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SIRIA. LA PACE IMPOSSIBILE 9 788832 820324 ISBN 978-88-3282-032-4 La Siria è un Paese di cui gli europei non vorrebbero occuparsi, se non fosse per il flusso di rifugiati che preme alle frontiere. La vera posta in gioco non è rappresentata dalla vittoria sul cosiddetto “Califfato Islamico”. Il conflitto non riguarda un piccolo gruppo di “folli di Dio” e non è veramente alimentato da poche migliaia di giovani immigrati di seconda generazione non perfetta- mente integrati in Europa (i foreign fighters), ma è il frutto di uno scontro di vasta portata in cui importanti Paesi aspirano a spartirsi il territorio siriano, a estendere un potere egemonico su comunità correligionarie o della stessa etnia oltreconfine, a difendere un’identità araba sunnita aggressivamente messa in minoranza. Che tipo di accordo potrebbe concludere il conflitto in Siria? Chi dovrebbe sedere al suo tavolo? Questo volume a più voci tenterà delle risposte, ricostruendo gli obiettivi di ciascuno Stato in un possibile negoziato sulla Siria. e 14,50 Progetto grafico di collana: Bruno Apostoli Cover layout: Bruno Apostoli Pejman Abdolmohammadi insegna Storia e Istituzioni dei Paesi del Medio Oriente pres- so il Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università di Genova ed è Research Fellow alla London School of Economics. Riccardo Cristiano è giornalista del Giornale Radio Rai, vaticanista, esperto di Libano. Claudia De Martino è ricercatrice all’Unimed, esperta di Israele, Palestina ed Egitto. Lorenzo Forlani è giornalista professionista freelance con base a Beirut, in Libano. Si occupa di Medio Oriente per diverse testate, in particolare per l’Agi. Roberto Iannuzzi è ricercatore presso l’Unimed, esperto di Siria, Iraq e Golfo Persico, e di politica americana in Medio Oriente. Liisa Liimatainen è giornalista esperta di Iran e Arabia Saudita, inviata in Medio Oriente per la tv finlandese. Francesco Piccat ha avuto diverse esperienze professionali in istituti internazionali, in ambasciate, attività di cooperazione internazionale e di ricerca sul campo. Daniele Scalea è vicepresidente esecutivo dell’IsAG (Istituto di Alti Studi in Geopolitica e Scienze Ausiliarie) e dottorando di ricerca in Studi Politici all’Università Sapienza di Roma. Alessandra Terenzi è professoressa di Urbanistica presso il Politecnico di Milano, ri- cercatrice presso Crafts ed esperta di Vicino Oriente negli ambiti di Studi urbani e Sociologia urbana. Pejman Abdolmohammadi, Riccardo Cristiano, Claudia De Martino, Lorenzo Forlani, Roberto Iannuzzi, Liisa Liimatainen, Francesco Piccat, Daniele Scalea, Alessandra Terenzi a cura di Claudia De Martino SIRIA. LA PACE IMPOSSIBILE

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CE IMPO

SSIBILE

9 788832 820324

ISBN 978-88-3282-032-4

La Siria è un Paese di cui gli europei non vorrebbero occuparsi, se non fosse per il flusso di rifugiati che preme alle frontiere. La vera posta in gioco non è rappresentata dalla vittoria sul cosiddetto “Califfato Islamico”. Il conflitto non riguarda un piccolo gruppo di “folli di Dio” e non è veramente alimentato da poche migliaia di giovani immigrati di seconda generazione non perfetta-mente integrati in Europa (i foreign fighters), ma è il frutto di uno scontro di vasta portata in cui importanti Paesi aspirano a spartirsi il territorio siriano, a estendere un potere egemonico su comunità correligionarie o della stessa etnia oltreconfine, a difendere un’identità araba sunnita aggressivamente messa in minoranza. Che tipo di accordo potrebbe concludere il conflitto in Siria? Chi dovrebbe sedere al suo tavolo? Questo volume a più voci tenterà delle risposte, ricostruendo gli obiettivi di ciascuno Stato in un possibile negoziato sulla Siria.

e 14,50

Progetto grafico di collana: Bruno ApostoliCover layout: Bruno Apostoli

Pejman Abdolmohammadi insegna Storia e Istituzioni dei Paesi del Medio Oriente pres-so il Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università di Genova ed è Research Fellow alla London School of Economics.Riccardo Cristiano è giornalista del Giornale Radio Rai, vaticanista, esperto di Libano.Claudia De Martino è ricercatrice all’Unimed, esperta di Israele, Palestina ed Egitto.Lorenzo Forlani è giornalista professionista freelance con base a Beirut, in Libano. Si occupa di Medio Oriente per diverse testate, in particolare per l’Agi.Roberto Iannuzzi è ricercatore presso l’Unimed, esperto di Siria, Iraq e Golfo Persico, e di politica americana in Medio Oriente.Liisa Liimatainen è giornalista esperta di Iran e Arabia Saudita, inviata in Medio Oriente per la tv finlandese.Francesco Piccat ha avuto diverse esperienze professionali in istituti internazionali, in ambasciate, attività di cooperazione internazionale e di ricerca sul campo.Daniele Scalea è vicepresidente esecutivo dell’IsAG (Istituto di Alti Studi in Geopolitica e Scienze Ausiliarie) e dottorando di ricerca in Studi Politici all’Università Sapienza di Roma.Alessandra Terenzi è professoressa di Urbanistica presso il Politecnico di Milano, ri-cercatrice presso Crafts ed esperta di Vicino Oriente negli ambiti di Studi urbani e Sociologia urbana.

Pejman Abdolmohammadi, Riccardo Cristiano, Claudia De Martino, Lorenzo Forlani, Roberto Iannuzzi, Liisa Liimatainen, Francesco Piccat, Daniele Scalea, Alessandra Terenzi

a cura di Claudia De Martino

SIRIA. LA PACE IMPOSSIBILE

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I edizione: giugno 2017© 2017 Lit Edizioni SrlTutti i diritti riservati

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Pejman Abdolmohammadi, Riccardo Cristiano, Claudia De Martino, Lorenzo Forlani, Roberto Iannuzzi, Liisa Liimatainen,

Francesco Piccat, Daniele Scalea, Alessandra Terenzi

SIRIA. LA PACE IMPOSSIBILE

A cura di Claudia De Martino

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Mappe

Mappa n. 1: cartina politica della Siria divisa in zone di influenza (al-Jazeera, marzo 2017)

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Mappa n. 2: mappa della Siria divisa per concentrazione comunità religiose

(Fonte: Fragile State Resource Center, Seth Kaplan, 2012)

Mappa n. 3: “Zone protette” designate dall’accordo appena raggiunto ad Astana, 3-4 maggio 2017

(Fonte: Inside Syria Media Center,7 maggio 2017, http://bit.ly/2rAyQp9)

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Capitolo 8Territori contesi e strategie di controllo spaziale

fra Israele e Siriadi Alessandra Terenzi

Cenni di storia sulle contese alture del Golan

Quando nel 1946 la Siria divenne indipendente, le profonde divisioniinterne e l’esclusione politica di vasti settori della popolazione, resero ilnuovo Stato post-coloniale un’entità già debole sul nascere, come pre-ventivamente pianificato sin dal 1916 quando, a seguito degli AccordiSykes-Picot, la regione del Levante fu divisa in due sfere d’influenza, dicui una francese e l’altra inglese. In entrambi i casi, l’obiettivo occidenta-le fu quello di garantire un controllo efficace della regione, rafforzando ledivisioni interne attraverso la creazione di Stati territoriali di dimensioni ri-dotte, caratterizzati internamente da gravi squilibri demografici, così chei gruppi etnici e religiosi insediati su un determinato territorio si ricono-scessero difficilmente in un’appartenenza nazionale, identificandosi, piut-tosto, in base all’appartenenza locale, settaria, etnica o religiosa.

La regione dell’attuale Libano fu dunque separata dalla Siria, crean-do uno Stato autonomo e in Siria l’autorità statale venne frammentatafra vari leader locali, al fine di limitare un potenziale nazionalismo sunni-ta, al contempo adottando politiche di discriminazione positiva nei con-fronti delle minoranze druse e alawite, assicurando così la loro fedeltà alGoverno coloniale francese. Gli alawiti, in particolare, acquisirono un for-te ruolo nell’esercito, visto come opportunità per migliorare la propria po-sizione sociale, storicamente molto marginale.

Il conflitto fra Siria e Israele nacque sin dall’indipendenza dei duePaesi, rispettivamente conseguita nel 1946 per la Siria e nel 1948 per loStato ebraico e, a eccezione della breve parentesi definita dagli Accordi diOslo (1993-1996), è proseguito ininterrottamente fino a oggi.

Uno dei nodi più spinosi, da sempre oggetto di tensioni regionali e ditrattative nella conflittuale relazione tra Siria e Israele, è caratterizzatodall’area dalle alture del Golan: un altopiano montuoso che sulla vettadel Monte Hermon raggiunge i 2.814 metri di altezza, e dunque un pun-to d’osservazione militare privilegiato che si estende per circa 1.800 chi-lometri quadrati fra Israele, Siria, Giordania e Libano e che, fino al 1975,fu passaggio obbligato per la Trans-Arabian Pipeline, uno dei maggiorioleodotti regionali. I suoi rilievi, infatti, dominano a Ovest sul lago di Ti-

alessandraterenzi
Evidenziato
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beriade e su parte della Galilea, mentre a Est controllano la pianura chescende fino a Damasco, distante appena 60 chilometri.

Per queste particolari caratteristiche geografiche, il Golan rappresen-ta un territorio militarmente strategico e storicamente conteso, teatro dicontinui scontri e razzie, sia per la sua posizione privilegiata di controllo,storicamente affermatasi lungo le rotte commerciali e militari che colle-gavano Damasco con i porti della Palestina, sia per la naturale fertilitàdel suo terreno d’origine vulcanica, ricco di falde acquifere e di corsi d’ac-qua, assicurati dagli affluenti del Giordano. Il suo ricco bacino idrico ri-sponde infatti a un terzo del fabbisogno di tutto lo Stato israeliano. Atutto ciò si aggiungerebbero, secondo recenti ricerche operate da com-pagnie energetiche americane e israeliane1, importanti riserve di gas na-turale e di petrolio contenute nel suo sottosuolo.

Dal 1922 la regione fece parte del mandato francese sulla Siria e, dal1941, con la proclamazione – seppur ancora simbolica – della Repubblicasiriana indipendente, fu considerata dagli accordi internazionali di perti-nenza del nuovo Stato, divenendo sede di fortificazioni strategiche per le ar-tiglierie siriane. Dalla nascita di Israele, la Siria usò le alture del Golan perbombardare a intervalli regolari il nuovo Stato.

L’occupazione israeliana delle alture nel 1967, conseguita tramite la vit-toria nella Guerra dei Sei Giorni, causò l’esodo di decine di migliaia diabitanti locali, su una popolazione di circa 100.000 siriani, prevalentemen-te di origine drusa.

Pochi anni dopo, durante la Guerra dello Yom Kippur (1973) Dama-sco tentò di riconquistare il Golan, che fu ancora teatro di schermaglie re-ciproche fino all’accordo tra Siria e Israele, raggiunto l’anno successivo(1974), che stabilì il ritiro di Israele da una sottile fascia territoriale consi-derata da allora una zona cuscinetto, dove fu istituita la Forza dell’Osser-vatorio di Disimpegno delle Nazioni Unite (Undof) e furono collocatedue basi logistiche, di cui una posta in Israele (Ziouani) e una in Siria (al-Faouar), per mantenere il cessate il fuoco tra i due Paesi. Sul restante terri-torio – quasi 1200 chilometri quadrati, corrispondenti circa all’attuale su-perficie municipale di Roma – Israele estese unilateralmente la propriagiurisdizione nel 1981, emanando la Legge sulle alture del Golan, che an-netteva l’altopiano e tentava di imporre l’identità israeliana agli abitanti si-riani. Tale atto unilaterale israeliano fu immediatamente condannato dal-l’Onu.

Prima della Guerra dei Sei Giorni le popolazioni del Golan erano cit-tadini siriani di varie etnie, divisi tra drusi, sciiti, sunniti, cristiani e curdi,che, dopo la conquista, passarono sotto il controllo di Israele senza dive-nirne cittadini.

CAPITOLO 8. TERRITORI CONTESI E STRATEGIE DI CONTROLLO SPAZIALE

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Oggi ci sono 20.000 abitanti della comunità drusa, una minoranza re-ligiosa che mescola sincreticamente elementi di Islamismo, Giudaismo,Induismo e Cristianesimo. Tali drusi, pur considerando la vita in Israelecome preferibile ad altre alternative, ne hanno rifiutato la cittadinanza, re-stando fedeli alla Siria. Dal 2011, alcuni di loro sostengono apertamenteAssad vedendolo come possibile protettore contro il radicalismo islami-co e in particolare l’Isis, dal quale i drusi sono bollati come nemici infe-deli. Tuttavia molti di loro temono anche che se le terre in cui vivono do-vessero tornare alla Siria, il regime li potrebbe punire per aver in qual-che modo convissuto pacificamente con Israele per cinquant’anni: moltisono infatti preoccupati per la sicurezza dei loro correligionari in Siria,mentre le generazioni più giovani cercano crescentemente l’integrazionein Israele, in una situazione sempre più fluida e in rapida evoluzione.

Attualmente, soltanto il 10 per cento dei drusi ha accettato di richie-dere la cittadinanza israeliana. Israele rilascia un lasciapassare per viag-giare all’estero, definendoli nei documenti ufficiali «abitanti delle alturedel Golan», come tali titolari del diritto all’assistenza sanitaria statale, del-la libertà di residenza e movimento sul territorio nazionale e del dirittodi lavorare all’interno dei confini israeliani. Oltre che di agricoltura e al-levamento, essi lavorano oggi principalmente nel turismo, fonte di introitiimportanti per queste popolazioni di montagna. Nel 2010 il Parlamentoisraeliano ha anche approvato una legge che permette incentivi economicia chi sceglie di abitare negli insediamenti ebraici sulle alture, in modo ana-logo a quanto avviene nei territori palestinesi occupati. Di fatto, essi assi-stono continuativamente a un aumento della popolazione di “coloni”, chedal 1981 è passata da sole 7.000 persone alle 23.000 attuali (dati 2015), no-nostante il continuo rischio di attacchi, lanci di missili e tiri di mortaio pro-venienti dalla Siria.

I successivi tentativi di negoziazione si risolsero sempre in via falli-mentare: dalla proposta di un “ritiro limitato” dalle alture effettuata dalGoverno Rabin, in cambio di un negoziato di pace, passando poi per i col-loqui di pace avviati nel 2000, patrocinati dagli Stati Uniti, dove l’allorapremier israeliano Ehud Barak offrì di ritirarsi fino alla Linea Verde del1949 in cambio di un trattato di pace con la Siria che, però, non accettòl’accordo. Anzi, quando nel 2000 Israele si ritirò dal Libano meridionale(occupato nel 1982), ne approfittò anche per appropriarsi di una picco-la area fertile alle pendici del Monte Hermon, ma in territorio libanese,denominata “fattorie di She’ba”. Da allora, lo scontro diplomatico fraIsraele e Siria è aperto anche relativamente al possesso di questa minu-scola appendice di territorio.

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Nel 2009 il presidente Usa Barack Obama promise una nuova tratta-tiva, ma l’esplosione del conflitto siriano nel 2011 stravolse nuovamenteil contesto regionale, rendendo la possibilità di un accordo ancora piùincerta e pericolosa.

Israele fra neutralità e accordi preventivi

Sin dal principio del conflitto in Siria, il premier israeliano Netanyahuadottò una posizione di neutralità, trovandosi tuttavia di fronte a un di-lemma, tuttora irrisolto: da un lato, auspicare la caduta di Assad, scom-mettendo sull’emergere di un governo alternativo e potenzialmente piùamichevole con cui stringere un accordo di pace; dall’altro lato, sostenerela continuità del regime siriano, da sempre nemico, ma ormai conosciuto,evitando scenari maggiormente ignoti e forse più temibili, con governiancora più ostili e radicali, che sarebbero potuti sorgere dalle ceneri delcaos siriano.

Nel frattempo, Israele avrebbe comunque potuto capitalizzare su unprolungato isolamento di Assad dalla comunità internazionale, appenacompromesso dalle ambivalenti aperture della Francia nel 2008, che perprima ruppe il boicottaggio della Siria invitando Assad alla festa naziona-le della Bastiglia, scelta poi seguita da Obama nel 2010, che avrebbe ri-pristinato le relazioni diplomatiche inviando un suo ambasciatore in Siriae incoraggiando i Paesi arabi del Golfo a fare lo stesso.

Diversa è invece la posizione di Hezbollah, milizia libanese pro-Assad esuo fedele alleato militare nel conflitto in Siria: se Assad venisse espulso,infatti, la Siria diventerebbe uno Stato a guida sunnita (in linea con la mag-gioranza del suo popolo) compromettendo la legittimità dei gruppi sciitinella regione e, in particolare, la capacità operativa e la legittimità di Hez-bollah, divenuto dal 2010 attore legittimo della scena politica del Paesedei cedri. Hezbollah è inoltre legato a doppia mandata ad Assad, non soloper le sue capacità di riarmo e di rifornimento, che passano per la Siria,ma anche per la complessiva tenuta dell’“asse della resistenza”, che vede ilGoverno siriano a fianco di Iran e Hezbollah nella campagna di ostilità con-tro Israele, bollato come «il Paese oppressore degli arabi».

È certamente questo lo scenario più drammatico per Israele, preoccu-pato sia dalle azioni di Hezbollah che, sul breve-medio periodo, rappre-senta la minaccia più urgente, sia dal crescente delinearsi di un contro-po-tere iraniano, nemico ben più temibile nel lungo periodo, soprattutto invista di un’eventuale acquisizione della bomba atomica, che permette-

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rebbe a Teheran di controllare Siria e Libano, avvicinandosi pericolosa-mente ai confini del Paese ebraico.

È qui che il territorio del Golan torna a occupare un ruolo di primo pia-no per Netanyahu che, nel nuovo scenario geopolitico, definito dallapossibile disintegrazione della Siria e dall’emergere di gruppi islamistiradicali come l’Isis, nel 2016 ha annunciato la definitiva occupazionedell’area come buffer zone, necessaria alla sopravvivenza dello Stato ebrai-co, sancendo la fine dell’equazione “terra in cambio di pace” che, dal1967, aveva caratterizzato le relazioni fra Israele e i suoi vicini arabi.

In linea con tale politica si colloca anche la recente richiesta agli StatiUniti (febbraio 2017) di riconoscere la sovranità israeliana sulle altureancora contese a livello internazionale, come compenso diplomatico perl’accordo sul nucleare iraniano raggiunto da Obama con l’Iran nel 2015.Israele sta altresì valutando la possibilità di richiedere il riconoscimentodel Golan all’Onu, motivandolo come «elemento di interesse globaleper la stabilizzazione della regione».

La paura israeliana di sconfinamenti territoriali nelle alture del Golanè aumentata in particolare dal 2013, quando Hezbollah è intervenuta uf-ficialmente nella guerra in Siria. Da quel momento l’area siriana oltrecon-fine è stata occupata da formazioni ribelli, che rapirono anche alcuni pea-ce-keepers, limitando drasticamente la capacità operativa dell’Undof lun-go la preziosa zona cuscinetto creata nel 1974 fra Siria e Israele ecostringendolo ad abbandonare Quneitra e la sua base di al-Faouar, riti-rando le sue forze in Israele.

Da allora, nonostante la sua posizione neutrale, Israele ha intensifica-to i suoi attacchi preventivi in Siria, dichiarando l’esigenza di sconfinareogni volta che informazioni di intelligence indichino l’intenzione irania-na di trasferire armi sofisticate a Hezbollah, come dimostrato dall’incre-mento degli interventi militari eseguiti recentemente in Siria anche in areesensibili in prossimità della capitale, con incursioni aeree mirate a bom-bardare depositi di Hezbollah.

Tuttavia da quando, nel 2015, la Russia ha deciso di intervenire mili-tarmente in Siria per salvare il regime di Assad, ogni bombardamento diIsraele ha iniziato a comportare il rischio di colpire involontariamentepersonale militare russo, compromettendo le buone relazioni esistentifra i due Paesi, che Netanyahu ha tutto l’interesse a mantenere tali, siaper gli ottimi rapporti commerciali, sia per equilibri politici interni, dalmomento che circa un quinto della popolazione israeliana è di origine rus-sa, come anche tre ministri dell’attuale Governo.

A complicare il quadro si è aggiunta la decisione di Netanyahu, sem-

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pre dal 2015, di fornire assistenza umanitaria ai ribelli siriani, a condi-zione che non si avvicinino troppo al confine israeliano e che non col-piscano la minoranza drusa presente nel sud della Siria, già minacciatadai gruppi jihadisti. Si tratterebbe di un gesto sbandierato come uma-nitario, ma in realtà orientato alla distensione con i Paesi arabi sunniti,considerati il maggiore alleato potenziale nella guerra contro l’asse del-la resistenza.

Alla luce di queste diverse posizioni, Israele dovrebbe ora capire inche modo difendere da Hezbollah le sue linee rosse lungo il confine delGolan, senza tuttavia mettere a repentaglio le sue relazioni con la Russiache, oltre a essere diventata un attore centrale nell’arena siriana e in tut-to il Medio Oriente, ha altresì dimostrato di avere a cuore le relazionicon Netanyahu, riconoscendo recentemente (aprile 2017) il possesso le-gittimo israeliano di Gerusalemme Ovest.

Netanyahu, tuttavia, è preoccupato dal crescente espansionismo ira-niano che, grazie al decisivo contributo di Putin nel consolidare l’assedella resistenza, si sta rafforzando lungo una strategica armatura urba-na e territoriale, collocata lungo un asse geografico Est-Ovest e carat-terizzata da nodi urbani di primaria importanza, a partire da Baghdad,in Iraq, passando per Damasco e Aleppo (recentissima conquista), perpoi sfociare sul terminale strategico del bacino del Mediterraneo attra-verso il corridoio del Libano, fino a Beirut. Per rafforzare il “Crescen-te sciita”, l’Iran ha anche condotto un’“epurazione” etnica dei sunniti,spostandoli o costringendoli a emigrare verso altre aree della Siria, mo-dificando gradualmente l’identità culturale e confessionale delle aree in-teressate dall’influenza iraniana.

Da dicembre 2016, infatti, anche Aleppo è stata conquistata definiti-vamente dal Governo, grazie al sostegno congiunto russo-iraniano. Tut-tavia i due potenziali vincitori non sembrano trovarsi d’accordo rispettoagli scenari siriani post-conflitto: mentre l’Iran prefigurerebbe una futu-ra Siria indivisa, tenuta insieme ancora dal dominio alawita, la Russia sem-bra piuttosto prediligere la creazione di una Federazione Siriana, defini-ta dalla spartizione in aree d’influenza tra diverse autonomie locali, ac-cordando dunque anche un certo peso politico ai sunniti, forse a retaggiodelle strategie colonialiste occidentali che, durante tutto il secolo scorso,hanno così profondamente influito sulle sorti della regione.

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Le alture del Golan: prossimo epicentro del conflitto regionale israelo-ira-niano?

Il territorio a ridosso delle alture del Golan (fra Deraa e Quneitra), untempo considerato uno dei granai del Paese per la presenza della fertilepiana dell’Hawran, rappresenta oggi un luogo chiave per l’influenza ira-niana in Siria che, attraverso i suoi proxy – ovvero principalmente miliziesciite libanesi, irachene e afgane – sta retoricamente riportando in primopiano l’obiettivo di “liberare le alture del Golan”, terreno di eterno scon-tro fra Iran e Israele, per ricompattare intorno a una causa unificante lacostellazione di forze sciite e arabe che combattono al suo fianco.

È evidente, infatti, che il territorio a ridosso delle alture del Golanrappresenti un luogo chiave per l’influenza iraniana in Siria, come dimo-strato dal massiccio afflusso di milizie filo-iraniane nel Sud della Siria, apochi chilometri dalla fascia di sicurezza con Israele. Nello stesso terri-torio sono anche insediati gruppi armati delle opposizioni siriane, ap-poggiati dalla Giordania, oltre a un gruppo locale jihadista affiliato alCaliffato Islamico, che vorrebbe approfittare degli scontri fra lealisti e ri-belli per espandersi in quell’area.

Questa pluralità di attori presenti sul campo rappresenta lo scenariocontestuale perfetto per giustificare l’avvio della “lotta al terrorismo”anche lungo la valle dello Yarmuk, il fiume che in quel tratto segna ilconfine tra Siria, Giordania e la zona controllata da Israele.

Fino a oggi, infatti, gli obiettivi ufficiali di Israele in Siria hanno riguar-dato la necessità di arrestare qualsiasi trasferimento di armi a Hezbollah eimpedire che l’Iran e Hezbollah stabilissero un fronte comune contro Israe-le presso le alture del Golan dove, sin dall’inizio della guerra civile, Israe-le aveva comunque puntato a consolidare il proprio controllo de facto.

Tuttavia, tali mire non erano mai state concretate con azioni militari co-sì decise fino all’ultima escalation di eventi, avviati da Israele nel gennaio2017 e propagandati come “azioni difensive preventive”.

Questa nuova linea interventista, caratterizzata dal moltiplicarsi di blitzmilitari israeliani contro le basi logistiche e militari di Hezbollah, ha in-nescato una serie di eventi a catena: il 17 marzo l’aviazione israeliana haavviato attacchi aerei contro diversi obiettivi in Siria; la reazione sirianaquesta volta è stata immediata, attraverso il lancio di missili contro i dro-ni israeliani. Il più recente è l’evento del 27 aprile, quando le forze aereeisraeliane hanno colpito un deposito di armi situato nei pressi dell’aero-porto di Damasco (armi inviate regolarmente dall’Iran per via aerea egestite da Hezbollah).

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Gli eventi degli ultimi mesi hanno notevolmente peggiorato le tensionigià esistenti tra Siria ed Israele – in particolare lungo la linea di confinetra i due Paesi – e rischiano di innescare un’ennesima spirale di violenza.

Se questi toni accesi dovessero ulteriormente inasprirsi nei mesi a veni-re, potrebbero sfociare in un inserimento sempre più attivo di Israele nelconflitto siriano – ormai al suo sesto anno di guerra – dal quale Netanyahupotrebbe trarre efficaci vantaggi, sia a livello territoriale, soddisfacendo leproprie mire sulla regione del Golan, sia a livello diplomatico, grazie a unsuo possibile avvicinamento con i confinanti arabi sunniti.

Il miglioramento delle relazioni diplomatiche fra Israele e Golfo Persi-co, infatti, è caldamente sponsorizzato anche dal Presidente Trump, chelo vede come strumento per sconfiggere il nemico comune numero uno:l’Iran. D’altro lato, però, il sostegno incondizionato di Netanyahu al bom-bardamento voluto da Trump in Siria il 7 aprile per colpire alcuni obietti-vi del governo ha provocato l’immediata condanna di Putin, che potreb-be anche evolversi in qualche azione concreta a svantaggio di Israele.

Il bilancio rispetto a possibili effetti derivanti dalle future azioni delloStato Ebraico in questo delicato scenario geopolitico non è dunque im-mediato: Israele dovrà valutare attentamente il peso di possibili ritorsio-ni a fronte degli interessanti vantaggi determinati da un suo interventoattivo nel conflitto

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Autori

Pejman AbdolmohammadiInsegna Storia e Istituzioni dei Paesi del Medio Oriente presso il Dipar-

timento di Scienze Politiche dell’Università di Genova ed è Research Fellowalla London School of Economics. Tra le sue pubblicazioni più recenti: LaRepubblica Islamica dell’Iran: Il pensiero politico dell’Ayatollah Khomeini(De Ferrari Editore, Genova, 2009); tra i suoi articoli, Iran: intervento mili-tare, compromesso storico o rinascimento persiano?, in «Limesonline», Grup-po Editoriale Espresso, Roma, ottobre 2012.

Riccardo CristianoGiornalista vaticanista particolarmente attento al dialogo interreligioso, è

stato coordinatore dell’informazione religiosa del Giornale Radio Rai, è au-tore per Castelvecchi di Bergoglio, sfida globale e Siria, l’ultimo genocidio. Ècollaboratore di «Vatican Insider» e di «Reset».

Claudia De MartinoRicercatrice presso l’Unimed, storica del Medio Oriente, è stata assegni-

sta di ricerca all’Università L’Orientale e cultrice all’Università di Roma Trenella cattedra di Storia dell’Europa e del Mediterraneo. Collabora periodi-camente con riviste di area come «Affari Internazionali», «Reset» e«Aspen». È autrice di Il nuovo ordine israeliano (Castelvecchi, 2017), I miz-rahim: la storia del “Secondo Israele (1948-77)” (Carocci, 2016) e vari artico-li scientifici, tra cui Israel and the Italian Communist Party: from Fondness toEnmity, in «Communist and Post-Communist Studies» (2015).

Lorenzo ForlaniClasse 1986, è un giornalista professionista freelance con base a Beirut, in

Libano. Si occupa di Medio Oriente per diverse testate, in particolare perl’Agi. La sua mail è [email protected].

Roberto IannuzziAnalista geopolitico e ricercatore presso l’Unimed, è stato coordinatore

di «MedArabNews», webzine di approfondimento sul Medio Oriente. Hacollaborato con il Budapest Centre for the International Prevention of Ge-

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nocide and Mass Atrocities. È autore dei libri Se Washington perde il con-trollo. Crisi dell’unipolarismo americano in Medio Oriente e nel mondo (Ca-stelvecchi, 2017) e Geopolitica del collasso. Iran, Siria e Medio Oriente nelcontesto della crisi globale (Castelvecchi, 2014).

Liisa LiimatainenGiornalista finlandese, ex-corrispondente della Yle, la Radiotelevisione

finlandese, per l’Italia e il Vaticano e inviata per la stessa testata per il Me-dio Oriente e il Maghreb. Ha girato circa trent’anni per il Medio Oriente,soggiornando anche per lunghi periodi in Iran, in Egitto, in Tunisia e in Ara-bia Saudita. Ha scritto due libri sull’Iran in finlandese: Iran: Huntu ja haaste –Yritys ymmärtää Iranin yhteiskuntaa (Iran: Il velo e la sfida – un tentativo dicapire la società iraniana), Like, 2009; Iran: Vihreän liikkeen digitaalinenvallankumous (Iran: La rivoluzione digitale del movimento verde, Into, 2010)e un libro sull’Arabia Saudita: Saudi-Arabian toiset kasvot – Rohkeita naisiaja kybernuoria (Un’altra faccia dell’Arabia Saudita – Donne coraggiose e cybergiovani), Like, 2013. Quest’ultimo è uscito in italiano in versione aggiorna-ta con il titolo: L’Arabia Saudita. Uno Stato islamico contro le donne e i dirit-ti, Castelvecchi, 2016. Ha collaborato con «Limes» e «Reset», e con «Ulko-politiikka», la rivista dell’Istituto per gli Affari Esteri finlandese, UPI.

Francesco PiccatClasse 1991, si è laureato in Relazioni Internazionali alla Luiss Guido

Carli con una tesi comparata sul Kurdistan iracheno e siriano a confronto,svolgendo diverse esperienze professionali in istituti internazionali (Iris, Pa-rigi) e in ambasciate e attività di cooperazione internazionale e di ricerca sulcampo sul confine turco-siriano.

Il suo indirizzo è [email protected].

Daniele ScaleaAnalista geopolitico, direttore generale dell’Isag di Roma (Istituto di Alti

Studi in Geopolitica e Scienze Ausiliarie), co-direttore della rivista scientifica«Geopolitica» ed «Europe Associate» del Centre for the Study of Interventio-nism di Londra. Ha pubblicato tre libri: La sfida totale. Equilibri e strategie nelgrande gioco delle potenze mondiali (Roma, 2010), Halford John Mackinder.Dalla geografia alla geopolitica (Roma, 2013) e, con Pietro Longo, Capire le ri-volte arabe. Alle origini del fenomeno rivoluzionario (Dublino, 2011).

Alessandra TerenziArchitetto e professore a contratto di Progettazione Urbanistica presso il

biennio di laurea specialistica della Scuola di Architettura, Politecnico di

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Milano. Visiting Professor presso la Facoltà di Architettura, Université Laval(Québec, Canada). Nel 2012 ha conseguito il titolo di Dottore di Ricercacon una tesi sulle trasformazioni territoriali e sui processi insediativi avve-nuti nel corso dell’ultimo secolo tra Israele e Palestina.

La sua attività di ricerca, nei campi di studi urbani e sociologia urbana, èprincipalmente incentrata nelle aree del Mediterraneo e Medioriente. Autricedi Viaggio in Levante; armature urbane, popoli e paesaggi (monografia, ArabaFenice, 2016) e di numerosi saggi, pubblicati con continuità su libri e rivistescientifiche, tra cui Urban & Spatial Development in Glocal Palestine: The Ca-se of Rawabi («Journal of Engineering and Architecture». Vol. 2, n. 2, 2014).

AUTORI

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Indice

Mappe 7

Glossario 9

Prefazionedi Claudia De Martino 10

Capitolo 1Il ritorno russo nel Mediterraneo: sbocco al mare o strategia da superpotenza?di Daniele Scalea 26

Capitolo 2Gli Usa di nuovo impantanati in Medio Oriente?di Roberto Iannuzzi 36

Capitolo 3Iran, Siria e il triangolo sciitadi Pejman Abdolmohammadi 48

Capitolo 4A cosa punta l’Arabia Saudita in Siria?La difficile affermazione di una contro-egemonia sunnitadi Liisa Liimatainen 55

Capitolo 5Il nuovo Stato del Rojava: il Kurdistan sirianodi Francesco Piccat 69

Capitolo 6La Turchia e la crisi in Siriadi Lorenzo Forlani 82

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Capitolo 7Il Vaticano nel conflitto siriano:né “alleanza delle minoranze” o “realismo fanariota”, ma coesistenzadi Riccardo Cristiano 97

Capitolo 8Territori contesi e strategie di controllo spaziale fra Israele e Siriadi Alessandra Terenzi 108

EpilogoBreve nota sui negoziati di pacedi Claudia De Martino 116

Note 120

Bibliografia 130

Autori 137

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