che indicava la polenta di farina di castagne. “Immondizia” per me è una parola estremamente immaginifica: il suo riferirsi a ciò che è “immondo” mi sa molto di Medioevo, di peste e lazzaretti, di degrado fisico, morale e spirituale. Trovo divertente che questo vocabolo sia usato da quelle persone che voglio-no essere raffinate.Nel dialetto triestino troviamo un termine inso-stituibile: semplici e ruspanti, casalinghe e per niente tossiche, le “scovàze” sono quasi gente di famiglia. Lungi dall’essere qualcosa di indeside-rabile il rifiuto è qualcosa che fa parte della vita. Il nostro corpo stesso può essere visto come una splendida macchina che trasforma merende e manicaretti in spazzatura ed energia. Ogni cellula del nostro corpo produce in continuazione anidride carbonica – incurante del protocollo di Kyoto – nonché molecole di scarto di ogni forma, razza e dimensione. Il più grande produttore di rifiuti è però l’univer-so stesso: nato da un luminoso e abbagliante Big Bang, ora non può fare altro che andare in discesa, consumando la materia e degradando la propria energia. Il futuro remoto potrebbe asso-migliare a un’immane discarica uniforme e grigia. Un altro scenario prevede un ben più eccitante e divertente “Big Crunch”, la grande implosione che chiuderà il sipario del mondo e forse ne aprirà un altro, sempre che il Creatore intenda fare un nuovo universo in materiale riciclato. Alcuni credono che l’era moderna abbia portato a un regresso piuttosto che a un progresso: si tratta di un falso storico, almeno per quanto riguarda la

    spazzatura, ve lo posso assicurare dall’alto della mia laurea in discaricologia. I rifiuti di un tempo erano di cattiva qualità, erano estremamente de-peribili ed erano buoni solo come concime o cibo per i maiali. Con la rivoluzione industriale l’offerta dell’immondizia si è diversificata, finché sono apparsi i primi rifiuti non biodegradabili. Per la prima volta nella storia gli esseri umani hanno potuto accumulare scorte a sufficienza di questa preziosa materia ultima (“materia ultima” è un termine tecnico coniato dal grande discaricologo Bottino De Italspurghis). Il ventesimo secolo ha portato alla scoperta e alla produzione su vasta scala di rifiuti plastici, caratterizzati da una durata e da una resistenza senza eguali. Un ulteriore passo avanti è rappresentato dalle scorie radio-attive, che promettono di accompagnarci per milioni di anni. Ma ultimamente sono venuti alla ribalta tipi di spazzatura ancora più raffinati.Come saprete da alcuni decenni siamo usciti dal mondo moderno per entrare nel postmoderno. Questo ha portato ad enormi cambiamenti in campo ideologico, sociale, artistico e spazzatu-rologico. L’enorme domanda di immondizia ha fatto sì che per la prima volta nella storia la spaz-zatura da umile sottoprodotto delle attività uma-ne diventasse non solo qualcosa di desiderabile, ma addirittura venisse prodotta appositamente, su vasta scala e a beneficio di tutti. Spazzatura da esibire, da assaporare e naturalmente spazzatura da comprare. Alludiamo qui anche e soprattutto a quella spazzatura prodotta dall’arte, dalla cultu-ra, dalla moda e dai media.Da alcuni anni la parola d’ordine è “trash”. Es-sendo ormai a corto di sinonimi per definire un mondo interessante e sfaccettato come quello dell’immondizia, abbiamo deciso di adottare questo termine d’oltremanica. Un vocabolo molto apprezzato dagli odierni spazzativori, che come gli stercorari cari agli antichi Egizi cercano

    e raccolgono indefessamente rifiuti per farne il loro tesoro. La parola “trash” denota espressioni artistiche di cattivo gusto e di basso profilo, come film, programmi televisivi, musica, eccetera. Fin qua niente di strano, i gusti sono gusti, quello che per me è rivoltante per un altro può essere oro, e viceversa. Se non che “trash” è venuto ad indicare in certi ambiti culturali ed artistici qual-cosa di molto “in” e chic. Frugando nelle immondizie troviamo tra le altre cose la “tv spazzatura”, giunta ora allo stadio della maturità. Se un tempo per realizzare certi capolavori televisivi si utilizzavano cascami ed idee avariate tratte da altri programmi, ora che il riciclaggio – parola ignobile e raccapricciante, indegna di un paese moderno e civile – non basta più, ecco la nuova sintesi, per cui registi, sceneggiatori e conduttori lavorano tutti assieme per produrre direttamente, con enormi vantaggi per i telespettatori, il pattume necessario, fresco e di prima mano. La “posta spazzatura” o “junk mail” esiste da un bel po’, ma solo con Internet è diventata un fenomeno del tutto paragonabile alle piaghe bibliche. Anni fa mi rattristavo perché la mia casella di posta elettronica era quasi vuota. Possibile che fossi così scarso di amici? Ora la situazione è cambiata. Sono stato contattato da Su Ning, governatore della Banca Popolare della Cina, da Mrs Judith Williams, malata terminale con quattro milioni di dollari in banca, mentre le Poste Italiane mi scrivono quasi ogni giorno e-mail sul tipo “ne hai uno nuovo messaggio priva-to” o “la sua adressa di email e il suo conto sarano cambiate”. In compenso, quando scrivo ai miei amici, due volte su tre i filtri automatici o i miei amici stessi mi scambiano per uno “spammer” e mi gettano nel cestino di Windows. Tornando al mondo concreto troviamo il “cibo spazzatura”. Si tratta di cibo il cui valore ener-getico è più comodo da misurare in chilowatt anziché in chilocalorie, e in cui il colesterolo deve avere dei minimi di legge garantiti (in caso ciò non sia possibile, in paninoteca sono obbligati a darti una bustina di colesterolo puro come con-dimento). Ci sarebbero ancora tanti cassonetti in cui frugare, mille discariche da esplorare. Ma personalmente ne ho abbastanza, e credo anche voi. Il mondo ha circa 48 abitanti per chilome-tro quadrato, se ci mettiamo tutti insieme non dovrebbe essere difficile pulirlo. “Spazza i rifiuti, rifiuta la spazzatura”, come diceva il grande De Italspurghis.

    Francesco [email protected] - www.bazardelbizzarro.net

    Vik Muniz, “Atalanta and Hippomenes after Guido Reni”. Muniz è famoso per le sue reinterpretazioni di quadri e immagini famose con spazzatura e materiali di scarto.

    Spazzatura marina. Nell’Oceano Pacifico a causa dei giochi delle correnti si è formato fin dagli anni Cinquanta il famoso “Pacific Trash Vortex” con un’estensione stimata tra i 700.000 e i 10 milioni di km2 e una massa attorno ai 100 milioni di tonnellate.

    La famosa carne in scatola “Spam”, da cui proviene il nome “spam” dato alla posta spazzatura che tormenta quotidianamente tutti i possessori di computer.

    Dopo 50 anni la rivincita della sporta ecologicaL'era del sacchetto di plastica per la spesa, inquinante e non sostenibile, finalmente si è conclusa. Dal 2011 è vietato produrre sacchetti non biodegradabili per l'aspor-to di merci. Purtroppo i commercianti sono autorizzati a finire le scorte, ma non a chiedere di pagare i sacchetti. Quelli nuovi devono essere biodegradabili e compo-stabili. Ma gli ambientalisti scelgono di usare le borse di tela o comunque di quelle durevoli. Per sostenere il processo di cambiamento il WWF aderisce all'iniziativa promossa dall'Associazione Comuni Virtuosi "Porta la Sporta" che si svolgerà dal 16 al 23 aprile, per invogliare cittadini e amministrazioni a ridurre l'uso della plastica. Le modalità dell'iniziativa verranno comunicate successivmente.

    Lia Brautti referente rifiuti WWF F.V.G.

    spazziamo la spazzatura13 konrad marzo 2011

  • Trieste, città dalla statica bellezza, alla ricerca costante di uno sviluppo cercato ma non voluto, immobile nelle sue contraddizioni attraverso lo scorrere perpetuo del tempo.In questo periodo di stasi per quanto riguarda le esposizioni – piccole e di breve durata, mentre per quanto concerne la programmazione nei musei di una certa importanza tutto è silente – ho rivisitato luoghi della mia città attraverso le immagini di una mostra fotografica che si sta svolgendo presso il Teatro Stabile Sloveno di via Petronio 4 a Trieste. Accolta da persone gentilissime – colgo anzi l’occasione per ringraziare la receptionist che si è informata sull’apertura del teatro e il gentile Piero che mi ha aperto il palazzo e la mostra in un giorno di festa e di chiusura – ho avuto l’onore e la fortuna di assaporare sola, immersa in un silenzio irreale una poco pubblicizzata e magnifica mostra fotografica sulla nostra amata città.Avvolto da una sensazione di leggera decadenza (purtroppo al giorno d’oggi comune a molti luoghi interessanti, minati da tagli di bilancio), il teatro stabile sloveno, appartenente a una lingua e a una cultura a me lontana, mi ha accolto con grazia, soavemente, per farmi capire che tutti i luoghi (e le persone) hanno un’anima comune dove l’unico idioma parlato è quello del cuore.Le immagini colpiscono nella loro grandiosità.Si giunge a Trieste via mare, un mare in tempesta mosso e agitato dal vento famoso in mille lidi chiamato bora: vi si giunge tra immagini moderne e antiche. Vecchie immagini di Borsatti risalenti al 1956, dove bora e gelo toccavano un’intensità ormai dimenticata, si fondono con fotografie di Roberto Cettin, Marco Covi, Claudio Ernè, Neva Gasparo e Nika Furlani, dove il colore raggiunge svariate tonalità di blu e azzurro,

    dove il blu del mare agitato si amalgama con il celeste della calma piatta, dove la bora si tocca e si percepisce attraverso un etereo velo mosso dal vento e dove con un gabbiano avvertiamo la bellezza del volo.Il viaggio prosegue a bordo del tram di Opicina tra i colori di una splendida giornata di sole di Marino Sterle che ci porta in gallerie sconosciute della Val Rosandra e sull’altipiano, toccando boschi inondati di luce insieme a Fabrizio Giraldi e Roberto Pastrovicchio. Il tram prosegue il suo percorso con Sterle toccando la vedetta di Moccò, il laghetto di Percedol per giungere fino al Santuario di Monrupino sfiorato lievemente dal sole in una magica atmosfera di pace.Il tram arriva al capolinea e il cammino procede a piedi attraverso un mondo di pietra, immobile nei tempi e nelle ere, un mondo di case e pozzi di pietra, un mondo visitato attraverso la forza e l’intensità di Claudio Ernè, Tullio Stravisi e Neva Gasparo per giungere nel sottosuolo fino alla grotte del Carso.Il viaggio prosegue e veniamo trasportati in un nuovo universo fatto di modernità, quasi stonata, nel verde della natura attraverso le immagini di Gabriele Crozzoli e Sterle che ci conducono nel Campus di Ricerca facendoci visitare il laboratorio di luce del Sincrotrone per giungere con Ernè nella nostra tanto odiata Ferriera attraverso delle immagini che la trasformano in un paesaggio artistico. L’esplorazione tocca il porto vecchio con alcune bitte abbandonate insieme a Marco Corvi per imbarcare il passeggero verso il Castello di Duino insieme a Gasparo mentre Cettin ci permette di ammirare le falesie in autunno per ritornare quindi ai giardini di Barcola con una visione alternativa grazie a Pastrovicchio.

    E il lungo cammino sta per giungere al suo termine con un itinerario nella lande che ha ci lascia un sapore di antico tra pecore e nozze carsiche grazie a Giuliano Koren e Mario Magajna che ha documentato le prime nozze del Carso nell’anno 1968 per arrivare alla visita del patriarca serbo ortodosso insieme a Giovanni Montenero e al Natale serbo ortodosso con Andrea Lasorte.Koren ci accompagna anche attraverso un momento importantissimo quale è stato l’abolizione dei confini, frontiera culturale e territoriale che ha diviso popoli tra dolore e ingiustizie fino a giungere ai profughi provenienti dalla Bosnia di Cettin, immagini fortissime che ci riportano alla nostra felice realtà, rendendoci consapevoli della fortuna avuta nel nascere in questa splendida e multiculturale città dal sapore provinciale.Al piano superiore il viaggio viene completato dall’incontro con persone che hanno dato molto a questa splendida e controversa Trieste come ad esempio Margherita Hack, Fiorella Kostoris, Claudio Magris, Boris Pahor, Paolo RUmiz e Don Mario Vatta, che prendono vita grazie alle immagini di Marco Covi, gigantografie che ci salutano, imprimendoci nell’anima un sapore di fierezza e di appartenenza.La mostra sarà visitabile fino al 12 giugno 2011 presso il Teatro Stabile Sloveno di via Petronio 4, da lunedì a venerdì dalle ore 10.00 alle ore 15.00.Consiglio, a tutti i triestini e non, di assaporare queste splendide immagini rese vive e dotate di un’intensa anima grazie a questi bravissimi fotografi.

    Adriana De Caro

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    14 konrad marzo 2011

  • Il Friuli Venezia Giulia è una Regione con un elevato tasso di persone anziane, delle quali molte vivono sole o assieme ad un altro anziano. Una molteplicità di fattori permette l’allungamento della vita, ben oltre quella che veniva definita la “terza età”; ora, infatti, si può parla di “quarta età” e di “grandi vecchi”. Questo scenario sociale è caratterizzato dalla necessità di assicurare alle persone anziane, soprattutto se non autosufficienti, adeguate prestazioni di cura, assistenziali e relazionali che la prevalenza degli anziani desidera ricevere al proprio domicilio.Servono politiche socio-sanitarie a supporto della domiciliarità, affinché il diritto a poter vivere nella propria casa sia realizzabile consentendo la miglior qualità di vita possibile all’anziano, ma anche alla sua famiglia e a chi presta l’attività di care.Appurato l’aumento del bisogno di assistenza, considerata la fragilità nel compito di care da parte dei familiari (congiunti anziani senza tenuta psico-fisica, figli giovani, ma non conviventi…), riconosciuta la presenza dei servizi socio-sanitari territoriali che, assieme all’azione solidale del volontariato, rappresentano risorse fondamentali, ma comunque insufficienti a soddisfare le esigenze della domiciliarità, le famiglie hanno dovuto inevitabilmente ricorrere ad una nuova e preziosa risorsa, qual è l’immigrazione femminile soprattutto dai Paesi dell’Est.Dall’incontro tra la domanda di assistenza da parte dell’anziano e la domanda di lavoro da parte dell’assistente familiare straniera (comunemente chiamata badante) nasce un nuovo modello di cura, in cui il valore aggiunto è la consapevolezza della reciprocità: ognuno ha comunque bisogno dell’altro, il bene dell’uno è collegato al bene dell’altro e promuovere reciprocamente benessere e qualità di vita è una dinamica dall’impatto fondamentale.è in questo scenario che il Servizio sociale dei Comuni dell’Ambito distrettuale 3.1 “Gemonese, Canal del Ferro, Val Canale” in delega all’A.S.S. n. 3 “Alto Friuli” ha proposto il progetto “Assistenti familiari straniere e comunità locale”, grazie anche al finanziamento della legge regionale 24/2004.

    Il progetto prevede iniziative volte alla qualificazione e al sostegno dell’attività di assistenza delle badanti ed eventi, pensati in un’ottica di sviluppo di comunità, finalizzati alla promozione dell’incontro tra di esse e la comunità per una reciproca conoscenza culturale e valoriale, propedeutica al dialogo interetnico, all’integrazione e all’inclusione sociale; con auspicate ricadute in termini di benessere sia sulle donne immigrate, sia sugli anziani assistiti e anche sulle rispettive famiglie. Il progetto si è articolato in tre fasi: la prima, ha visto circa ottanta badanti impegnate in un corso formativo, al termine del quale si è costituito un “gruppo di progetto” formato da operatori, badanti e rappresentanti delle associazioni, che ha dato avvio alla seconda fase; questa, tuttora in corso, prevede la co-organizzazione con tutti gli attori coinvolti di eventi socio-culturali per promuovere la visibilità delle badanti, oltre al loro lavoro di cura, nonché far conoscere le loro storie, i valori e la cultura dei Paesi di provenienza. Si è già realizzato: in collaborazione con “La Cineteca del Friuli” la proiezione del film “Mar Nero” di Federico Bondi, che descrive

    il rapporto tra una badante e un’assistita e l’allestimento della mostra fotografica di Roberta Valerio “Onora il padre e la madre. Badanti” in collaborazione con l’associazione culturale “vicino/lontano” di Udine che l’ha ideata e prodotta nel 2008, e il Comune di Gemona del Friuli che l’ha ospitata nel mese di febbraio (la mostra è già stata esposta a Udine, Tolmezzo, Cividale, Milano e Trieste).Il reportage, che è nato dalla volontà di riconoscere e comprendere la condizione delle badanti, rappresentandone per immagini il processo di “trasferimento” e di vero e proprio “trasloco” di emozioni e affetti dal loro paese e dalla famiglia di origine verso un mondo nuovo, evoca questo complesso fenomeno attraverso l’esperienza di quattro donne dell’Est che nelle fotografie sono rappresentate in tre momenti: “la propria casa”, “il viaggio”, “la solitudine”. La terza fase del progetto, infine, partirà dalla valutazione del percorso realizzato da tutta la Rete costituitasi per attuare future iniziative (allestimento di uno spazio di aggregazione?).

    Daniela De Narda

    assistenti familiari stranieree comunità locale

    la carità a triesteLa mostra è composta da una raccolta di immagini di icone sacre riprese in vari angoli della città di Trieste abbinate ad una cassettina per la raccolta di offerte destinate ai poveri o ad opere caritatevoli. Le immagini sono composte da due fotografie: la prima rappresenta l'icona sacra e la cassettina per la raccolta delle offerte, la seconda conte-stualizza la prima. L'effigie sacra è stata stampata a colori per attrarre l'osservatore su un particolare che solitamente sfugge al passante frettoloso, distratto dai suoi pensie-ri, dalle sue occupazioni e preoccupazioni. La "contestualizzazione" invece lo aiuta ad individuare il luogo di quel "particolare" che gli è spesso rimasto sconosciuto.Scopo della mostra fotografica è documentare una carità "obsoleta" quasi non più in uso. Intende promuovere un sentimento di carità diverso dalle piccole offerte in

    denaro che, pur mantenendo la loro importanza, non riescono tuttavia a soddisfare una povertà oggi cambiata. Diversi sono i tempi rispetto al periodo in cui queste icone e queste cassettine sono state installate sui vari edifici della città. Le povertà oggi sono rappresentate dalle persone svantaggiate, dai pensionati, dagli emarginati, dagli extracomunitari, dai disoccupati, dai tossicodipendenti,… e differenti sono di conseguenza i bisogni che la Carità deve affrontare e soddisfare.

    La mostra è visiitabile fino al 5 marzo a Trieste in via dei Capitelli 3da lunedi a venerdi 8-20 - sabato 8-18

    15 konrad marzo 2011

  • trieste “musicalissima”

    Lirica - Al Teatro Verdi “I due Foscari”, una grande Opera verdiana, e un grande successo a conferma di una produzione indovinata e saggiamente equilibrata nel secondo melodramma del cartellone di questa stagione (22-29 gennaio). Felice la coproduzione dell’allestimento con “L’Associacion Bilbaina de Amigos De La Opera” di Bilbao. Il t