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1 Mensile di informazione e approfondimento - Anno XXX - n° 3 Poste Italiane S.p.A. Sped. in abb. post. D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, CNS Trento - Taxe Perçue - ISSN 1917-8799. CRISI E TECNOLOGIA: BLUFF O VIA D’USCITA? Il Trentino, i soldi investiti in ricerca, l’innovazione come risposta (credibile?) alla crisi marzo 2009 n. 3 4,00 RISTORAZIONE Come si mangia a Trento? AUTONOMIA Dolomiti: una sola Regione RIFIUTI DA RIDURRE La PAT ha fatto poco 9771971 879001 3 0 0 0 9

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CRISI E TECNOLOGIA:bLUFF O VIA D’USCITA?Il Trentino, i soldi investiti in ricerca, l’innovazione come risposta (credibile?) alla crisi

marzo 2009 ● n. 3 ● € 4,00

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3QUESTOTRENTINO

Quando vince il peggiore

E così a Trento le primarie hanno incoro-nato Alessandro Andreatta, da noi definito “il peggior candidato”, responsabile di vari scempi, e più in generale del pessimo an-dazzo della gestione urbanistica. Come si è arrivati a tale esito?

Il primo punto, da noi ripetutamente denunciato, è l’indifferenza dei partiti agli esiti dell’amministrazione. Il Pd, nello sce-gliere il proprio candidato, a tutto ha pen-sato, ma non a quella che dovrebbe essere la prima domanda: ha governato bene o male? All’interno di un partito, lo abbiamo visto più volte, non contano le capacità di governo, ma l’abilità a tessere alleanze in-terne.

Questa incapacità – o meglio, non vo-lontà – di giudicare (“cui dovremo porre senz’altro rimedio” ci ha promesso il neo segretario dei democratici Agostini) è ge-neralizzata; caratteristica non solo e non tanto del Pd, ma anche degli altri partiti. E anche dei concorrenti, per non dire delle opposizioni: nei dibattiti raramente ab-biamo sentito gli altri candidati (se non, e a tratti, l’outsider Paolo Chiariello) in-chiodare l’assessore all’Urbanistica alle sue responsabilità. E così d’altra parte i media, evidentemente troppo subalterni al livello del “dibattito” partitico.

Così in breve quella fetta di opinione pubblica che si era scandalizzata per i mo-stri urbanistici, e che aveva sostenuto con 600 firme raccolte in due giorni la candida-tura alternativa del consigliere Salvati, con il ritiro di costui “per carità di partito” si è trovata non solo senza rappresentanza, ma anche senza voce. Tutta la partitocrazia, e

a ruota anche gli opinionisti, iniziava qual-siasi discorso inneggiando alle “ottime can-didature”. Buonanotte.

In realtà le candidature erano preoccu-pantemente mediocri. Nei pubblici dibattiti risaltava l’impreparazione, la poca cono-scenza dei problemi della città, l’inesistenza di una proposta complessiva; in tale conte-sto proprio Andreatta, forte di nove anni di esperienza al governo comunale, risultava di gran lunga il più preparato. Proprio in questo confronto franava la candidatura al-ternativa di Claudio Bortolotti; l’ingegnere, pragmatico uomo del fare specifico, si ri-velava a digiuno di troppe competenze per essere credibile.

In questo contesto il discorso si spostava, come si dice, “a livello politico”, cioè partiti-co: il gioco del chi sostiene chi, del “chi vin-ce e chi perde se...”. E qui entrava in gioco il presidente Dellai, che sosteneva Bortolotti, poi ritirava la mano. Che faceva schierare a fianco dell’ingegnere, oltre ai suoi dell’Upt, anche gli uomini del “nuovo centro”, Mar-cello Carli e Lia Beltrami dell’Udc, Ugo Rossi del Patt; ma poi non spingeva fino in fondo la sfida al Partito Democratico. Il ri-sultato era che la candidatura di Bortolotti, nonostante le rimostranze dell’interessato, finiva con l’assumere, agli occhi degli elet-tori del Pd (che in città sono maggioranza) come la prova generale dei disegni dellaiani della costituzione di un nuovo centro, con conseguente emarginazione dei democrati-ci. La reazione la si è vista nelle urne.La vicenda comporta alcuni insegnamen-ti. Il primo è che Dellai dovrebbe stare più

attento. Dopo aver tremato per l’esito del-le ultime provinciali, aveva promesso un comportamento più umile. Se n’è subito scordato. Solo in questi ultimi giorni ab-biamo visto l’incredibile regalia di 400.000 euro ai focolarini (vedi a pag. 7); l’impu-dente tentativo di far subentrare come Difensore Civico, a Donata Borgonovo Re, Giorgio Paolino, uomo del suo entou-rage; la nomina di un altro suo uomo di strettissima osservanza, Paolo Duiella, alla presidenza dell’A22, dove peraltro pubbli-camente riverisce e financo prende ordini dall’ex-presidente Grisenti, tuttora indagato per truffa e turbativa di gara d’appalto. In questo contesto, l’appoggio a Bortolotti è sembrato un altro tassello di una gestione molto privata dal potere, il mettere le mani sul Comune di Trento. Ripetiamo, Dellai dovrebbe stare più attento.

Il secondo punto è il dibattito su can-didature e politica. Finché i partiti si com-porteranno come il Pd – nessun interesse verso i contenuti di governo, candidatura di apparato, siluramento esplicito (Salvati) o sotterraneo (Borgonovo Re) delle alter-native – non c’è da meravigliarsi se la gente si allontana da essi, soprattutto l’elettorato di centrosinistra, a poco a poco diventato straniero in patria, come dice Ilvo Diaman-ti. Anzi, in questo contesto, i quasi 7.000 vo-tanti alle primarie, dato di per sé non esal-tante, è stato un buon risultato. Su cui però sarebbe pericoloso adagiarsi. Soprattutto se il livello del confronto sull’amministrazione della città è quello che abbiamo registrato, con i candidati a improvvisare e il pubblico a disapprovare educatamente.

e d i t o r i a l e

ettore Paris

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4 febbraio 2009

l a f o t o G i o r g i o R o s s i

Trento, piazza Duomo, 1959: il Natale del vigile. In occasione delle feste di fine d’anno, esisteva la consue-tudine, da parte dei cittadini, di portare dei regali (panettone, bottiglie di vino...) ai vigili urbani impegnati a dirigere il traffico. Un’usanza che scomparve negli anni ‘60 perché considerata, con l’avvento di tempi più prosperi, poco dignitosa per chi riceveva i doni.

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Ristorazione, lo stato dell’ArtePiccolo viaggio alla ricerca di come si mangia e quanto si spende nei ristoranti di Trento Adelio Vecchini

3 L’editoriale Quando vince il peggiore Ettore Paris

4 La foto Giorgio Rossi

6 Trentagiorni

8 Crisi e tecnologia Bluff o via d’uscita? Ettore Paris

17 L’intervento Il ritorno all’obbedienza Piergiorgio Cattani

18 L’intervista Tossici d’amore Intervista a Lia Inama Mattia Maistri

21 Democrazia... nel bidone Rifiuti organici, Trentino sempre meno

indipendente. Colpa della scarsa democrazia. Marco Niro

22 Riduzione dei rifiuti: si può fare di più Intervista all’assessore Pacher Chiara Turrini

24 Dolomiti: una sola Regione Lo richiede una naturale logica dei fatti Luigi Casanova

28 Dal mondo Uruguay: povero ma non troppo Antonio Graziano

29 Il colore degli altri L’Italia, la Lega e la Tbc Mattia Pelli

31 Lettera dal Sudtirolo A 70 anni dalle Opzioni Alessandra Zendron

30 Lettera da Innsbruck Dagli all’insegnante! Gerhard Fritz

32 Pro Memoria Rino battisti e la memoria del movimento operaio Mattia Pelli

34 Lettere e interventi

38 Monitor

46 Piesse

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PRoPRIETà: Cooperativa a r.l. Altrotrentino, Reg Tribunale di Trento n° 5884/XVI

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REDAzIoNE: Carlo Dogheria (caporedattore) Renato Ballardini, Mauro Bondi, Alberto Brodesco, Luigi Casanova, Piergiorgio Cattani, Roberto Devigili, Michele Guarda, Nadia Ioriatti, Mattia Maistri, Marco Niro, Ettore Paris, Mattia Pelli, Lorenzo Piccoli, Fabrizio Rasera, Nicola Salvati, Stefano zanella

AMMINISTRAzIoNE: Nicola SalvatiDISTRIBUzIoNE: Trento PressIMPAGINAzIoNE: TòsIMMAGINI: Carlo NichelattiDISEGNI: Silvia MarzariFoTo: Marco ParisiPRoGETTo GRAFICo: Designfabrik

dIReTTORe ReSPOnSAbIle: Ettore Paris

Aderente a “Cronache Italiane - Forum nazionale della stampa periodica locale”

Associato a “Mediacoop - Associazione nazionale delle Cooperative Editoriali e della Comunicazione”

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QT esce il primo sabato di ogni mese. Il prossimo numero sarà in edicola sabato 4 aprile 2009

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6 marzo 2009

Una sinistra ‘di sinistra’La crisi della sinistra (e del sistema democratico in gene-rale) pare non avere fine, ed a prima vista sembrano mancare gli spazi di rinascita. Eppure qualcosa si muove. A tenere viva una fiammella ci pensa-no i comitati e le associazioni, che sono impegnati a condurre vere e proprie battaglie di civil-tà. Basti pensare all’impegno di Nimby contro la costruzione dell’inceneritore e l’anima (in)cenerina di Dellai e Andreatta. Oppure ai “Laici trentini per i diritti civili”, attivi nella difesa della laicità dalla feroce inge-renza delle gerarchie ecclesia-stiche. Oppure, ancora, ai due comitati sorti in Val di Non (“Alta Val di Non Futuro soste-nibile” e “Comitato per la salute in Val di Non”), che propongo-no un nuovo modello di svi-luppo che non anteponga l’in-

teresse economico all’interesse sociale, ambientale e sanitario. Sono solo alcuni dei numerosi esempi presenti all’interno del nostro tessuto sociale. E la sini-stra (para)istituzionale intanto cosa fa? Nicchia. Recentemente Ferruccio Demadonna di Sini-stra Democratica ha invitato con forza tutti i rivoli dispersi della sinistra a riunirsi attor-no ad alcuni capisaldi: lavoro, laicità, legalità. Ma non è suffi-ciente. Rifondazione è sull’orlo di una crisi di nervi ed i Verdi si dibattono nelle acque palu-dose della monarchia di Boato. Cosa vorranno fare da grandi questi soggetti politici? Sareb-be opportuno che gettassero uno sguardo umile alle associa-zioni e ai comitati, e da quelli recuperassero il metodo (con-durre battaglie sul territorio e per il territorio), il linguaggio (immediato, comprensibile, popolare) e il volto (trasparen-te, nuovo). E che poi ne diven-tassero il catalizzatore politico per fare breccia nelle istituzio-ni. Insomma, basterebbe che la sinistra cominciasse a fare la sinistra. Difficile? (m.m.)

Pd “incenerito”Anche sulla questione inceneri-tore il PD non perde occasione di rivelare la propria subalter-nità a Lorenzo Dellai. Non solo

in Alberto Pacher, sempre più vassallo del Presidente, ma an-che nei fautori del fantomatico “nuovo corso” del partito. Il 25 febbraio si trattava di vo-tare in Consiglio Provinciale la mozione con cui il Rodolfo Borga del PdL (sarà lui il nuo-vo referente di chi ha a cuore ambiente e salute in Trentino?) voleva impegnare la Giunta ad approfondire, in merito allo smaltimento dei rifiuti, ipote-si diverse dall’incenerimento. Roberto Bombarda dei Verdi, coraggiosamente, la votava. Bruno Firmani dell’IdV, meno coraggiosamente, si asteneva. Cosa accadeva invece nel Par-tito Democratico? Mentre Pacher, nel corso del dibattito, sproloquiava asseren-do che la raccolta differenziata serve all’incenerimento, Mattia Civico incassava il naufragio di un testo alternativo a quello di Borga, più morbido, al quale aveva lavorato per impegnare

comunque la Giunta a valuta-re “l’opportunità dell’inceneri-tore”. Per Dellai, furibondo, è stato un giochetto ottenere la sparizione di quella parolina pesantissima, opportunità, con cui è sparita anche l’intera pro-posta di Civico. Il quale infine si allineava, come tutti i suoi compagni di partito, votando contro la mozione di Borga. Sarebbe questo l’impegno per l’ambiente del PD? (t.r.)

Soldi e scuolaAumentano i finanziamenti alle scuole private trentine: 1,3 mi-lioni di euro in più, da 10,4 a 11,7. La scuola pubblica invece vedrà assumere meno insegnan-ti di quelli previsti dalla norma-tiva provinciale, decisione ne-cessaria per seguire il patto di stabilità del Governo. Come mai questa disparità di trattamento tra pubblico e pri-vato? Dagli uffici della Provin-cia fanno sapere che il finan-ziamento degli alunni, elargito pro-capite dalla Pat, non è cam-biato. Cambiano invece i numeri degli iscritti: sempre più ragazzi scelgono le scuole private. Ma non solo. Cominciano a pre-ferire le private anche i ragazzi portatori di handicap, il che smentisce le critiche che una parte del mondo politico muo-ve da sempre contro le paritarie, quella di non accettare ragazzi diversamente abili. La Provincia finanzia interamente il sostegno agli handicappati solo nell’edu-cazione pubblica, finora unica

t r e n t a g i o r n i

ferruccio demadonna

A sinistra, Alberto PacherIn alto, Mattia Civico

Rodolfo borgaRoberto bombarda

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7QUESTOTRENTINO

realtà aperta alla diversità. Ma oggi nasce l’esigenza di coprire le spese anche nel privato: aiuti per coprire i costi di insegnanti di sostegno, ammodernamento strutture, ecc. Dalla CGIL Scuo-la salgono le proteste e ci si chie-de come mai sia sempre la scuo-la pubblica a tirare la cinghia. L’assessore Marta Dalmaso, attraverso i quotidiani, ha fatto sapere che non vuole si pensi a una corsia preferenziale per le scuole paritarie. Gli attacchi ricevuti da CGIL e Laici sono stati decisi, e la questione non è ancora chiusa. Ma di fronte agli incentivi a favore dell’handicap la discussione diventa spinosa: come negare aiuti ai ragazzi di-versamente abili che scelgono le private? (c.t.)

Santi soldiIl 2009 secondo gli esperti sarà un anno di vacche magre, e an-che la Provincia di Trento ha deciso di correre ai ripari varan-do una manovra anti-crisi che aggiungerà 65 milioni di euro agli 850 già previsti nell’ultimo bilancio. Un piano valutato po-sitivamente da tutte le parti in causa, dai sindacati alle associa-zioni di categoria. Ma c’è un ma: un emendamento presentato dal presidente Dellai ha provo-cato qualche polemica e molte perplessità. Una somma di 400 mila euro dovrebbe passare dall’erario provinciale alle casse dell’Istituto Universitario So-phia, di Loppiano in provincia di Firenze. La motivazione del

lauto aiuto sta nella fondatri-ce della scuola, Chiara Lubich, cittadina trentina. L’Istituto, nel sito internet dedicato, dice di sé: “un percorso di vita, di studio e di ricerca che permette di acqui-sire e costantemente approfon-dire una cultura cristianamente ispirata, capace d’illuminare e innervare le molteplici dimensio-ni dell’umano e le diverse discipli-ne”. L’emendamento è stato ap-provato da tutti i rappresentanti di partito presenti, eccetto che da Sara Ferrari del Pd. “Non ho pregiudizi verso i focolarini – ha spiegato la Ferrari – ma la crisi fa sì che vi siano delle priorità nei finanziamenti, e poi perché, se proprio si vuole fare beneficenza, farla in provincia di Firenze con i soldi trentini?” Il Comune di Trento e la Curia, da parte loro, hanno già deciso di staccare as-segni in sostegno dell’università fondata dalla Lubich. “Penso che ci siano molti altri modi di onorare la memoria di Chiara Lubich – commenta Sara Ferrari – senza farsi carico di una spesa così onerosa che potrebbe essere utilizzata per i disagi trentini”. (c.t.)

Provincia, nomine senza meritoDue segnali negativi arrivano dalla Provincia Autonoma di Trento, in questi ultimi tempi impegnata a rivedere i suoi as-setti dirigenziali. Il primo è la nomina a dirigente del Servizio Autonomie Locali di Giovanni Gardelli, che prima

era a capo del Servizio Politiche Gestione dei Rifiuti. Si tratta di una nomina che indica una scarsa attenzione al merito dei nominati per due ragioni. La prima è che la dirigenza Gardel-li al Servizio Politiche Gestione dei Rifiuti è stata all’insegna dell’inconcludenza; Gardelli la-scia infatti il suo incarico sen-za aver centrato i due obiettivi principali: rendere il Trentino autonomo nella gestione del ri-fiuto organico (vedi articolo a pag. 21) e dotato di un impian-to di incenerimento (di questo noi di QT e molti cittadini si rallegrano, ma questa è un’altra storia). La seconda ragione, ben più grave, è che Gardelli, appena prima della “promozione”, è sta-to direttamente coinvolto, anche se solo sul piano morale, nello scandalo dei rifiuti a Marter: dalle intercettazioni sono emer-se le sue relazioni poco traspa-renti col titolare della discarica incriminata e soprattutto i suoi fastidi nei confronti dei tecnici del Comune di Trento e dell’AP-PA, troppo “talebani” – come da lui definiti – ovvero troppo ligi al dovere. Con questi meri-ti, Gardelli ora dirige il Servizio Autonomie Locali.

Il secondo segnale negativo è arrivato invece da una norma tra quelle che, in chiave anti-crisi, hanno accompagnato la Finanziaria 2009. La norma in questione permette alla Giunta Provinciale di effettuare il con-ferimento dell’incarico di diret-tore d’ufficio a personale privo di laurea e senza concorso pub-blico. Ed il compito di interro-gare il Presidente del Consiglio Provinciale sulla decisione di fare a meno di direttori laureati è toccato proprio al partito ac-

cusato di non avere abbastanza a cuore la cultura, la Lega. Si sono chiesti, i consiglieri leghi-sti, se la norma “non costituisca, in definitiva, solo una forma di premio per i dipendenti più fedeli all’apparato politico a prescin-dere da qualsiasi altro giudizio inerente le capacità professionali degli stessi”.

Come dar loro torto? (t.r.)

Il caso CogoNell’ultimo numero abbia-

mo pubblicato una documen-tazione da cui risulterebbe che Margherita Cogo, consigliera provinciale del Pd, avrebbe nel-la scorsa legislatura presentato al suo partito documenti alterati per pagare meno trattenute.

Della cosa si è occupato il Pd, che le ha richiesto spiega-zioni formali. Cogo ha risposto assicurando l’avvio di una causa civile (perchè civile?) contro chi (noi? l’ex-segretario dei Ds Bon-di che ha sollevato il tema?) la starebbe calunniando. Cogo già in passato aveva preannunciato azioni legali per le nostre rivela-zioni sulla sua gestione cliente-lare dell’assessorato alla cultura, e non era successo nulla, atten-diamo seremi anche questa vol-ta. E il Pd si accontenta di vaghi preannunci di querela?

Del problema abbiamo inve-stito anche il gruppo consiliare dei democratici, che la Cogo ha nominato proprio capogrup-po e assessore. Al di là delle chiacchiere, ci è stato in buona sostanza risposto: “la Cogo sta svolgendo un buon lavoro, non intendiamo cercare rogne”.

Se le cose stanno così, ha ra-gione Berlusconi: la questione morale riguarda solo gli avver-sari. (e.p.)

Marta dalmaso Chiara lubich

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marzo 20098

Il Trentino, i soldi investiti in ricerca, l’innovazione come risposta (credibile?) alla crisi ettore Paris

Particolare di prototipo di nuovo pannello fotovoltaico a specchi progettato dalla Optoi di Gardolo.

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QUESTOTRENTINO 9

La crisi è un’opportunità. Questo l’assunto che viene ribadito da tanti economisti, politici, industriali: la crisi porta drammi per le persone, per ceti sociali, per aree geografiche; ma è anche un’oc-casione di rinnovamento: alla fine l’economia, la società ne usci-ranno diversi. C’è persino chi tifa per la crisi: perché i drammi, con accorte politiche sociali, si possono attenuare; e al contem-

po scoppiano le contraddizioni, saltano le speculazioni, la società si sposta in avanti, in America la bolla edilizia e finanziaria è scoppiata, Obama ha ingag-giato una sfida durissima con il lobbysmo parlamentare (leggi corruzione lega-lizzata), e reimpostato in senso ambientale l’intera economia.

E in Trentino? (Tralasciamo l’Italia berlusconiana che sta qui dimostrando tutta la sua strategica arretratezza, pagheremo tutti il conto per aver affidato il governo a un televenditore).

Il Trentino, dunque, che su questo piano può giocare appieno le possibilità dell’Autonomia, ha visto la Giunta provinciale varare una serie di onerosi prov-vedimenti a sostegno sia delle imprese, soprattutto nell’accesso al credito, sia dei lavoratori, rafforzando in maniera significativa il welfare.

Di questo abbiamo già parlato nei numeri scorsi (vedi “La crisi in Trentino” nel numero di gennaio). Resta aperto l’altro aspetto: la crisi come opportunità. Con questo interrogativo: grazie a un uso tempestivo delle risorse dell’Autono-mia, stiamo solo tamponando i danni, oppure stiamo anche riuscendo a co-struire un nuovo assetto economico, all’altezza dei nuovi tempi?

Questo il tema delle prossime pagine.E’ dai tempi di Kessler, con l’Università prima e l’Irst (Istituto per la ricerca

scientifica e tecnologica) poi, che il Trentino scommette su cultura e innova-zione. Scommessa che – pur senza adagiarsi sugli allori - possiamo dire vinta sul piano della cultura: l’Università è cresciuta ed è al top in Italia, i livelli di istruzione si sono di molto innalzati, sono sorti vari centri di ricerca, si registra un significativo afflusso di cervelli (dal Premio Nobel come visiting professor al giovane ricercatore bengalese), le iniziative culturali sono molteplici e spesso di rilevanza nazionale.

Ma quanto di questo investimento in cultura – peraltro benemerito di per sé – è diventato anche innovazione, trasferendosi cioè nel sistema produttivo?

E’ dalla scorsa legislatura, con l’istituzione dello specifico assessorato alla Ri-cerca e innovazione, che si è premuto il pedale in questa direzione. Soprattutto secondo due linee: istituire un rapporto più stretto tra l’Irst (diventato Fbk, Fondazione Bruno Kessler) e il territorio, tra la ricerca e l’industria; e costituire un distretto d’avanguardia nel settore edile, capace di edificare secondo nuove modalità, che forniscano abitazioni più tecnologiche, economiche, ecologiche. “Le due linee, nel nostro disegno, devono essere sinergiche – ci dice l’ex-assessore Gianluca Salvatori, allora propugnatore di questa svolta – La ricerca tecnologica applicata non tanto a un’industria informatica che segue ben altre dinamiche, ma alla domotica, e quindi all’innovazione nell’edilizia”.

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marzo 200910

Il rapporto dell’industria trentina con la ricerca è di-versificato: “Molto diversificato – sottolinea Alberto Mo-linari, ordinario all’Università di Trento in Ingegneria dei Materiali e delegato del rettore per i rapporti con le impre-se – Ci sono le dépendence locali delle multinazionali (come Dana e Whirlpool) che proprio nella ricerca per uno svi-luppo innovativo dei prodotti, peraltro sostenuto dalla Pat, cercano – e sembra trovino - una motivazione industriale per mantenere qui produzioni altrimenti destinate altrove.

Poi c’è la costellazione delle piccole-medie imprese, diver-se delle quali, e in numero crescente, innovano sviluppando collaborazioni con l’Università e con l’Fbk. O realtà come il cementificio di Tassullo, lavorazione quanto mai tradi-zionale, che invece, puntando molto sulla ricerca, è passata da 2 a oltre 150 prodotti, molto sofisticati, così come molto avanzata è la parte della prospezione geologica, o la gestio-ne informatica dei vari aspetti della produzione”.

E infine ci sono i rami più direttamente legati a quello che vorrebbe essere il nuovo “sistema Trentino”: gli spin-off, cioè le aziende figliate dalla Fbk, e il Distretto tecno-logico-ambientale.

Spin-off: leggenda metropolitana?Gli spin-off erano uno dei miti ricorrenti evocati dal grande imbonitore Luigi Stringa, il primo megadirettore dell’Irst: “Dovremo mandarle via, tante saranno, le aziende che vorranno insediarsi in Trentino” aveva detto. Per que-sta e altre panzane Stringa alla fine si screditò, peraltro non prima di aver inoltrato l’Irst per una strada chiusa, la ricerca sull’intelligenza artificiale. Ma, finita l’era Strin-ga, se l’Irst recuperò in incisività della ricerca, rimasero tuttavia largamente insufficienti le ricadute sul territorio. Di qui il disegno di Salvatori, la trasformazione in Fon-dazione: nell’ottica “di coniugare la ricerca d’eccellenza con l’innovazione rivolta alle imprese”, ci dice Andrea Simoni, direttore del Centro Materiali e Microsistemi, recente-mente promosso a segretario generale di Fbk.

La trasformazione suscitò timori e incontrò resistenze, oggi però risolte: “Siamo soprattutto passati da una strut-tura verticale, in cui ogni squadra lavorava attorno a un proprio progetto, e il vicino era un concorrente nel dividersi le risorse, a una struttura integrata, in cui le varie compe-tenze si contaminano, ci si confronta e si lavora assieme”.

Questo perché è cambiato il mondo della ricerca, che

oggi combina competenze disparate: vedi per esempio biologia e informatica, nelle biotecnologie o nel Centro di ricerca Microsoft di Povo. Ma anche perchè Fbk vuole la-vorare sul background scientifico di applicazioni concrete, nei settori in cui il Trentino ha individuato come priorita-ri, a iniziare da energia e ambiente.

Di qui una redifinizione delle strategie scientifiche. Con investimenti sul nuovo: materiali innovativi e microtecno-logie per l’energia alternativa, in vari domini applicativi, soprattutto il fotovoltaico a concentrazione (produzione di energia) e solare termico (produzione di calore); biotecno-logie; servizi al pubblico (con applicazioni dal voto elettro-nico alle cartelle cliniche) con l’obiettivo di perseguire l’“user friendly”, rendere cioè agilmente fruibili le tecnologie alla generalità dei cittadini (ben lo sa chi scrive, che ha appena comperato uno smart phone che teoricamente concentra in sé, oltre a un telefono, anche un Pc con relativo software, una macchina da presa, un Gps con dentro tutta l’Europa, una sala da registrazione ecc, ma le cui pretese istruzioni sono condensate in venti paginette in formato mignon, “tanto, si impara smanettando” mi hanno detto).

OPTOI, lo spin-off

Sede: GardoloAnno nascita: 1995Produzione: sensori elettroniciDipendenti: 20 + 5 collaboratoriFatturato: 2 milioni (dei quali il 20% reinvestito in ricerca)

Programma di espansione (entro il 2015)Produzione: sensori wireless (domotica e bioedilizia); sonde per il monitoraggio delle acque; pannelli fotovoltaici a concentrazioneDipendenti: 100Fatturato: 10 milioni

Fondazione Bruno Kessler: la sede e uno strumento per l’analisi delle superfici dei materiali.

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QUESTOTRENTINO 11

Su questi campi d’azione, che presuppongono un in-crocio di competenze variegate (ad esempio, psicologi per l’user friendly) si lavora in sinergia con l’Università, con cui ora, dopo anni di freddezza, i rapporti sono molto po-sitivi (si parla di un laboratorio in comune).

E il territorio?“Dove abbiamo conoscenze possiamo andare incontro ad

esigenze puntuali, come è stato il caso della Cooperativa Pic-coli frutti per le sue esigenze di refrigerazione, o dell’Istituto Bancario Trentino per renderne più pienamente usufruibili i data-base – ci dice il presidente Andrea Zanotti – Soprattut-to poi ci rapportiamo con le aziende che lavorano nei settori-tipo, come energia e ambiente, biotecnologie, microsistemi”.

E qui ritorniamo agli spin-off (le aziende generate da ricercatori di Fbk) e agli start-up (quelle che qui nascono causa la presenza di Fbk). Ne abbiamo visitate due.

dalla nicchia alla produzione di massaOptoi, Optoelectronica Italia srl, nasceva nel ’95, come in-contro fra alcuni imprenditori veneti e l’Irst, in particolare il ricercatore Alfredo Maglione che, laureatosi nel ’93, da due anni lavorava all’Istituto sui sensori elettronici. Così si misero insieme le competenze dell’Istituto e di Maglione, e la conoscenza del mercato degli inve-stitori, che già importavano sensori da Germania e Usa, e che, insoddisfatti, pensavano di avviare una produzione in proprio di prodotti più perso-nalizzati. Oggi Optoi – vedi scheda – è una realtà consolidata, che punta però a un balzo in avanti.

“L’attuale crisi sta rendendo ancor più matura una svolta, su cui già stavamo lavorando – ci dice Maglione, che dell’azienda è presidente – Ne usci-rà una nuova economia, con più tecnologia, più etica, più rispetto dell’ambiente. Sopravvivranno le aziende migliori, più innovative, ma anche quelle che avranno pun-tato sui settori più sostenibili.”

Ed ecco quindi che Optoi - in continuo contatto con Fbk (“I nostri ricercatori e io stesso passiamo alcuni giorni alla settimana nei loro laboratori”) e in sinergia con il Di-stretto tecnologico-ambientale - sviluppa nuove produzio-ni: sensori wireless per la domotica e la bioedilizia; sonde per il monitoraggio della qualità delle acque; e soprattutto pannelli fotovoltaici a concentrazione, per i quali, pur se solo allo stadio dei primi prototipi, già si sono acquisite commesse da parte del gruppo Edison Power, che intende affiancare alle tradizionali centrali elettriche nuove unità alimentate da energia rinnovabile.

Certo, qui si fa il salto: non più produzioni di nicchia, personalizzazioni di prodotti standard, bensì produzione di massa, su prodotti sui quali c’è, e ancor più ci sarà, una competizione mondiale. “Ci stiamo attrezzando, con nuovi strumenti societari e nuova mentalità – risponde Maglione – Puntiamo ad avere nel 2015 un gruppo con 100 dipenden-ti e un fatturato di almeno 10 milioni di euro”.

Un centesimo di miliardesimo di millimetro Diverso il caso di TNX, che non è uno spin-off, non fuo-riesce dal centro di ricerca, ma uno start-up, una nuova impresa che nasce grazie alla contiguità con la ricerca. La casa-madre è la 2effe di Salò, e l’imprenditore di ri-ferimento (“Tutto nasce sempre dall’incontro con un im-

prenditore” sottolinea il prof. Molinari) è l’ing. Paolo Marconi. La 2effe fornisce servizi tecnolo-gicamente avanzati alle industrie meccaniche, sia analizzandone i materiali per evidenziarne difet-ti, sia eseguendo trattamenti per incrementarne la resistenza: ad esempio, fra i clienti c’è la McLa-ren, della cui Formula 1 si studia

il logoramento degli alberi motore.Con la TNX il salto: non si forniscono servizi, analisi, ma

si producono gli strumenti con cui è il cliente che analizza i suoi prodotti. E allora il cliente non è più la piccola azienda magari avanzatissima, ma la grande industria meccanica, metallurgica, aeronautica, che vuole controllare la propria produzione di massa. Di qui la produzione di diffrattometri a raggi X, che analizzano i materiali a scala subatomica (cen-to volte inferiore al miliardesimo di millimetro).

Ma spostarsi sul campo della produzione, vuol dire competere con il mondo, in particolare le divisioni rag-gi X della Philips, della Siemens, e di una multinazionale giapponese. “Ma loro fanno una produzione standardizza-ta, mentre noi possiamo produrre strumenti su misura. Ad esempio abbiamo un ordinativo da parte del Museo Egizio del Cairo, che nell’analizzare i reperti abbisogna di strumen-tazioni e metodologie poco o nulla invasivi”.

Il rapporto con Fbk (e col dipartimento di Ingegneria dei Materiali dell’Università di Trento) è venuto dalla lo-gica delle cose: “Perché storicamente studiano le tecnologie dei materiali e le nanotecnologie ed hanno le competenze per risolvere i problemi, e le strutture per aiutarci a crescere” ci dice Marconi. In effetti TNX è partecipata all’80% da 2effe, ma al 20% da Fbk, e nella prima fase d’avvio avrà le strutture all’interno del centro di ricerca.

“Il rapporto è sinergico, – interviene Salvatore Gennaro, interfaccia di Fbk rispetto alla nuova azienda – anche noi di Fbk abbiamo bisogno degli input che ci può dare TNX per

“Ne uscirà una nuova economia, con più tecnologia, più etica, più rispetto dell’ambiente”

TnX, lo start-up

Sede: Povo, dentro FbkAnno nascita: 2008Produzione: diffrattrometri a raggi XDipendenti: 8Fatturato: 1-1,5 milioni

Programma di espansione (entro il 2012, nuova sede indipendente)Produzione: diffrattrometri per l’analisi dei piani cristalliniDipendenti: 15-20 Fatturato: 5-6 milioni

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marzo 200912

sapere quali sono le richieste del mondo dell’industria”.

Così parte TNX, con una so-lida base (“Metà commesse sono già in portafoglio”), con ambiziosi obiettivi (“In un paio di anni fat-turato di 5-6 milioni e 15-20 perso-ne”) e un’unica perplessità: “Cer-to, in questo momento di crisi... speriamo che per quando siamo a regime il peggio sia passato”.

non è tutto oroSembrerebbe tutto bello. Ma non è tutto oro quel che luc-cica: ai due esempi che abbiamo riportato, positivi e ulte-riormente promettenti, se ne possono aggiungere un altro paio, e il conto finisce subito. Perchè gli spin-off sono di più, una dozzina, ma molti arrancano. Una recente ricerca interna all’Fbk ha evidenziato che la maggioranza di que-ste aziende vive di sussidi e commesse pubblici. “In Ame-rica gli spin off sono molti di più, vengono aiutati all’inizio e poi lasciati al loro destino: la maggior parte chiude, ma chi riesce a proseguire diventa un’azienda importante – ci di-cono diversi critici – A Trento invece sono pochi, vengono tutti assistiti e coccolati, e pochissimi decollano”.

“E’ vero, ma non è un problema trentino, bensì italiano, anzi europeo – ci risponde Simoni – Dei nostri 12 spin-off, 4 guadagnano e gli altri 8 sopravvivono, alcuni a stento. Ma non dipende da noi, è la politica provinciale, noi tagliamo il cordone ombelicale. Adesso abbiamo solo parzialmente cambiato approccio: entriamo direttamente con una quota di minoranza nella compagine sociale della nuova azienda, per seguire meglio la fase iniziale, ma sempre con l’intenzio-ne di ritirarci in seguito”.

“Beh, noi dopo la fase iniziale abbiamo intenzione di di-ventare autonomi e trasferirci, a Gardolo o nel Basso Sarca. Se tra alcuni anni ci vedete ancora qui, tra le mura di Fbk, vuol dire che il nostro progetto non ha funzionato” ci dice Marconi di TNX.

Aspettando gli americaniL’altro polo su cui dovrebbe svilupparsi la nuova industria trentina è il Distretto tecnologico ambientale. Nato nel 2006 per promuovere edilizia sostenibile, energie rinno-vabili e tecnologie ambientali, è collegato alla ricerca di Fbk e dell’Università ed intende diventare campo d’ap-plicazione, nella domotica per esempio, di aziende inno-vative come Optoi o Metalsistem, e soprattutto portare all’avanguardia in Italia l’industria edile trentina.

Il primo passo è stato far nascere, con sede a Rovereto, il Green Building Council Italia, ramo italiano del World GBC, associazione volontaria per far progettare, costruire e gestire gli edifici secondo rigorosi parametri di compatibili-tà ambientale, definiti attraverso la certificazione LEED.

Questi sono standard e procedure americane, e pro-prio negli Usa stanno avendo un successo semplicemen-te esplosivo: “Nell’attuale tracollo del mercato immobiliare americano, gli unici edifici a mantenere il loro valore sono quelli certificati LEED – ci dice Mario Zoccatelli, presiden-te di GBC Italia – Di qui la spinta del mercato a costruire seguendo questi parametri”.

E’ il discorso del rispetto dell’ambiente diventato neces-sità, e quindi business: “Un edificio certificato secondo gli standard LEED più rigorosi costa al massimo l’8% in più; ma già dopo 5 anni porta (negli Usa, dove in climatizza-zione si spende e spande n.d.r.) a un risparmio tra il 5 e il 10%” sostiene Zoccatelli.

Ed ecco che già l’amministrazione Bush aveva deciso che ogni nuova costruzione federale (a iniziare da quelle dell’esercito) fossero certificate LEED; già Schwarzenegger in California aveva promulgato una legge per cui nel 2015 ogni edificio doveva essere energeticamente autosufficien-te; ora, con l’ulteriore accelerazione impressa da Obama, si aprono nuovi scenari. Con riflessi anche per il Distretto trentino. Se infatti la scelta si rivela strategicamente giusta, il GBC Italia non è ancora autonomo: si deve ancora avva-lere di certificatori americani che hanno a casa loro lavoro fin sopra i capelli; non ha ancora adattato i complessi para-metri LEED alla realtà italiana (per fare solo un esempio: i boschi trentini sono certificati secondo due diversi sistemi, uno solo dei quali è accettato da LEED; una banale ripro-posizione dei criteri americani porterebbe all’inutilizzabi-lità della maggior parte del legno trentino).

A questo punto la scelta LEED viene contestata. Anche perché, in parallelo, la certificazione bolzanina di Casa Clima è pienamente operativa.

“Casa Clima ha grandi meriti storici, ma anche vistosi limiti: considera solo l’aspetto energetico, e di questo la par-te riferita al riscaldamento. LEED invece considera anche il condizionamento e l’illuminazione; e poi tutto il resto: salu-brità, acustica, ecologia della costruzione e dello smaltimen-to, acque, ecc. – risponde Zoccatelli – LEED è più comples-so, richiede più apprendimento, ma una volta utilizzato, non lo si abbandona più”.

Sta di fatto che la Provincia, sulle orme americane, ha stabilito che tutte le proprie nuove costruzioni, a iniziare dalle case ITEA, saranno certificate LEED; i fondi america-ni che costruiranno in financial project gli edifici per l’Expo di Milano, vogliono anch’essi il certificato LEED. La spinta è grande, ma il GBC Italia arranca: “Speriamo di uscire con le direttive italiane entro il 2009” afferma Zoccatelli.

Speriamo? Secondo noi non basta. Se si è scelto il LEED ora si deve farlo funzionare. A tutti i costi. Perchè signi-ficative saranno le opportunità per le imprese che prime impareranno ad utilizzare le nuove metodologie; come pure il vantaggio per i territori che saranno riusciti a sin-tonizzarsi con le nuove esigenze ambientali che avanzano in tutto il mondo.

Questa, rispetto alla crisi, può essere la via d’uscita in avanti. ●

Il diffrattometro a raggi-X progettato dalla TnX

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QUESTOTRENTINO 13

A mangiar fuori si va per diletto, per abitudine, o per entrambe le ragioni. Certo c’è chi ci va per

lavoro, per incontrarsi con altri commensali, ma questa è un’altra storia e oggi non ci interessa. Ci interessa invece parlare della sa-lute della ristorazione nella città di Trento; e se limpida in noi è la consapevolezza di quanto poco il tema si presti ad una trattazione sintetica, l’anagrafe ci battezza sufficientemente vecchi - e la su-perbia sufficientemente saggi - da pensare di poter ragionare “del tutto” anche senza tener conto di ogni sua parte. Si badi bene, è cosa questa che avviene non per pigrizia o superficialità del-lo scriba, quanto piuttosto per la

consapevolezza dell’inaccessibili-tà di una trattazione didascalica e compilativa allorché s’intenda riflettere di storia, di persone, di abitudini, di vite. Perché di tutto questo la cucina si sostanzia e di tutto questo, dunque, ci occorre ora di parlare.

Attori e abitudiniPer analizzare lo stato dell’arte della ristorazione bisogna ragio-nare innanzi tutto sugli attori, perché è chiaro: c’è chi mangia e chi fa da mangiare. Partiamo da una semplice domanda: “Chi ha la responsabilità del livello della ristorazione in una determinata località?” La risposta è apparen-temente scontata: “I ristoratori, responsabili dello standard pre-sente sulle proprie tavole”. Invece i vizi e le virtù della cucina sono solitamente da spartirsi in egual

misura. Come ci racconta uno storico ristoratore di Trento “nel livello e nella tipologia dei risto-ranti di un dato luogo, parlando di meriti e di responsabilità, questi sono sempre divisi precisamente, 50% ai gestori, 50% agli avvento-ri.” Sembra provocatorio - esco a pranzo, mangio male, ed è anche colpa mia!? - ma è chiaro che il ragionamento fila via liscio. I ri-storanti offrono in base alla do-manda che c’è, e quindi in base alle richieste della gente. Come in un mercato come un altro, dove tutto o quasi si dipana lungo le direttive della domanda e dell’of-ferta. Sembra di riascoltare Adam Smith parlare della qualità della carne in macelleria, quando affer-mava dovesse questa dipendere: “non dal buon cuore del macellaio, ma dal suo portafoglio”.

Ristorazione, lo stato dell’Arte Piccolo viaggio alla ricerca di come si mangia e quanto si spende nei ristoranti di Trento Adelio Vecchini

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14 marzo 2009

Qualità: c’è, non c’è. da chi dipende

Ma c’è modo e modo di seguire il merca-to. Possiamo farlo rimanendo lavoratori seri, oppure cercando in esso alibi per la nostra cattiva condotta. “Da quando mii sono spostato in città chiudo la domenica a pranzo, perché non viene nessuno; - ci racconta un patron con molta esperien-za - in città non c’è l’abitudine di portare la famiglia fuori a pranzo nel giorno di festa. Se fossi invece ancora fuori terrei aperto, perché la cultura del ‘giretto do-menicale’ c’è, ed uscire da Trento giusti-ficherebbe per molti anche il pranzare fuori.”

Come biasimarlo? Chiarito però che la disponibilità del mercato dipende an-che da quello che chi si affaccia al mer-cato richiede, quest’affermazione sulla scampagnata fuori porta ci permette di iniziare a valutare le abitudini di chi a Trento mangia e fa da mangiare. Il fatto è che in città, nell’idea stessa di frequen-tare un ristorante, esiste uno squilibrio tra l’atto di uscire e l’attenzione alla qua-lità del cibo.

Questo perché un’importante fetta di clientela esaurisce le sue voglie nel solo gesto di sedersi al tavolo, da lì in poi ac-cade tutto per grazia ricevuta. In soldoni: per molti nostri concittadini il piacere di mangiare fuori ha più a che fare con la parola fuori che con la parola mangiare. L’intento vagamente mondano, quindi, è a Trento spesso privilegiato rispetto all’attenzione al cibo. Basta mangiare (e spesso basta mangiare tanto) per essere contenti e valutare bene una cucina.

Ma è a questo punto che l’alibi di cui

prima s’è detto non do-vrebbe essere speso. Per-ché un ristorante, se non proprio una funzione pedagogica sul gusto e i cibi, dovrebbe quanto-meno avere rispetto per le ricette, le tradizioni e la cultura dell’universo gastronomico nel quale opera. Perché cucinare male polenta e spezzatino, o maltrattare i canederli?

Non sono piatti costosi e neppure difficili da preparare. E allora per quale ragione “tirare via” sulla preparazione, utilizzare un taglio di carne troppo gras-so, oppure stopposo, o peggio adoprare l’irricevibile polenta in busta? Non cer-to per calcolo economico visto che con questi mezzucci un ristorante non au-menta di molto i suo margini e neppure risparmia molto tempo. E’ allora spesso una questione di sciatteria, di scarso interesse. “Perché tanto a molti clienti non importa nulla” - risponderebbe un cinico gestore. “Ma anche perché del tuo lavoro non importa nulla nemmeno a te”, replicherebbe irritato lo scriba. Vere en-trambe le risposte, comunque. 50 e 50, come si diceva prima.

Ma rispondere è un conto e avere ra-gione è un’altra faccenda. E siccome in questo caso la scusa non vale da giusti-ficazione, ci sembra meglio che tutti, in cucina e al tavolo, si diano una regolata ed inizino a fare più attenzione. Anche perché, a sparigliare le carte tra le nostre piccole mura, oltre agli oriundi distratti arrivano anche turisti, villeggianti, ap-passionati. Persone e famiglie che han-

no abitudini diverse e diverse ambizioni. La sensazione è che a queste categorie di avventori non si possa ancora a lungo rispondere di andare a mangiare nel man-tovano, o in Alto Adi-ge, perché, “ci scusi,

ma da noi la cultura è diversa”. Non si può rispondere così anche se la realtà è questa, e anche se laggiù (o lassù) la domenica il papà porta tutta la famiglia al ristorante, dove non può capitare di mangiare peggio che a casa. Perché se a Guastalla il brasato è ovunque inappun-tabile e a Brunico i canederli al formag-gio sono preparati con tutti i crismi, a Trento si deve poter mangiare polenta e coniglio bene ovunque la si proponga, come se ai fornelli ci fosse una nonna.

Prezzi e livelliCome detto, per molti versi sembra proprio che la maglia nera in città toc-chi alla cucina di tradizione e, di conse-guenza, ad alcuni locali storici che della tradizione si fanno baluardo.

Forst e Pedavena sono veri e propri monumenti della tipicità. Immutabile il primo e con alle spalle una recente robusta svecchiata il secondo, entram-bi si propongono d’intercettare tanto la clientela residente, quanto quella turisti-ca. I menù hanno una notevole - e, ci sia concesso, sospetta - ampiezza: antipa-sti, primi, secondi, piatti unici, pizze… Spesso la varietà della proposta, abbina-ta ai numerosi coperti disponibili, fini-

Cucina troppo pesante? Pazienza, l’importante è che si spenda poco...

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15QUESTOTRENTINO

sce per avere effetti negativi sulla cura e la qualità delle preparazioni. Così, non di rado, ricercando sapori robusti senza i giusti strumenti, gli ingredienti vengono troppo conditi, risultando unti e pesanti. Un vero peccato, perché pro-prio questi locali storici che dovrebbero custodire, tramandare e restituire la tra-dizione, si limitano invece ad una sorta d’imbellettato servizio mensa. Fatto sta che anche se dal tavolo ci si alza provati, il solo fatto di poter contenere la spesa in 25 euro è ancora, per molti, argo-mento decisivo.

Si sale di prezzo, e anche di qualità, al Volt e al Tino. Note-volmente più piccoli dei primi due, l’offerta ruota attorno alla disponibilità stagionale delle materie prime. Polenta e spez-zatino sono fatti abbastanza bene, ma anche qui è bene non avere impegni pomeridiani se ci si va a pranzo, e dotarsi di Alka Seltzer se vi accade invece di varcarne le soglie al tramonto. Meglio di loro fa l’Orso Grigio dove, con una trentina abbon-dante di euro, ti puoi procurare alcuni piatti tradizionali ben preparati e leggeri, in un am-biente dall’acustica ottimale, anche a locale stracolmo. Sempre ra-gionando di tradizione, le cose miglio-rano quando si esce dal centro storico. E’ chiaro, manca la rendita di posizione (e per di più non ci sono i buoni pasto a garantire l’incasso) e servono quindi ra-gioni diverse affinché il cliente ti venga

a cercare. Il Libertino a Piedicastello e il rifugio ai Bindesi, ad esempio, pur non inventando niente, curano le portate in modo adeguato. Il baccalà per il primo, e il galletto per il secondo, sono piatti che valgono la mini trasferta. Per entrambi servono almeno 35 euro.

Torniamo ora in centro. Deboli per quanto riguarda la tradizione, le bel-

le vie della zona pedonale nascondono interessanti proposte per chi si muove alla ricerca di tavole curate e blanda-mente creative - il che, ahimé, significa anche mettere in conto una quarantina di euro. Al Cappello, al Vecchio Pozzo, allo Scrigno del Duomo (di sopra), al

Chiesa (nell’apposita sala), si possono avere delle belle sorprese. Gli ambienti sono curati e caldi, quasi sempre a caval-lo tra il rustico restaurato e il minimali-smo moderno. Le carte hanno proposte limitate e sono quasi sempre garanzia di decoro. La clientela è ricercata, tendente allo snob: coppie benestanti, giovani (sui 35) della Trento bene e qualche politico

incravattato. Poche le famiglie e i giovanissimi. In questi lidi raramente sbagliano un piatto, semmai alle volte non vanno oltre il buonino, ma la caduta non è all’ordine del giorno. Il nostro consiglio, comunque, è quello di sedersi a queste tavole solo se si è intenzionati a star lontani dai piatti della tradizio-ne.

Sono fatti bene anche questi, si badi bene, e se rivisitati il lif-ting è fatto a modo, sono però spesso scarsi in quantità. E se per poca dimestichezza ci può accadere di ritenere accettabile che le code di gambero con le zucchine siano tre o quattro, quando la polenta è una palli-na da ping pong e le costolette d’agnello sono due, col pensie-ro si ritorna a rimpiangere la nonna.

Un passo avanti ancora e siamo nel gotha della ristorazione; trentina natu-ralmente, perché fosse da comparare i nostri top con i capibastone dell’Alto Adige, questi ci metterebbero a letto con un buffetto sulla testa. Alle Due Spade, allo Scrigno del Duomo (di sotto) e al

Fotografie di Marco Parisi

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16 marzo 2009

Chiesa (in sala gourmet), sanno cucina-re bene. Può capitare che non emozioni-no - e a questi livelli, anche di spesa, è già abbastanza fastidioso - però la cura per i dettagli c’è. La tradizione, specialmente allo Scrigno, è trattata con i guanti bian-chi. Imbellettata, certo, liberata dai gras-si in eccesso e ammodernata nella co-struzione del piatto, però rispettata per quella che è la sua natura e la sua storia. Parlando della clientela, il dato curioso non è tanto quello qualitativo, quanto quello numerico: sono locali molto poco frequentati. Certo, i coperti sono già di suo tirati all’osso, ma ad esclusione del weekend dove se non prenoti non en-tri, durante la settimana non di rado vi capiterà di essere i soli commensali. La spesa elevata tuttavia - se fai il brillante con la carta dei vini balzi sugli 80 euro senza difficoltà - non basta a giustifica-re la sopravvivenza di queste cucine. E infatti da sole non sopravvivono, vengo-no tenute in vita. Il Chiesa, che per non dipendere dalla sola sala gourmet ha differenziato l’offerta proponendo anche un wine bar e un ristorante meno im-pegnativo, vive soprattutto per le spalle

quadrate del suo sfruttatis-simo servizio catering, tra i più richiesti in provincia per matrimoni, cresime, ricevimenti e conferenze. Lo Scrigno del Duomo, anche lui diviso tra sopra, sotto e bancone, è di pro-prietà della Cavit, coope-rativa vitivinicola che da sola rappresenta il 65% della produzione trentina. Diverso il discorso per le Due Spade che, aperto nel 1545 (no, non è un errore di stampa) vive, oltre che per la qualità dell’offerta,

per la presenza di una clientela affezio-nata, per l’attenta gestione famigliare e grazie alla proprietà delle mura (per quella tipologia di locale gli affitti in zona superano tranquillamente i 5.000 euro al mese). Emblematica in questo senso è la vicenda del ristorante Fior di Roccia, aperto diversi anni fa dal talen-tuoso chef trentino Walter Miori e dalla consorte Franca. Per molti anni abbarbi-cato in quel di Lon di Vezzano, il locale, stellato Michelin e pari categoria dei no-stri top cittadini, ha chiuso le serrande per riaprire bottega battendo bandiera Locanda Margon. Locale, questo, al ri-paro economico della famiglia Lunelli, proprietaria del marchio Ferrari e della locanda in questione. Certo, meno oneri e meno onori, ma anche un poco meno di poesia.

Conclusione: pregi, difetti, speranzeCome si mangia dunque a Trento, e quanto si spende? Ci pare di poter dire che in città la situazione è squilibrata ma non drammatica. Si mangia abba-stanza bene nei ristoranti di fascia media

e alta, mentre si arranca vistosamente negli epigoni delle vecchie trattorie. “E’ chiaro - obbietterà lo stolto - mangi bene dove spendi tanto e tantissimo, meno bene dove spendi poco!” Scempiaggine, questa, di chi evidentemente non fa la spesa e non s’industria con mestoli e tegami. Un girello di maiale per arrosti costa circa 10 euro al chilo: mangiano in quattro buoni a 2 euro e 50 a testa. Si rincari pure del 200% e con 7 euro e mezzo potresti offrire un arrosto di ma-iale all’olio d’oliva di decorosissima qua-lità. Il punto, torno a dirlo, è culturale. Ai trentini, sarà per le origini austere, per le abitudini contadine, per la leggera chiusura culturale che fu, mangiare al ristorante interessa poco. Non sono alle-nati e, quindi, quando accade di varcare le soglie di un locale, l’attenzione è trop-po tesa all’“esperienza nuova” e troppo poco al contenuto del piatto. Discorso, questo, che sarebbe fin troppo facile far scivolare sul versante economico. Bac-chettando chi non ha ancora capito che viene turlupinato di più dalla sedicente osteria tipica che ti riempie con 20 euro, piuttosto che dall’oste che per giusti 40 ti tratta da galantuomo.

Chiudo facendo la morale e sperando serva. Che le nonne cucinino bene sem-bra quasi un dato genetico, ontologico forse. Ma come andranno le cose do-mani? Quando le mie figlie e i miei figli saranno canuti vecchietti con i nipotini in grembo, come cucineranno? Lo dico senza timore d’apparire retrogrado o ma-schilista: con ometti che ancora entrano nel pallone se gli si chiede di salare l’ac-qua, e ragazze che per rivendicare sacro-sante liberà vivono ancora il rifiuto della cucina “perché io dietro ai fornelli non ci sto”, andrà a finire che tutti perderemo tanto. ●

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17QUESTOTRENTINO

Il ritorno all’obbedienza

Cattolico? Lo sa solo Dio…”. Con que-sta battuta al veleno Paola Binetti si riferiva al collega di partito e di con-

fessione religiosa Ignazio Marino. Queste divisioni interne di un esausto PD non inte-resserebbero più nessuno se in piccolo non fossero uno specchio fedele di un mondo cattolico spaccato in profondità nonostan-te all’apparenza sembri il contrario.

Benedetto XVI era stato eletto in quan-to difensore integerrimo della dottrina in un momento di crisi di identità. Questa difesa si è manifestata con un ritorno in-dietro in tutti gli ambiti, da quello liturgico con la Messa in latino a quello ecumenico con i dubbi sul dialogo interreligioso, ma soprattutto con un rapporto ambiguo con il Concilio Vaticano II.

Negli anni scorsi le divisioni si artico-lavano sull’ermeneutica del Concilio, cioè se esso sia stato di continuità o di rottura. Oggi si discute sul Vaticano II stesso. Si ri-parla di tradizionalisti contro conciliaristi, stanno ritrovando cittadinanza posizioni che mettono in discussione l’intera dot-trina cattolica degli ultimi quarant’anni. Ma il problema si riversa direttamente sulla politica, cioè sulle scelte che riguar-dano tutti, a prescindere dall’orientamento valoriale. In Italia ce ne accorgiamo ogni giorno di più. La libertà di coscienza e l’au-tonomia dei laici nella sfera pubblica (la Chiesa indica i principi ma spetta ai po-litici concretizzarli) rappresentano l’unico atteggiamento possibile in un contesto di società pluralista, dove la morale non è definita dallo Stato e difesa dalla legge. In caso contrario i cattolici diventano la vuo-ta cinghia di trasmissione tra le posizioni decise in Vaticano e uno Stato sempre più confessionale.

Questo purtroppo sta avvenendo. Nei

giorni più convulsi della vicenda Englaro la Curia romana, ormai priva di misura, si distingueva per un profluvio di dichiara-zioni bellicose, arrivando a dare dell’“as-sassino” al padre e invocando l’aiuto del “coraggioso” Berlusconi. Se non ci fosse stato Napolitano, il Tevere si sarebbe pro-sciugato e la Repubblica avrebbe perso il suo carattere laico. È incredibile però no-tare come il disegno di legge Calabrò sul testamento biologico ora in discussione ri-calchi nel suo punto più controverso (art. 5, comma 6, sul divieto di sospensione di idratazione e nutrizione artificiali) una dichiarazione della Congegrazione per la dottrina della Fede dell’agosto 2007.

Finora questa preoccupante deriva si era sentita con forza solo in Italia, ma dopo il caso dei lefebvriani se ne è accorto mez-zo mondo, dalla Germania a Israele. Il vescovo Williamson, uno dei quattro ve-scovi tradizionalisti, ha dichiarato di non credere allo sterminio degli ebrei e di non averne visto ancora le prove. La sollevazio-ne contro questa tesi negazionista è stata unanime e ha coinvolto ampi settori del mondo cattolico germanico e non solo. Nessuno ha capito la fretta con cui il Papa abbia tolto la scomunica (che comunque non implica una riammissione completa alla comunione ecclesiale) senza avere in cambio nulla di nulla, smentendo così cla-

morosamente il “venerato predecessore” Wojtyla. I seguaci di Lefebvre continuano imperterriti nel loro attacco al Concilio e sono stati legittimati a continuare, nono-stante le tardive richieste di spiegazioni e di abiure. Il “gesto di misericordia” papale sembra essere stato affrettato e soprattutto controproducente. Ma ormai è troppo tar-di, la sostanza resta. Si cercano spiegazioni per queste scelte pa-pali. Ecco ritornare in scena uno sferzante Hans Küng che paragona il Vaticano al Cremlino, e dipinge Papa Ratzinger come un uomo che ha perduto il contatto con la realtà, che sta trasformando la Chiesa cattolica in una setta, e da cui i fedeli non si aspettano più nulla. Parole non nuove da parte del teologo dissidente, ma che sono state criticate con inusitata violenza da esponenti ecclesiali. Il cardinale di To-rino ha attaccato frontalmente La Stampa (su cui era stata pubblicata l’intervista a Küng), rea di aver rovinato il clima di col-laborazione istituzionale per la visita del Papa in città nel 2010 in occasione della nuova ostentazione della Sindone.

Forse Benedetto XVI cerca di ripristi-nare il principio di autorità, la cui messa in discussione, dal 68 in poi, rappresenta la radice di tutti i mali. L’uomo moderno deve tornare a obbedire alla Chiesa. Per questo vanno bene i lefebvriani: hanno tanti difetti, ma sono orientati nel senso

giusto, credono prima di tutto nell’autorità. Per que-sto non va bene Peppino Englaro: non è ammissibi-le che siano delle semplici persone a decidere autono-mamente sui confini della vita e della morte, neanche fosse la propria. ●

l ’ i n t e r v e n t o

Pier Giorgio Cattani

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18 marzo 2009

Tossicid’amoreRelazioni capestro, piccole e grandi frustrazioni, disagi emotivi. E tutto per amore. Intervista a Lia Inama, fondatrice del primo gruppo trentino di auto-mutuo-aiuto dedicato alle dipendenze affettive.

Mattia Maistri

l ’ i n t e r v i s t a

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QUESTOTRENTINO 19

Per stoici ed epicurei le passioni sono pericolose e vanno imbrigliate, o perfino evitate. Per Jean Paul Sartre le relazioni amorose sono addirit-tura l’inferno, poiché in esse ciascu-no, pur aspirando alla libertà di sé

e dell’altro, pretende di avere il controllo sul partner, e ne subisce paradossalmente la stessa sorte. Le forti passioni e l’amore, dunque, possono rivelarsi occa-sione per annullare o annullarsi, perfino con epiloghi drammatici, come ci ricordano alcuni recenti fatti di cronaca. Quando l’amore può essere eccessivo e di-struttivo? Ne abbiamo parlato con Lia Inama, autrice del libro “Liberarsi dal troppo amore” (Edizioni Erick-son) e fondatrice del primo gruppo trentino di auto-mutuo-aiuto dedicato alle dipendenze affettive.

Che cos’è il “troppo amore”?Diciamo prima cosa non è. Amare troppo non signi-

fica amare tanto, anzi. Amare troppo significa piuttosto soffocare l’altro, vivere con lui o con lei un rapporto uni-laterale e squilibrato; un rapporto in cui non c’è simme-tria tra chi dà e chi riceve e nel quale chi sente di dare tutta la sua vita alla relazione pretende che anche l’altro faccia lo stesso. Con il rischio che, se ciò non accade, si scatenino reazioni opposte: dal controllo assoluto, quasi ossessivo, sul partner, alla supina sottomissione remissi-va. In entrambi i casi, comunque, l’eccesso d’amore ge-nera dipendenza.

Ma com’è possibile amare troppo?Se una persona non diventa consapevole che vale per

sé e che può anche bastare a se stesso, non riesce a vivere la giusta distanza con l’altro e finisce per identificarsi con lui. L’amante eccessivo perde la sua identità e vive in funzione dell’altro. A quest’ultimo la cosa può anche risultare piacevole, ma a lungo andare c’è il forte rischio che egli stesso sia manipolato e perfino ricattato.

Cosa intende?Prova a pensare in quante relazioni uno dei due ha

sbottato: “Non mi ami abbastanza! Con tutto quello

che ho fatto per te…”. È un modo per rinfacciare la restituzione di un eccesso d’amore che l’altro non può dare. Non riuscire a bastare a se stessi ostacola la se-renità di un rapporto, perché scatena un’asimmetria insopportabile. Ti riporto un caso: ho conosciuto una ragazza di ventisette anni, bella, colta, che viveva però in funzione del suo amore impossibile, un signore di settant’anni. Quella ragazza trascorreva la giornata solo in vista del tardo pomeriggio quando lui passava a trovarla, e la sua autonomia di vita ne era terribil-mente compromessa.

Una persona affettivamente dipendente come si comporta poi nelle altre relazioni, ad esempio al la-voro o tra gli amici?

Esiste un fenomeno interessante chiamato aggressi-vità dislocata. Si manifesta spesso in coppie in cui lui non perde occasione di denigrare la compagna con espressioni del tipo “tu non vali niente”, “non sai ge-stire la casa” e via dicendo. Quello stesso uomo, che nel rapporto di coppia svolge il ruolo di oppressore, è magari oppresso sul luogo di lavoro e non trova di meglio che scaricare la sua debolezza e la sua insicu-rezza sulla partner. La quale, pur patendo la situa-zione, non può farne a meno. Si genera così una sorta di circolo vizioso, in cui i ruoli di vittima e carnefice si alternano, poiché ognuno ha bisogno dell’altro. È evidente che una relazione simile può anche diventa-re distruttiva.

Si può arrivare, quindi, ad un rapporto patologi-co tale da scatenare una reazione incontrollata, per-fino violenta?

Può accadere, ma per fortuna non riguarda la mag-gior parte dei casi. Ci sono molti gradi della dipendenza affettiva. Quelli più seri sono ovviamente di competenza dei medici. Io, con il mio gruppo di auto-mutuo-aiuto, incontro situazioni più gestibili, nelle quali la persona può progressivamente rendersi conto della sua dipen-denza e agire per uscirne. Certo, l’attuale società “liqui-da”, per dirla con Bauman, non aiuta, anzi.

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marzo 200920

Per quale ragione?In un contesto sociale in cui la stabilità ha lasciato il posto

ovunque alla flessibilità, è molto più difficile costruire relazioni stabili. Si ama a termine e questa precarietà di fondo genera un paradosso: da un lato ci si sente più liberi, ma dall’altro si soffre per la mancanza di un legame forte e sicuro. Ti faccio un esempio: una ragazza che viveva male una relazione amorosa a distanza continuava a dirmi: “A me va proprio bene vedermi con lui una volta al mese, perché così mi sento libera. Tuttavia vorrei avere una relazione più forte, che lui fosse più presente”. Una situazione contraddittoria che inevitabilmente provocava in lei grande fru-strazione e disagio.

In questi anni si parla sempre più dello “stalking”, azioni messe in pratica da un partner per tenere sotto controllo l’al-tro, o addirittura per tormentarlo ossessivamente.

Anche in questo caso bisogna distinguere tra casi patologici più pericolosi e criminali ed altri non patologici. Nel tempo però ho notato una singolare differenza di genere tra le modalità di azio-ne. Mentre i maschi tendono ad assumere comportamenti “clas-sici”, come ad esempio il pedinamento della fidanzata o dell’ex fidanzata, le donne preferiscono affidarsi alle nuove tecnologie, come gli sms. Ho saputo di donne che arrivavano a spedire ogni giorno al compagno anche più di trenta messaggini per tenerlo sotto controllo.

Come si può intervenire per uscire dalle dipendenze affet-tive?

L’esempio del gruppo di auto-mutuo-aiuto è significativo. In tale contesto ognuno incontra altre persone che soffrono di un di-sagio simile e ne parla. Raccontare le proprie storie e condividerle con altri consente di fare chiarezza dentro di sé e di cominciare a conoscersi. Vedi, spesso alla base delle dipendenze affettive c’è una doppia incapacità: la mancata conoscenza di sé e la difficoltà co-municativa. Non si riesce a vivere una relazione serena perché non ci si conosce dentro e, di conseguenza, non si riesce a comunicare chi si è all’altro. Per questo motivo narrare di sé in gruppo aiuta a superare la dipendenza, perché aiuta prima di tutto a conoscersi e a comunicare.

Molte volte, però, le persone con problemi affettivi cercano rifugio nelle diverse “poste del cuore” delle riviste, con il ri-schio di scadere in un basso psicologismo da rotocalco che si parla addosso. Un insieme di “alberonate” insomma…

Il rischio c’è, specialmente quando chi - è il caso ad esempio di Raffaele Morelli - rispondendo a queste lettere pretende di avere la soluzione dello specifico caso e ordina al lettore una serie di comportamenti da tenere. Questo atteggiamento, personalmente, lo assumo solo nei confronti di persone che ricevo nel mio studio e con le quali posso costruire un percorso ad hoc. Quando scrivo sui rotocalchi, invece, cerco di dare degli spunti di riflessione, a par-tire da storie vere, in modo che ciascuno rifletta su quel tema. Gli interventi specifici, insomma, non si fanno sulle riviste.

Quanto incide sui nostri ragazzi l’isteria individuale e col-lettiva manifestata davanti alle telecamere dai protagonisti dei reality show?

Purtroppo anche i giovani non sono educati alla gestione delle emozioni e, abbandonati a se stessi, si lasciano andare, non tro-vando di meglio che imitare gli esempi che trovano. Se in famiglia, nel cerchio di conoscenze ristretto e poi in quello più allargato, fino alla televisione, non incontrano esempi di relazioni equilibrate, che possono fare se non imitare la debolezza emotiva dei loro mo-delli? Paradossalmente cercano equilibrio nello squilibrio. ●

L’ENNEAGRAMMA e gli enneatipi secondo

Claudio Naranjo

Seminario teorico-pratico tenuto dal prof. Lluis Serra, rettore della

scuola universitaria “R. Lullo” di Barcellona

Un viaggio all’interno del nostro vero Io. Un cammino fondamentale che ci aiuterà a scoprire i contorni

del nostro carattere, invitandoci a intraprendere un percorso psicologico che insegnerà a ognuno di noi come utilizzare gli strumenti utili al Lavoro su di sé.

Obiettivi Imparare a conoscere se stessi sotto il profi lo

psicologico. Individuare il percorso lungo cui incamminarsi. Riuscire ad assecondare il

desiderio di cambiamento. Riconoscere il tratto caratteristico nostro e degli altri per consentirci di vivere più consapevolmente e in comunione.

Venerdì 3 aprile ore 21-23 Sabato 4 aprile ore 10-18

Domenica 5 aprile ore 10-13Presso: La Teca - Trento, via S.Pio X , 93

per informazioni e iscrizioni:tel. 349/8716572

e.mail: [email protected]: www.gurdjieff.es

Prof. Lluis Serra - possiede una formazione multidisciplinare: maestro, lauree in teologia, in fi losofi a

e in psicologia. Autore di una tesi d’avanguardia in ambito universitario: “L’Enneagramma delle passioni.

Ripercussioni delle passioni dominanti secondo l’Enneagramma nell’ambito delle relazioni”. Ha lavorato

in Spagna e in Italia. Ha tenuto corsi e conferenze in diversi paesi europei e americani. Giornalista e autore di diversi libri, si è dedicato al mondo della

formazione personale, della direzione, dell’assistenza sociale, della comunicazione e dell’educazione.

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QUESTOTRENTINO 21

Democrazia... nel bidoneIl Trentino sembra incapace di raggiungere l’autosufficienza nel trattamento del rifiuto organico. Il problema è la scarsa democrazia nelle pubbliche decisioni. Marco niro

I recenti sviluppi relativi alla gestione della frazione umida del rifiuto tren-tino portano allo scoperto non sol-

tanto un serio problema ambientale, ma anche, soprattutto, un problema di de-mocrazia, che in Trentino esiste, ma non è mai stato adeguatamente affrontato.

“L’ascolto dei gruppi della società civile è confinato alle istanze (di portata mo-desta) previste dalle procedure formali, mentre il confronto informale e dialogico è sistematicamente bandito […]. Si tratta di un deficit […] che spesso tende ad esa-cerbare i conflitti”. Sono parole riferite alla nostra provincia, tratte dal “Primo Rapporto sulla Qualità della Democrazia in Trentino”, steso nel maggio 2008 da un team di politologi su commissione nien-te meno che della Provincia di Trento. La vicenda relativa alla gestione del ri-fiuto organico conferma tale diagnosi in tutto e per tutto. Vediamo perché riper-correndone gli sviluppi dall’inizio.

Propositi buoni, realizzazione disastrosaE’ il 7 aprile 2005 quando entra in fun-zione l’impianto di biocompostaggio di Campiello di Levico, destinato a trattare oltre 20.000 tonnellate l’anno di rifiu-to organico. L’impianto è il principale strumento per raggiungere l’obiettivo di autosufficienza nel trattamento dell’or-ganico, che un anno dopo, nel 2006, la Provincia inserisce nel Terzo Aggiorna-mento del Piano Provinciale di Smalti-mento dei Rifiuti.

Già, perché fino all’aprile 2005 le cir-ca 30.000 tonnellate l’anno di organico differenziato dai trentini finivano quasi tutte in impianti veneti (funzionava e funziona tuttora un impianto a Rovereto, ma di capacità limitata a 5.000 tonnellate l’anno). Portare l’umido fuori provincia è però svantaggioso: comporta un ag-gravio di costi e soprattutto il rischio che

una chiusura degli impianti extrapro-vinciali mandi in crisi l’intero sistema di gestione della frazione organica trenti-na. Di qui la decisione, senz’altro oppor-tuna, di diventare autosufficienti. Tanto più che proprio il Terzo Aggiornamento del piano rifiuti ha mirato contempora-neamente ad aumentare i quantitativi di organico da trattare, incentivandone la differenziazione.

Peccato, però, che ad un buon propo-sito sia seguito un piano di realizzazione pressoché disastroso. L’impianto di Cam-piello, progettato dall’Istituto Agrario di San Michele, a pochi mesi dalla apertura rivelava subito la propria inadeguatezza: le emissioni maleodoranti portavano rapida-mente a una sollevazione popolare, cessa-ta solo il mese scorso, quando la Provincia ha annunciato di aver acquistato l’impian-to - al fine di dismetterlo entro quest’esta-te - per 9 milioni di euro (che si aggiun-gono a quelli già sborsati per finanziarne in parte la costruzione). Un mare di soldi pubblici sperperati per ritrovarsi in una situazione peggiore di quella di partenza, visto che oggi le tonnellate di organico dif-ferenziato sono aumentate a 40.000 l’anno (e possono crescere ancora).

Il solo modo di ricavare qualcosa di positivo dalla vicenda di Campiello era trarne il giusto insegnamento: impianti del genere vanno progettati con maggior cura rispetto ai loro impatti ambientali e soprattutto col massimo coinvolgimento della popolazione residente. Ma quanto accaduto dal 2005 ad oggi dimostra che questo insegnamento non è stato recepito.

In un clima di diffidenza per quanto accaduto a Campiello, che avrebbe do-vuto suggerire assoluta cautela agli am-ministratori, c’è stato modo di assistere ad altre due sollevazioni popolari contro altrettanti progetti d’impianti per il bio-compostaggio, prima a Mezzocorona ed oggi a Lasino.

Nel primo caso, è stato il Comune a schierarsi contro la Provincia, che aveva individuato in un’ex distilleria di Mez-zocorona il luogo per la costruzione dell’impianto. Ma il sito era troppo vi-cino alle abitazioni, e contro la decisio-ne l’amministrazione comunale ha fatto ricorso al Tar. Risultato: niente impianto e un nuovo nulla di fatto.

Nel secondo caso, invece, sono i cit-tadini - costituitisi in due comitati, uno a Lasino e uno nella vicina Calavino - ad essersi schierati, negli ultimi mesi, con-tro la stessa amministrazione comunale, rea di non aver coinvolto la popolazione nella decisione di costruire l’impianto in una località anch’essa troppo vicina alle abitazioni. “Non siamo contro il biodige-store - ci dice Jacopo Zannini, uno dei portavoce del Comitato di Lasino - ma contro le modalità con cui si è arrivati alla decisione da parte del sindaco: prima dicendo sì all’impianto in conferenza dei sindaci, e solo poi facendo approvare la decisione dal Consiglio Comunale, senza alcun coinvolgimento delle popolazioni di Lasino e dei comuni della valle”.

Non ci sono solo casi come questi, per fortuna. Il Comune di Faedo ha appro-vato nelle scorse settimane la costruzio-ne di un impianto di biocompostaggio da 17.000 tonnellate sul suo territorio, senza incappare in alcuna sommossa, poiché la decisione è stata presa coin-volgendo la popolazione residente e identificando una località adeguata, lontano dalle case. Ma questa decisio-ne, se servirà a dare (parziale) soluzione al problema della gestione autosufficiente della frazione organica, certo non basterà a risolvere l’altro problema emerso dalla vicenda, quello della scarsa qualità della democrazia trentina. Per questo servireb-be ben altro. ●

[email protected]

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22 marzo 2009

Rifiuti da ridurre: si può fare di piùL’assessore all’Ambiente Pacher conferma l’impegno della Provincia per ridurre i rifiuti. Ma si è fatto poco. E l’inceneritore continua ad esser proposto come soluzione finale Chiara Turrini

O biettivo riduzione dei rifiuti: cosa fa la nuova Giunta? Sia-mo ormai a marzo, e Alberto Pacher siede da tre mesi sul-

la poltrona di assessore all’Ambiente. Un tempo sufficiente per prendere coscien-za dell’entità del compito che gli spetta, quello di fare della Provincia di Trento un territorio all’avanguardia rispetto alla gestione dei rifiuti, e dunque anche ri-spetto alla loro riduzione.

Pacher sottolinea l’influenza delle modalità di consumo della popolazione sulla quantità di rifiuti prodotti. L’obiet-tivo stabilito dal Terzo Aggiornamento del Piano Provinciale in materia è quello di mantenere entro la soglia dei 175 kg la quantità pro-capite di rifiuto indiffe-renziato prodotto annualmente, “ma - ci dice l’assessore – nelle aree dove si prati-ca il porta a porta il dato è già molto in-feriore. Il massimo sarebbe uniformare le modalità di raccolta su tutto il territorio provinciale, in modo da rendere unifor-me anche la tipologia di rifiuti prodotti. Bisogna mettere ovviamente in conto le diverse peculiarità dei vari territori, dato che la Val di Fiemme è senz’altro diversa dalla città, ma ci diamo comunque l’obiet-tivo di una tendenziale uniformità”.

A questo punto, una domanda ci vie-ne da fare: come mai, se si vuole ridurre i rifiuti e modificare le abitudini dei con-sumatori, non si è ancora adeguatamen-te sostenuta la diffusione delle abitudini “virtuose” in questo ambito, come per esempio quella dei vuoti a rendere? E perché non si provvede seriamente a fa-vorire la diminuzione degli imballaggi, che incidono grandemente sulla quanti-tà di rifiuti prodotta?

Dentro gli uffici provinciali – fa no-tare Pacher – stanno provando a dare il

buon esempio. La Provincia ha deciso da tempo di ridurre al suo interno l’uso di carta, cercando di evitare anche quel-la riciclata, che ha comunque un impat-to ambientale. Rassegne stampa e buste paga online sono ormai la norma, come le direttive e informazioni di servizio fatte circolare via e-mail. Ma gli uffici provinciali, che comunque hanno anco-ra molta strada da fare (v. box a lato su-gli Acquisti Pubblici Verdi), da soli non bastano affatto.

Quali sono le iniziative concrete av-viate dalla Provincia per diffondere le abitudini virtuose tra la popolazione?

“Ci sono parecchie iniziative autono-me da parte dei Sait e delle cooperative, come ad esempio i distributori di deter-sivi alla spina. La Provincia, da parte sua, intende assicurare il sostegno a tutte le attività come questa, che puntano a ridurre gli imballaggi e l’in-quinamento”.

Finora qualcosa è stato fatto, ma molto resta anco-ra da fare. La Provincia ha promosso con una campa-gna pubblicitaria il consu-mo di acqua del rubinetto e ha incentivato la pratica delle Giornate del Ri-uso, oggi piuttosto diffuse. E’ poi stato realizzato un pro-tocollo per l’assegnazione del marchio “Eco-feste”, un progetto che spinge gli organizzatori di eventi ad utilizzare, per catering e servizi, stoviglie e posate biodegradabili. Poco effi-cace è stata invece la pro-

mozione sul territorio provinciale degli eco-acquisti, così come nessuna traccia ha lasciato il proposito di incentivare il vuoto a rendere. Maggiore incentivazio-ne, poi, andrebbe data ai prodotti locali a chilometri zero, sui quali vale la pena puntare anche dal punto di vista econo-mico e turistico: frutta, verdura e cibi del territorio hanno un valore aggiun-to, in quanto promuovono la tradizione trentina fra i turisti e legano la vacanza, magari in agriturismo, alla sensibilizza-zione verso le tematiche ambientali.

“Si tratta di un lavoro lungo ed è an-cora presto, mi sono insediato da poco in assessorato. Ma entro la primavera, in-sieme alle necessarie modifiche al Piano Provinciale sull’Ambiente, speriamo di poter discutere di punti precisi”.

Però c’è una cosa che alla fine non

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23QUESTOTRENTINO

Il ruolo degli Acquisti Pubblici Verdi

Anche gli Enti Pubblici producono rifiuti. E non pochi. La cosa si lega al gran numero di acquisti effettuati dalle amministrazioni. In Trentino, i 263 enti pubblici che operano sul territorio hanno realizzato nel 2006 acquisti di beni e servizi per un 1 miliardo e 174 milioni di euro. E il dato è in costante crescita. La Provincia di Trento, che spende da sola circa un decimo della cifra, è passata dai 74 milioni del 2003 agli 84 del 2006. Per i 223 Comuni, che della cifra complessiva spendono un quarto, il passaggio è stato da 244 milioni a 277. Una crescita media annua del 4,3%, solo in parte attribuibile all’inflazione, che nello stesso periodo è salita del 2,3% (fonte dei dati: Annuario Statistico Provinciale). Anche gli Enti Pubblici possono acquistare in modo sostenibile e contribuire, fra le altre cose, alla riduzione dei rifiuti. Alla scelta i tecnici hanno dato un nome preciso: “Green Public Procurement”, in sigla GPP: “Acquisti Pubblici Verdi”. Realizzati dagli Enti Pubblici tenendo conto anche degli impatti ambientali che il prodotto o servizio ha durante l’intero ciclo di vita, dalle materie prime allo smaltimento, passando per la produzione, il trasporto e l’utilizzo (www.compraverde.it). Nell’aprile 2008 è stato approvato con decreto ministeriale un apposito Piano d’Azione nazionale sul GPP, con l’obiettivo di

promuovere la diffusione dell’acquisto verde presso gli Enti Pubblici italiani (www.dsa.minambiente.it/gpp). In Trentino a che punto siamo? Non troppo avanti, a dire il vero. Dalle 68 risposte a un questionario conoscitivo, inviato alla fine del 2007 a tutti gli Enti Pubblici trentini dall’Agenzia Provinciale per la Protezione dell’Ambiente, è emerso che, per quanto due Enti su tre abbiano già realizzato acquisti verdi, mai questo è avvenuto per più del 50% degli acquisti complessivi, ed anzi per metà degli Enti la cosa è accaduta solo per un acquisto su dieci (www.appa.provincia.tn.it). Le due maggiori Pubbliche Amministrazioni trentine, la Provincia e il Comune di Trento, realizzano oggi acquisti verdi in maniera sporadica, per quanto crescente. Nel caso della Provincia, si ricorda la sottoscrizione degli accordi che l’impegnano all’acquisto di prodotti in legno certificato PEFC (www.pefc.it) e di edifici certificati LEED (www.gbcitalia.org). Nel caso del Comune di Trento, segnaliamo l’impegno a sostituire tutte le autovetture di piccole dimensioni e cilindrata con mezzi a basso impatto ambientale. Entrambi gli Enti hanno in progetto la diffusione sistematica del GPP al proprio interno. Staremo a vedere gli sviluppi.

m. n.

ci torna, ed è la volontà di costrui-re l’inceneritore. Poiché la Provincia vuole impegnarsi per ridurre i rifiuti alla fonte, cioè influenzando i consumi della gente, cosa fare dell’inceneritore se un domani, come ci si augura, non ce ne fosse più bisogno?

“Per quanto si riduca la produzione di rifiuti l’inceneritore resta al momento necessario. Altrimenti dovremmo portare i nostri rifiuti fuori provincia, ma prefe-riamo non farlo, perché se ogni regione o provincia ragionasse così sarebbe la fine”.

Ma l’impianto, per funzionare, avrà bisogno di bruciare un quantitativo annuo minimo di rifiuti, cosa che ri-schia di bloccare il processo di ridu-zione della loro produzione…

“Sarà un impianto tecnologicamen-te avanzato e modulare. Riducendo la quantità di rifiuto da smaltire si ridurrà anche l’attività dell’inceneritore”.

Già, ma se l’impegno per la riduzione dei rifiuti provinciali fosse stato maggio-re, forse oggi l’inopportunità dell’incene-ritore sarebbe evidente anche a chi, come l’assessore Pacher, continua a ritenerlo necessario nonostante il quantitativo di rifiuti indifferenziati prodotti in Trentino diminuisca di anno in anno, e possa cala-re ancora. I pur modesti risultati ottenuti finora nella riduzione dei rifiuti alla fonte dimostrano che basterebbe volerlo con maggior convinzione. ●

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Supermercati trentini: Aldeno, Andalo, Avio, Baselga di Pinè, Borgo Valsugana, Brentonico, Caldonazzo, Campitello, Canazei, Carano, Cavalese, Celledizzo, Civezzano, Cles, Condino, Dimaro, Fondo, Imer, Lavarone Cappella, Levico, Malè, Mattarello, Mezzano, Mezzocorona, Moena, Molveno, Mori, Pergine Valsugana, Pinzolo, Ponte Arche, Povo, Predazzo, Ravina, Revò, Roncegno, Rovereto, San Lorenzo in Banale, San Michele all’Adige, Spiazzo, Storo, Strigno, Tesero, Tione,

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24 marzo 2009

N el bellunese soffia sempre più forte il rancore contro i “pri-vilegi” della Regione Trentino

Alto Adige; non è un semplice vento, non siamo in presenza di isolati arrabbiati, sono raffiche che coinvolgono tutti i setto-ri della società. E’ un modo di sentire che troviamo presente in Veneto, ma diffuso anche nella montagna bresciana, in Valtel-lina, nel Cuneese, sulla montagna ligure: sono tutte aree in sofferenza che non rie-scono più a comprendere le ragioni della specificità della nostra autonomia. Come emerge sempre più spesso dalle assemblee dell’UNCEM (Unione Nazionale Comu-nità Enti Montani), il problema è delle montagne italiane. E’ venuto il momento di affrontare il tema, di risolverlo politica-mente abbandonando le semplificazioni. Alcuni numeri ci aiutano a comprendere.

Cortina d’Ampezzo ha un gettito Irpef di 19.345.000 euro e si trova tra-sferiti dallo Stato fondi per soli 907.519 euro. Ad Agordo sono oltre 12 i milioni versati con un ritorno di 681.246 euro, Asiago 12.345.000 euro con un trasferi-mento di un misero milioncino.

Il sindaco di Sospirolo deve dimez-zare le penne biro in dotazione ai di-pendenti. In Veneto 450 comuni su 582 hanno fatto opposizione al patto di sta-bilità e ai vincoli imposti dalle finanzia-rie del governo Prodi ed ora appesantiti da Tremonti. Nei comuni montani delle Regioni a statuto ordinario non si riesce più ad offrire assistenza e servizi, nem-meno a garantire l’ordinaria ammini-strazione. Altro che federalismo, altro che politiche di sussidiarietà!

Ma come reagisce il bellunese coin-volto dalla crisi economica con centina-ia di licenziamenti e schiacciato da un conflitto istituzionale pesante che vede in contrapposizione la provincia di Belluno (governata dal centro sinistra) e la Re-gione Veneto dominata dallo strapotere leghista?

Fra il pessimo Galan e il buon Reolon

Nel 1997 era stato depositato al Sena-to un disegno di legge (2768-XIII) che chiedeva l’istituzione della Regione Do-lomitica composta da due Province, Bel-luno e Feltre, mai affrontato seriamente. Sono seguiti i referendum di Lamon, dei sette comuni, delle zone ladine del Fodom e di Cortina verso l’Alto Adige, di Sappada verso il Friuli. La Regione, tramite il suo governatore Galan, li ha ridicolizzati. In questi mesi è partita in provincia di Belluno una nuova iniziati-va, l’iter di un referendum secessionista regionale, Belluno vuole staccarsi dalla Regione Veneto per costruire assieme a Trento e Bolzano la grande Regione del-le Dolomiti. Servono 8.000 firme; capo-fila dell’iniziativa è il Partito Democra-tico della Valbelluna, ma anche diversi sindaci del Cadore, fra i quali Antonia Ciotti, sindaco di Pieve di Cadore. Tre Province alpine, unite e autonome, con

i centri decisionali trasferiti finalmente alle valli e tolti alla insensibile pianura. La situazione di malessere è simile al periodo della difesa dell’ospedale di Au-ronzo vent’anni fa o delle marce su Ve-nezia in difesa della ferrovia.

Di convinzione ce n’è tanta. Lunghi anni di assenza di risposte della Regione e dello Stato, ha ricordato Sergio Reolon, hanno prodotto rancore e conflitti. La Regione ormai ha perso credibilità verso la montagna, specie dopo che era stata promessa la concessione dell’autonomia amministrativa regolamentata.

Del malessere si fa portavoce anche Assindustria, con un recente semina-rio che ha rilanciato la specificità della montagna bellunese. Anche Assindu-stria chiede il bilanciamento dei territori di montagna. Pur partendo da un’analisi ampiamente condivisa, la soluzione de-gli imprenditori è ancora legata a vec-chie letture dello sviluppo: strade e au-tostrade, enfasi economicista, richiesta

Province dolomitiche: una sola RegioneAutonomie: non è una questione di storia o politica, è una legge di natura. luigi Casanova

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25QUESTOTRENTINO

di meno vincoli ambientali “per non ridurci a riserva indiana”.

Ma l’incontro ha avuto la sua im-portanza, grazie all’intervento del pre-sidente della Provincia, Sergio Reolon. Il quale cerca una terza via che permet-ta il dialogo fra le due posizioni estre-me: la difesa acritica delle autonomie speciali come sostenute da Dellai-Durnwalder e il disinteresse, special-mente culturale ed identitario verso la montagna consolidato da Galan. Poche tracce indicano una politica concreta. “In montagna c’è bisogno di più politi-ca. La politica, quella bellunese, non è un costo, è un passaggio che permette e consolida la democrazia; la società ha bisogno di progresso, di regole e non solo di economia. Qui è saltata la comunità, perché la montagna è stata colonizzata dalla visione metropolitana dello svi-luppo. Dobbiamo ottenere autonomia e governo diretto del territorio”.

Non è certo con le fucilate di Brunet-ta che risolveremo i conflitti sempre più aspri fra metropoli e montagne. Recen-temente a Belluno il ministro è esploso: “Le Regioni a Statuto speciale sono fini-te”. Ammette come nel bellunese non vi siano fannulloni, esclusa - guarda caso - la Provincia, unico ente governato dal centro sinistra. Accanto a lui si schie-ra il rozzo e diretto Galan, che attacca Reolon in occasione dell’incontro di questi con Dellai (“Reolon, personaggio patetico, contratta su quanto ho già con-cordato con Dellai”).

Nel bellunese è inve-ce chiaro che la via d’uscita non è quella concordata fra Dellai e Galan, non è così che si costruisce una politica della montagna. Non si comprende il significa-to degli aiuti che Regio-ne Veneto e Provincia di Trento hanno diretto

ai soli comuni confinanti (nemmeno tutti, poi). In Trentino ci sono i co-muni di serie A, lungo il confine si costruisce la serie B e quelli centrali non confinanti, la maggioranza, ven-gono declassati alla serie C.

Nelle vallate delle Alpi si urla allo scandalo quando si viene a sapere che le strutture impiantistiche vengono alimentate da contributi che variano dal 50% all’80% dei costi, ci si indigna quando si strappano i territori dei par-chi naturali come accade a San Martino o a Pinzolo, quando si leggono le cifre delle indennità dei consiglieri o dei sin-daci. Vi si vede sempre e solo il privile-gio, la concorrenza sleale.

Le strade propositive, come sugge-

risce ormai da anni il saggio Reolon, sono politiche. E’ necessario da subito legiferare a favore della montagne, tut-te, rafforzare le forme di autogoverno per non farsi assimilare alle città, ripor-tare autonomia autentica e solidale.

Come suggeriscono a Dellai e Dur-nwalder i referendari bellunesi, non c’è solo l’asse Nord-Sud al quale prestare attenzione, sarebbe bene rivolgere lo sguardo alle province confinanti, ri-pensare le Dolomiti come progetto unitario, non fermarsi all’ottenimento del patrocinio Unesco, valutare l’avvio di un lungo cammino che riporti unità anche amministrativa nelle popolazio-ni dolomitiche, fra le minoranze ladine. E Per fare questo vi è un solo passaggio, pensare alla nuova Regione Dolomiti, costituita da tre province dotate di au-tonomia. Invece di accanire attenzione solo sulle motivazioni storiche delle autonomie speciali, comunque impor-tanti, si dovrebbe leggere l’ambiente naturale, la sua fragilità, la necessità di diffondere servizi a suggerire nuove istituzioni che consolidino collabora-zioni solidaristiche vere, esterne agli interessi particolari. ●

“Respirare Rovereto”forum organizzato dall’associazione PartecipAzione Cittadini Rovereto

lizzana di Rovereto, Centro pastorale , via livenza

Venerdì 20 marzo, ore 20.45

Che aria tira? Controlli ambientali e richieste di monitoraggio

Intervengono:

- prof.ssa Maria Rosa Vittadini, docente su VIA e VAS all’Università IUAV di Venezia, già funzionaria del Ministero dell’Ambiente

- ing. ettore Paris, direttore della rivista Questotrentino:“I controlli dell’Appa nel sistema di autonomia provinciale”

- dott. Marco Caldiroli, esperto di Medicina democratica:“Analisi del progetto per bruciare reflui in Sandoz e proposte di controlli stringenti”

Giovedì 23 aprile, ore 20.45

Salute che se ne va. Particelle inquinanti nell’aria e nuovi tumori in valle

Intervengono:

- prof. Antonio zecca – professore al dipartimento di fisica all’Università di Trento

- dott. Roberto Cappelletti, medico e Sindaco di Centa S. nicolò - la tutela della salute pubblica

- un esperto dell’Osservatorio epidemiologico dell’Azienda Provinciale per i Servizi Sanitari

- dott. Celestino Panizza, medico del lavoro che parlerà delle incidenze nocive dell’inceneritore di brescia

Il governatore del Veneto Giancarlo Galan e, sotto, il presidente della Provincia di belluno, Sergio Reolon.

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26 marzo 2009

Anche in Trentino si fanno sentire gli effetti del-la crisi internazionale. Fin dallo scorso autunno, la Provincia autonoma si è attivata per conte-nerne gli effetti e per preparare il territorio a sfrut-tare nel migliore dei modi la fase della ripresa, che arri-verà, ci si augura, entro il 2010.Due i tipi di misure adottate dalla Pro-vincia autonoma di Trento:

� Misure di emer-genza (nei mesi di ottobre-di-cembre)

� Misure anticon-giunturali (piano anticrisi, adot-tato con la nuova manovra di Bilancio)

Misure di emergenza: iniziative pera) il sostegno delle famiglie: aiuto per il paga-mento dei mutui a tasso variabile e per far fron-te alle spese energetiche; contenimento delle rette di asili e case di riposo ecc.b) il sostegno alle im-prese: corretto accesso al credito, garantendo la liquidità e i program-mi di investimento, con costi fortemente atte-nuati rispetto ai livelli proibitivi praticati dal mercato.Piano anticrisi: È all’esame del Consiglio provinciale e ammonta a 850 milioni di euro, pari al 5% del Pil del Trentino (in proporzione solo gli Usa hanno

investito tanto nel contrastare la crisi).Il piano poggia su quat-tro “pilastri”:a) sostegno al reddito, contrasto alla povertà, promozione dell’occu-pazione;b) sostegno delle im-prese;c) azioni per la produt-tività e la competitività del sistema;d) investimenti straor-dinari a sostegno della domanda interna.

Il Piano anticrisi

Le risorsePartiamo dal Bilancio preventivo 2009 della Provincia: esso ammonta a 4.465 milioni di euro (nonostante la crisi, è un +0,8% rispetto al 2008).Il Piano anticrisi rappresenta una parte consi-stente di questa manovra di bilancio.La cifra complessiva impegnata è di 850 milioni di euro, pari a oltre il 5% del Pil provinciale.Di questi:

� 92 milioni vanno alle fasce sociali in difficol-tà (cittadini, famiglie, lavoratori);

� 141 ad interventi per il sostegno delle impre-se;

� 88 milioni ad azioni strutturali per la produt-tività e competitività del sistema;

� 482 milioni alla manovra straordinaria per gli investimenti.

Misure destinate a durareQueste risorse non riguardano interventi di emergenza, destinati a terminare quando la crisi sarà finita. Per la gran parte sono misure di lungo periodo, destinate quindi a durare e a

consegnarci un Trentino profondamen-te rinnovato, reso più competitivo, più capace di affrontare le sfide della globalizzazione, ma anche più equo e più solidale sul piano sociale.Questo Piano punta quindi ad irrobu-stire la nostra piattaforma produttiva, spingendo le imprese a innovare sul piano dei processi, dei prodotti, delle dotazioni tecnologiche, della stessa cultura d’impresa, ma anche a “fare sistema”, a sviluppare le alleanze e le sinergie necessarie al fine di accre-

scere la propria competitività.Esso però vuole al tempo stesso migliorare il

welfare, l’insieme delle po-litiche sociali e assistenziali che vanno a vantaggio dei cittadini, delle famiglie e dei lavoratori, tenendo con-to dei cambiamenti della nostra società e del mondo del lavoro.Infine esso realizzerà in tempi rapidi una vasta mole di investimenti pub-blici, in grado di sostenere la domanda interna e di coinvolgere le imprese operanti sul territorio.

Interventi per le imprese

Le misure a sostegno delle imprese previste dal Piano anticrisi ammontano a per un totale di 141 milioni di euro.Fra le voci più importanti:

� l’accesso al credito, tramite gli enti di garan-zia (Confidi) per un totale di 39 milioni di euro;

� le agevolazioni per nuovi investi-menti, progetti di ristrutturazione e integrazione produttiva, per un totale di 90 milioni di euro

� piano degli investimenti di Trentino sviluppo aumentato a 250 milioni di euro;

� sostegno all’agricoltura con inter-venti che riguardano le aziende e le infrastrutture, per circa 45 milioni di euro.

� interventi per favorire le sinergie e le fusioni (ad esempio nel settore dell’autotrasporto).

Interventi per le famiglie, il welfare, ecc.

Il Piano anticrisi prevede una spesa in favore delle fasce sociali in difficoltà di 92 milioni di euro.

� 18 vanno al reddito minimo di garanzia, introducendo di fatto una nuova concezio-

ne di welfare, vicina a quella del Nord Europa: in pratica la Provincia garantirà il raggiungimento della soglia di reddito minima - fissata in 6.500 euro annui per il singolo (che diven-tano 13.000-13.500 circa per una coppia con figlio minore) - a tutti gli aventi dirit-

to, ovvero i cittadini residenti in Trentino da almeno 3 anni e che abbiano avuto entrate da attività lavorative negli ultimi anni (per i nuclei con persone in età da lavoro). Que-sta misura diventerà uno dei capisaldi delle politiche sociali in provincia di Trento, e sarà mantenuta anche quando gli effetti della recessione saranno scomparsi. In pratica, nessuno vivrà più con un reddito al di sotto della soglia di povertà.

� 22 milioni di euro per sussidi e 17 per attività formative, più altri 24 milioni veico-lati attraver-so progetti dell’Agenzia del lavoro per fronteggiare l’emergenza occupazionale - at-traverso il sostegno al reddito dei lavoratori che perdono l’impiego e il varo di specifiche attività formative.

� 5 milioni di euro per favorire l’occupazione femminile, fra cui la messa a disposizione di voucher per l’acquisto di servizi di cura

privati per chi non può accedere all’offerta pubblica di servizi. In questo modo molte più donne potran-no lavorare, anche solo per una parte della loro giornata.

� oltre 6 milioni di euro per man-tenere invariate per l’anno 2009 le tariffe per l’accesso ai servizi pubblici (rette delle case di case di riposo, tra-sporti, mense scolastiche ecc.).

La manovra straordinaria per gli investimenti

Per il sostegno della domanda interna è pro-grammata una Manovra straordinaria sugli inve-stimenti per un totale di 482 milioni di euro.Le caratteristiche della manovra:

� rapida realizzabilità; � efficacia per le imprese del territorio; � selettività degli investimenti, (privilegiando quelli che garantiscono un contributo signifi-cativo al Pil provinciale) e loro temporaneità.

Viene data priorità: � al completamento delle opere i cui cantieri sono già aperti;

� ai programmi di messa a norma e manuten-zione del patrimonio pubblico;

� ai programmi di riqualificazione e migliora-mento funzionale di strutture private (alber-ghi, strutture zootecniche, opere di migliora-mento fondiario, ecc.);

� agli investimenti per la casa e per l’edilizia pubblica;

� ad altre opere ed in- terventi la cui realizzazione potrà essere avviata con l’apertura dei cantieri ancora nel 2009, con parti-colare rilievo agli interventi per l’ef-ficienza energetica e per l’economia “verde”.

Pagine a cura della Provincia Autonoma di Trento

Il Trentino e la crisi economica

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27QUESTOTRENTINO

Anche in Trentino si fanno sentire gli effetti del-la crisi internazionale. Fin dallo scorso autunno, la Provincia autonoma si è attivata per conte-nerne gli effetti e per preparare il territorio a sfrut-tare nel migliore dei modi la fase della ripresa, che arri-verà, ci si augura, entro il 2010.Due i tipi di misure adottate dalla Pro-vincia autonoma di Trento:

� Misure di emer-genza (nei mesi di ottobre-di-cembre)

� Misure anticon-giunturali (piano anticrisi, adot-tato con la nuova manovra di Bilancio)

Misure di emergenza: iniziative pera) il sostegno delle famiglie: aiuto per il paga-mento dei mutui a tasso variabile e per far fron-te alle spese energetiche; contenimento delle rette di asili e case di riposo ecc.b) il sostegno alle im-prese: corretto accesso al credito, garantendo la liquidità e i program-mi di investimento, con costi fortemente atte-nuati rispetto ai livelli proibitivi praticati dal mercato.Piano anticrisi: È all’esame del Consiglio provinciale e ammonta a 850 milioni di euro, pari al 5% del Pil del Trentino (in proporzione solo gli Usa hanno

investito tanto nel contrastare la crisi).Il piano poggia su quat-tro “pilastri”:a) sostegno al reddito, contrasto alla povertà, promozione dell’occu-pazione;b) sostegno delle im-prese;c) azioni per la produt-tività e la competitività del sistema;d) investimenti straor-dinari a sostegno della domanda interna.

Il Piano anticrisi

Le risorsePartiamo dal Bilancio preventivo 2009 della Provincia: esso ammonta a 4.465 milioni di euro (nonostante la crisi, è un +0,8% rispetto al 2008).Il Piano anticrisi rappresenta una parte consi-stente di questa manovra di bilancio.La cifra complessiva impegnata è di 850 milioni di euro, pari a oltre il 5% del Pil provinciale.Di questi:

� 92 milioni vanno alle fasce sociali in difficol-tà (cittadini, famiglie, lavoratori);

� 141 ad interventi per il sostegno delle impre-se;

� 88 milioni ad azioni strutturali per la produt-tività e competitività del sistema;

� 482 milioni alla manovra straordinaria per gli investimenti.

Misure destinate a durareQueste risorse non riguardano interventi di emergenza, destinati a terminare quando la crisi sarà finita. Per la gran parte sono misure di lungo periodo, destinate quindi a durare e a

consegnarci un Trentino profondamen-te rinnovato, reso più competitivo, più capace di affrontare le sfide della globalizzazione, ma anche più equo e più solidale sul piano sociale.Questo Piano punta quindi ad irrobu-stire la nostra piattaforma produttiva, spingendo le imprese a innovare sul piano dei processi, dei prodotti, delle dotazioni tecnologiche, della stessa cultura d’impresa, ma anche a “fare sistema”, a sviluppare le alleanze e le sinergie necessarie al fine di accre-

scere la propria competitività.Esso però vuole al tempo stesso migliorare il

welfare, l’insieme delle po-litiche sociali e assistenziali che vanno a vantaggio dei cittadini, delle famiglie e dei lavoratori, tenendo con-to dei cambiamenti della nostra società e del mondo del lavoro.Infine esso realizzerà in tempi rapidi una vasta mole di investimenti pub-blici, in grado di sostenere la domanda interna e di coinvolgere le imprese operanti sul territorio.

Interventi per le imprese

Le misure a sostegno delle imprese previste dal Piano anticrisi ammontano a per un totale di 141 milioni di euro.Fra le voci più importanti:

� l’accesso al credito, tramite gli enti di garan-zia (Confidi) per un totale di 39 milioni di euro;

� le agevolazioni per nuovi investi-menti, progetti di ristrutturazione e integrazione produttiva, per un totale di 90 milioni di euro

� piano degli investimenti di Trentino sviluppo aumentato a 250 milioni di euro;

� sostegno all’agricoltura con inter-venti che riguardano le aziende e le infrastrutture, per circa 45 milioni di euro.

� interventi per favorire le sinergie e le fusioni (ad esempio nel settore dell’autotrasporto).

Interventi per le famiglie, il welfare, ecc.

Il Piano anticrisi prevede una spesa in favore delle fasce sociali in difficoltà di 92 milioni di euro.

� 18 vanno al reddito minimo di garanzia, introducendo di fatto una nuova concezio-

ne di welfare, vicina a quella del Nord Europa: in pratica la Provincia garantirà il raggiungimento della soglia di reddito minima - fissata in 6.500 euro annui per il singolo (che diven-tano 13.000-13.500 circa per una coppia con figlio minore) - a tutti gli aventi dirit-

to, ovvero i cittadini residenti in Trentino da almeno 3 anni e che abbiano avuto entrate da attività lavorative negli ultimi anni (per i nuclei con persone in età da lavoro). Que-sta misura diventerà uno dei capisaldi delle politiche sociali in provincia di Trento, e sarà mantenuta anche quando gli effetti della recessione saranno scomparsi. In pratica, nessuno vivrà più con un reddito al di sotto della soglia di povertà.

� 22 milioni di euro per sussidi e 17 per attività formative, più altri 24 milioni veico-lati attraver-so progetti dell’Agenzia del lavoro per fronteggiare l’emergenza occupazionale - at-traverso il sostegno al reddito dei lavoratori che perdono l’impiego e il varo di specifiche attività formative.

� 5 milioni di euro per favorire l’occupazione femminile, fra cui la messa a disposizione di voucher per l’acquisto di servizi di cura

privati per chi non può accedere all’offerta pubblica di servizi. In questo modo molte più donne potran-no lavorare, anche solo per una parte della loro giornata.

� oltre 6 milioni di euro per man-tenere invariate per l’anno 2009 le tariffe per l’accesso ai servizi pubblici (rette delle case di case di riposo, tra-sporti, mense scolastiche ecc.).

La manovra straordinaria per gli investimenti

Per il sostegno della domanda interna è pro-grammata una Manovra straordinaria sugli inve-stimenti per un totale di 482 milioni di euro.Le caratteristiche della manovra:

� rapida realizzabilità; � efficacia per le imprese del territorio; � selettività degli investimenti, (privilegiando quelli che garantiscono un contributo signifi-cativo al Pil provinciale) e loro temporaneità.

Viene data priorità: � al completamento delle opere i cui cantieri sono già aperti;

� ai programmi di messa a norma e manuten-zione del patrimonio pubblico;

� ai programmi di riqualificazione e migliora-mento funzionale di strutture private (alber-ghi, strutture zootecniche, opere di migliora-mento fondiario, ecc.);

� agli investimenti per la casa e per l’edilizia pubblica;

� ad altre opere ed in- terventi la cui realizzazione potrà essere avviata con l’apertura dei cantieri ancora nel 2009, con parti-colare rilievo agli interventi per l’ef-ficienza energetica e per l’economia “verde”.

Pagine a cura della Provincia Autonoma di Trento

Il Trentino e la crisi economica

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28 marzo 2009

d a l m o n d o

M ani nude, pelle bruciata dal sole, cavalli che lavorano fino allo stremo. Senza un giorno

di riposo. Vivono, il più delle volte, in baracche di fortuna, costruzioni di legno e lamiera calde d’estate e fredde d’inver-no. Vivono in famiglie numerose, dove a 40 anni è facile essere nonno. Vivono nella periferia semiurbana della capitale e di altre città uruguaiane. Lì nascono le favelas del XXI secolo. Ammassi di sof-ferenza, dignità e rifiuti. Discariche dove pascolano bambini ed animali, mentre i genitori differenziano plastica, vetro, cartone ed altri materiali per venderli a prezzo stracciato al primo offerente.

Sono un esercito di oltre 15.000 perso-ne che trasformano i rifiuti in ricchezza. Girano per i quartieri ricchi, raccogliendo giorno e notte materiali “inutili” con un carretto tirato da un cavallo. Alle volte in bicicletta o a piedi. Gli scarti del consumi-smo sono per loro fonte di vita. Attraverso la loro attività informale danno da man-giare e da vivere alle proprie famiglie. Si calcola che nella sola Montevideo, il loro lavoro permetta l’eliminazione di un terzo dei rifiuti urbani.

In Uruguay, vengono chiamati comu-nemente clasificadores o hurgadores, e prendono altri nomi nel resto del conti-nente. In Argentina si chiamano cartone-ros, in Brasile catadores. In molti paesi, si sono organizzati in sindacati, cooperative ed associazioni. In Uruguay hanno for-mato un sindacato nazionale, la UCRUS (Unione dei Classificatori dei Rifiuti Ur-bani Solidi) e costituiscono una rete con i raccoglitori di rifiuti del resto del mondo. Accomunati da un lavoro che rappresenta un’alternativa degna, ma anche un esem-pio di sostenibilità ambientale che nasce dalla povertà e dalla dignità degli ultimi degli ultimi.

Questo è uno dei molti scenari scelti a caso nell’Uruguay di oggi. 5 anni di go-

verno di sinistra, 7 anni dopo la crisi eco-nomica, 23 anni dopo la dittatura, mezzo secolo di riforme strutturali, poco più di mezzo secolo di sottosviluppo o di falso sviluppo, un secolo dopo l’invenzione del welfare, due secoli dopo l’indipendenza ed il massacro dei fratelli indigeni, cinque secoli latino americanizzazione. Questo è l’Uruguay del XXI secolo.

Quando si dice Uruguay si pensano tante cose differenti, o forse non si pen-sa a niente. Uruguay ricorda qualcosa di indio, una nazionale di calcio, un qua-dro esotico; il Paese degli uccelli colorati, la Svizzera dell’America Latina che, a parte i conti in banca di im-prese ed impresari off-shore, ha ben poco in comune col Paese alpino.

E’ un territorio senza ri-lievi e quasi disabitato. Sen-za rilievi, perché costituisce la via d’accesso alla gran-de pianura sudamericana, patria del mondo gaucho, popolato decenni addietro da meticci, i gauchos dallo spirito nomade che ancora conservavano qualche goc-cia di sangue indigeno. Oggi quella pianura sta diventan-do un’imeensa piantagione di soia ed alberi esotici.

Senza rilievi, perché irrilevante nello scenario internazionale. Un microscopico Stato nato per caso sul margine orientale del Rio de la Plata. Con meno di tre mi-lioni e mezzo di abitanti, pari alla popola-zione della provincia di Napoli, o 6 volte la popolazione trentina, in un territorio che è grande tre quarti quello dell’Italia.

Un’economia che si basa sull’esporta-zione di carne e di commodity e sui mer-cati finanziari. Un mercato microscopico, che segue le oscillazioni dei grandi fratelli

sudamericani. Un Paese che si trova nel centro del Mercosud, futuro grande mer-cato latinoamericano. Un Paese a reddito medio-alto, che per questo non merita tanti aiuti allo sviluppo, come invece altre nazioni della regione. Nonostante il red-dito, un uruguaiano su quattro è povero e buona parte di questi vive in baraccopoli irregolari, con servizi precari, attaccandosi alla luce elettrica e all’acqua come può.

L’Uruguay è sospeso fra due mondi. È latinoamericano, ma è anche europeo, il che in realtà è la stessa cosa, visto che la

parola “latinoamericano” sottintende una storia di dominazione. È un Paese nato con la morte di fratelli indigeni, un Pae-se con un’importante società civile, che di tanto in tanto mostra meravigliosi esempi di solidarietà e cooperazione. È una de-mocrazia stabile, forse la più stabile dalla California meridionale fino alla Terra del Fuoco. Una democrazia ad alta intensità con disuguaglianze che si avvicinano spa-ventosamente a quelle del resto dell’Ame-rica latina. ●

Uruguay: povero ma non troppoUn piccolo Paese sospeso fra due mondi Antonio Graziano

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29QUESTOTRENTINO

L’Italia, la Lega e la Tbc Un Paese malato d’egoismo che rinnega la Rivoluzione francese Mattia Pelli

i l c o l o r e d e g l i a l t r i

O gni eruzione razzista è indis-sociabile da una certa dose di paranoia e anche nel caso del

contagio da Tbc avvenuto all’Istituto Rosmini di Trento questa regola è stata confermata: la Lega Nord, nel riafferma-re la necessità di classi separate per i figli degli immigrati, spiegava che essi “pos-sono essere, consapevolmente o meno, portatori di questo genere di patologie” (l’Adige, 25.2.09).

Insomma, in alcuni casi i cattivi stra-nieri sarebbero in realtà delle specie di untori, delle bombe biologiche votate ad infettare non solo i nostri corpi fisici ma soprattutto il corpo sociale della nostra bella e serena comunità.

Ma proprio una vicenda come quella della Tbc al Rosmini, interpretata come esempio di pericolosità potenziale degli stranieri e manipolata in questo senso dalla Lega, se analizzata correttamente ci spiega come in realtà sia l’Italia ad es-sere malata, e molto gravemente.

Secondo il Carroccio gli immigrati sarebbero il veicolo di importazione per infezioni debellate dalle nostre parti ma ancora endemiche nelle zone di prove-nienza: non fa una piega.

Ma è proprio nelle pieghe che spes-so stanno le sfumature, le informazioni

più importanti. Come spiegano i cinque medici dell’Ospedale “Forlanini” di Roma che han-no studiato più di mille casi di Tbc tra il 1989 e il 1994 (http://www.eurom.it/medicina/ns/NS17_2_57.HTML), “la promi-scuità, la povertà, lo stato igienico, in cui continuano a trovarsi gli extracomunitari anche nel paese d’arrivo, favoriscono la riattiva-zione nonché la diffusione della Tbc tra di essi. Pertanto, miglio-rare queste condizioni significa limitare il numero di nuovi ma-lati”.

Gli immigrati, quindi, si ammalano in Italia, e di solito dopo circa due anni di permanenza a causa delle condizioni di vita alle quali sono costretti e alla dif-ficoltà nell’accesso alle medicine, agli an-tibiotici, quando contraggono malattie batteriche e virali alle vie respiratorie.

Quindi proporre – come fa la Lega – controlli sanitari obbligatori alle fron-tiere, oltre a ricordare l’umiliante visita medica alla quale i nostri emigranti in Svizzera erano costretti a Chiasso, non avrebbe alcuna utilità.

Quello che invece fa la differenza nell’evitare la diffusione di questo tipo di malattie è un sistema sanitario efficiente e gratuito, al quale tutti possano rivol-gersi con fiducia. Senza paura di venire denunciati se clandestini.

Lo scorso 5 febbraio il Senato ha ap-provato un emendamento della Lega al “Pacchetto sicurezza” che consente ai medici di denunciare gli immigrati clandestini che si affidano alle loro cure. Una scelta che – oltre ad essere barbara dal punto di vista umano – “potrebbe au-mentare la diffusione della tubercolosi in Italia”, come ha spiegato Prisco Piscitel-li, epidemiologo dell’Istituto scientifico

biomedico euro mediterraneo (Isbem).Quella che pare un’idiota schizofrenia

nelle posizioni della Lega, che si tramuta in un’azione di governo pericolosa e ir-responsabile, ha (ed ha avuto) in realtà una funzione politica importante per la classe politica (di destra e di sinistra) di questo Paese.

Quasi trent’anni di liberismo econo-mico hanno portato ad un impressio-nante aumento di profitti per il capitali-smo globalizzato, ottenuto anche grazie alla dismissione dello Stato sociale e ad un’inaccettabile diminuzione dei diritti sociali. Per sviare l’attenzione da questo enorme processo di privatizzazione e di monetizzazione della nostra vita quoti-diana, era necessario trovare un capro espiatorio: l’immigrato, messo in com-petizione con l’indigeno nell’accesso ai diritti sociali; il clandestino, utile nei ca-pannoni del Nord-Est ma al quale deve essere proibito di rivolgersi al sistema sanitario.

Senza paura di esagerare, quello che sta succedendo oggi con l’attacco qua-si quotidiano ai diritti degli immigrati è la rimessa in discussione di principi che risalgono alla Rivoluzione francese. “Perché il liberismo – spiega il sociologo Salvatore Palidda – esigendo l’inferio-rizzazione dei membri delle popolazioni dominate nonché degli esclusi dei paesi ricchi, impone la frattura fra i diritti dei cittadini dei paesi ricchi e diritti univer-sali”.

I veri untori sono italiani e il virus che diffondono è quello dell’egoismo: la crisi, come al solito, non la paga chi ne è responsabile e a noi restano solo le briciole del ricco banchetto consuma-tosi davanti ai nostri occhi. Briciole che vorrebbero ci rubassimo a vicenda come bestie feroci. Eppure “fatti non fummo a viver come bruti”. ●

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30 marzo 2009

d a l S u d t i r o l o

L ’apertura dell’anno “nove” come viene chiamato il bicentenario della sollevazione tirolese guidata

da Andreas Hofer è stato molto meno roboante di quanto si attendessero i no-velli “comandanti in capo” Durnwalder (nella parte), Platter (imbarazzato dalle sparate fisiche e verbali degli Schützen sudtirolesi) e Dellai (incredibile fedelis-simo “tirolese”). La maggior parte dei giornali locali delle tre regioni hanno ignorato l’avvenimento o l’hanno con-finato in un trafiletto. Appare sempre meno appropriato ai tempi difficili e alle quotidiane notizie di messa in cassa in-tegrazione di centinaia di lavoratori, lo spreco in penne e botti di cui pochi ca-piscono il senso.

Ma l’assessora alla cultura tedesca ha approfittato ancora una volta di questa occasione per sostenere l’approfondi-mento di tematiche diverse da quelle volute dai tre “Mander” (“omeni” si di-rebbe in trentino) – presidenti.

E per tempo l’Archivio provinciale e il gruppo di ricerca Storia e Regione hanno dato vita il 6-7 febbraio all’Uni-versità di Bolzano a un interessante in-contro sulle Opzioni del ‘39, di cui cade quest’anno il 70° anniversario.

Le Opzioni costituiscono il momento storico più doloroso per la popolazione sudtirolese, e la loro mancata elabora-zione ha prolungato a lungo nel dopo-guerra lacerazioni e sofferenze, fino alla catarsi tramite la mostra del 1989, che ha permesso a tutti, Dableiber (restan-ti) e Optanti per il III Reich, e anche ai sudtirolesi italiani di varia provenienza, di vedere rappresentato un (buon) ten-tativo di ricostruzione della loro memo-ria. Nel convegno “A settant’anni dalle opzioni in Alto Adige” si è cercato di fare un passo avanti, inquadrando la vicenda nel panorama degli spostamenti forzati di popolazioni in Europa fra il ‘39 e il

‘55. Il lasso di tempo è molto lungo e forse non ha permes-so di distingue-re fra la politica di spostamenti e genocidi dei fascismi, - e soprattutto del nazismo, - e le espulsioni avve-nute nel perio-do post-bellico, che spesso furono reazioni a esperienze terribili subite dai popoli dell’est euro-peo ad opera del nazismo, pur essendo questi episodi anch’essi segnati dal na-zionalismo.

Tuttavia la ricerca in numerosi luo-ghi dell’Europa in cui avvennero fatti eclatanti di spostamenti di popolazione, ha presentato un quadro incompleto ma molto interessante, che in qualche misura ha dato una dimensione nuo-va all’esperienza sudtirolese. Michael Wedekind, dell’Università di Münster, autore di diversi studi in questo cam-po, e Davide Rodono, dell’Università di Ginevra, hanno condotto i lavori e moderato il dibattito cui ha preso parte un pubblico competente e critico, con un piglio laico, attento a far emergere aspetti concreti della ricerca e a mettere in luce possibili momenti di confronto fra le varie esperienze. Particolarmen-te interessanti i contributi di Michael Wedekind sul trasferimento dei sudti-rolesi inserito nei programmi di tra-sformazione socio-etnica e territoriale del nazismo; di Vaios Kalogrias e Stra-tos Dordanas sull’esodo coatto dei greci dalla Macedonia orientale e dalla Tracia occidentale fra il 1941 e il 1943; di Paolo Cova sulle opzioni di mòcheni, luserni e fassani; interessantissimo l’episodio ri-

costruito da Petru Weber del rimpatrio degli ebrei rumeni dalla Transnistria; mentre Tomás Okurka ha illustrato un aspetto spesso passato sotto silenzio dell’espulsione dei tedeschi dei Sudeti (le cui organizzazioni si sono fatte sentire spesso con proposte di revisionismo dei confini), cioè la presenza fra gli espulsi anche di oppositori del nazismo, sulla quale è in costruzione un progetto di documentazione. Wedekind ha posto questioni scottanti, come la compresen-za dei concetti di vittima e colpevole, e ha sostenuto che piuttosto che “Op-zione” (che in effetti nei titoli appare fra virgolette), sarebbe meglio dire Er-zwungene Staatsburgerschaft-Entscheid, cioè scelta obbligatoria di cittadinanza. E ha messo particolarmente in rilievo la stigmatizzazione e la marginalizza-zione che vennero esercitate su coloro che non erano d’accordo nell’accettare la scelta maggioritaria.

Un’iniziativa che andrebbe accom-pagnata dalla messa a disposizione di documentazione di base e didattica. In lingua italiana anche il catalogo della mostra sulle Opzioni, frutto di due anni di confronto fra studiosi di entrambe le lingue, è da tempo esaurito e non so-stituito con altri materiali di analogo spessore. ●

A settant’anni dalle OpzioniRiflessioni sul momento storico più doloroso per la popolazione sudtirolese Alessandra zendron

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31QUESTOTRENTINO

d a I n n s b r u c k

A 199 anni dalla fucilazione di An-dreas Hofer potremmo riempire pagine su pagine sulle assurdità

del glorioso bicentennario del 1809, i tirolesi essendo - come scrive il gran-dseigneur della politologia nostrana, Anton Pelinka, sulla Zeit – fra i pochi che la loro identità nazional-popolare la costruiscono, come i serbi, partendo da una battaglia perduta. Invece, parliamo di cose serie. Parliamo della scuola. La quale non è in buona salute, come ci insegnano diverse ricerche. Spendiamo, pro capite, molto meno della media eu-ropea. Produciamo una percentuale di diplomati vergognosa, vicina al livello della Turchia, sicché le capacità di chi lascia la scuola a 15 anni sono deplo-revoli. Le nostre scuole, se funzionano bene, servono come strumento di ripro-duzione classista delle divisioni sociali.

Una delle ragioni principali è l’im-mobilismo prodotto da una specialità del sistema austriaco (e non sto parlan-do di esagerato federalismo in uno Sta-to più piccolo della Baviera, ma con 9 regioni, 9 legislature, 9 governi, e 9 leg-gi diverse su una lunga lista di materie amministrative. Oltre alla Costituzio-

ne, abbiamo anche le cosiddette “leggi costituzionali”, che sono servite alle maggioranze delle “Grandi Coalizioni” del passato a fregare perfino la Corte Costituzionale: anche se un disegno di legge è anticostituzionale, basta appro-varlo con la maggioranza di due terzi e timbrarlo da “legge costituzionale”. E le principali leggi che regolano il sistema scolastico sono quasi tutte di questo tipo. E’ dunque impossibile una riforma “di sinistra” quanto “di destra”.

Ora però c’è la crisi, ed ognuno (esclu-si quanti questa crisi l’hanno provocata) deve fare la sua parte per combattere l’emergenza. Bisogna risparmiare. Per fortuna, ci sono gli impiegati statali, in prima linea gli insegnanti. I quali lavora-no al massimo nove mesi all’anno, e poi insegnano 20 ore a settimana e ricevono stipendi fantastici per 40 ore settimanali e 12 mesi, se non hanno anche un se-condo lavoro in nero, magari disinteres-sandosi dei doveri amministrativi e di preparazione delle lezioni che dovreb-bero svolgere nelle rimanenti 20 ore.

Allora per riformare la scuola, per indivualizzare la didattica, migliorare l’insegnamento del tedesco per i giovani immigrati e ampliare l’offerta di servizi scolastici di pomeriggio, cosa indispen-sabile perché i genitori possano lavorare, la signora Claudia Schmied, socialde-mocratica ministra di Cultura ed Educa-zione (la stessa che in dicembre se n’era infischiata del parere del suo Ente per la Protezione, permettendo la distruzione della gigantesca “pittura panoramica” del 1809 per trasferirla nel costruendo museo faraonico sul Bergisel) la scorsa settimana ha annunciato che, a stipen-dio invariato, gli insegnanti dovranno lavorare 2 ore settimanali in più.

L’ha annunciato alla stampa dopo averne discusso col ministro delle fi-nanze, il vicecancelliere Josef Pröll,

capo dei popolari, il quale – secondo lei – le avrebbe dato via libera e assicurato la cooperazione del partner di governo.

Il sindacato degli insegnanti, con l’ap-poggio degli statali al gran completo, è insorto: mai e poi mai quest’infamia sa-rebbe passata, sciope-ro ad oltranza, sciopero generale degli statali, insomma il finimondo. Il pre-sidente degli statali che, guarda caso, è anche un pezzo grosso fra i deputa-ti popolari, ha detto che il suo partito avrebbe bloccato la ministra. Al che il vicecancelliere Pröll prontamente ha fatto marcia indietro: Con la ministra ha solo concordato i numeri del bilan-cio preventivo 2009-2010, per il resto, cavoli suoi. Ogni ministro si assuma le sue responsabilità, si adegui al bilan-cio, con delle misure anche fantasiose, come gli pare. Così finalmente, non si discute più sulle perdite delle banche Raiffeisen negli Stati emergenti dell’est, sui servizi pubblici (come la ferrovia statale) in difficoltà o sulle politiche anti-crisi inesistenti del governo. O si è con gli insegnanti, vittime di un gover-no ladro, o contro gli insegnanti, paras-siti e fannulloni.

Una scuola media, dai 10 ai 14 anni per tutti, al posto della scelta coatta, a 9 anni, se andare al liceo e poi all’uni-versità? Una scuola per tutti che non escluda gli handicappati? Una scuola moderna ed efficiente? Investimenti nel “capitale sociale” per prepararsi al futu-ro? Na sulenne minchiata, per dirla con Camilleri. Visto che c’è la crisi, bisogna trovare un capro espiatorio. Dagli all’in-segnante! ●

Dagli all’insegnante!Crisi economico-finanziaria? Non è più d’attualità: il dibattito verte su 2 ore in più nell’orario dei professori Gerhard fritz

Josef PröllA sinistra Claudia Schmied

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32 marzo 2009

p r o m e m o r i a

Rino battisti e la memoria del movimento operaioBandiere rosse al funerale dello storico sindacalista Mattia Pelli

Q ual era il tuo compito sui can-tieri? “Domandarghe agli ope-rai”. Quando Rino ha risposto

così alla mia domanda in uno dei primi nostri colloqui che ci avrebbero portato poi a scrivere il volume “Dentro le mon-tagne” (pubblicato dal Museo storico di Trento nel 2005), ricordo di aver avuto la netta sensazione di trovarmi di fronte a una di quelle figure che incarnano il me-glio della storia del movimento operaio italiano.

Poi è subentrata la conoscenza e l’amicizia, la fiducia reciproca e per me – storico alle prime armi – parlare con Rino era come attingere a piene mani alla storia viva del Trentino, una storia contraddittoria e per certi aspetti scan-dalosa, lontana dalla immagine con-venzionale, quasi da cartolina, che certe letture un po’ troppo accondiscendenti tendono a dare delle vicende di questa terra.

Rino Battisti, nato nel 1928 a Fondo, in Val di Non, era figlio di Giovanni, sol-dato austroungarico catturato in Russia durante la prima guerra mondiale che decise di aderire alla rivoluzione bolsce-vica. Per questo, tornato in Italia, venne internato all’Asinara, da dove tornò a Fondo soltanto nell’agosto 1919.

Questa storia del “padre con il berret-to dei bolscevichi” segnò lo sviluppo in-tellettuale di Rino, come anche i libri di Tolstoj e Victor Hugo, l’Unità e il corso di marxismo che seguì nel 1948 presso la federazione del Pci di Bolzano. A quei tempi Battisti era già iscritto al Partito Comunista, mentre il suo impegno sin-dacale nella Cgil inizia nel 1951, quando viene inviato nelle Giudicarie su richie-sta di un gruppo di operai dei cantieri idroelettrici che avevano raccolto 20.000 lire per sostenere le spese di un sindaca-lista in loco.

Da quel momento cominciò un la-voro certosino di organizzazione tra le migliaia di lavoratori giunti da tutta Italia per lavorare alla costruzione delle grandi dighe che negli anni ‘50 cambia-rono la faccia del Trentino, gli anni della “colonizzazione elettrica”, come li definì Aldo Gorfer.

Scriveva nel 1957 Mondo del lavoro, il periodico delle Acli trentine descri-vendo la situazione nelle Giudicarie: “I locali disponibili vengono occupati e sovraffollati dai pochi lavoratori in pos-sesso di qualche soldo, mentre gli altri se ne stanno ai margini della strada, finché non capita una persona caritatevole che raccoglie e ospita nella propria casa le decine e decine di lavoratori che mutano quasi giornalmente”.

Gli incidenti sui cantieri erano all’or-dine del giorno: nel 1952 quelli segnalati (ma quanti non lo erano?) furono 5.520, di cui 30 mortali. In questo contesto dif-

ficile i risultati del lavoro di Rino Battisti furono subito incoraggianti e indicava-no come gli operai dei cantieri fossero pronti a battersi per i propri diritti. Nu-merose furono le vertenze organizzate sui cantieri, ai quali spesso Rino non poteva nemmeno avvicinarsi, se non di nascosto, per paura di essere malamen-te cacciato dagli sgherri delle aziende. Centinaia le vertenze individuali per ottenere indennizzi e integrazioni alla busta paga ai quali gli operai avevano di-ritto; numerosi gli scioperi coronati da successo, come anche le battaglie perse. Lo strumento principe per fare tutto que-sto erano le commissioni interne dei can-tieri, la cui elezione era lo scopo princi-pale del lavoro di Battisti: nel 1955 la Cgil aveva 44 rappresentanti eletti contro i 9 della Cisl. E’ in questi anni che Giuseppe Mattei, segretario del sindacato cattolico, di fronte agli innegabili successi della Cgil disse a Battisti che per fare il sindacalista in quelle condizioni o si “crede a una reli-gione o si deve avere una fede politica”.

Una fede politica nella giustizia e nell’eguaglianza che Rino Battisti ha coltivato fino alla fine, sostenuto dalla combattiva moglie Giuditta e dai figli. Fede che lo ha spronato a cercare di fare divenire la sua storia individuale me-moria collettiva: le battaglie e i sacrifici di tanti lavoratori non potevano andare dimenticati.

Lo scorso 23 febbraio Rino è morto e la sua bara è stata salutata da tante ban-diere rosse e dalle parole dei molti amici in una cerimonia laica che ha riempito le strade di Bolognano.

E’ anche grazie al suo impegno che la Cgil ha ora deciso di dare avvio ad un lavoro di ricognizione storica sul movi-mento operaio e sul sindacato trentini. Il modo migliore per onorare la memo-ria di Rino. ●

A destra nella foto: Rino battisti con la moglie Giuditta Stagnoli.

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33QUESTOTRENTINO

Ringraziamo i 179.000* telespettatoriche tutti i giorni guardano i nostri programmi,

confermando RTTRla prima televisione locale

del Trentino Alto Adige

la TV del Trentino... e oltre

* dati Auditel Ottobre 2008 Contatti netti giorno medio 178.755

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34 marzo 2009

Carcere di Trento: una battaglia da combattereLa stampa nazionale (la Re-pubblica, il Corriere della Sera, ecc…), in occasione della pre-sentazione dei risultati del cen-simento del FAI (Fondo per l’Ambiente Italiano) sui “luoghi del cuore”, ha riproposto all’opi-nione pubblica italiana l’annosa questione della salvaguardia del carcere ottocentesco di Trento. Sul tema è tornato recentemente il presidente nazionale di Italia Nostra, Giovanni Losavio, ma-gistrato ed ex-presidente di Se-zione della Corte di Cassazione, con un intervento pubblicato sul numero di febbraio del Gior-nale dell’Arte, il più importante periodico nazionale di informa-zione nel settore dell’arte e dei beni culturali. Nel breve scritto, corredato da una fotografia dell’abside della chiesa del Buon Pastore (anch’essa condannata alla de-molizione dalla Giunta provin-ciale guidata da Lorenzo Del-lai), Losavio richiama lo Stato, in quanto proprietario dell’im-mobile, alle sue responsabilità, e in particolare ad esercitare le funzioni previste dal Codice dei Beni culturali e del Paesaggio, nel rispetto dell’articolo 9 della Costituzione. Alla base di questa battaglia non ci sono, dunque, le “emozioni del cuore” evocate da qualcuno, ma fondate “ragioni giuridiche e culturali”, che rinviano al clamo-roso mancato riconoscimento dell’interesse storico-artistico del carcere da parte della Com-missione Beni Culturali nel 1993 e della Soprintendenza per i Beni Architettonici della Provincia Autonoma di Trento nel 2003. La battaglia non è “ormai persa”, come sostiene il neoassessore

provinciale alla Cultura Franco Panizza, ma è tutta da combat-tere. Ci vogliono “soltanto” buo-na volontà, intelligenza e corag-gio, doti sempre più rare in chi ci amministra. Salvatore Ferrari - italia NoStra

Alpini e SchützenSono una trentina doc ma vivo fuori provincia. Vi scrivo per esprimere la mia indignazione nei confronti delle dichiarazio-ni rilasciate dagli Schützen di Brunico relativamente al mo-numento dell’alpino, conside-rato un monumento fascista, da abbattere. Gli amici Schützen farebbero bene ad informarsi prima di denigrare coloro che hanno dovuto chinare il capo e partire per una guerra non voluta e tanto meno capita. Af-fermo questo in quanto sono figlia di un alpino trentino che, a vent’anni, è stato chiamato alle armi ed inviato in Abissinia, a combattere una guerra per lui incomprensibile e ingiusta sen-za avere la possibilità di evitarla. Mio padre non era fascista e l’unica cosa che desiderava era vivere nel suo maso, tra la sua gente. E’ rimasto in Africa 18 mesi e lì ha patito la fame, ha conosciuto i pidocchi, ha visto i suoi amici morire, ha toccato con mano la miseria e la dispe-razione della gente etiope e non ha mai ucciso nessuno. E come lui tantissimi giovani trentini e altoatesini, suoi fratelli, arruo-lati nella divisione “Pusteria”, creata all’uopo e sciolta imme-diatamente dopo il rimpatrio. Altro che esaltati fascisti, non degni di avere un busto-ricordo in una piazza! Due anni fa ho pubblicato un li-bro dal titolo “Sulle orme del Le-

one bianco”. Parla proprio della campagna in Africa Orientale (anni 1936-7) ed il protagonista è un ragazzo di vent’anni, trenti-no, che soffre la nostalgia della sua terra, della sua gente, delle sue montagne e quotidiana-mente si interroga sul senso del-la sua presenza in quel lontano Paese. Ma gli Schützen di oggi, che si proclamano difensori del-le tradizioni e della terra natia, dov’erano in quel periodo? E, per favore, che lascino in pace gli etiopi. Con gli alpini hanno mangiato, hanno avuto strade, scuole, ospedali. In una parola la civiltà. Farebbero bene, gli Schützen, ad abbandonare la re-torica di cui spesso si ammanta-no ma che spesso puzza di razzi-smo, odio etnico. In una parola: ignoranza storica. Anche noi alpini amiamo la nostra terra e rivendichiamo con orgoglio le nostre tradizioni, dimostrando però rispetto per chi ci ha prece-duto e non ha avuto la possibili-tà di scegliere e, tanto meno, di esporre le proprie idee. Prima di giudicare sarebbe meglio prova-re a calarsi nella storia al fine di capire se c’erano alternative per i giovani alpini del “Pusteria”. Che tristezza questa vicenda! Noemi BoNapace

Un processo che non parteIncredibile! In un momento in cui la giustizia fa i conti con l’esagerata lunghezza dei pro-

cessi, a Trento per la seconda volta non viene fatta la notifica all’imputato per presentarsi al processo. Così la Corte si riuni-sce: giudice, pubblico ministero, gli avvocati, due di Milano e due di Trento, si trovano senza imputato a fare un processo che non si può fare.Ma chi è l’imputato che vive questa singolare situazione di non notificazione? E’ Emilio Giuliana, consigliere di Allean-za Nazionale, quello che è stato denunciato dai sinti e dai rom tramite le loro associazioni per aver in Consiglio comunale a Trento diffuso idee di odio e di-scriminazione razziale nei con-fronti delle popolazioni romanì. La legge Mancino prevede la condanna per quei politici che si macchiano di questo reato, e la sospensione dall’attività po-litica. La violenza nei confronti dei più deboli, degli emarginati, delle donne e degli stranieri sta diventando anche in Italia una realtà che spaventa. Ricordo gli stranieri dati alle fiamme, gli stupri di donne e bambine, no-tizie che hanno colpito in fondo allo stomaco tutti. Gli italiani si sentono minacciati da que-ste persone, da queste vittime? Abbiamo bisogno di inasprire le relazioni fra la diversità del-le persone con “pacchetti sicu-rezza” o abbiamo bisogno che i toni della politica trovino mo-derazione, rispecchino quei va-lori che hanno risollevato l’Italia dalle distruzioni della guerra e

l e t t e r e e i n t e r v e n t i

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35QUESTOTRENTINO

del fascismo? C’è bisogno di giustizia, di im-pegno sociale, di solidarietà, af-finché chi aggredisce anche solo verbalmente questi valori sia punito, in quanto mina la civile convivenza che crea il benessere sociale delle nostre comunità. aiZo – aSSociaZioNe italiaNa ZiNgari oggi

bambini e alta tensioneVogliamo esprimere la nostra preoccupazione in merito al progetto per la costruzione del-la Scuola materna di Nave San Rocco nelle immediate adiacen-ze della linea ad alta tensione da 130.000 Volt.La materia dell’elettrosmog ne-cessita di grande attenzione. A maggior ragione se si tratta di costruire una struttura adibita a luogo per bambini e se la linea in questione è di proprietà di RFI e dunque soggetta a possi-bili potenziamenti (di difficile contrattazione), con evidente possibile peggioramento degli attuali livelli emissivi.Non ci convincono, infatti, le rassicurazioni degli organi competenti, ricordando che recentemente, a Martignano, una linea elettrica di analoga potenza è stata spostata di circa un centinaio di metri dal cen-tro abitato. Non possiamo non chiederci per quali ragioni si sia dato ascolto alle preoccupazioni di quegli abitanti (con situazio-ne di criticità preesistenti) e non si debba fare altrettanto nel caso della costruzione (non ancora realizzata) della scuola materna di Nave San Rocco.Anche se l’argomento elettro-smog è complesso, ciò non do-vrebbe impedire di effettuare ulteriori approfondimenti, tra i quali l’ipotesi di una diversa

collocazione della nuova scuola in un’altra zona del paese lon-tana da fonti di inquinamento. A conferma della pericolosità dei campi elettromagnetici, tra i quali il rischio di leucemie nei soggetti più indifesi, ricor-diamo la documentazione del dott. Angelo Levis, scaricabile da: http://www.ecceterra.org/docum.php?id=1680. E a proposito di una situazione analoga verificatasi nel Comune di Mirano (Venezia), riportiamo la motivazione della sentenza del TAR Veneto del 13 febbraio 2001: “Deve essere accolta la do-manda cautelare di sospensione dell’atto di trasferimento di una scuola elementare in altro edifi-cio a ridosso di un elettrodotto in quanto, come richiede l’ultimo rapporto sull’argomento dell’Isti-tuto Superiore di Sanità, si deve dare il massimo grado di priorità a tutti gli interventi di preven-zione indirizzati agli spazi de-stinati all’infanzia, non essendo sufficiente il rispetto dei limiti di cui al D.P.C.M. 23 aprile 1992 ad escludere la pericolosità dell’espo-sizione ai campi elettromagnetici giacché non tiene conto degli ef-fetti a lungo termine sulla salute umana”. SimoNetta gaBrielli

preSideNte di NimBy treNtiNo

A proposito di “bonifiche”Sono stati condannati: 6 mesi di carcere, ammenda di 10.000 € e confisca di circa 5.000 mq di ter-reno. I signori Gabriele Degol e Giulio Misconel, titolari rispet-tivamente della società agricola “le Grave” e dell’impresa incari-cata di eseguire le opere di scavo nell’area ex Michelin di Trento, sono stati riconosciuti colpevoli dal Tribunale di Trento di vari

reati contro l’ambiente perpe-trati nel contesto dell’ormai nota “bonifica agraria” a vigneto nel territorio di Cadine.Per quanto attesa, questa con-danna non costituisce una buo-na notizia. O meglio, lo è solo in quanto evidenzia la capacità di intervento della magistratura (grazie!) e in quanto - si auspica - possa servire di monito agli in-teressati e alle Amministrazioni provinciale e comunale.Una sentenza di condanna non rappresenta però mai un buon segno. Non lo è perché costitu-isce purtroppo la conferma che sono gravi gli abusi attuati; che a certi imprenditori non bastano, evidentemente, i già larghi mar-gini di guadagno garantiti dalla gestione dei materiali inerti e dalla contestuale “valorizzazio-ne” di “sgrèbeni” acquistati per una manciata di euro e trasfor-mati (con spese a carico di terzi, derivanti dai proventi del depo-sito di materiali) in pregiati ter-reni a vigneto.Non lo è perché questa condan-na - probabilmente la prima di una serie che riguarda altri siti di discarica, da Roncegno a Sar-dagna, fa emergere che almeno qualche mela marcia c’è stata.Non lo è perché fa dubitare che la gestione del territorio trentino sia lungimirante e che le norme che la disciplinano e gli uffici che le applicano sappiano garantire i diritti dell’ambiente e delle co-munità. La condanna rinvia piut-tosto alla concretezza dei pericoli e dei danni che stiamo correndo e, più in generale, alla inadegua-tezza del modello culturale ed economico perseguito.Il vigneto de “le Grave”, ad esempio, si affaccia sul lago di Terlago, che a sua volta è im-missario dell’Adige e non risulta

che la presenza delle sostanze riscontrate nel terreno utilizzato per la “bonifica” costituisca un toccasana per ambiente, ani-mali, uomo. Lo stesso si inseri-sce in un contesto ambientale e paesaggistico particolare (è stata proposta la creazione di un parco carsico), del tutto stravol-to dalle centinaia di metri cubi di materiale già depositato o che si intende depositare. Tanto per capirci la zona era chiama-ta “Val”; ora di questa valle non resta che la strada per il lago di Terlago.Parallelamente gli imprendi-tori, restii a riconoscere le loro colpe, proseguono con la richie-sta di ampliamento della stessa “bonifica”, arrivando e dare per scontata la disponibilità di oltre 40.000 mq di terreno comunale gravato dai diritti di uso civico e addirittura della strada pubblica che li attraversa. Se ottengono la concessione, qualcuno potrebbe provare qualcosa di analogo an-che con piazza Duomo?E ancora: allo stesso vigneto è attigua la ex cava Italcementi, di proprietà anch’essa della fami-glia Degol, per la quale è stato recentemente avanzata la richie-sta di ripresa della “coltivazione” per poco meno di 200.000 mc, anche in questo caso sorvolan-do sul fatto che la cava interessa terreni di proprietà comunale. E sulla stessa cava anche la socie-tà Sativa Ambiente ha recente-mente avanzato presunti diritti di utilizzo come discarica.E’ facile capire che si tratta di una partita grossa, sia per esten-sione (circa 200.000 mq), sia per interessi economici (non meno di qualche decina di milioni di euro), sia ancora per la valenza pubblica e, più in generale, per l’ambiente.

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36 marzo 2009

w

Soffermandoci su questi due ultimi aspetti e gettando un’oc-chiata anche a quanto succede sul vicino Bondone, nella città e in provincia, è opportuno porsi qualche domanda.Siamo sicuri che questo model-lo di sviluppo intensivo e priva-tistico sia quello da seguire per una reale valorizzazione del ter-ritorio e delle sue potenzialità e per un miglioramento, anche economico e della qualità della vita, non effimero e limitato ai soliti pochi? Non è preferibile gestire in un’ottica realmente pubblica in-terventi destinati a modificare notevolmente l’assetto ambien-tale e sociale di un’area? Op-pure (non è qualunquismo) ci rassegniamo a constatare che la politica, l’amministrazione e le norme si preoccupano solo delle piccole cose e intervengono solo per i piccoli abusi, a meno che un privato cittadino (in questo caso il sig. Claudio Taverna) o un piccolo gruppo locale (“la Regola”) non si premurino di documentare gli abusi e di ri-volgersi alla Magistratura e al Difensore civico?Non è possibile e, alla prova dei fatti, necessario traguardare gli interessi contingenti e dei sin-goli privati per rapportare gli interventi con una politica con-sapevole di lungo periodo e che sappia ottimizzare i benefici per il pubblico e per l’ambiente? Ri-cordandosi magari che la nostra generazione sarà probabilmente la prima a consegnare a quella successiva un mondo peggiore.roBerto cimadom

per il gruppo “la regola” di cadiNe

Psichiatria sotto inchiestaIn un recente caso salito all’ono-re delle cronache un ragazzo trentino è stato erroneamente diagnosticato con una gravissi-ma malattia mentale e sottopo-sto a ben tre TSO (trattamenti sanitari obbligatori) quando un noto psichiatra di Firenze ha dichiarato senza mezzi termini che non aveva “nessun disturbo psichiatrico”. Il ragazzo è dovuto fuggire in Toscana dove un pro-gramma realmente condiviso e rispettoso della dignità umana sta lentamente risanando i danni pro-vocati dalle cure psichiatriche ob-bligatorie imposte dalla psichiatria trentina. Sfortunatamente questo caso non è un’eccezione. Nell’interrogazione presentata dal Consigliere Pro-vinciale Mauro Delladio si legge: “Purtroppo, nonostante le inten-zioni garantiste del legislatore, ci pervengono segnalazioni di eventuali abusi e violazioni dei diritti fondamentali della perso-na per quanto concerne la libertà personale e di scelta terapeutica. Diagnosi sbagliate, assunzione forzata di psicofarmaci, man-canza di un vero consenso in-formato, mancanza di terapie alternative, TSO immotivati, psi-chiatrizzazione di soggetti dipen-denti da sostanze da un punto di vista tossicologico e, non ultimo, incompetenza dei Sindaci sono solo alcuni aspetti della questio-ne molto complessa esposta dal presente atto.”Secondo noi, probabilmente gli abusi segnalati sono solo la punta di un iceberg, dato che i pazienti che ci hanno contatta-

to non hanno avuto il coraggio di denunciare pubblicamente gli abusi subiti per il timore di ritorsioni. Questo clima non de-pone certo a favore delle strut-ture locali. Ci auguriamo che quest’interrogazione faccia luce sulla situazione della psichiatria trentina e che questi abusi pos-sano diventare un triste ricordo del passato. comitato dei cittadiNi

per i diritti umaNi, treNto

“Mutande” clandestine?Vi segnalo che il libro “Rotte mutande” di Pierluigi Tamanini (di cui avete parlato nella rubri-ca “Sfogliando s’impara”) pare non esista, è introvabile. Sem-bra che Tamanini abbia fatto stampare un totale di 40 copie, vendute tutte (da qui il best- sel-ler), ma che oltre alle presunte dichiarazioni riportate dai suoi altrettanto presunti lettori, nes-suna libreria o edicola lo abbia mai visto o letto.giovaNNa

A proposito di stipendiE’ sempre la stessa questione, quella dei lauti compensi dei personaggi del mondo dello spettacolo. E la doglianza si acuisce nei periodi di crisi come questo. Ma il gioco è più grande di noi, e il mercato regola anche i cachet di questi personaggi. Fintanto che ci sarà un pubblico disposto a considerarli diver-tendosi per le loro performance televisive, i loro agenti potranno chiedere cifre spaventose. Se-condo me bisogna demistificare il circo mediatico, in fondo è solo intrattenimento, e dunque non un momento determinante per la società. Divertire e fare

compagnia alla gente è un la-voro benemerito, ma il costo di questa attività non è giustificato dal beneficio che porta. Se fac-ciamo un’analisi comparativa, allora potrebbero giocare al rial-zo, giustificati dalla loro funzio-ne di necessità, i professionisti della medicina, del diritto e tutti quelli che col loro lavoro opera-no per risolvere problemi gravi. Se per presentare un festival di Sanremo dobbiamo spendere un milione per il solo presenta-tore e il risultato è qualche ora di divertimento (e non per tut-ti), cosa dobbiamo spendere per garantire la vita a persone affette da malattie incurabili, costruire opere di ingegneria, garantirci una difesa quando qualcuno si trova imputato di reati molto gravi? Non è solo il mercato dell’effimero a garantire il giu-sto prezzo del lavoro, ma anche quello che effettivamente uno dà alla società.demetrio BertoliNi

Marketing selvaggioIl Governo ha inserito nel cosid-detto “Decreto milleproroghe” un emendamento per permet-tere alle società di call center di usare fino al 31 dicembre 2009 le banche dati costituite sulla base di elenchi telefonici pub-blici formati prima del 1° agosto 2005. Le campagne di telemar-keting hanno rappresentato in questi ultimi anni una piaga sociale, cui nemmeno le ripetu-te dichiarazioni di illegittimità e sanzioni da parte del Garan-te della Privacy sono riuscite a mettere un freno. Spesso queste pratiche commerciali, oltre ad essere moleste, hanno dato luo-go a raggiri a danno soprattutto dei più deboli.

l e t t e r e e i n t e r v e n t i

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37QUESTOTRENTINO

w

Primo marzo 1939: l’opzione dimenticata della Tirol Colonie

Qualche mese prima dell’accordo d’opzione del 23 giugno 1939 sul trasferimento dei sudtirolesi di lingua tedesca nel Reich, il governo di Roma firmava un accordo con la Yugoslavia relativo alle persone di lingua italiana presenti nel villag-gio bosniaco di Mahovljani, comune di Maglaj o originarie di Mahovljani e residenti nei villaggi vicini. Era il 1° marzo del 1939.Chi erano queste persone, da dove provenivano?Nel 1882 si scatenò sul Trentino una devastante alluvione che colpì soprattutto la val d’Adige e la Valsugana e che mise in ginocchio l’economia agricola. Così, nei primi mesi del 1883, qualche centinaia di persone senza possibilità di lavoro lasciarono la propria valle ed emigrarono. Il go-verno asburgico aveva individuato un territorio, la Bosnia Erzegovina, dove avrebbero potuto ri-farsi una vita, un territorio che era stato assegna-to in amministrazione alla monarchia asburgica qualche anno prima, nel 1878, in seguito alla sconfitta militare che l’impero ottomano aveva subito contro l’impero russo.In Bosnia Erzegovina Francesco Giuseppe stava attuando una politica di colonizzazione religiosa trapiantando, principalmente nella parte setten-trionale della regione, lungo la riva destra della Sava, ceti popolari cattolici di varie nazionalità provenienti da zone interne dell’impero per con-trastare la massiccia presenza musulmana che si trovava sull’altra sponda del fiume. Vi furono in-sediati cechi, polacchi, rumeni, tedeschi e trentini. Si formarono due centri di attrazione dell’immi-grazione trentina, uno attorno a Maglaj al Vrbas che raggruppò le famiglie provenienti da Aldeno e dai dintorni di Trento, ed uno presso Prniavor, che raggruppò col tempo le famiglie valsuga-notte. Racconta nelle sue memorie, Domenico Cortelletti che ad ogni famiglia furono assegnati 12.000 mq per ogni maschio e 6.000 mq per ogni femmina. Questo gruppo di non più di 500 per-sone fu denominato Tirol Colonie Mahovljani. Due generazioni dopo, frantumatosi da vent’an-ni l’impero nel primo conflitto mondiale, in un contesto storico dove il nazionalismo conosceva

il suo apice, e in un quadro politico dove il re-gime fascista già dal ’38 progettava la conquista dell’Albania, suscitando non pochi malumori nei confronti della Jugoslavia, alla comunità trentina di Mahovljani venne proposta l’opzione di trasfe-rirsi in Italia, da esercitarsi entro sei mesi. L’op-tante rinunciava alla cittadinanza jugoslava e si impegnava a partire con destinazione uno Stato del quale i propri avi non erano mai stati sudditi: il Regno d’Italia, al cui governo da 16 anni si era insediato Mussolini. Similmente all’accordo d’opzione siglato a Ber-lino riguardante il Sudtirolo, anche per la Ti-rol Colonie fu il Ministro degli Esteri Galeazzo Ciano a definire con la Jugoslavia le condizioni dell’accordo.

La Tirol Colonie optò in massa per l’Italia. Il tra-sferimento avvenne in tre fasi: un primo gruppo partì il 14 gennaio 1940, il secondo partì il 18 marzo e un terzo il 5 maggio. La zona di insedia-mento fu l’Agro Pontino, che era stato bonificato e che ora il Duce intendeva popolare. I bosniaci oriundi trentini furono insediati a Po-mezia, Ardea ed Aprilia. Così racconta il viag-gio di trasferimento Domenico Cortelletti nelle sue memorie: “Arrivati a Trieste ci venne dato un premio di 3000 lire… e il pranzo. Proseguimmo verso Roma poi da lì alle stazioni di Pomezia e di Campoleone, ad ogni stazione di fermata venim-mo chiamati, famiglia per famiglia, e ricevemmo il numero di podere assegnatoci, un cesto con due pagnotte di pane, un litro di olio, due chili di pa-sta, un fiasco di vino, questo ad ogni famiglia… Veniva dietro di noi un altro carro con un po’ di mobilia: un tavolo, una credenza, un cassone per la farina e per ogni membro della famiglia poi una sedia, una branda, col materasso di crine, due len-zuola e due coperte”. Poco meno di quattro mesi dopo quel 1° marzo in cui la Jugoslavia e l’Italia si accordavano per spostare nel Lazio la piccola comunità trentina, sarebbe toccato ai sudtirolesi subire l’opzione per emigrare nel Reich e qui le persone che lasciaro-no la loro Heimat, agli inizi degli anni ’40, furo-no oltre 70.000 di cui più di 50.000 non fecero più ritorno.

Paolo Cova

L’attuale normativa in materia di elenchi telefonici prevede che possano essere oggetto di telemarketing solo chi vi ha espressamente acconsentito., il che forniva un (pur debole) strumento di difesa. Con questo emendamento le società di call center potranno ricominciare a bombardare di chiamate a qual-siasi ora tutti quei cittadini che comparivano su un elenco tele-fonico anteriore al 2005. E tutto questo con la garanzia dell’im-punità.Stigmatizziamo questo enne-simo passo indietro in materia di tutela dei consumatori e au-spichiamo che l’emendamento venga ritirato. Con l’occasione rinnoviamo il consiglio di inter-rompere immediatamente qual-siasi conversazione avente ad oggetto offerte di beni o servizi. Spesso, infatti, soprattutto quan-do si ha a che fare con le com-pagnie telefoniche, è sufficiente dare un generico consenso a ricevere materiale informativo per vedersi attivare tutti i servizi possibili e immaginabili.ceNtro ricerca e tutela

coNSumatori uteNti

errata corrigeSullo scorso numero di QT, a pag. 10, avevamo scritto che in Trentino, nel 2006, sono stati venduti 54,96 kg di sostanze attive contenute nei fitofarmaci, omettendo di precisare che il dato si riferisce non al totale, ma ad ogni ettaro di superficie coltivabile.

Sempre nel numero di febbraio, l’occhiello dell’articolo a pag. 28 (“Il voltafaccia del Pacifico”), di Carlo Saccone, era palesemente sbagliato a causa della scomparsa di un paio di parole.la dicitura esatta avrebbe dovuto essere la seguente: “Giappone, Corea, Cina: due amici fidati e un ex nemico un tempo ininfluente stanno diventando concorrenti pericolosi.le nostre scuse ail’autore e ai lettori.

Maglaj oggi.

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38 marzo 2009

m o n i t o r p r e s e n t a z i o n i

Teatro & Musica

6-25 marzoMARzO AllO SPAzIO OffTrento, Spazio off, via Venezia, ore 20.45.Dal 6 al 10 marzo, “Sogno di una notte di mezza estate”, di Carmen Giordano: un sogno che fa muo-vere lo spettatore attraverso i locali del piccolo spazio di via Venezia. Il 21 e 22 marzo, “Mi sono arreso ad un nano”, monologo musicale di Massimiliano Loizzi ispirato a Pietro Ciampi. I mercoledì, tre concerti: l’11 con il milanese Yuri Beretta, il 18 con il folk mediterraneo di Aronne Dall’Oro, il 25 con il talento can-tautoriale di Ducoli. (a.b.)

Jazz

6-22 marzo“dOlOMITI SkI JAzz”Trento, Spazio off, via Venezia, ore 20.45.Dolomiti Ski Jazz: questo è il nuo-vo nome del festival da 12 anni colonna sonora delle piste della val di Fiemme, che quest’anno si espande al Primiero e alla val di Fassa. Da venerdì 6 a domenica 22 marzo nei rifugi, nelle malghe, negli hotel saranno di scena il jazz e le sue contaminazioni, dal funky, allo swing, alla musica gitana. Ar-tisti di nome internazionale, tra cui Jack Walrath e Jorge Rossy, si esibiranno invece la sera nei teatri delle valli. Per info e programma www.dolomitiskijazz.com. (t.g.)

Classica

10 e 24 marzo fIlARMOnICA dI TRenTOTrento, Sala Filarmonica, ore 20.45.La stagione n° 214 della Filarmo-nica di Trento propone in marzo grandi nomi, spesso presenti nel-le più famose concert halls e nei cataloghi discografici. Nella sala di via Verdi si esibirà martedì 10 il Quartetto St. Lawrence, forma-zione di solida esperienza interna-zionale. Martedì 24 sarà invece la volta dello straordinario violinista americano Joshua Bell, con Jeremy Denk al pianoforte. (t.g.)

Cinema

10 marzo - 7 aprileCInefORUM ROVeReTORovereto, Auditorium Melotti, ore 21.La programmazione del Nuovo Cineforum di Rovereto prosegue il 10 marzo con “The hurt locker”, di Katheryn Bigelow, immersione nello sguardo soggettivo dei mili-tari americani incaricati di disin-nescare bombe. Il 24 marzo con “Control”, su Ian Curtis, leader dei Joy Division. Il 31 marzo con “Deep water”, docu-fiction su un padre di famiglia che, spinto dai debiti, ten-ta un giro del mondo in barca in solitaria. L’ultimo film (7 aprile) è “Reign over me”, sul trauma dell’11 settembre visto attraverso un de-stino individuale.(a.b.)

Classica

11 marzoORCheSTRA hAydnTrento, Auditorium, ore 20.30.L’orchestra Haydn continua la celebrazione dei 200 anni dalla morte del musicista di cui porta il nome, eseguendo in tutti i mer-coledì del mese una delle 104 sin-fonie da lui composte. Spiccano i nomi dei direttori Umberto Be-nedetti Michelangeli (11 marzo, con il mezzosoprano Franziska Gottwald) e Alain Lombard (25 marzo), e del violinista Uto Ughi (1° aprile, con il baritono Roberto Abbondanza sotto la guida di Yves Abel), impegnato nel concerto di Čajkovskij, oltre al direttore stabi-le Gustav Kuhn (18 marzo). (t.g.)

Classica

14 marzo - 2 aprilefIlARMOnICA dI ROVeReTORovereto, Sala Filarmonica, ore 20.45.Un mese ricco di appuntamenti per la Filarmonica di Rovereto. Si comincia giovedì 14 con il chitar-rista Lorenzo Micheli. Riscoperta della famiglia Bach sabato 21, con la violinista Chiara Banchini, ce-lebre barocchista. Musiche dal mondo martedì 27 con la voce di Karina Oganjan, la chitarra di Frédéric Zigante e la fisarmonica di Corrado Rojac. Giovedì 2 aprile, infine, l’Orchestra Haydn, guidata da Marco Mandolini, anche in ve-ste di solista, eseguirà le “Quattro stagioni” di Vivaldi. (t.g.)

danza

17 marzo“UPRISInG & In yOUR ROOMS”con la Hofesh Shechter Company. Trento, Teatro Sociale, ore 20.30. Nome di punta della scena core-ografica britannica, Hofesh tra-sporta nelle sue coreografie il vi-gore dei suoi trentatrè anni e della sua precedente carriera di batteri-sta in una rock band, che da Israele lo ha portato fino in Inghilterra. In “Uprising”, sette interpreti - incluso lo stesso coreografo - bombardano il palco con una performance a dir poco esplosiva, la cui atmosfera elettrizzante viene solo in parte mitigata, in “In your rooms”, dall’en-trata in scena della parte femminile della compagnia. (g.s.)

Tea2tro

17-18 marzo“MIChelInA”Rovereto, Auditorium Melotti, ore 20.45.con Amerigo Fontani, Giampiero Ingrassia e Maria Amelia Monti. Regia di Alessandro Benvenuti . Musiche di Edoardo Erba, Un po’ commedia leggera, un po’ musical, “Michelina” racconta di una mondina che, nei primi anni del dopoguerra, diventa la sou-brette di uno scalcagnato cantante e successivamente s’innamora, ri-cambiata, nientemeno che di un cardinale, arrivato sul posto in cer-ca del terzo miracolo necessario alla santificazione di una pia donna… Seguono intrecci vari all’insegna della comicità e del lieto fine. (d.d.)

Joshua bell

Chiara banchiniJack Walrath

Maria Amelia Monti

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39QUESTOTRENTINO

Teatro

21 marzo“MAnGIAMI l’AnIMA e POI SPUTAlA”Trento, Teatro San Marco, ore 20.45.La compagnia Fibre Parallele di Bari porta in scena “Mangiami l’anima e poi sputala”, un interes-sante lavoro sul tema del sacro, della tradizione cattolica, della figura del “devoto”: una beghina entra in dialogo con un Cristo che si rivela troppo spiazzante, troppo umano. Una rappresentazione ironica, cinica, barocca. (a.b.)

Teatro

19-22 marzo“ROMOlO Il GRAnde”di Friedrich Dürrenmatt, traduzio-ne di Aloisio Rendi, con Mariano Rigillo, Anna Teresa Rossini, Mar-tino Duane, Nicola D’Eramo. Regia di Roberto Guicciardini.Trento, Teatro Auditorium, ore 20,30. Domenica 22: ore 16.L’impero romano è allo sfascio e mentre i germani sono alle por-te, l’ultimo imperatore, Romo-lo Augustolo, disgustato della grandezza del passato, si diletta di pollicoltura. Ma anche Odoa-cre, una volta conquistata Roma, è stanco di guerra… Una “commedia storica che non si attiene alla storia”, una satira brillante, surreale e impietosa sul potere e sui suoi vizi, che vuole far pensare lo spettatore fino a sorprenderlo nel finale. (m.s.)

Teatro

24 marzoIl TeATRO dellA dIASPORA ebRAICAa cura di Olek Mincer.Pergine, Teatro delle Garberie.Il Teatro delle Garberie organiz-za a Pergine un ciclo di incontri teatrali sul tema dell’iniziazione o dell’approfondimento delle cultu-re altre. In programma il 24 marzo un viaggio nella cultura ebraica, a cura di Olek Mincer, che ci por-terà in particolare a riflettere sul rapporto tra la tradizione ebraica e la parola, infinitamente letta, in-terpretata, re-interpretata. (a.b.)

Teatro

26 marzo“AleXAndeR lAnGeR, PROfeTA TRA GlI STUPIdI”Trento, Teatro Cuminetti, ore 21. drammaturgia di Andrea Bru-nello e Mirko Artuso, con Andrea Brunello. Regia di Mirko Artuso.Il 3 luglio 1995 Alexander Lan-ger si impiccò ad un albero a Pian dei Giullari, in Toscana. Era l’ultimo atto disperato di una delle personalità politiche e culturali più lungimiranti che il nostro Paese abbia avuto in tem-pi recenti. In questo senso Lan-ger fu un vero profeta, oltre che l’anima del pacifismo europeo e del movimento ambientalista. Questo spettacolo non vuole essere una sua biografia, ma, appunto, l’illustrazione del-le intuizioni – tanto scomode quanto necessarie – che Langer, inascoltato, aveva prospettato per un futuro più giusto nei rap-porti fra le nazioni. (m.s.)

Cantautori

28 marzolUCA CARbOnITrento, Auditorium S. Chiara, ore 21.“Musica Ribelle” è l’ultimo inte-ressante album di cover di Luca Carboni, che riscopre alcuni im-portanti brani impegnati degli anni ‘70 (Lolli, Bertoli, De Gre-gori, Jannacci, Edoardo Benna-to, Dalla, Finardi). Un tentati-vo ammirevole da parte di un artista navigato che finalmente applica il proprio minimalismo all’indagine storica musicale e spinge il proprio romanticismo verso una delle decadi di più grande impegno politico e so-ciale. (g.g.)

dibattiti

31 marzoCOnVeGnO SUllA COnTRO-InfORMAzIOneLuogo e ora da definire.Si parla tanto di contro-informa-zione: ma qual è l’informazione alla quale essa si contrappone? E se fosse la contro-informazione ad essere veramente informazio-ne? Un convegno affronta que-sti temi, parlando di mafia, di giornalismo di strada, di stampa locale. I relatori: Riccardo Orio-les (giornalista anti-mafia, www.ucuntu.org), Elio Teresi (Radio Aut), Ettore Paris (Questotren-tino). Modera Raffaele Crocco (giornalista RAI). Per ogni in-formazione su luogo e program-ma rimandiamo al sito: www.arcideltrentino.it . (a.b.)

Teatro

2-5 aprile“I dUe GeMellI VenezIAnI”di Carlo Goldoni, con Massimo Dapporto, Alessandra Raichi, Gio-vanna Centamore, Osvaldo Rug-gieri, Francesco Gusmitta. Regia di Antonio CalendaTrento, Teatro Auditorium, ore 20.30. Domenica 5: ore 16.La pièce (1747) appartiene anco-ra al primo Goldoni e ricalca le strutture tipiche della Comme-dia dell’Arte, con i suoi intrecci complicati, i lazzi comici, le as-surdità della trama. La storia è quella di due gemelli (lo sciocco Zanetto e il raffinato Tonino, en-trambi interpretati da Massimo Dapporto) e degli equivoci amo-rosi che nascono a causa della contemporanea presenza in Ve-rona dei due. Ma la storia ha una conclusione imprevedibilmente drammatica. (m.s.)

20092009

QT Card: gli enti convenzionati

A oltre due mesi dal lancio dell’iniziativa, il bilancio è po-sitivo: i nostri abbonati pos-sono fruire a prezzo scontato di spettacoli ed eventi in tutti i campi artistici. Ecco la lista degli enti convenzionati: OrienteOccidente, Drode-sera, InDanza, Teatro Cu-minetti, Teatrincorso Spazio 14, Spazio Off, Filarmonica Rovereto, Futuro Presente, Cineforum Rovereto, Ci-neforum Trento.

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40 marzo 2009

Arte

Nuovi ospiti alle AlberedOnAzIOnI e dePOSITI dAl 2004 Al 2008 duccio dogheria

A Palazzo delle Albere è in corso, fino al 31 maggio, una mostra che presenta le donazioni e i depositi confluiti nelle collezioni del Mart negli ultimi anni, inerenti principalmente l’arte del XIX secolo. Donazioni e depositi sono il cuore pulsante del museo, ciò che rende l’istituzione viva, in divenire. Più delle mostre mordi & fuggi, magari itineranti e in affitto, la collezione permanente rappresenta la stratigrafia di quanto un museo sia in dialogo col territorio. Ed è altresì un patrimonio tramite il quale entrare in relazione con altre realtà museali: il ricco nucleo di dipinti di Morandi della collezione Giovanardi, depositata al Mart, è ad esempio esposto in questi giorni alla Phillips Collection di Washington.Come accennato, il percorso, scandito non dalla cronologia delle opere bensì dalla loro provenienza da singole collezioni, presenta per lo più opere relative al XIX secolo, sebbene non manchino lavori dei primi decenni del Novecento come opere d’arte antica.Tra queste, di particolare interesse risultano due nature morte del romano Mario Nuzzi, detto Mario dei Fiori (1603-1673), una terza del Crivellino (notizie 1714-1736) e un’allegoria del francese Louis Dorigny (1654-1742), oltre a una serie di ritratti settecenteschi appartenenti alla famiglia Firmian.Tra le opere pienamente ottocentesche, non aliene da un certo sentimentalismo

delle piccole cose a tratti languido, un posto di primo piano spetta a La morte del pulcino (1878) di Antonio Rotta, mentre una pittura di genere più fresca, ambientata nella brulicante vita veneziana, è Ciacole (1885-1890) di Alessandro Milesi, ma anche Favretto al Liston (1893) di Eugenio Prati, ambientata in piazza San Marco, omaggio che l’artista trentino volle rendere all’amico da poco scomparso, ritratto nella scena mentre ammira una giovane donna. Del Prati è esposto un altro capolavoro, Visione del Tiepolo (1896-1905), inno alla pittura tonale. A proposito di arte trentina dell’Ottocento, il percorso documenta anche gli altri due massimi esponenti: Giovanni Segantini (Ortensie, opera giovanile a carattere decorativo; Natura morta con cacciagione, donata al Mart a seguito di una sottoscrizione pubblica promossa da L’Adige) e Bartolomeo Bezzi, testimoniato da più opere, tra le quali si segnala Arco di Settimio Severo (1883).Avvicinandosi agli anni a cavallo tra XIX e XX secolo, il percorso presenta un gruppo di opere influenzate dai fermenti antiaccademici e antinaturalisti promossi dalle secessioni (Monaco, 1892; Vienna, 1897; Berlino, 1898). Un primo caso è quello del bolzanino Alois Delug, le cui Norme (1895), opera dedicata alle dee del destino della tradizione nordica, sono dense di riferimenti wagneriani e simbolisti. Su modelli klimtiani -di Klimt è esposto a proposito un prezioso disegno del 1914-1916)- si muovono

anche Luigi Bonazza (La leggenda di Orfeo, 1905, incastonato in una cornice figurata con intarsi d’ottone e madreperla, realizzata dallo stesso artista) e il suo allievo Dario Wolf, i cui eredi hanno donato alcune incisioni e soprattutto un trittico dedicato alla Cacciata dei Titani (1932).Dalle secessioni nordiche a quelle veneziane: un buon numero di opere riguarda infatti gli artisti che parteciparono, a partire dal 1908, alle mostre di Ca’ Pesaro, promosse da Nino Barbantini: dal trentino Umberto Moggioli (Il ponte verde, 1991; Primavera, 1918) fino a Pio Semeghini (Gianna che legge, 1931) e Gino Rossi (Tre donne danzanti, 1910; Testa di pescatore, 1910), quest’ultimo vicino alla poetica della scuola di Pont-Aven. Alla Francia si rifanno pure altri due importanti artisti presenti: Anselmo Bucci (I giocolieri, 1923), fresco di una rinnovata plasticità fondata sul disegno, che lo ha reso uno dei protagonisti degli artisti di “Novecento”, e Federico Zandomeneghi. Di quest’ultimo, che dal 1878 prese parte a Parigi alle mostre degli impressionisti, sono presenti ben tre ritratti femminili: Signora con cane, Donna con occhi azzurri e Ritratto di fanciulla con fiore.

m o n i t o r r e c e n s i o n i

MOSTRe

ARTe SellA: PeRSOnAle dI lynn CARVeRfino al 3 maggio.

Giunta in Italia negli anni ‘80, l’artista Lynn Carver dalla caotica New York si stabilisce in una casa di pietra tra i boschi asolani. Nella terra cara a Pietro Bembo avvia una produzione di opere che utilizzano come medium espressivo l’antica arte tessile, sebbene portata avanti in maniera innovativa (d.d.)

GIUSePPe AnGelICO dAllAbRIdAArco, Galleria Civica, fino al 10 maggio .

Refrattario al clima tardo romantico in cui si formò, Giuseppe Angelico Dallabrida (1874-1959) preferì alla pittura di storia di taglio accademico il paesaggio montano trentino, dal lago di Caldonazzo alle vedute di San Michele all’Adige e Grumo. Attraverso 40 dipinti, il percorso introduce a al lavoro di questo singolare artista che era solito impastare coi colori erba e altri materiali organici. (d.d.)

Umberto Moggioli, Primavera (1918)

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41QUESTOTRENTINO

Il disco

Il plagio coloratofelIX lAlù Gigi Ghezzi

Lo scorso mese, Felix Lalù ha presentato il suo quinto album. El se sentiva Soul è il titolo prescelto dal “discreto pubblico” di Felix, in un sondaggio attivato sul suo blog. L’album è un complesso coacervo di storie senza copione che si sono intrecciate nella vita del nostro sedicente profeta Felix Lalù: si passa da sampler cinematografici (Cronenberg, Leone, film porno, parodie pubblicitarie) a recitazioni di amici, tra i quali mi va di citare l’inarrivabile Nicola Sordo, alias Dj Nillo e Luzzando Festi. Felix Lalù è anche autore di opere coloratissime che seguono una quasi inconsapevole linea di recycling art: composizioni in acrilico e pennarello indelebile su ante di armadi, cerchi di stufa, ecc.; arte ambientalmente sostenibile ed economica (no, le radici nonese non si rinnegano). Per chi ha osservato queste opere, non è difficile immaginare che il Profeta abbia utilizzato la stessa poetica per la composizione dei suoi brani.In El se sentiva Soul, il reggae si ibrida alla canzone alpina, mentre le intenzioni evangelizzatrici emergono quando Felix si fa profeta dell’autocompiacimento (Ora Pro Felix, Le lu la lu e la geniale Poco Dio). La blasfemia, cavallo di battaglia di Felix, non è mai irriflessa, non è conato

adolescenziale, ma arma sarcastica che raggiunge livelli impareggiabili nelle performance live del Profeta.Discorso a parte meriterebbe l’utilizzo del dialetto da parte di Felix, per il quale la lingua del paese non è beota manifestazione di localismo, ma bacino di ironia sull’identità trentina (La Fera dei Set; El Fret) e soprattutto è espediente sonoro (La Sort), simile - nelle intenzioni, ma non negli esiti seriosi - alle sperimentazioni linguistiche dei Sigur Ros. Ultima segnalazione di dovere è la cover di Bartali di Paolo Conte, una delle poche originali in circolazione.El Se sentiva Soul è acquistabile in versione Deluxe presso la casadiscografica La Ostia, Registrazioni artigianali ([email protected]) con disegni di Felix da colorare, 8 euro, altrimenti scaricabile dal suo blog.

Classica

Due concertidAI VIRTUOSI ITAlIAnI All’enSeMble zAndOnAI Tullio Garbari

Doppio appuntamento con gli archi in Sala Filarmonica martedì 17 e mercoledì 18 febbraio. Vero protagonista della prima serata è stato il violinista Massimo Quarta, nell’occasione anche alla direzione de I Virtuosi Italiani, con la pianista Lilya Zilberstein; e il denso Concerto per violino, pianoforte e quartetto d’archi di Ernest Chausson (nella versione con l’orchestra al posto del quartetto) è stata la vetrina ideale. La coppia ha saputo dividersi tra una non facile gestione dell’orchestra, apparsa a tratti disorientata, e le virtuosistiche parti solistiche, e ha conquistato il pubblico con una esecuzione precisa e di grande potenza (senza dimenticare le sfumature), supportata dal suono comunque di grande spessore degli archi. Nella

seconda parte l’orchestra ha proposto due partiture poco conosciute, il magnifico Preludio dall’opera Capriccio di Richard Strauss e la riscrittura di Mahler del Quartetto “Serioso” op. 95 di Beethoven. Sotto la ferma direzione di Quarta, che ha stupito anche in questo ruolo, i Virtuosi Italiani hanno mostrato la loro valenza tecnica, con un timbro ricco di colori e un forte impatto sulla sala.Serata di celebrazioni invece per l’Ensemble Zandonai, che ha ricordato mercoledì 18 il bicentenario della morte di Haydn e della nascita di Mendelssohn. L’orchestra da camera, testimoniando il livello dei molti giovani strumentisti locali che suonano nelle sue file, ha confermato l’eccellente valore espresso negli ultimi anni, che forse meriterebbe un’attenzione diversa da parte del mondo musicale trentino. Si comincia con la splendida esecuzione, per precisione tecnica e qualità musicale, del Concerto in re maggiore per violoncello di Haydn ad opera di Stefano Guarino; poi, sempre di Haydn, la Sinfonia n. 49 “La Passione”, come sempre sotto la guida di Giancarlo Guarino. Nella seconda parte, invece, Fulvio Luciani (violino) e Riccardo Zadra (pianoforte) non convincono appieno nel Concerto per violino, pianoforte e archi, opera giovanile (e non di grande valore) di Mendelssohn. Gradito, dopo il concerto, il brindisi organizzato da alcune amiche dell’Ensemble.

lilya zilberstein

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42 marzo 2009

Teatro

Metti una sera a bolzanol’OTellO dI AUTellI: IGnORATO A TRenTO, APPlAUdITO In AlTO AdIGe daniele filosi

Capita sempre più spesso che per scoprire cosa si muove davvero nel teatro italiano ci si debba muovere al di fuori del Trentino. Le stagioni teatrali cominciano a volgere al termine, e i primi bilanci di pubblico e critica fanno pensare che la proposta non sia stata all’altezza delle aspettative. Specie

se poi, a conti fatti, spettacoli validi o comunque interessanti li si debba cercare nei circuiti meno battuti o, come in questo caso, fuori provincia. E’ il caso, appunto, dell’Otello del giovane regista milanese Claudio Autelli, visto a metà febbraio al Teatro Studio dello Stabile di Bolzano: un lavoro senza sbavature, che usa il testo di Shakespeare come una leva potentissima per far esprimere al meglio i bravissimi attori, cinque, sempre in scena per le quasi due ore di spettacolo, in una regia che non lascia nulla al caso. Padronanza piena di tutti i linguaggi scenici, scavo intellettuale profondissimo sul testo e sui suoi temi di fondo, ma con chiavi di interpretazione e rilettura assolutamente originali. Quello che si dice uno spettacolo perfetto. Ma Autelli, passato dalle parti di Trento tre anni fa in occasione del Festival di regia teatrale Fantasio Piccoli – che ha vinto meritatamente -, sembra l’emblema di un Trentino teatralmente disattento, che propone nei suoi teatri più importanti lavori spesso mediocri, altri addirittura

brutti, con rarissimi spunti di novità. Uno sguardo strabico sul teatro dei giorni nostri: non è un caso che le forze fresche più significative dei palcoscenici nazionali siano assenti dai cartelloni delle stagioni di Trento e Rovereto. E’ una colpa che si comincia a pagare: la sensazione è che il pubblico manchi dalle sale non tanto per stringere la cinghia, ma perché comincia a scegliere, e a fidarsi sempre meno di chi continua a propinargli un teatro superato, vecchio, e spesso fatto con sufficienza. Quello che non si è visto nemmeno da lontano nell’Otello di Autelli, accolto calorosamente dal numeroso e giovanissimo pubblico dello Stabile di Bolzano, e ignorato da Trento.

Teatro

Il teatro del mondoUn MeSe dI CROnACA e SPeTTACOlI Vittorio Caratozzolo

È stato un febbraio denso di spettacoli, ma non sempre ci siamo divertiti; caso mai, distratti. Mentre Eluana Englaro attendeva ignara che la sua infinita tragedia avesse fine, intorno a lei si intrecciavano filoni teatrali di ogni specie, qualità e livello. Il 31 gennaio, all’Auditorium S. Chiara di Trento, nell’indifferenza dei familiari, Konstantin riusciva finalmente a suicidarsi, stanco di soffrire per amore e per l’incomprensione del mondo verso la sua arte, come Cechov comanda (nel Gabbiano). A teatro le cose si risolvono più facilmente.Nei giorni successivi, donne violentate a bizzeffe, di ogni età e nazionalità, persino a Trento: «Qualche delitto senza pretese lo abbiamo anche noi in paese», cantava più o meno De André. I mass-merda spandono urbi et orbi le notizie, impippandosene degli studi statistici secondo i quali l’accanimento mediatico

m o n i t o r r e c e n s i o n i

lIbRI

Enzo Tiezzi e altri “La soglia della sostenibilità (ovvero quello che il Pil non dice)”, Roma, Donzelli, 2007, pp. 251, euro 27.

Esiste una relazione tra la diminuzione del livello di benessere e le problematiche am-bientali. Lo dicono in tanti (e si adeguano in pochi), ma stavolta non viene solo detto, ma dimostrato. “La soglia della sostenibilità” è un libro che ha il pregio di illustrare al lettore, dopo un’importante premessa filosofica e metodologica, i risultati dell’applicazione pratica di indicatori come l’impronta ecologi-ca e l’indice di sostenibilità. Anche all’Italia. Conclusione? La crescita ha due soglie: una economica, oltre la quale essa non porta più un aumento di benessere, e una fisica, oltre la quale il capitale naturale di una popolazione risulta incapace di soddisfarne i consumi. Il nostro Paese li ha superati entrambi. E in Occidente è in buona compagnia. (m.n.)

Marco Gallicani “Manuale del risparmiatore etico e solidale”, Milano, Altreconomia, 2008, pp. 70, euro 3.

“Altreconomia” è una cooperativa che edita il mensile omonimo, attento ai temi dell’eco-nomia solidale, molto critico nei confronti dell’economia centrata sull’illusione della crescita infinita. Ad alimentare quest’ultima c’è anche la finanza folle e speculatrice che ha trasformato il capitalismo mondiale in una tigre di carta. Ma esiste anche una finanza diversa, ben radicata nel reale, avente il solo scopo di far crescere progetti di solidarietà e sostenibilità. Non c’è solo Banca Etica. Il manuale edito da “Altreconomia” porta il lettore ad esplorare questa affascinante galassia, fornendo consigli sia a chi necessita di denaro, sia a chi vuole investirlo. Unico difetto del libro (ma per qualcuno può essere un pregio): è troppo stringato. (m.n.)

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43QUESTOTRENTINO

m o n i t o r

stimola gli psicolabili, al limite dell’autocontrollo, a emulare i criminali.Il 5 febbraio un delizioso Anfitrione va in scena al Cuminetti: una serata di sano divertimento, anche se la farsa politica esterna ci rintrona talora nella mente. La satira di Molière è incentrata sull’allegra arroganza del potere, ed è questo a rendere sempre attuale la sua opera. Un lungo meritato applauso, dal pubblico, per la Compagnia Gank di Stradella.Il 6 febbraio, quando gli ispettori ministeriali arrivano a Udine, mi fa piacere essere amico di Edoardo Geat, primario di rianimazione qui a Trento, il quale, responsabilmente, pone per primo la firma su un documento di protesta contro l’involuzione legislativa imminente, su questo tema. Prima che il pubblico entri nell’Auditorium, a vedere Paolo Migone e Alberto Patrucco, Berlusconi chiede l’immediata convocazione del Senato, per presentare un ddl uguale a dl respinto dal Presidente della Repubblica.Migone, all’insegna del benessere che il “WellNetwork” vuol promuovere, spara bordate contro “il sistema”, con particolare ferocia contro Bruno Vespa e Marco Travaglio, che non gli stanno simpatici. Il gioco gli riesce meno con chi non è suo fan: allora battute come “Vespa è una merda” non fanno presa.Patrucco, che a ingiuriare non è secondo al primo, rivendica il diritto alla satira cattiva, fonda il suo discorso comico su una maggior sottigliezza e su una capacità di approfondimento

sociologico che Migone non ha mostrato. D’altra parte, per alternare propri monologhi alla meravigliosa ironia di Brassens, chansonnier francese, la qualità dell’umorismo deve essere alta e contenere in sé germi di riflessione filosofica. L’8 febbraio, durante

il suo neverending show, il Solito ci rivela che la Costituzione Italiana è “filosovietica”. Risate. La sera, poco prima che inizi la Turandot al Sociale di Trento, l’arcivescovo di Udine chiede che sia “sospesa l’esecuzione” di Eluana. Brividi.Ora, potrei sposare una donna che ha torturato mio padre e spinto al suicidio la schiava che mi amava segretamente? Nella Turandot, sì: un guazzabuglio di suggestioni esotistiche in una favola scombinata che, chissà come, affascinò Puccini al punto da convincerlo a scriverci su un capolavoro. In una regia moderna, tuttavia, bisognerebbe forse provare ad attenuare questi aspetti

deleteri del testo, per lasciar emergere la bellezza della musica. Invece il regista Brockhaus amplifica i contenuti esotistici dello spettacolo e, non senza qualche buona intuizione (come la cornice in cui include la partitura pucciniana, incompiuta, escludendone la musica di Alfano - non il ventriloquo Angelino, ma il musicista Franco), si lascia prendere la mano dalla quantità a scapito della qualità. Il Sociale, dunque, tutto esaurito, anche sul palco...Il 9 febbraio Eluana lascia il Mondo, ma lo Show continua, incessante. Dove sta la verità? Con I giganti della montagna (regia di F. Tiezzi), Pirandello ci svela la violenza del potere che, in modo subdolo, manipola le coscienze degli esseri umani, come oggi potrebbe accadere nel nostro rapporto con i mezzi di informazione, disprezzando per barbara ignoranza l’arte e i suoi sacerdoti.Il 16 febbraio il PD perde il governo della Sardegna. Veltroni si dimette, la Zanicchi invoca il “sesso senza amore”, Grillini vs. Povia, la PFM insegna De André alle masse: tutto fa share!Impazzante Sanremo, a Trento continua

dAnzA

kAThAkAlI A PeRGIne

Il teatro-danza classico indiano, Orissi e soprattutto Kathakali, è stato proposto a Pergine, nella raccolta sala (80 posti) del Teatro delle Garberie. Un quarto di secolo fa, allo Zandonai di Rovereto, “Oriente Occidente” aveva presentato un’intera memorabile notte all’insegna del Kathakali, con danzatori e orchestra (nonché piatti tipici negli intervalli) indiani. La proposta delle Garberie quindi, affidata ad italianissimi interpreti del Teatro Tascabile di Bergamo, poteva essere una cosina, volonterosa, politicamente corretta, ma sostanzialmente insignificante. Invece l’atmosfera del piccolo teatro, la vicinanza fisica ai bravi attori-danzatori, le felici spiegazioni introduttive che permettevano di decodificare le complesse ed espressive gestualità, creavano una serata intensa, che felicemente avvicinava gli spettatori a una cultura grande e lontana. (e.p.)

Molière

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44 marzo 2009

m o n i t o r r e c e n s i o n i

dVd

“AEST OVEST - STORIA, MEMORIA E ATTUALITà DI UNA TERRA DI CON-FINE”.

Spiegare cos’è un confine non è mai facile. Soprattutto se quel confine ha separato per decenni due mondi molto diversi, spesso in contrapposizione. Tuttavia indagare sulle origini di un confine è un primo passo per sco-prire l’identità di ciascuno. Il dvd “Aest Ovest”, elaborato dall’Osservatorio sui Balcani, si propone di spiegare proprio le identità dei popoli che hanno vissuto sul confine orientale d’Italia, mostrandone i volti e narrandone la storia. Il dvd contiene tre sezioni - “storia”, “luoghi”, “in Europa” - che attraverso testi, immagini, mappe, documenti audio e video ricostruiscono la vita del mondo italo-slavo,

senza reticenze né preconcetti. Uno strumen-to utilissimo per chi (a scuola, ma non solo) voglia fare luce su un frammento fondamen-tale dell’ultimo secolo di storia europea. Per richieste e informazioni: [email protected] (m.m.)

la lunga marcia di Moni Ovadia, con La bella utopia: 4 spettacoli dal 19 al 22 febbraio, due intense conferenze. Ovadia è un poeta della ragione, di appassionata lucidità, e il suo spettacolo strappa elogi: la storia dell’URSS (70 anni in 3 ore!) e dei sogni traditi di milioni di persone, narrata attraverso elegie, preghiere, canti, invettive, denunce, suppliche, barzellette. Una lezione di Storia e di Teatro, che termina quando, tornati a casa, il porco-mondo ci ammannisce la manfrina del già vincitore di “Amici” ora vincitore a Sanremo. E non mi dite che la coincidenza non v’insospettisce...Il 24 febbraio, Sabina Guzzanti fa il tutto esaurito all’Auditorium in Vilipendio. Se i toni dell’artista sono forti e le accuse gravi, i contenuti del suo spettacolo sono allarmanti: basti leggere sullo schermo la sequenza finale di aggressioni attribuibili a gruppuscoli

Cinema

Vietato obbedire?“l’OndA” Alberto brodesco

Vietato obbedire, si leggeva sui muri nei dintorni del Sessantotto. E se invece l’obbedienza, di fondo, ci piacesse? È una riflessione su questo tema il film “L’onda” di Dennis Gansel, ispirato ad alcuni esperimenti sull’obbedienza all’autorità condotti negli ambiti accademici della psicologia sociale.In una scuola superiore tedesca si dedica una settimana di studi al tema delle diverse forme di governo. Rainer è un insegnante giovane, amato dagli studenti, dai quali si fa dare del tu. Indossa t-shirt dei Ramones e dei Clash. È un professore militante e vorrebbe ragionare coi suoi allievi sul tema dell’anarchia. Ma l’argomento è già stato assegnato a un suo collega in giacca e cravatta. A Rainer rimane, come materia, l’autarchia. La affronta facendosi eleggere dittatore dalla sua classe, suggerendo disciplina, obbedienza, facendo pesare la sua autorità, adottando slogan, segni di riconoscimento, divise. La classe accetta entusiasticamente il metodo e rilancia sui contenuti. Al suo interno si crea un formidabile spirito di corpo. Di cui si arrivano presto a manifestare gli aspetti negativi: il senso di inclusione, la protezione che deriva dall’appartenenza para-militare finisce per diventare un vettore di esclusione, di chiusura e di astio verso chi non fa parte dello stesso gruppo.Lo shock creato dalla degenerazione nei rapporti tra gli studenti è tanto più forte perché quella scuola tedesca pareva davvero esser riuscita a educare gli allievi alla differenza e alle libertà: sembra un po’ l’istituto “Marilyn Monroe” – con poster di Dino Zoff all’ingresso e “Il cielo in una stanza” come argomento d’insegnamento – caricaturato da Nanni Moretti in “Bianca”.Quando si evoca, esplicitamente, lo spettro del nazismo, la classe ha un motto di rifiuto che non pare motivato da una rimozione o dal fastidio: c’è certamente un senso di noia nei

di destra, dal gennaio 2008 a oggi: lo scenario ricorda quello descritto dalla rubrica “Conflitti”, in cui nei primi anni ’20 il Corriere della Sera riportava le notizie sulle violenze, reciproche, tra rossi e neri. Ma oggi, in Italia, l’allarme è dato dal fatto che le aggressioni hanno un colore solo. E così se la satira, anche aggressiva e talora discutibile, può lasciare indifferenti, una vera coscienza democratica non può non essere turbata dalla spirale autoritaria presa dall’attuale governo; il giorno dopo, leggiamo le notizie sui giornali: gli accordi per le centrali nucleari; l’accelerazione sugli appalti per il ponte sullo Stretto; il menu pasquale a base di pesce, al venerdì, nelle mense romane; l’appello di Veronesi contro la legge governativa sul testamento biologico... Cercasi opposizione, disperatamente.

Moni Ovadia

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45QUESTOTRENTINO

COnfeRenze

JANE GOODALL

L’unica tappa italiana (27 e 28 febbraio) della rockstar degli scimpanzè rappresenta per il Museo Trentino di Scienze Naturali l’apice di un anno dedicato a Charles Darwin. La primatologa, ritenendo necessario difendere questi nostri fratelli (è ovvia, per il suo lavoro sul campo, l’impossibilità di non credere all’evoluzionismo) e più in generale la biodiversità, s’è ben presto resa conto che la battaglia sarebbe persa se non ci occupassimo anche di un’altra forma di vita animale: l’essere umano. Partendo da questi assunti la Goodall affianca l’attività d’osservazione a quella di promotrice del progetto “Roots&shoots”, volto ad incentivare pratiche positive nei ragazzi (www.janegoodall-italia.org). In due incontri pubblici all’Auditorium la ricercatrice ha esposto le sue ragioni per continuare a sperare in un mondo migliore. Unica nota grigia: un buffet quasi totalmente carnivoro per una studiosa, comprensibilmente, vegetariana. (g.d.r.)

P. S. Ormai largamente suffragata, nonostante i tentativi fideistici di screditarla, la teoria Darwiniana presenta una grande vitalità di ricerca, sia scientifica

che umanistica. Il ciclo di conferenze “Darwin Today” ,organizzato dal Museo Trentino di Scienze Naturali., intende presentare al pubblico un ventaglio ampio di queste ricerche, mettendolo a contatto con ricercatori italiani e stranieri che sono all’avanguardia nel fronte di studi sull’evoluzionismo. I prossimi appuntamenti sono previsti: mercoledì 11 marzo (Facoltà di Lettere, ore 20.45); mercoledì 18 (Biblioteca del Museo Trentino di Scienze Naturali, ore 20.45); e giovedì 26 (Biblioteca del Museo Trentino di Scienze Naturali, ore 20.45).

.confronti di quella che viene ormai vista come una retorica dell’ovvio, ma prevale senza dubbio la scontata assimilazione da parte degli studenti del rifiuto di ogni forma di fascismo e di totalitarismo. Il fatto che, proprio su di loro, l’autocrazia abbia così tanta presa spinge a mettere in discussione non la sincerità di questo rifiuto ma il nostro vivere sociale – che, antropologicamente, etologicamente, risente di una aggressiva paura che pare connaturato patrimonio della nostra specie.“L’onda” fa il paio con un altro importante e recente film sul tema, il francese “La classe” di Laurent Cantet. In Italia, per il momento, non si assiste a nessun ragionamento cinematografico serio sulla scuola. Ci dobbiamo accontentare delle diverse “notti prima degli esami” e dei film tratti dai romanzi di Moccia. Di interessante, e perfettamente inserita in questo discorso, c’è invece la provocazione di Alessandro Baricco, che dalle pagine di Repubblica invita lo Stato a spendere meno soldi in festival e in musica lirica e più in istruzione (e in programmi televisivi non stupidi). Per evitare – dice Baricco – che la cultura rimanga un piccolo dominio per gente già colta, mentre, intorno a loro, la stragrande maggioranza del popolo, abbandonata dalla scuola, in poltrona a guardare il GF, continui a votare Berlusconi o chi, in futuro, ne farà le veci.“La classe” e “L’onda” ribadiscono l’importanza fondamentale dell’educazione scolastica non per il tipo di professionista che viene a formare ma per il modello di società che essa va a costruire.

JeAn TAMbASTAGe dI dAnzA AfRICAnA fondatore della Compagnie 5ème dimension, Jean Tamba è direttore artistico del festival kaay fecc (in lingua wolof “vieni a danzare” ) di dakar. Creata nel 2001, l’associazione kaay fecc svolge attività per lo sviluppo della danza in Senegal e propone riflessioni su una politica di sviluppo culturale a sostegno della danza stessa. e’ danzatore e collaboratore di Germaine Acogny e partecipa inoltre a numerose creazioni senegalesi d’avanguardia. Attraverso l’attività della Compagnie 5ème dimension, Jean Tamba è promotore della “métiss dance”, che unisce la gestualità contemporanea con le danze tradizionali.

Rovereto, Auditorium fausto Melotti, sabato 7 e domenica 8 marzo

livello intermedio: sabato dalle 13 alle 16 e domenica dalle 10 alle 13livello avanzato: sabato dalle 16.30 alle 19.30 e domenica dalle 13.30 alle 16.30Iscrizione: 60 euro l’attività del CId prosegue sabato 21 e domenica 22 marzo con Roberto lun e Pierluigi zonzin, laboratorio di danceAbility.

CIDCentro Internazionale della Danza

m o n i t o r

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46 marzo 2009

p i e s s e

Marco niro

Giornata da sogno

Era sua moglie. Lo stava baciando. Che ora poteva essere? Vide la luce infilarsi sotto gli scuri. Era già giorno. Forse stava ancora sognando. No, non era stato un sogno. Quel

mercoledì era cominciato proprio così. Tania aveva voluto fare l’amore appena sveglia. Da quanto tempo non succedeva?

Gianni scese in cucina ancora stranito. I figli facevano colazione. Mangiò qualcosa insieme a loro e uscì. Era tardi. Mentre pedalava, ripensò a quello strano inizio di giornata. Durante la colazione, la televisione era rimasta spenta. E Claudia e Luigi avevano fatto due chiacchiere con lui. Non ricordava più qual era stata l’ultima volta che lo avevano fatto. Arrivò in fabbrica in ritardo. Avrebbe perso un quarto d’ora di paga. Ma la rottura maggiore sarebbero state le urla di Roseghini, il caporeparto.

“No, Roversi, non timbri!” Era lui. Gianni non si voltò subito. Voleva ritardare il più

possibile la visione di quel ghigno imbufalito. “Stiamo sperimentando un nuovo sistema di gestione del

personale. Non dovrete più timbrare. Ci affidiamo al vostro senso di responsabilità”. Più che queste parole, fu il volto di Roseghini a sbalordire Gianni. Il caporeparto gli stava sorridendo. Non era mai accaduto prima di allora.

Durante quel giorno, ne accaddero altre, di cose del tutto inconsuete.

Pagliari, il leghista, non trattò male Aziz. Filippini, il meccanico, non parlò tutto il giorno di Formula Uno. Lobello, il più giovane, non palpò il culo alla cameriera della mensa. Ferri, il più vecchio, non passò tutto il giorno a sputare sentenze addosso a tutti.

E tutti quanti, alla fine del turno, non ripartirono a razzo a bordo delle loro auto. Gli dissero che volevano restare, a parlare un po’ con lui della fabbrica e di come andavano le cose lì dentro.

Fu davvero una giornata memorabile, quella, per Gianni Roversi. Delegato sindacale da 12 anni. E uomo di sinistra da più del doppio. Mentre tornava a casa, in sella alla sua bicicletta, con l’aria della primavera che gli accarezzava il volto, Gianni sorrideva. E anche quel suo sorriso, dopo una giornata in fabbrica, era una novità. La vita è questa, pensò Gianni. Proprio quando non ci credi più, le persone, e le cose, possono cambiare. Proprio quando ti sembra tutto nero, arrivano giornate come quella, a farti capire che nelle

persone, prima ancora che nelle cose, bisogna aver fiducia. Sempre.

Appoggiò la bici al muretto e salì le scale fischiettando. Aprì la porta di casa con una gran voglia di raccontare a moglie e figli cosa gli era accaduto.Una luce lo accecò. Giungeva da due grandi riflettori puntati su di lui. Per un attimo, Gianni non vide più nulla. Sentì solo partire un lungo applauso. Strizzò gli occhi, e cominciò pian piano a riacquistare la vista.

Tra coloro che applaudivano, c’erano Tania, Claudia e Luigi. Riconobbe anche Roseghini e alcuni suoi colleghi. Gli altri non li conosceva. Si accorse che alcuni reggevano qualcosa sulle spalle. Nel momento in cui capì che erano telecamere, un bellimbusto con una giacca arancione gli piantò un microfono sotto il naso: “Complimenti, Gianni! Sorridi! Sei finito su Giornata da sogno, il nuovo reality show di Raiset!”

Gianni faticava a capire il senso di quelle parole. Guardò Tania, che gli sorrideva. Tutti lo guardavano e gli sorridevano.

Il bellimbusto lo prese sotto braccio e lo strattonò conducendolo vicino ai figli: “Ecco Claudia e Luigi, i due splendidi figli di Gianni. Stamattina hanno seguito alla perfezione il copione che noi gli avevamo assegnato. Hanno parlato col papà a colazione, e hanno persino tenuto spenta la televisione! Due angeli!”

Un altro strattone verso sinistra, da Roseghini e gli altri: “Ed ecco anche i meravigliosi colleghi! Sapevano da anni cosa desiderava Gianni, e oggi glielo hanno dato! Lo avete visto anche voi, da casa, quanto sono stati bravi!”.

Un nuovo strattone. Gianni si lasciava trascinare qua e là dal bell’imbusto, senza opporre resistenza.

“Ed ecco qui Tania, la bellissima moglie! Per permettere a Gianni di realizzare la sua giornata da sogno, ha accettato che le nostre telecamere entrassero nella loro camera da letto, a riprenderli nel momento di maggiore intimità. Che gesto, vero, Gianni? Cos’hai da dire, di fronte a tanto affetto?”

* * *Marco Niro è giornalista. Con Dedalo ha pubblicato nel 2005 il saggio “Verità e informazione. Critica del giornalismo contemporaneo”. Attratto dalla maggiore libertà della scrittura narrativa, si cimenta spesso con essa. Ha scritto diversi racconti e un romanzo a quattro mani, senza la fortuna di vedersi pubblicato alcunché. Almeno fino ad oggi.

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47QUESTOTRENTINO

p i e s s e

C ’è qualcosa di insolito nella bolla d’aria che mi circonda e dove fluttuo leggera. Liquido amniotico evapora-

to dove mi attardo a giocare. Non ancora appagata da incanti e sogni. Il brusco risve-glio arriva con un sonoro richiamo a occu-parmi della materia che si deteriora. Nelle dita scopro un inedito potere fulminante.

Tutto ha inizio il diciassette febbraio che, pur non essendo venerdì, ha qualcosa di fu-nesto. O sono io che mi abbatto per poco. Di sicuro la mia frustrazione per la tecnologia au-menta a dismisura quando mi sento accerchia-ta da arnesi in panne. Ammetto… un po’ me la vado a cercare. Mi riconosco pigra, distratta, con la testa fra le nuvole. “Ma no, ultimamente sono migliorata!” Forse perché peggiorare era impossibile?

Inizio la giornata con il telecomando che non apre la serranda del garage. Da ottimista immagino basti sostituire le pile. Mentre effettuo il cambio ne approfitto per un paio di riflessioni. “Magari fosse così nella vita! Rigenerazioni assicurate.”

Le batterie nuove però non risolvono il problema. “Venderan-no pile esauste per buone?” Un vicino che passa mi assicura che le pile non c’entrano, è danneggiato. Occorre proprio acquistarne un altro. Anche due, penso convinta. E’ l’unico telecomando che non mi confonde!

Il cellulare più tardi esala gli ultimi respiri. Non tento nemme-no di rianimarlo, ho già subito un paio di repentini abbandoni con perdita della rubrica. Un piccolo lutto o, a seconda dei casi, un alibi di ferro. “Avevo perso il tuo numero, si era smagnetizzata la sim!” Memore di questo, alla prima esitazione di un tasto… oplà, nuovo cellulare di riserva. Sì, sto diventando astuta! Passo la serata trasfe-rendo l’agenda con appuntamenti vari e compleanni, e mi sento ringiovanita. Molto simile ai tanti adolescenti intenti a masturbare il telefonino.

Il giorno dopo il telefono fisso non dà nessun segnale. Aprirei una parentesi sugli operatori telefonici, ma non ho parole. Solo in-

sulti. Dieci giorni per riavere la linea. Per poi riperderla in altri due. Déjà vu. Il passato insegna. Allora, dopo un paio di mesi di isola-mento forzato, mi ero decisa per una seconda linea. Fra me e me gongolo per questa dimostrazione di oculatezza. Sì, sono sempre stata poco accorta. La mia vita sicuramente avrebbe avuto un altro corso. Ma ho sempre associato la furbizia a qualcosa di disonesto. Schierandomi con gli ingenui, le vittime delle altrui abilità.

La sera decido di affrontare il digitale terrestre, incorporato nel-la televisione nuova. Ottimo. Si fa tutto con il telecomando. Un mostro con i tasti in seconda fila. Basterà leggere le istruzioni, ov-vio. Mannaggia, non ci sono: e non le ho buttate insieme alla sca-tola. Ultima spiaggia, un amico sveglio che con un po’ di pazienza arriva alla soluzione. Adesso le istruzioni non le stampano proprio, si scaricano direttamente da Internet.

Ma solo nominandolo, la sera dopo anche il computer mi ab-bandona, insieme alla seconda linea. Alla faccia dell’accortezza di cui sopra. Potrei provare con una terza linea telefonica? No, adesso è meglio che mi prepari una bella tisana rilassante e controlli se ho qualche linea di febbre.

Con una risata penso che, almeno qui, non corro il rischio si rompa il termometro… digitale.

Io tinta di aria

nadia Ioriatti

Congiunture astrali

foto di Alessio Osele

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48 marzo 2009

p i e s s e

I l bello, anche per voi che leggete, è che se n’è tanto scritto che non c’è più bisogno di spiegare alcunché. Parliamo del passaggio al digitale terrestre per Rai2 e Rete4, una vicen-

da seguita dai quotidiani locali con l’ampiezza e la passione che la drammaticità dell’evento meritava.

“Il grande giorno si avvicina – scriveva l’Adige fin dal 4 feb-braio - e il panico aumenta: ‘Quando mi sveglierò lunedì 16 febbraio e accenderò la televisione e il mio bel decoder, vedrò ancora Rai2 e Rete4’?”

Pochi giorni più tardi, “parte il conto alla rovescia” – anno-ta il Trentino -, e finalmente, all’antivigilia del giorno fatidico, è ancora L’Adige a ricordarci solennemente che “quando leg-gerete questo articolo, mancheranno meno di 70 ore al cosid-detto switch over... L’ora X scoccherà alle 2 di notte...”.

Ma prima ancora che l’ora X scocchi, si manifestano dif-fusi sentimenti di smarrimento: “Scatta il primo allarme: a Ravina i canali Rai del digitale non sono visibili”, poi è una va-langa di lettori in ambasce: “Per vedere un canale e registrarne un altro ci vogliono due decoder o uno che costa di più”.

“Ho acquistato ed installato il decoder..., ma l’audio è ine-sistente”.

“Sono tutte fandonie. Ci vuole un decoder per ogni stanza”. “A Roncegno il Tg regionale si riceve di tutte le altri regioni tranne che del Trentino”.

Bene o male si giunge co-munque al gran giorno (“Alle 2 di notte la rivoluzione” – ri-corda L’Adige), ma qualcuno, per propria responsabilità o per mancato intervento della “task force” (una sorta di Pro-tezione Civile per le emer-genze da digitale, riservata però agli ultra 75enni, perché prima di quell’età è disdi-cevole aver problemi con le

tecnologie), ha il televisore ancora obnubilato, il che suscita comprensibili “Timori per i Bastard”, che debbono esibirsi proprio quella sera. E così, il 15 è “il giorno dell’arrembaggio. Alla vigilia dello switch over, nei negozi di elettronica si è sca-tenata ieri la caccia al decoder, con alcuni fenomeni di acca-parramento degni dei peggiori film catastrofisti alla ‘The day after’... C’è gente che acquista 5 o 6 apparecchi in un colpo...”

Mercoledì 17 è finalmente tutto finito, lo “switch off ”, cioè “il primo step” verso il completo “switch over” di otto-bre è fatto. “Digitale terrestre, la missione è compiuta” titola il Trentino, mentre L’Adige si dimostra più attento ai patimenti sopportati dalla popolazione: “Digitale: i trentini reggono il colpo”.

C’è di che esserne fieri.

Post scriptum: La leggerezza con cui ho trattato l’argomento non sottintende noncuranza del problema, irrisione nei con-fronti di chi ha sofferto, e ostentato disprezzo per la televi-sione. Semplicemente, dopo attenta riflessione, ho deciso di rimandare la risoluzione del problema. Il mio diciassettenne Philips ha già subito 4 interventi di riparazione, ha quasi per-so il colore e una volta al mese smarrisce la sintonizzazione

dei canali. Non merita un de-coder, interattivo o no che sia. Insomma, per qualche mese – comunque non oltre ottobre, altro appuntamento fatidico – farò a meno di Rai2 e Re-te4. Me ne dispiace molto per Vauro, un po’ meno per Marco Travaglio, e meno ancora per Santoro, Fede e i Bastard. Poi, quando i negozi saranno vuoti, e magari i prezzi discesi, stac-cherò la spina e comprerò un televisore nuovo. Con decoder incorporato.

fogliando s’impara

Switch off & switch over: uno step oK Tòs

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49QUESTOTRENTINO

Cime Tempestose

Aspettando lefevbre Trento, via San Martino. È domenica mat-tina. Due persone aspettano l’apertura della saracinesca dietro la quale si dovrebbero ri-unire, per celebrar messa, i lefevbriani. Uno è il giornalista dell’Adige di cui leggiamo il resoconto; l’altra una ricercatrice in teologia. La saracinesca non si alza, non arriva nessu-no. Sembra “Aspettando Godot”. Giornalista e ricercatrice si mettono a chiacchierare. Il cronista chiede alla ricercatrice di cosa si occupa, cosa ne pensa del negazionismo... Prende appunti, guarda l’orologio. La sa-racinesca rimane serrata. Immaginiamo la conversazione che rallenta, qualche parola sul freddo, la neve... Si crea un cristallo di tempo: due esemplari della specie umana si fanno carico del vuoto, dei silenzi, dell’as-surdo che li circonda. Al numero civico a fianco, i pakistani entrano nel call-center, chiamano casa. Il quartiere, assonnato, ini-zia ad animarsi.

Perifrasi vescoviliDice il vescovo Luigi Bressan: “La moschea rimanda a una realtà più strutturata di quelli che possono essere luoghi per il culto: potrem-mo definirla come un centro pastorale, qual-che volta anche di orientamento politico, la cui costruzione richiede comunque il tempo necessario perché l’Islam entri in profondità nel nostro habitat culturale”. Dice la Lega: “Trento cristiana, mai musulmana”. Stesso concetto, quarantadue parole in meno.

normodotatiUn’atleta non vedente viene esclusa da una gara di nuoto dei Master regionali. Polemi-che. Il presidente del comitato trentino FIL commenta sul Trentino: “Il regolamento non contempla l’ipotesi che un atleta disabile ga-reggi insieme a un atleta normodotato”. Ma: gli atleti sono normodotati? Ad esempio Mi-chael Phelps con il suo 49 di piede? E Fausto Coppi con i suoi abnormi polmoni (ci sta-vano 7 litri d’aria)? E Alex Schawazer, oro olimpico nei 50 km di marcia: 28 battiti al minuto non sono pochini?

da Assisi ad ArzignanoSan Francesco, sei out. La Curia di Trento, nel vademecum per il periodo quaresimale, propone ai suoi fedeli un nuovo modello,

aggiornato ai nostri tempi, di rinuncia e di redenzione. È (citiamo) “quell’im-prenditore veneto che cercò di vivere per un mese con lo stipendio di uno dei suoi operai”. “Cercò di vivere”. Ma visse? Morì di stenti? La Curia non lo dice. Vogliamo immaginarcelo nella sua conceria di Arzignano, mentre stringe la cinghia e aggiorna i cantici: “Laudato si’, mi’ Si-gnore, per messor lo frate cincillà / De lo quale deriva bella et iocunda pelliccia / Ke pretiosi frutti in mia tasca procura, / Ma ke anke a le tu’ creature operaie dà sostentamento”.

Poesia transAnnunci economici del Trentino, 9 feb-braio: “Trans nera perla brasiliana accat-tivante come la pantera amazzonica, dolce come la caipiriña”; “Trans novità assoluta affascinante femminile piacevole, fisico sta-tuario, magra, mora, Minora”. Evidente-mente il titolatore si dev’essere sbagliato, qui non siamo nel campo dell’economia ma della poesia: notiamo come la prima poetessa faccia un uso intensivo delle si-militudini, calibrate con preziosa precisio-ne: la pantera non è una pantera generica bensì “amazzonica” - con doppia allusione alle origini brasiliane e alle Amazzoni. In-teressante anche l’inusitato accostamento della stessa all’etimologia della parola “ac-cattivante”: rende prigioniero, captivus. Molto riuscito, nel secondo esempio poe-tico, l’uso del climax discendente “affasci-nante femminile piacevole” e l’allitterazio-ne “magra, mora, Minora”, dove il nome stesso della poetessa viene elegantemente inserito in coda alle sue caratteristiche fi-siche.

Quando il casco non serveTelegiornale di RTT, intervista a un ra-gazzo che assiste a una lezione di edu-cazione stradale nella palestra della sua scuola: “Non mi ispirano... Non mi va questa roba qua”. “Perché?” “Non lo so”. Ha la sua parte di ragione: il casco serve solo quando, sotto, c’è una testa da sal-vare.

Alberto brodesco

“Come antipasto abbiamo il peperone grigliato con la provola affumicata, gli involtini di speck con la mozzarella calda, l’insalata di polipo...”. E avanti così, da anni. Eppure questa volta ci va bene, sì, proprio a noi, cantori del menù che cambia e dei cibi secondo stagione. Alla trattoria Al Parol tutto appare come fermo: menù, ambiente, persino la musica. Nelle due stanzette interne, e nei pochi tavolini fuori, si gusta cucina pugliese. Marito ai fornelli e moglie in sala. I figli, quando non mangiano in uno dei tavoli liberi, si muovono quieti con le loro cose. La cucina è sicura come solo quella famigliare sa essere, ma insieme curata come da un ristorante ci si aspetta. I piatti sono semplici ma non c’è approssimazione, i gamberi con le zucchine vengono serviti sgusciati, il branzino è pulito al tavolo, e la pasta è cotta a puntino. Per prender tutto servono sui 35 euro; ci sarebbero alcune piccole cose da far notare: qualche ritardo nel servizio, una sedia traballante, magari un gesto sbrigativo... Eppure non ci viene di farlo, perché, invero, non si legge dolo né astuzia. Semplicemente ognuno è se stesso, il marito che si sporge dalla porta della cucina per qualche battuta dall’accento marcato, e la moglie che sgombera masticando qualcosa rubato ai fornelli. Cose che in ristorante potrebbero dare fastidio, ma che però a casa...

[email protected]

Trattoria Al Parol

Trento, via Mesiano 40

Tel. 0461-239951

Chiuso la domenica

Il fumoe l’arrostogastronomia e affini

Casa Parol

Adelio Vecchini

p i e s s e

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50 marzo 2009

Un caldo infernaleI trentini preferiscono il clima freddo. Parlo di quelli purosangue e di una certa età, diciamo dai quaranta in poi. Per quelli più giovani la mia ricerca non garantisce. Più si va sopra gli “anta”, più radicata è questa preferenza. Quindi ci sono gli anomali, nel cui novero sgambetto anch’io, che vivono come un’ingiustizia undici mesi e mezzo di freddo, per sentire gli altri lamentarsi a morte dieci giorni all’anno. Un tormento. E non hanno nessun riguardo di noi, minoranza etnica, dal momento che nei giorni di freddo intenso qualcuno di loro ha anche detto in pubblico “Pitòst che quei calori..!”. Roba da urlo. La matrice cattolico oscurantista ha inoculato nei poveretti questa propensione al brivido in quanto il corpo viene coperto, nascosto da pesanti indumenti, e non è protagonista di esibizione carnale. In questa fustigazione metaforica alligna tutta una letteratura che sta in frasi popolari del tipo “Almén col fret te pòdi vestirte, ma col calt cossa fat?” e altre amenità da pronunciare con tono insofferente. Già qui casca l’asino, perché la medicina può dimostrare, statistiche alla mano, che le varie cinesi, australiane e asiatiche ti beccano col freddo, d’inverno, anche se giri imbottito di stracci. Per non parlare di raffreddori e bronchiti, rari d’estate. Il punto è che il caldo di per sé è peccaminoso, richiama l’inferno, Satana induce a scoprirsi, a mostrare porzioni di carne, di peli, di derma... È la vergogna del liquido peccaminoso, il sudore, quello che più imbarazza i catto-trentini, giustificabile se dovuto al duro lavoro dei campi, delle fabbriche, eccetera, ma condannabile in fasi d’ozio. Il catto-trentino che suda da fermo è tentato di confessarsi e vive un disagio psichico simile all’abisso morale in cui precipitava da piccolo quando azzannava per sbaglio la particola. L’esemplare in questione nei giorni caldi cerca l’ombra a testa bassa, con vergogna e pudibonde movenze. Costretto a scoprirsi, soffre come una bestia e mostra una carne bianca, dolorosamente inidonea a ricevere il dio pagano Sole. Che lo mortifica, lo tortura, lo uccide. Nelle vite precedenti era un vampiro.

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Andrea Castelli

Andar per Castelli Tersite Rossi

Call center

Da ottobre in Trentino tutte le reti tv si vedranno solo sul digitale terrestre. Per favorire la transizione è attivo un numero verde al quale i cittadini possono rivolgersi per i loro dubbi. E non solo….

Voce meccanica: Buongiorno, sono Anna. Esponga pure il suo problema.Impacciato: Ehm…voleva saér se el… osti… come se ciàmel? El g’ho sula pònta dela lengua… disperata cattolica: Telepace! M’è sparì Telepace! Nòl ciàpo pù…Amarcord: Signorina, me ciàmo Ferari. La me sposa l’è la Tulia, quela che la néva a far i mistéri dal’avocato Garbari…Maniaco sentimentale: Ciao Anna… sono io… Ti prego, torna da me… non ce la faccio più… (in sottofondo, lucio dalla: “Anna come sono tante, Anna permalosa; Anna bello sguardo, sguardo che ogni giorno perde qualcosa…”)Impacciato, con moglie: Marta, vei chi! Come se ciàmel el tràpol... quèl del televisór… come no te te ricordi… l’avén sentì prima, dai… disperata cattolica, in lacrime: ...gh’era l’ultima puntata dela storia de Papa Luciani… avèvo envidà a casa anca la Rosina per véderlo ensèma…Sempre più amarcord: … no so se l’ha mai sentù parlar dei Garbari… Famiglia importante, eh! Oddio, dopo la ghè nada come se sa… la se ricorderà bèn…Maniaco sentimentale: … dimentichiamo tutto, lasciamo perdere i miei amici… tua madre… Torniamo insieme… (in sottofondo, lucio battisti: “Cosa voglio di più, hai ragione tu, cosa voglio di più, cosa voglio… Anna, voglio Anna….” ) Impacciato, con moglie e figli: … Màicol portami il libretto d’istruzioni, desmìsiati! Marta, t’è vegnù en ment… sacramègna… Alòr ‘sto librèt vègnel o no? … Scianèl, vieni giù coi piedi dal canapè! Porc…disperata cattolica, a rischio svenimento: Come fàgo adés che non pòdo pù sentir el rosario déle zinque, eh? Ve denuncio tuti!Amarcordissimo, trans-felliniano: …la moglie del vècio Garbari la se ciamàva Augusta. Bela dòna! L’èra ‘na cosìna déla Elda, quéla che aveva tot en gestión la botéga del pòr Bepi Zatèla, g’àla presente? …Maniaco sentimentale: … ho sbagliato lo so… ma sono cambiato! La casa è in ordine… non esco più… piscio pure da seduto! Anna, dimmi qualcosa…(in sottofondo: “Anna dai capelli rossi va, vola e va come una rondine, però un nido non ce l’ha …”)Solita voce meccanica, preregistrata: Il suo messaggio è stato memorizzato. A breve verrà contattato dai nostri tecnici. Grazie per averci chiamato.

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