SiStemi, Sicurezza, enti eaziende · allo scaffale il gruppo Jab ha ormai circa il 20 per cento del...
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businessLavazza compra “Carte Noire”
...e vola verso la costituzione del terzo polo mondiale della tazzina...
vigilanzaLegittima difesa
o giustizia sommaria?
attualitàRichard Ginori storia di un
fallimento del Made in Italy
LEGITTIMA dIfEsA o
LEGITTIMA dIfEsA o GIUsTIZIA
soMMARIA?
...al posto giusto
Pluralità di culture ed esperienze hanno creato aziende capaci di fare gruppo e di offrire soluzioni concrete, unitarie e di sintesi.
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[email protected]’Editoriale di Alessandro Pignatelli
è morta la giustizia“Ma io c’avrei il conticino…”.
“Ah sì?
E io i soldi non te li do.
Vuoi sapere la procedura?
Io non li caccio e te non li becchi”.
Anno 1981, Alberto Sordi consegna alla storia del cinema
italiano una delle sue interpretazioni più brillanti.
Diretto da Mario Monicelli, è il protagonista de “Il Marchese
del Grillo”, che in una scena del film si rifiuta di pagare il povero
Aronne Piperno per i suoi lavori di ebanista per dimostrare
che i ricchi, andando a oliare i giusti ingranaggi, potevano
farla franca anche in un caso di dichiarata malafede.
Il Marchese, dopo il fattaccio, fa suonare le campane a morto
in tutta Roma: “E’ morta la giustizia”.
Anno 2016, lo scenario cambia solo parzialmente. Nell’era
delle partite IVA sfruttate e maltrattate, degli imprenditori che
investono senza avere in cambio i sacrosanti ritorni, la logica
del mercato si ribalta.
Non esiste più il diritto al credito, che le banche concedono
sempre più difficilmente: provate a chiedere un “semplice”
mutuo per l’acquisto di una casa e ascoltate attentamente la
risposta.
Oppure toglietevi lo sfizio di non pagare le tasse. Non per
cattiveria o per spirito di evasione, ma perché non vi sono
state pagate delle prestazioni regolarmente svolte.
Lo Stato, quando c’è da prendere, non tollera ritardi. Se poi
ne deve usufruire quando c’è da dare, allora il ritardo diventa
prassi.
Quello che dilaga, infatti, è il diritto al debito. Fatture mai
pagate o pagate in ritardo, i 30 giorni che diventano 60,
90, 120. Lavori pagati male e con il contagocce: dai piccoli
professionisti costretti a inseguire chi si rifiuta di saldare nei
tempi dovuti ai grandi imprenditori, costretti a far fronte a
debiti sempre più ingenti non per loro imperizia ma per un
pagamento che slitta. Giorno dopo giorno, mese dopo mese.
L’Italia diventa il paese dell’inseguimento: non
automobilistico, ma del debitore. Ma se il debito tra privati
origina un debito nei confronti dello Stato, il circolo vizioso si
ferma: alt, pagare. Immediatamente.
Poco importa se i soldi mancano per pendenze mai sistemate
da altri. Il diritto al credito non esiste più, vige solamente il
diritto al debito. E nessuno fa suonare le campane a morto.
ricordiQuel Dc9 che ha fatto la storia #26di Adriano Serafini
turismoIl turismo nelle grandi città italianea portata di Web #28di Marco Gaetani
attualitàRichard Ginori storia di un fallimento del Made in Italy #31a cura della redazione
leggiOmicidio stradale,una svolta di civiltà #33di Adriano Serafini
ricorrenzeSan Valentino: patrono degli innamortati? #34di Marco Gaetani
intrattenimentoOscar tricolori #36di Adriano Serafini
classificheè uscita la classifica annuale dei cento vini migliori del mondo #38a cura della redazione
televisioneForchetta & Coltello #42di adriano Serafini
businessCome cambia la stampa in italia #43di Adriano Serafini
lavoroLavorare meno, lavorare meglio? #44di Francesca Schito
Sommario
editorialeè morta la giustizia #1di Alessandro Pignatelli
il fondoBertolaso. Veramente? #3di Francesca Schito
businessLavazza compra“Carte Noire”. #4a cura della redazione
giochiIl pianeta del fantacalcio... #10di Marco Gaetani
fiscoUsa l’auto per la figlia disabileMa l’agente di Equitalia... #14a cura della redazione
businessEtiopia: la crescita da recorde gli interessi italiani #16a cura della redazione
vigilanzaLegittima difesa ogiustizia sommaria? #18di Mauro Pignatelli
societàAffittopoli #20di Marco Gaetani
eventiAddio Sky, per Rio 2016si ritorna al passato #22di Francesca Schito
cronacaFenomeno ultras... #24di Adriano Serafini
#20
#22
#44MetroMag Sistemi, Sicurezza, Enti e AziendeBimestrale Gennaio/Febbraio 2016 - Num. 06Editore: Metroservices Facility Management Srl -Sede Legale: Via Toscana 30, 00187 Roma - Tel: +39 06 83369044 - Fax: +39 06 83369045N. Verde: 800 912 837 - [email protected] - www.mfacility.bizP. IVA/C. F.: 10 166 651 009 - Rea: RM 1214468Resp. Trattamento Dati: Marco Panzironi. Metromag sarà inviato gratuitamente a chi ne farà richiesta, inviando autorizzazione al trattamento dati (D.Lgs. 196/2003) all’indirizzo o tramite e-mail.Aut. Trib. Roma 280/2014 del 31.12.2014 - Poste Italiane SpA: Spedizione in Abb. Postale D.L. 353/03 - 70% Roma Aut. C/RM/05 2015
Direttore Responsabile: Francesca SchitoDirettore Editoriale: Alessandro PignatelliAmministratore: Marco PanzironiProgetto Grafico: Daniele PaternòStampa: Tipografia Ostiense srl - Via P. Matteucci, 106 C - 00154 RomaLuogo di pubblicazione: RomaHanno collaborato a questo numero:Marco Gaetani, Mauro Pignatelli, Adriano Serafini,
[email protected] fondo di Francesca Schito
Bertolaso. Veramente?William Dawbney Nordhaus, un noto economista statunitense che attualmente insegna a Yale, ha sviluppato una teoria conosciuta come il ciclo economico di Nordhaus che si basa sulle seguenti tre ipotesi.
La prima: l’ipotesi di base di Nordhaus è che le decisioni dei politici siano espressione
delle loro proprie preferenze. Ovvero, il fine ultimo del politico non è il bene della
comunità ma l’essere rieletto. La seconda: i risultati elettorali sono influenzati in
modo significativo dall’andamento economico. Ovvero, gli elettori attribuiscono,
come per assenza di memoria, peso predominante alla performance del periodo più
vicino alla scadenza elettorale, ignorando le conseguenze negative di lungo termine
delle manovre economiche poste in atto durante il periodo elettorale. La terza:
prevede che il governo espanda nel breve periodo l’economia attraverso strumenti
monetari e fiscali, anche se l’espansione non è sostenibile nel lungo periodo. Ovvero
la capacità del politico di far coincidere il periodo di boom economico con la
campagna elettorale. Quindi, in sostanza, il buon Nordhaus ci dice che gli elettori
sono miopi e immemori. Miopi perché non riescono a vedere il fumo che gli viene
venduto durante la campagna elettorale e immemori perché vengono troppo spesso
dimenticate le magagne del passato. Alla luce di quanto detto, lo sgomento nella
presentazione di Guido Bertolaso a candidato sindaco da parte di Forza Italia si
attenua un poco. Altrimenti la scelta dell’ex capo della Protezione Civile sarebbe
quantomeno una mossa suicida. I trascorsi dell’attuale candidato sindaco pongono
non poche ombre sulla sua figura. Bertolaso ha infatti due procedimenti aperti e
rischia il rinvio a giudizio per un terzo processo. L’ex numero uno della Protezione
Civile era stato graziato per un vizio procedurale relativo dal processo relativo al G8
della Maddalena - poi svoltosi in Abruzzo dopo il terremoto di 7 anni fa -, ma la prima
sezione di Appello di piazzale Clodio ha annullato la sentenza formulata in primo
grado e ha fissato l’inizio del nuovo processo per il prossimo 10 maggio. L’accusa è di
associazione per delinquere finalizzata alla corruzione per le opere destinate al G8
del 2009 della Maddalena con regali, giri di denaro e case che hanno insospettito
non poco i giudici. Il procedimento è ancora in corso. Così come è in corso il processo
relativo ai fatti aquilani, in cui Bertolaso è stato rinviato a giudizio per omicidio
colposo plurimo e lesioni. Tra l’altro l’allora prefetto aquilano era Franco Grabrielli,
l’attuale capo della Prefettura romana. Per non dimenticare, ci hanno pensato alcuni
studenti e appartenenti ad alcuni comitati e associazioni de L’Aquila a mettere
sull’allerta i cittadini della capitale: “Bertolaso, ma non ti vergogni nemmeno un
po’?” - si legge nella lettera pubblicata su internet. “Fin da subito dopo il terremoto
Bertolaso, commissario per l’emergenza, ha utilizzato i suoi poteri per ostacolare in
tutti i modi la partecipazione e l’auto organizzazione della popolazione, vietando
assemblee e volantinaggi nelle tendopoli, trasferendo metà della popolazione in
altre regioni e reprimendo ogni tipo di protesta, grazie alla complicità del prefetto e
vice commissario Franco Gabrielli. Con le palazzine del Progetto Case e le sue 19 ‘new
town’ - scrivono comitati e associazioni - Bertolaso ha contribuito alla devastazione
del territorio aquilano, occupando 460 ettari fuori città e favorendo, grazie alla
deroga sugli appalti dovuta all’emergenza, le imprese che hanno costruito tali
alloggi ad un costo intorno ai 3mila euro a metro quadro. Dopo cinque anni in alcuni
di questi sono crollati i balconi e senza che ci fosse bisogno di un terremoto”.
Forse aveva ragione Nordhaus. Gli elettori sono immemori.
# 4 Metromag
business
# 5 Metromag
LAVAZZA COMPRA “CARTE NOIRE”GRUPPO TRANSALPINO DEL CAFFè, E VOLA VERSO LA COSTITUZIONE DEL TERZO POLO MONDIALE DELLA TAZZINA DOPO NESTLè E JAB.
OPERAZIONE DA 700 MILIONI DI EURO: LA PREVISIONE DEI RICAVI 2017 DI LAVAZZA è ORA DI 1,7 MILIARDI
L’acquisto è stato finanziato dalla vendita della partecipazione in Keurig-Green Mountain e in parte da un prestito da 400 milioni finanziato da banche italiane e francesi.Ora la quotazione a Piazza Affari? “La Borsa serve per chi vuole sprintare, noi siamo maratoneti”...
Nei giorni dello shopping francese sulle aziende italiane (Orange
su Telecom e Vivendi su Mediaset i gossip più insistenti), Lavazza
va in controtendenza e acquista le attività europee di Carte Noire,
gruppo francese della tazzina.
Un’operazione da 700 milioni di euro finanziata in parte con le
plusvalenze generate dalla vendita della partecipazione in Keurig-
Green Mountain e in parte da un prestito da 400 milioni finanzia-
to da banche italiane e francesi.
Le attività Carte Noire in Francia valgono 250 milioni di fatturato,
rappresentano il 20% delle vendite nei supermercati e dovrebbero
# 7 Metromag
businessfar crescere i ricavi del gruppo torinese a
1,7 miliardi nel 2017.
Il fatturato 2015 infatti dovrebbe aggirarsi
intorno agli 1,4 miliardi in crescita dell’8%
sull’anno precedente.
L’obiettivo dichiarato di Lavazza è quello
che illustra l’AD Antonio Baravalle: «Crea-
re un terzo polo del caffè a livello mondia-
le unendo in un unico gruppo i produttori
regionali».
Oggi il mercato della tazzina è dominato
da Nestlè che da sola rappresenta il 35%
delle vendite allo scaffale con un fatturato
retail di oltre 13 miliardi.
«Fino a pochi anni fa - spiega Baravalle - il
mercato era costituito da un grande pro-
duttore e da una miriade di piccoli.
Poi è iniziato anche nel caffè un processo
di concentrazione simile a quello che si è
verificato nel mondo della birra».
Così, accanto a Nestlé, si è creato un polo
alternativo. Con 8,5 miliardi di fatturato
allo scaffale il gruppo Jab ha ormai circa il
20 per cento del mercato.
Da questa seconda aggregazione è nata
indirettamente l’operazione Lavazza-Carte
Noire. L’antitrust europeo infatti ha impo-
sto a Jab di cedere le attività del marchio
del caffè francese.
L’offerta degli italiani ha battuto la concor-
renza dei fondi. «È un fatto positivo che
sia stata scelta una soluzione industriale»,
sottolinea Baravalle.
Lavazza rileverà così lo stabilimento di
Lavérune, nel sud della Francia, che occu-
pa 140 persone.
Un cavallo di Troia: nello stabilimento
infatti si producono le capsule del format
Nespresso e per la prima volta Lavazza
potrà mettere le mani su quella che l’am-
ministratore delegato chiama con malizia
«una tecnologia ormai disponibile a tutti».
Anche se non è ancora deciso l’eventuale
salto a capsule Lavazza che siano Nespres-
so - compatibili. Le conseguenze sugli
impianti produttivi italiani dovrebbero
essere positive. Perché accanto all’acqui-
sizione francese Lavazza ha realizzato nei
mesi scorsi uno shopping nei paesi baltici
rilevando il marchio Merrild.
La produzione per Danimarca e paesi del
Nord Europa verrà fatta in Italia a Settimo
Torinese.
Dopo l’acquisizione francese (e il necessa-
rio periodo di assestamento che potrebbe
durare fino a fine 2017) la prospettiva è
quasi inevitabile: la quotazione in Borsa.
Sul punto i Lavazza sono molto prudenti:
«Vogliamo mantenere la nostra indipen-
denza che in 120 anni di storia è stato uno
dei cardini della filosofia aziendale», dice
Giuseppe, vicepresidente con il cugino
Marco.
Quest’ultimo spiega: «La Borsa serve per
chi vuole sprintare, noi siamo maratone-
ti». Ma intanto si stanno preparando i pre-
supposti per l’Ipo.
Nel board sono presenti come indipenden-
ti Gabriele Galateri, Antonio Marcegaglia,
Pietro Boroli, presidente di De Agostini.
L’obiettivo è quello di raggiungere nel 2020
i due miliardi di fatturato.
Un livello di ricavi che si può ottenere an-
che senza nuove acquisizioni.
Ma a quel punto Lavazza sarebbe la più
grande delle piccole dopo i due colossi del
retail.
E allora «sarà importante sedersi da posi-
zioni di forza al tavolo di un nuovo conso-
lidamento», spiega Baravalle.
Per creare il grande polo dei produttori re-
gionali (quasi sempre in mano a una sola
famiglia) serviranno finanziamenti.
Ecco perché se Lavazza vuole diventare
leader nella piccola industria del caffè ne
avrà inevitabilmente bisogno. ©
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# 10 Metromag
giochi
# 11 Metromag
“Il gioco più bello del mondo dopo il
calcio”.
È questo lo “slogan” che si trascina da
anni il Fantacalcio, gioco nato da un’in-
credibile intuizione di Riccardo Albini,
che ispirandosi al “Fantasy Baseball”
statunitense testò a partire dagli Euro-
pei del 1988 la possibilità di introdurre
in Italia un sistema basato sulle presta-
zioni dei calciatori del campionato ita-
liano.
Regolamentato per la prima volta nel
1990 tramite le Edizioni Studio Vit, in
Italia il Fantacalcio è un marchio regi-
strato del Gruppo Editoriale l’Espresso.
Ma al di là delle regole e delle sfumatu-
re, il Fantacalcio è qualcosa di più.
Qualcosa in grado di rompere le ami-
cizie? Anche. Se i mesi di agosto e set-
tembre sono quelli più caldi, con la
cosiddetta “asta” iniziale che permette
ai partecipanti di creare la propria fan-
tasquadra, tra gennaio e febbraio ri-
schiano di consumarsi dei veri e propri
drammi.
Perché c’è solo una cosa “peggiore”
dell’asta iniziale.
La temibile asta di riparazione.
Ci si arriva dopo quasi cinque mesi di
campionato, con una classifica già ben
delineata e gli obiettivi di mercato di
tutti che diventano inevitabilmente
noti, tra infortunati di lungo corso, se-
conde linee ormai ancorate alla panchi-
na e attaccanti che non segnano nean-
che da zero metri.
...meglio puntare su Icardi e Jovetic, che l’Inter di
Mancini darà spettacolo, oppure su Morata, sicuro padrone dell’attacco juventino...
IL PIANETA DEL FANTACALCIOIL gIOCO PIù bELLO DEL MONDO (DOPO IL CALCIO)
di Marco Gaetani
# 12 Metromag
gioCHi
# 13 Metromag
Ad agosto vi siete svenati per Edin Dzeko, che al giro di boa del campio-
nato ha segnato meno di un difensore centrale?
E allora ecco che sarete avvicinati da loschi figuri, pronti a offrirvi Meg-
giorini e un pacchetto di chewing gum per provare a strapparvi il bo-
sniaco, giocando sulla vostra disperazione.
Solo una fede incrollabile potrà permettervi di non vacillare.
Una fede incrollabile in Spalletti, ovviamente.
Diego Lopez, il portiere su cui tanto avevate puntato in estate, è sparito
nel nulla, sostituito dal sedicenne Donnarumma?
Vi tocca un esborso aggiuntivo per tornare ad avere un numero uno
titolare, con gli altri presidenti pronti a mettere sul piatto crediti che
in realtà mai nella vita spenderebbero, con il solo scopo di portarvi sul
lastrico. E se non hanno portieri da tagliare verrà l’ora della protesta, del
“lodo Donnarumma”: rilancio anche senza tagliare, in base a un malin-
teso senso della giustizia. Il lodo non passa? È un Fantacalcio truccato.
Tutti seduti al tavolo per decidere le sorti della propria fantasquadra,
dunque. E allora si ripensa all’asta iniziale, quando avete mollato Hi-
guain con la convinzione che Sarri non avrebbe mai portato in alto il
Napoli: meglio puntare su Icardi e Jovetic, che l’Inter di Mancini darà
spettacolo, oppure su Morata, sicuro padrone dell’attacco juventino.
Cosa vuoi che faccia quel Dybala lì, che è appena arrivato dal Palermo?
Ma quelle che fanno più male sono le piccole disperazioni.
L’amarezza di vedere Paloschi volare allo Swansea, ad esempio.
Lui, perfetta terza punta a basso costo, che decide di lasciarti in braghe
di tela e andare in Galles.
Ma perché lo hai fatto, Alberto? Oppure il cambio di allenatore a stagio-
ne in corso che stravolge tutto: avevi preso Rigoni sperando in un’altra
stagione da bomber inatteso agli ordini di Iachini?
Non hai fatto i conti con Zamparini. Via Iachini, Rigoni fuori rosa, il
dramma è servito. Il Fantacalcio ha anche il merito – o la colpa – di
portare alla luce del sole alcuni dei lati nascosti di ognuno di noi.
C’è chi alle 18.05 del sabato, dopo ben cinque minuti dall’avvio del pri-
mo anticipo della giornata di Serie A, mette in piedi la sua strategia
all’insegna del “pianto che frutta”, battendosi il petto per una partita già
persa solo perché il suo difensore ha preso un’ammonizione.
Chi si attacca a Diretta Gol come se da un Carpi-Udinese passasse parte
della sua vita.
Chi si aggrappa al posticipo serale per raddrizzare due giorni disastrosi.
Chi se la prende con il fattore campo, chi con gli assist, chi maledice
se stesso per aver tenuto in panchina quattro marcatori, chi giura di
essere all’ultimo anno di questo pazzo, insensato, folle amore: basta an-
dare avanti così, non si può stare male per un gioco, il prossimo anno la
domenica solo gite fuori porta. Non credetegli. Magari ci andranno, a
fare la gita fuori porta.
Non c’è più il romanticismo delle radioline, ma nell’era degli smartpho-
ne potrete stanarli senza problemi.
Saranno quelli che, alle 16.50, butteranno un occhio vago a una delle
tante applicazioni presenti sul loro telefono.
Ed esulteranno, magari a mezza bocca o con un pugnetto stretto a ma-
lapena. Per un gol della loro squadra?
Macché. Per un gol della loro fantasquadra. Perché il Fantacalcio è molto
più del “gioco più bello del mondo dopo il calcio”. È un virus incurabile.
L’unico in grado di farvi affezionare a Hiljemark come se fosse un paren-
te stretto, di farvi inventare nomignoli per giocatori di cui non avevate
sentito parlare fino a due settimane prima, di farvi guardare come pazzi
dalla folla per un assist di Zukanovic o per un autogol di Bruno Peres. ©
# 14 Metromag
fisco
# 15 Metromag
Usa l’aUto per la figlia
disabileMa l’agente
di eqUitalia la pignora
di pignoramenti. Voleva farlo con i mobili, ma gli ho spie-
gato che quella non era casa mia, bensì di mia madre, dalla
quale mi ero trasferita per poter risparmiare sull’affitto –
ha detto ancora la donna – Io intanto gli mostro i cedolini
delle rate pagate, tento di spiegare che sono in regola, che
ho un piano di rientro, ma è tutto inutile”.
Non potendo, così, pignorare nulla, al funzionario non re-
sta che mettere i sigilli all’auto della donna, una vecchia
Renault, comprata con tanti sacrifici, che usava per portare
in giro la figlia disabile.
Adesso quella ragazza di soli 17 anni, affetta da handicap
grave, è costretta a vivere segregata in casa e la famiglia è
appesa ad un filo: se la ragazza, infatti, dovesse star male
all’improvviso, la madre non avrebbe a disposizione nes-
sun mezzo per portarla in ospedale e aspettare l’arrivo di
un’ambulanza potrebbe essere davvero rischioso.
Nonostante la donna stia provvedendo a saldare il suo de-
bito e soprattutto la legge 104 dica chiaramente che i mezzi
dei disabili non possono essere sequestrati, si è trovata,
di punto in bianco, privata dell’unico bene di sua
proprietà.
La storia ha suscitato grande sdegno e clamo-
re e, guarda caso, da Equitalia, nel tentativo
di salvare le apparenze, hanno fatto sa-
pere che il pignoramento non è stato
ancora trascritto sul registro auto-
mobilistico e che, già nei prossimi
giorni, la vecchia Renault sarà
restituita alla legittima pro-
prietaria.
E così giustizia è fatta, ma a
che prezzo? ©
L’incubo di una famiglia con una ragazzina gravemente malata.La madre: “Se dovesse star male all’improvviso non saprei come fare per portarla al pronto soccorso”.Eppure c’è una legge che vieta di pignorare i mezzi per i disabili.
Questa è una storia drammatica che ha per
protagonista una famiglia di Oristano: una
mamma e una figlia di 17 anni disabile. La
crisi economica ha purtroppo colpito l’attività
commerciale della donna costringendola a
contrarre un debito di circa 10mila euro.
Soldi che la famiglia, con molta fatica, sta-
va cercando di restituire, avendo concor-
dato un piano di rientro con l’Inps.
“Pagavo le rate regolarmente” - ha raccontato la signora - “invece, qualche giorno fa mi è crollato il mondo addosso”.
La società di riscossione ha, infatti,
bussato alla porta della donna con
l’intento di pignorarle i beni ma la casa
dove vive non è la sua. “Ha iniziato a parlare
# 16 Metromag
business
# 17 Metromag
Sulla scia del premier Matteo Renzi, anche il
capo di Stato Sergio Mattarella visita l’Africa.
Una settimana, dal 13 marzo, tra Etiopia e
Camerun, ed era dal 1997 che un presiden-
te della Repubblica italiano non raggiungeva
il cuore del Continente nero. Carlo Azeglio
Ciampi era stato in Sud Africa nel 2002 ma
per un vero parallelo bisogna risalire alle scu-
se all’Etiopia chieste ormai quasi 20 anni fa
da Oscar Luigi Scalfaro ad Addis Abeba, nel
primo ritorno dal fascismo di un capo di Sta-
to italiano nelle vecchie terre d’Abissinia. Una
visita «storica», affermò l’allora presidente
d’Etiopia Negasso Gidada.
DA 11 ANNI IL PIL CRESCE DI OLTRE
L’8%. Stavolta invece la priorità non è rievo-
care un passato di sangue in parte elaborato. Il
tempo sta rasserenando i rapporti tra l’Italia e
l’ex colonia, che con il suo +11% di Pil annuo
(dal 2004 il dato è sempre stato superiore al
+8%) è, secondo il Fmi, tra i cinque Paesi più
in crescita a livello mondiale. Il nuovo presi-
dente Mulatu Teshome e il suo establishment
hanno rivestito di tutti gli onori Mattarella,
arrivato in Etiopia soprattutto per avvicinare
i due Paesi sul tema dell’emergenza migranti,
che è materia di scambio anche per grossi in-
teressi economici. Ad Addis Abeba c’è la sede
dell’Unione africana, tra le sue tappe istituzio-
nali prima di fare ingresso, il 16 marzo, in uno
degli affollati campi rifugiati nella regione di
Gambella. Oltre 100 mila profughi vivono
nella tendopoli al confine con il Sudan e l’E-
tiopia è anche l’incubatore di migliaia di eri-
trei e somali che vogliono andare in Europa.
Pistelli, Renzi e Mattarella: l’Italia presidia
il Corno d’Africa
Il viaggio di Mattarella spiana il terreno alla
conferenza Italia-Africa di Roma del 18 mag-
gio, per la quale sono stati propedeutici anche
i tour in Africa del 2015 e del 2016 di Renzi
e, prima ancora, di un suo (fedelissimo) fun-
zionario fiorentino allora alla Farnesina, Lapo
Pistelli. Meno di un anno fa il premier fece
scalo in Etiopia, per la terza Conferenza Onu
per il finanziamento allo sviluppo, poi volò in
Kenya. Infine quest’anno è stato in Nigeria,
Ghana e Senegal. La priorità di Roma è acce-
lerare la cooperazione con gli Stati dell’Africa
centrale di transito e provenienza di migranti,
stringendo con loro anche collaborazioni per
l’antiterrorismo e accordi bilaterali per i rim-
patri dei cosiddetti migranti economici.
IL CANALE CON L’ERITREA. L’Italia terra
d’approdo delle rotte africane su Lampedusa
si è fatta capofila, nell’Ue, della difficile e pure
essa sbrigativa politica di eliminare le cause di
fuga nei Paesi d’origine: il che ha incluso nei
pacchetti - senza per ora segni di progressi «a
casa loro» - anche grossi compromessi come
la riapertura, nel 2014, dei canali diplomatici
con il regime eritreo di Isaias Afewerki. Gra-
zie alla ripresa del dialogo con Asmara dell’al-
lora vice ministro degli Esteri italiano con
delega all’Africa Pistelli (ora vice presidente
dell’Eni), Bruxelles avrebbe poi annunciato
«aiuti da 200 milioni di euro per la lotta alla
povertà all’Eritrea»: dittatura tra le più dure
e per questo ostracizzata da decenni in Occi-
dente come la Corea del Nord
SCOPERTI NUOVI GIACIMENTI. Eppure
Etiopia ed Eritrea sono due Paesi del Corno
d’Africa divisi tuttora da contenziosi territo-
riali e storici, ma profondamente intrecciati
per problematiche e anche per risorse: li uni-
scono da sempre le croniche crisi alimentari
per siccità e carestie di milioni di bambini. Ma,
come in Somalia, nelle due ex colonie italiane
sono stati di recente scoperti giacimenti di
petrolio e gas naturale che fanno gola a molte
compagnie straniere. In Etiopia sono in corso
saggi in Ogaden, sul confine somalo. Le coste
e le acque dell’Eritrea e della Somalia sono lo
scrigno ancora intatto di vero un tesoro di
idrocarburi. Per non parlare del petrolio ripo-
sto nel suolo del Sudan. Fondi allo sviluppo,
appalti per 5 miliardi. Poi il petrolio? Dietro
il processo di Karthoum (2014) avviato senza
chiedere troppe garanzie tra l’Ue e la corda-
ta di Paesi africani - capitanati dal presidente
del Sudan Omar al Bashir, super ricercato dal
tribunale dell’Aja -, per «combattere il traffico
di esseri umani e intervenire sui fattori sca-
tenanti dell’emigrazione», ci sono molti inte-
ressi economici. In questo solco affondano i
pellegrinaggi dei rappresentanti italiani degli
ultimi anni nel Corno d’Africa. Prima di Mat-
tarella e Renzi, Pistelli ne è stato l’apripista, di-
chiarando l’Italia «vero partner strategico del
Corno d’Africa». Nel 2014 il governo Renzi ha
investito quasi 15 milioni di euro in progetti
per il miglioramento del sistema sanitario ed
educativo dell’Etiopia.
DUE DIGHE PER SALINI-IMPREGILO. In
cambio, un anno dopo, Addis Abeba ha spa-
lancato alla Salini-Impregilo le porte dell’ap-
palto della diga faraonica sul Nilo azzurro: la
più grande e avveniristica dell’Africa che, dal-
la sua centrale idroelettrica, esporterà energia
anche in Sudan, Egitto, Kenya, Somalia, e in
prospettiva, dicono, verso la Penisola araba e
tutta l’Africa.In Etiopia il colosso di costruzio-
ni italiano sta ergendo anche un’altra diga mi-
nore, visitata da Renzi durante la sua toccata
e fuga, dalla quale era stata promessa acqua
per irrigare le piantagioni, ma che per adesso
sta invece sconvolgendo l’ecosistema delle tri-
bù meridionali della valle dell’Omo: in totale
sono comunque 5 miliardi di commesse per i
due enormi progetti ingegneristici, nella terra
dell’antico impero che, dopo la Nigeria, con
circa 95 milioni di abitanti è il secondo Stato
più popoloso dell’Africa.
OLTRE 600 MILA RIFUGIATI. Sul fronte dei
migranti, anche Addis Abeba vive l’aggravarsi
delle emergenze umanitarie della regione: da
anni ospita centinaia di migliaia di profughi
dal Sudan e dal Sud Sudan, e altrettanti dal-
la Somalia e dall’Eritrea. Con l’acuirsi della
crisi, è il Paese che con il Kenya raggiunge il
picco massimo di rifugiati in Africa, oltre 600
mila. La guerra in Yemen del 2015 ha innesca-
to un ulteriore flusso verso il Corno d’Africa
di rifugiati somali di ritorno, anche verso le
tendopoli in Etiopia che - nonostante grandi
sacche di povertà, arretratezza e carenza di ri-
sorse - resta sempre il Paese più stabile e più
in crescita della regione. ©
etiopia:la crescita da record e gli interessi italiani
# 18 Metromag
vigilanza
# 19 Metromag
Premesso che la legge 59 del 2006
ha risolto la questione della legittima difesa in modo esaustivo, da ex
militare direi ai benzinai e ai gioiellieri esasperati ed alle persone che
si ritrovano con i ladri in casa: “Lasciate quelle maledette pistole nel
cassetto. Non siete Clint Eastwood, l’ispettore Callaghan non è mai
esistito è un’invenzione del cinema e, mentre voi cercate di armarvi, i
rapinatori hanno già la pistola in mano e il dito sul grilletto, magari di
un Kalashnikov. Se tirate fuori un’arma le probabilità sono tutte con-
tro di voi e, oltre a farvi ammazzare, rischiate di colpire i vostri fami-
liari, come è accaduto in più occasioni. Il dolore che la vostra perdita
causerà ai vostri familiari non ha prezzo. Non fatevi montare da tele-
giornali e arruffapopolo, usate la vostra testa. Tutti i morti ammazzati
che ci sono stati negli ultimi tempi erano persone esasperate come voi
che hanno preso la pistola e hanno reagito, non fatevi guidare dall’e-
sasperazione, pensateci. Difendere la propria incolumità e quella dei
propri cari, anche con le armi se necessario, è un diritto sacrosanto.
Nessuno si sogna, né mi sono mai sognato di metterlo in discussione.
È un diritto talmente sacrosanto che non è mai esistito uno Stato o un
ordinamento giuridico che non lo abbia previsto e tutelato. Checché
ne dicano i giornali e le televisioni, il diritto alla legittima difesa è
previsto anche dalle leggi italiane, lo è sempre stato. Se un cittadino
italiano vede in pericolo la propria vita o quella dei propri cari può
impugnare le armi e sparare, uccidere se necessario. Sostanzialmente
si tratta di un problema di grave, anzi gravissima confusione mentale,
sia da parte degli organi di informazione che, quel che è ancora più
grave, da parte di molti politici. Perché una cosa è difendere la propria
vita e quella dei propri cari, un’altra cosa è inseguire un ladro in fuga
e sparargli nella schiena. Il primo caso è legittima difesa, il secondo
è giustizia sommaria. Confondere le due cose significa non aver ben
chiara la differenza tra lo stato di diritto, tra la civiltà e lo stato di
natura. Eppure è proprio questa la strada che si vuole imboccare, con-
sentendo l’uso delle armi anche contro chi sta cercando di sottrarre i
“beni propri o altrui”. Si vede qualcuno che si è introdotto nel giardino
del vicino? Una bella fucilata nella schiena e giustizia è fatta (e il falcia
erba è al sicuro). Personalmente capisco bene le paure e le insicurezze
degli italiani, ma continuo a voler credere che non siano così assetati
di sangue. Continuo a voler credere che in giro non ci siano poi tante
persone per bene pronte ad uccidere un proprio simile sicure che poi
non avranno problemi di coscienza e dormiranno sonni tranquilli…
tanto era solo un ladro. Se in giro ci sono dei personaggi che, senza
essere in pericolo di vita, sono pronti a imbracciare le armi e a sparare
a un proprio simile, a mio parere lo Stato tutto dovrebbe fare, tranne
lasciargli mano libera. Se potessi confrontarmi con qualcuno che ha
queste velleità da “pistolero” lo accompagnerei in un qualsiasi macello
a osservare quando uccidono vitelli e cavalli, e poi magari inviterei
lui stesso a prendere in mano la pistola e ad abbattere un animale. E
se uscisse da una tale esperienza senza essere turbato, profondamente
turbato, gli consigliere di rivolgersi a un buon psicologo.
Oltretutto sono anche persuaso che se gli italiani potessero scegliere,
a una normativa che consente di sparare al ladro in giardino preferi-
rebbero una legge che permettesse loro di prendere a pugni il bancario
“di fiducia” che gli ha rifilato i bond Parmalat, guardandosi però bene
dal comprali lui stesso. Eppure con tante migliaia di cittadini derubati
dei risparmi di una vita, non si è sentito un solo caso di “giustizia som-
maria”, nessuno si è lasciato prendere la mano e tutti si sono affidati
alla Giustizia e alla Magistratura: questi sono i segni che confortano
sul livello di civiltà degli italiani. Sicuramente in molti hanno provato
questa tentazione, ma fortunatamente la loro educazione è riuscita a
trattenerli quel tanto da fargli rendere conto che alla fine si sarebbero
sentiti peggio. Ma poi sicurezza è solo affidare un’arma ad una persona
o lo sono anche e più il lavoro, la casa, i diritti? Ed insicurezza è solo
il ladro d’appartamento o lo sono, anche e più, la precarietà, e certe
leggi di stabilità e poi, come per gli armamenti, c’è sempre una posta
in gioco: l’aumento del conflitto sociale, violenza e sangue… altro che
sicurezza. ©
LEGITTIMA dIfEsA o GIUsTIZIA
soMMARIA?
di Mauro Pignatelli
L’opinione deL dott. GeneraLe Mauro piGnateLLi, per 34 anni neLLe Forze arMate Fino aL Grado di GeneraLe di BriGate, esperto di antiterrorisMo MarittiMo e aeroportuaLe.
# 20 Metromag
società
# 21 Metromag
C’è chi arriva a fine mese tirando la cinghia,
pagando affitti più o meno esorbitanti nelle
dimenticate periferie di Roma.
Quartieri dormitorio, privi di servizi e in-
frastrutture degni di una capitale europea,
che ogni mattina vedono in viaggio verso il
cuore della Città Eterna migliaia di cittadini
frustrati, costretti a lavorare per mantenere
una modesta abitazione in affitto.
Poi ci sono i soliti furbetti, che da anni do-
minano in silenzio quella che potrebbe esse-
re la città più bella del mondo ma che conti-
nua a essere tormentata da problemi di ogni
tipo. Una banale attività di verifica, disposta
dal commissario straordinario Francesco
Paolo Tronca in seguito ad alcune segnala-
zioni relative a canoni di affitto irrisori nel
I Municipio, ha portato alla luce dei dati
inquietanti sul patrimonio immobiliare di
Roma Capitale. “Dall’esame delle posizioni
dei 574 immobili del I Municipio – si legge
in una nota del Campidoglio – solamente il
18.5% delle unità abitative può essere defi-
nito allocato a inquilini muniti di contratto.
In questa categoria vanno compresi anche i
contratti con canone irrisorio e i casi di mo-
rosità. Una ampia zona grigia, pari al 49.6%,
si riferisce a contratti scaduti, utenti per i
quali è in corso la verifica dei requisiti per
la regolarizzazione, abusivi non ancora ac-
certati e procedure di sfratti in corso. Attual-
mente, le posizioni abusive accertate sono
il 16.2%”. Una fotografia allarmante di uno
scenario a dir poco incredibile.
Per una casa a Borgo Pio, a due passi dal Va-
ticano, il canone mensile costa più o meno
come una pizza (10,20 €).
Poi c’è l’alloggio con vista sui Fori Imperiali,
ma lì bisogna aumentare leggermente il tiro,
sborsando la bellezza di 23,36 €. Sempre
mensili, ovviamente.
È la nuova “affittopoli” che colpisce Roma,
scoperchiata proprio dal Campidoglio.
Canoni mai ridiscussi negli ultimi 70 anni:
basti pensare al palazzetto medievale su via
dei Fori Imperiali, che venne affidato ai Ca-
valieri di Malta nel 1946.
Il prezzo? All’epoca, centrato: 24.000 lire
all’anno. Peccato che quel canone sia rimasto
invariato e oggi quel palazzetto medievale
costi 12,00 €. Uno al mese.
È un caso eclatante in un mare di storie as-
surde. C’è chi paga 218 euro al mese per un
appartamento vista Colosseo a via Labicana
(93 mq), o chi si è aggiudicato l’opportunità
di vivere dietro piazza Navona a 154,00 € (91
mq a via dei Coronari).
“Si tratta di una situazione incancrenita –
raccontava Alessandra Cattoi, ex assessore
al Patrimonio nella giunta Marino – e quel-
lo che emerge ora è solamente il risultato di
una serie di politiche che si sono accavallate
in questi decenni. Ho fatto uno studio ap-
profondito e non ho trovato nessun cogno-
me eccellente: la verità è che il Comune, in
situazioni di disagio, assegnava la prima casa
libera. Con quelle popolari già piene, veni-
vano assegnati alloggi in centro storico”.
Per una città come Roma, travolta dai debi-
ti, l’incasso annuale di queste abitazioni (2,2
mln di €) è una goccia nel mare.
Nel novembre 2013, l’indagine del Comune
stimava in 597 le case a prezzi stracciati (295
residenziali, 302 commerciali): dai 163 mq
sopra la Fontana di Trevi a 410,00 € al mese
fino ai 35,00 € mensili spesi per un apparta-
mento di 52 mq a Corso Francia.
Un fulmine a ciel sereno? Decisamente no. È
emerso infatti, grazie a Repubblica, un cen-
simento effettuato addirittura dalla giunta
Carraro nei primi anni ’90: l’89% delle case
esaminate, circa 9.000 su 10.080, evidenzia-
va la necessità di un aggiornamento catasta-
le. Gli esempi, grazie al censimento, sono
stati portati alla luce: un’abitazione di corso
Rinascimento è passata da 1.3 milioni di lire
annuali a 1.954,00 €.
Una in via dei Coronari da 1.2 milioni di lire
a 1.093,00 €.
Una conversione addirittura inferiore ri-
spetto al cambio lira-euro, insomma.
Uno scandalo che si sta allargando a mac-
chia d’olio anche alle attività commerciali e
che quasi sicuramente sarà uno dei primi
temi da affrontare per la nuova giunta co-
munale. ©
di Marco Gaetani
# 22 Metromag
eventi
# 23 Metromag
Anno 2012: gli sportivi italiani provano il
brivido di un’Olimpiade trasmessa da Sky
Sport.
Con i diritti esclusivi nelle mani dell’emit-
tente satellitare, alla Rai non restava che il
pacchetto da duecento ore di diretta com-
plessive: scelte obbligate per la tv pubblica,
costretta a privilegiare solo alcune gare, ma-
gari le più importanti in ottica Italia, trascu-
rando altre finali spettacolari.
In compenso, per gli abbonati alla pay-tv
di Murdoch, i Giochi di Londra sono sta-
ti qualcosa di molto simile a un’esperienza
mistica.
Diretta praticamente 24 ore su 24, il concet-
to di “canale dedicato” totalmente superato
con la possibilità di un mosaico interattivo
a disposizione dello spettatore: chi è a casa
decide cosa guardare, diventando finalmen-
te protagonista senza “subire” le scelte dell’e-
mittente.
Lo zapping diventa compulsivo, il teleco-
mando un’arma impropria: si passa dal nuo-
to al tiro a volo, da Bolt a Federer, dal bad-
minton al judo. Pago, quindi decido.
Una maratona televisiva a portata di divano,
una full immersion di venti giorni che ha
permesso agli abbonati di Sky Sport di im-
mergersi nelle pieghe di ogni singolo even-
to. Un sogno. Destinato però a durare poco.
Per i Giochi Olimpici di Rio de Janeiro 2016,i diritti in esclusiva sono tornati alla Rai.
Oltre 400 ore di diretta a disposizione dell’e-
mittente pubblica, che pur di accaparrarsi il
pacchetto principale ha dovuto “lasciare” i
Giochi Invernali di Sochi 2014 a Sky.
Ci sarà un canale olimpico (Rai 2), con le
gare minori che scivoleranno sui due canali
tematici (Rai Sport 1, Rai Sport 2).
La motivazione più attendibile è legata a una
rinuncia di Sky: la pay-tv satellitare avrebbe
deciso di concentrarsi su eventi più duratu-
ri, in grado di garantire un maggior nume-
ro di abbonamenti, rispetto a un evento di
portata mondiale ma dall’arco temporale ri-
stretto. Il dietro le quinte è leggermente di-
verso. L’Italia, impegnata nella candidatura
per ospitare i Giochi del 2024, non “poteva
permettersi” di trasmettere un’altra rasse-
gna olimpica “per pochi intimi”.
La spinta di Giovanni Malagò, numero uno
del Coni e tra i principali artefici della can-
didatura di Roma per il 2024, sarebbe stata
decisiva per convincere Sky a farsi da parte
e per mostrare al mondo (e al Cio) che in
Italia i Giochi sono alla portata di tutti.
Già in occasione del passaggio di Sochi
2014 sul satellite, Malagò aveva attaccato
duramente: “Non posso immaginare che
l’evento sportivo più importante del pianeta
non venga trasmesso dal servizio pubblico.
Spero che i vertici della Rai possano rivede-
re una decisione, ammesso che sia stata già
presa, che rappresenterebbe un clamoroso
precedente, ma sono sicuro che si troverà
una soluzione positiva per tutti”.
Sky avrebbe incassato tra i sessanta e gli ot-
tanta milioni per il “disturbo”: i diritti era-
no stati acquistati da Murdoch nel lontano
2008, in un pacchetto che prevedeva anche i
giochi di Sochi per 155 milioni complessivi.
Oltre al corrispettivo in denaro, Sky ha gua-
dagnato la possibilità di aumentare i suoi
spazi pubblicitari sulla tv pubblica e la ri-
mozione dei contenuti criptati dalla Rai du-
rante i Giochi del 2016.
Rimangono ancora in ballo i diritti delle Pa-
ralimpiadi, che da quest’edizione sono stati
messi in vendita separatamente rispetto a
quelli delle Olimpiadi.
È quindi questo il prezzo da pagare per gli
appassionati. Un prezzo non quantificabile
in euro, stavolta. Londra 2012, con il suo
mosaico interattivo, la sua capacità di passa-
re da una medaglia a un’altra solo premendo
un tasto del telecomando, le sue dirette in
grado di soddisfare qualsiasi palato rimarrà,
almeno per i prossimi anni, solamente una
straordinaria parentesi di sport in tv.
L’auspicio è che la Rai possa quantomeno
avvicinarsi a un livello quantitativo e qua-
litativo così alto.
Una sfida affascinante ma difficilmente vin-
cente. ©
addio sky, per rio de janeiro 2016 si torna al passato
di Francesca Schito
# 24 Metromag
CronaCa
# 25 Metromag
Tutto il mondo è paese. Anzi no. A volte
basta attraversare un confine per accorgersi
delle differenze. Anche di fronte al proble-
ma comune di dover combattere l’aumento
della violenza nel mondo del calcio. Negli
ultimi tempi l’Italia è riuscita nel difficile
intento di trasformarsi in una zona franca
per molte delle tifoserie europee, convinte
di sbarcare in una terra di nessuno dove tut-
to è permesso.
Persino sfregiare monumenti patrimonio
dell’umanità come la Barcaccia del Bernini
in Piazza di Spagna o la statua di Giordano
Bruno a Campo de’ Fiori.
Perché dalle nostre parti l’ordine pubblico,
specie in occasione delle manifestazioni
sportive, non sempre è garantito.
Chi ci viene lo sa e ne approfitta, mentre
all’estero spesso le cose prendono una pie-
ga diversa. E allora capita anche che dopo
poco più di un anno dalla devastazione del
centro capitolino da parte degli accesi ultras
del Feyenoord, il tribunale olandese decida
di lasciar cadere le imputazioni per danneg-
giamento della Barcaccia perché non esiste-
rebbero le prove filmate in grado di incrimi-
nare persone specifiche.
Ma le immagini di quel pomeriggio Roma
se le ricorda ancora bene: 300 olandesi
ubriachi avevano utilizzato piazza di Spa-
gna come una discarica. Dentro ci avevano
gettato lattine, rifiuti e bottiglie di vetro fino
a scheggiare l’opera del Bernini.
Non soddisfatti, in 44 tifosi la sera del 19
febbraio 2015, aggredirono i poliziotti, in-
tervenuti in modo tardivo per cercare di
riportare l’ordine. Ma di episodi simili se ne
potrebbero raccontare eccome.
L’ultimo in ordine cronologico è accadu-
to nello scorso dicembre a Napoli, quando
i tifosi del Legia Varsavia accettarono lo
scontro e il contatto con i sostenitori parte-
nopei devastando le vie della città. Bottiglie
contro le finestre, tre poliziotti contusi e un
auto bruciata il conto dei danni finali segna-
ti a carico dei polacchi.
Ma quando il tifo italiano si sposta all’estero
le cose cambiano: come nel 2013 a Varsavia
(caso del destino) quando tocca alla Lazio
affrontare il club polacco in Europa League.
Nella gara di andata nella capitale oltre
2mila ultrà del Legia misero a soqquadro la
capitale sotto controllo a distanza dalla po-
lizia inerme costretta a limitare i danni della
loro turbolenta trasferta. Al ritorno, invece,
in seguito a degli incidenti simili 149 tifosi
della Lazio vennero arrestati, con tanto di
irruzione delle forze dell’ordine in albergo.
A seguito di accuse come detenzione di
armi o droga 22 ragazzi vennero trattenuti
per quasi un mese, nonostante l’intervento
del governo italiano che in quei giorni chie-
se la scarcerazione attraverso la mediazione
diplomatica con il governo polacco.
Nello specifico infatti non viene presa in
considerazione la durezza delle regole che
sono in vigore negli altri paesi europei (da
tempo uniti nella lotta contro la violenza
delle frange più estreme delle tifoserie or-
ganizzate) quanto la disparità di metodo o
mancanza di organizzazione delle compo-
nenti italiane. D’altronde tante vecchie di-
scussioni sono state spesso accompagnate
negli ultimi anni da vaghi richiami al modo
in cui altri paesi occidentali con guai simili
ai nostri abbiano risolto i loro problemi, an-
che di fronte a soluzioni talvolta mitizzate o
descritte superficialmente.
Se si va a vedere come funzionano le cose
nei tre grandi paesi europei che ospitano
i tre principali campionati di calcio (l’In-
ghilterra, la Germania e la Spagna) si nota
però che esistono modi molto diversi per
affrontare e risolvere il problema della vio-
lenza scatenata dagli ultras e che non tutti
funzionano allo stesso modo e nello stesso
arco di tempo.
Resta il fatto però che gli episodi vissuti nel
recente passato hanno costretto le istituzio-
ni a cambiare piani e logistica, iniziando un
processo di collaborazione più ampio con le
forze dell’ordine straniere.
Anche perché rispetto al resto d’Europa l’I-
talia non è seconda a nessuno sul piano nor-
mativo: il problema come sempre è riuscire
a farle rispettare. ©
fenoMeno Ultras, differenZe e Metodologie applicate in eUropa
di Adriano Serafini
# 26 Metromag
riCorDie ci fosse una galleria fotografica a raccon-
tare la storia del nostro Paese, quell’imma-
gine avrebbe bisogno di una postazione privi-
legiata. Un mazzo di carte poggiato sul tavolo
di un salottino a quattro posti e una Coppa del
Mondo nel centro a raffigurare la gioia di un’in-
tera nazione. Perché un pezzo della storia del
calcio italiano, quel giorno, fu scritta a 8000 me-
tri d’altezza, a bordo del Dc9 Alitalia che ripor-
tava i campioni del mondo da Madrid a Roma.
Il presidente Sandro Pertini, Dino Zoff, Franco
Causio e il ct Enzo Bearzot, e la fotografia di
una partita a ‘scopone’ che ci mise poco a fare il
giro del mondo, unita dal doppio significato di
congiunzione tra calcio e politica che quel po-
meriggio di luglio volò a bordo dell’aereo ormai
dimenticato e prossimo alla rottamazione. Per
questo dopo più di trent’anni di onorato lavoro,
il Dc9 di proprietà dell’Alitalia è pronto ad en-
trare nella Hall of Fame della memoria, senza
lasciarlo cadere a pezzi tra la ruggine di una pi-
sta secondaria nello scalo romano di Fiumicino.
Acquistato nel 1974 per il trasporto sanitario e
di personalità, nel 2001 è stato dismesso dall’ae-
ronautica militare e successivamente ceduto alla
Boeing. Nel 2007, questo pezzo di storia è stato
acquistato da Alitalia: comprato grazie ad un’of-
ferta simbolica è stato utilizzato per addestrare
i futuri tecnici della compagnia
di bandiera. Nonostante alcune
proposte per dare al velivolo
una nuova funzione, tra cui l’idea di renderlo la
pietra su cui far nascere il museo aeronautico, è
arrivato il momento della dismissione comple-
ta, dato che la compagnia lo ha collocato fuori
dalle proprie autorimesse. La mobilitazione per
salvare e preservare il futuro dell’aereo Mundial
è già partita, scossa dagli stessi protagonisti
dell’avventura spagnola e ora più che mai finita
tra gli obiettivi primari della Federazione Ita-
liana. Magari limitandosi soltanto a smontare
e trasportare lo storico salottino dello ‘scopone’
all’interno del museo del calcio di Coverciano,
voluto fortemente dal presidente della Figc Car-
lo Tavecchio. Al momento soltanto uno scena-
rio avanzato dai vertici del calcio italiano, che
insieme ad Alitalia stanno studiando una solu-
zione condivisa, possibilmente in tempi brevi.
“Non possiamo perdere un’occasione simile - il
monito lanciato dall’ex attaccante azzurro Gra-
ziani - fa parte della storia del calcio e del paese”.
Per salvarlo, Ciccio è disposto “anche a salire sul
Dc9 e giocare una partita con Dino Zoff, Franco
Causio e magari l’attuale presidente”. E sulla par-
tita tra Zoff, Causio, Pertini e Bearzot, Graziani
svela finalmente anche dei retroscena inediti:
“Sulla scopa di sette aveva ragione Dino, sbagliò
Pertini la giocata. Ma quest’ultimo si arrabbiò
e il nostro capitano disse a me e Dossena che
non poteva mica contraddire il presidente. E si
prese la colpa. Pertini era un grande presiden-
te, ma a giocare a scopone non era capace. Poi
ricordo anche i dubbi del segretario Maccanico
che non voleva far atterrare l’aereo a Ciampino,
dove milioni di persone invadevano la pista e la
strada fino a Roma. Ma le ragioni di Stato e della
sicurezza vennero meno di fronte a quelle del
cuore e del popolo: Pertini era il presidente del-
la gente, sapeva che il bagno di folla era dovero-
so”. E adesso a trentaquattro anni di distanza, le
iniziative per non cancellare tutti quei ricordi si
moltiplicano: a partire da Volandia, il Museo del
volo nell’area dell’aeroporto di Malpensa, che ha
offerto la propria disponibilità per restaurare e
ospitare l’aereo di proprietà della compagna di
bandiera italiana. Chiedendo inoltre l’appoggio
ai campioni dell’82 di appoggiare l’iniziativa “in
modo che, anche le generazioni che non hanno
vissuto quei momenti magici, possano conosce-
re da vicino un pezzo di storia dello sport e del
Paese”. Per farlo tornare a volare, Luca Cordero
di Montezemolo è pronto a compiere un passo
in avanti, anche se per l’effettiva realizzazione
servirà un impegno più concreto soprattutto da
parte delle istituzioni: “Siamo pronti a regalarlo,
ma finora non abbiamo ancora trovato la dispo-
nibilità di nessuno”, l’allarme del numero 1 di
Alitalia. Il rischio di dimenticare
troppo in fretta è sempre dietro
l’angolo. ©quel dc9 che
IStItUto DI VIgILaNZa SeCUrItY LINe - www.security-line.biz
Fra i grandi danni che ciascuno di noi può subire, uno dei più gravi è la perdita dei beni, a causa dell’aggressione al patrimonio.Un accurato servizio di vigilanza è fattore necessario, sia per prevenire e controllare, sia per dissuadere.
Vigilare, prevenire, proteggere.
PROTEGGICHI AmI
PiAnTOnAMenTO fiSSO PReSSO enTi PubbliCi e PRiVATi - PiAnTOnAMenTO fiSSO AnTiRAPinA bAnCheCOlleGAMenTO iMPiAnTi di AllARMe COn lA CenTRAle OPeRATiVA dell’iSTiTuTO - PROnTO inTeRVenTO di AuTOPATTuGlie
SeRViziO di ROndA MediAnTe lA CeRTifiCAziOne delle iSPeziOni - SeRViziO di ViGliAnzA di zOnA - SeRViziO di RiTiRO SChedine PeR AlbeRGhi
Sdi Adriano Serafini
ha fatto la storia
# 28 Metromag
turismo
# 29 Metromag
“When in Rome, do as the Romans do”.
Uno dei detti più celebri sulla Città Eterna riguarda la possibilità
di “vivere come fanno i romani”: un’esperienza che, per i turisti che
arrivano da ogni parte del mondo, è finalmente diventata possibile.
Il merito è di “With Locals”, che viene definito un vero e proprio “social network delle passionI” e che, a due anni dal debutto nel mercato asiatico, ha scelto Roma e l'Italia – l'altra città disponibile è Milano - come nuovo orizzonte.
Rispetto ai tradizionali tour operator, With Locals mette in contatto
direttamente i privati cittadini, che possono iscriversi al
sito e fornire ai turisti ogni tipo di attrazione: da una
lezione su come preparare la pasta fresca a una
passeggiata a cavallo sull’Appia Antica, passando
per la creazione di un itinerario sui luoghi
della città che hanno segnato la storia del
cinema e per un giro cittadini a bordo di una
Fiat 500 d’epoca.
A garantire la qualità delle esperienze è lo staff
di With Locals, sul cui sito (www.withlocals.
com) è possibile leggere le recensioni di chi ha
usufruito dei servizi, i prezzi e l’affidabilità di chi
offre il “pacchetto” in questione.
C’è di tutto: il fronte più esplorato è chiaramente
quello enogastronomico, che presenta però anche
delle insospettabili varianti. Tra le varie offerte, è infatti presente una
“cena con lezione di gestualità tipica italiana”: non solo un pasto in
allegria, insomma, ma anche la possibilità di scoprire un aspetto che da
sempre incuriosisce i turisti.
Se l’ambito di pranzi e cene è già iperaffollato, meno esplorato è quello
dei tour personalizzati in giro per la città: c’è chi offre un giro in Vespa
“contro le trappole per turisti”, chi si mette a disposizione per uno
“shopping tour” nelle vie più alla moda della città, chi è pronto a fare
da guida in un itinerario in mountain bike nei Castelli Romani e anche
chi, per mostrare un altro lato di Roma, si dedica a un tour notturno nel
cuore della capitale.
Dai percorsi turistici alle attività personalizzate il passo è breve: due
ragazze, Giovanna e Francesca, in un workshop di
circa tre ore, permettono ai visitatori di
realizzare un paio di sandali su misura
totalmente a mano. Roberto si
dedica all’insegnamento dei
segreti necessari per preparare
pasta fatta in casa e ciambelle,
mentre Lucio regala ai turisti la
possibilità di sentirsi delle vere
star del cinema, fotografandoli
in giro per via Veneto come
farebbero i paparazzi.
È il nuovo volto del turismo, con i
cittadini che forniscono ai visitatori
una Roma “da romani”. ©
IL TURISMO NELLE GRANDI CITTà ITALIANE
A PORTATADI WEB
di Marco Gaetani
# 31 Metromag
attualitàichard Ginori, grande griffe della por-cellana artistica, uno dei nomi storici
dell’industria italiana, ma anche europea, ha chiuso i battenti dopo oltre 250 anni di attivi-tà. Il Tribunale di Firenze ne ha dichiarato il fallimento, dopo la liquidazione iniziata nella scorsa primavera della storica azienda di Sesto Fiorentino, nella stessa località dove il marchese Carlo Ginori nel 1735 fondò la Manifattura di Doccia, primo mattone di quella che diventerà uno dei marchi più noti al mondo per le por-cellane di lusso. Non ha convinto i giudici il piano presentato dai liquidatori, che pre-vedeva la cessione delle attività alla cordata composta dalle aziende Lenox e Apulum e il saldo di parte dei debiti, cedendo allo Stato le opere del Museo della Porcellana. Ma la crisi ha radici ben più profonde che risalgono a quarant’anni fa, quando inizia-rono i primi strani incroci con la “cattiva” finanza italiana. Un abbraccio che, visto a ritro-so, le fu fatale. A partire da quel primo incontro nel 1970, quando divenne una controllata della Finanziaria Sviluppo di Michele Sindona, ban-chiere massone colluso con la mafia, morto in carcere per avvelenamento dove stava scontan-do una condanna all’ergastolo. Tre anni dopo passò alla Liquigas di Raffaele Ursini, padrone della chimica e del gruppo SAI, fuggito poi ne-gli anni ’80 in Sud America dopo una condanna per falso in bilancio. Fu però sotto il suo regno che si fuse
con la Pozzi per dare vita a un’unica grande struttura: la Pozzi Ginori. Nel 1977 di nuovo un altro passaggio alla SAI, l’ex compagnia di Gian-ni Agnelli destinata a diventare la punta di dia-mante della galassia di Salvatore Ligresti. Dopo 16 anni, nel 1993, un nuovo spacchettamento: la Pozzi-Ginori finì alla Sanitec Corporation, mentre la manifattura Richard Ginori cinque anni dopo venne rilevata da Pagnossin, per ini-ziare un lungo travaglio. Il passo falso nel 2006, quando entrò nella proprietà il gruppo emiliano
di Bormioli Rocco & Figli con l’idea di portare un marchio di lusso nei supermercati, tanto che molto del materiale commercializzato dall’in-gresso non fu più prodotto nella storica fabbrica sestese, ma da industrie non italiane per ridur-re i costi. Idea che si rivelò sbagliata: il gruppo Bormioli Rocco & Figli durò soltanto un anno: a dicembre del 2006 lasciarono, mentre al verti-ce della società, travolta da una situazione debi-
toria preoccupante, arrivò l’immobiliarista Luca Sarreri presidente anche della controllante Pa-gnossin. Dopo un lungo braccio di ferro, nell’ot-tobre del 2007 il marchio passò alla Starfin di Roberto Villa e nel marzo 2009, dopo 3 anni (il titolo era stato sospeso nel 2006), è tornata a Piazza Affari. Ma tre anni dopo, nel maggio 2012, vista la pesante situazione finanziaria, con debiti oltre i 40 milioni di euro, la fabbrica di Sesto Fiorentino viene posta in liquidazione vo-lontaria e viene nominato un collegio di liqui-
datori con il compito, attraverso la vendita dell’azienda e la richiesta di un concordato preventivo, di evitare il fallimento. Il pri-mo agosto l’attività è sospesa, i forni sono rimasti accesi per consentire una rapida ri-presa, e i 330 lavoratori posti in cassa inte-grazione straordinaria. Un triste finale per un’azienda e uno stabilimento che per oltre due secoli ha ospitato la produzione di por-
cellane tra le più prestigiose in Europa, grazie alla fusione nel 1896 col gruppo industriale del milanese Augusto Richard, da cui la denomina-zione attuale, e alla sapiente guida di un diretto-re artistico quale Gio Ponti negli anni Venti, per poi fondersi di nuovo nel 1965 con la Società Ceramica Italiana di Laveno. Richard Ginori ha visto l’Unità d’Italia e ha resistito a due guerre mondiali. Ma i giochi di immobiliaristi e ban-
chieri spregiudicati della Prima e Seconda Repubblica l’hanno portata alla tomba. ©
R
Chiude lo stabilimento di Sesto Fiorentino dove si producevano
porcellane di lusso da oltre 250 anni: l’azienda affossata in quarant’anni da immobiliaristi,
imprenditori e banchieri spregiudicati.
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richard ginori,storia di un fallimento
del Made in italy
# 33 Metromag
leggillinearsi con l’Europa e con il resto del mondo. Almeno in questo una risposta
è arrivata. Dopo anni di polemiche e battaglie è stata finalmente firmata la legge sull’omicidio stradale, bloccata per troppo tempo in un limbo di incertezze e sentenze controverse, mai accet-tate fino in fondo dai parenti delle vittime.La novità principale contenuta nella legge è l’in-troduzione dei due nuovi reati di omicidio stra-dale e lesioni personali stradali. Per chi si mette alla guida in stato di ebbrezza o dopo aver as-sunto stupefacenti e causa la morte di qualcuno la pena della reclusione va da 5 a 12 anni. Se l’in-vestitore si dimostra lucido e sobrio, ma la sua velocità di guida è il doppio del consentito, la pena va da 4 a 8 anni. In caso di omicidio mul-tiplo, la pena può essere triplicata ma non supe-riore a 18 anni. È invece punito con la reclusio-ne da 6 mesi a 2 anni chi, guidando non sobrio o non lucido, procura lesioni permanenti. Nel caso di lesioni aumentano le pene se chi guida è ubriaco o drogato: da 3 a 5 anni per lesioni gravi e da 4 a 7 per quelle gravissime. Se invece il col-pevole ha un tasso alcolemico fino a 0,8 g/l o se l’incidente è causato da manovre pericolose la reclusione sarà da un anno e 6 mesi a 3 anni per lesioni gravi e da 2 a 4 anni per le gravissime. In caso di condanna o patteggiamento (anche con la condizionale) per omi-cidio o lesioni stradali viene automaticamente revocata la
patente. Una nuova patente sarà conseguibile solo dopo 15 anni (omicidio) o 5 anni (lesioni). Però nei casi più gravi, se ad esempio il condu-cente fugge dopo l’omicidio stradale, dovranno trascorrere almeno 30 anni dalla revoca.Una boccata di giustizia per una questione che inevitabilmente ha ancora bisogno di posizio-narsi sugli standard della media europea, dove il compito delle istituzioni ha già raggiunto nella maggior parte dei casi una forma di prevenzio-ne in grado di diminuire anno dopo anno il nu-mero di decessi causato da incidenti automobi-listici. Il Global Status Report on Road Sefety di pochi anni fa commissionato dalla Organizza-zione Mondiale della Sanità, indicava che l’Italia aveva stanziato nel 2009 per la sicurezza strada-le 0,9 euro l’anno pro capite contro una media di 10,9 euro dei 21 paesi europei che avevano for-nito i dati in materia, con picchi che arrivano ai 20 euro l’anno della Spagna, 22 Norvegia e a 39 in Francia. Peraltro i finanziamenti in sicurezza stradale impegnavano lo 0,23% del Pil in Polo-nia, lo 0,13% in Francia,lo 0,12% in Estonia, lo 0,09 in Spagna, lo 0,4% nel Regno Unito, men-tre l’Italia annoverava un preoccupante 0,004%.I finanziamenti per la sicurezza stradale sono così bassi (un decimo della media europea) da impedire qualsiasi azione di sviluppo e di mi-
glioramento della sicurezza stradale. Le cause dell’alto tasso di mortalità registrato sulle strade italiane è del 30% superiore al tasso medio dei paesi europei. La mortalità è in aumento tra i ciclisti (+8,8%), pedoni (+5,3%) e autisti dei ca-mion (+4,8%). L’Italia è il Paese più motorizzato d’Europa, con 608 veicoli ogni mille abitanti contro una media europea di 487 automobili ogni mille abitanti.I valori degli investimenti per sicurezza e manu-tenzione delle strade sono spesso andati in con-trapposizione con le reale necessità delle aree più trafficate dello Stivale, per assurdo rimaste per lunghi periodi senza sovvenzionamenti in grado di poter arginare o migliorare il proble-ma. In più i nodi da sciogliere non finiscono qui: tra cavilli legislativi (uno su tutti, la guida senza patente: è condotta aggravante le ipotesi di omicidio stradale, ma è stata depenalizzata come reato in sé) e la mancanza di un’istruzio-ne stradale effettiva per i più giovani prossimi a mettersi al volante.Si spera che con la nuova legge e la conseguen-te preoccupazione di incorrere in pene più se-vere, la coscienza gli automobilisti prenderà il sopravvento durante la guida, e anche se non potrà garantire da sola una consistente riduzio-ne dei morti sulla strada, permetterà almeno di
rendere più giustizia alle vitti-me e ai loro familiari. ©
A
legge oMicidiostradale. Una svolta
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di Adriano Serafini
# 34 Metromag
riCorrenze
# 35 Metromag
san valentino: patrono degli innamortati?
San Valentino patro-no degli innamorati? È la versione
più diffusa, sicuramente quella più “commer-ciale” della vita del santo e martire cristiano Valentino
da Terni, la cui festività religiosa venne istituita nel lontano 496 da Papa Gelasio I.
Ben diverso è il discorso legato alla pratica moderna della cele-brazione della festa, ora incentrata sullo scambio di regali e dediche
d’amore fra innamorati: un’usanza che, con ogni probabilità, trova la sua origine nel basso medioevo e sarebbe riconducibile al circolo di
Geoffrey Chaucer, nel quale prese piede la tradizione dell’amor cortese. Una tradizione dilagata nel passare degli anni, fino al boom del XIX
secolo, con la produzione su scala mondiale di biglietti di auguri dedica-ti a questa ricorrenza.
Ma se San Valentino, in realtà, non fosse il patrono degli innamorati ma il “patrono degli sfigati”? Tra le tante storie, reali e meno reali,
che circondano la figura del martire ternano, ve ne è infatti una molto particolare. Valentino, già vescovo di Terni, si apprestava ad unire in
matrimonio Sabino, un centurione romano pagano, e la giovane cristia-na Serapia. Un matrimonio fortemente ostracizzato dai familiari di lei,
che vedevano la conversione rapidissima forzata di Sabino come un atto dovuto dal suo forte innamoramento per Serapia e non sentito dal punto di vista religioso. Una volta vinta la resistenza dei genitori,
la povera Serapia venne però a sapere di essere gravemente malata. Una malattia terribile, che rischiava di costarle la vita.
Terrorizzato per le condizioni di Serapia, Sabino si rivolse a Va-lentino per cercare di avere un aiuto dall’alto. Il vescovo giunse
al capezzale della giovane e fu lì che Sabino avanzò la sua richiesta: non voleva per nessun motivo rimanere separato
dalla sua amata.Valentino battezzò il centurione e lo unì in matrimonio
a Serapia. Una volta benedetto il matrimonio, entram-bi morirono. Secondo alcune fonti, fu anche questo
matrimonio a costare la vita a Valentino, che morì il 14 febbraio del 273, decapitato dal soldato romano Furius Placidus dopo un intermina-
bile martirio lungo la via Flaminia.Una visione molto lontana da quella
che, negli anni, è diventata via via una ricorrenza fortemente
commerciale, probabilmente ispirata da una
leggenda statuni-tense, secondo cui proprio
il vescovo, passeggiando, vide due giovani coinvolti in un litigio.
Valentino porse loro una rosa e i due, tenendola in mano, si allontanarono riconciliati, con numerose coppie di piccioni che volavano attorno alle loro teste scambiandosi dolci gesti d’affetto. Tra storie e leggende, quel che è certo è che fu Papa Gelasio I a isti-tuire la festività religiosa, per sostituire la festa pagana dei Lupercalia, antichi riti pagani dedicati al dio della fertilità Luperco, che prevedeva-no festeggiamenti sguaiati, all’epoca in aperto contrasto con la morale
comune e con l’idea cristiana dell’amore.Più difficile cercare di identificare correttamente l’evoluzione della festa con il passare degli anni, anche se alcuni riferimenti storici fanno pen-
sare che fosse dedicata agli innamorati già dalla prima metà del secondo millennio: il 14 febbraio 1400, a Parigi, venne infatti fondato l’Alto
Tribunale dell’Amore, un’istituzione che aveva lo scopo di risolvere controversie legate a tradimenti, violenza contro le donne e contratti
d’amore. Meno datato è l’uso di spedire le cosiddette “valentine”, anche se la più antica risale al XV secolo: Carlo d’Orleans, impri-gionato nella Torre di Londra, spedì a sua moglie un messaggio
d’amore.Fu Esther Howland, imprenditore statunitense, il primo a pro-durre biglietti di San Valentino nel XIX secolo, ispirandosi a una tradizione britannica: un processo di commercializ-zazione che ebbe il suo boom con la graduale uscita
di scena delle “valentine” e l’inizio della tradizione dei regali come cioccolatini, fiori e gioielli.Una tradizione che rimane viva, anche se con il grande dubbio legato alla leggenda del santo ternano:
patrono degli innamorati o patrono degli
sfigati? ©
di Marco Gaetani
# 36 Metromag
intrattenimento
# 37 Metromag
“Buona sera signori, buona sera”.
E’ notte fonda in Italia, ma le prime parole strozzate dalla gioia e da un pizzico
di commozione non potevano che rendere ancor più tricolore il tappeto rosso
di Hollywood. A 87 anni Ennio Morricone alza la statuetta di fronte al pub-
blico del Dolby Theatre di Los Angeles, l’ultima di una lunga serie di successi
degli straordinari artisti italiani che nel tempo sono riusciti a conquistare la
vetta più alta del mondo cinematografico. Dopo ben cinque nomination e un
Oscar alla carriera, il grande compositore ottantasettenne sbaraglia la con-
correnza grazie alla colonna sonora del film The Hateful Eight, il western di
Quentin Tarantino, impreziosito proprio dalla sua inconfondibile musica.
La parte finale (per ora) di una storia italiana, da sempre riconosciuta in ogni
sfaccettatura del cinema, in cui scenografie, costumi, effetti speciali, montag-
gio, fotografia, trucco hanno spesso registrato l’eccellenza dei professionisti
nati nel nostro Paese. Un omaggio anche per chi lo avrebbe meritato e non
ci è mai riuscito: come Mario Monicelli, per esempio, candidato 6 volte ma
mai vincitore, o Sergio Leone e Dino Risi, che non hanno ricevuto nemmeno
una candidatura. Ma per fortuna il percorso è disseminato di premi e trion-
fi, che la storia del cinema non potrà mai dimenticare. L’ultima vittoria di
un film italiano risale a 2 anni fa, quando Paolo Sorrentino stregò tutti con
“La grande bellezza”, capace di rinverdire i fasti di Roberto Benigni, matta-
tore 17 anni fa con il suo “La vita è bella”,
che valse al toscano anche la statuetta come
miglior attore protagonista. Il primo Oscar
italiano fu assegnato a “Sciuscià” di Vitto-
rio De Sica nel 1947, che ottenne il bis tre
anni dopo con “Ladri di biciclette” (1950).
Nel 1957 iniziò l’era di Federico Fellini, che
vinse la prima volta con il film “La strada”,
bissando l’anno seguente con “Le notti di
Cabiria” (1958). Una doppietta straordi-
naria cui seguirono altri successi: “Otto e
mezzo” (Oscar nel 1963) e poi “Amarcord”
(1974). Commovente fu l’Oscar alla carriera
assegnato al grande regista romagnolo nel
1993, anno della sua morte. Terzo Oscar nel
1965 per Vittorio De Sica con “Ieri, oggi e
domani” e un quarto nel ’71 per “Il giardino
dei Finzi Contini”. L’anno prima, 1970, è ita-
liano il miglior film straniero per “Indagine
su un cittadino al di sopra di ogni sospetto”
di Elio Petri.
Dopo una pausa abbastanza lunga l’Italia
torna a vincere nella categoria con “Nuo-
vo cinema paradiso” di Giuseppe Torna-
tore nel 1990 - nel mezzo un prestigioso
miglior regista a Bernardo Bertolucci con
“L’ultimo imperatore” che nel 1988 ebbe in
totale 4 statuette. Il 1992 è l’anno di Gabrie-
le Salvatores e di “Mediterraneo”. Infine il
ciclone Roberto Benigni: 1999 miglior film
straniero è “La vita è bella” e Benigni il mi-
glior attore. La statuetta alla migliore attrice
è stata vinta solo due volte: Anna Magnani
per “La Rosa tatuata” (1955) e Sophia Lo-
ren (1962) per “La Ciociara” che poi nel
’91 vinse anche l’Oscar alla carriera. Sono
molti di più gli Oscar vinti dall’Italia nelle
categorie cosiddette “tecniche”, in tutto 33:
dal costumista Piero Gherardi che vinse nel
’62 per “La dolce vita” e nel ’63 per “Otto
e mezzo”, da Dante Ferretti e Francesca Lo
Schiavo coppia da Oscar per le scenografie
(tre statuette). E poi le tre volte della costu-
mista Milena Canonero, le tre del musicista
Giorgio Moroder, le tre di Carlo Rambaldi
per gli effetti speciali, di Vittorio Storaro per
la fotografia, di Pietro Scalia per il montag-
gio. Senza dimenticare Pietro Germi, Ennio
De Concini e Alfredo Giannetti sceneggia-
tori di “Divorzio all’italiana”, Nicola Piovani
per “La vita è bella”, Dario Marianelli per
“Orgoglio e pregiudizio”, Gabriella Pescucci
costumista per “L’età dell’innocenza”.
Quattro gli Oscar alla carriera assegnati
ai talenti italiani del cinema: oltre Loren e
Fellini, l’Academy diede nel ’95 il riconosci-
mento a Michelangelo Antonioni e nel 2001
al produttore Dino De Laurentiis.
Una storia che non è destinata a finire qui. ©
OSCARTRICOLORI
4 OscarVittorio De Sica: Film straniero “sciuscià” (48), “Ladri di biciclette” (50), “Ieri, oggi e do-mani” (65) e “Il giardino dei Finzi contini” (72).Federico Fellini: Film straniero “La strada” (57), “Le notti di cabiria” (58), “8½” (64), e “amarcord” (75).
Milena Canonero: costumi “Barry Lyndon” (75), “Momenti di glo-ria” (81) e “Maria antonietta” (2006), e “Grand Budapest Hotel” (2015).
3 OscarGiorgio Moroder: colonna sonora “Fuga di Mez-zanotte” (78), canzone “Flashdance” (83) e “Top Gun” (86).Carlo Rambaldi: Effetti speciali “King Kong” (76), “alien” (79) e “E.T.” (83).Dante Ferretti e Federica Lo Schiavo: sceno-grafia “L’aviatore” (2005), “Sweeney Todd” (2008)
e “Hugo” (2012).Vittorio Storaro: Fotografia “Apocalypse now” (80), “Reds” (82) e “L’ultimo imperatore” (88).
2 OscarPiero Gherardi: Costumi bianco e nero “La dolce vita” (62) e 8½ (64).Ennio Morricone: carriera (2007) e colonna sonora “The Hateful Eight” (2016).Vittorio Nino Novarese: costumi “cleopatra” (64) e “Cromwell” (71).Danilo Donati: costumi “romeo e Giulietta” (69) e “Il
Casanova” (71).Pietro Scalia: Montaggio “JFK” (92) e “Black hawk down” (2004).Roberto Benigni: Film straniero e attore “La vita è bella” (99).Sofia Loren: attrice “La ciociara” (62) e Oscar alla carriera (91).Bernardo Bertolucci: Film e sceneggiatura non originale “L’ultimo imperatore” (87).
1 OscarAnna Magnani: attrice “La rosa tatuata” (55).Pietro Germi, Ennio De Concini, Alfredo Giannetti: sce-neggiatura originale “Divorzio all’italiana” (63).Pasqualino de Santis: Fotografia “Romeo e Giulietta” (69).Nino Rota: colonna sonora “Il padrino parte II” (74).Gianni Quaranta e Elio Altamura: Scenografia “Camera con vista” (87).
Ferdinando Scarfiotti, Bruno Cesari, Osvaldo Desideri: sceno-grafia “L’ultimo imperatore” (88).Gabriella Cristiani: Montaggio “L’ultimo imperatore” (88).Manlio Rocchetti: Trucco “a spasso con Daisy” (89).Elio Petri: Film straniero “Indagine su di un cittadino al di sopra di ogni sospetto” (71).Giuseppe Tornatore: Film straniero “Nuovo Cinema Paradiso” (90).Francesca Squarciapino: costumi “cyrano de Bergerac” (91).Gabriele Salvatores: Film straniero “Mediterraneo” (92).Luciana Arrighi: Scenografia “Casa Howard” (93).Gabriella Pescucci: Costumi “L’età dell’innocenza” (94).Nicola Piovani: Colonna sonora “La vita è bella” (99).Dario Marianelli: colonna sonora “Espiazione” (2006).Mauro Fiore: Fotografia “Avatar” (2010).Michael Giacchino: colonna sonora “Up” (2010).Paolo Sorrentino: Film straniero “La Grande Bellezza” (2014).
di Adriano Serafini
# 38 Metromag
classifiche
# 39 Metromag
è USCITA LA CLASSIFICAANNUALE DEI CENTO VINIMIGLIORI DEL MONDOE’ uscita la classifica annuale stilata dalla rivista Wine Spectator, che dà punteggi ai vini in centesimi. Sono nove i vini italiani (di cui ben sette toscani) a rappresentare la penisola. Oltre al Flaccianello 2007 di Fontodi (8), unico nei primi 10, ci sono il Modus 2007 di Ruffino (25), il Brunello di Montalcino Terralsole 2004 (31), l’Amarone della Valpolicella Classico 2006 di Zenato (36), il Chianti Classico Riserva 2007 di Viticcio (40) e il Chianti Classico 2007 Castello d’Albola (47), il Pinot Grigio 2008 di Attems (51), il Chianti Rufina Castello di Nipozzano Riserva 2007 di Frescobaldi (65), e il Nobile di Montepulciano 2007 di Avignonesi.
N° 5 N° 9N° 3 N° 7
N° 2
N° 6 N° 10N° 4 N° 8
Clos des Papes, Châteauneuf-du-Pape White 2009,
95 punti, 100 dollari, Francia;
il produttore Vincent Avril
Paul Hobbs, Pinot Noir,
Russian River Valley 2008, 94
punti, dollari 45, California; il produttore Paul
Hobbs
Two Hands, Shiraz Barossa Valley, Bella?s Garden 200894 punti, 55 dollari, Australia; il Managing partner Michael Twelftree
CARM, Douro Reserva 2007, 94 punti, 27 dollari,
Portogallo; gli enologi
Rui Roboredo Madeira e suo
padre Celso Madeira
Altamura, Cabernet
Sauvignon, Napa Valley 2007, 96
punti, 85 dollari, California; uno
dei produttori Frank Altamura
Secondo Wine Spectator è questo
il miglior vino dell’anno: Saxum,
James Berry Vineyard, Paso Robles 2007, 98
punti, 67 dollari; il produttore Justin Smith
Fontodi, Colli della Toscana
Centrale, Flaccianello
2007, 95 punti, 110
dollari, Italia; il produttore
Giovanni Manetti
Revana, Cabernet
Sauvignon, St. Helena
2007, 97 punti, 125 dollari, California;
il produttore Madaiah Revana
Schild, Shiraz Barossa 2008,
94 punti, 20 dollari, Australia;
il produttore Ed Schild
Peter Michael, Chardonnay
Sonoma County, Ma Belle-Fille
2008, 97 punti, 85 dollari,
California; il produttore Peter
Michael
N° 1
Tratto da L’Espresso Food&Wine
# 40 Metromag
teleVisione
# 41 Metromag
forchetta& coltello
Forchetta e coltello, meglio di un film o di una serie tv. Perché da un
paio d’anni a questa parte sembra che agli italiani mangiare piaccia
ancora di più. E non è certo una questione di tradizione, che nel no-
stro Paese di certo nel corso degli anni non si è mai affievolita, ma più
per il fascino di una tendenza che ha portato il cibo quotidiano ad un
livello superiore. Con un trend in crescita esponenziale, si sono sca-
tenati di conseguenza i fornelli televisivi d’Italia, format a profusione
dalla tv generalista alle piattaforme a pagamento, che rilanciano nuove
trasmissioni dedicate alla tavola e alla preparazione di menu studiati
per ogni tipo di occasione.
Registrando risultati sorprendenti. La cucina ha ormai abbandonato
lo schema classico del passato, smettendo di essere il regno incontra-
stato di mamme e nonne, ma espandendosi a un pubblico sempre più
ampio, che racchiude le più disparate fasce d’età. Territori per lungo
tempo inesplorati da uomini, che ora dispensano consigli e duri giu-
dizi dall’altra parte della barricata. Ma l’evoluzione non sorprende più.
D’altronde fin dalla sua nascita, la televisione ha avuto una dimensione
domestica: entrava nelle case, parlava alle famiglie, raccontava storie.
Divenne quindi molto più che naturale portare anche la cucina nel
piccolo schermo, in una sorta di continuità familiare che nel corso
degli anni ha soltanto la fruizione.
La prima ad andare in onda sulle tavole italiane fu Ave Ninchi nel 1974
proponendo una formula rimasta innovativa sino ai giorni d’oggi: due
concorrenti si sfidano a colpi di ricette, tra suggerimenti e consigli su
come riproporre i piatti sulle proprie tavole nella più classica delle di-
mensioni casalinghe. Ma dalla sora Lella e Ugo Tognazzi il processo
ha raggiunto l’apice proprio nei giorni nostri, dove basta un po’ di
zapping per imbattersi in talent-cooking-reality-show di ogni genere.
I cuochi sono diventati delle superstar, oltre a condurre i rispettivi ri-
storanti compaiono spesso e volentieri come opinionisti, testimonial
di campagne pubblicitarie e giudici di accese battaglie culinarie. Gli
show dedicati al cibo si sono ampliati a dismisura, permettendo allo
spettatore una vasta gamma di scelta in base al format preferito. C’è
chi preferisce la classica riproposizione dei piatti più semplici da pre-
parare nel quotidiano, c’è chi è pronto a mettere sul piatto le proprie
capacità lanciandosi in una sfida che registra migliaia di partecipanti.
L’appena conclusa ultima edizione di Masterchef ha segnato numeri da
brivido: un milione e 463mila spettatori si sono incollati davanti allo
schermo per la puntata finale, pari al 4,87% dello share. E consideran-
do le singole puntate sono in media 2.200.000 le persone che hanno
assistito al talent, considerando i dati combinati della diretta e della
differita. Una crescita sostanziale di circa il 30% rispetto all’edizione
precedente.
Numeri che ovviamente hanno trovato terreno fertile anche sui so-
cial network, dove sempre più spesso capita di ‘postare’ e condividere
con la comunità la propria opera culinaria appena sfornata. Diven-
ta quindi complicato se non impossibile cercare di razionalizzare un
fenomeno che spesso viene accusato di seguire meccanicamente una
moda del momento. Resta il fatto che il cambiamento di solito nasce
da esigenze differenti, le stesse che coinvolgono altri aspetti della vita
quotidiana.
Fornelli e padelle riempiono gli spazi di quotidiani, periodici d’at-
tualità, riviste tematiche e non. Sotto le festività natalizie si regalano
sempre più libri di cucina e sempre più numerosi sono i lettori delle
guide ai ristoranti, alle osterie, alle strutture agrituristiche e ai vini,
che proprio in questo periodo affollano gli scaffali di edicole e librerie.
Senza contare il crescente successo del turismo enogastronomico. Se-
condo la Coldiretti più di un italiano su tre considera il cibo e le degu-
stazioni di prodotti tipici i fattori centrali del successo di una vacanza.
Il resto vien da sé. ©
di Adriano Serafini
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Nuovi accordi all’interno di uno scenario destinato a
cambiare ancora una volta il futuro dell’editoria italiana.
A distanza di 40 anni le famiglie Agnelli e De Benedetti
tornano a stringersi le mani siglando l’intesa che per-
metterà al gruppo l’Espresso di controllare il 20% del
mercato della carta stampata del nostro Paese e di otte-
nere una posizione privilegiata nel controllo del merca-
to digitale. Un crack per l’industria dei media in Italia:
l’unione della Stampa con il gruppo L’Espresso formerà
quindi un colosso che tra La Repubblica, La Stampa, Il
Secolo XIX è in grado di registrare una diffusione gior-
naliera già superiore alle 800.000 copie, con ricavi per
circa 750 milioni di euro.
Un passaggio obbligatorio per gli Agnelli, da tempo
intenzionati a ridimensionare le proprie partecipazioni
editoriali per un’uscita di scena meno dolorosa possibi-
le, economicamente parlando.
La famiglia torinese quindi certifica la volontà di dire
addio liberandosi in un colpo solo del polo composto
da La Stampa e il Secolo XIX, lasciando la priorità agli
affari primari legati all’industria automobilistica. In un
momento di profonda crisi per la carta stampata gli sce-
nari futuri dettati dall’operazione restano però indefini-
bili. Anche perché numeri e statistiche parlano chiaro
da tempo: il crollo delle vendite registrato negli ultimi
anni non ha fatto che consolidare il triste primato del
cittadino italiano, posizionato da sempre nelle ultime
posizioni della classifica europea per quotidiani vendu-
ti. Un giro d’affari che nell’ultimo biennio è in calo da
5,9 a 4 miliardi nonostante un taglio della forza lavoro
del 26,6%. Sono questi i numeri più rappresentativi del-
lo studio presentato nel 2015 dall’ufficio studi di Medio-
banca, che monitora l’andamento dell’editoria italiana
analizzando i primi 8 gruppi editoriali, in controllo di
circa il 70% dei ricavi del settore.
Nel frattempo cambiano le abitudini e l’immediatezza
delle news sul web accrescono le quote del digitale, che
però continua ad avere un peso secondario, tanto da
non riuscire a riequilibrare il drammatico e continuo
calo dei lettori. Solo nel 2014 si sono perse 400mila co-
pie al giorno, passando da 3,6 a 3,2 milioni (-12%).
Per questo all’orizzonte si avverte con sempre maggior
urgenza la necessità di un cambiamento di strategia,
in grado di sopperire alle entrate esigue derivanti dal-
le pubblicità e dal naturale mutamento nella fruizione
dell’informazione. La possibilità di essere connessi e di
ricevere quindi la copertura totale della notizia per 24
ore al giorno ha spostato il mercato sulla creazione di
nuove piattaforme on line, non in grado al momento
però di garantire un rientro economico sufficiente.
Fallito finora l’esperimento dell’abbonamento a paga-
mento, mentre si cercano nuove soluzioni, vengono
distrutte le catene di distribuzione che ormai sembra-
no già far parte del passato. Non è un caso che nella
produzione dell’editoria siano state soprattutto le edi-
cole a pagare il prezzo più caro: negli ultimi dieci anni
in Italia ne è sparita una su quattro. In termini assoluti
più di diecimila punti vendita (maggiori distributori di
giornali, riviste e mensili) che tra il 2004 e il 2014 hanno
abbassato la saracinesca senza essere sostituiti.
La creazione di nuovi gruppi editoriali come quello ap-
pena citato tra l’Itedi e l’Espresso servirà forse a non
alterare gli equilibri almeno nel breve periodo, in attesa
di una svolta che per ora non è ancora stata annunciata.
Con redazioni sempre meno preparate al cambiamento
dei tempi ed una forza lavoro sospinta più che altro dal-
la precarietà contrattuale delle collaborazioni, il futuro
sembra comunque destinato a tingersi di nero. Almeno
finché non si aprirà un canale alternativo. Il 69% delle
aziende sta spostando la spesa di marketing dall’acqui-
sto di pubblicità a comunicazione fatta in proprio. E
una fetta dal 20 al 30 % del budget per la comunicazione
viene investito nella costruzione di canali informativi
di proprietà delle aziende/società. Lasciando vuoti gli
spazi sui giornali e facendone crollare di conseguenza
i prezzi di vendita. Se la carta stampata è un morto che
cammina, si salvi chi può. ©
coMe caMbiala staMpain italia
di Adriano Serafini
# 44 Metromag
lavoro
Lavorare meno si può.
O per lo meno questo è quello che emerge
dalla sperimentazione andata in scena a
Göteborg della giornata lavorativa di sei ore
per i dipendenti pubblici e di alcune aziende
private.
Si sa, la Svezia è da sempre tra le nazioni pri-
me della fila in termini di attenzione e cura
del benessere dei propri cittadini e anche in
questo caso la scelta di valutare di diminuire
l’orario di lavoro giornaliero mira a garantire
alle persone un maggior tasso di felicità, per-
mettendogli di dedicare maggior tempo alla
famiglia, alla casa e al tempo libero.
I risultati di questo esperimento sono per la
maggior parte positivi, sia dal punto di vista
dei lavoratori, sia da quello dei datori di lavo-
ro. “Lavorando 8 ore al giorno ero distrutta.
Tornavo a casa e passavo tutto il tempo sul
divano. Adesso le cose sono cambiate, ho
molto più tempo e più energia per la mia
famiglia”, ha raccontato l’infermiera di una
casa di riposo svedese al “Guardian”.
Sono inoltre diminuite le assenze per malat-
tia e anche i casi di depressione.
Ne ha quindi beneficiato la sanità pubblica.
I dubbi non erano sulla maggior soddisfazio-
ne dei lavoratori, quanto sui feedback delle
aziende. A tracciare la strada in questo cam-
po è stata la Toyota, che segue il regime delle
sei ore giornaliere lavorative da 14 anni. Ma
da un anno circa si è adeguata a questo nuo-
vo trend la Filimundus, un’azienda di Stoc-
colma che sviluppa app: “Il giorno di lavoro
di otto ore non è così efficace come si potreb-
be pensare” ha detto Linus Feldt, CEO della
società a Fast Company. “Rimanere concen-
trati su un compito specifico per otto ore è
una sfida enorme.
Per far fronte a questo gravoso impegno, ten-
tiamo di mescolare le cose e di fare pause per
rendere la giornata di lavoro più sopporta-
bile. Allo stesso tempo, abbiamo difficoltà a
gestire la nostra vita privata”.
Quindi meno ore lavorative che garantiscano
lo stesso profitto per le aziende.
Per farlo niente più momenti morti in ufficio:
addio Facebook e social network vari, limi-
tato al massimo l’uso del telefono cellulare
personale e ridotte al minimo le pause bagno
e caffè.
Purtroppo però non è tutto oro quel che luc-
cica, soprattutto per gli uffici pubblici.
Inevitabilmente ridurre di due ore la giorna-
ta lavorativa obbliga all’assunzione di nuove
risorse per non interrompere la copertura
dei servizi.
Dalla sperimentazione alla realtà il passo
non è breve. Chissà se mai in Italia si potrà
arrivare a tanto... ©
lavorare Meno, lavorare Meglio?
noALL’AbbAndono dEI cAnI
noI dIcIAMo
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di Francesca Schito
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