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Sir Arthur Conan DoyleSir Arthur Conan Doyle

Le Avventure diLe Avventure di Sherlock HolmesSherlock Holmes

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INDICE

Uno scandalo in BoemiaLa Lega dei Capelli rossiUn caso di identitàIl mistero di Valle BoscombeI cinque semi d'aranciaL'uomo dal labbro stortoL'avventura del rubino bluLa fascia maculataIl pollice dell'ingegnereL'avventura Del Nobile ScapoloL'avventura del diadema di berilliL'avventura dei Faggi Rossi

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Uno scandalo in Boemia(A Scandal in Bohemia)1.

Per Sherlock Holmes lei era sempre 'la donna'. Raramente gli ho sentito darle altri nomi. Ai suoi occhi lei eclissava e predominava tutto il suo ses­so. Badate, non provava un sentimento simile all'amore per Irene Adler. Tutte le emozioni, quella amorosa in particolare, venivano ripugnate dalla sua mente fredda, precisa e mirabilmente equilibrata. Secondo me era la più perfetta macchina ragionante e osservatrice che il mondo abbia visto; ma come amante si sarebbe messo in una posizione falsa. Non parlava mai delle più dolci passioni, se non con sarcasmo e in tono canzonatorio. Cose ammirevoli per un osservatore, eccellenti per svelare motivazioni e azioni degli uomini. Ma se l'esperto ragionatore ammettesse tali intrusioni nella sua indole sensibile e ben regolata, questo costituirebbe un fattore di turba­mento che potrebbe mettere in dubbio tutti i suoi risultati mentali. Della sabbia in uno strumento o una incrinatura in una delle sue potentissime len­ti, non sarebbe più sconvolgente di una forte emozione in una natura come la sua. Eppure non c'era che una donna per lui, e quella era la defunta Irene Adler, donna di dubbia e discutibile memoria.

Avevo visto poco Holmes negli ultimi tempi. Il mio matrimonio ci ave­va divisi. La mia totale felicità, gli interessi incentrati sulla famiglia, che coinvolgono l'uomo quando diventa padrone di casa, avevano assorbito tut­ta la mia attenzione; mentre Holmes, che non riusciva a conciliare la sua vita irregolare con nessuno, rimase nel nostro appartamento ammobiliato di Baker Street, immerso nei suoi vecchi libri, alternando di settimana in set­timana cocaina e ambizione, l'assopimento per droga e l'eccessiva energia della sua ardente indole. Era profondamente attirato, come sempre, dallo studio del crimine e dedicava le sue immense facoltà e gli straordinari po­teri di osservazione a seguire fino in fondo quegli indizi che erano rimasti insoluti e abbandonati dalla polizia ufficiale. Ogni tanto apprendevo vaghe notizie delle sue azioni: il viaggio a Odessa per l'assassinio Trepoff, la so­luzione della singolare tragedia dei fratelli Atkinson a Trincomalee, e infi­ne la missione per la famiglia regnante d'Olanda, che lui aveva compiuto con tanta delicatezza e successo. Ma a parte questi segni della sua attività, che condividevo con tutti i lettori di quotidiani, poco sapevo del mio ex amico e compagno.

Una notte - era il 20 marzo 1888 - tornavo da una visita a un paziente (avevo ripreso la libera professione) e mi trovai a passare per Baker Street.

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Quando fui davanti alla ben nota porta, che associo sempre al mio corteg­giamento e agli oscuri incidenti dello Studio in Rosso, fui preso dal vivo desiderio di rivedere Holmes, e di sapere se sfruttasse i suoi poteri straordi­nari. Le sue stanze erano sfavillanti di luci e mentre guardavo su, vidi la magra figura passare due volte dietro la persiana. Andava avanti e indietro, svelto e impaziente, la testa china sul petto, le mani unite dietro la schiena. Conoscendone umori e abitudini, quel suo atteggiamento e modo di fare mi dissero tutto. Era nuovamente al lavoro. Era uscito dai sogni provocati dal­la droga e seguiva puntigliosamente la pista di qualche nuovo problema. Suonai il campanello e fui introdotto nella stanza che un tempo avevo divi­so con lui.

Non fu espansivo. Raramente lo era, ma fu contento di vedermi, penso. Parco di parole, ma con sguardo gentile, mi indicò una poltrona, spinse verso di me la scatola dei sigari, e accennò a una cassetta di alcolici e a un gassogeno nell'angolo. Poi si mise ritto davanti al focolare e mi squadrò con quei suo tipico modo di fare introspettivo.

- Il matrimonio vi fa bene - osservò. - Sapete, Watson, dovete aver mes­so su tre chili e mezzo.

- Tre e cento - risposi.- Beh, avrei detto di più. Un tantino di più, immagino, Watson. E avete

ripreso a fare il medico, vedo. Non mi avevate detto che intendevate legar­vi al tran tran.

- E voi come l'avete saputo?- Lo vedo, lo deduco. Come so che in questi ultimi tempi avete preso

molta pioggia e avete una domestica molto pasticciona e sbadata.- Mio caro Holmes - dissi - questo è troppo. Vi avrebbero messo al rogo

se foste vissuto qualche secolo fa. E vero, giovedì sono dovuto andare a piedi in campagna e tornai in uno stato pietoso; ma siccome mi sono cam­biato d'abito non capisco come l'avete dedotto. Quanto a Mary Jane, è in­correggibile, e mia moglie l'ha licenziata; ma anche in questo caso non so come ci siete arrivato.

Lui ridacchiò fra sé e si fregò le lunghe mani nervose. - È tutto chiaro - disse Holmes - gli occhi mi dicono che sulla parte interna della vostra scar­pa sinistra, proprio lì dove batte la luce del fuoco, il cuoio è screpolato e ha sei tagli paralleli. Ovviamente sono stati prodotti da chi ha pulito raschian­do intorno ai bordi della suola con poca attenzione, per togliere il fango seccato. Da qui, come vedete, ho tratto la deduzione che siete stato fuori con il cattivo tempo e che avete un poco raccomandabile esemplare di ser­

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vitù londinese. Quanto alla vostra professione, se uno viene da me odoran­do di iodoformio, con una macchia nera di nitrato d'argento sull'indice de­stro e un rigonfiamento sul lato del suo cappello a cilindro che indica dove ha nascosto lo stetoscopio, sarei davvero tonto se non lo giudicassi un me­dico nell'esercizio della sua professione.

Non potei fare a meno di ridere per come aveva spiegato facilmente il suo processo deduttivo. - Quando mi date le spiegazioni - osservai - le cose mi appaiono sempre così ridicolmente semplici che potrei arrivarci da solo, però a ogni successivo passo del vostro ragionamento resto confuso finché non me lo spiegate. Eppure credo di avere occhi buoni quanto i vostri.

- Certamente - rispose, accendendo una sigaretta e calandosi di peso in una poltrona. - Voi vedete, ma non osservate. La distinzione è chiara. Per esempio, avete visto spesso i gradini che portano dall'ingresso a questa stanza...

- Sì.- Quanto spesso?- Be', centinaia di volte.- E quanti sono?- Quanti! Non lo so.- Ecco, non avete osservato. Avete solo visto. Questa è la mia opinione.

Io so che sono diciassette gradini, perché li ho visti e osservati. A proposi­to, dato che v'interessano questi problemi, e siete tanto bravo da prendere nota di una o due delle mie trascurabili esperienze, vi sottopongo questo. - Mi allungò un foglio di grossa carta rosata che era sul tavolo. - È arrivato con l'ultima posta - disse. - Leggetelo ad alta voce.

Lo scritto era privo di data, firma e indirizzo e diceva:"Stasera a un quarto alle otto, verrà da voi un signore che desidera con­

sultarvi per una faccenda della massima importanza. I vostri recenti servizi in favore di una delle Case reali d'Europa hanno dimostrato che siete perso­na a cui si possono affidare con sicurezza problemi ritenuti, senza esagera­zione, molto importanti. Questo di voi ci viene da tutte le parti detto. Tro­vatevi in casa a quell'ora e non ritenetelo inopportuno se il vostro visitatore avrà la maschera."

- Questo è un mistero - osservai. - Cosa vorrà dire?- Non ho informazioni per ora. È un grosso errore teorizzare prima di

avere dei dati. A poco a poco si cominciano a distorcere fatti per adattarli alle teorie, invece di formulare delle teorie sulla base dei fatti. Ma conside­riamo la lettera. Cosa ne deducete?

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Esaminai attentamente la scrittura, e la carta usata per scrivere -L'uomo che l'ha scritta dovrebbe essere ricco - rivelai, sforzandomi di imitare i pro­cedimenti del mio compagno. - Questo tipo di carta non costa meno di mezza corona per confezione. È particolarmente robusta e rigida.

- Particolarmente... ecco la parola - disse Holmes. - Non un tipo di carta inglese. Mettetela controluce.

Lo feci e vidi una E maiuscola con una g minuscola, una P e una G ma­iuscola con una t minuscola inserite nella trama della carta.

- Cosa ne ricavate? - domandò Holmes.- Il nome della fabbrica, senza dubbio, o il suo monogramma.- Niente affatto. La G con la t sta per "Gesellschaft", parola tedesca che

significa "società". È un'abbreviazione comune, come l'inglese "Co.". P sta per "Papier", carta. Rimane Eg. Guardiamo il nostro "Dizionario geografi­co europeo". - Tolse dagli scaffali un grosso volume marrone. -Eglow, Eglonitz... ci siamo, Egria. È un paese di lingua tedesca, in Boemia, non lontano da Carlsbad. "Rinomato per essere stato il luogo dove morì Wal­lenstein, e per le sue numerose vetrerie e cartiere". Ah, ah, che ve ne pare, caro mio? - Gli brillavano gli occhi, e sbuffò una grande nuvola di fumo dalla sigaretta.

- La carta è stata fatta in Boemia - dissi.- Esattamente. E l'uomo che ha scritto la lettera è un tedesco. Ha notato

la curiosa costruzione della frase: "Questo di voi ci viene da tutte le parti detto". Un francese o un russo non avrebbero scritto così. È tipico del tede­sco maltrattare così i verbi. Resta solo da scoprire che cosa vuole questo te­desco che scrive su carta boema e preferisce usare la maschera anziché mo­strare la sua faccia. Ed eccolo che arriva, se non mi sbaglio, a risolvere tutti i nostri dubbi.

Mentre parlava si udì un nitido batter di zoccoli di cavalli e uno stridio di ruote contro il cordolo del marciapiede, seguiti da una scampanellata. Holmes fischiò.

- Una coppia, dal rumore - disse. - Sì - continuò, sbirciando dalla fine­stra. - Un bel brum e una coppia di splendidi cavalli. Centocinquanta ghi­nee l'uno. C'è denaro, se non altro, in questo caso, Watson.

- Sarà meglio che me ne vada, Holmes.- Niente affatto, dottore. Restate qui. Questo caso promette di essere in­

teressante. Sarebbe un peccato perderlo.- Ma il vostro cliente...- Lasciate perdere lui. Potrei aver bisogno del vostro aiuto, e forse anche

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lui. Eccolo che viene. Sedetevi su quella poltrona, dottore, e prestate la vo­stra migliore attenzione.

Un passo lento e pesante, che avevamo sentito per le scale e nel corrido­io, si interruppe davanti alla porta. Poi fu bussato in modo forte e autorita­rio.

- Entrate! - disse Holmes.L'uomo che entrò aveva torace e membra possenti e un'altezza sul metro

e novanta. Il suo vestire denotava ricchezza ma di un genere che, in Inghil­terra, era sinonimo di cattivo gusto. Portava una giacca doppio petto borda­ta di astrakan al collo e alle maniche, mentre il mantello blu gettato sulle spalle era foderato di seta rossa e fermato al collo da una spilla formata da un unico berillo scintillante.

Gli stivali al polpaccio erano bordati in alto di pelliccia marrone, il tutto dava l'impressione di opulenza barbarica. In mano aveva un cappello a lar­ghe falde, e sul volto portava una mascherina nera, che doveva essersi ap­plicato in quel momento perché, entrando, vi aveva ancora la mano sopra.

La parte inferiore visibile della faccia denotava un carattere forte, labbra grosse e sporgenti, mento lungo e dritto, simbolo di risolutezza spinta sino all'ostinazione.

- Avete avuto il mio biglietto? - chiese con voce profonda aspra, e un forte accento tedesco. - Vi ho detto che sarei venuto - Guardò lui e me, in­certo a chi rivolgersi.

- Vi prego, sedetevi - disse Holmes. - Questo è il mio amico e collega, il dottor Watson, che si presta occasionalmente a darmi una mano. Con chi ho l'onore di parlare?

- Potete chiamarmi conte Von Kramm, un nobile boemo. Questo signo­re, vostro amico, lo ritengo uomo d'onore e pieno di discrezione, al quale possa confidare una questione della massimi importanza. Se così non fosse, preferirei parlare con voi da solo.

Mi alzai per andarmene, ma Holmes mi prese per il polso e mi ricacciò in poltrona. - O entrambi o nessuno - disse. - Potete dire davanti a questo signore tutto quel che direste a me.

Il conte scrollò le sue larghe spalle. - Allora per cominciare - disse - sie­te entrambi vincolati a rispettare l'assoluta segretezza per due anni, al ter­mine dei quali la cosa non avrà più importanza. Attualmente non è esagera­to dire che essa ha un tale peso da poter influenzare la storia europea.

- Lo prometto - disse Holmes.- Anch'io.

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- Scusate questa maschera - continuò il nostro misterioso visitatore. L'augusta persona che si serve di me desidera che il suo agente vi sia sco­nosciuto, e ci tengo a confessarvi subito che il titolo che mi sono dato non è il mio.

- Ne ero consapevole - disse Holmes asciutto.- Le circostanze sono molto delicate, e occorre prendere ogni precauzio­

ne per frenare quello che potrebbe diventare un immenso scandalo, tale da compromettere seriamente una delle famiglie regnanti d'Europa. In poche parole, il problema coinvolge la grande casa Ormstein, re ereditari di Boe­mia.

- Ero consapevole anche di questo - mormorò Holmes, accomodandosi in poltrona e chiudendo gli occhi.

Il nostro visitatore guardò con una certa sorpresa la languida figura al­lungata di quell'uomo che doveva essergli stato descritto come il più acuto ragionatore e il più energico agente d'Europa. Holmes riaprì lentamente gli occhi e guardò con impazienza il suo gigantesco cliente.

- Se vostra maestà accondiscendesse a esporre il caso - osservò - sarei in grado di consigliarla meglio.

L'uomo balzò dalla poltrona e cominciò a camminare avanti e indietro in stato di incontrollabile agitazione. Poi, con gesto di disperazione, si strappò la maschera dal volto e la gettò via. - Avete ragione - gridò. - Io sono il re. Perché tentare di nasconderlo?

- Già, perché? - mormorò Holmes. - Vostra maestà non aveva ancora parlato ma io ero conscio di avere davanti Wilhelm Gottsreich Sigismond Von Ormstein, Granduca di Cassel-Falstein, e re ereditario di Boemia.

- Ma voi capite - disse il visitatore tornando a sedersi e passandosi la mano sull'alta fronte - voi capite che io non sono abituato a trattare certi af­fari di persona. Tuttavia la questione era talmente delicata che non potevo affidarla a un agente senza finire completamente in suo potere. Sono venu­to in incognito da Praga allo scopo di consultarvi.

- Allora, consultatemi - disse Holmes chiudendo gli occhi.- I fatti, in breve, sono questi: circa cinque anni fa, durante una prolun­

gata visita a Varsavia, feci la conoscenza della nota avventuriera Irene Ad­ler. Voi l'avrete sentita nominare.

- Guardate nella mia rubrica, dottore - mormorò Holmes a occhi chiusi. Da anni usava il sistema di annotare tutti i trafiletti di giornali riguardanti uomini e cose, cosicché era difficile che un argomento o una persona non fossero nel suo elenco. In questo caso trovò la sua biografia inserita tra

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quella di un rabbino ebreo e quella di un comandante in capo che aveva scritto una monografia sui pesci d'alto mare.

- Vediamo - disse Holmes. - Hum! Nata nel New Jersey nell'anno 1858. Contralto, hum! La Scala, hum! Prima donna all'Opera imperiale di Varsa­via. Sì! Ritiratasi dalla scena operistica, ah! Vive a Londra, però! Vostra maestà, da quanto capisco, si è impegolato con questa giovane, le ha scritto lettere compromettenti e adesso desidera riavere tali lettere.

- Precisamente. Ma come...- C'è stato un matrimonio segreto?- No.- Documenti legali o certificati?- No.- Allora non vi seguo, vostra maestà. Se questa giovane producesse le

lettere per ricatto o per altri scopi, come ne dimostrerebbe l'autenticità?- La scrittura.- Puh! Puh! Contraffatta.- La mia carta da lettere privata.- Rubata.- Il mio sigillo.- Imitato.- La mia fotografia.- Comprata.- Eravamo insieme in una fotografia che lei possiede.- Ohi, ohi! Questo va male! Vostra maestà ha proprio commesso un'im­

prudenza.- Ero pazzo... insensato.- Vi siete compromesso gravemente.- Ero soltanto principe ereditario allora. Ero giovane. Ho soltanto tren­

t'anni adesso.- Bisogna rimediare.- Abbiamo tentato, ma senza successo.- Vostra maestà dovrà pagare. Occorrerà comprarla.- Lei non venderà.- Allora rubarla.- Sono stati fatti cinque tentativi. Due volte ladri da me assoldati hanno

messo a soqquadro la sua casa. Una volta, mentre lei viaggiava, abbiamo fatto deviare il suo bagaglio. Due volte le è stato teso un agguato. E tutto inutilmente.

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- Non ce n'è traccia?- No, assolutamente.Holmes rise. - È un bel problema - disse.- Ma per me è molto serio - replicò il re in tono di rimprovero.- Altroché. E lei cosa si propone di fare con la foto?- Rovinarmi.- Ma come?- Sto per sposarmi.- L'ho sentito dire.- Con Clotilde Lothman Von Saxe-Meningen, seconda figlia del re di

Scandinavia. Forse conoscete i principi rigidi della sua famiglia. Lei stessa è un'anima delicata. L'ombra di un dubbio sulla mia condotta sarebbe la rottura.

- E Irene Adler?- Minaccia di mandare la foto a loro. E lo farà. Voi non la conoscete, ma

ha un'anima d'acciaio. Il volto è quello di una donna bellissima, ma la men­te è quella del più risoluto degli uomini. Piuttosto che vedermi sposare un'altra donna, farebbe qualsiasi cosa.

- Siete sicuro che finora non l'abbia mandata?- Sì.- E perché?- Perché ha detto che la manderebbe il giorno in cui fosse annunciato

pubblicamente il fidanzamento. E ciò sarà lunedì prossimo.- Oh, allora abbiamo ancora tre giorni - disse Holmes, con uno sbadi­

glio. - È una fortuna, perché al momento ho una o due faccende importanti per le mani. Vostra maestà si trattiene a Londra?

- Certamente. Mi troverete al Langham, sotto il nome di conte Von Kramm.

- Vi manderò due righe per farvi sapere gli sviluppi.- Vi prego, sì, sarò in ansia.- E per il denaro?- Avete carta bianca.-Assolutamente?- Vi dico che darei una delle provincie del mio regno per riavere quella

fotografia.- E per le spese correnti?Il re estrasse una pesante borsa di camoscio da sotto il mantello e la de­

pose sul tavolo.11

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- Ci sono trecento sterline d'oro, e settecento in biglietti - disse.Holmes scrisse in fretta la ricevuta e gliela consegnò.- E l'indirizzo della signorina? - domandò.- Briony Lodge, Serpentine Avenue, St. John's Wood.Holmes lo annotò. - Un'altra domanda - disse. - La foto è formato al­

bum?- Sì.- Bene, buonanotte, vostra maestà, e ho fiducia che presto avremo buone

notizie per voi. E buonanotte, Watson - aggiunse, quando la carrozza reale si stava allontanando. - Se vorrete passare domani pomeriggio, verso le tre, vorrei discutere della faccenda con voi.

2.Alle tre in punto arrivai in Baker Street, ma Holmes non era ancora rien­

trato. La padrona m'informò che era uscito poco dopo le otto del mattino. Mi sedetti davanti al caminetto acceso con l'intenzione di aspettarlo, anche a lungo. La sua indagine mi interessava molto, anche se non aveva le fo­sche e strane caratteristiche insite nei due crimini che ho citato in prece­denza; qui la natura del caso e l'elevata posizione del cliente erano fuori del comune. A parte il tipo d'indagine che il mio amico aveva in corso, vi era nel suo modo eccellente di afferrare una situazione e nel suo acuto, incisivo ragionamento, qualcosa che mi rendeva piacevole studiarne il sistema di la­voro e seguirne i rapidi, sottili metodi per sbrogliare i misteri più intricati. Ero tanto abituato ai suoi invariabili successi che non pensavo più alla pos­sibilità di un suo fiasco.

Erano quasi le quattro quando la porta si aprì e uno staffiere apparente­mente sbronzo, con basette e faccia arrossata, malvestito, entrò nella stan­za. Benché abituato ai travestimenti del mio amico, che in questo era mae­stro, dovetti guardarlo tre volte prima di essere certo che fosse proprio lui. Con un cenno del capo, sparì nella camera da letto da cui emerse, cinque minuti dopo, in completo di tweed e con la solita aria rispettabile. Si ficcò le mani nelle tasche, allungò le gambe davanti al fuoco e rise di cuore, a lungo.

- Ah, questa poi! - gridò, e le risa lo soffocarono; tanto rise che dovette reclinarsi sulla poltrona, esausto.

- Di che si tratta?- È troppo buffo. Non indovinereste mai come ho passato la mattina, o

cosa mi sono ridotto a fare.12

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- No. Suppongo che abbiate osservato le abitudini, e forse la casa della signorina Irene Adler.

- Sì, ma il seguito è stato alquanto insolito. Ve lo racconto. Sono uscito di casa poco dopo le otto, vestito da staffiere disoccupato. C'è una meravi­gliosa solidarietà e comprensione tra gli addetti ai cavalli. Se sei uno di loro, sai tutto quel che c'è da sapere. Ho trovato presto Briony Lodge. È un gioiello di villa, con giardino sul retro, ma la facciata a due piani dà sulla strada. Serratura di sicurezza alla porta. Grande soggiorno sul lato destro, bene arredato con finestre lunghe fin quasi al pavimento, e con quelle ridi­cole chiusure inglesi che anche un bambino aprirebbe. Dietro non vi era nulla di notevole, a parte la finestra del corridoio che può essere raggiunta dal tetto della rimessa. Ho fatto il giro e l'ho esaminata bene da ogni punto di vista, ma senza notare niente altro d'interessante.

"Poi ho bighellonato per la via e ho scoperto, come mi aspettavo, che vi era una scuderia in un sentiero che corre lungo un muro del giardino. Ho dato una mano ai mozzi di stalla nello strigliare i cavalli e ho avuto in cam­bio due penny, un bicchiere di birra, due dosi di tabacco forte e tante noti­zie sulla signorina Adler, oltre a quelle su una mezza dozzina di persone del vicinato di cui non m'importava affatto, ma le cui biografie sono stato costretto ad ascoltare."

- E di Irene Adler cosa avete saputo? - domandai.- Oh, fa impazzire tutti gli uomini. È la più squisita delle donne sul pia­

neta. Così dicono le lingue pettegole. Vive in modo discreto canta ai con­certi, esce in carrozza ogni giorno alle cinque, e rientra alle sette precise per la cena. Difficilmente cambia orari, a meno che non canti. Ha un solo visitatore, ma apprezzabile. Bruno, bello e focoso; ci va almeno una volta al giorno, spesso due. È un certo signor Godfrey Norton, un avvocato di Londra. Vedete i vantaggi di avere le confidenze di un cocchiere! Lo hanno ricondotto a casa un dozzina di volte dai Serpentine Mews, la scuderia, e sanno tutto di lui. Dopo che ho prestato orecchio a tutte le loro chiacchiere, sono tornato a passeggiare vicino al Briony Lodge, meditando sul mio pia­no di attacco.

"Questo Godfrey Norton è evidentemente un fattore importante nella faccenda. È un avvocato. La cosa non promette bene. Che rapporti corrono tra loro due, e qual è lo scopo di queste ripetute visite? Lei è sua cliente, amica, o amante? Nel primo caso probabilmente ha affidato a lui la foto­grafia in custodia. Altrimenti, forse no. Dalla soluzione di questo quesito dipende se dovrò continuare il mio lavoro al Briony Lodge, o invece rivol­

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gere la mia attenzione allo studio dell'avvocato all'Inner Temple. Il punto è delicato, e ha allargato il campo dell'indagine. Temo di annoiarvi con que­sti dettagli, ma devo esporvi le mie piccole difficoltà se volete comprende­re la situazione.

- Vi seguo perfettamente - risposi.- Stavo ancora dibattendo il problema nella mente quando un carrozza a

due ruote si è fermata davanti al Briony Lodge e ne è sceso un signore. Era un uomo notevolmente bello, bruno, naso aquilino e baffi; l'ultimo di cui mi avevano parlato, credo. Sembrava andare di fretta, ha gridato al coc­chiere di attendere, e si è infilati in casa appena la cameriera gli ha aperto la porta, come uno abituato a farlo.

"Era nella casa da una mezz'ora e coglievo fugaci visioni di lui quando passava su e giù davanti alla finestra del soggiorno parlando in modo ecci­tato e gesticolando. Lei non l'ho vista. Poco dopo è uscito, più agitato di prima. Salito in carrozza ha tirato fuori un orologio d'oro dal taschino e ha guardato l'ora. 'Corri come il diavolo' ha gridato 'prima da Gross & Hankey in Regent Street, poi alla chiesa di Santa Monica in Edgware Road. Mezza ghinea per te se ce la fai in venti minuti!'

"Se ne sono andati, e mi chiedevo se non facevo bene a seguirli, quando dal sentiero è venuto un bel landò, il cui cocchiere aveva la giacca mezza sbottonata e la cravatta storta, e tutte le estremità dei finimenti sporgevano dai fermagli. Non aveva fatto in tempo a fermarsi che lei si precipita fuori e sale in carrozza. L'ho vista appena, ma è una gran bella donna, con un volto da far morire un uomo. 'La chiesa di Santa Monica, John' gridò 'e ti do mezza sovrana se ci arrivi in venti minuti'.

"Un'occasione da non lasciare andare; Watson. Ero incerto se correre fin là o aggrapparmi dietro al suo landò, quando è passata una carrozza. Il coc­chiere ha guardato due volte il misero cliente che ero, ma sono saltato su prima che facesse storie" 'La chiesa di Santa Monica' ho detto 'e mezza so­vrana per voi se ci arrivate in venti minuti.' Mancavano venticinque minuti a mezzogiorno, ed era chiaro di quale evento si trattasse.

"La carrozza è andata veloce, anzi non credo di aver viaggiato mai così in fretta, però gli altri c'erano già. Quando sono arrivato le due vetture con i cavalli sbuffanti erano davanti al portale. Ho pagato l'uomo e sono corso in chiesa. Non c'era anima viva, eccetto i due che avevo seguito, e un sacer­dote in cotta che sembrava lagnarsi con loro. Erano tutti e tre in piedi, in circolo davanti all'altare. Io sono avanzato lentamente lungo un lato della chiesa, come un qualsiasi vagabondo capitato là. Improvvisamente, con

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mia sorpresa, i tre si sono voltati verso di me, e Godfrey Norton si è preci­pitato dalla mia parte. 'Grazie a Dio!' esclama. 'Voi fate al caso. Venite! Ve­nite!'"

- E allora? - domando.- 'Venite, venite, buon'uomo, solo tre minuti, o non sarà legale.' Mi ha

trascinato all'altare e senza rendermene conto ho mormorato delle risposte suggeritemi all'orecchio, e ho garantito per cose di cui non sapevo nulla, assistendo in linea generale al certo legame di Irene Adler, nubile, con Go­dfrey Norton, celibe. Tutto sbrigato in un istante, e poi il signore mi ha rin­graziato da una parte e la signora dall'altra, mentre il sacerdote mi sorride­va. È stata la situazione più ridicola in cui mi sia mai trovato, e prima ri­pensandoci mi sono sbellicato dalle risa. Pare ci fosse qualche irregolarità nella loro licenza di matrimonio, e il sacerdote non voleva sposarli senza un testimone qualsiasi; perciò la mia fortunata apparizione ha evitato allo sposo di andarne a raccapezzare uno migliore in strada. La sposa mi ha dato una sovrana, e ho intenzione di appenderla alla catena dell'orologio come ricordo dell'avvenimento.

- È una svolta inaspettata degli eventi - dissi - e adesso cosa pensate di fare?

- Beh, ho visto una seria minaccia ai miei piani. La coppia sarebbe potu­ta partire subito, e così pensavo di dover agire con prontezza ed energia. Ma alla porta della chiesa i due si sono separati, lui è tornato all'Inner Tem­ple, lei a casa. 'Vado al parco alle cinque, come al solito' gli ha detto lei la­sciandolo. Non ho sentito altro. Hanno preso vie diverse, e io me ne sono andato per i fatti miei.

- Quali sono?- Intanto del roast beef e un bicchiere di birra - rispose, suonando il

campanello. - Sono stato troppo occupato per pensare al mangiare, e forse sarò ancor più occupato stasera. A proposito, dottore, mi occorre la vostra collaborazione.

- Con piacere.- Vi disturba infrangere la legge?- Niente affatto.- Neppure rischiare l'arresto?- No, per una buona causa.- Oh, la causa è eccellente.- Allora disponete di me.- Ero sicuro di poterci contare.

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- Ma qual è il vostro desiderio?- Quando la signora Turner ci avrà portato il vassoio, ve lo spiegherò.

Ora - continuò mentre attaccava con avidità il semplice cibo - devo parlar­vene mentre mangio, perché non ho molto tempo. Sono quasi le cinque. Tra due ore dobbiamo essere sul campo d'azione. La signora Irene torna dalla sua gita alle sette. Dobbiamo essere al Briony Lodge in tempo per in­contrarla.

- E poi?- Lasciate fare a me. Ho già predisposto le cose. C'è solo un punto sul

quale devo insistere. Non intromettetevi, qualunque cosa accada. Avete ca­pito?

- Dovrò essere neutrale?- Non fate assolutamente nulla. Vi saranno probabilmente cose sgrade­

voli. Non immischiatevi. Serviranno a farmi entrare nella casa. Quattro o cinque minuti dopo la finestra del soggiorno si aprirà. Dovrete appostarvi presso quella finestra. Mi osserverete, perché potrete vedermi.

- Sì.- E quando solleverò la mano così... getterete nella stanza quello che vi

darò da gettare, e al tempo stesso griderete 'al fuoco'. Mi seguite?- Perfettamente.- Non è nulla di eccezionale - disse prendendo dalla tasca un cilindretto

che pareva un sigaro. - È un comune fumogeno da idraulico, con una cap­sula alle due estremità per l'accensione automatica. Il vostro compito è solo questo. Quando griderete 'al fuoco', vi sentiranno in parecchi. Allora ve ne andrete fino in fondo alla strada e io vi raggiungerò in dieci minuti. Sono stato chiaro?

- Resto neutrale, mi avvicino alla finestra, vi osservo, e al segnale lancio questo oggetto, poi grido 'al fuoco', e vi aspetto all'angolo della strada.

- Benissimo.- Fidatevi di me.- Ottima cosa. Ora devo prepararmi per la nuova parte da recitare.Scomparve nella camera da letto e tornò dopo qualche minuto vestito da

bonario, semplice sacerdote non conformista, con un grande cappello nero, i calzoni sformati, la cravatta bianca, un buon sorriso, e in generale un aspetto di benevola curiosità. Perché Holmes non cambiava semplicemente gli abiti. L'espressione, i modi, il suo stesso spirito si adattavano alla parte che assumeva. Il teatro aveva perso un bravo attore, e la scienza un acuto ragionatore, quando lui si specializzò nel settore criminale.

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Erano le sei e un quarto quando lasciammo Baker Street, e arrivammo in Serpentine Avenue dieci minuti prima delle sette. Era già il crepuscolo e stavano accendendo i lumi quando ci mettemmo a passeggiare davanti al Briony Lodge, in attesa che ne arrivasse la padrona. La casa era come me l'aveva descritta succintamente Holmes, ma la sua ubicazione era meno ap­partata di quanto mi aspettassi. Per essere una strada piccola, in un quartie­re tranquillo, vi era una notevole animazione.

Un gruppo di uomini malvestiti fumavano e ridevano a un angolo, poi c'erano un arrotino con la sua ruota, due guardie che corteggiavano una bambinaia, e diversi giovani eleganti che bighellonavano con i sigari in bocca.

- Vedete - osservò Holmes mentre aspettavamo - questo matrimonio semplifica le cose, in un certo senso. La fotografia diventa un'arma a dop­pio taglio ora. C'è la possibilità che lei non voglia farla vedere al signor Godfrey Norton, come il nostro cliente non vuole che cada sotto gli occhi della principessa. Il problema è dove trovare la foto.

- Già, dove?- È improbabile che la porti sempre con sé. È una foto da album. Troppo

grande per nasconderla in un abito. Sa che il re è capace di tenderle un ag­guato e perquisirla. Lo ha già tentato due volte. Dunque possiamo esclude­re che la porti addosso.

- Dove, allora?- Presso il banchiere, o l'avvocato. Vi sono due possibilità, ma sono in­

cline a scartarle. Le donne sono riservate per natura, e amano custodire i loro segreti. Perché avrebbe affidato la foto ad altri? Può conservarla lei stessa gelosamente, mentre non è sicuro quali pressioni indirette o politiche potrebbero essere esercitate su un uomo d'affari. Inoltre, ricordatevi che ha deciso di usarla entro pochi giorni. Dunque deve averla a portata di mano. Quindi in casa.

- Ma l'hanno rovistata due volte.- Puah! Quelli non sapevano dove guardare.- E voi lo sapete?- Io non guarderò.- E allora?- Farò in modo che lei me la mostri.- Si rifiuterà di farlo.- Non potrà. Ma sento rumore di ruote. È la sua carrozza. Eseguite i

miei ordini alla lettera.17

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Mentre parlava le luci laterali della carrozza sbucarono dalla curva della strada. Era un elegante landò e arrivò alla porta di Briony Lodge. Quando si fermò, uno dei vagabondi all'angolo si precipitò ad aprire la portiera nel­la speranza di guadagnarsi una monetina, ma fu spintonato da un altro va­gabondo che aveva la stessa intenzione. Ne scaturì una violenta lite, fo­mentata dalle due guardie che presero le difese di uno, e dall'arrotino che invece si schierò dalla parte dell'altro. Volò un pugno, e all'improvviso la signora, scesa dalla carrozza, si trovò al centro di quel gruppetto rissoso dove ognuno sferrava pugni e bastonate all'altro. Holmes si fece largo ener­gicamente per proteggere la donna, ma appena le fu vicino emise un grido e si accasciò al suolo, con il sangue che gli colava dalla faccia. Appena lo videro, le guardie fuggirono da una parte e i vagabondi dall'altra, mentre i giovani ben vestiti che avevano assistito alla scena senza parteciparvi si af­frettarono a soccorrere la signora e il ferito. Irene Adler, che io continuerò a chiamare così, aveva salito i gradini in fretta, si era fermata davanti alla porta, la superba figura stagliata dalle luci del vestibolo, e guardava in stra­da.

- Si è fatto molto male il pover'uomo? - chiese.- È morto - gridarono in diversi.- No, no, è ancora in vita - gridò un altro. - Ma morirà prima che arrivi

all'ospedale.- È un uomo coraggioso - disse una donna. - Avrebbero rubato la borset­

ta alla signora, se non fosse stato per lui. Erano brutti ceffi, una banda peri­colosa. Ah, sta respirando adesso.

- Non può rimanere in strada. Possiamo trasportarlo dentro, signora?- Certamente. Trasportatelo nel soggiorno. C'è un divano comodo. Da

questa parte, prego!Con lenta solennità fu trasportato nel Briony Lodge e disteso nella stan­

za principale, mentre io osservavo il tutto dalla mia postazione. Le luci era­no state accese, ma le tende erano ancora aperte e potei così vedere Holmes disteso sul divano. Non so se allora fu preso da rimorso per la parte che re­citava, ma io non mi sono mai vergognato di più in vita mia quando ho vi­sto la bella creatura, contro la quale stavo tramando, prodigarsi con tanta grazia e gentilezza in favore del ferito. D'altra parte sarebbe stato il più vile dei tradimenti se avessi abbandonato la parte che Holmes mi aveva affida­to. Zittii il mio cuore e tirai fuori il fumogeno da sotto il cappotto. Dopotut­to mi dissi, non le facciamo del male. Impediamo soltanto che lei faccia del male a un altro.

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Holmes si era messo seduto e lo vidi fare gesti come uno che ha bisogno di aria. Una cameriera aprì subito la finestra. Allora lui levò la mano e a quel segnale io gettai il razzo nella stanza gridando 'al fuoco'. Appena ebbi pronunciato la parola, tutti i presenti ben vestiti e mal vestiti, signori, moz­zi di stalla, cameriere, ripeterono all'unisono 'fuoco!'. Dense nuvole di fumo si sparsero per la stanza e uscirono dalla finestra aperta. Colsi di sfuggita delle figure che correvano e subito dopo la voce di Holmes nella stanza che gridava parole rassicuranti, dicendo che era un falso allarme. Mi dileguai tra la folla urlante e arrivai all'angolo della strada, dove dieci mi­nuti dopo il mio amico mi raggiunse, mi prese a braccetto e insieme ci al­lontanammo dal bailamme. Lui camminò di buon passo e in silenzio per al­cuni minuti e quando svoltammo in una strada tranquilla che portava a Edgware Road mi disse: - Siete stato bravo, dottore. Non poteva andare meglio. Tutto a posto.

- Avete la foto!- So dov'è.- E come l'avete scoperto?- Me l'ha mostrata lei, come avevo previsto.- Ancora non capisco.- Non desidero farne un mistero - disse lui, ridendo. - La cosa è stata

molto semplice. Naturalmente avete visto che quelli per strada erano tutti complici. Ingaggiati per la serata.

- Fin qui ci sono arrivato.- Dunque, quando è scoppiata la rissa, io avevo un po' di vernice rossa,

fresca, nel palmo della mano. Sono corso avanti, sono caduto e mi sono fregato la mano sulla faccia, assumendo un aspetto pietoso. È un vecchio trucco.

- Anche questo l'ho capito.- Poi mi hanno trasferito in casa. Lei è stata obbligata ad accogliermi.

Che altro poteva fare? E mi ha fatto portare in soggiorno proprio nella stanza che sospettavo. Per me o era lì o era in camera sua, e dovevo scopri­re dove. Mi hanno adagiato sul divano, ho finto di aver bisogno di aria, hanno dovuto aprire la finestra e voi siete entrato in azione.

- La mia azione vi è servita?- È stata della massima importanza. Quando una donna pensa che la sua

casa sia in fiamme, corre a prendere la cosa che più le preme. È un impulso irrefrenabile, e l'ho sfruttato in più occasioni. Mi è servito nel caso dello scandalo della sostituzione Darlington e anche nell'affare del Castello Arn­

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sworth. Una donna sposata corre a prendere il suo bambino, una non sposa­ta pensa subito al cofanetto delle gioie. La nostra signora di oggi non aveva in casa nulla di più prezioso della cosa che cerchiamo. Sarebbe corsa a prenderla. L'allarme dell'incendio è stato perfetto. Il fumo e le grida avreb­bero scosso anche dei nervi d'acciaio. Lei ha reagito benissimo. La foto è in un nascondiglio dietro un pannello scorrevole appena a destra del cordo­ne del campanello. Si è precipitata da quella parte e l'ho vista di sottecchi mentre la stava tirando fuori. Quando ho detto che era un falso allarme, l'ha rimessa a posto, ha guardato il razzo, si è allontanata frettolosamente dalla stanza e non l'ho più vista. Mi sono alzato, ho fatto le mie scuse, e sono fi­lato via dalla casa. Ero indeciso se tentare di prendere subito la foto, ma il cocchiere era entrato e mi teneva d'occhio; perciò mi è parso più sicuro aspettare. Troppa precipitazione avrebbe potuto rovinare tutto.

- E ora? - domandai.- La ricerca è praticamente finita. Domani andrò insieme con il re, e con

voi se vorrete accompagnarci. Saremo introdotti nel soggiorno in attesa della signora, ma è probabile che quando verrà non troverà né noi né la foto. Sarà una soddisfazione per sua maestà recuperarla con le sue stesse mani.

- E quando andrete?- Alle otto del mattino. Non sarà ancora alzata, così avremo campo libe­

ro. Inoltre dobbiamo far presto perché questo matrimonio potrebbe cambia­re la sua vita e le sue abitudini. Devo telegrafare al re senza indugio. Ave­vamo raggiunto Baker Street e ci eravamo fermati alla porta. Stava cercan­do la chiave in tasca quando uno passando gli disse:

- Buonanotte, signor Sherlock Holmes.Vi erano diverse persone sul marciapiede in quel momento, ma chi ave­

va salutato era un giovane smilzo con un cappotto pesante che aveva conti­nuato a camminare di fretta.

- Ho già sentito questa voce - disse Holmes, sbirciando lungo la strada poco illuminata. - Chissà chi diavolo era.

3.Quella notte dormii in Baker Street, e stavamo facendo colazione con

pane tostato e caffè quando il re di Boemia piombò nella stanza.- L'avete presa? - gridò, afferrando Sherlock Holmes per la spalla e

guardandolo in faccia.- Non ancora.

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- Ma avete speranze?- Sì.- Allora andiamo. Sono impaziente di sbrigarmi.- Occorre una carrozza.- No, ho il mio bruem fuori.- Questo semplifica le cose.Scendemmo, e tornammo al Briony Lodge.- Irene Adler si è sposata - disse Holmes.- Sposata? Quando?- Ieri.- Con chi?- Con un avvocato inglese di nome Norton.- Ma come può amarlo?- Io spero che lo ami.- E perché lo sperate?- Perché questo risparmierebbe a vostra maestà la paura di future secca­

ture. Se la signora ama suo marito, non ama vostra maestà. E se non ama vostra maestà, non v'è ragione perché dovrebbe ostacolare i progetti di vo­stra maestà.

- È vero. Tuttavia... ! Beh! Se fosse stata una del mio rango! Che regina sarebbe diventata! - Ricadde in un pensoso silenzio finché non arrivammo in Serpentine Avenue e ci fermammo. La porta di Briony Lodge era aperta, e una donna piuttosto anziana era ferma sui gradini. Ci osservò con sguar­do ironico mentre scendevamo dalla carrozza.

- Il signor Sherlock Holmes, siete voi? - disse la donna.- No, sono io - rispose il mio compagno, guardandola con incertezza e

meraviglia.- Ah! La mia padrona mi ha detto che probabilmente sareste venuto. È

partita stamane con suo marito, con il treno delle cinque e quindici da Cha­ring Cross, diretta in Europa.

- Cosa? - Sherlock Holmes barcollò indietro, sbiancato per la sorpresa e il disappunto. - Volete dire che ha lasciato l'Inghilterra?

- Per non tornarvi mai più.- E le carte? - chiese il re con voce aspra. - Tutto è perduto.- Vedremo. - Diede una spinta alla domestica, entrò in casa e nel salotto,

seguito dal re e da me. I mobili avevano gli scaffali smontati, i cassetti aperti, come se la signora vi avesse frugato frettolosamente prima della sua fuga. Holmes si diresse verso il cordone del campanello, fece scorrere con

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forza un piccolo pannello, e infilò dentro la mano, tirò fuori una foto e una lettera. La foto ritraeva Irene Adler in abito da sera, da sola, e la lettera era indirizzata al 'Signor Sherlock Holmes. Da tenere a disposizione del desti­natario'. Il mio amico stracciò la busta e noi tre leggemmo insieme. Era da­tata dalla mezzanotte del giorno precedente e diceva:

Mio caro signor Sherlock Holmes, siete stato davvero molto bravo. Mi avete ingannata completamente. Fino a dopo l'allarme del fuoco non avevo sospetti. Poi, quando mi sono vista tradita, ho cominciato a pensare. Mi avevano messa in guardia contro di voi mesi fa. Mi era stato detto che se il re avesse assunto un agente, quello sareste stato certamente voi. E mi ave- vano dato il vostro indirizzo. Eppure, nonostante tutto questo, voi mi avete fatto rivelare ciò che volevate sapere. Anche dopo i sospetti, mi è stato dif­ficile pensare male di un caro, gentile, vecchio sacerdote. Ma, sapete, co­nosco il mestiere di attrice. Travestirmi da uomo non mi è nuovo. Ne ap­profitto spesso per la libertà che mi dà. Ho mandato il cocchiere, John, a osservarvi, sono corsa di sopra mi sono messa abiti da passeggio, come io li chiamo, e sono discesa proprio mentre ve ne stavate andando. Vi ho se­guito sino alla vostra porta e così mio sono accertata essere l'oggetto del­l'interesse del famoso Sherlock Holmes. Allora un po' avventatamente, vi ho augurato la buonanotte, e sono andata all'ufficio di mio marito.

Insieme abbiamo pensato che la migliore risorsa era fuggire, per sottrar­ci a un formidabile antagonista come voi: domani quando verrete, troverete il posto vuoto. Quanto alla foto il vostro cliente può stare in pace. Amo e sono amata da un uomo migliore di lui. Il re può fare ciò che vuole senza impedimenti da parte di chi è stata crudelmente offesa. L'ho conservata sol­tanto per tutelarmi, e per avere sempre un'arma che mi metta al riparo da sue eventuali azioni future. Lascio una fotografia che forse gli farà piacere di possedere, e a voi, caro signor Sherlock Holmes, i miei migliori saluti.

IRENE ADLER in NORTON- Che donna! - esclamò il re di Boemia, dopo che ognuno ebbe finito di

leggere. - Non vi avevo detto come era rapida e decisa? Non sarebbe stata una meravigliosa regina? Peccato che non fosse del mio rango!

- Da quanto ho visto della signora, mi sembra veramente che sia di ben altro livello che vostra maestà - disse Holmes freddamente - Mi rincresce di non aver espletato l'affare di vostra maestà con un maggior successo fi­nale.

- Al contrario, mio caro signore - esclamò il re. - La conclusione non po­trebbe essere migliore. So che la parola di Irene è sacra. La fotografia è al

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sicuro come se fosse stata bruciata.- Sono contento che vostra maestà lo dica.- Vi sono immensamente debitore. Ditemi come posso ricompensarvi.

Questo anello... - Si sfilò dal dito un anello a forma di serpente con smeral­di e glielo porse sul palmo della mano.

- Vostra maestà ha qualcosa che io stimerei di più - disse Holmes.- Non avete che da chiedere.- Questa fotografia!Il re lo guardò sbigottito.- La fotografia di Irene! - esclamò. - Certamente, se la desiderate.- Grazie, vostra maestà. Allora l'affare è chiuso. Ho l'onore di augurarvi

un buon mattino. - Chinò il capo e si girò, senza notare la mano che il re gli porgeva, per tornare con me nel suo alloggio.

E fu così che un grande scandalo minacciò di far traballare il regno di Boemia e gli ottimi piani di Sherlock Holmes furono smantellati dall'acu­me di una donna. Lui soleva ironizzare sulla furbizia delle donne, ma di re­cente ha perduto questa abitudine. E quando parla di Irene Adler, o si riferi­sce alla sua foto, lo fa sempre usando l'onorevole titolo 'la donna'.

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La Lega dei Capelli rossi(The Red-Headed League)Ero passato dal mio amico, il signor Sherlock Holmes, un giorno d'au­

tunno dello scorso anno e lo trovai intento in una profonda conversazione con un uomo anziano molto robusto, dal viso florido e i capelli rossi. Scu­sandomi per l'intrusione stavo per allontanarmi quando Holmes mi trascinò nella stanza e chiuse la porta dietro di me.

- Non avreste potuto scegliere un orario migliore, mio caro Watson - disse cordialmente.

- Temevo che foste impegnato.- Lo sono infatti, moltissimo.- Allora posso attendere nella stanza accanto.- Niente affatto. Questo signore, il signor Wilson, è stato mio collega e

collaboratore in molti dei miei casi di maggior successo e non ho alcun dubbio che mi sarà di grande utilità anche nel suo.

Il solito signore si alzò per metà dalla sua sedia e accennò un saluto e uno sguardo interrogativo coi suoi piccoli occhi tondi.

- Accomodatevi sul divano - fece Holmes rilassandosi nella sua poltrona e incrociò le dita come faceva quand'era in fase di riflessione. - Lo so, mio caro Watson, che condividete la mia passione per tutto quello che è bizzar­ro, al di fuori delle convenzioni e dalla monotona routine della vita quoti­diana. Avete dimostrato il vostro parere su di essa attraverso l'entusiasmo che vi ha spinto a farne la cronaca e vogliatemi scusare per come parlo tal­volta nell'abbellire tante delle mie piccole avventure.

- Veramente i vostri casi sono stati di sommo interesse per me -osservai.- Ricorderete che l'altro giorno feci notare, appena prima che affrontas­

simo il semplicissimo problema presentato dalla signorina Mary Suther­land, che per strani effetti e combinazioni straordinarie dobbiamo andare incontro alla vita stessa che è sempre molto più audace di qualsiasi sforzo dell'immaginazione.

- Un'affermazione che mi sono preso la libertà di mettere in dubbio.- Voi, dottore, l'avete fatto, ma nondimeno dovete aderire al mio punto

di vista; in caso contrario vi dimostrerò la veridicità della mia tesi, basata proprio sui fatti che ho raccolto, e senz'altro mi darete ragione. Ora il si­gnor Jabez Wilson qui presente è stato così gentile da farmi visita stamatti­na e di iniziare a raccontarmi una storia che promette di essere una delle più singolari che io abbia avuto modo di sentire da qualche tempo a questa parte. Mi avete sentito osservare che le cose più strane e rare sono spesso

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connesse non ai crimini più gravi, ma a quelli più piccoli, e occasionalmen­te, per dir la verità, dove c'è spazio per il dubbio se è stato commesso qual­che delitto. Da quello che finora ho sentito, mi è impossibile dire se questo caso nasconda un intento criminoso, ma il corso degli eventi è certo tra i più singolari che io abbia mai sentito. Forse, signor Wilson, voi vorrete avere la gentilezza di ricominciare il racconto. Non ve lo chiedo solo per­ché il mio amico Watson non ha sentito la parte iniziale, ma anche perché la natura particolare della storia mi rende ansioso di avere dalle vostre lab­bra ogni particolare possibile. Di regola, quando ho sentito qualche accen­no sul corso degli avvenimenti, sono in grado di guidarmi per mezzo di al­tri simili che sovvengono alla memoria. In base alla situazione attuale sono costretto ad ammettere, che per quel che mi sembra, i fatti siano unici.

Il grasso cliente gonfiò il petto mostrando un certo orgoglio e tolse dalla tasca del suo pastrano un giornale sporco e sciupato. Mentre osservava la colonna degli annunci pubblicitari con la testa piegata in avanti e il giorna­le disteso sulle ginocchia, osservai a lungo l'uomo e mi sforzai, secondo l'uso del mio compagno, di percepire gli indizi che potevano essere rivelati dal suo abbigliamento o dal suo aspetto.

Non fu di grande utilità questa ispezione. Il nostro visitatore aveva l'aria di essere un commerciante britannico piuttosto comune obeso, ampolloso e lento. Indossava pantaloni a scacchi da pastore grigi e piuttosto sformati, una redingote non molto pulita, slacciata davanti e un panciotto grigiastro con una catena d'ottone pesante di stile Albert e un ciondolo di metallo di forma quadrata che pendevi per ornamento. Un cappello a cilindro logoro e un pastrano marrone sbiadito con un colletto di velluto raggrinzito erano appoggiati su una sedia che gli era accanto. Nell'insieme, per quel che po­tevo vedere, in quell'uomo non c'era niente di sorprendente a parte la sua testa rosso fiammante e un'espressione di profonda delusione e malconten­to nei suoi tratti.

L'occhio acuto di Sherlock Holmes si rese conto della mia occupazione e mosse la testa accennando un sorriso mentre notava i mie sguardi interro­gativi.

- Oltre all'evidenza che certe volte ha svolto del lavoro manuale, che prende il tabacco, che è un massone, che è stato in Cina e che recentemente ha scritto molto, non riesco a dedurre altro.

Il signor Jabez Wilson si alzò dalla sedia puntando il suo dito indice ver­so il giornale, ma gli occhi sul mio compagno.

- In nome della fortuna, come avete saputo tutto questo, signor Holmes? 25

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- chiese. - Per esempio come sapevate che ho fatto de1 lavoro manuale? Che è vero come il Vangelo, visto che ho iniziato come carpentiere su una nave.

- Le vostre mani, mio caro signore. La vostra mano destra è di dimen­sioni superiori alla sinistra. Voi l'avete usata lavorando e i muscoli sono più sviluppati.

- E il tabacco, e la massoneria?- Non voglio insultare la vostra intelligenza dicendovi come l'ho capito,

ma in particolare perché andando contro le strette regole del vostro ordine, voi usate una spilla per cravatta a forma di arco e compasso.

- Ah, è vero. L'avevo dimenticato. Ma gli scritti?- Cos'altro si rileva da quel polsino destro così lucido per qualche centi­

metro e il sinistro con la toppa liscia vicina al gomito con cui vi appoggiate sulla scrivania?

- Sì, e la Cina?- Il pesce che avete fatto tatuare immediatamente sopra il vostro polso

destro poteva essere solo cinese. Ho fatto dei piccoli studi sui tatuaggi che hanno perfino contribuito alla letteratura sull'argomento. Il trucco di tinge­re le squame dei pesci di un delicato color rosa è tipico della Cina. Inoltre quando vedo una moneta cinese appesa a catena del vostro orologio, tutto diventa molto più semplice.

Il signor Jabez Wilson rise forte.- Io non ci sarei mai arrivato! fece lui. - Dapprima ho pensato che ave­

vate fatto qualcosa di intelligente, ma vedo che non c'era niente, dopo tutto.- Watson, comincio a pensare - disse Holmes - che posso fare un errore

nella spiegazione. "Omne ignotum pro magnifico", sapete e la mia povera, piccola reputazione subirà una rovina se sarò così esplicito. Non riesce a trovare l'annuncio, signor Wilson?

- Sì, l'ho trovata ora - rispose con il dito rosso fuoco che indicava la co­lonna. - Ecco. Questa è la causa di tutto. Leggetelo per conto vostro, signo­re.

Presi il giornale e lessi quel che segue:"Alla Lega di quelli dai capelli rossi:In base allegato testamentario dell'ultimo Ezekiah Hopkins, di Libano,

Pennsylvania, U.S.A., c'è un altro posto vacante che autorizza un membro della lega a un salario di quattro sterline alla settimana per servizi pura­mente simbolici. Tutti gli uomini dai capelli rosi che siano sani di corpo e di mente e abbiano compiuto ventun 'anni, sono eleggibili. Presentatevi lu­

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nedì, alle ore 11,00 da Duncan Ross, presso gli uffici della lega al numero 7 di Pope 's Court, Fleet Street.

- Cosa diavolo significa? - esclamai dopo che ebbi letto due volte e per intero lo straordinario annuncio.

Holmes ridacchiò e si sistemò sulla sua sedia, come era consueto fare quand'era su di giri. - È un po' fuori dalla norma, non è vero? - disse. - E ora signor Wilson, cominciate a dirci tutto di voi, della vostra famiglia e che effetto ha avuto sulle vostre fortune questa inserzione. Voi dottore fare­te innanzitutto una nota del documento e della data.

- È il "Morning Chronicle" del 27 aprile 1890; appena di due mesi fa.- Benissimo. Ora, signor Wilson?- È proprio come stavo per raccontarvi, signor Sherlock Holmes - fece

Jabez Wilson asciugandosi la fronte. - Ho una piccola attività come presta­tore su pegno a Coburg Square, vicino alla City. Non è un grosso giro e in questi ultimi anni non mi ha dato più di quel che mi occorre per vivere. In genere mi potevo permettere due aiutanti, ma ora ne ho solo uno e vorrei avere sufficiente lavoro per pagarlo, ma lui è disposto a venire anche per mezzo salario per apprendere l'attività.

- Qual è il nome di questo giovane servizievole? - chiese Sherlock Hol­mes.

- Il suo nome è Vincent Spaulding e non è molto giovane. È difficile dire la sua età. Io non potrei desiderare un collaboratore migliore, signor Holmes, come del resto so che potrebbe migliorarsi e guadagnare il doppio di quel che io posso offrirgli. Ma dopo tutto se lui è soddisfatto perché do­vrei mettergli in testa delle idee?

- Certo, perché dovreste? Sembrate molto fortunato ad avere un impie­gato che lavora a un prezzo di mercato inferiore. Non è molto frequente fra gli impiegati di quest'epoca. Non so se il vostro assistente è meno notevole di quella inserzione.

- Oh, anche lui ha i suoi difetti - disse il signor Wilson. - Non c'è mai stato un appassionato di fotografia come lui. Scatta fotto quando dovrebbe migliorare la mente e poi si tuffa in uno scantinato, come un coniglio nella sua tana, per svilupparle. Questa è la sua colpa principale, ma nell'insieme è un buon lavoratore. Non ha alcun vizio.

- Presumo sia ancora da voi.- Sì, signore. Lui e la ragazza di quattordici anni che cucina un po' e tie­

ne pulito; questo è tutto quello che ho in casa, perché sono vedovo e non ho mai avuto figli. Viviamo tranquillamente noi tre abbiamo un tetto sulle

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nostre teste e paghiamo i nostri debiti se non facciamo altro. La prima cosa che ci ha messi in difficoltà è stata quella inserzione. Spaulding venne nel­l'ufficio proprio otto settima ne fa, e con questo giornale in mano, disse:

- Signor Wilson avrei voluto che Dio mi desse i capelli rossi!- Perché? - gli chiesi.- Perché - rispose lui - c'è un altro posto vacante nella Lega degli uomini

dai capelli rossi. È una fortuna per colui che l'ottiene e deduco che ci siano più posti vuoti di quanti siano gli uomini, cosicché gli amministratori sono perplessi per quel che devono fare con il denaro. Se solo i miei capelli cambiassero colore, ecco una bella occasione tutta pronta perché io inter­venga.

- Perché, cos'è allora? - chiesi. - Vedete, signor Holmes, io sono un uomo casalingo, giacché i miei affari giungono a me invece di andare io da loro. - Stavo per settimane senza varcare la soglia di casa perciò non sape­vo quel che accadeva all'esterno ed ero sempre felice di avere qualche noti­zia.

- Avete mai sentito della Lega degli uomini dai capelli rossi? - chiese con gli occhi spalancati.

- Mai.- Mi stupisco in quanto voi siete eleggibile per uno dei due impieghi.- E cosa fruttano? - chiesi.- Oh, semplicemente duecento all'anno, ma il lavoro è leggero e non in­

terferisce molto con le proprie occupazioni. Bene, potete pensare facilmen­te che ciò mi ha fatto rizzare le orecchie perché gli affari non sono troppo buoni da anni e un centinaio sarebbero utili.

- Parlatemene! - dissi.- Certo - fece mostrandomi l'inserzione. - Vedete da voi che la Lega ha

un posto vacante e c'è l'indirizzo a cui potreste scrivere per avere ulteriori dettagli. Per quanto ne capisco, la Lega fu fondata da un milionario ameri­cano, un certo Ezekiah Hopkins, che era tipo strano. Lui stesso aveva i ca­pelli rossi e provava una forte simpatia per tutti gli uomini dai capelli rossi, così quando morì, si scoprì che aveva lasciato un'enorme ricchezza nelle mani degli amministratori con le istruzioni di impiegare gli interessi per l'affidamento di lavori facili agli uomini dalla capigliatura di quel colore. Da quel che sento c'è un paga stupenda e poco lavoro da fare.

- Ma - intervenni - ci sarebbero milioni di uomini dai capelli rossi che vorrebbero far domanda!

- Non quanti ne possiate immaginare - rispose. - Vedete, è limitato ai 28

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londinesi e agli uomini adulti. Quest'americano aveva cominciato da Lon­dra quando era giovane e voleva fare della antica città un bel cambiamento. Poi ho sentito che non serve fare domanda se i capelli sono rosso chiaro o rosso scuro o qualsiasi altra cosa tranne che un rosso veramente brillante, infuocato e fiammeggiante. Quindi, se vi importasse di far domanda, si­gnor Watson, a malapena entrereste dalla porta, tuttavia per qualche centi­naio di sterline potrebbe valer la pena di tentare.

"Ora, è un dato di fatto, signori, come vedete da voi stessi, che i miei ca­pelli sono di una tinta intensa, forte, pertanto mi sembrava che se ci fosse stata una competizione, io avrei dovuto avere più possibilità di qualsiasi al­tro uomo. Vincent Spaulding sembrava conoscere tanto a questo riguardo che io pensai si sarebbe potuto rivelare utile, così gli ordinai di chiudere bottega per quel giorno e di venir via subito con me. Sembrava molto di­sposto a prendersi una vacanza, così chiudemmo e partimmo alla volta del­l'indirizzo che era riportato nell'annuncio pubblicitario.

"Non spero di rivedere uno spettacolo simile, signor Holmes. Da nord, sud, est e ovest, ogni uomo che aveva un'ombra di rosso nei capelli aveva percorso la città per rispondere all'inserzione. Fleel Street pullulava di teste rosse e Pope's Court somigliava al carretto di un venditore d'arance.

"Non avrei mai immaginato che nell'intero paese ce ne fossero tanti quanti se ne erano riuniti grazie a quell'annuncio. Erano di ogni sfumatura di colore: paglierino, limone, arancione, mattone, Irishsetter, rosso vino e rosso gambero, ma come diceva Spaulding, non ce n'erano molti che aves­sero il vero color fiamma. Quando vidi quanti erano ad attendere, avrei ri­nunciato per la disperazione, ma Spaulding non ne volle sapere. Come fece, non riesco a immaginarlo, ma lui spinse e tirò e diede testate finché, trascinandomi tra la folla, mi spinse fino ai gradini che conducevano nel­l'ufficio. Sulle scale c'era un doppio flusso di gente, alcuni che salivano speranzosi, altri che scendevano sfiduciati, ma noi ci intrufolammo come potemmo e ben presto fummo all'interno dell'ufficio."

- La vostra esperienza è stata molto divertente - osservò Holmes mentre il suo cliente si fermava per rinfrescarsi la memoria con un pizzico di ta­bacco. - Vi prego di continuare la vostra interessante storia.

- Non c'era niente nella stanza eccetto una dozzina di sedie di legno e un tavolo d'abete dietro al quale sedeva un uomo con una testa ancora più ros­sa della mia. Quando si alzò, si rivolse a ciascun candidato con poche paro­le, poi riuscì sempre a trovare in loro qualche difetto che li squalificasse. Dopo tutto, ottenere un posto vacante non sembrava così facile, ma quando

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venne il nostro turno, il piccolo uomo fu molto più ben disposto nei miei confronti che in quelli di altri e dopo che fummo entrati chiuse la porta in modo che potesse avere un colloquio privato con noi.

- Questo è il signor Jabez Wilson - disse il mio assistente - ed, disponi­bile a coprire un posto della lega.

- È proprio adatto - rispose l'altro. - Possiede tutti i requisiti. Non ricor­do di aver visto in passato niente di così bello. - Retrocesse di un passo, chinò la testa da un lato e osservò così tanto i miei capelli che mi intimidii. Poi, all'improvviso, balzò in avanti, afferrò la mano e si congratulò caloro­samente per il mio successo.

- Sarebbe ingiusto esitare - aggiunse - tuttavia sono certo che mi perdo­nerete se prenderò qualche precauzione. - A quel punto afferrò i miei capel­li tra le mani e diede loro uno strappo finché non resistetti più per il dolore. "Ci sono lacrime nei vostri occhi" disse mentre mi lasciava andare i capel­li" capisco che tutto è come dovrebbe essere, ma dobbiamo stare attenti, perché per due volte siamo stati ingannati. Una volta dalle parrucche e una dalla tinta. Vi potrei narrare storie di cera da ciabattini che vi farebbero provar disgusto per la natura umana." - Si avvicinò alla finestra e con tutta la voce che poté, gridò da essa che il posto era stato coperto. Da sotto sali­rono grida di disapprovazione e tutta la gente si allontanò a gruppi in diver­se direzioni finché non ci fu alcuna testa rossa eccetto la mia e quella del direttore.

- Il mio nome è Duncan Ross e io stesso sono uno dei beneficiari del fondo lasciato dal nostro nobile donatore. Siete sposato, signor Wilson? Avete famiglia?

- Risposi di no.- Il suo viso si rattristò.- "Povero me!" esclamò con tono grave e poi aggiunse che gli dispiace­

va sentirmelo dire perché il fondo serviva per la propagazione e la diffusio­ne delle teste rosse come pure a favore del loro mantenimento. - È una sfortuna che voi siate solo - disse.

- Quando sentii quelle parole, mi rattristai, signor Holmes, perché cre­detti di non ottenere più il posto, ma dopo averci pensato per alcuni minuti lui disse che sarei andato bene comunque.

- "Nel caso foste stato un altro, l'ostacolo sarebbe stato fatale disse Dun­can "ma per un uomo con la capigliatura come la vostra dobbiamo conce­dere un punto a favore." Poi mi chiese quando avrei potuto assumere il mio nuovo incarico.

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- Bene, è un po' imbarazzante perché ho già un'attività - dissi.- Oh, non importa, signor Wilson! fece Vincent Spaulding. - Dovrei riu­

scire a svolgerla da solo.- Quali sarebbero gli orari? - chiesi.- Dalle dieci alle due.- Vedete signor Holmes, l'attività di un prestatore su pegno è svolta per

lo più di sera, specialmente di martedì e di venerdì, vale a dire prima del giorno di paga. Così mi andava proprio bene di guadagnare un po' durante le mattinate, inoltre sapevo che il mio aiutante era un buon uomo e avrebbe provvisto a qualsiasi cosa fosse successa.

- Mi andrebbe molto bene - dissi io. - E il compenso?- È quattro sterline alla settimana.- E il lavoro?- È solo simbolico.- Cosa intendete per simbolico?- Bene, dovete essere in ufficio o perlomeno nell'edificio per tutto l'ora­

rio. Se lo lascerete, dovrete abbandonare il vostro posto pel sempre. Il te­stamento è molto chiaro su questo punto. Se lascerete l'ufficio durante que­sto periodo, non vi atterrete alle condizioni.

- Sono solo quattro ore al giorno e non penso che dovrei aver motivo di allontanarmi.

- Non sarà valida alcuna scusa - disse il signor Ross - né malattia né l'at­tività, e nemmeno qualsiasi altra cosa. Dovete rimanere qui o perdete il vo­stro impiego.

- E il lavoro?- Si tratta di copiare l'Enciclopedia Britannica. C'è il primo volume su

quello scaffale. Voi porterete l'inchiostro, le penne, la carta assorbente, ma noi dobbiamo fornire la scrivania e la sedia. Sarete pronto domani?

- Certamente.- Allora arrivederci, signor Jabez Wilson e permettetemi di congratular­

mi ancora una volta per l'importante posizione che siete stato così bravo da guadagnarvi.

- Mi accompagnò all'esterno della stanza con un inchino e io andai a casa con il mio assistente, sapendo a malapena quel che dovevo dire o fare, ma molto compiaciuto per l'ottima fortuna.

"Bene, pensai tutto il giorno alla faccenda ed entro la sera ero di nuovo giù di morale perché mi ero quasi persuaso che tutto l'affare aveva l'aria di essere una grande beffa o frode sebbene non riuscissi a immaginarne l'o­

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biettivo. Pareva oltremodo incredibile che qualcuno potesse stendere un te­stamento simile o che essi pagassero una somma per svolgere un lavoro tanto semplice come copiare l'Enciclopedia Britannica. Vincent Spaulding fece quel che poté per rallegrarmi, ma quando fu ora di andare a letto io continuai ad arrovellarmi sull'intera faccenda. Tuttavia la mattina dopo de­cisi di vedere realmente di cosa si trattasse, così comprai una boccetta di inchiostro e con una penna d'oca e sette fogli di carta protocollo mi avviai verso Pope's Court.

"Bene, con mia viva sorpresa e gioia tutto era assolutamente corretto. II tavolo era pronto e il signor Duncan Ross era lì per vedere se io mi mette­vo al lavoro. Mi fece cominciare dalla lettera A e poi mi lasciò, ma di tanto in tanto entrava per vedere se tutto procedeva come d'accordo. Alle due mi diede il buon giorno, si complimentò per quanto avevo scritto e dopo che fui uscito chiuse a chiave la porta dell'ufficio.

"Ciò continuò un giorno dopo l'altro, signor Holmes, e il sabato il diret­tore entrò e mi pagò quattro sovrane d'oro per il lavoro della settimana. La settimana dopo accadde lo stesso e anche quella successiva. Ogni mattina ero lì alle dieci e ogni pomeriggio me ne andavo alle due. Pian piano il si­gnor Duncan Ross prese l'abitudine di venire una sola volta alla mattina e poi dopo un po' di tempo non venne più. Tuttavia non osavo mai lasciare la stanza per un istante perché non ero sicuro di quando sarebbe venuto e l'oc­cupazione talmente buona e così adatta alla mia persona, che io non potevo rischiare di perderla.

"Trascorsero otto settimane nel trascrivere il capitolo che riguardava le abbazie, l'arte del tiro con l'arco e le armature, l'architettura e l'Attica e spe­ravo che con un po' di diligenza in breve tempo sarei giunto alla lettera B. Mi costava qualcosa in fogli di protocollo e avevo quasi riempito uno scaf­fale con i miei scritti, quando improvvisamente l'intero affare giunse alla sua fine."

- Alla fine?- Sì, signore e non più tardi di questa mattina. Sono andato al lavoro

come al solito alle dieci, ma la porta era chiusa a chiave con un piccolo bi­glietto quadrato attaccato con un chiodo nel bel mezzo di un pannello. Ec­colo, leggetelo da voi.

E prese un pezzo di carta bianca delle dimensioni dei fogli per al appun­ti dove si leggevano le seguenti parole:

"La Lega delle teste rosse è sciolta. 9 ottobre 1890."Sherlock Holmes e io guardammo questo breve annuncio e la faccia me­

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sta che stava dietro di esso finché il lato comico dell'intera faccenda sovra­stò totalmente ogni altra considerazione ed entrambi scoppiammo in una forte risata.

- Non ci trovo nulla da ridere - gridò il nostro cliente arrossendo fino alle radici della sua testa fiammante. - Se voi non potete fare di meglio che deridermi, io posso andare altrove.

- No, no - gridò Holmes spingendolo verso la sedia da cui si stava alzan­do. Non lascerei perdere il vostro caso per nulla al mondo. È così insolito, ma vorrete scusarmi se dico che c'è qualcosa di divertente in esso. Che cosa avete fatto quando avete trovato il biglietto sulla porta?

- Ero sbalordito, signore, non sapevo che cosa fare, poi girai intorno agli uffici, ma nessuno pareva conoscere qualcosa a tale riguardo. Alla fine an­dai dal signore che è un contabile e vive a pianterreno e gli chiesi se mi po­teva raccontare quel che era stato della Lega delle teste rosse. Lui disse che non aveva mai sentito parlare di una corporazione del genere. Poi gli chiesi chi fosse il signor Duncan Ross e lui mi rispose che quel nome gli era nuo­vo.

- Bene - dissi io - il signore al numero 4.- Quale, l'uomo con i capelli rossi?- Sì.- Oh - esclamò - il suo nome era William Morris, era un avvocato e usa­

va la mia stanza temporaneamente finché non fossero stati pronti i suoi nuovi locali. Ha traslocato ieri.

- Dove posso trovarlo?- Oh, nei suoi nuovi uffici. Lui mi ha dato l'indirizzo al numero 17 di

King Edward Street, vicino a St. Paul."Io mi avviai signor Holmes, ma quando giunsi a quell'indirizzo si trat­

tava di una fabbrica di rotule artificiali e nessuno aveva mai sentito parlare né del signor William Morris né del signor Duncan Ross."

- E allora cosa avete fatto? - chiese Holmes.- Andai a casa, in piazza Saxe Coburg e chiesi consiglio al mio assisten­

te, ma lui non mi poté aiutare in alcun modo. Mi disse soltanto che se at­tendevo avrei potuto aver notizia per posta. Ma così non andava bene, si­gnor Holmes. Io non desideravo perdere un posto simile senza lottare, così non appena ho saputo che voi eravate sufficientemente bravo a consigliare la povera gente che ne aveva bisogno, io sono venuto diritto da voi.

- Voi siete stato molto saggio - fece Holmes - il vostro caso è davvero particolare e io sarò lieto di prenderlo in considerazione. Da quel che voi

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mi avete detto ritengo possibile che da esso dipendano problemi più gravi di quanto potrebbe sembrare a prima vista.

- Piuttosto gravi - esclamò il signor Jabez Wilson - perché ho perso quattro sterline alla settimana.

- Per quanto voi ne siate coinvolto personalmente - osservò Holmes -io non penso che voi abbiate qualche motivo di lagnanza contro questa Lega straordinaria, al contrario voi, per quel che capisco, siete più ricco di circa trenta sterline, per non parlare della conoscenza sottile che avete consegui­to su ogni argomento che si trova sotto la lettera A. Voi non avete perso nulla per causa loro.

- No, signore, ma io voglio scoprirli, scoprire chi sono e capire qual è l'obiettivo di questo scherzo, se di scherzo si tratta, proprio contro di me. È stato un tiro costoso per loro perché è costato trentadue sterline.

- Ci impegneremo a chiarire questi punti per voi e innanzitutto desidero porvi un paio di domande signor Wilson. Questo vostro aiutante che è stato il primo a richiamare la vostra attenzione sull'annuncio da quanto tempo è con voi?

- Da circa un mese a quell'epoca.- Come è venuto da voi?- Aveva risposto a un annuncio.- Era l'unico candidato?- No, ne avevo una dozzina.- Perché avete scelto lui?- Perché era abile e pretendeva un compenso modesto.- Vale a dire un salario dimezzato?- Sì.- Com'è questo Vincent Spaulding?- È piccolo, un po' curvo, molto svelto, senza barba sebbene non sia lon­

tano dai trent'anni. Ha una macchia bianca di acido sulla fronte.Holmes si sedette sulla sua sedia pieno di emozione. - Pensavo la stessa

cosa - disse subito dopo. - Avete mai notato se i su orecchi sono forati per gli orecchini?

- Sì, signore. Mi disse che una zingara glieli aveva fatti quando era un ragazzetto.

- Ma! - fece Holmes diventando meditabondo. - È ancora con voi?- Sì, signore. L'ho appena lasciato.- E i vostri affari sono stati seguiti durante la vostra assenza?- Sì, non ho nulla di cui lamentarmi, signore. Non c'è mai molto da fare

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alla mattina.- Va bene, signor Wilson. Sarò felice di esprimere la mia opinione sul­

l'intera faccenda nel giro di un paio di giorni. Oggi è sabato, io spero entro lunedì di giungere a una conclusione.

- Bene, Watson - disse Holmes quando il nostro visitatore ci ebbe lascia­ti - che cosa ne pensate?

- Non ne penso nulla - risposi con franchezza. - È una faccenda alquanto misteriosa.

- Di regola - disse Holmes - più bizzarra si dimostra una cosa e meno misteriosa è. È il vostro luogo comune, i delitti senza caratteristiche sono veramente sorprendenti, proprio come la faccia ordinaria è la più difficile da identificare, ma io devo essere pronto per questa faccenda.

- Allora, che cosa farete? - chiesi.- Fumerò - rispose - è un problema che richiede tre fumate e io vi chiedo

di non parlarmi per almeno cinquanta minuti. - Poi si sistemò sulla sua se­dia con le ginocchia magre raccolte fino a toccare il naso simile a quello di un falco, e restò lì con gli occhi chiusi e la pipa nera d'abete che sporgeva come il becco di qualche strano uccello. Ero giunto alla conclusione che si fosse addormentato, mentre invece faceva dei cenni con il capo e improv­visamente saltò su dalla sedia con i gesti di un uomo che è giunto a una de­cisione, poi posò la pipa sulla mensola.

- Questo pomeriggio alla St. James's Hall ci sono le commedie di Sara­sate - osservò - cosa ne pensate Watson? I vostri pazienti potrebbero fare a meno di voi per qualche ora?

- Non ho niente da fare oggi. La mia attività non è mai così avvincente.- Allora mettete il cappello e andiamo. Prima passerò dalla City, mange­

remo qualcosa per strada. Vedo che c'è un sacco di musica tedesca in pro­gramma che è anche più di mio gusto di quella italiana e francese. È intro­spettiva e io ho bisogno di introspezione. Suvvia, andiamo.

Viaggiammo in metropolitana fino ad Aldersgate e una breve cammina­ta ci portò fino a piazza Saxe Coburg, la scena della singolare storia che avevamo ascoltato quella mattina. Era un luogo piccolo, angusto e trasan­dato, dove quattro file di cupe case a due piani fatte di mattoni si affaccia­vano su una stretta area, cintata da inferriate, dove un prato di erbacce e poche macchie di cespugli di alloro sbiadito lottavano strenuamente contro un'atmosfera impregnata di fumo e poco congeniale. Tre sfere lucenti e un cartoncino marrone Jabez Wilson a lettere bianche su un angolo della casa rivelavano il luogo in cui il nostro cliente dalla testa rossa svolgeva la pro­

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pria attività. Sherlock Holmes si fermò davanti a essa con la testa reclinata, gli occhi che scintillavano tra le palpebre raggrinzite. Poi camminò lenta­mente su per la via e scendemmo di nuovo all'angolo mentre guardava an­cora attentamente le case. Infine tornò a quella del prestatore su pegno e dopo aver battuto con forza sul marciapiede due o tre volte con il bastone, salì fino alla porta e bussò. Fu aperta all'istante da un giovane dall'aspetto allegro e ben sbarbato che gli chiese di entrare.

- Grazie - disse Holmes - volevo soltanto chiedervi come si va da qui allo Strand.

- La terza a destra, poi la quarta a sinistra - rispose con prontezza l'aiu­tante, chiudendo la porta.

- Un tipo elegante quello - osservò Holmes mentre ci allontanavamo. -Secondo il mio giudizio è il quarto uomo più elegante di Londra e addirit­tura potrei dire che è il terzo. Ho saputo qualcosa su di lui in precedenza.

- Evidentemente - dissi io - l'assistente del signor Wilson ha una certa posizione in questo mistero delle teste rosse. Io sono certo che avete chie­sto la via solo per poterlo vedere.

- Oh, non lui.- Che cosa allora?- Le ginocchia dei suoi pantaloni.- E cosa avete visto?- Quel che mi aspettavo.- Perché avete picchiato sul marciapiede?- Mio caro dottore, è tempo di osservare, non di parlare. Noi siamo spie

in un paese nemico. Noi sappiamo qualcosa su piazza Saxe Coburg. Ades­so esploriamo le sue zone retrostanti.

La strada in cui ci trovammo dopo aver lasciato la solitaria piazza Saxe Coburg si presentò con lo stesso contrasto che c'è tra la facciata di un qua­dro e il suo rovescio. Era una delle principali arterie dove confluiva il traf­fico della City da nord e da ovest. La strada era bloccata da un'immensa corrente di traffico che fluiva in doppio senso, verso l'interno e verso l'e­sterno, mentre i passaggi erano neri per sciami frettolosi di pedoni. Era dif­ficile rendersi conto, mentre osservavamo la fila di bei negozi e delle case e degli edifici destinati ad attività commerciali che erano proprio a ridosso della piazza stinta e stagnante che noi avevamo appena lasciato.

- Vediamo - disse Holmes fermandosi all'angolo e guardando lungo la fila di case. - Vorrei soltanto ricordare il loro ordine, è mio passatempo avere un'esatta conoscenza di Londra. C'è il negozio di Mortimer, il tabac­

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caio, una piccola edicola, la filiale Coburg della Banca della City e subur­bana, un ristorante vegetariano e il deposito delle carrozze di McFarlane. Ciò ci conduce all'altro blocco di case. E adesso che abbiamo fatto il nostro lavoro dottore, è ora di divertirci un po'. Prendiamo un panino, una tazza di caffè e poi andiamo verso il mondo del violino dove tutto è dolcezza, deli­catezza e armonia e non ci sono clienti dai capelli rossi che ci tormentano con i loro enigmi.

Il mio amico era un appassionato musicista poiché non solo era un ese­cutore molto abile, ma anche un compositore di una certa bravura. Rimase seduto per tutto il pomeriggio immerso nella più perfetta felicità, muoven­do dolcemente le sue dita lunghe e sottili a tempo di musica, mentre il suo volto sorridente e i suoi occhi languidi e sognanti erano diversi da quelli dell'Holmes agente investivo, dall'Holmes agente criminale spietato, inge­gnoso, dalla mano facile, che era facile immaginare. Nel suo carattere par­ticolare si faceva valere alternativamente la doppia natura e la sua estrema esattezza e astuzia, come ho pensato spesso, rappresentava la reazione con­tro lo stato d'animo poetico e contemplativo che di tanto in tanto lo domi­nava. L'altalena del suo temperamento lo portava dal massimo languore al­l'energia divorante e siccome lo sapevo bene, lui non era mai tanto formi­dabile come quando per giorni interi oziava nella sua poltrona fra le sue improvvisazioni e le sue edizioni e lettere nere. Poi succedeva che la brama della caccia lo assalisse improvvisamente e che la sua brillante capacità ra­ziocinante diventasse una tale intuizione che quelli non abituati ai suoi me­todi lo avrebbero guardato con sospetto come se fosse stato un uomo con una conoscenza diversa da quella degli altri mortali. Quando lo vidi quel pomeriggio nel salone a St. James così preso dalla musica capii che si avvi­cinavano tempi duri per quelli ai quali stava dando la caccia.

- Sicuramente vorrete andare a casa, dottore - suggerì quando uscimmo.- Sì.- Ho delle cose da sbrigare che richiederanno alcune ore. Questa faccen­

da di piazza Coburg è seria.- Perché?- È in progetto un delitto importante. Ho tutte le ragioni per pensare che

arriveremo in tempo per evitarlo. Ma siccome oggi è sabato, tutto è più complicato. Stasera mi occorre il vostro aiuto.

- A che ora?- Andrà bene alle dieci.- Per quell'ora sarò a Baker Street.

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- Bene. E vi dico che può darsi che sia un po' pericoloso, pertanto abbia­te la cortesia di tenere in tasca la vostra rivoltella. -Salutò e voltandosi di scatto scomparve rapidamente tra la folla.

Spero di non essere più ottuso dei miei vicini, ma quando avevo a che fare con Sherlock Holmes, provavo sempre un senso di stupidità. Avevo sentito le stesse cose udite da lui, avevo anche visto le medesime cose, e tuttavia dalle sue parole era evidente che lui non solo aveva percepito con chiarezza quel che era successo, ma anche quel che sarebbe seguito, mentre ai miei occhi tutto era ancora confuso e assurdo. Mentre camminavo verso casa mia, a Kensington ripensai a tutto daccapo, dalla straordinaria storia del copista dai capelli rossi dell'enciclopedia fino alla visita a piazza Saxe Coburg, e alle parole inquietanti con le quali si era congedato da me. Cos'e­ra questa spedizione notturna e per quale ragione sarei dovuto andare arma­to? Dove saremmo andati? Che cosa dovevamo fare? Holmes mi fece veni­re il sospetto che il collaboratore imberbe di quel prestatore fosse un uomo formidabile, un tipo che avrebbe potuto fare un gioco oscuro che tentai di indovinare, ma al quale rinunciai subito per la disperazione, non pensando­ci più finché alla sera non avrei avuto una spiegazione.

Erano le 21,15 quando uscii di casa e mi incamminai per il parco fino ad attraversare Oxford Street e poi Baker Street. Alla porta erano ferme due carrozze e mentre varcavo la soglia sentii il suono di alcune voci che veni­vano dal piano superiore. Quando entrai nella stanza trovai Holmes che conversava animatamente con due uomini. In uno riconobbi Peter Jones, l'agente di polizia, mentre l'altro era un uomo alto, magro, dall'espressione triste con un cappello piuttosto lucido e una redingote molto decorosa.

- Ah! Siamo al completo - fece Holmes allacciandosi il suo giaccone da marinaio e prendendo il suo pesante frustino da caccia dalla rastrelliera. -Watson, credo che conosciate il signor Jones di Scotland Yard, mentre per­mettetemi di presentarvi al signor Merryweather che condividerà con noi l'avventura di stasera.

- Dottore, stiamo di nuovo andando a caccia a coppie, vedete? - disse Jones pieno di sé. - Il nostro amico è eccezionale nell'iniziare una caccia, tutto quello che gli serve è un vecchio cane che lo aiuti per la cattura.

- Spero che al termine del nostro inseguimento non ci sia un'oca selvati­ca! - esclamò il signor Merryweather con tristezza.

- Potete riporre molta fiducia nel signor Holmes, signore - disse con una certa superbia l'agente di polizia. - Ha i suoi piccoli stratagemmi che sono, se non gli dispiace che li definisca così, solo un po' troppo teorici e fanta­

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stici, ma in lui c'è la stoffa dell'inventore. Non è troppo affermare che un paio di volte come nel delitto Sholto e nel tesoro Agra è stato più preciso che la forza ufficiale.

- Oh, se dite così, va tutto bene - disse l'estraneo con rispetto. Tuttavia confesso che mi manca la mia partita a bridge. È il primo sabato da venti­sette anni che non la gioco.

- Credo che scoprirete di puntare più alto stasera di quanto non abbiate mai fatto finora. Per voi, signor Merryweather, la giocata di 30000 sterline e per voi Jones sarà l'uomo su cui desiderate mettere le vostre mani.

"John Clay, l'assassino, il ladro, lo spacciatore e il falsario. È un uomo giovane, signor Merryweather, ma è alla vetta del suo mestiere, e vorrei che le mie manette accalappiassero lui piuttosto che qualsiasi altro crimina­le di Londra. È un uomo in gamba, è il giovane John Clay. Suo nonno era un duca del re e anche lui è stato a Eton e a Oxford. Il suo cervello è genia­le come le sue dita e sebbene ogni volta che ci muoviamo troviamo le sue tracce, non sappiamo mai dove incontrare la sua persona. Una volta fa un furto in una casa in Scozia e quella successiva si procura il denaro per co­struire un orfanotrofio in Cornovaglia. Da anni sono sulla sua pista e tutta­via non l'ho ancora visto.

"Spero di avere stasera il piacere di presentarcelo. Ho avuto anch'io un paio di colpi con il signor John Clay e sono d'accordo con voi che sia alla testa della sua professione. Sono le dieci passate, è ora di partire. Se voi due prenderete la prima carrozza, Watson e io vi seguiremo sull'altra.

Sherlock Holmes non parlò molto durante il lungo tragitto e stava sedu­to nella cabina canticchiando i motivi che aveva sentito nel pomeriggio. Vagammo per un labirinto infinito di vie illuminate dalle luci a gas finché non arrivammo a Farrington Street.

- Ci siamo quasi - osservò il mio amico. - Quel tizio, Merryweather, è un direttore di banca ed è personalmente interessato alla faccenda. Ho cre­duto fosse opportuno avere con noi anche il signor Jones. Non è un tipo malvagio anche se è un perfetto imbecille nel suo mestiere. Non ha alcuna virtù. Ha lo stesso coraggio di un bulldog e la tenacia di un aragosta che mette le sue chele su tutti. Eccoci, ci aspettano.

Avevamo raggiunto la stessa via trafficata che avevamo percorso quella mattina. Lasciammo le nostre vetture e seguendo la guida del signor Mer­ryweather passammo per uno stretto passaggio e una porta di servizio che aprì per noi. Oltre questa c'era un piccolo corridoio che terminava con un cancello di ferro massiccio. Anche questo fu aperto e ci trovammo di fronte

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a una scala a chiocciola di pietra che finiva con un altro enorme cancello. Il signor Merryweather si fermò per accendere una lampada e poi ci accom­pagnò per un passaggio scuro che odorava di terra e infine dopo aver aper­to una terza porta ci ritrovammo in una cripta o cantina che era circondata di casse e pesanti scatole.

- Non siete molto vulnerabile dall'alto - osservò Holmes, mentre teneva sollevata la lanterna e lo illuminava.

- Nemmeno da sotto - rispose il signor Merryweather battendo il suo ba­stone sulle pietre che si allineavano sul pavimento. - Perché, suona così vuoto? - notò mentre alzava il volto con uno sguardo tutto sorpreso.

- Devo chiedervi di essere un po' più tranquillo - disse Holmes con una certa severità. - Avete già messo in pericolo tutta la nostra spedizione. Vi posso chiedere di sedervi su quelle scatole e di non intromettervi?

Il solenne signor Merryweather si appollaiò su una cassa con un'espres­sione dispiaciuta, mentre Holmes si inginocchiava sul pavimento e con la lampada e una lente magnifica cominciava a esaminare minuziosamente le crepe fra le pietre. Pochi secondi bastarono per soddisfarlo perché saltò di nuovo in piedi e mise la lente in tasca.

- Abbiamo un' ora da attendere - osservò - perché non possono far nulla finché il povero prestatore non sarà al sicuro a letto. Poi non perderanno un solo minuto perché prima agiranno, più tempo, avranno per la fuga. Come avevate previsto dottore, attualmente siamo nella cantina della filiale della City di una delle principali banche londinesi. Il signor Merryweather è il presidente dei direttori e vi spiegherà che ci sono ragioni per le quali i cri­minali più audaci di Londra dovrebbero essere interessati a questa cripta.

- È il nostro oro francese - bisbigliò il direttore. - Abbiamo avuto parec­chie soffiate che qualcuno avrebbe tentato di rubarlo.

- Il vostro oro francese?- Sì. Alcuni mesi fa abbiamo avuto la possibilità di rafforzare le nostre

risorse e abbiamo preso a prestito a tale scopo 30000 napoleoni dalla Ban­ca di Francia. Si è diffusa la notizia che non avevamo mai avuto l'occasio­ne di disimballare il denaro che si trova ancora nel nostro scantinato. La cassa su cui siedo contiene 2000 napoleoni imballati fra strati di piombo. La nostra riserva d'oro è molto più consistente adesso di quanto lo sia di solito in una filiale singola di una banca, e i direttori hanno avuto dei pre­sentimenti al riguardo.

- Che erano assolutamente giustificati - intervenne Holmes. - E adesso è giunto il momento di attuare i nostri piani. Credo che nell'arco di un'ora

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tutto sarà finito. Nel frattempo signor Merryweather sarebbe opportuno mettere uno schermo su quella lampada scura.

- E rimanere al buio?- Temo di sì. Avevo messo un mazzo di carte in tasca e pensavo che es­

sendo una "partie carrée" potevate fare una partita, ma mi par di capire che i preparativi dell'avversario siano tali per cui non amo correre il rischio di tenere la luce accesa. E per prima cosa dobbiamo prendere le nostre posta­zioni. Questi sono uomini temerari e sebbene possiamo metterli in una con­dizione di svantaggio possono farci del male se noi non siamo cauti. Io re­sterò dietro la cassa e voi vi nasconderete dietro a quelle. Poi quando io li illuminerò, voi vi avvicinerete rapidamente. Se spareranno, Watson, non fatevi prendere dai rimorsi e sparate.

- Ho qui la mia rivoltella, pronta per colpire, in cima alla cassa di legno dietro alla quale mi sono accovacciato. - Holmes oscurò la lanterna e ci la­sciò al buio più completo, un'oscurità in cui prima non mi ero mai trovato. L'odore del metallo caldo ci garantiva che la luce era ancora lì, pronta a il­luminarci con un momento di preavviso. Per quel che mi riguardava, con i nervi eccitati per l'attesa, c'era qualcosa di deprimente e soggiogante nel­l'improvvise tenebre e nell'aria fredda e umida di quel sotterraneo.

- Hanno un'unica possibilità di fuga - bisbigliò Holmes - cioè sul lato posteriore della casa, quello che dà su piazza Saxe Coburg. Spero che ab­biate fatto quel che vi ho chiesto, Jones.

- C'è un ispettore con due ufficiali che attendono alla porta principale.- Allora abbiamo tappato tutti i buchi. Adesso dobbiamo rimanere in si­

lenzio e aspettare.Quanto tempo! Quando dopo ci scambiammo delle impressioni in realtà

era passata solo un'ora, mentre a me sembrava che la notte fosse quasi fini­ta e che fuori stesse spuntando l'alba.

Le mie membra erano stanche e rigide perché temevo di cambire posi­zione tuttavia i miei nervi erano al massimo della tensione e il mio udito così acuto che non solo riuscivo a sentire il respiro dei miei compagni, ma anche a distinguere il respiro più profondo e pesante del voluminoso Jones, da quello leggero del direttore di banca. Dalla mia postazione potevo vede­re oltre la cassa in direzione del pavimento. A un tratto i miei occhi colsero il bagliore di una luce.

Dapprima fu una fiamma rosseggiante sul pavimento di pietra. Poi si al­lungò fino a diventare una linea gialla e infine senza alcun avvertimento o rumore sembrò aprirsi uno squarcio e apparve una mano. Una mano bian­

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ca, quasi femminile, che si sentiva più o meno al centro della scarsa area il­luminata. Per poco più di un momento, la mano con le dita nervose, si sporse dal solaio. Poi all'improvviso, con la stessa rapidità con cui era ap­parsa, si ritrasse, e tutto fu di nuovo buio salvo l'unica fiamma spettrale che disegnava una fessura tra le pietre.

La sua scomparsa tuttavia fu momentanea. Con un suono lacerante e violento, una delle pietre larghe e bianche si rovesciò su un lato e creò uno squarcio quadrato attraverso il quale penetrava la luce di una lanterna. Ol­tre l'orlo apparve un volto pulito di ragazzo che si guardò intorno con at­tenzione e poi con una mano sull'altra estremità del varco, si trascinò con le spalle e poi su fino alla vita finché un ginocchio non si fermò sul margine. In pochi istanti fu in piedi accanto alla cavità e trascinava il compagno che era altrettanto agile e piccolo con un viso smunto e una chioma rosso fuo­co.

- È tutto chiaro - bisbigliò. - Hai lo scalpello e i sacchi? Grande Scott! Salta Archie, salta e io lo prenderò.

Sherlock Holmes era balzato fuori e afferrato l'intruso per il colletto. L'altro si tuffò dal buco e io sentii il rumore di vesti lacerate, mentre Jones lo acchiappava per la camicia. La luce finì sul tamburo di una pistola, ma il frustino da caccia di Holmes scese sul polso dell'uomo e la rivoltella tintin­nò sul pavimento di pietra.

- Non serve, John Clay - disse Holmes con ironia. - Non avete scampo.- Vedo - rispose l'altro con la massima freddezza. - Immagino che il mio

compagno stia bene nonostante voi abbiate preso la coda del suo abito.- Ci sono tre uomini che lo aspettano alla porta - fece Holmes.- Oh, davvero! Mi devo complimentare, sembra che abbiate pensato tut­

to.- E io mi congratulo con voi - rispose Holmes. - La vostra idea della te­

sta rossa era nuovissima ed efficace.- Ora vedrete il vostro compagno - disse Jones. - È più svelto di me a

scendere per gli spiragli. Datemi una mano mentre fisso le bombette.- Spero che non mi toccherete con quelle mani sudice - osservò il nostro

prigioniero mentre le manette scattavano ai suoi polsi. - Non dovete dimen­ticare che ho sangue reale nelle mie vene. Abbiate anche la cortesia ogni volta che mi rivolgete la parola di dire "signore" e "per favore".

- D'accordo - rispose Jones con un'occhiataccia e un risolino. - Allora si­gnore, volete salire in modo che possiamo prendere una carrozza per porta­re "Vostra Altezza" alla stazione di polizia?

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- Così va meglio - disse John Clay allegramente. Fece un inchino a noi tre e si allontanò con calma scortato dall'investigatore.

- Veramente, signor Holmes - disse il signor Merryweather mentre li se­guivamo dalla cripta - non so come la banca possa pagarvi o ricompensar­vi. Non c'è alcun dubbio che abbiate svelato e sconfitto nel modo più asso­luto uno dei più risoluti tentativi di furto a una banca, che mi sia mai suc­cesso.

- Avevo un paio di conti in sospeso da sistemare con il signor John Clay - dichiarò Holmes. - Ho dovuto sostenere qualche spesa per quest'affare, per cui mi aspetto che la banca mi risarcisca, ma oltre a ciò sono ampia­mente ricompensato dall'aver avuto per molti aspetti un'esperienza unica e di aver sentito la storia sulla Lega delle teste rosse.

- Vedete, Watson - spiegò nelle prime ore del mattino mentre stavamo seduti con davanti un bicchiere di whisky e soda in Baker Street - era asso­lutamente ovvio fin dall'inizio che l'unico fine possibile di quest'attività piuttosto fantastica nell'annuncio della Lega; di copiare l'enciclopedia, era quello di allontanare per un certo numero di ore ogni giorno questo presta­tore poco arguto. Era un modo strano per conseguire lo scopo tuttavia sa­rebbe stato difficile trovarne uno migliore. Non c'è alcun dubbio che l'idea fosse venuta dalla mente geniale di John Clay grazie al colore dei capelli del suo complice. Le quattro sterline settimanali erano un'esca che lo avrebbe attirato e per loro cos'erano? Loro che stavano agendo per prender­sene migliaia e migliaia? Misero l'inserzione; un furfante è in carica tem­poraneamente e l'altro incita l'uomo a fare domanda per ottenere il posto e insieme si sono assicurati che fosse assente ogni mattina della settimana. Da quando ho avuto notizia che l'assistente lavorava per mezzo salario, mi è stato chiaro che avesse qualche motivo valido per proteggere la situazio­ne.

- Ma come potevate indovinare quale fosse il motivo?- Se nella casa ci fossero state delle donne, avrei sospettato un intrigo

semplice e grossolano. Ma ciò era fuori discussione. L'attività dell'uomo era poco rilevante e in casa sua non c'era nulla che avrebbe motivato dei preparativi così elaborati e una spesa simile a quella che sostenevano. Per­tanto doveva essere qualcosa all'estero della casa. Cosa poteva essere? Ho pensato alla passione dell'aiutante per la fotografia e alla sua mania di spa­rire nel sotterraneo. Lì era la conclusione di questo complicato racconto. Allora feci delle indagini su questo misterioso collaboratore e scoprii che dovevo trattare con uno dei criminali più freddi e audaci di Londra. Lui

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stava facendo qualcosa nel sotterraneo, qualcosa che richiedeva molte ore al giorno per mesi e mesi. Quindi cos'altro poteva essere? Non potei pensa­re ad altro che allo scavo di una galleria verso qualche edificio.

"A questo ero arrivato quando andammo a visitare la scena dell'azione. Vi stupii perché battei sul marciapiede con il mio bastone. Mi accertavo se la cantina si estendeva sul davanti o sul retro. Non era d'avanti. Allora suo­nai il campanello e come speravo venne a rispondere l'assistente. Abbiamo avuto delle schermaglie, ma non ci eravamo mai visti prima. Lo guardai appena in viso. Le sue ginocchia rivelavano quel che desideravo di vedere. Voi stesso avrete notato quanto erano consumate, raggrinzite e macchiate. Rivelavano tutte quelle ore di scavo. L'unico punto che restava da scoprire era per cosa stessero scavando. Girai l'angolo, vidi la Banca della City su­burbana che confinava con l'edificio del nostro conoscente, così capii che avevo risolto il mio problema. Quando voi andaste a casa dopo il concerto io mi recai a Scotland Yard e dal presidente dei direttori di banca con i ri­sultati che avete visto."

- E come potevate sapere che avrebbero fatto il loro tentativo stasera? -chiesi.

- Certo, quando chiusero gli uffici della Lega, era segno che non si pre­occupavano più della presenza del signor Jabez Wilson, in altre parole che avevano completato il loro tunnel. Ma era fondamentale che lo usassero presto, poiché poteva essere scoperto oppure poteva essere rimosso l'oro. Il sabato sarebbe stato adatto più di qualsiasi altro giorno perché avrebbe per­messo loro di avere due giorni per la fuga. Per tutti questi motivi mi aspet­tavo che venissero stasera.

- L'avete meditato magnificamente - esclamai con sincera ammirazione. - È una catena così lunga e tuttavia ogni legame è vero.

- Mi ha salvato dalla noia - rispose sbadigliando. - Ahimè, sento già che si avvicina. Trascorro la mia vita sforzandomi in continuazione di sfuggire alle banalità dell'esistenza. Questi piccoli problemi mi aiutano a riuscirci.

- E voi siete un benefattore dell'umanità - dissi.Scrollò le spalle. - Bene forse dopo tutto è di qualche piccola utilità -os­

servò. - "L'homme c'est rien, l'oeuvre c'est tout", come scrisse Gustave Flaubert a George Sand.

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Un caso di identità(A Case of Identity)- Mio caro amico - disse Sherlock Holmes mentre ci sedevamo ai lati

opposti del caminetto, nella sua casa in Baker Street - la vita è infinitamen­te più strana di qualunque cosa la mente umana possa inventare. Noi non oseremmo neppure concepire l'esistenza di cose che sono in realtà semplici esperienze del vivere quotidiano. Se noi potessimo volare fuori da quella finestra mano nella mano, librarci al di sopra di questa grande città, rimuo­vere gentilmente i soffitti, e dare un'occhiata furtiva agli eventi curiosi che si verificano, le strane coincidenze, i programmi, le contraddizioni, le me­ravigliose catene di eventi, che lavorano attraverso le generazioni, e condu­cono ai più strani risultati, vedremmo in tutta quella prosa con le sue frasi banali e le sue conclusioni previste, un che di vecchio e poco vantaggioso.

- E tuttavia io non ne sono ancora convinto - replicai. - I casi che vengo­no alla luce tramite la stampa sono, in genere, abbastanza monotoni e an­che sufficientemente volgari. Troviamo nei nostri rapporti di polizia del realismo spinto ai suoi limiti estremi, e tuttavia il risultato non è, dobbiamo confessarlo, né fascinoso né artistico.

- Per produrre un effetto realistico è necessaria una certa selezione e di­screzione - notò Holmes. - Questo, è ciò che manca nei nostri rapporti di polizia, dove è presente più tensione, forse, di quanta ce ne sia nella banali­tà dei magistrati o nei dettagli, che rivelano a un osservatore di contenere l'essenza vitale dell'intera faccenda. Dipende da ciò, e praticamente non c'è nulla di più innaturale di un luogo comune.

Io sorrisi e scossi la testa. Capisco perfettamente che la pensiate così - dissi. Certamente nella vostra posizione di consigliere non ufficiale e di aiutante di chiunque sia completamente confuso, in tre continenti, voi siete spesso a contatto con tutto ciò che vi è di strano e bizzarro. Ma ora -raccol­si il quotidiano del mattino da terra - proviamo a fare una prova pratica. Ecco, questo è il primo titolo su cui mi cade l'occhio " Crudeltà di un mari­to verso la moglie". C'è mezza colonna di parole stampate, ma io so, senza leggerle, che tutto mi è completamente familiare. C'è, certamente, l'altra donna, il bere, la spinta, le urla, l'ammaccatura, la sorella simpatica o la ra­gazza di campagna. Lo scrittore più realistico non avrebbe potuto inventare una storia più cruda.

- In effetti, il vostro esempio è poco appropriato all'argomento - disse Holmes, prendendo il quotidiano e dandovi un'occhiata. - Questo è il caso della separazione dei Dundas, e, di fatto sono stato ingaggiato per chiarirne

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alcuni particolari. Il marito era un astemio, non c'era un'altra donna, e ciò che la moglie gli rimproverava era di essere caduto nel vizio di terminare ogni pasto con il togliersi la dentiera e lanciarla verso la moglie, il che, sa­rete d'accordo, è un'azione difficilmente immaginabile da un mediocre scrittore di prosa. Prendete una presa di tabacco, dottore, e riconoscetemi di essere in vantaggio rispetto al vostro esempio.

Egli estrasse la sua antica tabacchiera d'oro, che aveva una grande ame­tista incastonata. Lo splendore che questa emanava era in grande contrasto con le sue abitudini domestiche e la vita semplice che conduceva, e non poté fare a meno di darne una spiegazione.

- Ah - esclamò. - Dimenticavo di non avervi visto da alcune settimane. È un piccolo regalo del Re di Boemia fattomi per contraccambiare l'assi­stenza nell'indagine sui falsi documenti di Irene Adler.

- E l'anello? - domandai io, lanciando un'occhiata al notevole brillante che sfavillava sopra il suo dito.

- Questo proviene dalla famiglia regnante d'Olanda, e ve lo dico nono­stante l'indagine a cui ho collaborato sia di una delicatezza tale che non po­tei confidarla neppure a voi, che siete stato abbastanza abile nel fare la cro­naca di una o due mie piccole indagini.

- E avete qualche caso per le mani, ora? - chiesi con interesse.- Circa dieci o dodici, ma nessuna che presenti alcuna caratteristica inte­

ressante. Sono importanti, voi capite, senza essere interessanti. In effetti, ho scoperto che è generalmente nelle faccende poco importanti che vi è più spazio per l'osservazione e per la veloce analisi di causa ed effetto, che sono poi le cose che danno prestigio a un investigatore.

"I crimini più gravi sono in genere i più semplici, in quanto più grave è un crimine più ovvio è, in genere, il motivo. Nelle indagini che ho per le mani, salvo una abbastanza intricata che mi è stata commissionata da una persona di Marsiglia, attualmente non vi è nulla che suscita in me il mini­mo interesse. È possibile, comunque, che possa capitarmene qualcuna di più interessante tra le mani prima che siano trascorsi pochi minuti, perché questo, se non sbaglio, è un mio cliente."

Si era alzato dalla sedia ed era in piedi presso le tendine scostate, guar­dando attentamente giù nelle vie squallide e scolorite di Londra. Lanciando lo sguardo sopra la sua spalla, vidi che sul marciapiede opposto vi era una donna enorme, con una pesante pelliccia attorno al collo, e una grande pen­na rossa arricciata sopra un cappello a larghe tese che portava inclinato so­pra le orecchie alla civettuola moda della duchessa di Devonshire. Da sotto

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questa smisurata armatura ella lanciava occhiate in modo nervoso ed esi­tante verso le nostre finestre, con il corpo che oscillava avanti e indietro e le dita che si muovevano con irrequietezza sopra i bottoncini dei suoi guan­ti. Improvvisamente, con un tuffo, simile a quello di un nuotatore che la­scia la riva, si precipitò attraverso la strada, e noi sentimmo l'acuto squillo del campanello.

- Ho osservato questi sintomi in precedenza - disse Holmes, gettando la sigaretta nel fuoco. - Oscillare sul marciapiede significa sempre un affare di cuore. Ella cerca un consiglio, ma teme che la natura della vicenda sia troppo delicata per comunicarmela. E comunque anche qui dovremmo fare delle distinzioni. Quando una donna è stata gravemente imbrogliata da un uomo, ella non oscilla più, e il sintomo comune è un campanello elettrico rotto. Nel nostro caso possiamo osservare che è sì una questione d'amore, ma che la fidanzata non è poi tanto arrabbiata o perplessa e neppure afflit­ta. Ma eccola che viene di persona a risolvere i nostri dubbi.

Mentre parlava ci fu infatti un colpo alla porta, e il paggio in livrea en­trò ad annunciare la signorina Mary Sutherland, mentre la stessa troneggia­va dietro la piccola figura nera simile a un mercantile con tutte le vele al vento dietro un piccolo battello pilota. Sherlock Holmes la salutò con quel­la deliziosa cortesia per cui era conosciuto e, dopo aver chiuso la porta e averla fatta accomodare in una poltrona, iniziò a guardarla in quel modo at­tento e tuttavia astratto che gli era caratteristico.

- Non trovate - egli disse - che la vostra miopia non sia compatibile con la vostra abitudine di scrivere spesso a macchina?

- All'inizio lo pensavo anch'io - ella rispose - ma ora so dove sono le let­tere senza neppure guardarle. - Poi, rendendosi conto di colpo del signifi­cato esatto delle parole di Holmes, si scosse violentemente e alzò gli occhi, mostrando all'improvviso timore e sorpresa sul suo enorme viso fino a un attimo prima di buon umore. - Ve lo ha detto qualcuno, signor Holmes - urlò - altrimenti come le potreste saperlo?

- Non preoccupatevi - ribatté Holmes, ridendo - questo è il mio lavoro. Probabilmente sono addestrato a vedere cose sulle quali altre persone sor­volano. Altrimenti, perché sareste venuta a consultarmi?

- Sono venuta qui, signore, perché mi ha parlato di voi la signora Ethe­rege, il cui marito avete trovato così facilmente quando sia la polizia che chiunque altro l'aveva dato per morto. Oh, signor Holmes, vorrei faceste la stessa cosa per me. Non sono ricca, ma in ogni caso ho una rendita sicura di cento sterline l'anno, oltre a quel poco che realizzo lavorando con la

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macchina da scrivere, e darei tutto questo pur di sapere che fine ha fatto il signor Hosmer Angel.

- Perché siete venuta fino da me per consultarmi così di fretta? - doman­dò Sherlock Holmes, con i polpastrelli delle dita uniti e gli occhi rivolti al soffitto.

Di nuovo si vide un'espressione di timore sul viso in qualche modo va­cuo della signorina Mary Sutherland. - Sì, in effetti sono uscita di corsa da casa sbattendo la porta - disse - perché mi sono la arrabbiata di fronte alla noncuranza con cui il signor Windibank, cioè... mio padre, ha preso questa faccenda. Egli non ha voluto andare alla polizia, e non voleva venire nep­pure da voi, e così infine, dato che non faceva niente e continuava a dire che non era stato commesso alcun crimine, sono uscita dai gangheri e sono venuta subito da voi per parlarvi di questa faccenda.

- Vostro padre - disse Holmes - il vostro patrigno, sicuramente, dato che il cognome è diverso.

- Sì, il mio patrigno. Lo chiamo mio padre, anche se in effetti può sem­brare strano, dato che egli ha solamente cinque anni e due o mesi più di me.

- E vostra madre è viva?- Oh, sì, mia madre è viva e sta bene. Non c'è cosa che mi ha fatto più

dispiacere, signor Holmes, del fatto che si sia risposata subito dopo la mor­te di mio padre, e con un uomo che è di circa quindici anni più giovane di lei. Mio padre era un idraulico e lavorava in Tottenham Court Road, e la­sciò della buona clientela, che mia madre continuò a seguire con il signor Hardy, il capo operaio; ma quando venne il signor Windibank la obbligò a vendere tutto, perché aveva un lavoro migliore, essendo un rappresentante nel campo vinicolo. Ottennero quattromilasettecento sterline per l'avvia­mento e gli interessi, somma molto inferiore a quanto mio padre avrebbe potuto realizzare se fosse stato ancora vivo.

Mi ero aspettato di vedere Sherlock Holmes impaziente dopo questa narrazione incespicante e priva di un filo logico, ma, al contrario, aveva ascoltato ogni parola con grandissima concentrazione, e sembrava molto interessato.

- Il vostro piccolo reddito - egli domandò - proviene dal vostro lavoro?- Oh, no, signore. È nettamente separato e mi fu lasciato da mio zio Ned

che viveva ad Auckland. È investito in obbligazioni di stato della Nuova Zelanda e mi rende l'interesse del quattro e mezzo per cento. Il totale è duemila e cinquecento sterline, ma io posso solo toccare gli interessi.

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- Il vostro racconto è estremamente interessante - disse Holmes. - E dato che voi disponete di una somma così elevata come cento sterline all'anno, più quello che guadagnate col vostro lavoro, senza dubbio amate viaggiare e indulgete nel concedervi qualunque cosa desideriate. Credo che una si­gnorina che sta da sola possa vivere tranquillamente con sessanta sterline l'anno.

- Potrei vivere con molto meno di quella cifra, signor Holmes, ma voi capiterete, fino a che vivo a casa di mia madre non desidero essere un fasti­dio per loro, e perciò essi usano il mio danaro fintanto che vivo con loro. Sicuramente, è solo una cosa momentanea. Il signor Windibank preleva i miei interessi ogni quattro mesi e li dà a e mia madre, e io riesco a vivere abbastanza bene con i soldi che guadagno battendo a macchina. Prendo due pence al foglio, e spesso riesco a fare da quindici a venti fogli al giorno.- Mi avete spiegato perfettamente la vostra situazione - disse Holmes. - Que­sto è il mio amico, il dottor Watson, davanti al quale potete parlare libera­mente come davanti a me. Per cortesia, parlateci ora del motivo del vostro interesse per il signor Hosmer Angel.

Un rossore si diffuse sul volto della signorina Sutherland, che si toccò nervosamente la frangia della giacchetta. - L'ho incontrato per la prima volta al ballo degli operai del gas - rispose. - Questi avevano l'abitudine di spedire i biglietti di invito a mio padre quando era vivo, e anche dopo si ricordarono di noi, continuando a inviarli a mia madre. Il signor Windibank non desiderava andarvi. E non desidera­va neppure che vi andassimo noi. In effetti non ha mai voluto che noi ci re­cassimo in alcun posto. Andava fuori di sé, quando io volevo partecipare anche solo a una festa scolastica domenicale. Ma questa volta avevo deciso di andare e lo feci; perché no, che diritto aveva lui di vietarmelo? Diceva che quelle persone non erano adatte a noi, mentre invece c'erano tutti gli amici di mio padre. E continuava dicendo che non avevo nulla di adatto per l'occasione, mentre avevo la felpa color porpora che non avevo mai tirato fuori dal cassetto. Infine, quando nulla più sarebbe servito a fermarmi, andò in Francia per i suoi affari, ma noi, mia madre ed io, partecipammo con il signor Hardy, che era il nostro capo operai, e fu lì che incontrai il si­gnor Hosmer Angel.

- Suppongo - intervenne Holmes - che quando il signor Windibank tornò dalla Francia, si adirò molto sapendo che voi avevate partecipato al ballo.

- Oh, bene, egli invece fu molto tollerante. Rise, ricordo, e alzò le spalle dicendo che non era possibile negare qualcosa a una donna, in quanto ella

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avrebbe fatto comunque a modo suo.- Capisco. Al ballo degli operai del gas allora voi avete incontrato, se ho

ben capito, un gentiluomo chiamato Hosmer Angel.- Sì, signore. L'ho incontrato quella notte, e ha chiamato il giorno dopo

per sapere se eravamo arrivate a casa sane e salve, e dopo di ciò lo incon­trammo... cioè, signor Holmes, lo incontrai altre due volte per una passeg­giata, ma dopo questi incontri mio padre tornò, e il signor Hosmer Angel non poté più venire a trovarmi.

- No?- Beh, sapete, a mio padre non piaceva una cosa simile. Se avesse potuto

non avrebbe mai avuto alcun ospite, e ha sempre detto che una donna do­vrebbe essere felice all'interno del proprio nucleo familiare. Ma allora, come dicevo a mia madre, una donna all'inizio vuole crearsi la propria fa­miglia, e io non avevo ancora la mia.

- Ma cosa fece il signor Hosmer Angel? Non provò più a rivedervi?- Beh, mio padre doveva ripartire la settimana seguente per la Francia, e

Hosmer scrisse dicendo che sarebbe stato più sicuro non vedersi fino a quando egli non fosse ripartito. Nel frattempo ci tenevamo in contatto per via epistolare, ed egli mi scriveva ogni giorno. Ho preso con me le lettere questa mattina, perché non c'è motivo che mio padre venga a conoscenza di tutto.

- A quel punto voi eravate fidanzata con questo gentiluomo?- Oh, sì, signor Holmes. Ci fidanzammo dopo la nostra prima passeggia­

ta. Hosmer... il signor Angel, lavorava come cassiere in un ufficio in Lea­denhall Street e...

- In quale ufficio?- Questa è la cosa peggiore, signor Holmes, non lo so.- Dove viveva quindi?- Dormiva nel suo ufficio.- E non conoscete l'indirizzo?- No, eccetto che si trovava in Leadenhall Street.- Come gli indirizzavate le vostre lettere, allora?- All'ufficio postale di Leadenhall Street e rimanevano lì finché egli non

passava a richiederle. Diceva che se gliele avessi spedite in ufficio, tutti gli altri impiegati lo avrebbero beffeggiato, per il fatto di ricevere lettere da una signorina; allora io gli dissi che le avrei battute a macchina come lui faceva con le sue, ma non volle, sostenendo che quando le scrivevo a mano sembravano provenire più intimamente da me. Quando invece le scrivevo a

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macchina egli sentiva l'intrusione della macchina tra noi due. Questo giusto per mostrarvi quanto fosse innamorato, signor Holmes,e come si preoccu­passe di me, che gli ero cara fin nei più minuti particolari.

- Molto romantico - disse Holmes. - È sempre stato un mio assioma, il fatto che i piccoli particolari sono sicuramente le cose più importanti. Pote­te ricordarvi altri particolari sul signor Hosmer Angel?

- Era un uomo molto timido, signor Holmes. Preferiva camminare con me di sera piuttosto che alla luce del giorno, dicendo che odiava mettersi in mostra. Era un gentiluomo molto discreto. Anche la sua voce era gentile. Quando era giovane aveva avuto la tonsillite e le ghiandole gonfie, e ciò gli aveva lasciato una gola debole, e un modo di parlare esitante e simile a un sussurrio. Era sempre vestito bene, semplice e pulito, ma aveva problemi agli occhi, una vista debole come la mia, e portava occhiali scuri contro il riverbero.

- Che cosa accadde quando il signor Windibank, il vostro patrigno, tor­nò in Francia?

- Il signor Hosmer Angel venne ancora in casa mia e mi propose di spo­sarci prima del ritorno di mio padre. Ne era terribilmente convinto e mi fece giurare, con le mani sulla Bibbia, che qualunque cosa fosse successa gli sarei sempre stata fedele. Mia madre disse che egli aveva avuto perfet­tamente ragione a farmi giurare, e che questo era un segno della sua passio­ne. Mia madre era tutta dalla sua parte fin dalla prima volta che lo vide, e ne era addirittura più infatuata di quanto lo fossi io. Poi, mentre parlavano di celebrare il matrimonio la settimana stessa, iniziai a chiedere come l'a­vrebbe presa mio padre; ma entrambi mi risposero di non preoccuparmi di mio padre, e di dirgli tutto dopo, anzi mia madre disse che lo avrebbe pre­parato lei. Ciò non mi piacque molto, signor Holmes. Mi sembrava ridicolo che dovessi chiedergli il permesso, dato che aveva solo pochi anni più di me; ma non volevo fare nulla di nascosto, perciò scrissi a mio padre a Bor­deaux, dove la sua ditta ha la sede in Francia, ma la lettera mi ritornò lo stesso mattino del matrimonio.

- Non fece in tempo a riceverla, allora?- Sì, signore; infatti era ripartito per l'Inghilterra prima che la lettera po­

tesse arrivare.- Che sfortuna! Il vostro matrimonio, fu deciso quindi per venerdì. In

chiesa?- Sì, signore, ma un matrimonio molto tranquillo. Doveva essere cele­

brato alla chiesa di San Saviour, presso King's Cross, e il banchetto doveva 51

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svolgersi all'Hotel San Pancras. Hosmer venne con un carrozzino a due ca­valli, ma dato che noi eravamo in due, ci fece salire entrambe lì mentre lui prese una carrozza a quattro ruote, che sembrava essere l'unica altra vettura nella strada. Noi arrivammo alla chiesa per prime, e quando la carrozza a quattro ruote giunse, aspettammo che lui scendesse. Egli però non scese mai, e quando il cocchiere guardò dentro, vide che non c'era nessuno! Il conducente della carrozza disse che non riusciva ad immaginarsi che fine avesse fatto il passeggero, in quanto lo aveva visto entrare con i propri oc­chi. Ciò accadde venerdì scorso, signor Holmes, e da allora non ho visto né saputo nulla che possa fare luce sulla fine che può aver fatto.

- Mi sembra che vi abbia fatto fare una figura vergognosa - soggiunse Holmes.

- Oh, no, signore! Era troppo buono e gentile per lasciarmi così. In effet­ti, continuò a ripetermi durante tutta la mattinata che qualunque cosa fosse successa dovevo essergli fedele; e che anche se qualcosa di sicuramente imprevisto fosse accaduto e ci avesse separato, io dovevo sempre ricordar­mi che mi ero impegnata con lui e che egli avrebbe voluto il suo pegno, prima o poi. Sembrava strano per essere un discorso fatto il mattino del no­stro matrimonio, ma ciò che accadde dopo gli dà certo un significato.

- Sicuramente. La vostra opinione è che, allora, qualche catastrofe im­prevista si sia abbattuta su di lui?

- Sì, signore. Io credo che egli presentisse un pericolo, altrimenti non avrebbe parlato così. Penso inoltre che ciò che presentiva accadde.

- Ma voi non avete idea di cosa avrebbe potuto essere?- Per nulla.- Ancora una domanda. Come prese questa faccenda vostra madre?- Si arrabbiò e disse che non avrei mai dovuto parlare di questa storia

con chicchessia.- E vostro padre? Glielo avete detto?- Sì, ed egli fu d'accordo con me che qualcosa doveva essere successo, e

che avrei avuto ancora notizie del signor Hosmer. Come diceva lui, che in­teresse poteva avere qualcuno nel portarmi sino alla porta di una chiesa per poi abbandonarmi? Ora, se egli avesse preso del denaro a prestito da me, se mi avesse sposato per il mio denaro, ci sarebbe stata una spiegazione, ma Hosmer era economicamente autonomo e non aveva mai voluto neanche vedere un mio scellino. E allora, cosa può essere successo? E perché non scrivere? Oh, questi pensieri mi fanno quasi impazzire e di notte non chiu­do occhio. - Estrasse un piccolo fazzoletto dalla manica del vestito e iniziò

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a piangervi dentro impetuosamente.- Esaminerò questo caso per voi - disse Holmes, alzandosi in piedi - e

non ho dubbi che raggiungeremo qualche risultato definitivo. Lasciate che il peso di questo mistero sia sulle mie spalle ora, e non permettete alla vo­stra mente di continuare ad arrovellarsi. Soprattutto, fate in modo che il si­gnor Hosmer Angel si cancelli dalla vostra memoria, così come è svanito dalla vostra vita.

- Allora voi pensate che non lo rivedrò più?- Temo di no.- Ma allora, cosa gli può essere accaduto?- Lasciate questa domanda nelle mie mani, ho solo bisogno di un'accura­

ta descrizione della sua persona e di ogni sua lettera di cui voi possiate pri­varvi.

- Ho messo un annuncio nella rubrica delle persone scomparse nell'ulti­mo numero domenicale del Chronicle - disse. - Questa è la bozza della co­lonna e qui ci sono quattro sue lettere.

- Grazie. E il vostro indirizzo?- Lyon Place numero trentuno, Camberwell.- Mi avete detto di non conoscere l'indirizzo del signor Angel. Dove la­

vora vostro padre?- Lavora per la Westhouse & Marbank, la più grande società importatri­

ce di vini rossi leggeri della regione di Bordeaux, in Fenchurch Street.- Grazie. Siete stata molto chiara ed esauriente. Lasciate qui tutte queste

carte e ricordatevi il consiglio che vi ho appena dato. Fate che questo inci­dente diventi un libro sigillato, e non permettetegli di influire ulteriormente sulla vostra vita.

- Siete molto gentile, signor Holmes, ma ciò non mi è possibile. Sarò fe­dele a Hosmer. Voglio essere pronta per quando tornerà.

Nonostante il cappello ridicolo e la faccia inespressiva, c'era qualcosa di nobile nell'ingenua fede della nostra visitatrice, qualcosa che richiedeva il dovuto rispetto. Lasciò il suo piccolo mucchio di carte sul tavolo e se ne andò con la promessa di tornare in qualunque momento avessimo voluto interrogarla ancora.

Sherlock Holmes se ne stette seduto in silenzio per alcuni minuti con i polpastrelli delle dita ancora premuti l'uno contro l'altro, le gambe allunga­te davanti a sé e lo sguardo intenso diretto verso il soffitto. Poi tolse dalla libreria la vecchia e untuosa pipa di creta, che era per lui come un coniglie­re, e dopo averla accesa si sprofondo nella poltrona mentre spesse nuvole

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blu si alzavano a forma di cerchi dalla sua testa, e un'espressione di infinito languore dipinto sul viso.

- Una persona molto interessante, quella fidanzata - egli osservò. - Ho trovato più interessante lei dei suoi piccoli problemi che, per essere sinceri, sono problemi abbastanza triti. Troverete casi simili se consultate i miei ar­chivi; per l'esattezza ad Andover nel settantasette, e poi qualcosa di simile anche l'anno scorso a The Hague. Nonostante sia un caso molto banale, ci sono due o tre dettagli che, per me sono nuovi. Ma la sposa stessa è stata per me la persona più istruttiva.

- Sembra che voi abbiate visto in lei un sacco di cose, che invece a me sono rimaste invisibili - feci notare.

- Non invisibili, semplicemente non le avete notate, Watson. Non sape­vate dove guardare e perciò vi siete persa la parte più importante. Non rie­sco mai a farvi capire l'importanza delle maniche, tutto ciò che ci può dire l'unghia del pollice, o i grandi temi che si possono scorgere dalla semplice osservazione della stringa di una scarpa. Ora, cosa vi ricordate dell'aspetto di quella donna? Descrivetela.

- Bene, aveva un cappello color ardesia, a tese larghe e di paglia, con una piuma di un rosso color mattone. La sua giacca era nera, con decori di perline nere, piccoli ornamenti lucidi che si ripetevano anche sulla frangia. Il suo vestito era marrone, direi più scuro del color caffè, con una piccola felpa rossa al collo e alle maniche. I suoi guanti erano grigiastri e lisi intor­no all'indice destro. Le scarpe non le ho osservate. Aveva degli orecchini d'oro piccoli e rotondi, e un'aria complessiva di persona benestante in un modo direi volgare, facile e pratico.

Sherlock Holmes batté le mani debolmente ed emise un riso soffocato.- Sul mio onore, Watson, voi state imparando in modo meraviglioso.

Avete effettivamente descritto la donna molto bene. È vero che avete di­menticato le cose più importanti, ma avete capito il metodo e avete un buon occhio per i colori. Non fidatevi mai dell'impressione generale ragaz­zo mio, ma concentratevi sui dettagli. Il mio primo colpo d'occhio è sempre per la manica di una donna. In un uomo è forse meglio guardare prima la piega dei pantaloni al ginocchio. Come voi avete osservato, questa donna aveva della felpa sopra le maniche, che è uno dei materiali più utili per la­sciare i segni. La doppia linea un poco sotto il polso, dove le dattilografe si appoggiano al tavolo, era definita stupendamente. La macchina per cucire, quella del tipo a mano, lascia un segno simile, ma solo sul braccio sinistro, e di lato, lontano dal pollice, invece di essere esattamente in mezzo al lato

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più grande, com'era in questo caso. Diedi poi un occhiata al viso e osser­vando l'impronta di un occhialino ad entrambi i lati del suo naso, mi imma­ginai che avesse la vista corta e le feci un'osservazione sul rapporto tra vi­sta corta e dattilografia, che sembrò stupirla.

- Io pure mi sono stupito.- Ma, certo, era ovvio. Mi sorpresi anch'io moltissimo e fui molto inte­

ressato nel vedere, abbassando gli occhi, che nonostante le scarpe che por­tava fossero una uguale all'altra, erano certamente spaiate; una aveva una mascherina decorata debolmente e l'altra una mascherina semplice. Una era abbottonata solo con i due bottoni più bassi su cinque, e l'altra al primo, terzo e quinto. Ora, quando vedete che una giovane ragazza, in genere ve­stita in modo impeccabile, è uscita di casa con gli stivali spaiati, mezzi sbottonati, non è una grande deduzione capire che se ne è andata di fretta.

- E cos'altro? - domandai, eccessivamente interessato, come sempre ero del resto, alle incisive osservazioni del mio amico.

- Ho notato, inoltre, che aveva scritto un biglietto ancor prima di lascia­re casa, ma quando era già completamente vestita. Avrete osservato che il suo guanto destro era liso all'indice, ma apparentemente non avete notato che sia il guanto che il dito erano macchiati d'inchiostro viola. Ha scritto qualcosa in fretta e ha infilato la penna nel calamaio troppo profondamen­te. Dev'essere successo questa mattina stessa, altrimenti il segno non sareb­be rimasto chiaro sopra il dito. Tutto ciò è divertente anche se abbastanza elementare, Watson, a ma devo tornare al mio lavoro. Vi seccherebbe leg­germi la descrizione del signor Hosmer Angel, pubblicata su quella bozza?

Presi il trafiletto e lo portai sotto la luce.Scomparso (si suppone) il mattino del quattordici, un gentiluomo chia­

mato Hosmer Angel. Altezza circa un metro e settanta centimetri; carna­gione olivastra, costituzione robusta, capelli neri, un po ' calvo nel centro della nuca, basette laterali e baffi cespugliosi e neri, occhiali scuri, debole infermità di parola. Quando fu visto l'ultima volta era vestito con una fi­nanziera nera foderata in seta, gilet nero, una catena doro del Re Alberto, e pantaloni grigi di Harris di tweed, un tessuto ruvido di lana a più colori, con ghette marroni sopra stivali con i bordi elastici. Si sa che lavorava in un ufficio in Leadenhall Street. Chiunque fornisca delle informazioni...

- Perfetto - commentò Holmes. - Per quanto riguarda le lettere - egli continuò, dandovi un'altra occhiata - erano piene di luoghi comuni. Non vi è alcun indizio in esse che ci dica qualcosa su chi fosse il signor Angel, ec­cetto che una volta ha nominato Balzac. Vi è comunque un punto rimarche­

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vole, che senza dubbio vi colpirà.- Sono scritte a macchina - risposi io.- Non solo quello, anche la firma è dattiloscritta. Guardate il piccolo

chiaro "Hosmer Angel" in basso. Vi è la data, vedete, ma non è indicato il luogo, a parte Leadenhall Street, il che è abbastanza vago. Questo partico­lare della firma è molto suggestivo... in effetti potremmo definirlo conclu­sivo.

- Di cosa?- Mio caro amico, è possibile che non vediate come questo sia il riassun­

to dell'intero caso?- Non posso dire altro eccetto che egli ha voluto essere in grado di nega­

re la sua firma se un'azione legale per rottura di promessa di matrimonio fosse stata ingaggiata.

- No, non è quello il punto. In ogni caso, ora scriverò due lettere, che dovrebbero mettere le cose a posto. Una è per una ditta nella City, l'altra è per il patrigno della giovane ragazza, il signor Windibank, domandandogli dove possiamo incontrarci domani sera alle sei. Penso sia meglio trattare questa cosa tra uomini. E ora, dottore, non possiamo fare nient'altro finché queste lettere non abbiano ricevuto una risposta, perciò, durante questo in­tervallo, riponiamo questi nostri piccoli problemi sullo scaffale.

Avevo avuto così tanti motivi per credere nei sottili poteri della logica del mio amico e nella sua straordinaria energia nell'azione, che pensai do­vesse avere dei buoni motivi per trattare quel singolare mistero che era sta­to chiamato ad approfondire in un modo così sicuro e facile. Sapevo che aveva sbagliato una sola volta, cioè nel caso del Re di Boemia e della foto­grafa Irene Adler, ma quando io riguardai la relazione su quei loschi affari del segno dei quattro e le straordinarie circostanze connesse con Uno stu­dio rosso, sentii che sarebbe stato un ben strano groviglio quello che egli non avrebbe potuto dipanare.

Lo lasciai allora, che fumava la sua pipa di creta nera, con la convinzio­ne che quando sarei tornato la sera successiva l'avrei trovato con in mano tutti gli indizi in grado di condurre all'identificazione dello scomparso pro­messo sposo della signorina Mary Sutherland.

In quel periodo un caso di grande gravità occupava tutta la mia attenzio­ne, e per l'intero giorno successivo fui occupato al capezzale del sofferente. Mi liberai verso le sei di sera e solo allora fui in grado di buttarmi in una carrozza a due ruote con il cocchiere dietro e farmi portare a Baker Street, timoroso che fosse ormai troppo tardi per assistere alla soluzione del picco­

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lo mistero. In ogni caso trovai Sherlock Holmes solo, mezzo addormentato, con la sua lunga e sottile figura rannicchiata: nella poltrona. Un formidabi­le gruppo di bottiglie e misurini da esperimento, con l'odore pungente di disinfettante proprio dell'acido cloridrico, mi suggerì che aveva occupato la giornata con il lavoro chimico che tanto gli piaceva.

- Bene, avete risolto il mistero? - domandai io, appena entrato.- Sì. Era bisolfato di barite.- No, no, l'altro mistero! - gridai.- Oh, quello! Stavo pensando al sale su cui stavo lavorando. Non c'è mai

stato alcun mistero nel mondo naturale, nonostante, come dissi ieri, alcuni dettagli siano importanti. L'unico inconveniente è che non vi è una legge, temo, che possa punire il malandrino.

- Chi è, allora? E qual è stato il suo obiettivo nell'abbandonare la signo­rina Sutherland?

Avevo appena posto questa domanda, e Holmes non aveva ancora aper­to le labbra per rispondermi, quando sentimmo il pesante rumore di passi in giardino e un colpo alla porta.

- Questo è il patrigno della ragazza, il signor James Windibank - disse Holmes. - Mi ha scritto che sarebbe venuto alla sei. Entrate!

L'uomo che entrò era un individuo vigoroso di media taglia, di circa trent'anni, appena rasato, con la pelle olivastra, dalle maniere blande e insi­nuanti, e un paio di occhi grigi penetranti e meravigliosamente acuti. Gettò uno sguardo interrogativo su entrambi. Depose il suo luccicante cilindro sulla credenza e con un leggero inchino si accostò esitante alla sedia più vi­cina.

- Buona sera, signor James Windibank - disse Holmes. - Penoso che sia vostra questa lettera dattiloscritta in cui mi fissate un appuntamento per le sei.

- Sì, signore. Temo di essere un poco in ritardo, ma lavoro sotto gli altri, sapete. Mi spiace che la signorina Sutherland, per quella sua faccenduola, in quanto io penso che sia molto meglio non lavare i propri panni in pub­blico, sia venuta da voi, decisamente contro i miei desideri, ma è una ra­gazza impulsiva e molto eccitabile, e come avrete notato, non può essere fermata quando ha deciso qualcosa. Certamente, non mi disturba un gran che, dal momento che voi non siete in contatto con la polizia ufficiale, ma non è piacevole che una sfortuna familiare come questa faccia chiasso in giro. Oltre a ciò, è una spesa inutile, e inoltre come potreste trovare questo Hosmer Angel?

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- Al contrario - replicò con calma Holmes. - Ho tutti i motivi per credere che riuscirò a scoprire chi è il signor Hosmer Angel.

Il signor Windibank ebbe un improvviso scossone e fece cadere i guanti. - Sono felice di sentirlo - disse.

- È una cosa curiosa - fece notare Holmes - che una macchina da scrive­re abbia in realtà esattamente la stessa individualità di una calligrafia. A meno che non siano nuovissime, non ce ne sono due che scrivono esatta­mente nello stesso modo. Alcune lettere sono meno nitide di altre, e alcune sono nitide solo da una parte. Ora, come voi potrete notare in questo vostro biglietto, signor Windibank, vi è in ogni modo una piccola doppieggiatura della "e", e un leggero difetto nella coda della "r". Vi sono altre quattordici caratteristiche, ma queste sono le più evidenti.

- In ufficio sbrighiamo tutta la nostra corrispondenza con questa mac­china da scrivere, e senza dubbio è un po' vecchia - rispose il nostro visita­tore, guardando sinteticamente Holmes con i suoi piccoli occhi intelligenti.

- E ora vi mostrerò uno studio veramente molto interessante, signor Windibank - continuò Holmes. - Penso che uno di questi giorni scriverò una piccola monografia sul rapporto tra macchina da scrivere e crimine. È un argomento al quale ho dedicato un po' della mia attenzione. Ho qui quattro lettere che mi hanno assicurato provenire dall'uomo scomparso. Sono tutte scritte a macchina. In ogni caso, non solo tutte le "e" sono dop­pieggiate, e le "r" senza coda, ma se voi osserverete, disturbandovi a usare le mie meravigliose lenti di ingrandimento, anche le altre quattordici carat­teristiche cui alludevo prima sono tutte presenti.

Il signor Windibank si alzò di colpo dalla sedia e prese il suo cappello. - Non posso perdere tempo in questa specie di conversazione fantastica, si­gnor Holmes - egli disse. - Se riuscite a prendere quell'uomo, prendetelo, e quando lo avrete fatto fatemelo sapere.

- Certamente - ribatté Holmes, alzandosi in piedi e girando la chiave nella serratura della porta. - Vi annuncio allora che l'ho catturato.

- Cosa? Dove? - gridò il signor Windibank, mentre le sue labbra diven­tavano bianche e gettava uno sguardo intorno a sé, simile a quello di un topo in trappola.

- Oh, non c'è via di uscita... veramente non ce n'è - disse Holmes soave­mente - non vi è assolutamente alcun modo possibile di lasciar perdere, si­gnor Windibank. È tutto decisamente troppo chiaro, ed è stato veramente un cattivo complimento quando avete detto che per me sarebbe stato im­possibile risolvere un caso così semplice. Esatto! Sediamoci e parliamone

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insieme.Il nostro visitatore sprofondò in una sedia con una faccia spettrale e uno

scintillio di sudore sulla fronte. - Non è... denunciabile - affermò.- Temo proprio abbiate ragione. Ma, detto tra noi, Windibank, è stato il

trucco più crudele, egoista e senza cuore, nel suo piccolo, che io abbia mai trattato. Ora, lasciatemi semplicemente raccontare la sequenza degli eventi e correggetemi se sbaglio.

L'uomo sedeva raggomitolato nella poltrona, la testa china sul petto, come qualcuno che è stato violentemente colpito.

Holmes si alzò in piedi e si mise vicino all'angolo del caminetto, poi, ondeggiando con le mani in tasca iniziò a parlare, più a se stesso, sembra­va, che non a noi.

- Quell'uomo sposò una donna molto più vecchia di lui per danaro -disse - e avrebbe goduto anche dell'uso dei soldi della figlia fino a quando ella avesse vissuto con loro. Era una somma considerevole, per gente della loro condizione, e la perdita di questo danaro avrebbe comportato una seria dif­ferenza. Valeva la pena di provare in qualche modo a preservarla. La figlia era una persona buona, di disposizione amorevole, ma affezionata a modo suo, ed era evidente, considerata la sua piccola rendita, che non sarebbe ri­masta zitella a lungo. Ora, il suo matrimonio avrebbe significato la perdita di un centinaio di sterline l'anno, e allora cosa fa il patrigno per prevenire questo danno? Ovviamente decide di tenerla in casa e di proibirle di cerca­re la compagnia della gente della sua età. Ma subito si accorge che ciò non avrebbe risolto il problema per sempre. Ella diviene caparbia, insistente sui propri diritti, e infine annuncia la sua decisa volontà di recarsi a un certo ballo. Cosa fa allora l'intelligente patrigno? Inventa un'idea, più concepibi­le dalla sua mente che dal suo cuore. Con la complicità e l'aiuto della mo­glie si camuffa, si copre gli occhi con gli occhiali scuri, maschera la pro­pria faccia con dei baffi e un paio di folte basette, trasforma quella voce chiara in un sussurrio insinuante, e, doppiamente sicuro a causa della vista assai corta della ragazza, le si presenta come il signor Hosmer Angel, e tie­ne lontano gli altri amanti facendovi all'amore lui stesso.

- Fu solo uno scherzo, all'inizio - ringhiò il nostro visitatore. - Non pen­sammo mai che lei vi sarebbe cascata in pieno.

- Probabilmente no. Qualunque fossero le intenzioni, la giovane ragazza perse decisamente la testa e, essendo certa che il patrigno in quel periodo si trovava in Francia, il sospetto di un tradimento non entrò mai, neppure per un istante nella sua mente. Ella era lusingata dalle attenzioni del gentiluo­

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mo e questo effetto fu aumentato dall'ammirazione della madre, peraltro espressa molto chiaramente. Allora il signor Angel iniziò a chiamarla, in quanto era ovvio che questa faccenda avrebbe dovuto essere portata al li­mite estremo affinché un certo effetto reale fosse prodotto. Vi furono altri incontri e un fidanzamento che avrebbe dovuto assicurargli l'affetto della ragazza, così che questa non si rivolgesse verso qualcun'altro. Ma la frode non poteva stare in piedi per molto tempo. Quei pretesi viaggi in Francia erano abbastanza scomodi. La cosa da fare era chiaramente portare la fac­cenda a un termine, in modo così drammatico da lasciare una traccia per­manente nella mente della giovane ragazza; in tal modo ella si sarebbe astenuta dal considerare ogni altro possibile marito per un certo tempo. Questa la ragione di quei voti di fedeltà estorti sopra la Bibbia, nonché del­le allusioni alla possibilità di qualche fatto strano che avrebbe potuto veri­ficarsi lo stesso mattino del matrimonio. James Windibank sperava che la signorina Sutherland si sentisse così legata ad Hosmer Angel, e così insicu­ra del proprio destino, che per i prossimi dieci anni si sarebbe astenuta in ogni caso dall'ascoltare qualsiasi altro pretendente. Egli la condusse fino alla porta della chiesa, e poi, dato che non poteva andare oltre, svanì con­venientemente grazie al vecchio trucco di salire da una porta di una carroz­za a quattro ruote e scendere dall'altra. Penso che questa sia stata la catena degli eventi, signor Windibank!

Il nostro visitatore, che aveva riacquistato qualcosa della sua sicurezza mentre Holmes parlava, si alzò dalla sedia con un freddo ghigno dipinto sul volto pallido.

- Può essere andata così, o può essere andata in un altro modo, signor Holmes - disse - ma se voi siete così sottile, dovreste essere abbastanza sot­tile per sapere che siete voi che state infrangendo la legge, non io. Fin dal­l'inizio, non ho fatto nulla che potesse essere denunciabile, ma se voi conti­nuate a tenere la porta di casa chiusa a chiave vi esponete a una denuncia per aggressione e sequestro di persona.

- La legge non può, come voi avete detto, toccarvi - replicò Holmes, aprendo la serratura e spalancando la porta - ma nonostante ciò non c'è mai stato un uomo che abbia meritato di più la propria punizione. Se la giovane ragazza ha un fratello o un amico egli dovrebbe darvi delle frustate sulla faccia, per Giove! - egli continuò, mentre diventava rosso in volto alla vista dell'amaro ghigno sul viso dell'uomo. - Non fa parte dei miei doveri verso i clienti, ma qui c'è un frustino da caccia che fa al caso mio, e temo di non riuscire a trattenermi dal... - fece due passi veloci verso il frustino, ma pri­

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ma che riuscisse ad afferrarlo ci fu un rumore pesante e selvaggio di passi sulle scale, e la massiccia porta d'entrata si chiuse con un colpo; quindi dal­la finestra potemmo scorgere il signor James Windibank che correva al massimo delle proprie forze per la strada.

- Quello è un mascalzone dal sangue freddo - disse Holmes, ridendo, mentre si ributtava ancora una volta nella poltrona. - Quell'individuo salirà di crimine in crimine fino a quando non commetterà qualcosa di veramente grave e finirà sul patibolo. Questo caso non è, sotto alcuni aspetti, intera­mente privo di interesse.

- Non riesco a vedere tutte le tappe del vostro ragionamento - feci notare io.

- Beh, era ovvio fin dall'inizio che questo signor Hosmer Angel avesse qualche obiettivo importante che giustificasse la sua condotta curiosa, ed era ugualmente chiaro che l'unico uomo che avrebbe tratto realmente pro­fitto da quell'incidente, per quel che ne sapevamo, era il patrigno. Inoltre, il fatto che questi due uomini non si fossero mai visti insieme, ma che uno sempre appariva quando l'altro era via, era suggestivo. Così lo erano gli oc­chiali scuri e la voce curiosa, fatti entrambi che potevano far insinuare l'i­dea di un travestimento, così come le folte basette. I miei sospetti furono interamente confermati da quella sua strana azione di dattilografare anche la firma, il che certamente, significava che la sua calligrafia fosse così fa­miliare alla ragazza che questa avrebbe potuto riconoscerla anche da poche lettere. Vedete, tutti questi fatti isolati, se uniti ad altri minori, portavano tutti alla stessa conclusione.

- E come li avete verificati?- Una volta che ebbi individuato il mio uomo, fu facile trovare l'avvalo­

ramento alle mie ipotesi. Conoscevo la ditta per cui quest'uomo lavorava. Avendo tra le mani la descrizione stampata vi eliminai tutto ciò che avreb­be potuto essere il risultato di un mascheramento, e cioè le basette, gli oc­chiali e la voce; quindi la spedii alla ditta, chiedendo loro di informarmi se questa descrizione corrispondesse a qualche loro rappresentante. Avevo già notato le particolarità della macchina da scrivere, e scrissi allo stesso uomo al suo indirizzo di lavoro, chiedendogli di venirmi a trovare. Come mi aspettavo, la sua risposta fu dattiloscritta e rivelava gli stessi difetti banali ma tuttavia caratteristici. La stessa posta mi recò una lettera dalla Westhou­se & Marbank, di Fenchurch Street, che diceva che la mia descrizione cor­rispondeva in ogni dettaglio a quella di uno dei loro impiegati, James Win­dibank. Tutto qua!

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- E la signorina Sutherland?- Se ve lo dico non mi crederete. Forse vi ricordate quel vecchio detto

persiano "C'è pericolo per chi prende il cucciolo di una tigre e pericolo an­che per chi porta via un'illusione a una donna." C'è molta verità in Hafiz come in Orazio, e vi è in loro una grandissima conoscenza del mondo.

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Il mistero di Valle Boscombe(The Boscombe Valley Mystery)Una mattina eravamo seduti a colazione, mia moglie e io, quando entrò

la cameriera portando un telegramma. Era di Sherlock Holmes e diceva così:

Avete un paio di giorni liberi? Appena ricevuto telegramma da Inghil­terra occidentale in relazione alla tragedia di Boscombe Valley Felice se verrete con me. Aria e paesaggio perfetti. Partite da Paddington alle 11:15.

- Cosa te ne pare, caro? - chiese mia moglie guardandomi. - Ci andrai?- Davvero non so che dire. Ho molto lavoro in questi giorni.- Oh, Anstruther ti sostituirà. Sei un po' pallido, ultimamente. Penso che

cambiare aria per un po' ti farà bene, e poi i casi di Sherlock Holmes ti in­teressano sempre così tanto!

- Sarei davvero un ingrato se non fosse così, considerando quel che ho guadagnato grazie a uno di essi - risposi. - Ma se decido di andare, devo fare le valige immediatamente, dato che ho solo mezz'ora di tempo.

La mia esperienza della vita di campo in Afghanistan aveva sortito per lo meno l'effetto di fare di me un celere viaggiatore. Le mie esigenze erano poche e semplici, cosicché in meno del tempo stabilito mi ritrovai in un taxi con la mia valigia, diretto verso la stazione di Paddington. Sherlock Holmes stava camminando su e giù davanti ai binari dei treni, con la sua fi­gura alta e scarna resa ancora più alta e scarna dal lungo soprabito grigio da viaggio che indossava, abbinato al cappello in tinta.

- Avete fatto davvero bene a venire, Watson - disse. - Ritengo molto im­portante avere con me qualcuno di cui mi fido ciecamente. Gli aiuti che si possono reperire sul luogo sono sempre persone prive di valore o corrotte. Se voi rimanete qui, a tenere quei due posti d'angolo, io andrò a prendere i biglietti.

Avevamo tutto lo scompartimento per noi, fatta eccezione per un'im­mensa quantità di carte che Holmes aveva portato con sé. Tra queste, egli rovistava e leggeva, con alcune pause in cui prendeva degli appunti e medi­tava, e così continuò finché non passammo Reading. Poi, improvvisamente le accartocciò tutte in una gigantesca palla, che gettò sulla retina dei baga­gli.

- Avete sentito niente del caso? - mi chiese.- Neanche una parola. Non leggo i quotidiani da un paio di giorni.- I giornali di Londra hanno pubblicato un resoconto dei fatti molto

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completo. Stavo proprio dando un'occhiata a tutti i quotidiani degli ultimi giorni per essere in grado di padroneggiare tutti i particolari. Sembrerebbe, da quanto ho visto, uno di quei casi semplici che si rivelano poi estrema­mente difficili.

- Mi sembra un po' paradossale.- Ma è profondamente vero. La bizzarria è invariabilmente un indizio.

Più un delitto è comune e privo di particolari caratteristici, più è difficile ri­solverlo. In questo caso, comunque, è già stata costruita una solida accusa contro il figlio della vittima.

- Si tratta di un assassinio, allora?- Be', così si ipotizza. Io non darò niente per scontato finché non avrò

l'opportunità di esaminare i fatti di persona e da vicino. Vi spiegherò ades­so, in poche parole, come stanno le cose, per quanto sono stato in grado di capire fino ad ora.

"Boscombe Valley è un distretto non distante da Ross, nell'Herefordshi­re. Il più grande proprietario terriero della zona è un certo John Turner, che ha fatto fortuna in Australia ed è ritornato in patria qualche anno fa. Egli diede una delle fattorie che possedeva, quella di Hatherley, al signor Char­les McCarthy, anch'egli reduce da un lungo soggiorno in Australia. I due uomini s'erano conosciuti nelle colonie, e quindi non deve stupirci che quando stabilirono di fare ritorno nel vecchio continente, avessero deciso di abitare il più vicino possibile. Apparentemente, Turner era il più ricco dei due, così McCarthy divenne suo fittavolo, tuttavia, il loro rapporto ri­mase, sembra, in termini di perfetta uguaglianza, dal momento che essi si frequentavano spesso. McCarthy aveva un figlio, un ragazzo di diciotto anni, e Turner aveva solo una figlia, pressappoco della stessa età, ed erano entrambi vedovi. Sembra che evitassero di frequentare le famiglie delle proprietà limitrofe, e che conducessero vita i ritirata, sebbene i due McCar­thy fossero appassionati di sport e si facessero spesso vedere alle gare di corsa del vicinato. McCarthy aveva due inservienti... un uomo e una ragaz­za. Turner aveva molto personale, almeno una mezza dozzina, tra uomini e donne. Questo è tutto ciò che sono riuscito a sapere riguardo alle due fami­glie. Ma ora veniamo ai fatti.

"Il 3 giugno, vale a dire lunedì scorso, McCarthy lasciò casa sua, a Ha­therley, alle quindici circa, e si diresse a piedi verso il laghetto di Boscom­be, un piccolo lago formato da un torrentello che scorre lungo Boscombe Valley. Quella mattina si era recato a Ross con il suo stalliere, al quale ave­va detto di avere fretta, perché aveva un appuntamento importante alle tre.

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Da quell'appuntamento non tornò vivo. Tra la fattoria di Hatherley e il la­ghetto di Boscombe c'è un quarto di miglio, e mentre percorreva questo tratto di strada, McCarthy è stato visto da due persone. Una era una vec­chia, del cui nome non si fa menzione, e l'altro era un certo William Crow­der, un guardacaccia al servizio del signor Turner. Entrambi i testimoni hanno dichiarato che il signor McCarthy era da solo. Il guardacaccia ha ag­giunto che un paio di minuti dopo aver visto passare il signor McCarthy, ha visto anche il figlio di quest'ultimo, il signor James McCarthy, che andava nella stessa direzione del padre, con un fucile sotto il braccio. Crowder è convinto che il vecchio McCarthy fosse ancora visibile, e che il figlio lo stesse seguendo. Non ha più pensato a questo fatto fino a quando, quella sera, ha appreso la notizia della tragedia che era avvenuta.

"Ma i due McCarthy furono visti anche dopo che William Crowder, il guardacaccia, li ebbe persi di vista. Il laghetto di Boscombe è circondato da un fitto bosco, e solo intorno alle sponde vi è uno spiazzo d'erba, dove cre­scono anche delle canne. Una ragazza di quattordici anni, Patience Moran, che è la figlia del custode della proprietà di Boscombe Valley, si trovava nel bosco, a raccogliere dei fiori. La ragazza sostiene di aver visto, mentre si trovava lì, proprio ai margini del bosco, e vicino al laghetto, il signor McCarthy e suo figlio, i quali, a quanto pare, stavano avendo un violento litigio. Patience sentì che il vecchio McCarthy usava delle parole molto forti nei confronti del figlio, e vide quest'ultimo sollevare la mano come se stesse per colpire il padre. La ragazza si spaventò a tal punto della loro vio­lenza, che scappò via e, quando giunse a casa, raccontò alla madre di aver lasciato i due McCarthy che litigavano vicino al laghetto di Boscombe, e di aver paura che stessero per venire alle mani. Aveva appena finito di parla­re, quando il giovane McCarthy arrivò correndo alla casa del custode, di­cendo che aveva trovato suo padre morto nel bosco e chiedendo l'aiuto del­l'uomo. Era molto agitato, e non aveva con sé né il cappello né il fucile, mentre la mano e la manica destre erano macchiate di sangue fresco. Se­guendolo, trovarono il cadavere disteso sull'erba accanto al laghetto. La te­sta era stata colpita ripetuta mente con qualche oggetto pesante. Le ferite erano tali che avrebbero potuto benissimo essere state inferte con il calcio del fucile del figlio, che è stato trovato sull'erba, a pochi passi dal corpo. Viste le circostanze, il giovane è stato immediatamente arrestato, ed essen­do stato il responso dell'inchiesta di martedì, di "omicidio colposo", egli è stato condotto mercoledì davanti ai magistrati di Ross, i quali sottoporran­no il caso alla prossima Assise. Questi sono i fatti principali della vicenda,

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come sono stati esposti dal medico legale e dalla polizia."- Mi riesce difficile immaginare un caso più intricato di questo - osser­

vai. - Non ne ricordo un altro in cui le circostanze indicassero il colpevole in maniera così precisa.

- Le circostanze traggono in inganno - mi rispose Holmes, pensieroso. - Sembra che indichino una pista in maniera inequivocabile, ma se spostate un pochino il vostro punto di vista, a volte scoprite che esse indicano altret­tanto inequivocabilmente una pista completamente diversa. Bisogna am­mettere, ad ogni modo, che la situazione sembra molto grave per il giova­ne, ed è senza dubbio possibile che egli sia effettivamente il colpevole. Co­munque, ci sono molte persone dei dintorni che credono nella sua innocen­za, e queste la signorina Turner, la quale ha incaricato Lestrade, che forse ricorderete per il suo "Studio in Rosso", di risolvere il caso a favore del giovane. Lestrade, alquanto perplesso, ha chiamato me, ed è per questo che due gentiluomini di mezz'età stanno precipitandosi verso ovest a una velo­cità di cinquanta miglia all'ora, anziché starsene tranquillamente a casa loro, a digerire la colazione.

- Temo - dissi io - che i fatti siano talmente ovvi, che caveremo ben poco da questo caso.

- Non vi è niente di più ingannevole di un fatto ovvio - mi rispose il grande detective, ridendo. - Inoltre, ci potrebbe capitare di imbatterci in al­tri fatti altrettanto ovvi, che potrebbero non essere apparsi tali al signor Le­strade. Mi conoscete troppo bene per credere che io mi dia delle arie, quan­do dico che io confermerò o distruggerò la sua teoria impiegando dei mez­zi, dei quali egli è piuttosto incapace di avvalersi, o addirittura di capire.

Per prendere il primo esempio che mi viene in mente, io sono del tutto sicuro che la finestra della vostra camera da letto si trova sul lato destro della vostra stanza, e dubito che il signor Lestrade si sarebbe accorto di una cosa così evidente.

- Come diavolo...- Mio caro amico, vi conosco bene. Conosco la precisione militaresca

che vi caratterizza. Voi vi fate la barba ogni mattina, e questa stagione la fate alla luce del sole; ma dato che la vostra rasatura si fa via via meno ac­curata man mano che ci si avvicina al lato sinistro del viso, fino ad assume­re, attorno alla zona dell'angolo della mascella, un aspetto decisamente tra­sandato, è senza dubbio molto chiaro che quel lato è meno illuminato del­l'altro. Non riesco a credere che un uomo con le vostre abitudini possa guardarsi allo specchio in piena luce, ed essere soddisfatto di un risultato

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del genere. Vi ho citato questo fatto solo come banale esempio del mio me­todo, che si avvale dell'osservazione, e procede in maniera induttiva. È possibile che esso si riveli d'aiuto nel corso dell'indagine che ci aspetta. Ci sono inoltre uno o due punti d'importanza minore, che sono emersi durante l'inchiesta, e che vale la pena prendere in considerazione.

- Quali sono?- Sembra che l'arresto del giovane non sia avvenuto immediatamente,

ma al suo ritorno alla fattoria di Hatheley. Quando l'ispettore del distretto lo ha informato che doveva considerarsi in stato di arresto, il giovane Mc­Carthy ha detto di non essere sorpreso di apprendere quella notizia, e di meritarselo. Questa sua osservazione ha sortito l'effetto, piuttosto naturale del resto, di dissipare ogni traccia di dubbio che la giuria avrebbe potuto ancora avere sulla sua colpevolezza.

- S'è trattato di una confessione - esclamai.- No, dal momento che è stata seguita da una dichiarazione di innocen­

za.- Giungendo alla fine di una serie di eventi come quelli occorsi, s'è trat­

tato per lo meno di un'affermazione sospetta.- Al contrario - osservò Holmes - è lo spiraglio più chiaro che in questo

momento riesco a intravedere fra tutte queste nuvole nere. Indipendente­mente dal fatto che sia innocente o meno, non potrebbe essere tanto imbe­cille da non rendersi conto che le circostanze sono decisamente a suo sfa­vore. Se si fosse dimostrato sorpreso di venire arrestato, o se avesse palesa­to indignazione per questo fatto, avrei guardato a lui con molto sospetto, perché tali reazioni di sorpresa e di rabbia non sarebbero state naturali, date le circostanze, anche se a chi ha qualcosa da nascondere possano sembrare la miglior linea di condotta da seguire. Il suo aver accettato la situazione in maniera così franca, dovrebbe essere indice, o della sua innocenza, o del fatto che è un uomo dotato di un autocontrollo e di una fermezza notevoli. Per quanto riguarda la sua affermazione circa il meritarsi ciò che gli era ac­caduto, direi che è piuttosto comprensibile, da parte sua, aver detto una cosa del genere, se consideriamo che egli, quando ha pronunciato quella frase si trovava accanto al corpo del padre, e che non c'è alcun dubbio che proprio quel giorno, il giovane avesse dimenticato i suoi doveri filiali, fino al punto di alzare la voce con suo padre e di, secondo la testimonianza così importante fornitaci dalla ragazzina, aver addirittura alzato la mano su di lui come per colpirlo. L'autorimprovero che si è rivolto e il pentimento che ha dimostrato con quell'osservazione, mi sembrano segni di una mente in­

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nocente, piuttosto che di una colpevole.Scossi il capo. - Molti uomini sono stati impiccati sulla base di prove di

gran lunga meno schiaccianti di queste - osservai.- È così. Ma è anche vero che molti uomini sono stati impiccati ingiusta­

mente.- E qual è il resoconto dei fatti fornito dal giovane?- Non è, temo, molto incoraggiante per chi sostiene la sua innocenza,

anche se ci sono uno o due punti piuttosto suggestivi. Lo trovate qui, e po­tete leggerlo da voi.

Estrasse dalla sua borsa una copia del quotidiano locale della contea dell'Herefordshire, e dopo aver cercato la pagina con l'artico in questione, m'indicò il brano in cui lo sfortunato giovane fornì, la sua versione dei fatti occorsi. Diceva così:

Il signor James McCarthy, l'unico figlio della vittima, fu poi chiamato a testimoniare e rilasciò la seguente dichiarazione: "Ero stato via da casa per tre giorni, mi ero recato a Bristol, e quella mattina di lunedì scorso, il giorno 3, ero appena ritornato. Mio padre non era in casa, al mio arrivo, e io fui informato dalla cameriera che s'era recato a Ross, con John Cobb, lo stalliere. Poco dopo il mio ritorno sentii provenire dal giardino il rumo­re delle ruote del suo calesse e, guardando dalla finestra, lo vidi scendere e dirigersi rapidamente fuori dal cortile, anche se non sapevo in che dire­zione stesse andando. Allora presi il fucile e uscii anch'io, dirigendomi verso il laghetto di Boscombe, con l'intenzione di recarmi a caccia di coni­gli, in una zona del bosco che ne è piena, e che si trova dall'altro lato della collina. Per strada vidi William Crowder, il guardiacaccia, come egli ha dichiarato nella sua deposizione, ma sbaglia se pensa che stessi seguendo mio padre. Non avevo la minima idea che egli mi stesse precedendo. Quando mi trovavo a circa cento iarde dal laghetto, sentii il grido "Cooee!", che era il consueto richiamo tra mio padre e me. Quindi affret­tai il passo, continuando a procedere diritto, e lo trovai in piedi accanto al laghetto. Mi parve molto sorpreso di vedermi, e mi chiese piuttosto bru­scamente che cosa stessi facendo là. Seguì una conversazione che degene­rò in parole pesanti e ci mancò poco che non arrivassimo alle mani, dato che mio padre era un uomo dal temperamento molto violento. Vedendo che la sua collera stava divenendo quasi incontrollabile, lo lasciai, incammi­nandomi verso la fattoria di Hatherley. Non avevo percorso più di cento­cinquanta iarde, comunque, quando udii un grido alle mie spalle, che mi fece tornare sui miei passi di corsa. Trovai mio padre disteso a terra che

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stava agonizzando, con la testa ferita in modo orrendo. Lasciai cadere il fucile e presi mio padre tra le braccia, ma spirò quasi subito. Rimasi ingi­nocchiato lì per alcuni minuti, e poi m'incamminai verso la casa del signor Turner, dal momento che era la più vicina, per chiedere aiuto. Non vidi nessuno accanto a mio padre quando ritornai, e non ho idea di come si sia procurato quelle ferite. Non era un uomo molto popolare, a causa del suo modo di fare piuttosto freddo e scostante, ma non aveva, per quanto ne so io, alcun nemico. Non so nient’altro. "

Il Coroner: Vostro padre ha detto qualcosa, prima di morire?Teste: Ha mormorato qualche parola, ma io sono riuscito ad afferrare

solo qualche allusione a un ratto.Il Coroner: E che cosa avete capito?Teste: Le sue parole non avevano alcun significato, per me. Pensai che

stesse delirando.Il Coroner: Qual è stato il motivo per cui vostro padre e voi avevate

avuto quell'ultimo litigio?Teste: Preferirei non rispondereIl Coroner: Temo di dovervi sollecitare a farlo.Teste: Mi è davvero impossibile dirvelo. Posso assicurarvi che nonha niente a che vedere con la tragedia che seguì.Il Coroner: Questo lo deve decidere la corte. Devo informarvi che il vo­

stro rifiuto di rispondere pregiudicherà la vostra posizione in maniera no­tevole in ogni procedimento che, in futuro, potrebbe essere preso.

Teste: Devo comunque rifiutare di rispondervi.Il Coroner: Se ho capito bene, il grido "Cooee" era un segnale consueto

tra vostro padre e voi.Teste: Sì, è così.Il Coroner: E come mai, allora, egli ha lanciato questo segnale prima

di vedervi, e prima ancora di sapere che eravate tornato da Bristol?Teste (molto confuso): Non lo so.Un Giurato: Non avete visto niente che vi abbia insospettito, mentre

stavate tornando indietro, dopo aver sentito vostro padre urlare, e dopo averlo trovato mortalmente ferito?

Teste: Niente di preciso.Il Coroner: Che cosa intendete dire?Teste: Ero talmente sconvolto ed emozionato, quando mi sono precipita­

to fuori dal bosco, che non ero in grado di pensare a nientaltro che a mio padre. Tuttavia ho avuto la vaga sensazione che mentre correvo, ci fosse

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qualche cosa per terra alla mia sinistra. Mi sembrò che fosse qualche cosa di colore grigio, una specie di soprabito, o una coperta, forse. Quando mi alzai, per andare a cercare aiuto, mi guardai in giro cercando questo og­getto, ma non c'era più.

- Intendete dire che era sparito prima che andaste a chiamare aiuto?- Sì, era sparito.- E non siete in grado di dire di che cosa si trattasse?- No, ho semplicemente avuto la sensazione che ci fosse qualcosa.- A che distanza dal corpo?- Più o meno una dozzina di iarde.- E a che distanza dal margine del bosco?- Più o meno la stessa.- Dunque se è stato portato via, ciò è avvenuto mentre vi trovavate a

circa dodici iarde di distanza?- Sì, ma voltavo le spalle a questo oggetto.Così si concluse l'interrogatorio del teste.- Vedo - dissi io, non appena ebbi finito di leggere l'articolo - che il co­

roner è stato piuttosto severo con McCarthy, nelle sue osservazioni conclu­sive. Richiama l'attenzione, e a ragione, sul fatto che il padre ha pronuncia­to il loro segnale di richiamo prima di aver visto il figlio, e anche sul suo rifiuto di fornire i dettagli della conversazione con il padre, e sullo strano resoconto delle ultime parole di questi. Tutti fatti, come egli fa notare, che sono decisamente contro il giovane McCarthy.

Holmes rise piano tra sé e sé, e s'allungò sul sedile imbottito: - Sia voi che il coroner avete la stessa difficoltà - disse - nell'isolare i fatti di notevo­le importanza che sono a favore del giovane. Non vi rendete conto che, alla fin fine, lo state accusando alternativamente di avere troppa immaginazio­ne e di averne troppo poca? Troppo poca, se non è stato in grado di inven­tare una ragione per il litigio, in modo da accattivarsi le simpatie della giu­ria; troppa, se si è inventato una cosa così strana come il riferimento che il padre morente avrebbe fatto al ratto, e l'incidente del pezzo di stoffa scom­parso. Nossignore, io affronterò il caso partendo dal presupposto che ciò che dice quest'uomo è vero, e vedremo dove ci porterà questa ipotesi. E ora mi dedicherò al mio Petrarca in formato tascabile, e non dirò un'altra paro­la su questo caso finché non saremo sul luogo del delitto. Pranziamo a Swindon, e vedo che ci saremo tra venti minuti.

Erano quasi le quattro, quando, finalmente, dopo essere passati attraver­so la bellissima Stroud Valley, e sopra il largo e scintillante Severn, ci tro­

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vammo nella graziosa e piccola cittadina di Ross. Ci aspettava, all'arrivo del treno, un uomo che aveva tutta l'aria di essere un investigatore, magro, e dall'aspetto furtivo e scaltro. Nonostante lo spolverino marrone chiaro e i gambali di pelle che indossava in segno di rispetto per i rustici dintorni, non ebbi alcuna difficoltà a riconoscere in quell'uomo, Lestrade, di Sco­tland Yard. Assieme a lui ci dirigemmo all'Hereford Arms, dove c'era già una stanza prenotata a nostro nome.

- Ho prenotato una carrozza - disse Lestrade, mentre prendevamo il tè.- So che siete molto attivo di carattere, e che non sareste stato in pace

finché non vi foste trovato sul luogo del delitto.- Molto gentile da parte vostra - replicò Holmes. - È solamente una que­

stione di pressione barometrica.Lestrade sembrava stupefatto. - Non sono sicuro di riuscire a seguirvi -

disse.- Cosa dice il barometro? Ventinove, vedo. Niente vento, non una nuvo­

la in cielo. Ho un pacchetto di sigarette nuovo, che attende di essere fuma­to, e il divano dell'hotel è di una qualità di gran lunga superiore alla solita. Non credo sia probabile che usi la carrozza questa sera.

Lestrade rise con indulgenza. - Avete, senza dubbio, già tratto le vostre conclusioni dai giornali - disse. - Il caso è chiarissimo, e più ci si inoltra in esso, più chiaro diventa. Ma nonostante ciò, non si può dire di no a una si­gnora, specialmente a una come questa. Ha sentito parlare di voi, e vuole la vostra opinione, anche se le ho detto ripetutamente che non c'era niente che voi poteste fare che non avessi già fatto io. A proposito, ecco la sua carroz­za.

Aveva appena terminato di pronunciare le ultime parole, quando irruppe nella stanza una delle giovani più belle che avessi visto in vita mia. Con gli occhi viola che brillavano, le labbra socchiuse, e il viso lievemente arrossa­to, pareva completamente dimentica del suo naturale riserbo, che era stato sopraffatto dall'agitazione e dalla preoccupazione.

- Oh, signor Sherlock Holmes! - esclamò, spostando lo sguardo da lui a me, per poi fermarsi, con rapida intuizione femminile, sul viso del mio col­lega. - Sono così felice che siate venuto. Sono venuta fin qui apposta per dirvelo. So che non è stato James. Lo so, e voglio che anche voi iniziate il vostro lavoro con questa convinzione. Non dubitatene mai. Ci conosciamo da quando eravamo bambini, e conosco i suoi difetti come nessun altro, ma non farebbe male a una mosca: è troppo buono. Questa accusa è semplice­mente assurda, per tutti noi che lo conosciamo.

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- Spero che riusciremo a dimostrare la sua innocenza. State pur certa che farò tutto quanto in mio potere.

- Ma voi avete certamente letto il verbale dell'accaduto. Ne avete già tratto qualche conclusione? Riuscite a vedere qualche via d'uscita, qualche scappatoia? Non pensate anche voi che sia innocente?

- Ritengo molto probabile che lo sia.- Ecco! - esclamò, gettando indietro il capo e lanciando a Lestrade uno

sguardo di sfida. - Avete sentito? Mi dà delle speranze!Lestrade si strinse nelle spalle. - Temo che il mio collega sia stato un po'

troppo precipitoso nel trarre le sue conclusioni - disse.- Ma ha ragione. Oh, io lo so che ha ragione. Non è stato James. E ri­

guardo al suo litigio con il padre, sono sicura che la ragione per cui non ne ha voluto dire la causa al coroner, è che ne ero coinvolta anch'io.

- In che modo? - chiese Holmes.- Non è questo il momento per nascondere nulla. James e suo padre ave­

vano dei dissapori a causa mia. Il signor McCarthy caldeggiava un matri­monio tra noi. James e io ci siamo sempre voluti bene come fratello e so­rella, ma lui naturalmente è molto giovane e non ha ancora visto abbastan­za della vita, e... e... be', ovviamente non si sentiva ancora pronto per com­piere un passo del genere. Per questa ragione litigavano spesso, e anche questa volta, ne sono certa, il motivo era il solito.

- E vostro padre? - chiese Holmes - era favorevole a questa unione?- No, neanche lui era propenso. L'unico a volerla era il signor McCarthy.

- La ragazza arrossì lievemente quando si accorse dello sguardo acuto e in­dagatore che Holmes le aveva rivolto.

- Grazie per questa informazione - disse lui. - Posso vedere vostro pa­dre, se passo da voi, domani mattina?

- Temo che il medico non ve lo consentirà.- Il medico?- Sì, non avete saputo? Il mio povero papà non è in forze da molti anni,

ma questi ultimi avvenimenti l'hanno buttato a terra completamente. S'è messo a letto, e il dottor Willows dice che è ridotto male e che il suo siste­ma nervoso ha ceduto. Il signor McCarthy era l'unica persona ancora viva che aveva conosciuto papà ai vecchi tempi, a Victoria.

- Ah! a Victoria! Questo è importante.- Sì, nelle miniere.- Proprio così; nelle miniere d'oro, dove, immagino, il signor Turner ha

fatto fortuna.72

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- Sì, è esatto.- Grazie, signorina Turner. Mi siete stata di grande aiuto.- Domani mi direte se ci sono delle novità. Sono certa che andrete in

prigione a trovare James. Oh, se lo farete, signor Holmes, ditegli che io so che è innocente!

- Lo farò, signorina Turner, non dubitatene.- Devo andare a casa, ora, perché papà sta molto male, e ha tanto biso­

gno della mia presenza. Arrivederci, e che Dio vi assista nel vostro lavoro. - Uscì dalla stanza impulsivamente com'era entrata, e poco dopo sentimmo il rumore delle ruote della sua carrozza allontanarsi lungo la strada.

- Mi meraviglio di voi, Holmes - disse Lestrade con dignità dopo alcuni minuti di silenzio. - Perché alimentate delle speranze che sarete costretto a deludere? Io non sono particolarmente tenero di cuore, ma questa la chia­mo crudeltà.

- Credo di aver in mente un modo per tirare James McCarthy fuori da questa storia - ribatté Holmes. - Avete un permesso per andare a fargli visi­ta in prigione?

- Sì, ma solo per voi e me.- Allora dovrò riconsiderare la mia decisione di non uscire. Siamo anco­

ra in tempo per prendere un treno per Hereford e vedere il giovane questa sera?

- Ampiamente.- Bene, allora facciamo così. Watson, temo che a voi sembreranno lun­

ghissime, ma starò via solo un paio d'ore.Andai a piedi fino alla stazione con loro, e poi mi misi a bighellonare

per le strade della cittadina, per tornare infine all'hotel, dove mi distesi sul divano, cercando di interessarmi a un romanzo dalla copertina gialla. L'in­treccio e la trama della storia erano così deboli, però, se paragonati al pro­fondo mistero in cui stavamo annaspando, e mi ritrovai talmente spesso a fantasticare, con l'attenzione rivolta ai recenti fatti, che alla fine gettai il li­bro dall'altra parte della stanza e mi dedicai interamente a meditare sugli eventi della giornata. Supponendo che la versione dei fatti fornita da quello sventurato giovane rispondesse davvero, e in maniera puntuale, alla realtà, allora, quale macchinazione infernale, quale calamità straordinaria e asso­lutamente imprevedibile, sarebbe potuta succedere tra il momento in cui il giovane aveva lasciato il padre e quello in cui, richiamato dalle urla di que­st'ultimo, s'era precipitato nella radura? Era qualcosa di terribile e mortale. Che cosa poteva essere? La natura delle ferite non avrebbe forse potuto

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dire qualcosa al mio istinto di medico? Suonai il campanello e chiesi che mi venisse portato il settimanale della contea, che conteneva il verbale det­tagliato dell'inchiesta. Nella deposizione del chirurgo si affermava che il terzo posteriore dell'osso parietale sinistro e la metà sinistra dell'occipitale erano stati sfondati da un violento colpo, inferto da un oggetto non appun­tito. Con un dito segnai la parte interessata sulla mia testa. Era chiaro che un colpo del genere doveva essere stato vibrato da dietro. Questo era, al­meno in parte, a favore dell'accusato, dato che, quando era stato visto, il giovane stava litigando faccia a faccia, con il padre. In ogni caso, non si­gnificava un granché, dal momento che il vecchio avrebbe potuto voltargli le spalle prima che il colpo venisse vibrato. Ciò nonostante, forse valeva la pena di richiamare l'attenzione di Holmes su quel punto. E poi c'era quello strano riferimento, fatto in punto di morte, a un ratto. Che cosa poteva vo­ler dire? Non poteva trattarsi di delirio. Di solito, un uomo che muore al­l'improvviso, per un colpo di quel genere, non delira. No, era più probabile che si trattasse di un tentativo, da parte di McCarthy, di spiegare in quale modo si era compiuto il suo destino. Ma che cosa poteva indicare? Invano mi spremetti le meningi per trovare qualche possibile spiegazione. E c'era anche l'incidente di quel pezzo di stoffa visto dal giovane McCarthy. Am­mettendo che fosse vero, l'assassino, fuggendo, doveva aver perso qualche indumento, presumibilmente il soprabito, e doveva aver avuto tanto sangue freddo da tornare sul luogo del delitto a riprenderselo, attendendo il mo­mento in cui il giovane McCarthy era inginocchiato e gli volgeva la schie­na, a meno di una dozzina di passi da lui. Che intrico di mistero e di impro­babilità era l'intera faccenda! Non mi meravigliava affatto l'opinione che se n'era fatta Lestrade, ma avevo talmente tanta fiducia nell'intuito di Sher­lock Holmes, che non dovevo perdere le speranze, per lo meno finché ogni fatto nuovo non avesse contribuito a rafforzare la sua convinzione che il giovane McCarthy fosse innocente.

Era tardi quando Sherlock Holmes fece ritorno. Rientrò da solo, perché Lestrade aveva preso alloggio in città.

- La pressione si mantiene alta - mi fece notare, sedendosi. È importante che non piova prima che riusciamo a ispezionare il terreno. D'altro canto, bisogna essere freschi e in perfetta forma per un lavoro del genere, e io non voglio dedicarmici quando sono fiaccato da un lungo viaggio. Ho visto il giovane McCarthy.

- E che cosa avete saputo da lui?- Niente.

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- Non è stato in grado di gettar luce...- Assolutamente no. Ad un certo punto ero propenso a credere che egli

sapesse chi era stato, ma stesse cercando di proteggerlo o proteggerla, ma ora sono convinto che egli stesso è stupefatto, come tutti. Non è un ragazzo di ingegno molto brillante, anche se di aspetto piacevole, e, direi di buoni sentimenti.

- Non si può certo dire che abbia buon gusto - osservai - se è vero che è contrario al matrimonio con una ragazza affascinante come questa signori­na Turner.

- Ah, questa è una storia piuttosto triste. Questo giovane è pazzamente, follemente innamorato di lei, ma circa due anni fa, quando era solo un ra­gazzo, e prima che la conoscesse bene come la conosce ora, dato che lei ha studiato per cinque anni via da casa, quell'idiota non ha trovato niente di meglio da fare che cadere nelle grinfie della cameriera di un bar di Bristol, e l'ha sposata civilmente. Nessuno sa assolutamente niente di questa storia, ma potete immaginare come dev'essere stato straziante, per quel giovane, essere rimproverato perché non acconsentiva a fare ciò per cui egli avrebbe dato un occhio, ma che sapeva essere assolutamente impossibile. Ed è que­sto il motivo della rabbia che gli ha fatto perdere il lume della ragione e al­zare la mano su suo padre, quando quest'ultimo, nel corso del loro ultimo colloquio lo stava pungolando perché si decidesse a chiedere alla signorina Turner di sposarlo. D'altro canto, egli non aveva alcuna fonte di reddito per potersi mantenere da solo, e suo padre, che tutti dicono essere stato un uomo molto duro, se fosse venuto a conoscenza della verità, lo avrebbe completamente abbandonato a se stesso. È con la moglie che il giovane ha trascorso quei tre giorni a Bristol, e suo padre non sapeva dove fosse. Pren­dete nota di questo punto. È importante. Comunque, dal male è risultato qualcosa di positivo, dal momento che la cameriera, apprendendo dai gior­nali che il marito si trova in un guaio serio, e che è probabile che venga im­piccato, lo ha abbandonato, scrivendogli che ha già un marito alle Bermu­da, e che, di conseguenza, non esiste davvero alcun legame tra loro due. Credo che questa notizia sia servita a consolare il giovane McCarthy per tutto quello che ha sofferto.

- Ma se lui è innocente, chi è stato, allora?- Ah! Chi? Richiamerei la vostra attenzione in maniera particolare su

due punti. Il primo è che la vittima aveva un appuntamento al laghetto con qualcuno, e che quel qualcuno non poteva essere suo figlio, dato che suo figlio era via, e lui non sapeva quando sarebbe ritornato. Il secondo, è che

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la vittima è stata sentita gridare: "Cooee!", prima di sapere che suo figlio era ritornato. Questi sono i due punti crociali, da cui dipende tutto il caso. E ora parliamo di George Meredith, se non vi dispiace, e lasciamo tutte le questioni minori a domani.

Non era piovuto, come Holmes aveva previsto, e il cielo era brillante e terso, senza una sola nuvola. Alle nove in punto Lestrade venne a prenderci con la carrozza, e partimmo, diretti alla fattoria di Hatherley e al laghetto di Boscombe.

- Ci sono delle brutte notizie, questa mattina - osservò Lestrade. - Si dice che il signor Turner stia così male che si dispera ormai di salvarlo.

- È anziano, immagino - disse Holmes. - Ha circa sessant'anni, ma il suo fisico s'è indebolito a causa della vita che ha condotto all'estero, e inoltre non era in buona salute già da qualche tempo. Questa faccenda l'ha colpito molto, e ha avuto su di lui un effetto davvero negativo. Era un vecchio amico di McCarthy e, potrei aggiungere, un suo grande benefattore, poiché ho saputo che gli ha dato in concessione la fattoria Hatherley per niente.

- Davvero! Questo è interessante - ribatté Holmes.- Oh, sì! E lo ha aiutato in cento altri modi. Tutti qui parlano della sua

magnanimità nei confronti di McCarthy.- Veramente! Non vi sembra strano che McCarthy, nonostante sembras­

se avere ben poco di suo, e fosse così obbligato nei confronti di Turner, parlasse con tanta leggerezza del matrimonio tra suo figlio e la figlia di Turner, la quale presumibilmente è l'erede della proprietà, come se si trat­tasse solo di proporlo, e poi tutto il resto sarebbe seguito senza problemi? Ed è ancora più strano se consideriamo che lo stesso Turner era contrario. Questo ce lo ha detto la figlia. Non ne deducete niente?

- Siamo arrivati alle deduzioni e alle supposizioni - disse Lestrade, fa­cendomi l'occhiolino. - Mi sembra già abbastanza difficile affrontare i fatti, Holmes, senza deconcentrarci su teorie e fantasie.

- Avete ragione - replicò Holmes con tono mite - è vero che voi trovate molto difficile affrontare i fatti.

- Comunque, io ho colto un fatto che a voi sembra difficile afferrare -re­plicò Lestrade accalorandosi.

- E cioè...- Che il vecchio McCarthy ha incontrato la morte per mano del giovane

McCarthy, e tutte le teorie volte a dimostrare il contrario, sono pura fanta­sia.

- Be', meglio che niente - replicò Holmes ridendo. - Ma se non mi sba­76

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glio, quella a sinistra è la fattoria di Hatherley.- Sì, è così - confermò Lestrade. Si trattava di un edificio imponente,

dall'aspetto confortevole, a due piani, con il tetto in ardesia, e grosse chiaz­ze di muschio sui muri grigi. Tuttavia, gli scuri abbassati, e il fatto che dai camini non uscisse fumo, conferivano alla costruzione un'aria quasi soffe­rente, come se il peso della tragedia gravasse ancora sopra di essa.

Bussammo alla porta e ci venne ad aprire la cameriera che, su richiesta di Holmes, ci mostrò gli stivali che il suo padrone indossava al momento della morte, e anche un paio che appartenevano al figlio, anche se non era­no quelli che portava quando era stato commesso il delitto. Dopo aver mi­surato quelle calzature con grande cura, e da sette od otto angolature diffe­renti, Holmes desiderò essere condotto nel cortile, dal quale tutti noi ci in­camminammo lungo il tortuoso sentiero che porta al laghetto di Boscombe.

Sherlock Holmes si trasformava, quand'era intento a seguire una pista, come in questo caso. Le persone che vedevano in lui solamente il calmo pensatore e l'uomo di logica di Baker Street, non lo avrebbero riconosciuto, in quel momento. Era diventato tutto rosso in viso, e poi si era rabbuiato. Le sopracciglia erano tese e parevano due sottili linee nere, mentre gli oc­chi scintillavano da sotto di esse con un luccichio d'acciaio. Il volto era ri­volto in basso, verso terra, le spalle chinate, le labbra serrate, e le vene sporgevano dal lungo collo vigoroso come dei pezzi di fune. Le narici sem­bravano dilatate a causa di una lussuria puramente animale per la caccia, e la sua mente era così assolutamente concentrata su ciò che aveva davanti, che eventuali domande od osservazioni gli entravano dalle orecchie senza sortire alcun effetto, o al massimo provocavano, come tutta risposta, solo un grugnito brusco e spazientito. Procedeva lungo il sentiero che si dipana­va attraverso i prati con grande agilità e nel massimo silenzio, e continuò così finché non giungemmo al bosco che si trovava vicino al laghetto di Boscombe. Il terreno era umido e paludoso, come in tutta la regione, e c'e­rano molte orme di piedi, sia sul sentiero che tra la corta erba che lo fian­cheggiava, su entrambi i lati. A volte Sherlock Holmes si fermava e rima­neva immobile per qualche istante, e a volte invece abbandonava il sentiero per delle brevi incursioni nei prati circostanti. Lestrade e io camminavamo dietro di lui, il detective indifferente e con un atteggiamento di superiorità, mentre io osservavo il mio amico con un interesse che mi derivava dalla convinzione che tutte le sue azioni erano volte a un fine ben preciso.

Il laghetto di Boscombe, che è un piccolo specchio d'acqua circondato da un canneto, e di un diametro di circa cinquanta iarde, si trova proprio al

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confine tra la fattoria di Hatherly e il parco privato del facoltoso signor Turner. Tra gli alberi di uno dei boschi che delimitano il laghetto, si pote­vano intravedere i rossi pinnacoli svettanti che contrassegnavano il sito dell'abitazione del ricco proprietario terriero. Sul lato della fattoria di Ha­therley il bosco era molto fitto, e vi era una stretta cintura di erba bagnata, che si trovava a una distanza di circa una ventina di passi, tra il margine del bosco e le canne che circondavano il lago. Lestrade ci indicò il punto esatto in cui era stato trovato il cadavere, e devo dire, il terreno era talmente umi­do, che fui tranquillamente in grado di distinguere le tracce lasciate dalla caduta dell'uomo. Per Holmes, come potevo dedurre dall'espressione con­centrata del suo viso, e dagli occhi attenti, c'erano ancora molte cose da leggere, su quell'erba calpestata. Fece un giro attorno al lago correndo, come un cane che sta seguendo una pista, e poi si rivolse a Lestrade.

- Che cosa cercavate, nel laghetto? - gli chiese.- Ho usato un rastrello. Pensavo che potesse esserci qualche arma, o del­

le altre tracce. Ma come diavolo...- Oh, via, via. Non ho tempo! Il segno del vostro piede sinistro, con quel

vezzo che avete di camminare con la punta rivolta verso dentro, è dapper­tutto. Anche una talpa sarebbe in grado di seguire le vostre tracce, che in questo punto svaniscono tra le canne. Oh, come sarebbe stato tutto più semplice, se io fossi venuto qui prima che arrivassero tutti gli altri, a sguazzare qui intorno come una mandria di bufali. Ecco, è da questa parte che è arrivato il gruppo con il custode, e ha coperto tutte le tracce intono al corpo per sei od otto piedi. - Holmes estrasse dalla tasca una lente d'ingran­dimento e si distese sul suo impermeabile per vedere meglio, continuando a parlare per tutto il tempo, ma più a se stesso che a noi.

- Ecco, questi sono i piedi del giovane McCarthy. Per due volte cammi­nava, e una volta correva agilmente, infatti le suole delle scarpe sono ben delineate sul terreno, mentre i talloni si vedono appena. Questo sembra confermare la sua versione dei fatti... Si è messo a correre quando ha visto suo padre steso a terra. Queste, invece, sono le orme che ha lasciato il pa­dre camminando avanti e indietro. E allora questo cos'è? È il segno che ha lasciato il calcio del fucile quando il giovane lo ha appoggiato a terra, men­tre ascoltava suo padre. E queste? Ha, ha! Che cosa abbiamo qui? Delle orme lasciate da qualcuno che camminava in punta di piedi! In punta di piedi! E sono anche delle orme quadrate, degli stivali proprio insoliti! Ven­gono, vanno, ritornano... è chiaro che era per il soprabito. Ora, da dove ve­nivano? Holmes continuava a correre avanti e indietro, a volte perdendo e

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altre ritrovando la pista che stava seguendo, finché non ci ritrovammo den­tro il bosco, all'ombra di un grande faggio, l'albero più grosso dei dintorni. Holmes ritrovò la pista a lato dell'albero, e si distese di nuovo a faccia a terra, emettendo un piccolo grido di soddisfazione. Rimase in quella posi­zione a lungo, a rovistare tra foglie e rametti secchi, raccogliendo qualcosa che a me parve polvere, che mise in una busta, ed esaminando con la lente d'ingrandimento non solo il terreno, ma addirittura la corteccia dell'albero, per quanto gli fosse possibile. Tra il muschio giaceva una pietra seghettata, che fu anch'essa accuratamente esaminata e quindi raccolta. Poi si mise a seguire un sentiero che si snodava attraverso il bosco, finché non giunse sulla strada asfaltata, dove tutte le tracce, ovviamente si perdevano.

- È un caso di notevole interesse - osservò ritornando al suo consueto modo di fare. - Immagino che questa casa grigia sulla sinistra sia l'abitazio­ne del custode. Credo che entrerò a scambiare due parole con Moran, o gli lascerò un messaggio. Dopodiché potremo ritornare indietro a pranzare. Voi due potete intanto incamminarvi verso la carrozza, io vi raggiungerò tra un attimo.

Ci vollero circa una decina di minuti, prima che raggiungessimo la car­rozza e ci dirigessimo verso Ross, con Holmes che portava ancora con sé la pietra che aveva raccolto nel bosco.

- Questa può interessarvi, Lestrade - fece notare il mio amico al detecti­ve, mostrandogliela - È l'arma del delitto

- Non vedo alcun segno.- Infatti, non ce ne sono- Come fate a saperlo, allora?- L'erba stava crescendo sotto a questo sasso Si trovava lì solo da un

paio di giorni Non c'era alcuna indicazione di dove potesse provenire. Cor­risponde alle ferite. Non c'è traccia di alcun'altra arma che possa essere sta­ta impiegata nel delitto.

- E l'assassino?- È un nomo alto, mancino, zoppica un po' con la gamba sinistra, indos­

sava stivali da caccia dalla suola molto spessa, fuma sigarette indiane, ado­pera un bocchino, e ha in tasca un temperino spuntato. Ci sono parecchie altre indicazioni, ma queste possono essere sufficienti ad aiutarci nella no­stra ricerca

Lestrade scoppiò a ridere. - Temo proprio di essere scettico, al riguardo. - disse. - Le teorie vanno tutte molto bene, ma noi avremo a che fare con una giuria inglese, composta da persone dalla testa dura.

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- Nous verrons - ribatté Holmes tranquillamente. - Voi proverete con il vostro metodo e io lavorerò con il mio. Sarò occupato, questo pomeriggio, e probabilmente ritornerò a Londra con il treno della sera.

- E lascerete il caso incompiuto?- No, è concluso.- Ma il mistero?- È risolto.- E chi è il colpevole, allora?- La persona che vi ho descritto.- Ma chi è?- Di certo non dovrebbe essere difficile scoprirlo. Questa non è una zona

molto popolata.Lestrade si strinse nelle spalle. - Sono un uomo pratico - disse - e non è

da me andarmene in giro cercando un mancino con una gamba di legno. Diventerei lo zimbello di Scotland Yard.

–D'accordo - disse Holmes tranquillamente. - Io vi ho dato la possibilità. Eccoci arrivati al vostro albergo. Arrivederci. Vi scriverò due righe prima di partire.

Dopo aver lasciato Lestrade al suo albergo, ci dirigemmo al nastro hotel, dove trovammo il pranzo sul tavolo. Holmes era silenzioso e immer­so nei suoi pensieri, con un'espressione addolorata dipinta sul viso, come di chi si trova in una situazione imbarazzante.

- Venite qui, Watson - mi disse, quando la tavola fu sparecchiata - sede­tevi su questa sedia e lasciate che vi annoi per qualche minuto. Non so pro­prio che cosa fare, e vorrei un vostro consiglio. Accendetevi un sigaro e la­sciate che vi esponga la situazione.

- Vi prego di farlo.- Dunque, considerando questo caso ci sono due punti, in ciò che il gio­

vane McCarthy ci ha raccontato, che ci hanno colpito immediatamente, sebbene abbiano colpito me a suo favore e voi a suo sfavore. Uno era il fat­to che suo padre avesse, secondo quanto egli ci ha riferito, gridato: "Cooee!" prima di averlo visto. L'altro era quel suo stranissimo riferimen­to, fatto in punto di morte, a un ratto. Ha borbottato molte parole, come an­che voi sapete, ma l'unica che il figlio è riuscito a distinguere chiaramente è stata questa. Ora, la nostra ricerca deve procedere da questi due punti, e noi l'incominceremo presumendo che ciò che il giovane dice sia assoluta­mente vero.

- Che cosa mi dite di questo grido, "Cooee!", allora?80

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- Be', ovviamente, non poteva essere diretto al figlio. Il figlio, per quan­to ne sapeva lui, si trovava a Bristol. Si è trattato di un puro caso che egli si trovasse tanto vicino a lui da poterlo sentire. Quel grido di richiamo era volto ad attirare l'attenzione della persona con cui McCarthy aveva quel­l'appuntamento. Ma "Cooee!" è chiaramente un segnale di richiamo austra­liano, che si usa tra australiani. È presumibile che la persona che McCarthy si aspettava di incontrare al laghetto di Boscombe fosse qualcuno che era stato in Australia.

- E che mi dite del ratto, allora?Sherlock Holmes estrasse dalla tasca un foglio di carta piegato e, aperto­

lo, lo dispose sopra il tavolo. - Questa è una carta geografica della Colonia di Victoria - disse. - Ieri sera ho telegrafato a Bristol affinché me la spedis­sero. - Con la mano coprì una parte della carta. Che cosa leggete?

- RAT - lessi io.- E adesso? - mi chiese, sollevando la mano.- BALLARAT.- Proprio così. È questa la parola che l'uomo ha mormorato, e della qua­

le il giovane ha colto solamente l'ultima sillaba. Il vecchio McCarthy stava tentando di dire il nome del suo assassino. Il tizio tal dei tali di Ballarat.

- È fantastico! - esclamai.- È ovvio. E in questo modo, vedete, ho potuto restringere notevolmente

il campo degli indiziati. Il possedere un indumento grigio era un terzo pun­to che, sempre ammettendo che l'affermazione del giovane fosse corretta, era una certezza. Siamo quindi giunti, dalla più totale incertezza, a un'im­magine ben definita di un australiano di Ballarat con un soprabito grigio.

- Certamente.- E si tratta di qualcuno che era di casa al distretto, poiché il laghetto

può essere raggiunto solamente dalla fattoria o dalla proprietà di McCarthy, dove è molto improbabile che un estraneo possa bighellonare.

- Proprio così.- Arriviamo quindi alla nostra spedizione di oggi. Esaminando il terreno

ho raccolto quegli insignificanti dettagli sulla personalità dell'assassino che ho riferito a quell'imbecille di Lestrade.

- Ma come avete fatto a dedurli?- Conoscete il mio metodo. Si basa sull'osservazione di sciocchezze.- Per quanto riguarda l'altezza dell'assassino, so che potevate stimarla

grossomodo in base all'ampiezza dei suoi passi. E anche il tipo di stivali, lo si poteva ricavare dalla natura delle impronte che ha lasciato.

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- È così, si tratta di un paio di stivali particolari.- Ma il fatto che zoppicasse?- Il segno lasciato dal piede destro era sempre meno definito di quello

lasciato dal piede sinistro, su cui poggiava il peso del corpo. Perché? Per­ché zoppicava... era zoppo.

- E come avete dedotto che fosse mancino?- Voi stesso siete rimasto colpito dal tipo delle ferite descritte dal medi­

co legale durante l'inchiesta. Il colpo è stato inferto da dietro, e ciò nono­stante ha interessato la parte sinistra. Ora, come sarebbe potuto avvenire, se non per opera di un mancino? Questi era rimasto nascosto dietro quel gros­so albero durante tutto il colloquio tra padre e figlio. E ha anche fumato, stando lì. Ho trovato la cenere di un sigaro, che le mie speciali conoscenze in materia di tabacco mi consentono di riconoscere come proveniente da un sigaro indiano. Come sapete, mi sono occupato di questo argomento, scri­vendo anche una breve monografia sulla cenere di 140 diversi tipi di tabac­co da pipa, sigaro e sigaretta. Dopo aver trovato la cenere, ho cercato in giro, e ho trovato il mozzicone tra il muschio, dove egli lo aveva buttato. Si trattava di un sigaro indiano, della qualità che viene prodotta a Rotterdam.

- E il bocchino?- Mi sono accorto che l'estremità del sigaro non era stata messa in boc­

ca. Perciò era chiaro che avesse usato un bocchino. La punta del sigaro era stata recisa, non strappata con i denti, ma il taglio non era perfetto, e così ne ho dedotto che avesse usato un temperino spuntato.

- Holmes - dissi io - avete gettato attorno a quest'uomo una rete, dalla quale non potrà sfuggire, e avete salvato la vita di un innocente, proprio come se aveste reciso di netto la corda che sarebbe dovuta servire per im­piccarlo. Ho capito in quale direzione vanno a parare tutti questi dettagli. Il colpevole è...

- Il signor John Turner - annunciò il cameriere dell'hotel, aprendo la por­ta del nostro salotto, e facendo entrare un visitatore.

L'uomo che fece il suo ingresso nella stanza aveva una figura scarna e un'aria imponente. Il passo lento e claudicante e le spalle piegate in avanti gli conferivano un aspetto decrepito, ma i tratti duri e ben delineati, che pa­revano scolpiti nella roccia, e la corporatura massiccia, testimoniavano un'enorme forza fisica e di carattere. La barba leggermente arruffata, i ca­pelli brizzolati, e le sopracciglia ben marcate contribuivano a conferire al suo aspetto un'aria di dignità e di potere, ma l'uomo aveva la faccia pallida come un lenzuolo, mentre sulle labbra e sugli angoli delle narici c'era

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un'ombra bluastra. Mi bastò un'occhiata per capire immediatamente che si trovava nelle spire di una malattia cronica e mortale.

- Prego, accomodatevi sul divano - gli disse Holmes gentilmente. -Avete ricevuto il mio messaggio?

- Sì, me l'ha portato il custode. Dicevate che preferivate vedermi qui per evitare lo scandalo.

- Pensavo che la gente avrebbe mormorato, se mi avesse visto venire da voi.

- E perché desideravate vedermi? - L'uomo guardò il mio amico con la disperazione negli occhi stanchi, come se la sua domanda non avesse biso­gno di risposta.

- Sì - disse Holmes, rispondendo al suo sguardo, più che alle sue parole. - È così. So tutto di McCarthy.

Il vecchio si prese la testa tra le mani. - Che Dio mi aiuti! - esclamò. - Ma non avrei permesso che venisse fatto del male al ragazzo. Vi do la mia parola che avrei parlato, se le cose si fossero messe male per lui, nel corso dell'Assise.

- Sono lieto di sentirlo - replicò Holmes con gravità.- Avrei già confessato, se non fosse stato per la mia cara bambina. Le si

sarebbe spezzato il cuore... le si spezzerà quando sentirà che sono stato ar­restato.

- Forse potremmo non arrivare a questo.- Cosa?- Non sono un agente ufficiale. Da quel che ho capito, è stata vostra fi­

glia a richiedere la mia presenza qui, e io agisco nel suo interesse. Comun­que, il giovane McCarthy deve essere tirato fuori da questa faccenda.

- Io sto morendo. - disse il vecchio Turner. - Ho il diabete da anni. Il mio dottore dice che non sa neanche se riuscirò a vivere ancora un mese. Tuttavia, preferirei morire nel mio letto che in una cella.

Holmes si levò e sedette a tavolino con una penna in mano e una risma di fogli davanti a sé.

- Raccontateci la verità - disse. - Io butterò giù i fatti, voi firmerete, e Watson farà da testimone. Mi avvarrò della vostra confessione solo nel caso estremo in cui dovesse servire per salvare il giovane McCarthy. Vi prometto che non la userò, a meno che non sia assolutamente necessario.

- Per me va bene - disse il vecchio - non sono neanche sicuro di riusci­re a vivere fino alla prossima Assise, e mi importa poco, ma vorrei sola­mente risparmiare alla mia Alice questo colpo. E ora vi dirò tutto; è una

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storia molto lunga, ma non ci metterò molto a raccontarvela."Voi non conoscevate la vittima, McCarthy. Era il diavolo in persona.

Potete credermi. Che Dio vi tenga lontano dalle grinfie di un uomo come quello. Mi ha tenuto in pugno per questi vent'anni, e mi ha rovinato la vita. Prima di tutto vi racconterò come mai sono caduto in suo potere.

"Eravamo agli inizi degli anni 60, alle miniere d'oro. Io ero molto giova­ne, allora, impulsivo e incauto, sempre pronto ad allungare le mani su ogni cosa; iniziai a frequentare delle cattive compagnie, presi a bere, non ebbi fortuna con il terreno che mi era stato assegnato, mi diedi alla macchia, e, per dirla in breve, divenni un ladro. Eravamo in sei, e la cosa ci rendeva bene; agivamo sulle strade, fermandoci di tanto in tanto alle stazioni, o bloccando i convogli diretti alle miniere. Mi facevo chiamare Black Jack di Ballarat, e la nostra banda viene ancora ricordata, nella colonia, come la Gang di Ballarat.

"Un giorno arrivò un convoglio d'oro da Ballarat, diretto a Melbourne; noi lo stavamo aspettando e l'attaccammo. C'erano sei soldati che scortava­no il convoglio, e noi eravamo in sei, si trattò quindi di una lotta alla pari, ma piuttosto dura; tuttavia riuscimmo a svuotare le loro selle al primo col­po, anche se tre dei nostri rimasero uccisi prima che riuscissimo a scappa­re. Io puntai la pistola alla testa del capoconvoglio, che era proprio questo McCarthy. Avesse voluto Iddio che l'uccidessi allora! Ma lo risparmiai, an­che se vidi i suoi piccoli occhi cattivi puntati su di me, come se stesse com­piendo uno sforzo per imprimersi nella mente ogni particolare del mio viso. Infine, scappammo con l'oro, divenimmo ricchi e ritornammo in In­ghilterra senza che nessuno sospettasse niente. Una volta qui, mi separai dai miei vecchi compagni e decisi di condurre una vita tranquilla e rispetta­bile. Comperai questa proprietà, che il caso volle fosse in vendita, e comin­ciai a destinare parte dei miei soldi a scopi benefici, per riparare al modo in cui li avevo guadagnati. Mi sposai, anche, e sebbene mia moglie morì mol­to giovane, mi lasciò la mia cara piccola Alice. Sin da quando era molto piccola, mi pareva che la sua manina mi guidasse lungo la retta via, come prima di allora niente e nessuno erano mai riusciti a fare. In altre parole, gi­rai pagina e feci del mio meglio per rifarmi del mio passato. E tutto stava andando per il meglio, quando caddi nelle grinfie di McCarthy.

"Mi ero recato a Londra per un investimento, e lo incontrai a Regent Street, che aveva appena di che vestirsi.

"Oh, eccoti qui, Jack - mi disse, toccandomi il braccio - saremo come una famiglia, per te. Siamo in due, mio figlio e io, e ti potrai prendere cura

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di noi. Se non lo farai... be', l'Inghilterra è un magnifico paese, rispettoso della legge, e c'è sempre un poliziotto a portata di voce.

"Be', vennero qui, a ovest, e non ci fu più modo di scrollarmeli di dosso: da quella volta sono sempre vissuti gratuitamente sulla parte migliore della mia terra.. Non ci furono più per me riposo, pace, possibilità di dimenticare il mio passato; dovunque mi volgessi, mi ritrovavo sempre davanti la sua faccia scaltra, che sogghignava. E le cose peggiorarono quando Alice creb­be, perché egli si rese conto che avevo più paura che lei scoprisse il mio passato, di quanta ne avevo che lo scoprisse la polizia. Qualunque cosa vo­lesse, la doveva avere, e di qualunque cosa si trattasse, gliela davo senza fare questioni: terra, soldi, case... finché mi chiese qualcosa che non potevo dargli. Mi chiese Alice.

"Suo figlio, vedete, era cresciuto, e così pure la mia bambina, e dato che sapeva che non godevo di buona salute, gli sembrò un'ottima idea che il suo ragazzo mettesse mano su tutta la proprietà. Ma io ero irremovibile. Non avrei mai permesso che la sua maledetta razza si mescolasse con la mia; non che avessi niente contro il ragazzo, ma aveva il suo sangue, e ciò mi bastava. Ero risoluto. McCarthy mi minacciò. Io lo provocai al peggio. Dovevamo incontrarci al laghetto, a metà strada tra casa sua e casa mia, per parlarne.

"Quando arrivai al luogo convenuto, lo trovai che parlava con suo figlio, così mi fumai un sigaro, nascosto dietro a un albero, aspettando che rima­nessimo da soli. Ma mentre lo ascoltavo parlare con il figlio, tutta la rabbia e l'amarezza che avevo in me divennero incontenibili. Stava insistendo che il figlio sposasse mia figlia, con un tale disinteresse per quanto potesse pensarne lei, che mi sembrava stesse parlando di una sgualdrina di strada. Divenni pazzo all'idea che ciò che possedevo di più caro fosse in balia di un individuo di quel genere. Non potevo forse liberarmi da quel maledetto vincolo? Ero già un uomo condannato e senza speranza. Sebbene abbia an­cora la mente lucida e il corpo forte, sapevo che il mio destino era segnato. Ma la mia memoria e la mia bambina! Avrei potuto salvare entrambe, se avessi messo a tacere quel demonio. Bene, l'ho fatto, signor Holmes. E lo rifarei. Per quanto abbia peccato gravemente, ho condotto una vita di mar­tirio per espiare. Ma che anche mia figlia dovesse soffrire come io avevo sofferto, questo non potevo sopportarlo. Lo colpii senza provare più rimor­so di quanto ne avrei provato se si fosse trattato di uccidere qualche bestia velenosa. Il suo grido richiamò indietro il figlio, ma io riuscii a nasconder­mi nel bosco, anche se fui costretto a ritornare indietro a recuperare il so­

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prabito che mi era caduto durante la fuga. Questa, signori è la storia vera di ciò che è accaduto."

- Be', non spetta a me giudicarvi - disse Holmes mentre il vecchio fir­mava il verbale che il mio amico aveva redatto. - Mi auguro che non ci ca­piti mai di avere la tentazione di farlo.

- Me lo auguro anch'io, signori. E che cosa intendete fare?- Considerando il vostro stato di salute, niente. Voi stesso siete conscio

del fatto che presto dovrete rispondere delle vostre azioni a una corte ben più alta dell'Assise. Terrò la vostra confessione, e nel caso in cui McCarthy dovesse essere condannato, sarò costretto a valermene. In caso contrario, non ne saprà mai nulla anima viva, e il vostro segreto, che voi siate vivo o morto, sarà al sicuro, qui con noi.

- Addio, allora - disse il vecchio solennemente. - E quando sarà il vostro momento di lasciare questa terra, tutto avverrà in maniera molto dolce e tranquilla, per tutta la serenità che avete dato a me in questa circostanza. Claudicando e tremando in tutta la gigantesca figura, se ne uscì lentamente dalla stanza.

- Che Dio ci aiuti! - esclamò Holmes dopo un lungo ponderato silenzio. - Perché mai il destino è tanto crudele con questi poveri vermi indifesi?

James McCarthy fu assolto nel corso della Assise, in forza di un consi­derevole numero di obiezioni sollevate da Sherlock Holmes e sottoposte al­l'avvocato difensore. Il vecchio Turner visse ancora per sette mesi, dopo quel nostro incontro, ma ora è morto, e ci sono molte buone ragioni per ri­tenere che i figli dei due vecchi vivranno felicemente assieme, ignorando l'esistenza di quella nuvola nera che aleggia sul loro passato.

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I cinque semi d'arancia(The Five Orange Pips)Quando do un'occhiata ai miei appunti e alla mia documentazione sui

casi di Sherlock Holmes degli anni che vanno dall'82 al '90, me ne trovo di fronte tantissimi che presentano caratteristiche strane e interessanti, tanto che è un'impresa affatto semplice sapere quali scegliere e quali tralasciare. Alcuni, però, sono già stati resi pubblici attraverso i giornali, e altri non hanno offerto un campo per quelle peculiari qualità che il mio amico pos­sedeva in così ampia misura e che è l'obiettivo che questi documenti vo­gliono illustrare. Alcuni hanno pure ostacolato la sua abilità analitica e come storie sarebbero degli inizi senza fine, mentre altri sono stati in parte chiariti, e la loro spiegazione è basata più sulla congettura e la supposizio­ne che sull'assoluta dimostrazione logica che gli era tanto cara. Tuttavia ce n'è uno di questi ultimi che era talmente notevole nei suoi dettagli e così sorprendente nelle sue conseguenze che sono tentato a darne un resoconto malgrado il fatto che ci siano dei punti ad esso correlati che non sono mai stati interamente risolti e che forse non lo saranno mai.

L'anno '87 ci fornì una lunga serie di casi di interesse più o meno grande dei quali conservo le testimonianze. Fra i miei titoli di quei dodici mesi tro­vo una relazione del1a Camera Paradol, una della Società dei Questuanti Dilettanti, che aveva un lussuoso circolo nello scantinato di un magazzino di mobili, i fatti connessi alla perdita dell'imbarcazione britannica Sophy Anderson, le singolari avventure dei Grice Patersons nell'isola di Uffa, e infine il caso di avvelenamento di Camberwell. Come si può ricordare, in quest'ultimo, Sherlock Holmes, caricando l'orologio del defunto fu in grado di dimostrare che era stato caricato due ore prima e che quindi il deceduto era andato a letto entro quell'ora, una deduzione che fu della massima im­portanza per la soluzione del caso. Questi li potrò abbozzare tutti in futuro, ma nessuno di loro presenta degli elementi così particolari come la strana serie di circostanze per le quali ho impugnato ora la penna.

Erano gli ultimi giorni di settembre, e le burrasche equinoziali avevano soffiato con un impeto eccezionale. Il vento aveva ululato per tutto il gior­no e la pioggia aveva battuto contro le finestre, cosicché anche qui nel cuo­re della grande Londra fatta a mano, fummo costretti a sospendere tempo­raneamente la "routine" della vita, e a riconoscere la presenza di quelle grandi forze naturali che urlano all'uomo attraverso le sbarre della civiltà, come bestie indomite in una gabbia. Quando scese la sera, la tormenta si fece più forte e il vento gridò e singhiozzò come un bambino. Sherlock

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Holmes sedeva tranquillo a un lato del focolare, fornendo le sue testimo­nianze sul crimine, mentre dall'altra parte io ero immerso in una di quelle storie di mare di Clark Russell finché il lamento del vento dal di fuori non sembrò fondersi con il testo e il tonfo della pioggia allungarsi come lo scia­bordio delle onde del mare. Mia moglie era andata a far visita a sua madre e da alcuni giorni ancora una volta ero abitatore del mio vecchio alloggio in Baker Street.

- Perché - dissi, fissando il mio compagno - era di sicuro il campanello? Chi potrebbe venire stasera? Qualche vostro amico, forse?

- Non ne ho, eccetto voi - rispose. - Non incoraggio i visitatori.- Allora un cliente? - Se è così, è un caso serio. Nient'altro farebbe usci­

re un uomo in una simile serata e a una talora. Ma credo sia più probabile che si tratti di qualche amico della padrona di casa.

La supposizione di Sherlock Holmes era però sbagliata, perché si sentì un passo dal corridoio e un colpetto alla porta. Stese il suo lungo braccio per accendere la lampada che era distante da lui e verso la sedia vuota sulla quale si sarebbe dovuto sedere il nuovo arrivato. - Entrate! - gridò.

L'uomo che venne dentro era giovane, dall'aspetto poteva avere venti­due anni, accurato ed elegantemente vestito e con un che di raffinato e deli­cato nel portamento. L'ombrello grondante che teneva in mano e il lungo impermeabile lucente testimoniavano il tempo feroce attraverso il quale era venuto. Si guardò ansiosamente intorno alla luce della lampada, e io vidi che il suo volto era pallido e il suo sguardo grave, come quello di un uomo che è oppresso da qualche grande inquietudine.

- Vi devo delle scuse - disse, portandosi agli occhi i "pince-nez". - Spero di non disturbare. Temo di aver portato nella vostra stanza ordinata tracce della tormenta e della pioggia.

- Datemi l'impermeabile e l'ombrello - fece Holmes. - Possono restare qui appesi e nel frattempo si asciugheranno. Vedo che siete venuto dalla zona sud-ovest.

- Sì, da Horsham.- Quel miscuglio di argilla e gesso che noto sulle mascherine sono deci­

samente tipiche.- Sono venuto per un consiglio.- Si ottiene facilmente.- E per un aiuto.- Quello non è sempre altrettanto facile.- Ho sentito parlare di voi, signor Holmes. Ho saputo dal maggiore

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Prendergast come l'avete salvato dallo scandalo del circolo Tankerville.- Ah, certo. Era stato accusato ingiustamente di truffare con le carte.- Ha detto che riusciste a risolvere tutto.- Ha detto troppo.- Che non siete mai battuto.- Sono stato battuto quattro volte dagli uomini, e una volta da una don­

na.- E cos'è questo rispetto ai vostri innumerevoli successi?- È vero che in genere ho avuto successo.- Può accadere lo stesso con me.- Vi prego di avvicinare la sedia al caminetto e di rivelarmi alcuni parti­

colari sul vostro caso.- Non è un caso comune.- Nessuno di quelli per cui vengono da me sono ordinari. Io sono l'ulti­

ma corte d'appello.- Tuttavia, signore, mi domando se in tutta la vostra esperienza, abbiate

mai sentito parlare di una serie di avvenimenti più strani e inspiegabili di quelli che sono avvenuti nella mia famiglia.

- State suscitando dell'interesse - disse Holmes. - Comunicateci i fatti fondamentali dall'inizio, e poi vi potrò chiedere quei dettagli che a me sem­breranno più importanti.

Il giovane spostò la sedia e allungò i suoi piedi bagnati verso la fiamma.- Il mio nome - cominciò - è John Openshaw, ma la mia attività, per

quel che ne capisco io, ha poco a che fare con questa terribile faccenda. È una questione di eredità, pertanto per darvi un'idea dei fatti, devo retroce­dere all'inizio della questione.

"Dovete sapere che mio nonno aveva due figli, mio zio Elias e mio pa­dre Joseph. A Coventry mio padre possedeva una piccola fabbrica che am­pliò al tempo dell'invenzione della bicicletta. Era il detentore del brevetto dell'indistruttibile pneumatico Openshaw, e la sua attività ebbe un tale suc­cesso che poté cederla e ritirarsi con considerevoli mezzi per vivere.

"Mio zio Elias emigrò in America quand'era un giovane e divenne colti­vatore in Florida, dove si disse che se la cavò benissimo. All'epoca della guerra combatté nell'esercito di Jackson, e dopo sotto Hood, dove venne nominato colonnello. Quando Lee posò le armi mio zio tornò nella sua piantagione, dove rimase per tre o quattro anni. Nel 1869 o 1870 tornò in Europa e acquistò una piccola proprietà nel Sussex, vicino a Horsham. Ne­gli Stati Uniti aveva racimolato una notevole fortuna, e la ragione per cui

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se ne era venuto via era l'avversione verso i negri e il suo disprezzo per la politica repubblicana per aver accordato loro il diritto di cittadinanza. Era un uomo singolare, feroce e irascibile, osceno quand'era adirato, e un soli­tario per indole. Durante tutti gli anni che visse a Horsham, ho dei dubbi che lui avesse mai messo piede in città. Aveva un giardino e due o tre cam­pi intorno alla casa ed era lì che si spostava, sebbene spessissimo, per setti­mane intere, non lasciasse la sua stanza. Beveva molto brandy e fumava parecchio, non voleva vedere gente e non voleva avere amici, neppure suo fratello.

"Ma gli importava di me; infatti, si incapricciò di me la prima volta che mi vide, quand'ero un giovanetto di circa dodici anni. Era l'anno 1878, quando era in Inghilterra da almeno otto o nove anni. Pregò mio padre per­ché mi permettesse di vivere con lui, e nei miei riguardi fu molto gentile. Quando non aveva bevuto, si appassionava a giocare con me a tavola reale e a dama, e volle che lo rappresentassi sia di fronte ai domestici che con i commercianti, tanto che quando avevo sedici anni ero padrone della casa. Tenevo tutte le chiavi e potevo andare ovunque mi piacesse purché non lo disturbassi nella sua intimità. C'era tuttavia una sola eccezione, perché lui occupava un'unica stanza, un ripostiglio fra le soffitte, che era immancabil­mente chiuso a chiave e nel quale non avrebbe mai concesso di entrare né a me né ad altri. Con la curiosità di un ragazzo sbirciai attraverso il buco del­la serratura, ma non riuscii mai a vedere altro che una collezione di vecchi bauli e involucri, come ci si sarebbe aspettato di trovare in una simile stan­za.

"Un giorno, era il mese di marzo del 1883, sul tavolo di fronte al piatto del colonnello, c'era una lettera con un francobollo straniero. Non era un fatto comune che lui ricevesse delle lettere, perché i suoi conti venivano tutti pagati con denaro contante, e non aveva amici. - Dall'India! - esclamò, mentre la raccoglieva. - Timbro di Pondicherry!" Cosa sarà mai? -Apren­dola frettolosamente ne uscirono cinque piccoli semi secchi d'arancia, che picchiettarono sul suo piatto. Cominciai a ridere, ma la risata si smorzò sul­le mie labbra quando vidi il suo volto. Le sue labbra si erano piegate, gli sporgevano gli occhi, e la sua pelle era del color del gesso, mentre fissava la busta che teneva nella mano tremante. - K. K. K. - gridò. E poi: - Mio Dio, mio Dio, i miei peccati mi hanno sorpreso!

"- Cos'è, zio? - gridai."- La morte - disse, e alzandosi dal tavolo si ritirò nella sua stanza, la­

sciandomi palpitante per l'orrore. Presi la busta e vidi scarabocchiate in in­90

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chiostro rosso al di sopra della linguetta interna, proprio sopra alla chiusu­ra, la lettera K ripetuta tre volte. Non c'era altro eccetto i cinque semi d'a­rancia. Quale poteva essere la ragione del suo terrore? Lasciai il tavolo del­la colazione e, mentre salivo le scale, lo incontrai che scendeva tenendo in una mano una vecchia chiave arrugginita, che doveva essere dell'attico, e nell'altra una scatolina d'ottone, simile a una cassetta dei contanti.

- Potranno fare come gli pare, ma io gli darò ancora scacco matto -bor­bottò, imprecando. - Di' a Mary che oggi voglio nella mia stanza un'arma e mandala da Fordham, l'avvocato di Horsham.

"Feci come mi ordinò, e quando l'avvocato arrivò mi fu chiesto di salire nella stanza.

"Il fuoco ardeva vivace, e nella graticola c'era una quantità di ceneri nere e vaporose, come di carta bruciata, mentre la scatola d'ottone era aper­ta e vuota accanto ad essa. Quando osservai la scatola, notai con un sussul­to che sul coperchio era impressa la stessa K che quella mattina avevo letto sulla busta.

" - Vorrei che tu, John - iniziò mio zio - presenziassi al mio testamento. Lascio la mia proprietà, con tutti i suoi vantaggi e svantaggi, a mio fratello, tuo padre, il quale senza dubbio la passerà a te. Se potrai godertela in pace, benissimo, se non potrai, segui il mio consiglio e lasciala al mio più acerri­mo nemico. Mi dispiace di porti queste due condizioni estreme, ma non so dirti che piega prenderanno gli eventi. Per favore firma il documento che il signor Fordham ti presenterà.

"Firmai il documento come mi era stato ordinato, e l'avvocato lo portò via con sé. Come potete immaginare, il singolare incidente mi impressionò profondamente e meditai e rimuginai in ogni modo nella mia mente, ma non venni a capo di nulla. Tuttavia non riuscii a scuotermi da quel vago sentimento di terrore che aveva lasciato dietro di sé, sebbene con il passare dei giorni la sensazione fosse meno viva e non, accadesse nulla da distur­bare la solita routine delle nostre vite. Tuttavia potei notare un cambiamen­to in mio zio. Beveva più che mai, ed era meno incline a qualsiasi genere di compagnia. Trascorreva la maggior parte del tempo nella sua stanza, con la porta chiusa a chiave dall'interno, ma talvolta compariva in una specie di ebbrezza e usciva di casa per piangere in giardino tenendo la rivoltella in mano e gridando che non aveva paura di alcun uomo, che non sarebbe stato rinchiuso come una pecora nell'ovile, dall'uomo o dal diavolo. Tuttavia quando questi attacchi finivano, tumultuosamente si dirigeva in fretta alla porta, la serrava e sbarrava dietro di sé, come un uomo che non può più

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comportarsi sfacciatamente nei confronti della paura che sta alle radici del proprio spirito. Certe volte scorsi la sua faccia, anche in una giornata fred­da, scintillare di sudore, come appena sciacquata in un catino.

"Bene, per concludere, signor Holmes, e per non abusare della vostra pazienza, venne una notte durante la quale fece una di quelle escursioni per bere, dalla quale non tornò mai. Quando lo andammo a cercare, lo trovam­mo col volto all'ingiù in un piccolo stagno melmoso, che stava ai piedi del giardino. Non c'era segno di violenza, e l'acqua era poco profonda, cosic­ché la giuria, tenendo in considerazione la sua risaputa stravaganza, emise un verdetto di "suicido". Ma io, che sapevo quanto lui rifuggisse dal solo pensiero della morte, ebbi molta difficoltà a convincermi che fosse andato volontariamente a cercarla. Tuttavia la faccenda passò e mio padre entrò in possesso della proprietà e di qualcosa come quattordicimila sterline, che sono a suo credito in banca."

- Un momento - interruppe Holmes - prevedo che la vostra dichiarazio­ne sia una delle più straordinarie che io abbia mai sentito. Ditemi la data in cui vostro zio ricevette la lettera e la data del presunto suicidio.

- La lettera arrivò il 10 marzo 1883. La sua morte fu sette settimane dopo, la notte del 2 maggio.

- Grazie. Prego, continuate.- Quando mio padre rilevò la proprietà di Horsham, lui, su mia richiesta,

fece un'accurata ispezione del solaio, che era stato sempre chiuso a chiave. Là trovammo la scatola d'ottone, sebbene il suo contenuto fosse stato di­strutto. All'interno del coperchio c'era un'etichetta di carta, con le iniziali K. K. K. ripetute su di essa, e sotto stava scritto: "Lettere, agenda, ricevute e un registro." Queste presumiamo che indicassero la natura dei documenti che erano stati distrutti dal colonnello Openshaw. Per il resto, nell'attico non c'era nulla di grande importanza salvo una quantità di documenti e blocchi sparpagliati che riguardavano la vita di mio zio in America. Alcuni erano dell'epoca della guerra e dimostravano che aveva compiuto bene il suo dovere e che si era guadagnato la reputazione di essere un soldato co­raggioso. Altre risalivano al periodo della ricostruzione degli stati meridio­nali e principalmente riguardavano la politica, perché lui aveva evidente­mente contribuito molto a opporsi ai politici avventurieri che erano stati mandati dal Nord.

"Era l'inizio dell'84 quando mio padre venne a vivere a Horsham e tutto andò nel migliore dei modi fino al gennaio dell'85. Quattro giorni dopo l'i­nizio dell'anno, sentii mio padre emettere un acuto grido di sorpresa mentre

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eravamo seduti a tavola per la colazione. Era lì, seduto con una busta appe­na aperta in una mano e cinque semi secchi d'arancia nel palmo aperto del­l'altra. Aveva sempre riso per la mia panzana sul colonnello, ma aveva uno sguardo molto spaventato e sorpreso ora che la stessa cosa era capitata a lui in persona.

" - Perché, cosa diavolo significa, John? - balbettò."Il mio cuore era diventato di piombo. - È K. K. K. - dissi."Guardò all'interno della busta. - È così - gridò. - Ecco le lettere autenti­

che. Ma cosa c'è scritto sopra?"- Metti i documenti sulla meridiana - lessi, sbirciando al di sopra della

sua spalla."- Che documenti? Che meridiana? - domandò."- La meridiana in giardino. Non ce ne sono altre - risposi - ma i docu­

menti devono essere quelli che sono stati distrutti."- Puah! - fece, facendosi coraggio. - Qui siamo in un paese civilizzato,

e non possiamo concepire simili stupidaggini. Da dove proviene?"- Da Dundee - risposi, dando un'occhiata al francobollo."- Qualche scherzo sciocco - disse. - Cosa c'entro io con i documenti e

le meridiane? Non prenderò in considerazione una simile sciocchezza."- Dovresti parlarne con la polizia - sostenni io."- Ed essere deriso dei miei dolori. Niente affatto."- Lasciami fare."- Te lo proibisco. Non voglio che si chiacchieri su una tale sciocchezza."Fu inutile parlare con lui perché era un uomo davvero ostinato. Tutta­

via io me ne andavo in giro con il cuore pieno di presentimenti."Il terzo giorno dopo l'arrivo della lettera mio padre si allontanò da casa

per andare a far visita a un suo vecchio amico, il maggiore Freebody, che ha il comando di uno dei fortini a Portsdown Hill. Ero felice che andasse perché mi sembrava che quando era lontano da casa, lui fosse fuori perico­lo. In realtà ebbi torto. Al secondo giorno dalla sua assenza ricevetti un te­legramma dal maggiore che mi implorava di andare subito. Mio padre era caduto in una di quelle profonde cave di calcare che abbondano nei paraggi e giaceva privo di sensi con il cranio fracassato. Andai da lui in fretta, ma passò ad altra vita senza riprendere conoscenza. Sembrava che stesse tor­nando da Fareham al crepuscolo, e siccome non conosceva la zona, e la cava non era recintata, la giuria non ebbe alcuna esitazione a emettere un verdetto di "morte per cause accidentali". Nonostante tutta l'attenzione con cui esaminai ogni fatto connesso alla sua morte, non fui in grado di trovare

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qualcosa che potesse suggerire l'idea di un omicidio. Non c'erano segni di violenza, nessuna orma, nessun segno di rapina, nessuna traccia di stranieri che fossero su quelle strade. E nonostante ciò non occorre che vi dica che la mia mente era tutt'altro che tranquilla e che ero quasi certo che gli era stata tesa qualche sinistra trappola.

"In questo tragico modo ho avuto la mia eredità. Voi mi chiederete per­ché non me ne libero e io rispondo che sono convinto che tutti i nostri guai dipendevano in qualche modo da un incidente della vita di mio zio e che il pericolo sarebbe stato pressante tanto in una che in un'altra casa.

"Era il gennaio dell'85, quando il mio povero padre trovò la sua fine e da allora sono trascorsi due anni e otto mesi. Durante questo periodo ho fe­licemente vissuto a Horsham e ho cominciato a sperare che questa maledi­zione si fosse allontanata dalla mia famiglia e fosse finita con la scorsa ge­nerazione. Tuttavia avevo iniziato troppo presto a trame conforto. Ieri mat­tina il colpo è giunto nella stessa forma in cui era sceso su mio padre."

Il giovane prese dal suo panciotto una busta raggrinzita e voltandosi verso il tavolo rovesciò cinque piccoli semi secchi d'arancia.

- Questa è la busta - continuò. - Il timbro postale di Londra. La divisione orientale. All'interno le identiche parole che erano sull'ultimo messaggio di mio padre: "K. K. K.", e poi: "Mettete i documenti sulla meridiana."

- Cosa avete fatto? - chiese Holmes.- Niente.- Niente?- Per dire il vero - riprese, sprofondando il volto fra le mani magre e

bianche - mi sono sentito indifeso. Mi sono sentito come un coniglio intor­no al quale striscia un viscido serpente. Mi sembra di essere nelle grinfie di qualche diavolo irresistibile e inesorabile contro il quale nessuna previsio­ne o precauzione può in qualche modo premunire.

- Suvvia! Silenzio! - gridò Sherlock Holmes. - Uomo, o agite o siete perduto. Niente eccetto la fermezza vi può salvare. Non è il momento di di­sperarsi.

- Ho visto la polizia.- Ah!- Ma hanno ascoltato la mia storia con un sorriso. Sono convinto che l'i­

spettore si sia fatto l'opinione che le lettere siano degli autentici scherzi e che le morti dei miei parenti erano davvero degli incidenti come ha stabili­to la giuria e che non erano connesse alle intimazioni.

Holmes alzò in aria le mani serrate. - Incredibile imbecillità! - gridò.94

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- Però mi hanno concesso un poliziotto che può rimanere in casa con me.

- Stasera è venuto con voi?- No. I suoi ordini sono che deve restare in casa.Holmes lanciò ancora le braccia in aria.- Perché siete venuto da me? - gridò - e soprattutto perché non siete ve­

nuto subito?- Non lo sapevo. È stato solo oggi che ho parlato al maggiore Prender­

gast dei miei guai e che mi ha consigliato di venire da voi.- Veramente sono due giorni che voi avete avuto la lettera. Avremmo do­

vuto agire prima di essa. Suppongo che non abbiate altre testimonianze ec­cetto quelle che ci avete già esposto, nessun altro dettaglio che potrebbe aiutarci?

- C'è una cosa - disse John Openshaw. Frugò nella tasca del cappotto, e tirò fuori un pezzo di carta blu scolorita, che appoggiò sul tavolo. -Ricordo che il giorno in cui mio zio bruciò i documenti, io notai che i pochi margini non bruciati che erano fra le ceneri erano di questo particolare colore. Sul pavimento della sua stanza ho trovato quest'unico foglio e tendo a pensare che possa essere uno dei documenti che è forse svolazzato fuori dagli altri e che quindi non sia stato distrutto. Oltre alla citazione dei semi, io non vedo cosa possa aiutarci. Io stesso credo si tratti di qualche foglio di un diario privato. La calligrafia è senza dubbio quella di mio zio.

Holmes spostò la lampada, ed entrambi ci chinammo sul foglio di carta che dalla sua estremità logora, dimostrava di essere stato strappato da un li­bro. Era intestato "marzo, 1869" e sotto c'erano le seguenti enigmatiche note:

4. È venuto Hudson. Lo stesso vecchio programma politico.7. Mettere i semi su McCauley, Paramore, e John Swain, di St. Augusti­

ne.9. McCauley dichiarato innocente.10. John Swain dichiarato innocente.12. Visitato Paramore. Tutto bene.- Grazie! - disse Holmes, piegando il foglio e restituendolo al nostro vi­

sitatore. - E adesso non dovete perdere neppure un attimo. Non possiamo sprecare tempo neppure per discutere quel che mi avete detto. Dovete an­dare immediatamente a casa e agire.

- Cosa devo fare?- C'è una sola cosa da fare. Dev'essere fatta subito. Dovete mettere que­

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sto pezzo di carta che ci avete mostrato dentro la scatola d'ottone che avete descritto. Dovete introdurre anche un altro biglietto in cui dite che tutti gli altri documenti sono stati bruciati da vostro zio e che questo è l'unico che rimane. Dovete asserire ciò con parole tali che convincano. Dopo di che dovete mettere subito la scatola fuori sulla meridiana, come ordinato. Capi­te?

- Assolutamente.- Non pensate a una vendetta o a qualcosa del genere, per il momento.

Penso che possiamo ottenerla con i mezzi legali, ma abbiamo da tessere la nostra ragnatela, mentre la loro è già tessuta. La prima considerazione è di eliminare il pericolo opprimente che vi minaccia. La seconda è di chiarire il mistero e di punire le parti colpevoli.

- Vi ringrazio - disse il giovane uomo, alzandosi e infilandosi il soprabi­to. - Mi avete donato una nuova vita e fresche speranze. Farò di certo come mi consigliate.

- Non perdete un istante. E, soprattutto, abbiate cura di voi nel frattem­po, perché non credo ci possa essere dubbio che siete minacciato da qual­che vero, imminente pericolo. Come tornate?

- In treno da Waterloo.- Non sono ancora le nove. Le vie saranno affollate, pertanto confido

che non correrete pericoli. E tuttavia non potete difendervi troppo da vici­no.

- Sono armato.- Bene. Domani inizierò a lavorare al vostro caso.- Allora vi vedrò a Horsham?- No, il vostro segreto è qui a Londra. È qui che lo cercherò.- Allora nel giro di un paio di giorni passerò da voi con delle notizie ri­

guardo la scatola e i documenti. Seguirò in ogni particolare i vostri consi­gli. - Gli strinse la mano e si congedò. Fuori il vento urlava ancora e la pioggia batteva e picchiettava sulle finestre. Quella strana storia crudele sembrava esserci giunta dal bel mezzo di quegli elementi naturali impazzi­ti, soffiata su di noi come una distesa di alghe marine durante una burrasca e ora di nuovo riassorbita da essi.

Sherlock Holmes rimase seduto in silenzio per un po', con il capo chino in avanti e gli occhi rivolti al bagliore rosso del fuoco. Poi accese la pipa e appoggiandosi alla sedia guardò gli anelli di fumo blu che si inseguivano fino al soffitto.

- Watson, io penso - osservò infine - che di tutti i casi che abbiamo avu­96

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to nessuno sia mai stato fantastico quanto questo.- Salvo forse il "Segno dei Quattro".- Sì, forse eccetto quello. E tuttavia questo John Openshaw mi sembra

che cammini fra pericoli ancora maggiori di quelli dei Sholto.- Ma vi siete fatto un'idea precisa di quali siano questi pericoli? -doman­

dai.- Non ci sono domande per quel che riguarda la loro natura - rispose.- Allora quali sono? Chi è questo K. K. K. e perché perseguita questa in­

felice famiglia?Sherlock Holmes chiuse gli occhi e appoggiò i gomiti sui braccioli della

sua sedia, le mani con le dita intrecciate. - Il ragionatore ideale - osservò - una volta che gli è stato esposto un singolo fatto sotto tutti i suoi aspetti, non solo dedurrebbe tutta la catena degli eventi che sono sfociati in esso, ma anche tutti le conseguenze che ne seguirebbero. Come Cuvier avrebbe descritto correttamente un intero animale dall'esame di un unico osso, così l'osservatore che ha interamente compreso un legame in una serie di inci­denti dovrebbe essere in grado di stabilire accuratamente tutti gli altri, sia prima che dopo. Non abbiamo ancora afferrato i risultati che la sola ragio­ne può conseguire. Possono essere risolti nello studio i problemi che hanno confuso tutti quelli che hanno cercato una soluzione con l'aggiunta dei loro sensi. Tuttavia per elevare l'arte al suo massimo livello, è necessario che il ragionatore utilizzi tutti i fatti che sono pervenuti a sua conoscenza, e ciò in sé implica, come voi prontamente vedrete, una padronanza di tutta la cono­scenza, che perfino in questi giorni della libera istruzione e delle enciclope­die, è una qualità alquanto rara. Ma non è così impossibile che un uomo possieda tutta la conoscenza che è probabile gli tomi utile nel suo lavoro, e nel mio caso mi sono sforzato di farlo. Se ricordo bene, voi in un'occasio­ne, agli inizi della nostra amicizia, definiste con molti precisione i miei li­miti.

- Sì - replicai, ridendo. - Era un documento singolare. Filosofia, astrono­mia, e politica erano valutati zero. La botanica variabile, la geologia pro­fonda per quel che riguarda le macchie di fango di tutte le zone che si tro­vano nel circondario di una settantina di chilometri dalla città, la chimica eccentrica, l'anatomia non sistematica, la letteratura sensazionale e la docu­mentazione sui delitti unica, suonatore di violino, pugile, spadaccino, av­vocato, e autoavvelenatore di cocaina e tabacco. Credo fossero quelli i pun­ti principali della mia analisi.

Holmes fece un ampio sorriso sull'ultima battuta. - Bene - disse - vi dico 97

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adesso, come feci allora, che un uomo nel suo cervello dovrebbe tenere im­magazzinato tutto quell'arredamento che può usare, e il resto lo può metter via nel ripostiglio della propria biblioteca, dove lo può attingere quando vuole. Per il caso che ci è stato sottoposto stasera abbiamo certamente bi­sogno di riunire tutte le nostre risorse. Per favore cercatemi la lettera K del­l'Enciclopedia Americana che si trova sulla mensola accanto a voi. Grazie. Adesso prendiamo in considerazione la situazione e vediamo quel che si può dedurre. In primo luogo dobbiamo iniziare con una forte supposizione che il colonnello Openshaw debba aver avuto un motivo molto valido per lasciare l'America. Uomini della sua età non mutano tutte le loro abitudini e non scambiano volentieri l'incantevole clima della Florida con la solitaria vita di una città della provincia inglese. Il suo amore estremo per la solitu­dine suggerisce l'idea che avesse paura di qualcosa o di qualcuno, per cui possiamo presumere come ipotesi di lavoro che fosse il timore per qualcu­no o qualcosa che lo portò in Inghilterra. Per quel che riguarda ciò che lui temeva, possiamo dedurlo solamente tenendo in considerazione le singolari lettere che sono state ricevute da lui e dai suoi successori. Avete notato i timbri postali di quelle lettere?

- Il primo era da Pondicherry, il secondo da Dundee, e il terzo da Lon­dra.

- Dalla zona est di Londra. Che conclusioni traete?- Sono tutti porti di mare. Che lo scrivente fosse a bordo di una nave.- Eccellente. Abbiamo già una traccia. Senza dubbio ci può essere la

probabilità, la forte probabilità che lo scrivente fosse a bordo di una nave. E adesso consideriamo un altro punto. Nel caso di Pondicherry, sono tra­scorse sette settimane dalla minaccia al suo adempimento. A Dundee furo­no solamente tre o quattro giorni. Ciò suggerisce qualcosa?

- Una grande distanza da ricoprire in viaggio.- Ma la lettera aveva da coprire anche una distanza maggiore.- Allora non capisco.- C'è almeno la supposizione che la nave su cui l'uomo o gli uomini si

trovano sia una nave in partenza. Sembra come se inviassero sempre il loro strano avvertimento o segno prima di iniziare la loro missione. Vedete come l'azione ha seguito velocemente il segnale quando questi venne da Dundee. Se fosse venuto da Pondicherry con un vaporetto, sarebbero giunti quasi contemporaneamente alla lettera. Ma è un dato di fatto che trascorse­ro sette settimane. Ritengo che quelle sette settimane rappresentino la dif­ferenza fra il battello postale che portò la lettera e la nave in partenza che

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portò lo scrivente.- È possibile.- Assolutamente. È probabile. E ora vedete l'urgenza mortale di questo

nuovo caso e perché ho sollecitato il giovane Openshaw a essere cauto. Il colpo è sempre avvenuto alla fine del periodo che i mittenti avrebbero im­piegato a coprire la distanza. Ma questo viene da Londra e quindi non pos­siamo tenere conto del ritardo.

- Buon Dio! - gridai. - Cosa può significare questa spietata persecuzio­ne?

- I documenti che Openshaw portava sono evidentemente di importanza vitale per la persona o le persone che sono sulla nave in partenza. Credo sia assolutamente chiaro che debbano essere più di uno. Un solo uomo non avrebbe potuto compiere due omicidi in una simile maniera per ingannare la giuria del "coroner". Devono essere stati parecchi e devono essere stati uomini pieni di risorse e determinazione. I documenti che intendono avere, di cui vogliono essere i detentori, li avranno in ogni modo. Vedete che così le K. K. K. non sono più le iniziali di un individuo ma diventano il simbolo di una società.

- Ma di quale società?- Non avete mai... - disse Sherlock Holmes, piegandosi in avanti e ab­

bassando la voce - sentito parlare del Ku Klux Klan?- Mai.Holmes voltò le pagine del libro che teneva sulle ginocchia. - Ecco -

esclamò infine.Ku Klux Klan. Un nome derivato dalla fantasiosa somiglianza del suo­

no prodotto alzando il cane di un fucile. Questa terribile società segreta fu costituita da qualche soldato ex confederato negli stati meridionali dopo la Guerra Civile, e rapidamente formò delle ramificazioni locali in diverse parti del paese, soprattutto nel Tennessee, nella Louisiana, nella Carolina, in Georgia e in Florida. Il suo potere era usato per scopi politici, princi­palmente per terrorizzare i votanti negri e l'uccisione e l'allontanamento dalla nazione di coloro i quali si opponevano ai suoi scopi. I suoi oltraggi erano generalmente preceduti da un preavviso inviato all'uomo segnato tramite una forma bizzarra; ma generalmente riconosciuta, un ramoscello di foglie di quercia da qualche parte, semi di melone o d'arancia in altre. Una volta ricevuto tutto questo, la vittima avrebbe potuto sia abiurare apertamente i suoi costumi precedenti, che fuggire dal paese. Se affrontava la faccenda, la morte sarebbe infallibilmente piombata su di lui, e di solito

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in qualche modo strano e imprevisto. Tanto perfetta era l'organizzazione della società e così sistematici i suoi metodi che esiste a malapena un caso in cui si testimoni che quando un qualsiasi uomo era riuscito ad affrontar­la con l'impunità o avesse subito uno qualsiasi dei suoi oltraggi, avesse poi sventato i suoi perpetratori. Per alcuni anni, malgrado gli sforzi del governo degli Stati Uniti e delle classi migliori della comunità del Sud, l'organizzazione fiorì. Finalmente, nell'anno 1869, il movimento crollò piuttosto improvvisamente, sebbene da allora ci siano manifestazioni dello stesso genere.

- Osserverete - disse Holmes, appoggiando il volume - che l'improvviso scioglimento della società coincise con la scomparsa di Openshaw dall'A­merica con i loro documenti. Può essere stata la causa e l'effetto. Non c'è da stupirsi che lui e la sua famiglia abbiano sulle loro tracce alcuni degli spiriti più implacabili. Capirete che questo registro e diario può coinvolge­re alcuni dei primi uomini del Sud, e che ce ne possono essere molti che non dormiranno tranquillamente di notte, finché non sarà recuperato.

- Allora la pagina che abbiamo veduto...- È quel che ci potremmo aspettare. Diceva, se ricordo esattamente

"mandati i semi ad A, B e C", vale a dire, mandato a loro l'avviso della so­cietà. Poi ci sono successive registrazioni che A e B si dichiararono inno­centi, o lasciarono il paese, e infine che a C fu fatta visita e temo con un ri­sultato sinistro per C. Watson, penso che possiamo fare un po' di luce in questo luogo buio e credo che la sola possibilità che ha il giovane Open­shaw nel frattempo sia di fare quel che gli ho detto. Stasera non c'è più nul­la da dire o da fare, così datemi il mio violino e cerchiamo di dimenticare per mezz'ora questo tempo miserabile e i modi ancor più pietosi dei tipi su cui stiamo indagando.

Durante la mattinata era sereno e il sole splendeva con una lucentezza sottomessa al velo pallido che gravava sulla grande città. Quando scesi, Sherlock Holmes era già a colazione.

- Mi scuserete per non avervi atteso - disse - ma mi si presenta una gior­nata piena d'impegni per esaminare il caso del giovane Openshaw.

- Che provvedimenti prenderete? - chiesi.- Dipenderà molto dai risultati delle mie prime indagini. Dopotutto può

darsi che debba andare a Horsham.- Non andrete per primo là?- No, comincerò dalla City. Suonate il campanello e la cameriera vi por­

terà il caffè.100

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Mentre attendevo, alzai il giornale chiuso dal tavolo e gli diedi un'oc­chiata. Il mio sguardo si fermò su un titolo che mi gelò il cuore.

- Holmes - gridai - è troppo tardi.- Ah! - fece, appoggiando la tazza - temevo la stessa cosa. Com'è avve­

nuto? - Parlava con calma, ma potevo notare che era profondamente com­mosso.

Il mio occhio aveva colto il nome di Openshaw, e il titolo: " Tragedia vi­cino al Waterloo Bridge". Ecco il resoconto:

Fra le nove e le dieci di ieri sera il poliziotto Cook, della sezione H, in servizio al Waterloo Bridge, ha sentito un grido di aiuto e un tonfo nell'ac­qua. La notte tuttavia era estremamente buia e tempestosa, cosicché mal­grado l'aiuto di parecchi passanti, è stato assolutamente impossibile effet­tuare un salvataggio. L'allarme fu comunque dato e con l'aiuto del corpo subacqueo della polizia, il corpo fu finalmente recuperato. Fu dimostrato essere quello di un giovane signore il cui nome, come appare da una busta che è stata trovata nella sua tasca, era John Openshaw, e la sua residenza è vicino a Horsham. Si è avanzata l'ipotesi che stesse correndo per andare a prendere l'ultimo treno dalla stazione di Waterloo e che per la fretta e l'estrema oscurità abbia perduto la strada e abbia camminato sul ciglio di uno di quei piccoli luoghi d'approdo per i vaporetti del fiume. Il corpo non mostrava segni di violenza e non c'è alcun dubbio che il defunto sia stato vittima di uno sfortunato incidente che dovrebbe avere l'effetto di richia­mare l'attenzione delle autorità sulle condizioni dei pontili di sbarco del fiume.

Per qualche minuto rimanemmo seduti in silenzio, Holmes. più depresso e scosso di quanto l'avessi mai visto.

- Ciò fa male al mio orgoglio, Watson - confessò infine. - È una sensa­zione insignificante, ma addolora il mio orgoglio. Adesso diventa una que­stione personale e se Dio mi dà la salute, metterò mano su questa banda. Che lui sia venuto da me a chiedere aiuto e che io l'abbia dovuto mandare incontro alla morte...! - Saltò su dalla sedia e camminò per la stanza in pre­da a un'agitazione incontrollabile con un rossore sulle sue guance terree e un grande nervosismo delle sue mani lunghe e magre.

- Devono essere dei diavoli astuti - esclamò infine. - Come possono averlo attirato laggiù? L'Embankment non è la linea diretta alla stazione. Per il loro fine, perfino in una simile notte il ponte era senza dubbio troppo affollato. Bene, Watson, vedremo chi vincerà questa lunga corsa. Ora vado!

- Dalla polizia?101

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- Sarò io la polizia. Quando avrò tessuto la ragnatela, loro acchiapperan­no le mosche, ma non prima.

Per tutto il giorno fui occupato con il mio lavoro ed era tarda sera quan­do raggiunsi Baker Street. Sherlock Holmes non era ancora tornato.

Erano quasi le dieci quando rientrò, pallido ed esausto. Andò alla cre­denza e staccato un boccone di pane da una pagnotta, lo divorò con voraci­tà, inghiottendolo con un lungo sorso d'acqua.

- Avete fame - osservai.- Sto morendo di fame. Mi era passato di mente che non prendevo nulla

dall'ora di colazione.- Niente?- Non un boccone. Non ho avuto il tempo di pensarci.- E come è andata?- Bene.- Avete una pista?- Li ho in pugno. Il delitto del giovane Openshaw non resterà a lungo

impunito. Perché, Watson, metteremo questo diabolico marchio di fabbrica su di loro. È ben pensata!

- Cosa intendete?Prese un'arancia dalla credenza e facendola a pezzi tolse i semi che ri­

masero sul tavolo. Di questi ne prese cinque e li infilò in una busta. All'in­terno della linguetta scrisse: "S. H. per J. O." Poi la sigillò e la indirizzò al "Capitano James Calhoun, brigantino Lone Star, Savannah, Georgia".

- La attenderà quando giungerà nel porto - disse, ridacchiando. - Potreb­be provocargli una nottata insonne. La troverà di sicuro, come un precurso­re del suo destino come Openshaw fece prima di lui.

- E chi è il capitano Calhoun?- Il capo della banda. Avrò anche gli altri, ma lui sarà il primo.- E allora come l'avete rintracciato?Tolse dalla tasca un grande foglio tutto coperto di date e di nomi. - Ho

trascorso l'intera giornata - disse - sui registri e gli archivi dei vecchi docu­menti dei Lloyd, seguendo la futura carriera di ogni nave che ha toccato Pondicherry nel gennaio e nel febbraio del1'83. C'erano trentasei navi di medio tonnellaggio che si trovavano là in quei mesi. Una di queste, la Lone Star, attirò la mia attenzione, sebbene si riferisse che era partita da Londra, il nome è quello che viene dato a uno degli stati dell'Unione.

- Il Texas, credo.- Non ero e non sono sicuro di quale si tratti, ma sapevo che la nave do­

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veva avere un'origine americana.- Allora quale?- Ho cercato le registrazioni di Dundee e quando ho trovato che il bri­

gantino Lone Star era là nel gennaio dell'85, i miei sospetti sono diventati una certezza. Poi ho indagato su quali sono le navi che si trovano attual­mente nel porto di Londra.

- Sì?- La Lone Star è giunta qui la scorsa settimana. Sono sceso all'Albert

Dock e ho scoperto che stamane con la bassa marea è stata portata giù lun­go il fiume, diretta a Savannah. Ho telegrafato a Gravesend e ho appreso che era passata di lì da qualche tempo, e siccome il vento è orientale non ho dubbi che adesso sia oltre Goodwins e non molto lontano dall'isola di Wight.

- Allora cosa farete?- Oh, l'ho in mano. Sono venuto a sapere che lui e i due secondi sono gli

unici americani della nave. Gli altri sono finlandesi e tedeschi. So anche che la scorsa notte tutti e tre non erano sulla nave. L'ho appreso dallo stiva­tore che stava caricando il carico. Per l'ora in cui la loro nave raggiungerà Savannah, la barca postale avrà recapitato la lettera e il telegramma avrà informato la polizia di Savannah che questi tre signori sono ricercati per omicidio. Tuttavia c'è sempre una pecca nel migliore disegno dei progetti umani, e gli assassini di John Openshaw furono destinati a non ricevere mai i semi d'arancia che avrebbero mostrato loro che un altro furbo e riso­luto come loro si trovava sulle loro tracce. Quell'anno i venti equinoziali furono lunghissimi e violentissimi. A lungo attendemmo notizie della Lone Star di Savannah, ma non ce ne giunsero mai. Infine sentimmo che al largo dell'Atlantico un dritto di poppa in frantumi era stato visto ondeggiare nel cavo di un'onda, con le lettere "L.S." incise su di esso e che ciò è tutto quel che sapremo anche per il futuro sulla Lone Star.

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L'uomo dal labbro storto(The Man with the Twisted Lip)Isa Whitney, fratello del compianto Elias Whitney, Dottore in Teologia e

Direttore del Collegio di Teologia di San Giorgio, era seriamente dedito al­l'oppio. Aveva preso il vizio, per quanto ne so, per uno sciocco ghiribizzo quando era all'università, perché, avendo letto le narrazioni dei sogni e del­le sensazioni di De Quincey, aveva imbevuto di laudano il proprio tabacco nel tentativo di ottenere gli stessi effetti. Aveva scoperto poi, come così tanti altri, quanto sia più facile prendere l'abitudine che liberarsene, e da molti anni era schiavo della droga, suscitando orrore misto a compassione nei suoi amici e parenti. Riesco ancora a vederlo, col volto pallido e gialla­stro, le palpebre cadenti e le pupille a capocchia di spillo, tutto raggomito­lato su una sedia: il relitto di un nobil'uomo.

Una sera... eravamo nel giugno del 1889... il mio campanello suonò, più o meno all'ora in cui un uomo fa il primo sbadiglio, e dà un'occhiata all'o­rologio. Mi drizzai a sedere sulla poltrona, e mia moglie si posò in grembo il lavoro di cucito e fece un'espressione lievemente infastidita.

- Un paziente! - disse. - Dovrai andare.Emisi un gemito, perché ero appena rientrato a casa da una giornata pe­

sante.Sentimmo aprirsi la porta, poche parole affrettate, e poi dei passi rapidi

sul linoleum. La nostra porta si spalancò e una signora, vestita di scuro, con un velo nero, entrò nella stanza.

- Perdonatemi la visita a un'ora così tarda - cominciò, e poi, perdendo all'improvviso il suo autocontrollo, corse avanti, gettò le braccia al collo di mia moglie, e prese a singhiozzare sulla sua spalla. - Oh! Sono in un tale guaio! - gemette. - Vorrei tanto un po' d'aiuto!

- Diamine - disse mia moglie, sollevandole il velo. - È Kate Whitney. Mi hai spaventata, Kate! Non avevo idea di chi fossi, quando sei entrata.

- Non sapevo cosa fare, così sono venuta dritta da te. - Era sempre così. Le persone afflitte si recavano da mia moglie come gli uccelli a un faro.

- Hai fatto bene a venire. Adesso devi avere dell'acqua e vino, e sederti comodamente qui e raccontarci tutto. O preferiresti che mandassi a letto Ja­mes?

- Oh, no, no. Vorrei il consiglio e l'aiuto del dottore. È riguardo Isa. Manca da casa da due giorni. Sono così spaventata per lui!

Non era la prima volta che ci parlava dei problemi di suo marito, a me come dottore, a mia moglie come vecchia amica e compagna di scuola. La

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tranquillizzammo e la confortammo con ogni parola che riuscimmo a tro­vare. Sapeva dove fosse suo marito? Era possibile che riuscissimo a ripor­tarlo da lei?

Sembrava di sì. Ella sapeva per certo che ultimamente Isa, quando so­praggiungeva una crisi d'astinenza, aveva fatto uso di un covo di fumatori d'oppio a est della City. Fino a quel momento le sue orge si erano limitate a una giornata, ed egli era sempre tornato, tremante e distrutto, la sera. Ma ora l'attacco durava da ventiquattro ore, ed egli giaceva là, indubbiamente, tra la feccia del porto, respirando il veleno o smaltendolo nel sonno. Lo si sarebbe trovato là, ella ne era certa, al Lingotto d'Oro, in Upper Swandam Lane. Ma cosa avrebbe potuto fare? Come avrebbe potuto lei, una giovane donna timorosa, farsi strada in un simile posto e strappare suo marito ai mascalzoni che lo circondavano?

Questa era la situazione, e ovviamente vi era una sola via d'uscita. Non avrei potuto scortarla io in quel luogo? E, ripensandoci, perché ella avreb­be dovuto venire? Io ero il medico curante di Isa Whitney, e come tale ave­vo dell'ascendente su di lui. Me la sarei cavata meglio se fossi stato solo. Le diedi la mia parola che lo avrei rimandato a casa su una carrozza entro due ore, se egli era veramente all'indirizzo che ella mi aveva dato. E così in dieci minuti mi ero lasciato alle spalle la mia poltrona e il mio confortevole salotto, e mi stavo dirigendo in fretta verso est su una carrozza a due ruote per una strana commissione; o così mi sembrava in quel momento, per quanto solo il futuro avrebbe potuto mostrare quanto strana si sarebbe rive­lata.

Ma non ci furono difficoltà nella prima parte della mia avventura. Upper Swandam Lane è un vicolo miserabile nascosto tra le banchine che fian­cheggiano la riva settentrionale del fiume a est del Ponte di Londra. Tra una bettola e un negozio di gin, raggiunta da una serie di ripidi gradini che scendevano fino a un'apertura nera come l'imboccatura di una caverna, tro­vai la fumeria che stavo cercando. Ordinato al cocchiere di aspettarmi, sce­si i gradini, resi concavi nel centro da innumerevoli passi ubriachi, e alla luce di una tremolante lampada a olio sopra la porta, trovai il saliscendi ed entrai in una sala lunga e bassa, greve del fumo marrone d'oppio, e fornita di cuccette di legno disposte a terrazze come negli alloggi per l'equipaggio di una nave di emigranti.

Nella luce incerta si potevano intravedere corpi che giacevano in pose strane e fantastiche, spalle arcuate, ginocchia piegate, teste rovesciate al­l'indietro e menti rivolti verso l'alto, e qua e là un occhio scuro e opaco che

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si spostava sul nuovo arrivato. Nelle ombre nere scintillavano piccoli cer­chi di luce rossa, ora brillanti, ora deboli, a seconda che il veleno crescesse o calasse nei fornelli delle pipe metalliche. I più restavano in silenzio, ma alcuni borbottavano a se stessi, e altri parlavano tra di loro con voce strana, bassa, monotona, con le frasi che sgorgavano a fiotti e poi si perdevano nel silenzio, ciascuno che mormorava i propri pensieri e prestava poca atten­zione alle parole del vicino. All'estremità opposta c'era un piccolo braciere di carboni ardenti, di fianco al quale, su uno sgabello di legno a tre gambe, sedeva un vecchio alto e magro, con il mento posato sui pugni e i gomiti sulle ginocchia, che fissava il fuoco.

Non appena fui entrato un olivastro servitore malese si era affrettato a offrirmi una pipa e una dose della droga, facendo cenno verso una cuccetta vuota.

- Grazie, ma non sono venuto per restare - dissi. - C'è qui un mio amico, il signor Isa Whitney, e desidero parlare con lui.

Ci fu un movimento e un'esclamazione alla mia destra, e, scrutando nel­la penombra, vidi Whitney, pallido, malconcio e trasandato, che mi fissava.

- Mio Dio! È Watson! - disse. Era in condizioni pietose, con i nervi in grande agitazione. - Dico, Watson, che ora è?

- Quasi le undici.- Di che giorno?- Di venerdì diciannove giugno.- Santo cielo! Credevo che fosse mercoledì. Ma è mercoledì. Perché vo­

lete spaventare la gente così? - Affondò il volto tra le braccia e prese a sin­ghiozzare in un falsetto acuto.

- Vi dico che è venerdì, amico mio. Vostra moglie vi aspetta da due gior­ni. Dovreste vergognarvi di voi stesso!

- È quello che faccio. Ma vi sbagliate, Watson, perché sono qui solo da poche ore, tre pipe, quattro pipe... ho dimenticato quante. Ma verrò a casa con voi. Non vorrei spaventare Kate... povera piccola Kate. Datemi la mano! Avete una carrozza?

- Sì, ne ho una che attende fuori.- Allora ci andrò. Ma devo pagare qualcosa. Scoprite quanto devo paga­

re, Watson. Io non mi sento bene. Non posso fare niente per me stesso.Attraversai lo stretto passaggio tra la doppia fila di dormienti, trattenen­

do il respiro per non inalare gli abietti fumi stordenti della droga, e guar­dandomi attorno in cerca del gestore. Mentre passavo davanti all'uomo se­duto vicino al braciere sentii un lieve strattone al lembo della giacca e una

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voce bassa sussurrò: - Superatemi, e poi voltatevi a guardarmi. - Le parole mi arrivarono all'orecchio piuttosto chiaramente. Abbassai gli occhi. Avrebbero potuto provenire solo dal vecchio al mio fianco, eppure egli se­deva assorbito come prima, molto magro, molto rugoso, piegato dall'età, con una pipa d'oppio che gli pendeva tra le ginocchia, come se gli fosse ca­duta dalle dita apatiche. Feci due passi avanti e mi voltai a guardare. Fu ne­cessario tutto il mio autocontrollo per impedirmi di gridare dallo stupore. Egli aveva voltato la schiena cosicché nessuno potesse vederlo tranne me. La sua forma era più solida, le rughe erano sparite, gli occhi avevano riac­quistato il loro fuoco, e chi sogghignava della mia sorpresa altri non era che Sherlock Holmes. Mi fece cenno di avvicinarmi, e all'istante, mentre si voltava di nuovo verso gli avventori, ritornò senile, tremante, con la bocca semiaperta.

- Holmes! - sussurrai. - Cosa diavolo fate in questo covo?- Parlate più piano che potete - rispose. - Ho orecchie eccellenti. Se fo­

ste così gentile da liberarvi di quel vostro amico abbruttito, sarei molto lie­to di fare una piccola chiacchierata con voi.

- Ho una carrozza qui fuori.- Allora di grazia mandatelo a casa con essa. Potete fidarvi di lui, perché

appare troppo debole per cacciarsi in qualche guaio. Vi consiglierei anche di mandare un biglietto a vostra moglie tramite il cocchiere, dicendole che avete unito la vostra sorte alla mia. Se attenderete fuori, vi raggiungerò tra cinque minuti.

Era difficile rifiutare una qualunque delle richieste di Sherlock Holmes, perché erano sempre così decise, ed espresse con un tale tono di autorità. Ritenni, comunque, che messo Whitney in carrozza la mia missione fosse praticamente conclusa; e così non avrei potuto volere di meglio che unirmi al mio amico per una di quelle singolari avventure che rappresentavano la condizione normale della sua esistenza. In pochi minuti avevo scritto il bi­glietto, pagato il conto di Whitney, l'avevo condotto fino alla vettura e lo avevo visto allontanarsi nelle tenebre. Poco dopo una figura decrepita era emersa dalla fumeria, e io stavo camminando lungo la via con Sherlock Holmes. Per due strade egli avanzò strascicando i piedi, con la schiena cur­va e il passo incerto. Poi, dopo un'occhiata veloce attorno, si raddrizzò e proruppe in una sonora risata.

- Suppongo, Watson - disse - che pensiate io abbia aggiunto l'oppio alla cocaina e a tutte quelle piccole debolezze per le quali mi avete favorito i vostri consigli medici.

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- Di sicuro sono rimasto sorpreso nel trovarvi lì.- Ma non più di me nel trovarci voi.- Ero venuto a cercarvi un amico.- E io per trovare un nemico!- Un nemico?- Sì, uno dei miei nemici naturali, o dovrei dire una delle mie prede na­

turali. In breve, Watson, sono nel bel mezzo di un'inchiesta davvero note­vole, e avevo sperato di trovare una traccia nei farfugliamenti di quegli ab­bruttiti, come ho già fatto in passato. Se fossi stato riconosciuto, in quel covo non sarei vissuto più di un'ora, perché l'ho già usato prima d'ora per i miei scopi, e quel mascalzone di marinaio orientale che lo gestisce ha giu­rato di vendicarsi di me. C'è una botola sul retro dell'edificio, vicino all'an­golo del Molo Paul, che potrebbe narrare strane storie su ciò che vi è pas­sato attraverso nelle notti senza luna.

- Cosa? Non vorrete dire... dei cadaveri?- Già, cadaveri, Watson. Saremmo ricchi se avessimo mille sterline per

ogni povero diavolo che è stato ammazzato in quel tugurio. È la più infame trappola mortale della zona del fiume, e temo che Neville St. Clair vi sia entrato per non uscirne più. Ma il nostro calesse dovrebbe essere qui! - Si infilò due dita tra i denti ed emise un fischio acuto, un segnale a cui rispose un fischio simile a distanza, subito seguito dal rumore di ruote e dallo scal­piccio di zoccoli.

- Ora, Watson - disse Holmes, mentre un calesse usciva veloce dal buio, gettando due fasci di luce dorata dai fanali laterali - verrete con me, vero?

- Se posso esservi utile.- Oh, un compagno fidato è sempre utile. E un cronista lo è ancor di più.

La mia stanza a I Cedri è a due letti.- I Cedri?- Sì, è la casa del signor St. Clair. Vivo lì, mentre conduco questa inchie­

sta.- Dov'è, allora?- Vicino a Lee, nel Kent. Abbiamo sette miglia di strada che ci aspetta­

no.- Ma io non so ancora niente.- Ovviamente. Saprete tutto tra breve. Saltate su! D'accordo, John, non

avremo bisogno di voi. Ecco mezza corona. Cercatemi domani verso le un­dici. Arrivederci!

Spronò il cavallo con la frusta, e balzammo avanti per una serie intermi­108

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nabile di strade scure e deserte che si allargavano gradualmente, finché non attraversammo un ampio ponte con parapetti, mentre il fiume limaccioso scorreva pigro sotto di noi. Più avanti si stendeva un'altra giungla di matto­ni e cemento, il cui silenzio era spezzato solo dai passi pesanti e regolari dei poliziotti, o dai canti e dalle grida di qualche gruppo di nottambuli. Un'opaca caligine fluttuava lentamente nel cielo, e una stella o due scintil­lavano debolmente qua e là attraverso gli squarci tra le nuvole. Holmes guidava il calesse in silenzio, con la testa sul petto e l'aria di un uomo perso nei propri pensieri, mentre io gli sedevo a fianco, curioso di scoprire cosa potesse essere questa nuova avventura che sembrava mettere tanto a dura prova le sue energie, eppure timoroso di intromettermi nel corso delle sue meditazioni. Avevamo percorso parecchie miglia, e cominciavamo a rag­giungere la fascia di ville della periferia, quando egli si scosse, scrollò le spalle, e si accese la pipa con l'aria di chi si è finalmente convinto di agire nel modo migliore.

- Voi possedete il grandioso dono del silenzio, Watson - disse. - Vi rende un compagno impareggiabile. Credetemi, è una gran cosa per me avere qualcuno a cui parlare, perché i miei pensieri non sono molto piacevoli. Mi stavo chiedendo cosa dovrei dire a quella povera donnetta, stasera, quando mi verrà incontro alla porta.

- Dimenticate che non ne so ancora nulla.- Avrò giusto il tempo di riassumervi il caso prima del nostro arrivo a

Lee. Sembra una cosa assurdamente semplice, eppure, per qualche motivo, non so da dove partire. Ci sono indubbiamente molti fili, ma non riesco a venirne a capo. Ora vi spiegherò chiaramente il caso, Watson, e forse voi vedrete uno spiraglio di luce dove per me tutto è oscuro.

- Andate avanti, dunque.- Alcuni anni or sono... per essere esatti, nel maggio del 1884... un genti­

luomo di nome Neville St. Clair, che sembrava possedere molto denaro, venne a vivere a Lee. Comprò una grande villa, sistemò bene il terreno, e vi cominciò a vivere con discreta agiatezza. Col passar del tempo si fece degli amici nella zona, e nel 1887 sposò la figlia di un fabbricante di birra locale, dalla quale ebbe due bambini. Non aveva lavoro fisso, ma aveva partecipazioni in svariate società, e di regola si recava in città al mattino e rientrava da Cannon Street col treno delle 5,14 ogni sera. Ora il signor St. Clair ha trentasette anni, è un uomo di abitudini tranquille, un padre affet­tuoso e un uomo benvoluto da tutti coloro che lo conoscono. Potrei aggiun­gere che tutti i suoi debiti al momento, per quanto abbiamo accertato, am­

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montano a ottantotto sterline e dieci scellini, mentre ha un conto di duecen­toventi sterline alla Capital and Counties Bank. Di conseguenza non c'è motivo di pensare che sia stato turbato da preoccupazioni di ordine finan­ziario.

"Lunedì scorso il signor Neville St. Clair andò in città un poco più pre­sto del solito, dicendo prima di partire che aveva due importanti commis­sioni da sbrigare, e che avrebbe portato in regalo al suo figliolo una scatola di costruzioni. Ora, per puro caso sua moglie ricevette un telegramma quel­lo stesso lunedì, poco dopo la partenza del marito, il quale diceva che un pacchettino di notevole valore da lei atteso la aspettava negli uffici della Compagnia di Navigazione Aberdeen. Ora, se voi siete pratico della nostra Londra, saprete che l'ufficio della compagnia si trova in Fresno Street, la quale è una traversa di Upper Swandam Lane, dove mi avete trovato stase­ra. La signora St. Clair pranzò, si avviò verso la City, fece degli acquisti, raggiunse l'ufficio della compagnia, ritirò il pacchetto e alle 4,35 precise si trovò a passare per Swandam Lane sul tragitto per tornare alla stazione. Mi avete seguito fin qui?"

- È tutto chiaro.- Se ricordate, lunedì era un giorno estremamente afoso, e la signora St.

Clair camminava piano, guardandosi attorno nella speranza di trovare una carrozza, perché non le piaceva il quartiere in cui si trovava. Mentre attra­versava così Swandam Lane, udì improvvisamente un'esclamazione, o un grido; e si raggelò nel vedere suo marito che la guardava e, le sembrò, la chiamava con un cenno da una finestra al secondo piano. La finestra era aperta, ed ella vide chiaramente il volto di lui che, secondo la sua descri­zione, era terribilmente sconvolto. Egli agitò freneticamente le mani nella sua direzione, e poi sparì dalla finestra così di colpo da farle sembrare che fosse stato strappato indietro da una forza irresistibile alle sue spalle. Un particolare singolare, che non sfuggì al suo occhio femminile, era che, per quanto egli indossasse una giacca scura, quella che aveva messo per andare in città, non portava né colletto né cravatta.

"Convinta che ci fosse qualcosa che non andava, scese in fretta per gli scalini... perché la casa non era altro che la fumeria d'oppio dove mi avete trovato... e, attraversata di corsa la sala principale, tentò di salire le scale che portavano al primo piano. Ma ai piedi delle scale incontrò quel mascal­zone di un marinaio di cui parlavo, che la ricacciò indietro e, aiutato da un suo inserviente danese, la risospinse in strada. In preda al dubbio e al terro­re più folle, ella corse giù per il vicolo e, per un raro colpo di fortuna, trovò

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in Fresno Street un gruppo di agenti e un ispettore che si avviavano al loro giro di ronda. L'ispettore e due uomini la riaccompagnarono indietro; e, malgrado la resistenza del proprietario, raggiunsero la stanza dove era stato visto il signor St. Clair. Di lui non vi era traccia. Infatti nell'intero piano non vi era nessuno, salvo un povero storpio di orribile aspetto, che pare vi­vesse lì. Sia questi che il marinaio giurarono che nessuno era stato in quella stanza nel pomeriggio. Il loro diniego fu talmente convincente da lasciare perplesso l'ispettore, ed egli era quasi sul punto di pensare che la signora avesse preso un abbaglio, quando quest'ultima si lanciò con un grido su una scatoletta di legno appoggiata sul tavolo, e ne strappò il coperchio. Ne venne fuori una cascata di cubetti da costruzioni per bambini. Era il giocat­tolo che suo marito aveva promesso di portare a casa.

"Questa scoperta, e l'evidente confusione che lo storpio dimostrava, fe­cero capire all'ispettore che la faccenda era seria. Le stanze vennero perqui­site con attenzione, e tutti i risultati indicavano un crimine abominevole. La stanza aveva un semplice arredamento da salotto, e portava a una picco­la camera da letto che dava sul retro di uno dei moli. Tra il molo e la stanza da letto si trovava una stretta striscia di terra, la quale era asciutta durante la bassa marea, ma che con l'alta marea veniva coperta da quasi un metro e mezzo d'acqua. La finestra della camera era larga, e si apriva dal basso. La perquisizione mostrò tracce di sangue sul davanzale, e svariate gocce spar­se erano visibili sul pavimento di legno della camera da letto. Gettati dietro un tendaggio, nella stanza davanti, c'erano tutti gli abiti del signor Neville St. Clair, a eccezione della sua giacca. Le sue scarpe, le calze, il cappello, l'orologio... c'era ogni cosa. Non vi erano segni di violenza su nessuno de­gli indumenti, e non c'era traccia di Neville St. Clair Apparentemente dove­va essere uscito dalla finestra, perché non fu possibile scoprire nessun'altra via d'uscita, e le sinistre macchie di sangue sul davanzale davano poche speranze che potesse essersi salvato a nuoto, perché la marea era al punto più alto nel momento della tragedia.

"E ora passiamo ai criminali che sembravano direttamente implicati nel­la faccenda. Il marinaio indiano era noto come un soggetto dai peggiori tra­scorsi immaginabili ma, dato che secondo il racconto della signora St. Clair egli si trovava ai piedi della scala a pochi secondi dall'apparizione del marito alla finestra, non poteva essere stato più che un complice nel delitto. Si difese dichiarando assoluta ignoranza, e asserì di non sapere nulla delle azioni di Hugh Boone, il suo inquilino, e di non poter spiegare in alcun modo la presenza degli abiti del gentiluomo scomparso.

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"Questo, per quanto riguarda il gestore. Ora veniamo al sinistro scianca­to che viveva al secondo piano della fumeria d'oppio, e che era certamente l'ultimo essere umano ad aver posato gli occhi su Neville St. Clair. Il suo nome è Hugh Boone, e il suo orrendo volto è alquanto familiare ai frequen­tatori della City. È un mendicante professionista, per quanto finga di ven­dere cerini per non violare i regolamenti di polizia. Sul lato sinistro di Th­readneedle Street si trova, come forse avrete notato, una piccola rientranza nel muro. È qui che quella creatura si siede quotidianamente, a gambe in­crociate, con la sua povera mercanzia in grembo, ed essendo uno spettacolo talmente pietoso, una piccola pioggia di elemosine cade nello sporco ber­retto di cuoio che tiene sul marciapiede di fianco a sé. Ho osservato que­st'uomo più di una volta, prima di conoscerlo professionalmente, e sono ri­masto sorpreso da quanto riesca a raccogliere in poco tempo. Vedete, il suo aspetto è così notevole che nessuno può passargli vicino senza notarlo. Ha una massa di capelli arancione, il volto pallido, sfigurato da un'orrenda ci­catrice che ha rivoltato all'insù il bordo del labbro superiore, un mento da mastino, due occhi scuri e molto penetranti che contrastano singolarmente con i capelli; tutto contribuisce a farlo spiccare tra la folla di comuni men­dicanti, e lo stesso fa il suo spirito, perché egli ha sempre una risposta pronta a ogni battuta che gli lanciano i passanti. Questo è l'uomo che, come ora sappiamo, era alloggiato alla fumeria d'oppio ed è stato l'ultimo a vede­re il gentiluomo che stiamo cercando."

- Ma... uno storpio! - esclamai io. - Cosa potrebbe aver fatto egli solo contro un uomo nel fiore degli anni?

- È storpio nel senso che cammina zoppicando; ma per il resto sembra un uomo robusto e ben nutrito. Di sicuro la vostra esperienza medica vi in­segna, Watson, che la debolezza in un arto è spesso compensata da una for­za eccezionale negli altri.

- Vi prego, continuate il racconto.- La signora St. Clair era svenuta alla vista del sangue sul davanzale, e

venne riaccompagnata a casa dalla polizia, dato che la sua presenza non poteva esser loro d'aiuto nelle ricerche. L'ispettore Barton, al quale era sta­to affidato il caso, fece un 'ispezione accurata del posto, ma senza trovar niente che gettasse luce sulla vicenda. Era stato commesso un errore nel non aver arrestato immediatamente Boone, lasciandogli alcuni minuti nei quali avrebbe potuto parlare col suo amico marinaio; ma a questo fu rapi­damente rimediato, ed egli fu preso e perquisito, senza però trovare nulla che potesse incriminarlo. È vero che vi erano delle macchie di sangue sulla

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sua manica destra, ma egli indicò il proprio anulare, che era tagliato vicino all'unghia, e spiegò che il sangue proveniva da lì; e aggiunse di essere stato alla finestra non molto tempo prima, e che le macchie trovatevi venivano senza dubbio dalla stessa fonte. Negò decisamente di aver mai visto Nevil­le St. Clair, e giurò che la presenza degli abiti era un mistero per lui quanto per la polizia. Per quanto riguardava l'asserzione della signora di aver visto il marito alla finestra, egli dichiarò che la donna doveva essere folle o aver sognato. Fu condotto, con veementi proteste, alla stazione di polizia, men­tre l'ispettore rimase sul posto nella speranza che l'abbassarsi della marea portasse qualche nuovo indizio.

"E così avvenne, per quanto sulla riva non trovarono proprio ciò che te­mevano di trovare. Non fu Neville St. Clair, ma la sua giacca ad essere la­sciata dalla marea. E cosa pensate che abbiano trovato nelle sue tasche?"

- Non riesco a immaginarmelo.- No, non credo che riuscireste a indovinarlo. Ogni tasca era piena di

penny e mezzi penny... quattrocentoventun penny, e duecentosettanta mez­zi penny. Non c'era da stupirsi che non fosse stata portata via dalla marea. Ma un corpo umano è tutt'altra faccenda. Tra la casa e il molo c'è una vio­lenta corrente, e sembrava abbastanza probabile che la giacca appesantita fosse rimasta mentre il corpo era stato risucchiato dal fiume.

- Ma se ho ben capito tutti gli altri vestiti sono stati trovati nella stanza. Il corpo avrebbe avuto indosso solo la giacca?

- Nossignore, ma ora statemi ad ascoltare. Immaginate che questo Boo­ne abbia gettato St. Clair dalla finestra, senza alcun testimone che abbia as­sistito al fatto. Cosa fa, allora? Ovviamente, pensa all'istante di doversi li­berare dei vestiti rivelatori. Quindi afferra la giacca, ma si rende conto mentre sta per gettarla che non potrebbe affondare. Ha poco tempo, perché ha sentito la moglie al piano inferiore che cerca di salire a forza, e forse ha già sentito dal suo compare indiano che la polizia è in arrivo dalla strada. Non c'è un attimo da perdere. Si lancia verso un nascondiglio segreto, dove ha accumulato i frutti del suo accattonaggio, e infila tutte le monete che può nelle tasche per assicurarsi di far affondare la giacca. La scaglia fuori, e avrebbe fatto lo stesso con gli altri indumenti se non avesse sentito i passi di sotto; gli rimane appena il tempo di chiudere la finestra prima dell'arrivo della polizia.

- Di certo, sembra possibile.- Bene, per il momento la considereremo un'ipotesi accettabile in man­

canza di una migliore. Boone, come vi ho detto, è stato arrestato e condotto 113

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alla stazione di polizia, ma non si è trovato nulla di passato a suo carico. Si sa da anni che è un mendicante professionista, ma sembra che la sua vita sia stata tranquilla e onesta. Così stanno le cose al momento, e i misteri da risolvere... cosa stava facendo Neville St. Clair nella fumeria d'oppio, cosa gli è accaduto lì, dove si trova adesso, e cos'ha a che fare Hugh Boone con la sua scomparsa... sono tutt'altro che vicino alla soluzione. Confesso che non riesco a ricordare alcun caso di cui mi sono occupato che a prima vista sembrasse tanto semplice e presentasse invece tali difficoltà.

Mentre Sherlock Holmes raccontava questa curiosa serie di eventi, ave­vamo attraversato la periferia della grande città fino a lasciarci indietro le ultime case isolate, e ora percorrevamo una strada di campagna con una siepe a entrambi i lati. Ma mentre egli terminava attraversammo due villag­gi dove alcune luci brillavano ancora alle finestre.

- Siamo alla periferia di Lee - disse il mio amico. - Abbiamo attraversato tre contee nel nostro tragitto, partendo dal Middlesex, passando un angolo del Surrey e terminando nel Kent. Vedete quella luce tra gli alberi? Quelli sono I Cedri, e di fianco a quella lampada siede una donna le cui orecchie ansiose hanno senza dubbio già sentito lo scalpiccio degli zoccoli dei nostri cavalli.

- Ma perché non conducete l'investigazione da Baker Street?- Perché ci sono molte ricerche che vanno eseguite qui. La signora St.

Clair mi ha gentilmente messo a disposizione due stanze, e potrete star cer­to che darà il benvenuto al mio amico e collega. Però mi angoscia vederla, Watson, senza aver notizie di suo marito. Eccoci arrivati... ferma, bello, ferma!

Ci eravamo fermati davanti a una grande villa, che si trovava in mezzo a un parco. Uno stalliere arrivò a occuparsi del cavallo e, balzando a terra, seguii Holmes per il vialetto serpeggiante che portava alla casa. Mentre ci avvicinavamo, la porta si spalancò e una piccola donna bionda apparve sul­la soglia, vestita con un leggero abito di mussola, guarnito di chiffon rosa al collo e ai polsi. Rimase contornata dal fascio di luce, con una mano sulla porta e l'altra sollevata a metà, il corpo lievemente piegato in avanti, il capo e il viso protesi, gli occhi ansiosi e le labbra semiaperte, in attesa di una risposta.

- Allora? - gridò. - Allora? - E poi, vedendo che eravamo in due, lanciò un grido di speranza che terminò in un gemito, appena vide che il mio compagno scuoteva la testa e scrollava le spalle.

- Qualche buona notizia?114

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- Nessuna.- Qualcuna cattiva?- No.- Grazie a Dio, almeno per quello. Ma entrate. Dovete esser stanco, per­

ché la giornata è stata lunga.- Questi è il mio amico, il dottor Watson. Mi è stato indispensabile in

svariati casi, e per una fortunata coincidenza ho potuto fare in modo che si unisse a me per questa investigazione.

- Felicissima di conoscervi - disse la donna, stringendomi calorosamente la mano. - Spero che mi perdonerete ogni mancanza nella sistemazione, considerata la sfortuna che si è abbattuta su di noi.

- Mia cara signora - replicai - sono un vecchio soldato, e anche se non lo fossi, posso ben vedere che non c'è bisogno di scusarsi. Se posso essere d'aiuto a voi o al mio amico Holmes, ne sarò certamente felice.

- Ora, signor Holmes - disse la signora mentre entravamo in una sala da pranzo ben illuminata, sul tavolo della quale era stata preparata una cena fredda - vorrei farvi una o due domande franche, alle quali vi chiedo di dare risposte altrettanto franche.

- Ma certo, signora.- Non preoccupatevi dei miei sentimenti. Non sono isterica né ho la ten­

denza a svenire. Vorrei semplicemente la vostra reali opinione.- Riguardo a cosa?- Nel profondo del vostro cuore, ritenete che Neville sia ancora vivo?Sherlock Holmes parve imbarazzato dalla domanda.- Siate sincero! - insisté la signora, restando in piedi sul tappeto e fissan­

dolo, mentre Holmes si accomodava in una poltrona di vimini.- A esser franchi, signora, ritengo di no.- Pensate che sia morto?- Sì.- Assassinato?- Non posso dirlo. Forse sì.- E in che giorno sarebbe morto?- Lunedì.- Allora, signor Holmes, sareste così gentile da spiegarmi come ho potu­

to ricevere questa sua lettera oggi?Sherlock Holmes balzò dalla poltrona come se avesse ricevuto una sca­

rica elettrica.- Cosa? - ruggì.

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- Già, oggi - sorrise la donna, tenendo in mano un foglietto di carta.- Posso vederla?- Certamente.Holmes la afferrò ansioso e, stendendola sul tavolo, avvicinò la lampada

e la esaminò attentamente. Io mi ero alzato dalla mia poltrona e stavo guar­dando da sopra la sua spalla. La busta era molto comune, e portava il tim­bro postale di Gravesend e la data del giorno stesso, o dovrei dire del gior­no prima, visto che era passata da molto la mezzanotte.

- Una calligrafia rozza! - commentò Holmes. - Questa non è di certo la scrittura di vostro marito, signora.

- No, ma quella del messaggio sì.- Noto inoltre che chiunque abbia scritto il nome del destinatario sulla

busta ha dovuto chiedere l'indirizzo.- Come fate a dirlo?- Vedete, il nome è scritto con inchiostro perfettamente nero, che si è

asciugato da sé. Il resto è di quel colore grigiastro provocato dall'uso di carta assorbente. Se fosse stato scritto tutto assieme e poi asciugato, non vi sarebbe inchiostro nero. Quest'uomo ha scritto il nome, e poi ha scritto l'in­dirizzo dopo una pausa, il che significa che non gli era familiare. È un'ine­zia, ovviamente, ma non vi è nulla di più importante delle inezie. Ora ve­diamo la lettera! Ah! Ma nella busta vi era qualcos'altro!

- Sì, c'era il suo anello. Un anello con sigillo.- E siete certa che questa sia la scrittura di vostro marito?- Una delle sue scritture.- Una delle sue scritture?- La scrittura di quando scrive in fretta. È molto diversa da quella nor­

male, ma la conosco bene.- "Mia cara, non aver paura. Tutto si risolverà per il meglio. È stato

commesso un grave errore, che richiederà del tempo per essere chiarito. Aspetta con pazienza. Neville." Scritto a matita sul riguardo di un libro, formato in ottavo, e niente filigrana. Uhm! Impostato oggi a Gravesend da qualcuno che aveva il pollice sporco. Ah! E la linguetta è stata leccata, se non sbaglio, da qualcuno che mastica tabacco. E voi non avete dubbi che questa sia la calligrafia di vostro marito, signora?

- Nessuno. È stato Neville a scrivere quelle parole.- E sono state imbucate oggi a Gravesend. Bene, signora St. Clair, le

nubi cominciano a diradarsi, per quanto non mi azzarderei a dire che il pe­ricolo è passato.

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- Ma Neville dev'essere vivo, signor Holmes.- A meno che questa non sia un 'ingegnosa falsificazione per metterci su

una falsa pista. Dopotutto l'anello non prova nulla. Potrebbe essergli stato preso.

- No, no! È la sua scrittura, è proprio la sua!- Molto bene. Però potrebbe essere stata scritta lunedì, e imbucata sol­

tanto oggi.- È possibile.- In questo caso, molte cose potrebbero essere avvenute in questo lasso

di tempo.- Oh, non dovete scoraggiarmi, signor Holmes. Io so che Neville sta

bene. C'è una tale telepatia tra di noi che lo sentirei, se gli accadesse qual­cosa di male. Proprio il giorno in cui lo vidi l'ultima volta, mio marito si ta­gliò nella stanza da letto, eppure io corsi dal salotto al piano di sopra, con la certezza assoluta che gli fosse successo qualcosa. Pensate che potrei av­vertire una sciocchezza simile, e non percepire la sua morte?

- Ho visto troppe cose per non sapere che le sensazioni di una donna possono essere più valide delle conclusioni di un uomo che ragiona analiti­camente. E questa lettera è certamente una prova importante a sostegno delle vostre opinioni. Ma se vostro marito è vivo e in grado di scrivere, perché dovrebbe restare lontano?

- Non riesco a immaginarlo. È impensabile.- E lunedì non disse nulla prima di uscire?- No.- Ed eravate sorpresa di vederlo in Swandam Lane?- Sì, e molto.- La finestra era aperta?- Sì.- Allora, avrebbe potuto chiamarvi?- Certamente.- E invece, se ho capito bene, lanciò solo un grido inarticolato?- È così.- Avete pensato che fosse un grido d'aiuto?- Sì. Agitava le mani.- Ma avrebbe potuto essere un grido di sorpresa. Lo stupore di vedervi,

inaspettatamente, avrebbe potuto fargli alzare le mani.- È possibile.- E voi avete pensato che venisse tirato indietro.

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- È scomparso così all'improvviso!- Avrebbe potuto balzare all'indietro. Voi non avete visto nessun altro

nella stanza.- No, ma quell'uomo orribile ha confessato che si trovava nella stanza, e

il marinaio era ai piedi delle scale.- Esattamente. Vostro marito, per quanto avete potuto vedere, portava i

suoi abiti normali?- Sì, ma senza colletto né cravatta. Ho visto chiaramente la sua gola sco­

perta.- Aveva mai parlato di Swandam Lane?- No, mai.- Ha mai dato motivo di sospettare che prendesse dell'oppio?- Mai!- Grazie, signora St. Clair. Questi erano i punti fondamentali che deside­

ravo assolutamente chiarire. Ora mangeremo qualcosa e poi ci ritireremo, perché domani ci attende una giornata alquanto faticosa.

Ci era stata messa a disposizione una grande e comoda stanza a due let­ti, e io mi infilai veloce tra le lenzuola, essendo davvero stanco dopo quella notte di avventure. Ma Sherlock Holmes era un uomo che, quando aveva un problema da risolvere per la testa, poteva restare per giorni e persino per una settimana senza riposo; rivoltandolo, riordinando i fatti, osservandolo da ogni punto di vista, finché non fosse arrivato alla soluzione oppure si fosse convinto di non avere dati sufficienti. Mi fu presto evidente che si stava preparando a una veglia notturna. Si tolse la giacca e il panciotto, in­dossò un'ampia vestaglia da camera blu, e poi prese a vagare per la stanza raccogliendo guanciali dal proprio letto, e cuscini dal sofà e dalle poltrone. Con questi costruì una specie di divano orientale sul quale si appollaiò a gambe incrociate, con un'oncia di tabacco trinciato e una scatola di fiammi­feri davanti a sé. Alla luce fioca della lampada lo vidi così seduto, con una vecchia pipa di radica tra le labbra, gli occhi che fissavano un angolo del soffitto senza vederlo, il fumo azzurro che si alzava da lui, silenzioso, im­mobile, con la luce che ne sottolineava i lineamenti marcati e aquilini. Re­stò seduto in questo modo mentre io scivolavo nel sonno, e così seduto lo ritrovai quando un'esclamazione improvvisa mi svegliò, e trovai il sole estivo che splendeva nella stanza. La pipa era ancora tra le sue labbra, e la stanza era pervasa da una densa nube di fumo, ma nulla rimaneva del muc­chietto di tabacco forte che avevo visto la notte prima.

- Sveglio, Watson?118

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- Già.- Vi va una passeggiata mattutina?- Ma certo.- Vestitevi. allora. Nessuno si è ancora alzato, ma so dove dorme lo stal­

liere, e tra poco avremo il calesse. - Ridacchiò tra sé, con gli occhi scintil­lanti, e sembrava un uomo diverso dal tetro pensatore della notte preceden­te.

Mentre mi vestivo diedi un'occhiata all'orologio. Non c'era da stupirsi che nessuno si fosse alzato: erano le quattro e venticinque di mattina. Ave­vo a malapena terminato che Holmes tornò dicendo che lo stalliere stava attaccando il cavallo.

- Ho intenzione di mettere alla prova una mia piccola teoria - disse. mentre si infilava gli stivali. - Watson, ritengo che vi troviate alla presenza di uno dei peggiori stupidi di tutta Europa. Merito di essere preso a calcioni da qui fino a Charing Cross. Però ritengo di aver trovato la chiave.

- E dov'è? - domandai, sorridendo.- Nel bagno - rispose lui. - No, non sto scherzando - continuò, vedendo

la mia espressione incredula. - Vi sono appena stato, l'ho presa, e l'ho qui in questa valigetta. Venite, ragazzo mio, e vedremo se entrerà nella serratura.

Scendemmo al piano inferiore quanto più silenziosamente possibile; e uscimmo alla luce brillante del mattino. Sulla strada ci attendevano il ca­vallo e il calesse, con lo stalliere, vestito a metà, alle redini. Balzammo en­trambi in vettura e ci lanciammo sulla strada per Londra. Vi erano pochi carri di contadini, che portavano verdure nella metropoli, ma le file di ville su entrambi i lati erano silenziose e senza vita come in una città di sogno.

- Era un caso singolare, sotto certi aspetti - disse Holmes, spronando il cavallo al galoppo. - Confesso di essere stato cieco come una talpa, ma me­glio tardi che mai.

In città i più mattinieri cominciavano appena a guardare dalle finestre mentre passavamo per le strade del Surrey. Attraversammo il fiume sul ponte di Waterloo, e imboccata Wellington Street voltammo bruscamente a destra e ci trovammo in Bow Street. Sherlock Holmes era ben noto alla po­lizia, e i due agenti al portone lo salutarono militarmente. Uno di loro prese le redini del cavallo, mentre l'altro ci accompagnava dentro.

- Chi è di servizio? - domandò Holmes.- L'ispettore Bradstreet, signore.- Ah, Bradstreet, come state? - Un ufficiale alto e robusto, dal berretto

con visiera e la giacca con alamari, stava arrivando per il corridoio dal pa­119

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vimento di pietra. - Vorrei parlarvi, Bradstreet.- Ma certo, signor Holmes. Venite nel mio ufficio.Era un ufficio minuscolo, con un enorme libro mastro sul tavolo e un te­

lefono alla parete. L'ispettore si sedette alla scrivania.- Cosa posso fare per voi, signor Holmes?- Sono venuto per quel mendicante, Boone... quello accusato di essere

implicato nella scomparsa del signor Neville St. Clair, di Lee.- Sì, è stato portato qui e trattenuto per un'ulteriore inchiesta.- Così avevo saputo. Lo avete qui?- Nelle celle.- È tranquillo?- Oh, non crea problemi. Ma è un ribaldo sporco.- Sporco?- Già; tutto quello che abbiamo ottenuto è stato di fargli lavare le mani,

e ha la faccia nera come quella di uno spazzacamino. Be', una volta chiari­to il suo caso avrà un regolare bagno i prigione; e se lo vedeste, concorde­reste con me che ne ha bisogno.

- Vorrei davvero vederlo.- Sì? È presto fatto: venite da questa parte. Potete lasciare la borsa.- No, grazie, credo che la terrò.- Molto bene. Venite, prego. - Ci condusse per un corridoio, aprì una

porta a sbarre, scese una scala a chiocciola, e ci portò in un corridoio im­biancato con una fila di porte su ciascun lato.

- La terza sulla destra è la sua - disse l'ispettore. - Eccoci qui! - Aprì si­lenziosamente uno spioncino sulla parte superiore della porta, e lanciò un'occhiata all'interno.

- Sta dormendo - disse. - Potete vederlo bene.Guardammo entrambi dalla grata. Il prigioniero era sdraiato col viso ri­

volto verso di noi, in un sonno profondo, respirando lentamente e pesante­mente. Era un uomo di statura media, malvestito come si addiceva al suo lavoro, con una camicia colorata visibile attraverso uno strappo della giac­ca sgualcita. Come aveva detto l'ispettore, era estremamente sudicio, ma la sporcizia che gli copriva il volto non poteva nasconderne la bruttezza re­pellente. Un vecchia, larga cicatrice andava da un occhio al mento, e la contrazione della pelle aveva rivoltato un lato del labbro superiore, cosic­ché tre denti rimanevano scoperti in un ghigno perenne. Una chioma color rosso vivo gli copriva gli occhi e la fronte.

- Una bellezza, vero? - rise l'ispettore.120

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- Ha certamente bisogno di una lavata - commentò Holmes - Avevo idea che fosse così, e mi sono preso la libertà di portare con me gli attrezzi ap­propriati. - Così dicendo aprì la valigetta, e con mio stupore vi prese una grossa spugna da bagno.

- Eh, eh! Siete un tipo buffo! - ridacchiò l'ispettore.- Ora, se avrete la bontà di aprire senza rumore quella porta lo rendere­

mo una persona ben più rispettabile.- Bene, non vedo perché no - disse l'ispettore. - Non fa molto credito

alle celle di Bow Street, vero? - Infilò una chiave nella toppa, ed entrammo tutti in silenzio nella cella. Il dormiente si giro a metà, e poi ricadde in un profondo torpore. Holmes si chinò sulla brocca dell'acqua, bagnò la spu­gna, e poi la strofinò vigorosamente sul volto del prigioniero

- Permettetemi di presentarvi - gridò - il signor Neville St. Clair, della contea del Kent.

Mai in vita mia avevo assistito a un simile spettacolo. Il volto dell'uomo venne via sotto la spugna come la corteccia da un albero Era scomparsa la ruvida carnagione brunastra! Scomparsa anche l'orrida cicatrice che la at­traversava, e il labbro deformato che conferiva quel sogghigno repellente! Uno strattone portò via gli arruffati capelli rossi; e seduto sul letto c'era un uomo pallido, d'aspetto raffinato e dal volto triste, con i capelli neri e la pelle liscia, che si stropicciava gli occhi e si guardava attorno con stupore sonnolento. Poi, rendendosi conto di essere stato scoperto, lanciò un grido e si gettò sul letto, col volto nel guanciale

- Buon Dio! - gridò l'ispettore - È davvero l'uomo scomparso. Lo rico­nosco dalla fotografia.

Il prigioniero si voltò con l'espressione disperata di un uomo che si ab­bandona al proprio destino - D'accordo - disse. - Di cosa sono accusato, di grazia?

- Di aver fatto scomparire il signor Neville.. oh, cielo, non possono ac­cusarvi di una cosa simile, a meno che non lo considerino tentato suicidio - disse l'ispettore, con un sogghigno. - Bene, in ventisette anni di servizio una cosa del genere non l'avevo mai sentita.

- Se io sono Neville St. Clair, è ovvio allora che non è stato commesso alcun crimine, e quindi sono trattenuto ingiustamente.

- Nessun crimine, ma un grandissimo errore - fece Holmes. - Avreste dovuto fidarvi di vostra moglie.

- Non è stato per mia moglie, ma per i bambini - gemette il prigioniero. - Dio mi aiuti, non volevo che si vergognassero del loro padre. Mio Dio!

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Che guaio! Cosa posso fare?Sherlock Holmes gli si sedette a fianco sul letto, e gli batté gentilmente

sulla spalla.- Se lascerete che sia un tribunale a chiarire la cosa - disse - ovviamente

non potrete certo evitare la pubblicità. D'altro canto, se convincete le auto­rità di polizia che non possono esservi accuse contro di voi, credo che la storia non possa arrivare sui giornali. Sono certo che l'ispettore Bradstreet vorrà prender nota di quanto ci potreste dire, e sottoporrà il tutto alle auto­rità competenti. Il caso, quindi, non finirà affatto in tribunale.

- Dio vi benedica! - gridò il prigioniero con emozione profonda. - Avrei preferito la prigione, sì, persino il patibolo piuttosto che lasciare il mio tri­ste segreto come marchio indelebile sui miei figli!

"Siete i primi che sapranno la mia storia. Mio padre era maestro di scuo­la a Chesterfield, dove io ricevetti un'eccellente educazione. In gioventù viaggiai, feci l'attore, e infine divenni cronista per un giornale della sera a Londra. Un giorno il mio direttore chiese una serie di articoli sull'accatto­naggio a Londra, e io mi offrii volontario per realizzarli. Da lì iniziarono tutte le mie avventure. Solo provando a mendicare da dilettante potevo ot­tenere le notizie sulle quali scrivere i miei articoli; quando ero un attore avevo imparato, ovviamente, tutti i segreti del trucco, e nei camerini ero di­ventato famoso per la mia abilità in questo campo. Ora mi avvantaggiai di quanto sapevo fare. Mi dipinsi il volto, e per rendermi il più pietoso possi­bile applicai una cicatrice e rialzai il labbro con del cerotto color carne. Poi, con una parrucca rossa e un abito appropriato, presi posto in una delle zone più frequentate della City, in apparenza come fiammiferaio, ma in realtà come mendicante. Per sette ore esercitai quel mestiere, e quando la sera tornai a casa scoprii con sorpresa che avevo ricevuto non meno di ven­tisei scellini e quattro pence.

"Scrissi gli articoli, e ripensai ben poco alla faccenda finché, poco tem­po dopo, avallai una cambiale per un amico e ricevetti un 'ingiunzione per il pagamento della somma di venticinque sterline. Non sapevo dove sbatte­re la testa per ottenere il denaro, ma all'improvviso mi venne un'idea. Im­plorai il creditore per una proroga di due settimane, chiesi una vacanza ai miei datori di lavoro, e passai quel periodo elemosinando nella City col mio travestimento. In capo a dieci giorni raccolsi il denaro, e pagai il debi­to.

"Bene, potete immaginare quanto fosse arduo tornare a lavorare dura­mente per due sterline alla settimana, quando sapevo che potevo guadagna­

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re altrettanto in un giorno mettendomi un po' di tinta in viso, posando il cappello a terra e restando seduto. Fu una lunga lotta tra l'orgoglio e il desi­derio di denaro; ma alla fine vinse il denaro, abbandonai il giornalismo, e sedetti giorno dopo giorno in quell'angolo che avevo scelto la prima volta, ispirando pietà con la mia faccia mostruosa, e riempiendomi le tasche di monetine. Un solo uomo conosceva il mio segreto. Era il gestore di una lo­canda di infimo ordine in Swandam Lane dove alloggiavo, da dove ogni mattina potevo emergere come uno squallido mendicante e dove ogni sera mi trasformavo in un gentiluomo ben vestito. Questo tizio, un marinaio delle Indie Orientali, veniva da me ben pagato per le sue stanze, cosicché sapevo che il mio segreto era al sicuro.

"Bene, presto scoprii che stavo risparmiando somme considerevoli di denaro. Non voglio dire che ogni mendicante nelle strade di Londra riu­scisse a guadagnare settecento sterline l'anno... il che è inferiore alla mia entrata media... ma io avevo vantaggi eccezionali nella mia capacità di trucco, e anche nella disinvoltura nelle battute di spirito, che migliorava con la pratica, e mi rese un personaggio piuttosto noto nella City. Tutto il giorno un torrente di pence, con monete d'argento in aggiunta, si riversava su di me; ed era una giornata molto magra, quella in cui non arrivavo a due sterline.

"Man mano che diventavo più ricco divenni più ambizioso, acquistai una casa in campagna, e infine mi sposai, senza che nessuno sospettasse minimamente la mia vera occupazione. La mia cara moglie sapeva che conducevo affari nella City. Ben poco sapeva di che genere fossero.

"Lunedì scorso avevo terminato la giornata, e mi stavo rivestendo nella stanza sopra la fumeria d'oppio quando guardai fuori dalla finestra e vidi, con mio orrore e sorpresa, mia moglie in strada, con lo sguardo fisso su di me. Lanciai un grido di sorpresa, alzai le braccia per coprirmi il volto, e mi precipitai dal mio confidente, il marinaio, convincendolo a non lasciar sali­re nessuno. Sentii la voce di mia moglie al piano inferiore, ma sapevo che non sarebbe potuta salire. In fretta mi tolsi gli abiti, indossai quelli da men­dicante, e misi il cerone e la parrucca. Neppure gli occhi di una moglie po­tevano penetrare un travestimento così completo. Ma poi mi venne in men­te che avrebbe potuto esserci una perquisizione della stanza, e che i miei abiti avrebbero potuto tradirmi. Spalancai la finestra, riaprendo una piccola ferita che mi ero fatta la mattina nella stanza da bagno, per l'impeto dei movimenti. Poi afferrai la mia giacca, appesantita dalle monete che vi ave­vo appena trasferito dalla borsa di cuoio dove tenevo i miei guadagni; la

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lanciai dalla finestra, ed essa scomparve nel Tamigi. Gli altri abiti stavano per seguirla quando ci fu un'irruzione di poliziotti; pochi minuti dopo, in­vece di essere identificato come Neville St. Clair... confesso, con mio sol­lievo... venni arrestato come il suo assassino.

"Non so se ci sia altro da spiegare. Ero deciso a mantenere il travesti­mento il più a lungo possibile, e da qui la mia preferenza per la faccia spor­ca. Sapendo che mia moglie sarebbe stata terribilmente in ansia, mi sfilai l'anello e lo affidai al marinaio in un momento in cui nessun agente mi guardava, assieme a un messaggio scritto in gran fretta, nel quale le dicevo che non c'era niente da temere."

- Quel messaggio le è arrivato soltanto ieri - disse Holmes.- Buon Dio! Che settimana deve aver passato!- La polizia ha tenuto d'occhio quel marinaio - disse l'ispettore Brad­

street - e mi rendo conto che avrà trovato difficile imbucare una lettera inosservato. Probabilmente l'avrà passata a qualche suo cliente, che deve averla completamente dimentica per alcuni giorni.

- Dev'essere stato proprio così - disse Holmes, annuendo con aria di ap­provazione. - Ma voi non siete mai stato perseguito per accattonaggio?

- Oh, più di una volta; ma cosa volete che fosse per me una multa?- Ora questa storia deve finire, però - disse Bradstreet. - Se la polizia

deve mettere la cosa a tacere, non potrà più esserci Hugh Boone.- L'ho giurato nella maniera più solenne con cui possa giurare un uomo.- In questo caso, probabilmente non verranno presi ulteriori provvedi­

menti. Ma se verrete trovato di nuovo a elemosinare, salterà fuori ogni cosa. Signor Holmes, siamo in gran debito con voi per aver chiarito questo mistero. Mi piacerebbe sapere come arrivate alle vostre soluzioni.

- Sono giunto a quest'ultima - confessò il mio amico - sedendomi su cin­que cuscini, e fumando un'oncia di tabacco forte. Watson, credo che se tor­niamo in calesse a Baker Street, arriveremo giusto in tempo per fare cola­zione.

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L'avventura del rubino blu(The Adventure of the Blue Carbuncle)Ero passato dal mio amico Sherlock Holmes la seconda mattina dopo

Natale, con l'intenzione di porgergli gli auguri per le festività. Era sdraiato sul sofà con una vestaglia color porpora, una rastrelliera per pipe a portata di mano, e una pila di quotidiani del mattino spiegazzati, evidentemente esaminati di recente, vicini alla mano. Accanto al divano c'era una sedia di legno e all'angolo dello schienale era appeso un cappello di rigido feltro molto logoro e stracciato, impresentabile e rovinato in più punti. Una lente e un forcipe sul sedile della sedia suggerivano che il cappello era stato ap­peso in questo modo con il fine di essere esaminato.

- Siete occupato - feci io - forse vi interrompo.- Niente affatto. Sono felice di avere un amico con il quale poter discu­

tere dei miei risultati. La faccenda è perfettamente insignificante - disse, fa­cendo saltare col pollice il vecchio cappello - ma ci sono dei punti che lo riguardano che non sono del tutto privi di interesse e perfino d'insegnamen­to.

Mi sedetti in poltrona e scaldai le mani davanti al fuoco crepitante, per­ché era sopraggiunto un gelo pungente e le finestre erano coperte da uno strato di ghiaccio.

- Suppongo - osservai - che appare tanto scialbo perché è connesso a qualche storia di morte, e che è la traccia che vi guiderà alla soluzione di qualche mistero e alla punizione di qualche delitto.

- No, no. Nessun delitto - replicò Sherlock Holmes, ridendo. - Soltanto uno di quei piccoli incidenti stravaganti che vi accadono quando avete quattro milioni di esseri umani che fanno a gomitate entro lo spazio di po­chi chilometri quadrati. Fra l'azione e la reazione di un così fitto sciame di umanità, ci si può aspettare che abbia luogo qualsiasi combinazione di av­venimenti, e si presentano molteplici piccoli problemi che possono essere sorprendenti e strani senza essere criminali. Abbiamo già avuto esperienze simili.

- Sì - osservai - degli ultimi sei casi che ho aggiunto ai miei appunti, tre sono stati assolutamente privi di qualche delitto legale.

- Precisamente. Alludete al mio tentativo di recuperare i documenti di Irene Adler, al singolare caso della signorina Mary Sutherland, e all'avven­tura dell'uomo con il labbro storto. Bene, non ho dubbi che questa piccola questione finirà nella stessa innocente categoria. Conoscete Peterson, il fat­torino?

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- Sì.- È a lui che appartiene questo trofeo.- È il suo cappello?- No, no. L'ha trovato. Il proprietario è ignoto. Vi prego di osservarlo

non come una logora bombetta, ma come un problema intellettuale. E in­nanzitutto il modo in cui è giunto qui. È arrivato la mattina di Natale con una bella oca grassa che in questo momento si sta sicuramente arrostendo davanti al camino di Peterson. I fatti sono questi: alle quattro circa del mat­tino di Natale, Peterson, che come sapete è un tipo onesto, tornava da qual­che piccola festicciola e si stava avviando verso casa nella Tottenham Court Road. Davanti a lui al chiarore della luce a gas scorse un uomo abba­stanza alto che camminava zoppicando leggermente e portava in spalla un'oca bianca. Quando raggiunse l'angolo di Goodge Street, fra questo stra­niero e un gruppetto di giovinastri esplose una rissa. Uno di quest'ultimi lanciò lontano il cappello dell'uomo, sul quale lui aveva alzato il bastone per difendersi e ondeggiando al di sopra della sua testa, mandò in frantumi la vetrina che stava alle sue spalle. Peterson era accorso per proteggere lo straniero dai suoi aggressori, ma l'uomo, scioccato per aver rotto la vetrina, e vedendo una persona con l'aspetto di un ufficiale in uniforme che lo rin­correva, lasciò cadere l'oca, levò le gambe e svanì nel mezzo del labirinto di viuzze che si trovano alle spalle di Tottenham Court Road. Anche i gio­vinastri erano fuggiti all'apparizione di Peterson, cosicché lui fu lasciato in possesso del campo di battaglia e anche delle rovine della vittoria sotto for­ma di questo cappello strappato e un'incensurabile oca di Natale.

- Che di sicuro restituì al proprietario?- Mio caro amico, è qui che sta il problema. È vero che: "Per il signor

Henry Baker" era stampato su un biglietto che era legato all'ala sinistra del volatile ed è altrettanto vero che "le iniziali "H. B." sono leggibili sulla fo­dera di questo cappello, ma ci sono qualche migliaio di Baker e qualche centinaio di Henry Baker in questa nostra città, non è facile rendere a uno di loro la proprietà perduta.

- Allora cosa fece Peterson?- Sapendo che anche il problema più futile mi interessa, la mattina di

Natale mi ha portato sia il cappello che l'oca. Abbiamo tenuto l'oca fino a questa mattina, quando ci furono dei segni che malgrado il lieve gelo, sa­rebbe stato meglio mangiarla senza ulteriore ritardo. Il suo trovatore l'ha quindi portata via per adempiere all'ultimo destino di un'oca, mentre io continuo a trattenere il cappello del signore sconosciuto che si è perduto il

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pranzo di Natale.- Non ha messo un annuncio?- No.- Allora che traccia potreste avere sulla sua identità?- Solo quella che possiamo dedurre.- Da questo cappello?- Precisamente.- Ma voi scherzate. Cosa potete concludere da questo feltro vecchio e

logoro?- Ecco le mie lenti. Voi conoscete i miei metodi. Cosa potete dedurre

sulla individualità dell'uomo che ha indossato questo articolo?Presi tra le mani quell'oggetto cencioso e lo rigirai piuttosto tristemente.

Era un comune cappello nero della solita forma rotonda, rigido e molto sgualcito. La fodera era stata di seta rossa, ma era molto stinta. Non c'era il nome del fabbricante, ma Holmes aveva osservato le iniziali "H. B." che erano scribacchiate su un lato. Era perforato nell'orlo per una sicura per cappelli, ma l'elastico mancava. Per il resto, era strappato, eccessivamente impolverato, e macchiato in diversi posti sebbene sembrasse si fosse tenta­to di nascondere le parti scolorite imbrattandole d'inchiostro.

- Non riesco a vedere nulla - dissi io, porgendolo al mio amico.- Al contrario, Watson, avete veduto tutto. Tuttavia quel che non fate è

di riflettere su quel che vedete. Siete troppo timido per trarre le vostre con­clusioni.

- Allora, mi dite per favore quel che si può concludere da questo cappel­lo?

Lo sollevò e lo guardò fissamente con quel modo particolarmente intro­spettivo che gli era consono. - Forse è meno stimolante di quel che sarebbe potuto essere - fece notare - e tuttavia ci sono alcune inferenze che sono molto chiare e poche altre che rappresentano almeno un forte contrappeso di probabilità. Che l'uomo fosse molto intellettuale è naturalmente evidente dalla sua parte anteriore e anche che negli ultimi tre anni è stato discreta­mente bene, sebbene ora sia caduto in disgrazia. Aveva prudenza, ma ades­so ne ha meno di prima, segnando una regressione morale che instauratasi con il declino delle sue fortune, sembra indicare qualche influenza malefi­ca, probabilmente il bere, che opera in lui. Ciò può anche spiegare il fatto evidente che sua moglie abbia cessato di amarlo.

- Mio caro Holmes!- Tuttavia ha conservato un po' di amor proprio - continuò, trascurando

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le mie lamentele. - È un uomo che conduce una vita sedentaria, che esce poco, è del tutto fuori allenamento, ha un'età media, i capelli brizzolati che ha fatto tagliare pochi giorni or sono e che unge con della crema di limetta. Questi sono i fatti più evidenti che si deducono dal suo cappello. A propo­sito, è anche estremamente improbabile che in casa sua ci sia l'impianto a gas.

- Holmes, state di sicuro scherzando.- Niente affatto. È possibile che anche adesso che vi do questi risultati,

voi non siate ancora in grado di capire come sono stati ottenuti?- Non ho alcun dubbio sul fatto che io sia molto stupido, ma devo con­

fessare di non riuscire a seguirvi. Per esempio, come avete concluso che quest'uomo è un intellettuale?

Per rispondere Holmes infilò il cappello in testa. Scendeva sulla fronte e si appoggiava sul dorso del naso. - È una questione di capacità cubica - dis­se - un uomo con un cervello così grande deve avere qualcosa dentro.

- E il declino delle sue fortune, allora?- Questo cappello ha tre anni. Queste tese piatte arrotolate all'estremità

andavano di moda allora. È un cappello della migliore qualità. Se quest'uo­mo si poteva permettere di acquistare un simile cappello tre anni fa, e da allora non ne ha avuti più, allora il suo tenore di vita è certamente peggio­rato.

- Ciò è sufficientemente chiaro, ma che ne dite della prudenza e della re­gressione morale?

Sherlock Holmes rise. - Ecco la prudenza - disse, mettendo il dito sul piccolo disco e il gancio della chiusura del cappello. - Non vengono mai vendute sui cappelli. Se quest'uomo ne ha ordinato uno, è segno di una buona dose di prudenza, dal momento che è si è preso questa precauzione contro il vento. Ma se poi notiamo che ha rotto l'elastico e non si è premu­rato di sostituirlo, è evidente che ha meno prudenza di prima, che è una prova lampante di una natura che si impoverisce. D'altro canto ha tentato di nascondere alcune di queste macchie sul feltro tingendole con l'inchiostro, che è segno che non ha totalmente perduto l'autorispetto.

- Il vostro ragionamento è di certo plausibile.- Gli altri particolari, che è un uomo di mezza età, che i suoi capelli

sono brizzolati, che sono stati tagliati recentemente, e che utilizza crema di limetta, derivano tutti da un attento esame della parte inferiore della fodera. La lente svela una gran quantità di punte di capelli puliti e tagliate dalle forbici di un barbiere. Sembrano essere tutti viscosi e c'è un odore distinto

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di crema di limetta. Questa polvere, che potete osservare, non è la polvere granulosa e grigia della via ma la polvere marrone e soffice della casa, che dimostra che è rimasto lungamente appeso al chiuso, mentre i segni del mi­scuglio sull'interno sono la prova positiva che colui che lo indossava suda­va molto abbondantemente e quindi difficilmente potrebbe essere nella mi­gliore delle condizioni fisiche.

- Ma sua moglie... avete detto che ha smesso di amarlo.- Questo cappello non viene spazzolato da settimane. Mio caro Watson,

quando vedrò che sul vostro cappello ci sarà un accumulo di polvere di una settimana, e quando vostra moglie vi permetterà di uscire in quello stato, dovrò temere che anche voi sarete stato abbastanza sfortunato da perdere l'affetto di vostra moglie.

- Ma potrebbe essere uno scapolo!- Anzi, portava a casa l'oca come dono propiziatorio per la moglie. Ri­

cordate il biglietto sull'ala dell'animale- Avete una risposta per tutto Ma come diavolo deducete che nella sua

casa non funziona il gas?- Una macchia di sego, o perfino due, potrebbero essere state un caso,

ma quando non ne vedo meno di cinque penso che ci possano essere pochi dubbi che quest'individuo dev'essere di frequente a contatto con delle can­dele accese e che probabilmente di sera sale le scale con il cappello in una mano e con una candela gocciolante nell'altra. In ogni modo non si è mai macchiato di sego utilizzando un becco a gas. Siete soddisfatto?

- È davvero molto ingegnoso - affermai, sorridendo - ma dal momento che, come avete detto or ora, non è stato commesso alcun delitto, e non c'è stato alcun danno salvo la perdita di un'oca, tutto questo mi sembra sia uno spreco di energia

Sherlock Holmes aveva aperto la bocca per rispondere quando la porta si spalancò e Peterson, il fattorino, si affrettò a entrare nell'appartamento con le guance infiammate e la faccia di un uomo che è sbalordito per lo stupore.

- L'oca, signor Holmes! L'oca, signore! - sussurrò.- Eh? Cosa avete? È resuscitata ed è volata fuori dalla finestra della cu­

cina? - Holmes si contorse sul divano per vedere meglio la faccia sconvolta dell'uomo

- Guardate qui, signore! Vedete cos'ha trovato mia moglie nel suo goz­zo! - Allungò la mano e mostrò al centro del palmo una pietra blu scintil­lante, di dimensioni leggermente più piccole di quelle di un fagiolo, ma di

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una tale purezza e lucentezza che brillava come un punto nella cavità scura della mano

Sherlock Holmes si sedette emettendo un fischio. - Per Giove, Peterson! - esclamò - questo è davvero un tesoro trovato. Suppongo che sappiate quel che avete?

- Un diamante, signore? Una pietra preziosa. Taglia il vetro come se fos­se stucco

- È più di una pietra preziosa. È "la pietra preziosa".- Non sarà il rubino blu della contessa di Morcar! - dissi all'improvviso.- Esatto! Dovrei sapere le sue dimensioni e la sua forma, dal momento

che recentemente ho letto ogni giorno l'annuncio sul "Times". È proprio unica, e il suo valore può essere solo congetturato, ma la ricompensa offer­ta di mille sterline non è di certo che la ventesima parte della sua quotazio­ne commerciale.

- Mille sterline! Oh, Iddio misericordioso! - Il fattorino sprofondò in una sedia e si soffermò su di noi con lo sguardo.

- È quella la ricompensa, e ho motivo di pensare che in fondo ci sono ra­gioni sentimentali che indurrebbero la contessa a spartire metà della sua fortuna per poter recuperare la gemma.

- Se ricordo bene, fu perduta all'albergo Cosmopolitan - osservai.- Precisamente, il 22 dicembre, solo cinque giorni fa. John Horner, un

idraulico, fu accusato di averla sottratta dalla scatola dei gioielli della si­gnora. La testimonianza contro di lui era così forte che il caso è stato ri­messo alla Corte d'Assise. Credo di avere qui un resoconto della faccenda. - Frugò tra i suoi quotidiani, controllando le date, finché alla fine non ne li­sciò uno, lo piegò in due e lesse il seguente paragrafo:

Furto di gioielli all'albergo Cosmopolitan. John Horner, 26 anni, idrau­lico, è stato accusato il 22 corrente mese di aver sottratto dalla scatola dei gioielli della contessa di Morcar, la gemma preziosa conosciuta come ru­bino blu. James Ryder, sorvegliante capo dell'albergo ha testimoniato di aver accompagnato Horner nel guardaroba della contessa di Morcar il giorno della rapina in modo ché potesse saldare la seconda sbarra dell'in­ferriata, che era dondolante. Era rimasto qualche tempo con Horner, ma successivamente era stato chiamato. Al suo ritorno scoprì che Horner era sparito, che lo scrittoio ero stato aperto forzandolo e che, come fu in se­guito svelato, il piccolo scrigno marocchino nel quale la contessa era soli­ta tenere i suoi gioielli, ero vuoto sulla toeletta. Ryder aveva dato l'allarme con sollecitudine, e Horner era stato arrestato la sera stessa. La pietra,

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tuttavia, non era stata trovata né sulla sua persona, né nella sua abitazio­ne. Catherine Cusack, cameriera della contessa, depose di aver sentito il grido di costernazione di Ryder nello scoprire la rapina e di essere accor­sa nella stanza dove trovò tutto nelle condizioni descritte dall'ultimo testi­mone. L'ispettore Bradstreet, della divisione B, testimoniò per quanto ri­guardava l'arresto di Horner che aveva lottato freneticamente e protestava la sua innocenza con termini decisi. Alla testimonianza di una precedente rapina di cui era stato incolpato il prigioniero, il magistrato si rifiutò di trattare sommariamente l'infrazione, e la affidò all'Assise. Horner, che aveva manifestato segni di un'emozione intensa durante la seduta, alla fine svenne e fu condotto fuori dalla corte.

- Uh! Quanto lavoro per la polizia - commentò Holmes pensieroso, la­sciando cadere il giornale. - Il problema che dobbiamo porci ora è quello di risolvere la sequenza di avvenimenti che vanno dalla scatola di gioielli ra­pinata, al gozzo di un'oca in Tottenham Court Road. Vedete, Watson, che le nostre piccole deduzioni assumono improvvisamente un aspetto molto più importante e meno innocente. Ecco la pietra, la pietra è venuta dall'oca, e l'oca dal signor Henry Baker, il signore con il brutto cappello e tutte le altre caratteristiche con le quali vi ho annoiato. Così ora dobbiamo metterci se­riamente all'opera per trovare questo signore e accertarci su che ruolo ha avuto in questo mistero. Per far ciò, dobbiamo dapprima utilizzare il mezzo più semplice che indubbiamente è un annuncio in tutti i quotidiani serali. Se ciò fallirà, dovrò ricorrere ad altri metodi.

- Cosa volete dire?- Datemi una matita e quel foglio di carta. Adesso, allora:Trovati all'angolo di Goodge Street, un'oca e un cappello di feltro nero.

Il signor Henry Baker li può riavere presentandosi al 221 B, Baker Street, stasera alle 6,30.

- È chiaro e conciso.- Veramente. Ma lo vedrà?- Di sicuro terrà d'occhio i giornali, dal momento che per il pover'uomo

la perdita è stata pesante. Era così terrorizzato per la sfortuna di aver rotto la vetrina e per l'avvicinamento di Peterson che non ha pensato ad altro tranne che alla fuga, ma dev'essersi pentito amaramente per l'impulsività che gli ha fatto lasciar cadere il volatile. Poi il suo nome stampato solleci­terà la sua curiosità, perché tutti coloro che lo conoscono orienteranno su di lui la loro attenzione. Eccovi, Peterson, andate all'agenzia pubblicitaria e fate inserire questo nei giornali della sera.

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- In quali, signore?- Oh, nel Globe, Star, Pall Mall, St. Jamess, Evening News Standard,

Echio e gli altri che vi capitano.- Benissimo, signore. E questa pietra?- Ah, sì, terrò la pietra. Grazie. Un'altra cosa Peterson, comprate un'oca

quando tornate e lasciatemela qui perché dobbiamo averne una da dare a quel signore al posto di quella che ora la vostra famiglia sta divorando.

Quando il fattorino se ne fu andato, Holmes prese la pietra e la mise contro luce. - È un oggetto grazioso - disse. - Guardate come scintilla e fa faville. Naturalmente è il nucleo e il fuoco di un delitto. Lo è ogni bella pietra. Sono le belle lusinghe del diavolo. Nei gioielli più grandi e più anti­chi ogni sfaccettatura può rappresentare un atto sanguinoso. Questa pietra non ha ancora vent'anni. Fu trovata sulle rive del fiume Amoy nella Cina meridionale ed è notevole per possedere tutte le caratteristiche del carbon­chio, tranne che ha sfumature blu invece che rosso rubino. Malgrado la sua giovane età, ha già una storia sinistra. Ci sono stati due omicidi, un lancio di vetriolo, un suicidio e diverse rapine per l'interesse suscitato da questo peso di quaranta grani di carbone cristallizzato. Chi penserebbe che un gio­cattolo tanto carino potrebbe essere la causa per la forca e la prigione? Lo metterò sotto chiave nella mia robusta cassetta e scriverò due righe alla contessa per comunicarle che l'abbiamo noi.

- Pensate che quest'uomo di nome Horner sia innocente?- Non lo posso dire.- Dunque, pensate allora che quest'altro, Henry Baker, avesse qualcosa a

che fare con la faccenda?- Sì, penso che sia molto più probabile che Henry Baker sia un uomo del

tutto innocente che non aveva la minima idea che quel volatile che traspor­tava valesse più di quanto sarebbe valso se fosse stato d'oro massiccio. Tut­tavia lo stabilirò tramite una semplicissima prova, se il nostro annuncio avrà una risposta.

- E fino ad allora non potrete far nulla?- Nulla.- In questo caso continuerò con il mio giro professionale. Ma sarò di ri­

torno questa sera per l'ora che avete detto perché mi piacerebbe assistere alla soluzione di un affare così ingarbugliato.

- Sarò felice di vedervi. Io ceno alle sette. Credo ci sarà una beccaccia. A proposito, in considerazione degli ultimi avvenimenti, forse dovrei chie­dere alla signora Hudson di controllare attentamente il suo gozzo.

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Mi ero attardato per un caso ed erano appena passate le 6,30 quando mi trovai ancora in Baker Street. Mentre mi avvicinavo alla casa scorsi un uomo con un berretto scozzese e un cappotto allacciato fino al mento che attendeva fuori nel semicerchio luminoso gettato dalla lunetta. Proprio quando arrivai, la porta venne aperta ed entrambi fummo introdotti nella stanza di Holmes.

- Credo siate il signor Baker - disse, alzandosi dalla poltrona e salutando il suo visitatore con l'espressione semplice della genialità che lui avrebbe potuto prontamente assumere. - Prego, portate questa sedia vicino al cami­netto, signor Baker. È una fredda sera e noto che il vostro abbigliamento è più adatto all'estate che all'inverno. Ah, Watson, siete arrivato proprio al momento giusto. È vostro questo cappello, signor Baker?

- Sì, è indubbiamente il mio cappello.Era un uomo grande con le spalle arrotondate, una grossa testa e un'am­

pia faccia intelligente, che finiva con una barba appuntita marrone brizzo­lata. Un tocco di rosso sul naso e sulle guance e un lieve tremore nella sua mano stesa, richiamarono la supposizione di Holmes riguardo le sue abitu­dini. La finanziera nera scolorita era tutta abbottonata, con il colletto alzato e i polsi magri sbucavano dalle maniche senza il segno di un polso di cami­cia. Parlava in modo staccato, scegliendo le parole con cura e in linea di massima dava l'impressione di essere un uomo di cultura e un letterato che aveva fatto un cattivo uso della fortuna.

- È da diversi giorni che abbiamo queste cose - disse Holmes - perché ci aspettavamo di vedere un vostro annuncio con il vostro indirizzo. Sono im­barazzato, ma perché non avete messo un annuncio?

Il nostro ospite sorrise timidamente. - Il denaro che possiedo non è più abbondante come un tempo - confessò. - Non avevo alcun dubbio che la banda di giovinastri che mi aveva aggredito avesse portato via sia il cap­pello che l'animale. Non mi importava di spendere dell'altro denaro in un tentativo senza speranza di recuperarli.

- È normalissimo. A proposito dell'animale, siamo stati costretti a man­giarlo.

- Mangiarlo! - Il nostro visitatore sobbalzò sulla sedia eccitato.- Sì, se non l'avessimo fatto, non sarebbe stato più utile a nessuno. Ma

immagino che quest'altra oca sulla credenza, che è all'incirca dello stesso peso e assolutamente fresca, risponderà comunque bene al vostro scopo.

- Oh, certamente - rispose il signor Baker con un sospiro di sollievo.- Naturalmente della vostra oca abbiamo ancora le piume, le zampe, il

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gozzo e dell'altro quindi se desiderate...L'uomo esplose in una cordiale risata. - Potrebbero essermi utili come

resti della mia avventura - disse - ma a parte questo non vedo come queste disjecta membra della mia ultima conoscenza, mi possano tornare utili. No, signore, credo che con il vostro permesso dedicherò le mie attenzioni al­l'eccellente uccello che vedo sulla credenza.

Sherlock Holmes mi lanciò una significativa occhiata con una leggera scrollata di spalle.

- C'è il vostro cappello e il vostro animale - disse. - A proposito, vi di­spiacerebbe dirmi dove avevate preso l'altro? In un certo qual modo sono un avicoltore e raramente ho veduto un'oca così ben allevata.

- Certamente, signore - rispose Baker, che si era alzato e aveva sistema­to sotto il braccio la proprietà appena recuperata. - Ci sono alcuni di noi che frequentano la locanda Alpha nelle vicinanze del museo. Durante il giorno veniamo trovati nel museo stesso, capite. Quest'anno il nostro bravo locandiere, che si chiama Windigate, ha istituito un club dell'oca, grazie al quale, versando qualche spicciolo ogni settimana, avremmo ricevuto tutti un'oca per Natale. Io ho regolarmente pagato. Il resto vi è noto. Vi sono molto riconoscente, signore, perché un berretto scozzese non si adatta né alla mia età e neppure alla mia austerità. - Con una pomposità comica si in­chinò solennemente dinanzi a noi due e se ne andò.

- Tanto meglio per il signor Henry Baker - disse Holmes quando ebbe chiuso la porta. - È certo che non sa nulla della faccenda. Avete fame, Wa­tson?

- Non particolarmente.- Allora vi propongo di rinviare la nostra cena a più tardi e di seguire

questa traccia mentre è ancora bollente.- Benissimo.Era una nottataccia, così ci infilammo i nostri cappotti e avvolgemmo le

sciarpe al collo. Fuori le stelle scintillavano fredde nel cielo terso e il respi­ro dei passanti sembrava il fumo degli spari di tante pistole. I nostri passi risuonavano nitidi e forti mentre giravamo per il quartiere, Wimpole Street, Harley Street e poi attraverso Wigmore Street fino a Oxford Street. In un quarto d'ora fummo a Bloomsbury alla locanda Alpha, che è un piccolo pub all'angolo di una delle vie che portano a Holborn. Holmes aprì la porta del bar e ordinò due bicchieri di birra al proprietario dalla faccia rubiconda e con il grembiule bianco.

- La vostra birra dovrebbe essere eccellente come le vostre oche - disse.134

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- Le mie oche? - L'uomo sembrò sorpreso.- Sì, parlavo mezz'ora fa al signor Henry Baker che è un socio del vostro

club delle oche.- Ah, sì, capisco. Ma vedete signore, quelle non sono le nostre oche.- Davvero? E di chi sono, allora?- Ne ho prese due dozzine da un commerciante di Covent Garden.- Davvero! Ne conosco alcuni. Qual era?- Breckinridge è il suo nome.- Ah, non lo conosco. Vi auguro buona salute e prosperità per la vostra

casa, signore. Buona notte.- Adesso andiamo dal signor Breckinridge - continuò, abbottonandosi il

cappotto mentre uscivamo nell'aria gelida. - Ricordate, Watson, che sebbe­ne a un'estremità di questa catena ci sia una cosa tanto domestica come un'oca, all'altra c'è un uomo che sicuramente avrà una condanna di sette anni a meno che non potremo dimostrare la sua innocenza. È possibile che la nostra indagine confermi la sua colpevolezza, ma in ogni caso seguiamo una linea investigativa che non è stata seguita dalla polizia e che una strana coincidenza ha posto nelle nostre mani. Seguiamola fino all'amara conclu­sione. Facce verso sud e avanti, camminiamo!

Attraversammo Holborn, giù fino a Endell Street, e poi in uno zig- zag di vicoli fino al mercato di Covent Garden. Una delle bancarelle più grandi portava il nome di Breckinridge, e il proprietario, un uomo dall'aspetto vi­stoso, con un viso affilato e delle basette spuntate, aiutava un ragazzo a is­sare le saracinesche.

- Buona sera. È una serata fredda - fece Holmes.Il venditore annuì e lanciò un'occhiata inquisitoria al mio compagno.- Vedo che avete venduto tutte le oche - continuò Holmes, indicando le

piastre vuote di marmo.- Potrete averne cinquecento domattina.- Non mi va bene.- Ce ne sono alcune sulla bancarella con la fiamma a gas.- Ah, ma mi siete stato raccomandato voi.- Da chi?- Dal proprietario dell'Alpha.- Oh, sì, gliene ho mandate un paio di dozzine.- Inoltre erano dei begli animali. Dove li avete presi?Con mia sorpresa la domanda provocò un'esplosione d'ira nel commer­

ciante.135

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- Signore - disse con la testa ritta e con le mani ai fianchi - dove volete arrivare? Sbrighiamoci, allora!

- Mi sembra di essere sbrigativo. Vorrei sapere chi vi ha venduto le oche che avete fornito all'Alpha.

- Non ve lo dirò.- Oh, non ha importanza, ma non capisco perché dovreste scaldarvi tan­

to per una simile inezia.- Scaldarmi? Lo fareste anche voi se foste tormentato come me. Quando

pago del buon denaro per un buon articolo che dovrebbe essere la conclu­sione dell'affare e invece: "Dove sono le oche?" e "A chi le avete vendute?" e "Cosa prenderete per le oche?" Uno penserebbe che erano le uniche oche al mondo, a sentire tutto il trambusto che si è creato al loro riguardo.

- Sentite, io non ho a che fare con altre persone che stanno facendo in­dagini - disse Holmes incurante. - Se non ce lo direte, la scommessa sarà finita. È tutto. Ma sono sempre pronto a ritrattare la mia opinione in fatto di volatili, e io ho una banconota da cinque sterline che l'uccello che ho mangiato è stato allevato in campagna.

- Allora avete perduto cinque sterline perché è stato allevato in città - ri­batté il venditore.

- Non mi sembra.- Vi dico che è così.- Non ci credo.- Credete di saperne più di me in fatto di volatili che li tratto da quando

ero un lattante? Vi dico che tutti gli animali che ho mandato all'Alpha sono stati allevati in città.

- Non mi convincerete mai a crederlo.- Lo volete scommettere, allora?- Si tratta semplicemente di prendere il vostro denaro, perché io so di

aver ragione. Ma io scommetterò una sovrana con voi solo per insegnarvi a non essere ostinato.

Il venditore borbottò trucemente. - Portatemi i registri, Bill!Il ragazzo portò un piccolo volume sottile e uno grande con il dorso

macchiato, e li depose sotto la lanterna.- Allora, signor Presunzione - disse il commerciante - pensavo di non

avere più oche, ma prima che finirò scoprirete che ne è rimasta una nel mio negozio. Vedete questo libricino?

- Allora?- È l'elenco delle persone da cui le compro. Vedete? Su questa pagina ci

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sono quelli della campagna e i numeri che seguono i loro nomi sono dove i loro conti si trovano nel libro mastro. E vedete quest'altra pagina con l'in­chiostro rosso? Questo è l'elenco dei fornitori della città. Guardate il terzo nome. Leggetemelo.

- "La signora Oakshott, 117 Brixton Road - 249" - lesse Holmes.- Ora cercate nel libro mastro.Holmes voltò alla pagina indicata. - Ecco. "Signora Oakshott, 117, Brix­

ton Road, fornitore di uova e pollame."- Qual è l'ultima registrazione?- "22 dicembre. Ventiquattro oche. Otto sterline."- Proprio. E sotto?- "Vendute al signor Windigate dell' Alpha, a 12 sterline."- Adesso cosa avete da dire?Sherlock Holmes aveva un'aria profondamente contrariata. Tolse una so­

vrana dalla tasca e la gettò sulla lastra di marmo, allontanandosi con l'at­teggiamento di un uomo il cui disappunto è troppo per parlare. Pochi metri più in là si fermò sotto un lampione e rise cordialmente e in silenzio com'e­ra sua consuetudine.

- Quando vedete un uomo con delle basette tagliate a quel modo potete attirarlo sempre con una scommessa - disse. - Oserei dire che se gli avessi messo davanti cento sterline quell'uomo non mi avrebbe passato delle in­formazioni così complete come invece è avvenuto facendogli credere che lui stava scommettendo con me. Bene, Watson, ci siamo, credo di essere vicino alla fine di questa inchiesta e l'unico punto che si deve definire è se dobbiamo andare stasera da questa signora Oakshott o se possiamo riser­varla a domani. È chiaro da quel che ha detto quel tipo arcigno che ci sono altri oltre a noi che trepidano per questa faccenda, e io dovrei...

Le sue osservazioni furono improvvisamente interrotte da un forte tu­multo che esplose dalla bancarella che avevamo appena lasciato. Voltando­ci vedemmo un tipo con la faccia da topo al centro del cerchio di luce gial­la che veniva lanciato dalla lampada appesa, mentre Breckinridge, il com­merciante, sulla soglia del suo chiosco, agitava ferocemente i pugni verso la figura che si rannicchiava.

- Ne ho avuto abbastanza di voi e delle vostre oche - gridò. - Vorrei che ve ne andaste tutti al diavolo. Se verrete ancora a importunarmi con quelle stupide chiacchiere, vi metterò il cane alle calcagna. Porterete qui la signo­ra Oakshott e le risponderò io, ma cosa c'entrate? Ho comprato le oche da voi?

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- No, ma una era comunque tutta mia - piagnucolò l'ometto.- Allora chiedetela alla signora Oakshott.- Lei mi ha detto di chiederla a voi.- Per quel che m'interessa la potete chiedere al re di Prussia. Ne ho ab­

bastanza. Fuori! - Lui balzò furiosamente in avanti e l'investigatore indie­treggiò nell'oscurità.

- Ah! Tutto ciò ci risparmia una visita a Brixton Road - bisbigliò Hol­mes. - Venite con me e vedremo che ne sarà di questo tipo. - Camminando a lunghi passi fra i gruppi di persone sparpagliati che sostavano intorno le bancarelle sfolgoranti, il mio compagno raggiunse rapidamente l'uomo e lo toccò sulla spalla. Lui sussultò e grazie alla luce a gas potei vedere che dal suo volto era sparita qualsiasi traccia di colore.

- Allora voi chi siete? Cosa volete? - domandò con voce tremante.- Mi scuserete - rispose Holmes, mite - ma non ho potuto fare a meno di

origliare le domande che avete posto un attimo fa al venditore. Credo di potervi essere d'aiuto.

- Voi? E voi chi siete? Come potreste sapere qualcosa della faccenda?- Il mio nome è Sherlock Holmes. La mia professione è di sapere quel

che le altre persone non sanno.- Ma voi non potete sapere nulla.- Perdonatemi, ma io so tutto. State cercando di rintracciare delle oche

che sono state vendute dalla signora Oakshott, di Brixton Road, a un vendi­tore di nome Breckinridge, da lui a sua volta al signor Windigate, dell' Al­pha, e da lui al suo circolo, di cui il signor Baker è un socio.

- Oh, signore, voi siete l'uomo che ho desiderato d'incontrare - pianse quel piccoletto con le mani distese e le dita tremanti. - Posso a malapena spiegarvi quanto sia interessato a questa faccenda.

Sherlock Holmes chiamò una carrozza che passava. - In questo caso fa­remmo meglio a discuterne in una stanza comoda piuttosto che in un mer­cato dove soffia il vento. Ma ditemi per favore, prima che andiamo avanti, chi ho il piacere di aiutare.

L'uomo esitò per un attimo. - Il mio nome è John Robinson - rispose con un'occhiata obliqua.

- No, no, il vero nome - insisté Holmes con delicatezza. - È sempre inopportuno fare qualcosa con un falso nome.

Sulle guance bianche dello straniero salì del rossore. - Allora - sospirò - il mio vero nome è James Ryder. Precisamente. Il capo del personale all'al­bergo Cosmopolitan.

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- Per favore, salite sul taxi, e prestò vi saprò dire tutto quel che desidera­te sapere.

L'ometto ci guardò con occhi mezzi spaventati e mezzi speranzosi, come colui che non è certo di essere sull'orlo di una fortuna inaspettata o di una catastrofe. Poi salì in vettura e nel giro di mezz'ora fummo nel salotto di Baker Street. Durante il viaggio non si era detto nulla, ma il respiro forte del nostro nuovo compagno e il continuo congiungimento e scioglimento delle mani diceva esplicitamente quale fosse la sua tensione nervosa.

- Eccoci! - esclamò Holmes, allegramente mentre ci infilavamo nella stanza. - Con questo tempo il fuoco è davvero necessario. Sembra che ab­biate freddo, signor Ryder. Prendete la sedia di vimini. Io calzerò solo le pantofole prima di metterci a parlare di questa nostra faccenda. Allora, vo­lete sapere cosa ne è stato di quelle oche?

- Sì, signore.- O, piuttosto suppongo di quell'oca. Immagino che fosse un uccello

bianco con una striscia nera attraverso la coda.Ryder tremò per l'emozione. - Oh, sì, signore! - gridò. - Potete dirmi che

fine ha fatto?- È venuta qui.- Qui?- Sì, ed era davvero un volatile notevole. Non mi stupisce il fatto che voi

ne foste interessato. Depose un uovo dopo esser morto... il più bello, il più luminoso uovo blu che sia mai stato visto. L'ho qui nel mio museo.

Il nostro visitatore barcollò e si attaccò alla mensola con la mano destra. Holmes aprì la sua cassaforte e sollevò il carbonchio blu che brillava come una stella con una radiosità fredda, splendente e puntiforme. Ryder la fissa­va con viso teso, incerto se chiederne la restituzione o disconoscerla.

- Il gioco è finito, Ryder - disse Holmes, tranquillamente. - Reggetevi, uomo, o finirete nel fuoco! Offritegli il braccio per tornare alla sedia. Date­gli un goccio di brandy. Adesso sembra un po' più umano. Che omiciattolo!

Per un momento aveva barcollato ed era quasi caduto, ma il brandy ri­diede colore alle sue guance e lui stette seduto a fissare con occhi spaventa­ti il suo accusatore.

- Ho in mano quasi ogni passaggio, e tutte le prove di cui potrei aver bi­sogno, pertanto c'è ben poco che dobbiate dirmi. Tuttavia quel poco potreb­be bastare a chiarire completamente il caso. Ryder, avete sentito parlare di questa pietra blu della contessa di Morcar?

- È stata Catherine Cusack a dirmelo - disse con voce scricchiolante.139

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- Capisco... la cameriera della signora. La tentazione della ricchezza im­provvisa ottenuta tanto facilmente era troppo per voi, come lo è stato prima di voi per uomini migliori, ma non siete stato molto scrupoloso nei mezzi che avete adoperato. Ryder, mi sembra che in voi ci sia lo stampo di un perfetto furfante. Sapevate che quest'uomo, Horner, l'idraulico, era già stato coinvolto in una faccenda simile e che i sospetti sarebbero caduti più facil­mente su di lui. Allora cosa avete fatto? Avete fatto qualche lavoretto nella stanza della signora, voi con la vostra complice Cusack, e avete fatto in modo che lui venisse fatto chiamare. Poi, quando lui se ne fu andato, voi rapinaste la cassetta dei gioielli, deste l'allarme, e faceste arrestare quello sfortunato. Poi, voi...

Ryder si gettò all'improvviso sul tappeto e strinse le ginocchia del mio amico. - Per l'amor del Cielo, abbiate pietà - strillò. - Pensate a mio padre! A mia madre! Gli spezzerei il cuore. Non mi sono mai comportato male prima. Non lo farò mai più, lo giuro. Lo giurerò sulla Bibbia. Oh, non por­tatemi davanti alla corte. Per l'amor di Dio, non fatelo!

- Tornate al vostro posto! - ordinò Holmes, severamente. - È troppo bel­lo umiliarsi e strisciare ora, ma avete pensato poco a questo povero Horner che era sul banco degli imputati per un crimine di cui non sapeva nulla.

- Fuggirò, signor Holmes. Lascerò il paese, signore. Allora l'accusa con­tro di lui si annullerà.

- Ne parleremo. E ora dateci il resoconto esatto del prossimo atto. Come è finita la pietra nell'oca, e come è arrivata l'oca al mercato aperto? Diteci la verità, se volete sperare di salvarvi.

Ryder si passò la lingua sulle labbra secche. - Vi dirò esattamente com'è avvenuto, signore - disse. - Quando Horner è stato arrestato mi sembrò che la cosa migliore per me fosse quella di andarmene subito con la pietra, per­ché non sapevo quando la polizia si sarebbe messa in testa di perquisire me e la mia stanza. Nell'albergo non c'era un posto sicuro. Pertanto uscii, come se dovessi fare qualche commissione e mi diressi verso 1a casa di mia so­rella. Lei era sposata con un uomo che si chiama Oakshott e viveva in Brixton Road, dove allevava pollame per il mercato. Mentre mi recavo là tutti gli uomini che incontravo mi sembravano un poliziotto o un investiga­tore e nonostante fosse una sera fredda il sudore mi grondava sul viso fin­ché non fui in Brixton Road. Mia sorella mi domandò cosa stava succeden­do, e perché ero tanto pallido, ma io le dissi che ero stato male per il furto del gioiello nell'albergo. Poi andai nel cortile sul retro e accesi la pipa e mi domandai cosa sarebbe stato meglio fare.

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"Avevo un amico di nome Maudsley, che era andato in rovina e che è stato in prigione a Pentonville. Un giorno che mi aveva incontrato si era messo a parlare dei metodi dei ladri e come questi si liberino degli oggetti che hanno rubato. Sapevo che era sincero nei miei confronti perché ero a conoscenza di un paio di cose che lo riguardavano.

"Così mi sono deciso ad andare a Kilburn dove viveva a confidarglielo. Mi avrebbe spiegato come cedere la pietra in cambio del denaro. Ma come tenerla al sicuro? Pensavo alle difficoltà che avevo dovuto sostenere nel­l'allontanarmi dall'albergo. Mi avrebbero potuto assalire e perquisire in qualsiasi momento, e nella tasca del mio panciotto ci sarebbe stata la pie­tra. In quel momento ero appoggiato al muro e guardavo le oche che cam­minavano ondeggiando ai miei piedi e all'improvviso mi balenò per la testa l'idea che mi mostrò come avrei potuto battere qualsiasi investigatore che era mai vissuto.

"Mia sorella mi aveva detto alcune settimane prima che avrei potuto avere la migliore delle sue oche come regalo di Natale e sapevo che lei manteneva sempre la parola. Avrei preso subito la mia oca e in essa avrei portato la pietra fino a Kilburn. Nel cortile c'era un piccolo riparo e dietro di questo portai uno degli uccelli più grandi, bianco con una coda segnata da una striscia. Lo afferrai e spalancando il suo becco, gli gettai la pietra in gola fin dove potè arrivare il mio dito. L'uccello inghiottì e sentii la pietra passare lungo il suo esofago giù fino al gozzo. Ma la creatura batté le ali e si dibatté e mia sorella uscì per vedere cosa succedeva. Mentre mi giravo per parlarle, l'animale si liberò e volò fra le altre.

"Jem, cosa facevi con quell'oca? - mi chiese."Mi hai detto che me ne darai una per Natale e io sentivo qual è la più

grassa."Oh, ne abbiamo messa da parte una per te, la chiamiamo l'oca di Jem.

È grossa e bianca, è una di quelle laggiù. Ce ne sono ventisei, una per te, e una per noi e due dozzine per il mercato.

"Grazie. Maggie - le risposi - ma se per te è la stessa cosa, preferirei avere quella che avevo preso or ora.

"L'altra è quasi due chili più pesante - disse - e l'abbiamo ingrassata espressamente per te.

"Non importa, prenderò l'altra, e la prenderò ora."Oh, come ti pare - fece lei un po' offesa. - Qual è quella che vuoi?"Quella bianca con una striscia sulla coda, proprio nel mezzo del grup­

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"Oh, benissimo. Uccidila e portala via."Feci quel che mi disse, signor Holmes e portai l'uccello a Kilburn.Raccontai al mio compagno quel che avevo fatto perché lui era un uomo

a cui è semplice raccontare una cosa simile. Rise a perdifiato, prendemmo un coltello e aprimmo l'oca. Il mio cuore si fece acqua, perché non c'era al­cun segno della pietra e capii che c'era stato qualche terribile errore. La­sciai il volatile, tornai da mia sorella e corsi nel cortile sul retro. Non c'era­no uccelli.

"- Dove sono, Maggie? - gridai."- Dal commerciante, Jem."- Che commerciante?"- Breckinridge, di Covent Garden."- Ma ce n'era un'altra con una striscia sulla coda? - chiesi. Uguale a

quella che avevo scelto?"- Sì, Jem. Ce n'erano due con la coda strisciata e non le distinguevo

mai."Allora capii tutto e corsi più veloce che potei da questo Breckinridge,

ma aveva venduto subito la partita e non mi seppe dire una parola su dove erano finite. L'avete sentito voi stesso stasera. Mi ha sempre risposto a quel modo. Mia sorella pensa che io stia impazzendo. Talvolta lo credo io stes­so. E ora, ora sono anch'io un ladro, senza aver mai toccato la ricchezza per cui ho venduto la mia reputazione. Mi aiuti Iddio! Dio mi aiuti! " Poi esplose in un pianto convulso, con il volto sepolto fra le mani.

Ci fu un lungo silenzio, rotto da qualche forte sospiro e dal tamburellare delle dita di Sherlock Holmes sul bordo del tavolo. Poi il mio amico si alzò e spalancò la porta.

- Uscite! - gridò.- Cosa, signore? Dio vi benedica!- Basta con le parole. Uscite!E non ne furono necessarie altre. Ci fu una corsa precipitosa, un fracas­

so sulle scale, il rumore violento della porta, e il frastuono di passi frettolo­si dalla via.

- Watson, dopotutto - disse Holmes, allungando la mano per prendere la sua pipa di terracotta. - Non sono tenuto a colmare le carenze della polizia. Se Horner fosse in pericolo, sarebbe un'altra cosa, ma quell'uomo non ap­parirà contro di lui e il caso deve crollare. Credo che sto per commutare un crimine, ma è possibile che salvi un animo. Questo individuo non sbaglierà più, è troppo spaventato. Mandatelo ora in galera e ne farete un avanzo di

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galera a vita. Inoltre è il periodo del perdono. Il caso ci ha posto un proble­ma molto singolare e bizzarro e la sua soluzione è la sua stessa ricompensa. Se avrete la bontà di toccare il campanello, dottore, cominceremo un'altra investigazione, nella quale la caratteristica principale sarà ancora un uccel­lo.

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La fascia maculata(The Speckled Band)Nel dare un'occhiata alle annotazioni sulla settantina di casi in cui, negli

ultimi otto anni, ho studiato i metodi del mio amico Sherlock Holmes, ne trovo molti tragici, alcuni comici, un gran numero soltanto strani, ma nes­suno banale; perché, lavorando come faceva, più per amore della sua arte che per l'accumulo d ricchezza, rifiutava di occuparsi di qualunque indagi­ne che non fosse per qualche verso insolita, e magari fantastica.

Di tutti questi casi diversi, tuttavia, non riesco a ricordarne alcuno che presenti caratteristiche più particolari di quello in cui fu coinvolta la nota famiglia di Roylott di Stoke Moran nel Surrey. Gli avvenimenti in questio­ne accaddero nei primi giorni della mia collaborazione con Holmes, quan­do dividevamo un appartamenti da scapoli in Baker Street.

È possibile che io possa averli messi in archivio in precedenza ma a quel tempo fu stipulata una promessa di segretezza, dalla quale sono stato esentato soltanto lo scorso mese, dopo la prematura morte della signora alla quale era stata fatta la promessa.

È forse meglio che i fatti possano essere messi in luce solo adesso, poi­ché ho ragione di ritenere che circolavano voci sulla morte del Dottor Gri­mesby Roylott, tendenti a rendere la faccenda ancora più terribile della ve­rità.

Fu all'inizio di aprile, nell'anno '83, che mi svegliai una mattina e trovai Sherlock Holmes completamente vestito, a fianco del mio letto. Di solito si alzava tardi e, poiché l'orologio sulla mensola del camino mi diceva che erano solo le sette e un quarto, lo guardai con una certa sorpresa, e forse anche con un po' di risentimento, perché ero molto regolare nelle mie abi­tudini.

- Spiacente di svegliarvi di colpo, Watson - disse - ma stamane è acca­duto a tutti. La signora Hudson è stata svegliata, si è rifatta su di me ed io su di voi.

- Di che si tratta ? Un incendio?- No, un cliente. Sembra che una giovane donna sia arrivata in un consi­

derevole stato di agitazione e che insista per vedermi. Ora sta aspettando nel salotto. Dunque, quando le giovani donne vagano per la città a quest'o­ra del mattino e fanno alzare dal letto gente assonnata, presumo che abbia­no da raccontare qualcosa di molto urgente. Se dovesse dimostrarsi un caso molto interessante sono certo che a voi piacerebbe seguirlo fin dall'inizio. Perciò ho pensato di dovervi svegliare e di offrirvi l'opportunità.

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- Mio caro amico, non vi rinuncerei per niente al mondo!Non esisteva per me piacere più intenso di quello di seguire Holmes nel­

le sue investigazioni professionali e di ammirare le sue rapide deduzioni, veloci come le intuizioni ma comunque sempre fondate su una base logica, con cui dipanava i problemi che gli erano sottoposti. Mi vestii rapidamente e in pochi minuti fui pronto ad accompagnare il mio amico nel salotto del piano inferiore. Una signora vestita di nero e pesantemente velata, che era seduta vicino alla finestra, si alzò quando entrammo.

- Buon giorno signora - disse allegramente Holmes. - Il mio nome è Sherlock Holmes. Questo è il mio amico e socio dottor Watson, davanti al quale potete parlare come davanti a me. Ah, sono lieto di vedere che la si­gnora Hudson ha avuto il buonsenso di accendere il fuoco. Prego, avvici­natevi al caminetto e io vi ordinerò una tazza di caffè bollente, poiché vedo che state tremando.

- Non è il freddo che mi fa tremare - disse la donna a voce bassa mentre cambiava posto, come le era stato chiesto.

- Che cosa dunque?- La paura, signor Holmes. Il terrore! - Alzò il velo mentre parlava e po­

temmo vedere che era davvero in un pietoso stato di agitazione, con il vol­to tirato e grigio, con gli occhi spaventati e inquieti come quelli di un ani­male inseguito. I suoi lineamenti e la figura erano quelli di una donna sulla trentina, ma i capelli erano striati di un grigio prematuro e la sua espressio­ne era stanca e sofferente. Sherlock Holmes la squadrò con uno dei suoi ra­pidi sguardi che osservavano tutto.

- Non dovete aver paura - disse rassicurante, chinandosi ad accarezzarle l'avambraccio. - Presto metteremo le cose a posto non ne dubito. Siete ve­nuta in treno questa mattina, vedo.

- Allora sapevate di me?- No, ma vedo la seconda metà di un biglietto di ritorno nel palmo del

vostro guanto sinistro. Dovete essere partita presto, e avete fatto un lungo tragitto in un calesse, per strade fangose prima di raggiungere la stazione.

La signora ebbe un sobbalzo violento e fissò stupita il mio compagno.- Non c'è alcun mistero, cara signora - disse lui sorridendo - La manica

sinistra della vostra giacca è sporca di fango in almeno sette punti. Le mac­chie sono assolutamente recenti. Non c'è alcun veicolo, salvo il calesse, che sollevi il fango in quel modo, solo quando si è seduti alla sinistra del gui­datore.

- Qualunque sia il vostro ragionamento, le conclusioni sono esatte - dis­145

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se lei. - Sono partita da casa prima delle sei. Ho raggiunto Leathemead alle sei e venti e sono arrivata con il primo treno alla stazione di Waterloo. Si­gnore, non posso sopportar questa tensione più a lungo. Se continua impaz­zirò. Non ho nessuno a cui rivolgermi, salvo uno che si preoccupa per me e lui poveretto, può essermi di poco aiuto. Ho sentito parlare di voi, signor Holmes; me ne ha parlato la signora Farintosh che avete aiutato in un mo­mento di grande bisogno. Ho avuto da lei il vostro indirizzo. Oh, signore credete di poter aiutare anche me o a meno di gettare un po' di luce nell'o­scurità che mi circonda? Al presente non è nelle mie possibilità ricompen­sarvi, ma fra un mese o due sarò sposata, avrò il controllo del mio patrimo­nio allora potrò ricompensarvi.

Holmes si diresse alla sua scrivania e aprendola ne trasse un piccolo tac­cuino che consultò.

- Farintosh - disse. - Ah, sì, ricordo il caso. Riguardava una tiara di opa­le. Credo che fosse prima di conoscervi Watson. Posso solo dire, signorina, che sarò molto lieto di dedicare al vostro caso la stessa cura che ho dedica­to a quello della signora Farintosh, vostra amica. La risoluzione del caso è già un compenso per me. Ma voi comunque potrete rimborsare le eventuali spese a cui andrò incontro quando vi farà più comodo. Ed ora vi prego di esporci tutto quello che può servire a formarci un'opinione in proposito.

- Ahimè - rispose la nostra visitatrice. - Il vero orrore della mia situazio­ne sta nel fatto che le mie paure sono così vaghe, e i miei sospetti si basano così esclusivamente su piccoli particolari, che possono sembrare banali a un altro, e anche colui, al quale sopra tutti gli altri ho il diritto di chiedere aiuto e consiglio, considera tutto quanto dico in proposito fantasie di una donna nervosa. Lui non lo dice, ma posso leggerlo nelle sue risposte rassi­curanti e nei suoi occhi che non mi guardano. Ma io ho sentito, signor Hol­mes, che voi potete vedere profondamente nelle molteplici cattiverie dell'a­nimo umano. Voi potete darmi un consiglio su come camminare tra i peri­coli che mi circondano.

- Avete tutta la mia attenzione, signorina.- Il mio nome è Helen Stoner e vivo con il mio patrigno che è l'ultimo

sopravvissuto di una delle più vecchie famiglie sassoni in Inghilterra, i Roylott di Stoke Moran, sul confine occidentale del Surrey.

Holmes assentì con un cenno del capo. - Il nome mi è familiare - disse.- La famiglia è stata una volta tra le più ricche d'Inghilterra, e i suoi pos­

sedimenti terrieri si estendevano oltre i confini del Berkshire a nord, e del­l'Hampshire a occidente. Nell'ultimo secolo, tuttavia, quattro successivi

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eredi sono stati di abitudini dissolute e viziose e la rovina della famiglia è stata alla fine completata da un giocatore ai tempi della Reggenza. Non ri­mase nulla, salvo pochi acri di terreno e una casa vecchia di duecento anni che è essa stessa gravata da pesanti ipoteche. L'ultimo proprietario ha tra­scinato la sua esistenza, vivendo l'orribile vita di un aristocratico povero, ma il suo unico figlio, il mio patrigno, vedendo che doveva adattarsi alle nuove condizioni, ottenne da un parente un anticipo che gli permise di prendere una laurea in medicina e andò a Calcutta, dove grazie alla sua abi­lità professionale e alla sua forza di carattere si fece una grande clientela. Tuttavia in un impeto d'ira, provocata da alcuni furti che erano stati perpe­trati nella casa, picchiò a morte il suo maggiordomo e sfuggì a stento a una condanna a morte. Comunque scontò una lunga pena in carcere e poi ritor­nò in Inghilterra, come un uomo scontroso e deluso.

"Quando il dottor Roylott era in India sposò mia madre, la signora Sto­ner, giovane vedova del Generale Stoner, dell'Artiglieria del Bengala. Mia sorella Julia e io eravamo gemelle e avevamo soltanto due anni quando mia madre si risposò. Lei aveva una considerevole somma di denaro, una rendi­ta di non meno di mille sterline l'anno e la lasciò interamente in testamento al dottor Roylott mentre risiedevamo con lui, con la clausola che una certa rendita annuale dovesse esserci versata nell'eventualità del nostro matrimo­nio. Poco dopo il nostro ritorno in Inghilterra la mamma morì, otto anni fa, in un incidente ferroviario vicino a Crewe. Il dottor Roylott allora abban­donò i suoi tentativi di stabilirsi a Londra come medico e ci portò a vivere con lui nella casa paterna di Stoke Moran. Il denaro che mia madre aveva lasciato era sufficiente per tutte le nostre necessità e sembrava non ci fosse­ro ostacoli alla nostra felicità.

"Ma circa a quel tempo il nostro patrigno subì un terribile cambiamento. Invece di farsi degli amici e di scambiare visite con i nostri vicini, che all'i­nizio erano stati lietissimi di vedere un Roylott di Stoke Moran tornare nel­l'antica dimora di famiglia, lui si chiuse nella sua casa e ne uscì raramente, salvo che per esibirsi in liti feroci con chiunque attraversasse il suo cammi­no. Negli uomini della famiglia è sempre stata ereditaria una violenza di carattere che si avvicina alla malattia e che nel caso del mio patrigno era stata, io credo, incrementata dalla lunga residenza ai tropici. Ebbe luogo una serie di spiacevoli alterchi, due dei quali finirono in tribunale e lui di­venne il terrore del villaggio e la gente si allontanava al suo apparire, poi­ché è un uomo di immensa forza e assolutamente incontrollabile nell'ira.

"La settimana scorsa gettò il fabbro oltre il parapetto, in un torrente, e 147

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solo pagando tutto il denaro che potei racimolare, riuscii a evitare un altro scandalo pubblico. Non aveva altri amici se non gli zingari nomadi e per­metteva a questi vagabondi di accamparsi sui pochi acri di terreno ricoper­to di sterpaglie che rappresentano i possedimenti della famiglia, accettando in cambio l'ospitalità delle loro tende, andandosene via con loro, a volte, per settimane di fila.

"Ha anche una passione per gli animali indiani che gli vengono inviati da un corrispondente, e in questo momento ha un ghepardo e un babbuino che si muovono in libertà sul suo terreno e sono temuti dagli abitanti del villaggio, quasi quanto il loro padrone.

"Potete immaginare da quello che dico che la mia povera sorella Julia e io non abbiamo avuto grandi gioie dalla nostra vita. Nessun servitore resta­va per molto da noi e per lungo tempo abbiamo fatto da noi tutti i lavori di casa. Mia sorella aveva soltanto trent'anni al momento della morte, eppure i suoi capelli avevano incominciato a diventare grigi, come sta accadendo ai miei."

- Vostra sorella è dunque morta?- È morta proprio due anni fa ed è della sua morte che desidero parlarvi.

Potete capire che, vivendo la vita che vi ho descritto, avevamo poche pro­babilità di frequentare qualcuno della nostra età e della nostra posizione. Tuttavia avevamo una zia, la sorella di mia madre, la signorina Honoria Westphail che vive vicino a Harrow e di tanto in tanto avevamo il permes­so di fare brevi visite a casa sua. Julia ci andò a Natale due anni fa e conob­be un maggiore dei Marines, con il quale si fidanzò. Il mio patrigno appre­se del fidanzamento quando mia sorella tornò a casa e non fece obiezioni al matrimonio; ma una quindicina di giorni prima della data fissata per il ma­trimonio, avvenne il terribile incidente che mi ha privato della mia unica compagnia.

Sherlock Holmes era adagiato in poltrona con gli occhi chiusi e la testa appoggiata a un cuscino ma ora aprì a metà gli occhi e diede uno sguardo alla nostra visitatrice.

- Vi prego di essere precisa nei dettagli - disse.- È facile per me esserlo perché ogni avvenimento di quel tremendo mo­

mento è inciso nella mia memoria. Il maniero, come ho già detto, è molto vecchio e ora soltanto un'ala è abitata. Le camere da letto in questa ala sono al pianterreno, e i salotti sono nel blocco centrale. Di queste camere da letto la prima è quella del dottor Roylott, la seconda di mia sorella e la terza è la mia. Non c'è comunicazione tra di loro, ma tutte si aprono sullo

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stesso corridoio. Mi sono spiegata bene?- Perfettamente.- Le finestre delle tre stanze si aprono sul prato. Quella notte fatale il

dottor Roylott si era ritirato presto nella sua stanza, benché sapessimo che non era per riposare, poiché mia sorella era turbata dall'odore dei forti siga­ri indiani che è abituato a fumare. Quindi lasciò la sua stanza e venne nella mia dove sedette per un po' chiacchierando delle sue prossime nozze. Alle ventitré si alzò per lasciarmi, ma si fermò alla porta e mi guardò.

" - Dimmi Helen - mi disse - hai mai sentito qualcuno fischiare nel cuo­re della notte?

" - Mai - risposi io." - Suppongo che non sei tu che fischi nel sonno?" - Certamente no, ma perché?" - Perché durante le ultime notti ho sempre sentito, verso le tre, un fi­

schio sommesso. Ho il sonno leggero e mi ha svegliato. Non posso dire da dove venisse, forse dalla stanza vicina, forse dal prato. Ho pensato di chie­derti se lo avessi sentito anche tu.

" - No, non l'ho sentito ma devono essere quei miserabili zingari nel pra­to.

" - Probabile. Eppure se veniva dal prato mi chiedo come mai non l'hai sentito anche tu.

" - Ah, ma io dormo più profondamente di te." - Be', comunque non ha importanza. - Mi sorrise dalla porta, la chiuse

e pochi minuti dopo sentii la sua chiave girare nella serratura."- Davvero? - chiese Holmes. - È vostra abitudine chiudervi sempre a

chiave nella stanza durante la notte?- Sempre.- E perché?- Credo di avervi accennato che il dottore teneva un ghepardo e un bab­

buino. Non ci sentivamo tranquille a meno che le nostre porte non fossero chiuse a chiave.

- Capisco. vi prego di continuare con il vostro racconto.- Quella notte non riuscivo a dormire. Una vaga sensazione di disgrazia

incombente mi opprimeva. Mia sorella e io, ricorderete, eravamo gemelle e voi sapete quanto siano sottili i legami che stringono due anime tanto inti­mamente unite. Fu una notte spaventosa. Il vento ululava e la pioggia bat­teva e scrosciava contro le finestre. Improvvisamente, in mezzo alla confu­sione dell'uragano, si levò l'urlo selvaggio di una donna terrorizzata. Capii

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che era la voce di mia sorella. Balzai dal letto, mi avvolsi in uno scialle e uscii di corsa nel corridoio. Mentre aprivo la porta mi parve di sentire un debole fischio, come lo aveva descritto mia sorella e pochi momenti dopo un fragore, come se fosse caduta una massa di metallo. Mentre correvo lungo il corridoio la porta di mia sorella si aprì e girò lentamente sui cardi­ni. La fissai inorridita, non sapevo che cosa ne sarebbe uscito. Alla luce della lampada del corridoio vidi mia sorella apparire nel vano della porta, con la faccia sbiancata dal terrore, con le mani che cercavano aiuto e l'inte­ra figura che barcollava avanti e indietro come quella di un ubriaco. Corsi sa lei e le gettai le braccia attorno alla vita, ma in quel momento le sue gi­nocchia sembrarono cedere e lei cadde a terra. Si contorceva come in preda a una terribile sofferenza e i suoi arti si agitavano in terrificanti convulsio­ni. Dapprima pensai che non mi avrebbe riconosciuta ma mentre mi china­vo sopra di lei improvvisamente urlò con una voce che non dimenticherò mai: "Mio Dio, Helen! È stata la fascia! La fascia maculata!" C'era qualco­s'altro che avrebbe voluto dirmi e puntò il dito nell'aria verso la stanza del dottore, ma un nuovo attacco di convulsioni la colpì e soffocò le sue paro­le. Corsi fuori, chiamando ad alta voce il mio patrigno e lo incontrai che usciva in fretta dalla sua stanza in veste da camera. Quando fu al fianco di mia sorella, lei era incosciente e benché le versasse in gola brandy e man­dasse a chiamare al villaggio il soccorso medico, tutti gli sforzi furono vani perché lei lentamente si afflosciò e morì senza aver ripreso conoscenza. Questa fu la tremenda fine della mia amata sorella.

- Un momento - disse Holmes. - Siete sicura di questo fischio e del suo­no metallico? Potreste giurarlo?

- Questo è quanto mi chiese il Coroner della Contea all'inchiesta. Ho la netta impressione di averlo sentito, ma tra l'infuriare dell'uragano e gli scricchiolii di una vecchia casa, può darsi che io mi sia ingannata.

- Vostra sorella era vestita?- No, era in camicia da notte. Nella mano destra fu trovato un pezzo di

fiammifero bruciato e nella sinistra una scatola di fiammiferi.- Il che dimostra che aveva acceso un fiammifero e si stava guardando

attorno quando si verificò il misterioso fatto. Questo è importante. E il Co­roner che cosa ha deciso?

- Ha indagato sul caso con grande attenzione, perché la condotta del dottor Roylott era da lungo tempo nota nella contea, ma è stato incapace di trovare una qualunque soddisfacente causa della morte. La mia testimo­nianza dimostrò che la porta era stata chiusa dall'interno e le finestre erano

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chiuse con imposte all'antica e larghe sbarre di ferro che erano fissate ogni notte. Le pareti furono accuratamente controllate e si scoprì che erano piut­tosto massicce dappertutto e anche il pavimento fu controllato nello stesso modo e con gli stessi risultati. Il caminetto è grande, ma è sbarrato da quat­tro grandi staffe. È certo quindi che mia sorella era del tutto sola quando morì. Inoltre su di lei non c'era alcun segno di violenza.

- Che mi dite del veleno?- I dottori la esaminarono ma senza successo.- Di che cosa credete dunque che sia morta quella sfortunata signorina?- Sono convinta che è morta di paura e di shock nervoso, benché non

posso immaginare cosa l'abbia spaventata tanto.- C'erano zingari nei dintorni in quel momento?- Sì, ce n'è sempre qualcuno laggiù.- Ah, e che cosa avete pensato della sua allusione a una fascia, una fa­

scia maculata?- A volte ho pensato che fosse soltanto il parlare sconnesso del delirio,

altre volte che possa essersi riferita a qualche gruppo di persone, forse pro­prio quegli zingari sulla proprietà. Non so se i fazzoletti a pois che molti di loro portano in testa possono aver suggerito lo strano aggettivo che ha usa­to.

Holmes scosse la testa come un uomo ben lontano dall'essere soddisfat­to.

- Queste sono acque molto profonde - disse. - Vi prego di continuare il racconto.

- Da allora sono passati due anni e la mia vita è stata fino a poco tempo fa più solitaria che mai. Il mese scorso tuttavia, un caro amico, che conosco da molti anni, mi ha fatto l'onore di chiedere la mia mano. Il suo nome è Armitage, Peter Armitage, secondogenito del signor Armitage di Crane Water, vicino a Reading. Il mio patrigno non ha fatto opposizione e noi ci sposeremo nel corso della prossima primavera. Due giorni fa sono state ini­ziate delle riparazioni nell'ala occidentale dell'edificio e la parete della mia stanza è stata perforata, quindi ho dovuto spostarmi nella stanza dove è morta mia sorella. Immaginate quindi il mio brivido di terrore quando la notte scorsa, mentre ero ancora sveglia, pensando al suo terribile destino, improvvisamente ho sentito nel silenzio della notte il debole fischio che è stato l'annunciatore della sua morte. Mi sono alzata di colpo e ho acceso la lampada, ma non c'era niente nella stanza. Ero troppo scossa per andare a letto di nuovo, così mi sono vestita e non appena s'è fatto giorno sono sci­

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volata fuori e ho preso un calesse alla Locanda della Corona, che sta di fronte e sono andata a Leatherhead, da dove sono venuta qui stamane con il solo scopo di vedervi e di chiedere il vostro consiglio.

- Avete agito saggiamente - disse il mio amico - ma mi avete detto tutto?- Sì, tutto.- Non lo avete fatto, signorina Stoner. Voi state proteggendo il vostro

patrigno.- Ma che cosa volete dire?In risposta, Holmes spinse indietro la guarnizione di pizzo nero che co­

priva la mano appoggiata sul ginocchio della nostra visitatrice. Cinque im­pronte livide, i segni di quattro dita e di un pollice, erano impresse sul pol­so bianco.

- Siete stata trattata crudelmente - affermò Holmes.La ragazza arrossì violentemente e coprì il suo polso maltrattato.- È un uomo duro - abbozzò - e forse non conosce nemmeno lui la sua

forza.Ci fu un lungo silenzio durante il quale Holmes appoggiò il mento sulle

mani e rimase a guardare il fuoco scoppiettante.- Questa è una faccenda molto seria - disse alla fine. - Ci sono mille det­

tagli che desidero conoscere prima di decidere un piano d'azione. Ma non abbiamo tempo da perdere. Se dovessi venire oggi a Stoke Moran, sarebbe possibile vedere quella stanza senza che il vostro patrigno lo sappia?

- Ha parlato di venire in città oggi per un affare importante. È probabile che stia via tutto il giorno e che non ci sia niente che possa disturbarvi. Ora abbiamo una governante, ma è vecchia e stolta e potrei facilmente toglierla di torno.

- Eccellente. Voi non siete contrario a questo viaggio, Watson.- Assolutamente.- Allora verremo entrambi. Voi che avete intenzione di fare?- Ho un paio di faccende che vorrei sbrigare mentre sono in città. Ma

tornerò con il treno delle dodici, in modo da essere là quando arriverete voi.

- Potete aspettarci nel primo pomeriggio. Ho anch'io qualche piccola faccenda da sbrigare. Non volete restare per la prima colazione?

- No, devo andare. Il mio cuore è già più leggero, da quando vi ho confi­dato i miei guai. Sono ansiosa di rivedervi questo pomeriggio. - Abbassò il fitto velo e usci dalla stanza.

- Che ne pensate di tutto questo, Watson? - chiese Sherlock Holmes ap­152

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poggiandosi allo schienale della poltrona.- Mi sembra una faccenda oscura e sinistra.- Abbastanza oscura e abbastanza sinistra.- Eppure se la signorina non ha sbagliato nel dire che il pavimento e le

pareti sono massicci, che la porta, il camino e la finestra sono insuperabili, allora sua sorella deve essere stata indubbiamente sola quando la morte la raggiunse.

- Che cosa significano dunque quei sibili notturni e le strane parole della donna morente?

- Non so proprio che cosa pensare.- Quando si combinano le idee dei sibili notturni, la presenza di una tri­

bù di zingari che sono molto intimi con il vecchio dottore, il fatto che ab­biamo tutte le ragioni di credere che questo dottore abbia interesse a impe­dire il matrimonio della sua figliastra, l'allusione in punto di morte a una fascia e finalmente il fatto che la signorina Stoner ha sentito un fragore me­tallico, che può essere venuto da una di quelle sbarre rimessa al proprio po­sto, credo che ci siano buone probabilità di chiarire il mistero in questa di­rezione.

- Ma che hanno fatto dunque gli zingari?- Non riesco a immaginarlo.- Prevedo molte obiezioni a una simile teoria.- Anch'io. È proprio per questa ragione che noi andiamo a Stoke Moran,

oggi. Voglio vedere se le obiezioni sono fatali o possono essere spiegate. Ma che cosa succede, in nome del diavolo?

L'esclamazione era stata provocata dal fatto che la nostra porta era stata improvvisamente spalancata e un uomo enorme si era stagliato sulla soglia. I suoi abiti erano un particolare miscuglio di professionale e di agricolo, poiché aveva un cilindro nero, una lunga redingote e un paio di ghette e te­neva in mano un frustino da caccia. Era così alto che il suo cappello sfiora­va la traversa del vano della porta, e in larghezza sembrava occuparlo tutto. Una faccia larga, segnata da migliaia di rughe, scurita dal sole e viziata da qualche malvagia passione, si voltava dall'uno all'altro di noi, mentre i suoi occhi infossati, biliosi e il naso scarno, alto e sottile gli davano in un certo qual modo l'aspetto di un vecchio uccello da preda.

- Chi di voi due è Holmes? - chiese quest'apparizione.- È il mio nome, signore, ma voi siete in vantaggio su di me - rispose

calmo il mio compagno.- Sono il dottor Grimesby Roylott di Stoke Moran.

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- Davvero dottore? - disse Holmes blandamente. - Accomodatevi prego.- Non farò niente del genere. La mia figliastra è stata qui. L'ho seguita.

Che cosa vi ha detto?- Fa un po' freddo per la stagione in cui siamo - sottolineò Holmes.- Che cosa vi ha detto? - urlò furiosamente il vecchio.- Ma ho sentito che i crochi promettono che... - continuò il mio compa­

gno imperturbabile.- Ah, voi mi snobbate, vero? - sbottò il nostro nuovo visitatore facendo

un passo avanti e agitando il frustino. - Vi conosco farabutto! Ho già senti­to parlare di voi! Voi siete Sherlock Holmes l'intrigante!

Il mio amico sorrise.- Holmes, l'impiccione!Il sorriso divenne più marcato.- Holmes, il funzionario di Scotland Yard.Holmes ridacchiò di cuore. - La vostra conversazione è molto diverten­

te. Quando uscite chiudete la porta, perché c'è una corrente fastidiosa.- Me ne andrò quando avrò finito di parlare. Non osate impicciarvi dei

miei affari. So che la signorina Stoner è stata qui, l'ho seguita! Sono un uomo pericoloso per litigarci! Guardate! Fece un passo avanti, afferrò l'at­tizzatoio e lo curvò a ferro di cavallo con le sue mani scure.

- Cercate di stare lontano dalla mia portata - abbaiò e gettando nel cami­no l'attizzatoio piegato, usci dalla stanza.

- Sembra una persona molto amabile - disse Holmes ridendo. - Non sono così grosso, ma se fosse rimasto gli avrei mostrato che la mia stretta non è molto inferiore alla sua.

Mentre parlava prese l'attizzatoio d'acciaio e con uno sforzo improvviso lo raddrizzò di nuovo.

- Ma pensate, aver l'insolenza di confondermi con la polizia ufficiale. Questo incidente dà più gusto alla nostra indagine, e spero solo che la no­stra piccola amica non soffra per la sua imprudenza di aver permesso a questo bruto di seguirla. E ora, Watson, ordineremo la prima colazione e poi farò una passeggiata fino alla Doctor's Commons, dove spero di ottene­re dei dati che ci siano utili in questa faccenda.

Erano circa le tredici quando Holmes tornò dalla sua passeggiata. Aveva in mano un foglio di carta azzurra pieno di annotazioni e di cifre.

- Ho visto il testamento della moglie morta - disse. - Per determinare il suo esatto significato ho dovuto calcolare i prezzi attuali degli investimenti di cui si occupa. Il reddito totale, che al momento della morte della moglie

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era poco inferiore alle 1100 sterline, ora è calato, a causa della diminuzione dei prezzi agricoli, a 750 sterline. Ognuna delle due ragazze può chiedere al momento del matrimonio la somma di 250 sterline di reddito. È evidente quindi che se entrambe le ragazze si fossero sposate, quel galantuomo avrebbe avuto soltanto un reddito miserevole, ma anche il matrimonio di una sola ragazza lo avrebbe messo in serie difficoltà finanziarie. Il mio la­voro di questa mattina non è stato inutile perché ha dimostrato che lui ha i più seri motivi per intralciare qualunque tentativo di matrimonio. E ora, Watson, questa è una faccenda troppo grave per sprecare il tempo, special­mente perché il vecchio è a conoscenza che noi ci interessiamo dei suoi af­fari; quindi, se siete pronto, chiameremo una carrozza e andremo alla sta­zione di Waterloo. Vi sarei molto grato se vi infilaste in tasca la pistola. Una Eley No2 è un eccellente argomento con un gentiluomo che può anno­dare un attizzatoio. Quella e uno spazzolino da denti sono, mi pare, tutto quello di cui abbiamo bisogno.

A Waterloo fummo tanto fortunati da prendere un treno per Leathe­rhead, dove noleggiammo un calesse alla locanda della stazione e percor­remmo sette o otto chilometri lungo le amene strade del Surrey. Era una giornata perfetta, con un sole brillante e poche nubi sfilacciate nel cielo. Gli alberi e i cespugli stavano emettendo le prime gemme e l'aria era ricca dei piacevoli odori della terra umida. Per me almeno, c'era uno strano con­trasto tra le dolci promesse della primavera e questa sinistra impresa nella quale eravamo impegnati. Il mio compagno sedeva nella parte anteriore del calesse, a braccia conserte, il cappello sugli occhi e il mento appoggiato al petto, immerso nei più profondi pensieri. Improvvisamente mi toccò sulla spalla e mi indicò i prati.

- Guardate là - indicò. Un parco pieno di alberi si stendeva lungo una leggera salita, trasformandosi in un bosco nel punto più alto. In mezzo agli alberi spuntavano i grigi frontoni e l'alto tetto di una casa molto antica.

- Stoke Moran? - chiese.- Sì, signore, quella è la casa del dottor Grimesby Roylott - rispose il

vetturino.- Stanno costruendo qualcosa, là - disse Holmes. - Ed è là che andiamo.- Là c'è il villaggio - disse il vetturino, indicando un ammasso di tetti a

qualche distanza sulla sinistra - ma se volete arrivare alla casa, la via più breve è traversare quello steccato e seguire il sentiero tra i campi. Ed è là, dove sta camminando quella signora.

- E la signora, immagino, è la signorina Stoner - osservò Holmes proteg­155

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gendo si gli occhi con la mano. - Sì, sarà meglio fare come suggerite voi.Scendemmo, pagammo e il calesse ritornò verso Leatherhead.- Ho pensato bene - disse Holmes mentre scavalcavamo lo steccato - di

far sì che quel tipo credesse che fossimo architetti o qualcosa del genere. Può evitare che chiacchieri troppo. Buon giorno signorina Stoner. Vedete che abbiamo mantenuto la promessa?

La nostra cliente del mattino si era affrettata a venirci incontro con il volto che esprimeva gioia. - Vi ho atteso con tanta ansia - gridò, stringen­doci la mano calorosamente. - Tutto ha funzionato perfettamente. Il dottor Roylott è andato in città ed è improbabile che torni prima di sera.

- Abbiamo avuto il piacere di conoscere il dottore - disse Holmes e in poche parole spiegò quel che era accaduto. La signorina Stoner diventò pallida in volto mentre ascoltava.

- Buon Dio! - disse. - Dunque mi ha seguita!- Così pare.- È così astuto che non so mai quando sono al sicuro da lui. Che cosa

dirà quando ritorna?- Deve stare attento, perché può scoprire che c'è qualcuno più furbo di

lui sulla sua pista. Questa notte dovete chiudervi a chiave per evitarlo. Se è violento vi porteremo da vostra zia ad Harrow. Ora dobbiamo fare il mi­glior uso possibile del nostro tempo, quindi portateci immediatamente alle stanze che vogliamo esaminare.

L'edificio era di pietra grigia macchiata di licheni, con una parte centrale alta e due ali ricurve, come le chele di un granchio che spuntavano da cia­scun lato. In una di queste ali le finestre erano rotte e chiuse con tavole di legno, mentre il tetto era in parte sfondato, in una immagine di rovina. La porzione centrale era un poco migliore ma il blocco di destra era relativa­mente moderno e le imposte alle finestre, con il fumo azzurro che si levava dai comignoli, dimostravano che era la parte in cui risiedeva la famiglia. Contro l'estremità della parete era stata eretta un'impalcatura e una parte era sfondata, ma non c'era alcun segno di muratori all'opera, al momento del nostro arrivo. Holmes passeggiò lentamente su e giù lungo il giardino mal tenuto ed esaminò con profonda attenzione l'esterno delle finestre.

- Questa, mi pare, appartiene alla stanza in cui dormivate voi, quella al centro alla stanza di vostra sorella e quella vicina al corpo principale della casa alla stanza del dottor Roylott?

- Esattamente, ma ora dormo in quella di mezzo.- Per causa dei lavori, non è vero? Tra l'altro non sembra che ci sia

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un'urgente necessità di riparazioni in quella parete.- Nessuna. Credo che sia stata una scusa per farmi cambiare camera.- Ah, questo fa pensare. Ora, sull'altro lato di questa ala c'è il corridoio

sul quale si aprono queste tre stanze. Naturalmente avrà delle finestre?- Sì, ma molto piccole. Troppo piccole perché qualcuno vi possa passa­

re.- Poiché entrambe chiudevate a chiave la porta, le vostre stanze erano ir­

raggiungibili da quella parte. Ora abbiate la compiacenza di andare nella vostra stanza e sbarrate le imposte.

La signorina Stoner lo fece e Holmes, dopo un attento esame attraverso la finestra aperta si diede da fare in ogni modo per aprire le imposte, ma senza successo. Non c'era alcuna fessura attraverso la quale far passare la lama di un coltello per alzare la sbarra. Poi con la lente esaminò i cardini, ma erano di ferro massiccio incastrati fermamente nella parete.

- Ehm - disse grattandosi il mento con qualche perplessità. - La mia teo­ria presenta certamente delle difficoltà. Nessuno potrebbe superare queste imposte una volta chiuse. Bene, vedremo se l'interno getterà qualche luce sulla faccenda.

Una piccola porta laterale si apriva nel corridoio imbiancato a calce da dove si accedeva alle tre stanze. Holmes rifiutò di esaminare la terza stan­za, così passammo subito alla seconda, quella in cui ora dormiva la signori­na Stoner e in cui la sorella aveva incontrato la morte. Era una semplice ca­meretta con un soffitto basso e un caminetto aperto secondo la moda delle vecchie case di campagna. Un cassettone scuro stava in un angolo, in un al­tro c'era un letto stretto con un copriletto bianco e sul lato sinistro della fi­nestra c'era una toeletta. Le tavole attorno e i pannelli delle pareti erano di quercia scura, rosa dai tarli, così vecchia e scolorita che si poteva risalire a quando era stata costruita la casa. Holmes trascinò una delle sedie in un an­golo e sedette in silenzio, mentre i suoi occhi andavano avanti e indietro assorbendo ogni dettaglio della stanza.

- Con che cosa comunica quel campanello? - chiese alla fine, indicando un grosso cordone che pendeva sopra il letto, con la nappa che poggiava proprio sul cuscino.

- Va fino alla stanza della governante.- Sembra più nuovo di tutto il resto.- Sì, è stato installato soltanto un paio di anni fa.- Lo chiese vostra sorella immagino?- No, non mi risulta che lo abbia mai usato. Abbiamo sempre avuto l'a­

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bitudine di procurarci da noi le cose di cui avevamo bisogno.- Davvero sembra inutile mettere là un così bel cordone di campanello.

Mi scuserete, per qualche minuto mi dedico a questo pavimento.Si mise carponi con la lente in mano e strisciò velocemente avanti e in­

dietro esaminando minutamente le crepe tra le tavole. Poi fece la stessa cosa con i pannelli che ricoprivano le pareti della stanza. Alla fine si dires­se al letto e passò qualche tempo a fissarlo e poi a far scorrere l'occhio lun­go la parete dall'alto in basso. Finalmente prese il cordone in mano e lo tirò decisamente.

- Toh, è finto! - disse.- Non funziona?- No, non è nemmeno attaccato a un filo. Questo è davvero molto inte­

ressante. Potete vedere che è fissato a un gancio proprio sopra la piccola apertura del ventilatore.

- Che cosa assurda! Non me n'ero mai accorta prima!- Molto strano - disse Holmes tirando il cordone. - Ci sono due o tre

cose singolari in questa stanza. Per esempio deve essere molto sprovveduto un costruttore che apra un foro di ventilazione in un'altra stanza, quando con la stessa fatica avrebbe potuto aprirlo verso l'esterno.

- Anche quello è abbastanza recente - fece la signorina.- Fatto circa allo stesso tempo del cordone del campanello? - chiese

Holmes.- Sì, a quel tempo furono fatti diversi piccoli cambiamenti.- Sembrano essere stati di un genere molto interessante: cordoni di cam­

panelli falsi, ventilatori che non ventilano. Con il vostro permesso signori­na Stoner ora faremo delle ricerche nella stanza più interna.

La stanza del dottor Roylott era più grande di quella della sua figliastra, ma era miseramente arredata. Un letto da campo, un piccolo scaffale pieno di libri, principalmente di argomenti tecnici, una poltrona accanto al letto, una sedia di legno grezzo accanto alla parete, un tavolo rotondo e una gran­de cassaforte d'acciaio erano le cose principali che colpivano l'occhio. Hol­mes la percorse lentamente ed esaminò con interesse ciascun oggetto.

- Che c'è dentro qui? - chiese battendo la mano sulla cassaforte.- Documenti d'affari del mio patrigno.- Oh, ne avete visto l'interno, dunque?- Solo una volta, qualche anno fa. Ricordo che era piena di documenti.- Non c'è dentro un gatto, per esempio?- No. Che strana idea!

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- Be', guardate questo. - Prese un piattino colmo di latte che stava sopra la cassaforte.

- No, non teniamo gatti. Ma ci sono un ghepardo e un babbuino.- Ah, sì naturalmente. Be', un ghepardo è soltanto un grosso gatto eppu­

re un piattino di latte non è sufficiente per soddisfare i suoi bisogni, oserei dire. C'è un punto che desidererei stabilire.

Si accovacciò davanti alla sedia di legno e ne osservò il sedile con la più grande attenzione.

- Grazie, questo è sistemato - disse alzandosi e rimettendo la lente in ta­sca. - Toh! Qui c'è qualcosa di interessante.

L'oggetto che aveva attirato la sua attenzione era una sferza da cani ap­pesa a un angolo del letto. La sferza era ripiegata su se stessa in modo da formare un cappio.

- Che cosa ne pensate Watson?- È una sferza abbastanza comune. Ma non so perché sia stata munita di

un cappio.- Non è una cosa molto ordinaria, vero? Ahimè! È un mondo malvagio e

quando un uomo astuto volge il suo cervello al delitto è il peggiore di tutti. Credo di aver visto abbastanza, signorina Stoner e ora con il vostro per­messo faremo un giro nel prato.

Non avevo mai visto il volto del mio amico così cupo, o la sua fronte così corrucciata come quando lasciò la scena della sua indagine. Avevamo camminato diverse volte su e giù nel prato, e né la signorina Stoner né io volevamo interrompere i suoi pensieri prima che si scuotesse dalle sue me­ditazioni.

- È assolutamente essenziale, signorina Stoner - disse - che eseguiate i miei consigli sotto tutti gli aspetti.

- Lo farò senza dubbio.- La faccenda è troppo seria per qualunque esitazione. La vostra vita

può dipendere dalla vostra obbedienza.- Vi assicuro che sono nelle vostre mani.- In primo luogo il mio amico e io dobbiamo passare la notte nella vo­

stra stanza.La signorina Stoner e io lo guardammo stupefatti.- Sì, è necessario. Lasciatemi spiegare. Credo che quella laggiù sia la lo­

canda del villaggio, no?- Sì, è la Corona.- Benissimo. Le vostre finestre saranno visibili da laggiù?

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- Certamente.- Quando il vostro patrigno ritorna dovete ritirarvi nella vostra stanza,

fingendo di avere l'emicrania. Poi quando sentite che si ritira per la notte dovete aprire le imposte della vostra finestra, aprire la chiusura, mettere una lampada sul davanzale come segnale per noi e poi ritirarvi con tutto quello che vi può occorrere nella stanza che occupavate prima. Sicuramen­te, malgrado i lavori, potete adattarvi per una notte.

- Oh, sì, facilmente.- Al resto penseremo noi.- Ma che cosa farete?- Passeremo la notte nella vostra stanza e indagheremo sulle cause del

rumore che vi ha disturbato.- Io credo, signor Holmes, che voi vi siate già fatto un'opinione - disse

la signorina Stoner, appoggiando una mano sul braccio del mio compagno.- In effetti, è così.- Allora per pietà ditemi quale è stata la causa della morte di mia sorella!- Preferirei avere prove concrete prima di parlare.- Potete almeno dirmi se è giusta la mia supposizione e se lei è morta

per un improvviso spavento?- No, non lo credo. Ritengo che probabilmente ci sia stata una causa più

tangibile. E ora, signorina Stoner, dobbiamo lasciarvi perché se il dottor Roylott tornasse e ci vedesse, il nostro viaggio sarebbe stato fatto invano. Arrivederci e siate coraggiosa perché se farete quello che vi ho detto, pote­te stare sicura che presto debelleremo i pericoli che vi minacciano.

Sherlock Holmes e io non avemmo difficoltà a fissare una stanza da let­to e una saletta alla Locanda della Corona. Erano al piano superiore, e dalla nostra finestra potevamo vedere il cancello del viale e l'ala abitata del ma­niero di Stoke Moran.

Al crepuscolo vedemmo passare il dottore in carrozza, con la sua enor­me figura che incombeva sul ragazzo che guidava. Il ragazzo ebbe qualche difficoltà ad aprire il pesante cancello di ferro, sentimmo la voce rauca del dottore e vedemmo la furia con cui agitò il pugno verso il ragazzo. Il cales­se si mosse e pochi minuti dopo vedemmo illuminarsi tra gli alberi la fine­stra di uno dei salotti, quando fu accesa una lampada.

- Sapete Watson - disse Holmes mentre stavamo seduti nel buio che sta­va ormai calando - ho veramente qualche scrupolo a portarvi con me sta­notte. C'è qualche grave elemento di pericolo.

- Posso esservi di aiuto?160

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- La vostra presenza può essere preziosa.- Allora verrò certamente con voi!- Siete molto gentile.- Voi parlate di pericolo. Evidentemente avete visto in quelle stanze più

di quanto abbia visto io.- No, ma immagino di aver dedotto qualcosa di più. Ritengo che abbiate

visto tutto quello che ho visto io.- Non ho visto niente di notevole, salvo il cordone del campanello ma a

che scopo potesse servire è più di quanto io possa immaginare.- Avete visto anche il foro di ventilazione?- Sì, ma non credo che sia una cosa molto insolita avere una piccola

apertura tra due stanze. Era così piccola che non ci sarebbe passato un topo.

- Sapevo che avremmo trovato un foro di ventilazione già prima di veni­re a Stoke Moran.

- Mio caro Holmes!- Oh, sì, davvero. Ricorderete che la signorina Stoner, nella sua dichia­

razione, disse che sua sorella poteva sentire l'odore del sigaro del dottore. Naturalmente questo significa che doveva esserci una comunicazione fra le due stanze. Poteva soltanto essere piccola, altrimenti se ne sarebbe parlato durante l'inchiesta del Coroner. Dedussi che era un foro di ventilazione.

- Ma che male può esserci in questo?- Be', c'è almeno una curiosa coincidenza di elementi. Viene installato

un ventilatore, vi è appeso un cordone e la signorina che dorme nel letto muore. Non vi colpisce la cosa?

- Non vedo alcuna connessione.- Avete osservato qualcosa di molto particolare in quel letto?- No.- Era fissato al pavimento. Avete mai visto prima d'ora un letto fissato a

quel modo?- Non posso dire di averne mai visti.- La ragazza non poteva spostare il letto. Deve essere sempre nella stes­

sa posizione rispetto al ventilatore e alla corda, così dobbiamo chiamarla, perché evidentemente non è mai stata concepita come cordone di un cam­panello.

- Holmes - gridai. - Mi sembra di intravedere dove volete arrivare. Noi siamo appena in tempo a impedire un altro subdolo e orribile delitto!

- Abbastanza subdolo e abbastanza orribile. Quando un dottore si dà al 161

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male è il primo dei criminali. Ha il coraggio e ha la scienza. Palmer e Prit­chard erano tra gli eccellenti nella loro professione. Quest'uomo colpisce ancora più profondamente, ma credo Watson che noi saremo capaci di col­pire ancora più a fondo. Ma assisteremo a degli orrori prima che la notte sia finita. Per amor del cielo, fumiamoci tranquillamente la pipa e volgia­mo la mente per qualche ora a qualcosa di più allegro.

Circa alle ventuno la luce tra gli alberi si spense e tutto fu buio in dire­zione della casa. Passarono lentamente due ore e poi improvvisamente, proprio mentre rintoccavano le ventitre, una luce brillante, isolata si accese proprio davanti a noi.

- Ecco il nostro segnale - disse Holmes balzando in piedi. - Viene dalla finestra di mezzo.

Mentre uscivamo il mio amico scambiò qualche parola con il padrone, spiegandogli che dovevamo fare una visita notturna a un conoscente e che era facile che passassimo da lui tutta la notte. Un momento dopo eravamo sulla strada oscura con un vento gelido che ci soffiava in volto e una luce gialla che tremolava davanti a noi attraverso il buio, per guidarci verso la nostra fosca impresa.

Non ci furono difficoltà a entrare nella proprietà perché nel vecchio muro del parco c'erano brecce mai riparate. Facendoci strada tra gli alberi, raggiungemmo il prato, lo attraversammo e stavamo per scavalcare la fine­stra, quando da un cespuglio di alloro sbucò fuori quello che sembrava un brutto bambino deforme, che si gettò sull'erba agitando le membra e poi fuggì rapidamente nel buio attraverso il prato.

- Mio Dio! - mormorai. - Lo avete visto?Holmes rimase per un momento stupito come me, con la mano stretta

come una morsa sul mio polso, nell'agitazione. Poi emise una lunga risata e mi disse all'orecchio: - È una singolare famiglia, quello è il babbuino.

Avevo dimenticato lo strano animale, a cui il dottore era affezionato. C'era anche il ghepardo: forse ce lo saremmo trovato alle spalle da un mo­mento all'altro. Confesso che mi sentii la mente più tranquilla quando, tolte le scarpe seguendo l'esempio di Holmes, mi trovai dentro la camera da let­to.

Il mio compagno chiuse silenziosamente le imposte, mise la lampada sul tavolo e fece girare lo sguardo lungo la stanza. Tutto era come lo ave­vamo visto nel pomeriggio. Poi avvicinatosi a me e fattosi schermo con le mani, mi sussurrò nell'orecchio tanto piano che potei appena distinguere le parole.

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- Il minimo rumore sarebbe fatale per il nostro piano.Annui per fargli capire che avevo sentito.- Dobbiamo stare al buio, altrimenti si vedrebbe la luce attraverso il foro

di ventilazione.Annuii di nuovo.- Non addormentatevi; la vostra stessa vita può dipendere da questo. Te­

nete pronta la rivoltella nel caso ne avessimo bisogno. Io mi siederò a fian­co del letto, voi in quella poltrona.

Presi la mia rivoltella e la posai sull'angolo del tavolo.Holmes aveva portato un lungo bastone sottile e lo pose sul letto accan­

to a sé. Vi pose vicino la scatola di fiammiferi e un mozzicone di candela. Poi spense la luce e restammo al buio.

Come potrò mai dimenticare quella veglia tremenda? Non si sentiva un rumore, nemmeno quello di un respiro, eppure sapevo che il mio compa­gno stava con gli occhi aperti, a pochi metri da me, in uno stato di tensione nervosa come la mia. Le imposte nascondevano il minimo raggio di luce e noi attendevamo nell'oscurità più assoluta. Dall'esterno giungeva di tanto in tanto il grido di un uccello notturno e una volta, proprio alla nostra fine­stra, si udì un lungo lamentoso miagolio, che ci rivelò che il ghepardo era davvero in libertà. Lontano potevamo sentire i tocchi profondi dell'orologio della chiesa, che rimbombavano ogni quarto d'ora. Come sembravano lun­ghi quei quarti d'ora! Le dodici, l'una, le due, le tre e ancora stavamo silen­ziosamente in attesa di quello che sarebbe potuto accadere.

Improvvisamente ci fu un momentaneo sprazzo di luce in direzione del ventilatore, che però scomparve subito ma fu seguito da un forte puzzo di olio in combustione e di metallo riscaldato. Qualcuno nella stanza accanto aveva acceso una lanterna cieca. Sentii il leggero rumore di un movimento e poi tutto fu ancora silenzioso, benché il puzzo diventasse più forte. Per mezz'ora rimasi con le orecchie tese. Poi improvvisamente un altro rumore si fece sentire, un rumore molto tenue, ipnotico, come quello di un piccolo getto di vapore che sfuggisse continuamente da un bricco. Nell'istante in cui lo sentimmo, Holmes balzò dal letto, accese un fiammifero e colpì fu­riosamente con il bastone il cordone del campanello.

- Lo vedete, Watson - gridò - lo vedete?Ma io non vidi nulla. Nel momento in cui Holmes accendeva la luce

sentii un debole, chiaro sibilo ma l'improvviso chiarore nei miei occhi stan­chi mi rese impossibile dire che cosa stesse battendo così selvaggiamente il mio amico. Potei vedere comunque che la sua faccia era mortalmente palli­

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da e piena di orrore e di disgusto.Aveva cessato di colpire e stava guardando il ventilatore quando im­

provvisamente il più orribile grido, che io abbia mai sentito, ruppe il silen­zio della notte. Divenne sempre più alto, un rauco grido di dolore, di paura e di rabbia mescolati assieme. Si dice che lontano nel villaggio e persino nella più distante parrocchia, il grido abbia svegliato i dormienti nel loro letto. Ci gelò il cuore e io rimasi a guardare Holmes e lui a guardare me, finché gli ultimi echi si spensero nel silenzio da cui era venuto.

- Che cosa significa? - ansimai.- Significa che è tutto finito - disse Holmes. - E forse dopo tutto è me­

glio così. Prendete la pistola ed entreremo nella stanza del dottor Roylott.Con il volto grave accese la lampada e mi fece strada lungo il corridoio.

Colpì due volte la porta della stanza senza ottenere alcuna risposta all'inter­no. Poi girò la maniglia ed entrò con me alle calcagna che tenevo la rivol­tella pronta in mano.

Fu una vista singolare quella che colpì i nostri occhi. Sul tavolo stava una lanterna cieca con la serranda semi aperta, che gettava un brillante rag­gio di luce sulla cassaforte il cui portello era spalancato. Accanto al tavolo, sulla sedia di legno sedeva il dottor Grimesby Roylott, avvolto in una lun­ga veste da camera, con le caviglie nude e i piedi infilati in rosse pantofole turche senza tallone. In grembo teneva il corto fusto con la lunga sferza che avevamo notato nel pomeriggio. Il suo mento era rivolto verso l'alto e gli occhi erano fissi, con uno sguardo tremendamente immobile verso l'angolo del soffitto. Attorno alla fronte aveva una fascia di particolare colore giallo, con macchie brunastre che sembrava saldamente stretta attorno alla sua te­sta. Quando entrammo non si mosse e non emise suono.

- La fascia, la fascia maculata! - mormorò Holmes. Feci un passo avanti. In un attimo quella strana fascia incominciò a muoversi e poi si erse tra i suoi capelli la piatta testa a losanga e il collo gonfio di un orrendo serpente.

- È una vipera di palude! - gridò Holmes - Il più mortale serpente del­l'India. È morto a dieci secondi dal morso. La violenza ricade sul violento e l'intrigante cade nel pozzo che ha scavato per un'altra persona. Gettiamo di nuovo questo serpente nel suo covo e poi possiamo portare la signorina Stoner in un posto sicuro e informare la polizia della contea di quanto è ac­caduto.

Mentre parlava prese rapidamente la lunga sferza dal grembo del morto e gettando il cappio attorno al collo del rettile, lo trasse dal suo orrendo ri­fugio e, tenendolo lontano da sé, lo getto nella cassaforte di acciaio che ri­

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chiuse sopra di lui.Questi sono i veri fatti sulla morte del dottor Grimesby Roylott di Stoke

Moran. Non è necessario che io mi dilunghi in una narrazione che è già stata fin troppo lunga, dicendo come rivelammo la triste notizia alla ragaz­za terrorizzata, come la accompagnammo in treno il giorno dopo dalla sua buona zia ad Harrow, e come il lento processo dell'inchiesta ufficiale con­cluse che il dottor Roylott era morto mentre imprudentemente giocava con un animale pericoloso. Il poco che ancora dovevo apprendere sul caso mi fu raccontato da Holmes stesso, mentre stavamo tornando a casa il giorno seguente.

- Io ero giunto a una conclusione interamente sbagliata, che dimostra, mio caro Watson, quanto sia pericoloso ragionare sulla base di dati insuffi­cienti. La presenza degli zingari, l'uso della parola fascia impiegata dalla sfortunata ragazza, senza dubbio per spiegare l'apparizione di cui aveva avuto un orrido fuggevole sguardo alla luce del fiammifero, furono suffi­cienti per mettermi su una pista completamente sbagliata. Posso solo van­tare il merito di aver istantaneamente riconsiderato la mia posizione quan­do tuttavia mi apparve chiaro che qualunque pericolo minacciasse la perso­na che occupava la stanza non poteva venire né dalla porta né dalla fine­stra. La mia attenzione fu immediatamente attratta, come vi ho già fatto no­tare, da questo ventilatore e dal cordone che pendeva sopra il letto. La sco­perta che il cordone era fasullo e che il letto era fissato al pavimento, istan­taneamente mi fece nascere il sospetto che il cordone fosse là come ponte per qualcosa che passava attraverso il foro di ventilazione e scendeva sul letto. L'idea di un serpente mi venne subito e quando la associai al fatto che il dottore era circondato da una serie di creature che venivano dall'India, sentii di essere, probabilmente, sulla pista giusta. L'idea di usare una forma di veleno che non fosse individuabile da qualunque esame chimico era pro­prio quella che poteva venire a un uomo astuto e senza scrupoli che cono­scesse i segreti orientali. La rapidità con cui quel veleno avrebbe agito sa­rebbe stata dal suo punto di vista un altro vantaggio. Ci sarebbe voluto dav­vero un Coroner dagli occhi molto acuti per scoprire i due piccoli punti scuri che avrebbero dimostrato dove i denti avevano compiuto il loro ma­cabro lavoro. Poi pensai al sibilo. Naturalmente doveva richiamare il ser­pente prima che la luce del giorno lo rivelasse alla vittima. Lo aveva adde­strato, probabilmente impiegando il latte che abbiamo visto, a tornare da lui quando veniva chiamato. Lui lo faceva passare attraverso il ventilatore all'ora che credeva più opportuna, con la certezza che sarebbe sceso lungo

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il cordone atterrando sul letto. Poteva o non poteva azzannare l'occupante del letto, forse lei poteva sfuggire ogni notte per una settimana, ma presto o tardi ne sarebbe stata la vittima.

"Ero giunto a queste conclusioni prima ancora di entrare nella stanza. Un'ispezione della sedia mi disse che aveva l'abitudine di starci in piedi so­pra, cosa che sarebbe stata necessaria per poter raggiungere il ventilatore. La vista della cassaforte, del piattino con il latte, e della sferza con il cap­pio furono sufficienti in realtà a disperdere qualunque dubbio mi fosse ri­masto. Il rumore metallico udito dalla signorina Stoner era ovviamente causato dal patrigno che chiudeva rapidamente la porta della cassaforte so­pra il terribile inquilino. Ormai sapete i passi che ho compiuto per verifica­re i fatti. Sentii la creatura sibilare come senza dubbio l'avete sentita anche voi, accesi istantaneamente la luce e la colpii."

- Con il risultato di respingerla nel ventilatore.- E anche con il risultato di farla rivoltare contro il suo padrone nell'altra

stanza. Alcuni dei colpi del mio bastone sono andati a segno e hanno risve­gliato la sua rabbia di rettile, cosicché si è gettato sulla prima persona che ha visto. In questo modo sono senza dubbio responsabile indirettamente della morte del dottor Grimesby Roylott, ma non posso in effetti dire che la cosa peserà molto sulla mia coscienza.

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Il pollice dell'ingegnere(The Engineer's Thumb)Di tutti i problemi che sono stati sottoposti per la soluzione al mio ami­

co Sherlock Holmes negli anni della nostra sincera amicizia, solo due volte fui io a sottoporli alla sua attenzione: quello del pollice dell'ingegnere Ha­therley e quello della pazzia del colonnello Warburton. Il secondo dei due potrebbe avere offerto un migliore ambiente a un osservatore acuto e origi­nale, ma il primo fu così strano nel suo inizio e così drammatico nei parti­colari che può ben meritare di essere raccontato, anche se diede al mio amico meno spazi per quei metodi deduttivi di ragionamento che gli permi­sero di raggiungere risultati eccezionali. La storia, credo, è stata riportata più di una volta dai giornali ma, come tutti i fatti di cronaca, l'effetto è meno sentito quando la vicenda viene concentrata in una mezza colonna di stampa che non quando si sviluppa lentamente davanti ai vostri occhi, e il mistero si svela man mano che nuove scoperte portano alla soluzione e alla verità. All'epoca del fatto i particolari mi fecero profonda impressione, e ora che sono passati due anni l'effetto non è molto minore.

Eravamo nell'estate del 1889, poco dopo il mio matrimonio, quando av­venne ciò che sto per narrarvi. Avevo ripreso la mia professione e abbando­nato le stanze di Baker Street dove Holmes viveva, anche se andavo spesso a trovarlo e talvolta lo convincevo persino a rinunciare alle sue abitudini da bohémien e a venire da noi. Il mio lavoro di medico era aumentato conti­nuamente e siccome abitavo non lontano dalla stazione di Paddington, an­noveravo tra i pazienti dei ferrovieri. Uno di loro, che avevo guarito da una dolorosa malattia, non si stancava mai di magnificare le mie virtù, e di in­dirizzarmi altri clienti sui quali poteva avere un'influenza.

Una mattina, poco dopo le sette, fui destato dalla cameriera che bussò alla porta per annunciarmi la visita di due signori venuti da Paddington, che mi aspettavano nello studio. Mi vestii in fretta perché sapevo per espe­rienza che i ferrovieri non presentavano che raramente mali trascurabili; scesi svelto dabbasso. Mentre ero per le scale il mio vecchio amico, il sor­vegliante delle ferrovie, uscì dalla stanza e richiuse la porta dietro di sé.

- L'ho portato lì dentro - bisbigliò, agitando il pollice sopra la sua spalla. - Sta bene.

- Di che si tratta, allora? - chiesi, perché i suoi modi facevano pensare a una strana creatura che avesse ingabbiata nel mio studio.

- È un nuovo paziente - sussurrò. - Ho pensato di portarlo qui io stesso; così non poteva eclissarsi. Sta lì, sano e salvo. Ora devo andare, dottore; ho

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i miei impegni, proprio come voi. - E sparì, quel fidato procacciatore, sen­za neppure darmi il tempo di ringraziarlo.

Entrai nel mio gabinetto medico e vi trovai un signore seduto vicino alla scrivania. Portava un sobrio vestito di tweed e aveva posato sui miei libri un berretto di stoffa. Su una mano aveva avvolto un fazzoletto con vistose macchie di sangue. Era giovane, sui venticinque anni giudicai, con una fac­cia marcata, mascolina, ma pallidissima, tanto da darmi l'impressione che fosse fortemente agitato e che impiegasse tutte le sue forze interiori per controllarsi.

- Mi rincresce di avervi incomodato a quest'ora, dottore - disse - ma ho avuto un grave incidente nella notte. Sono arrivato in treno stamane, e a Paddington mi sono informato dove avrei trovato un medico; un brav'uo­mo, molto gentile, mi ha accompagnato qui. Ho dato il mio biglietto da vi­sita alla cameriera ma vedo che lo ha lasciato sul tavolino.

Lo presi e lessi: "Victor Hatherley, ingegnere idraulico, Victoria Street 16A (terzo piano)". C'erano nome, professione e abitazione del mio cliente mattutino.

- Scusate se vi ho fatto aspettare - dissi sedendomi nella mia poltrona. - Avete viaggiato di notte, se ho ben capito, e questa è di per sé un'occupa­zione monotona.

- Oh, la mia notte non può dirsi monotona - precisò lui e rise. Rise ener­gicamente, con una nota acuta, argentina, si appoggiò allo schienale della sedia e il suo corpo fu scosso dal gran ridere. Tutti i miei istinti medici in­sorsero contro quella risata.

- Basta! - gridai - controllatevi! - e gli versai dell'acqua da una caraffa.Fu inutile. Era in preda a uno di quegli attacchi isterici che colpiscono

una natura forte quando ha superato una prova difficile. Poco dopo tornò in sé, e appariva molto stanco e pallido.

- Mi sono reso ridicolo - ansimò.- Niente affatto. Bevete. - Aggiunsi all'acqua del brandy, e l'uomo co­

minciò a riprendere colore.- Così va meglio! - disse. - E adesso, dottore, vorreste provvedere al mio

pollice, o meglio alla ferita dove prima avevo il pollice?Sfasciò la mano e me la mostrò. Nonostante sia temprato, rabbrividii.

C'erano quattro dita stese e un'orribile lacerazione rossa, spugnosa dove avrebbe dovuto esserci il pollice. Gli era stato reciso o strappato alla radi­ce.

- Santo cielo! - esclamai. - È un incidente terribile. Deve avere sangui­168

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nato abbondantemente.- Sì, infatti. Sono svenuto quasi subito, e penso di essere rimasto a lungo

senza conoscenza. Quando sono rinvenuto sanguinavo ancora e ho legato il fazzoletto ben stretto attorno al polso, tenendolo rigido con un ramoscello.

- Ottimo! Avreste dovuto fare il medico.- È un problema d'idraulica, vedete, e rientrava nel mio campo.- Questo è stato fatto - feci, esaminando la ferita - con uno strumento

molto pesante e affilato.- Qualcosa come una mannaia - disse lui.- Un incidente, immagino?- Niente affatto.- Cosa! Un'aggressione omicida?- Molto omicida.- Mi spaventate.Lavai e ripulii la ferita, gliela medicai; poi la coprii con un batuffolo di

cotone imbevuto di acido fenico e la fasciai. Lui stava disteso senza muo­versi, ma di tanto in tanto si mordeva il labbro.

- Come va? - chiesi quando ebbi finito.- Magnificamente! Tra il brandy e la fasciatura mi sento un uomo nuo­

vo. Ero molto debole, ma con tutto quello che ho passato!- Forse fareste meglio a non parlarne. Si capisce che la cosa mette alla

prova i vostri nervi.- Oh, no, non adesso. Dovrò raccontarlo alla polizia; ma, detto tra noi,

se non fosse per la convincente prova della mia ferita, mi meraviglierei che mi credessero, perché è una storia straordinaria, e non ho molti elementi per sostenerla; ammesso che mi credano, gli indizi che posso fornire sono talmente vaghi che mi domando se sarà fatta giustizia.

- Ah! - esclamai. - Se si tratta di un problema che desiderate risolvere, vi raccomando caldamente di andare dal mio amico, il signor Sherlock Hol­mes, prima di recarvi alla polizia.

- Oh, lo conosco di nome - rispose il mio paziente - e sarei molto con­tento se si occupasse del mio caso, anche se dovrò comunque rivolgermi alla polizia. Potete darmi un biglietto di presentazione per lui?

- Farò di meglio. Vi ci accompagno io stesso.- Ve ne sono molto obbligato.- Chiamiamo una carrozza e andiamo. Arriveremo giusto in tempo per

far colazione con lui. Vi sentite in grado di venire?- Sì. Non sarò in pace finché non avrò raccontato la mia storia.

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- Allora la mia cameriera provvederà a chiamare una carrozza, e io sarò da voi tra un momento. - Mi affrettai a salire di sopra, spiegai brevemente la cosa a mia moglie e dopo cinque minuti ero nella vettura con il mio nuo­vo conoscente, diretto a Baker Street.

Come prevedevo, Sherlock Holmes stava bighellonando in soggiorno, in vestaglia, e leggeva su The Times gli avvisi delle persone scomparse, fu­mando prima di colazione una pipa caricata con tutti i residui delle fumate del giorno precedente, accuratamente essiccati e raccolti sull'angolo della mensola del caminetto. Ci ricevette con la sua solita, pacata socievolezza, ordinò altre uova e pancetta fritte e tutti insieme mangiammo con gusto. Dopo, sistemò l'ingegnere sul divano con un guanciale sotto la testa, e de­pose vicino a lui un bicchiere di brandy allungato con acqua.

- Si vede bene che la vostra esperienza non è stata comune, signor Ha­therley - disse. - Prego, distendetevi e fate come se foste a casa vostra. Di­teci quello che potete, ma fermatevi quando siete stanco, e sostenete le vo­stre energie con un modesto stimolante.

- Grazie - rispose il mio paziente - ma mi sento un altro dopo che il dot­tore mi ha fasciato, e la vostra colazione ha completato la cura. Ruberò il minimo possibile del vostro tempo prezioso, perciò comincio subito.

Holmes si sedette nella sua enorme poltrona con espressione stanca, le palpebre pesanti, il che nascondeva il suo spirito acuto e interessato; io mi sedetti di fronte a lui, e ascoltammo in silenzio la strana vicenda.

- Dovete sapere - disse - che sono orfano e celibe, abito da solo in un appartamento ammobiliato, qui a Londra. Di professione faccio l'ingegnere idraulico e ho accumulato molta esperienza nei sette anni in cui lavorai da Venner & Matheson, la nota ditta di Greenwich. Due anni fa, essendo sca­duto il mio incarico, ed essendo entrato in possesso di una discreta somma di denaro per la morte di mio padre, decisi di mettermi a lavorare in pro­prio e aprii il mio ufficio in Victoria Street.

"Tutti, suppongo, fanno un'esperienza terribile mettendosi in proprio. Per me lo è stata in modo eccezionale. In due anni sono stato consultato tre volte, e ho avuto solo un piccolo incarico; questo è tutto quello che mi ha reso la professione. Le mie entrate lorde ammontano a 27 sterline e 10 scellini. Ogni giorno, dalle nove alle sedici, aspettavo nel mio studio, e alla fine ho perso le speranze; ho cominciato a dubitare che mi sarei fatto una clientela.

"Ma ieri, quando già stavo pensando di lasciare l'ufficio, il mio impiega­to entrò e mi disse che un signore voleva vedermi per affari. Mi diede il

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suo biglietto che recava il nome di 'Colonnello Lysander Stark'. Subito die­tro a lui arrivò il colonnello, un uomo di altezza oltre la media, ma magro come un chiodo. Non credo di avere mai visto uno magro come lui. La sua faccia era pelle e ossa, con due sporgenze, il naso e il mento. Tuttavia quel­la eccezionale magrezza doveva essere in lui naturale, non dovuta a malat­tia, perché mostrava l'occhio vivo, il passo agile e l'andatura sicura. Era ve­stito in modo semplice ma ordinato e la sua età, giudicai, doveva avvicinar­si alla quarantina.

"- Ingegnere Hatherley? - domandò, con un lieve accento tedesco. - Mi siete stato raccomandato come persona non solo esperta nella professione ma anche discreta e capace di conservare un segreto.

"M'inchinai, sentendomi adulato, come avrebbe fatto qualsiasi altro gio­vane. - Posso chiedervi chi mi ha elogiato così?

"- Ecco, forse è meglio che non ve lo dica in questo preciso momento. La stessa fonte mi ha informato che siete orfano e celibe e che abitate da solo a Londra.

"- Esatto - risposi - ma mi scuserete se dico che non vedo come tutto questo c'entri con i miei requisiti professionali. Mi è parso di capire che vo­levate parlarmi di affari, o no?

"- Indubbiamente. Ma scoprirete che tutto ciò che dico ha attinenza. Ho un incarico professionale per voi, ma la segretezza è essenziale, un' assolu­ta segretezza, mi capite, e possiamo contare più su un uomo solo che non su uno che ha una famiglia.

"- Se prometto di mantenere il segreto - dissi - potete star certo che lo farò.

"Lui mi guardava molto duramente mentre parlavo, ed ebbi l'impressio­ne di non avere mai visto un occhio più sospettoso e dubbioso.

"- Lo promettete? - disse infine. E io promisi."- Assoluto e completo silenzio prima, durante e dopo? Senza menzio­

nare la cosa né a voce né per scritto?"- Vi ho già dato la mia parola."- Benissimo. - Si alzò bruscamente e con la velocità di un fulmine at­

traversò la stanza e spalancò la porta. Il corridoio era vuoto."- Va bene - disse tornando indietro. - So che gli impiegati talvolta sono

curiosi a proposito degli affari dei loro capi. Ora possiamo parlare con si­curezza. - Accostò la poltrona alla mia e prese a fissarmi con quella sua espressione diffidente e pensierosa.

"Una sensazione di repulsione, e forse di paura, mi serpeggiò dentro per 171

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le stranezze di quell'uomo scheletrico. Neppure il terrore di perdere un cliente frenò la mia visibile impazienza.

"- Vi prego di dirmi di che si tratta - dissi - il mio tempo è prezioso. - Il cielo mi perdoni per le ultime parole, ma mi vennero spontanee.

"- Vi andrebbero bene cinquanta ghinee per una notte di lavoro? - mi chiese.

"- Più che bene."- Ho detto una notte, ma sarebbe più giusto dire un'ora. Mi serve la vo­

stra opinione su una pressa idraulica che non funziona. Se ci indicate qual è il guasto l'aggiusteremo da noi. Cosa ne pensate dell'incarico?

"- Il lavoro sembra semplice e il compenso generoso."- Precisamente. Desideriamo che veniate stasera con l'ultimo treno. Il

treno vi porterà da noi."- Dove? .."- A Eyford, nel Berkshire. È una piccola località ai confini con l'Ox­

fordshire, a undici chilometri da Reading. C'è un treno da Paddington che arriva là verso le 23.15.

"- Benissimo."- Verrò a prendervi in carrozza."- C'è da fare un pezzo di strada? - chiesi."- Sì, noi abitiamo fuori, in campagna. Sono quasi dodici chilometri dal­

la stazione di Eyford."- Non ci arriveremo prima di mezzanotte. Suppongo che non vi sarà un

treno per il ritorno. Dovrò fermarmi là per la notte."- Sì, possiamo darvi un letto di fortuna."- Questo è molto imbarazzante. Non potrei venire a un'ora più decente?"- Abbiamo giudicato che è meglio nella notte. Proprio per ricompensar­

vi del disturbo paghiamo a voi, giovane e sconosciuto, un onorario che spetterebbe a ingegneri di grido. Comunque, se volete rinunciare, siete an­cora in tempo per farlo.

"Io pensai alle cinquanta ghinee e a quanto mi sarebbero state utili. -No, no - dissi - sarò ben felice di aderire ai vostri desideri. Tuttavia mi piace­rebbe capire un po' più chiaramente cosa dovrei fare.

"- Certamente. È più che naturale che l'impegno di segretezza vi abbia solleticato la curiosità. Non desidero affidarvi l'incarico se non dopo avervi informato di tutto. Siamo assolutamente sicuri che nessuno origli?

"- Sì."- Dunque, la faccenda sta così. Sapete probabilmente che l'argilla smet­

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tica è un prodotto pregiato e che si trova soltanto in un posto o due in In­ghilterra.

"- L'ho sentito dire."- Qualche tempo fa comprai un terreno, un piccolo lotto, a circa sedici

chilometri da Reading. Fui fortunato quando scoprii che in un campo c'era un giacimento di argilla smettica. Però, esaminandolo, mi accorsi che era modesto in confronto ai giacimenti a destra e a sinistra, nei terreni dei vici­ni. Quella brava gente non sapeva di avere un bene paragonabile a una mi­niera d'oro. Era mio interesse rilevare le loro terre prima che ne scoprissero il valore, ma purtroppo non avevo il capitale. Misi alcuni amici a parte del segreto e furono loro a suggerirmi di sfruttare alla chetichella il nostro pic­colo giacimento, per mettere insieme il denaro necessario a rilevare i campi dei vicini. Lo stiamo facendo da un po' di tempo e per facilitare le opera­zioni abbiamo installato una pressa idraulica. Come ho detto, la macchina si è guastata e noi desideriamo il vostro parere al riguardo. Custodiamo ge­losamente il nostro segreto e se si venisse a sapere che un ingegnere idrau­lico è venuto da noi, vi sarebbero domande e indagini, e una volta scoperta la cosa, possiamo dire addio ai nostri progetti di espansione. Ecco perché vi ho fatto promettere di non dire ad anima viva che stasera venite a Ey­ford. Ho reso tutto in modo chiaro?

"- Ho capito benissimo - risposi. - L'unico punto che non comprendo bene è a che cosa vi serve una pressa idraulica per scavare argilla smettica che dovrebbe essere estratta come si fa per una cava di ghiaia.

"- Ah! - esclamò lui con noncuranza - noi abbiamo il nostro procedi­mento. Comprimiamo l'argilla in pani, in maniera da trasportarli senza che diano nell'occhio. Ma questo è un semplice dettaglio. Ora vi ho confidato tutto, signor Hatherley, e vi ho dimostrato quanta speranza ripongo in voi. Si alzò mentre parlava. 'Vi aspetterò a Eyford alle 23.15.

"- Ci sarò."- E non una parola a nessuno. - Mi elargì un'ultima occhiata penetrante

e poi, dopo avermi stretto la mano con la sua fredda, e umidiccia, si affrettò a uscire.

"Beh, dopo, riflettendoci a mente fredda, fui molto stupito, come potete pensare, di avere ricevuto questo incarico inatteso. Da una parte ero con­tento perché il compenso era dieci volte superiore a quello che avrei chie­sto per le mie prestazioni, e non si poteva escludere che quel lavoro me ne portasse altri. Tuttavia la faccia e i modi del cliente mi avevano fatto una brutta impressione e non mi convinceva la spiegazione che, per via dell'ar­

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gilla smettica, dovessi andare là a mezzanotte, senza contare la sua eccessi­va ansietà che lo dicessi a qualcuno. Ma mandai al diavolo le paure, cenai con appetito, andai a Paddington e presi il treno, seguendo a puntino le istruzioni e il silenzio.

"A Reading dovetti cambiare non solo il treno, ma anche la stazione. Comunque ce la feci a salire sull'ultimo diretto a Eyford, dove, poco dopo le undici, arrivai in una stazioncina scarsamente illuminata. Ero l'unico passeggero sceso là e sul marciapiede di stazione non vidi nessuno, a parte un facchino assonnato con una lanterna. Ma quando superai il cancelletto pedonale, vidi il mio cliente aspettarmi nell'ombra sul marciapiede di fron­te. Mi afferrò per il braccio senza parlare e mi spinse dentro la carrozza che aveva già lo sportello aperto. Chiuse i vetri laterali, batté sul divisorio di legno e partimmo velocemente, per quanto lo consentiva il cavallo."

- Un solo cavallo? - intervenne Holmes.- Sì, solo uno.- Avete osservato il colore?- Sì, l'ho visto mentre salivo in carrozza e i lumi laterali lo illuminavano.

Era un sauro.- Appariva stanco o no? - chiese Holmes.- Oh, era riposato e lucido.- Grazie. Scusate se vi ho interrotto. Prego, continuate il vostro interes­

santissimo racconto.- Dunque partimmo e viaggiammo per almeno un'ora. Il colonnello Ly­

sander Stark aveva detto che erano soltanto undici chilometri, ma, dalla ve­locità della carrozza e dal tempo che impiegammo, direi che fossero alme­no venti. Lui stette silenzioso per tutto il tragitto e mi accorsi, più di una volta, che mi osservava con grande intensità. Le strade di campagna pare­vano alquanto dissestate, e andammo avanti tra sobbalzi e scossoni. Tentai di guardare fuori per avere un'idea del posto, ma i vetri erano smerigliati e al massimo vedevo il confuso chiarore di un lampione di tanto in tanto. Az­zardai qualche osservazione per interrompere la monotonia del viaggio, ma il colonnello mi rispose a monosillabi e la conversazione languì. A un certo punto il selciato sconnesso si tramutò in strada ghiaiosa e la carrozza si fer­mò. Il colonnello Lysander Stark saltò a terra e appena fui sceso anch'io, mi tirò velocemente in una veranda che avevamo proprio di fronte. Come dire che passammo dalla vettura al vestibolo, tanto è vero che non ebbi modo di vedere, sia pure di sfuggita, la facciata della casa. Appena varcai la soglia, la porta si richiuse con un colpo, e udii il cigolio delle ruote della

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carrozza che ripartiva. Dopo vi fu silenzio assoluto."In casa era buio pesto e il colonnello cercò a tasto dei fiammiferi, bor­

bottando. Improvvisamente una porta si aprì in fondo al corridoio, e una lunga striscia di luce si proiettò nella nostra direzione. La luce aumentò e apparve una donna con un lume in mano che teneva al di sopra della sua te­sta, mentre aguzzava la vista per vedere chi fosse arrivato. Notai che era graziosa e che portava un vestito costoso ed elegante. Disse poche parole in una lingua straniera con un tono che pareva una domanda; il mio compa­gno rispose con un brusco monosillabo che la spaventò. Per poco non la­sciò cadere il lume. Il colonnello Stark si avvicinò alla donna, le bisbigliò qualcosa all'orecchio e poi, spingendola indietro perché rientrasse nella stanza da cui era venuta, ritornò da me con il lume in mano.

"- Volete avere la cortesia di aspettare qui pochi minuti? - mi disse, aprendo un'altra porta. La stanza dove entrai era arredata in maniera sem­plice, con al centro un tavolo rotondo sul quale erano sparsi diversi libri te­deschi. Il colonnello depose il lume sull'armonium, vicino alla porta. - È questione di un attimo - fece e svanì nel buio.

"Diedi un'occhiata ai libri e, nonostante la mia ignoranza di tedesco, ca­pii che almeno due erano trattati scientifici, altri contenevano poesie. Poi andai alla finestra sperando di vedere qualcosa del paesaggio campestre, ma le imposte di quercia me ne impedirono la vista. La casa era prodigio­samente silenziosa. Un vecchio orologio scandiva il tempo nel corridoio, ma per il resto c'era una quiete totale. Un vago senso d'inquietudine comin­ciò a insinuarsi in me. Chi erano questi tedeschi, e come mai abitavano in quello strano luogo isolato? E che luogo era, esattamente? Distava forse venti chilometri da Eyford, questo era tutto quello che potevo calcolare, ma in quale direzione si trovava? Nord, sud, est, ovest? Nel raggio di venti chi­lometri poteva trovarsi Reading e altre cittadine, e forse la casa non era tanto isolata. Ma il silenzio assoluto confermava che eravamo in campa­gna. Passeggiai su e giù per la stanza, canticchiando sommessamente per farmi coraggio, convinto che mi stavo guadagnando le cinquanta ghinee.

"Improvvisamente, senza alcun rumore, la porta fu aperta. La donna si fermò sulla soglia, il suo viso illuminato dalla luce gialla nella stanza. Era un viso bello e ansioso, pieno di paura, e mi sentii il gelo scendere fino al cuore. Sollevò un dito tremante per avvisarmi di stare zitto, e mi lanciò po­che parole sussurrate in un inglese stentato, guardandosi spesso alle spalle.

"- Io me ne andrei - disse, sforzandosi, così mi parve, di parlare con cal­ma. - Me ne andrei. Non resterei qui. Non è un bene per voi restare.

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"- Ma, signora - protestai - non ho ancora fatto quello per cui sono venu­to. Non posso andarmene senza avere visto la macchina.

"- Non vi conviene aspettare - proseguì lei. - Potete uscire dalla porta; nessuno vi ostacola. - E poi, vedendo che io sorridevo e scuotevo il capo, prese coraggio e fece un passo avanti congiungendo le mani. - Per l'amor del cielo! - sussurrò, - andatevene prima che sia troppo tardi!

"Io sono un po' testardo di natura e più ci sono ostacoli più mi impegno volentieri in un affare. Pensai alle cinquanta ghinee, a quel faticoso viag­gio, e alla sgradevole notte che mi si presentava. Dovevo mandare tutto al diavolo? Perché avrei dovuto svignarmela rinunciando all'incarico, e all'al­lettante pagamento dovutomi? Quella donna, per quanto ne sapevo, poteva essere una maniaca. Con risolutezza, benché il suo modo di fare mi avesse scosso più di quanto volessi confessare, negai di nuovo con il capo e di­chiarai la mia intenzione di rimanere dov'ero. Lei stava per rinnovare le suppliche quando al piano di sopra una porta sbatté e si udirono numerosi passi sulle scale. La donna ascoltò per un istante, levò le braccia in alto in gesto disperato, e si dileguò veloce e silenziosa come era venuta.

"Apparve il colonnello Stark e un uomo tarchiato e robusto, con una barbetta lanuginosa sul doppio mento, che mi fu presentato come signor Ferguson.

"- Questo è il mio segretario e amministratore - disse il colonnello. - A proposito, mi pareva di avere lasciato la porta chiusa qui. Temo che abbiate sentito corrente.

"- Al contrario - risposi - ho aperto io la porta perché nella stanza man­cava un po' l'aria.

"- Mi lanciò uno di quei suoi sguardi sospettosi. - Sarà meglio occuparci di affari, dunque - disse. - Venite, vi conduciamo alla macchina.

"- Forse è meglio che mi rimetta il cappello."- Oh, no, restiamo in casa."- Cosa? Scavate l'argilla smettica in casa?"- No, no. Qui la pressiamo. Ma non vi preoccupate di questo. Noi desi­

deriamo soltanto che esaminiate la macchina e ci diciate qual è il problema."Salimmo tutti di sopra, il colonnello in testa con il lume, poi il grasso

amministratore e io da ultimo. Quella vecchia casa era un labirinto, con corridoi, passaggi, strette scale a chiocciola, porticine le cui soglie erano state consumate dal viavai di generazioni. Non vi erano tappeti, né mobili di alcun genere al primo piano, e l'intonaco si stava scrostando dalle pareti; l'umidità filtrava formando chiazze verdastre. Tentai di apparire indifferen­

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te, ma non avevo scordato gli avvertimenti della signora, e pur respingen­doli, tenevo d'occhio i miei due compagni. Ferguson sembrava un tipo poco socievole, taciturno, ma dal poco che disse capii quantomeno che era un campagnolo.

"Il colonnello Stark si fermò davanti a una porticina che aprì con la chiave. Vidi una stanzetta quadrata che poteva appena contenerci tutti. Fer­guson rimase fuori e il colonnello mi fece entrare.

"- Ecco - disse - ora siamo all'interno della pressa idraulica, e sarebbe molto spiacevole per noi se qualcuno la mettesse in funzione. Il soffitto è in realtà la base del pistone discendente, e quando si abbassa esercita una forza di molte tonnellate su questo pavimento di metallo. Sui lati esterni vi sono piccole colonne di acqua che ricevono la spinta, la trasmettono e la moltiplicano secondo un principio che voi conoscerete bene. La macchina va, ma c'è una certa difficoltà nel funzionamento e ha perso un po' della sua potenza. Volete avere la bontà di controllare e di mostrarci come pos­siamo aggiustarla?

"Presi il lume dalle sue mani ed esaminai la macchina con molta atten­zione. Era gigantesca, e capace di esercitare una pressione enorme. Quando passai all'esterno e spinsi le leve che la controllavano, capii subito, dal fru­scio sibilante, che una lieve perdita provocava la fuoriuscita di acqua da uno dei tubi laterali. Esaminando meglio, vidi che una delle guarnizioni di gomma attorno alla testa di un albero motore era consumata e non copriva più bene la cavità nella quale si muoveva. Era quella la causa di perdita di potenza, e lo indicai ai miei compagni, i quali seguirono attentamente le mie osservazioni e chiesero diversi particolari su come provvedere a ripa­rarla. Quando ebbi chiarito la cosa, tornai nella parte centrale della macchi­na e le diedi una buona occhiata per soddisfare la mia curiosità. Balzava subito agli occhi che la storiella dell'argilla smettica era pura invenzione, perché sarebbe stato assurdo supporre che una macchina tanto potente fos­se utilizzata per uno scopo così inadeguato. Le pareti erano di legno, ma la base era formata da un'ampia tinozza di ferro, e quando andai a esaminarla vidi un'incrostazione di metallo che vi si era depositata. Mi ero curvato e stavo grattando quello strato quando sentii una sommessa esclamazione in tedesco e vidi la faccia cadaverica del colonnello guardarmi dall'alto.

"- Cosa state facendo là? - chiese."Mi montò la rabbia per essere stato preso in giro con una storia così

elaborata come quella che mi aveva propinato. - Stavo ammirando la vostra argilla smettica - dissi - penso che potrei darvi migliori consigli sulla vostra

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macchina se sapessi per quale scopo esattamente viene usata."Appena pronunciai quelle parole, me ne pentii. La sua faccia s'indurì e

nei suoi occhi grigi comparve una luce sinistra."- Benissimo - fece - saprete tutto della macchina. - Arretrò di un passo,

uscì sbatacchiando la porta e la chiuse a chiave. Mi precipitai là, tirai la maniglia, diedi calci e strattoni, ma non ci fu nulla da fare.

- Ehi! - gridai. - Ehi! Colonnello! Fatemi uscire!"Poi improvvisamente, nel silenzio, sentii un rumore che mi fece saltare

il cuore in gola. Era il rumore delle leve e il fischio del tubo che perdeva. Aveva messo in funzione la macchina. Il lume era ancora nella tinozza dove lo avevo posato. Grazie a quella luce vidi il soffitto nero che stava ab­bassandosi su di me, lentamente, con moto traballante ma, come io ben sa­pevo, con una forza che in un minuto mi avrebbe ridotto a una poltiglia ir­riconoscibile. Mi lanciai contro la porta, gridando, e tirai con le unghie la serratura. Implorai il colonnello di farmi uscire, ma l'implacabile fracasso delle leve smorzò le mie urla. Il soffitto era a circa mezzo metro sopra la mia testa e, levata la mano, ne tastai la superficie ruvida e dura. Poi mi ba­lenò il pensiero che il dolore della morte sarebbe dipeso molto dalla mia posizione. Se ero disteso bocconi, il peso mi avrebbe colpito la spina dor­sale, e rabbrividii all'idea. Forse sarebbe stato più facile stando supino, ma avevo la forza di distendermi e guardare quella mortale ombra nera che scendeva su di me? Ormai non potevo stare più in posizione eretta, ma pro­prio allora il mio occhio colse qualcosa che mi ridiede speranza.

"Ho detto che, mentre pavimento e soffitto erano di ferro, le pareti erano fatte di legno. Dando un'occhiata attorno, vidi un filo di luce gialla filtrare tra un'asse e l'altra, la fessura si allargò, si allargò, e capii che un piccolo pannello si stava aprendo. Lì per lì non potei credere che mi si presentasse una via di scampo alla morte. Ma fui velocissimo a lanciarmi verso quella apertura e caddi mezzo svenuto dall'altra parte. Il pannello si era richiuso alle mie spalle, ma il frantumarsi del lume schiacciato dal pistone e il for­tissimo urto delle due superfici metalliche mi dissero che ero scampato per il rotto della cuffia.

"Mi riscossi sentendomi afferrare al polso, e notai che ero sul pavimento di pietra di un angusto corridoio, mentre una donna stava curva su di me e mi tirava con la mano sinistra, tenendo una candela nella destra. Era la stessa buona amica i cui avvertimenti avevo così stupidamente respinto.

"- Venite! Venite! - ansimò. - Saranno qui a momenti. Vedranno che non siete là. Oh, non perdete tempo, venite!

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"Questa volta almeno non ignorai il suo consiglio. Mi tirai in piedi a fa­tica e corsi con lei lungo il corridoio e per una scala a chiocciola. Poi rag­giungemmo un corridoio più largo e fu allora che sentimmo passi e grida di due persone, una che rispondeva all'altra dal piano in cui eravamo e da quello di sotto. La mia guida si fermò e il suo sguardo smarrito indicò che non sapeva più a che santo votarsi. Poi aprì una porta che immetteva in una camera da letto, bene illuminata dalla luna.

"- Avete solo questa possibilità - disse. - La finestra non è troppo alta, forse ce la farete a saltare.

"Mentre parlava, una luce apparve in fondo al corridoio e vidi la scarna figura del colonnello Lysander Stark avanzare di corsa con una lanterna in una mano e un'arma, una specie di mannaia, nell'altra. Mi precipitai nella stanza, aprii la finestra, guardai fuori. Come era fresco e quieto il giardino nel chiaro di luna, e in fondo non dovevano essere più di nove metri. Saltai sul davanzale, ma esitai a buttarmi perché volevo vedere come sarebbero andate le cose tra la mia salvatrice e il farabutto che m'inseguiva. Se lei fosse stata maltrattata, sarei tornato indietro ad aiutarla, a qualunque ri­schio. Il pensiero mi era appena balenato nella mente quando l'uomo com­parve alla porta, diede uno spintone alla donna per passare, ma lei lo ab­bracciò per trattenerlo

"- Fritz! Fritz! - gridò in inglese - Ricordati della promessa, dopo l'ulti­ma volta. Dicesti che non si sarebbe ripetuto. Lui tacerà! Oh, tacerà!

"- Sei pazza, Elise! - gridò l'uomo, divincolandosi per liberarsi di lei -Tu sarai la nostra rovina. Quello ha visto troppo. Lasciami passare! - La spinse violentemente di lato e, correndo alla finestra, mi aggredì con la sua arma. Io stavo penzoloni fuori della finestra e mi reggevo al davanzale con le mani quando mi arrivò il colpo. Ebbi la percezione di un dolore sordo, per­si le forze e caddi nel giardino sottostante.

"Ero scosso, ma non mi ero fatto male nella caduta; mi alzai e corsi a nascondermi nella macchia perché sapevo di non essere ancora in salvo. Ma mentre correvo, improvvisamente fui colto da vertigini e da un terribile malessere. Mi guardai la mano che mi doleva parecchio e solo allora vidi che non avevo più il pollice e che il sangue sgorgava dalla ferita. Vi avvolsi il fazzoletto, ma cominciai a sentire un ronzio alle orecchie, e un istante dopo svenni nel roseto.

"Non so dire per quanto rimasi svenuto. Forse a lungo, perché la luna era scomparsa e cominciava il giorno quando ripresi i sensi. Avevo gli abiti inzuppati di rugiada e la manica della giacca era bagnata del mio sangue. Il

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dolore acuto mi fece ricordare all'istante tutti i particolari della mia avven­tura notturna, e scattai in piedi con la sensazione di non essere affatto al si­curo. Ma con mia sorpresa, guardandomi attorno, non vidi né casa né giar­dino. Ero a un angolo della siepe vicina alla strada e poco distante c'era un edificio che, quando poi mi mossi e mi avvicinai, si rivelò la stazione fer­roviaria di Eyford. Se non fosse stato per la terribile ferita alla mano, tutto quanto era avvenuto nella notte poteva apparirmi un brutto sogno.

"Mezzo intontito com'ero entrai in stazione e m'informai sulla prima partenza. C'era un treno per Reading fra meno di un'ora. Trovai lo stesso facchino della sera prima. Gli chiesi se aveva sentito parlare del colonnello Lysander Stark. Non conosceva quel nome. Aveva per caso notato una car­rozza che la sera prima mi aspettava? No, non l'aveva notata. C'era un po­sto di polizia nelle vicinanze? Ce n'era uno a circa cinque chilometri da lì.

"Troppo lontano per me, nelle condizioni in cui ero. Così ho deciso di tornare a Londra e raccontare la mia storia alla polizia locale. Sono arrivato poco dopo le sei, e per prima cosa mi sono fatto medicare la ferita; il dotto­re è stato tanto gentile da accompagnarmi qui. Rimetto il caso nelle vostre mani e farò esattamente quello che mi consigliate."

Rimanemmo in silenzio dopo avere ascoltato quella vicenda straordina­ria. Poi Sherlock Holmes prese dallo scaffale uno dei suoi voluminosi in­serti nei quali raccoglieva ritagli di giornali.

- Qui c'è un annuncio che vi interesserà - disse. - Fu pubblicato da tutti i giornali circa un anno fa. Sentite:

Scomparso il 9 corrente il signor Jeremiah Hayling di ventisei anni, in­gegnere idraulico. Ha lasciato il suo alloggio la sera alle dieci e non è più tornato. Era vestito con... eccetera, eccetera. Ah! Quella, immagino, è stata l'ultima volta che il colonnello ebbe bisogno di far revisionare la sua mac­china.

- Santo cielo! - esclamò il mio paziente. - Questo spiega quanto ha detto la donna.

- Indubbiamente. È evidente che il colonnello è un uomo freddo e terri­bile, assolutamente deciso a non tollerare bastoni fra le ruote, come quei pirati che non lasciavano superstiti nella nave catturata. Bene, adesso ogni momento è prezioso, perciò se vi sentite andremo a Scotland Yard prima di partire per Eyford.

Circa tre ore dopo eravamo tutti sul treno che da Reading portava al pic­colo villaggio del Berkshire: Sherlock Holmes, l'ingegnere idraulico, l'i­spettore Bradstreet di Scotland Yard, un agente in borghese, e io. Bradstreet

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aveva dispiegato sul sedile una carta topografica militare della contea e con il compasso stava tracciando un cerchio avente per centro Eyford.

- Ecco fatto - disse. - Questo cerchio rappresenta un raggio di venti chi­lometri dal villaggio. Il posto dev'essere più o meno entro questa zona. Voi avete detto che quella era la distanza, non è vero?

- Abbiamo viaggiato per un'ora con buona andatura.- E pensate che vi abbiano riportato indietro mentre eravate svenuto?- Dev'essere stato così. Ho una vaga sensazione che mi abbiano solleva­

to e trasportato da qualche parte.- Quello che non comprendo - osservai - è perché avrebbero dovuto ri­

sparmiarvi dopo avervi trovato svenuto in giardino. Forse il mascalzone si è lasciato intenerire dalle suppliche della donna.

- Poco probabile. Non ho mai visto una faccia più inesorabile in vita mia.

- Oh, chiariremo tutto presto - disse Bradstreet. - Ecco, ho disegnato il cerchio e vorrei sapere in quale punto possiamo trovare la gente che stiamo cercando. L'area è alquanto vasta.

- Io penso di poter mettere il dito sul luogo - precisò Holmes.- Davvero?! - esclamò l'ispettore. - Avete già la vostra opinione. Bene,

vediamo chi è d'accordo con voi. Io dico a sud, perché la regione è più de­serta.

- E io a est - disse il mio paziente.- Io a ovest - obiettò l'agente in borghese. - Ci sono diversi villaggi tran­

quilli là.- E io sono per il nord - dissi - perché lì non ci sono colline e il nostro

amico dice che la carrozza non ha percorso tratti in salita.- Ebbene - esclamò l'ispettore ridendo - c'è un bell'assortimento di opi­

nioni. Ci siamo divisi i punti cardinali. E voi cosa scegliete?- Siete tutti in errore.- Tutti è impossibile.- Oh, sì. Ecco il mio punto. - Pose il dito al centro del cerchio. - Qui è

dove li troveremo.- E il viaggio di venti chilometri? - ansimò Hatherley.- Dieci a andare e dieci a tornare. Nulla di più semplice. Avete detto voi

stesso che il cavallo era riposato e lucido quando siete salito in carrozza. Com'era possibile se avesse fatto i venti chilometri su strade sconnesse?

- Un bello stratagemma davvero - osservò Bradstreet meditando. - Natu­ralmente non vi sono dubbi sulla natura di questa banda.

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- Assolutamente nessuno - disse Holmes. - Sono falsari su larga scala e hanno usato la macchina per formare il composto che sostituisce l'argento.

- Sappiamo da tempo della esistenza di un'abile banda - fece l'ispettore. - Hanno coniato mezze corone a migliaia. Le abbiamo scoperte persino a Reading, ma non oltre perché hanno coperto le loro tracce, dimostrando di essere delle vecchie volpi. Però adesso, grazie a questo caso fortunato, pen­so che li beccheremo.

L'ispettore si sbagliava perché quei criminali non erano destinati a cade­re nelle mani della giustizia. Quando giungemmo alla stazione di Eyford vedemmo una gigantesca colonna di fumo salire da dietro degli alberi non lontani e formare come un'immensa ala di struzzo sopra il villaggio.

- Una casa in fiamme? - chiese Bradstreet, mentre il treno ripartiva.- Sì, signore - rispose il capostazione.- Quando è iniziato?- Dicono durante la notte, ma le fiamme si sono diffuse e tutta la casa è

un rogo.- La casa di chi?- Del dottor Becher.- Ditemi - s'intromise l'ingegnere - il dottor Becher è tedesco, magrissi­

mo, con un lungo naso appuntito?Il capostazione rise giovialmente. - No, è inglese, e non c'è uomo della

zona che abbia un panciotto più elegante del suo. Ma ha un signore presso di lui, un paziente, dicono, che è straniero, e il suo aspetto suggerisce che del buon manzo del Berkshire non gli farebbe male.

Il capostazione non aveva ancora finito di parlare che noi ci precipitam­mo nella direzione dell'incendio. La strada percorsa era in lieve salita e in cima al pendio vedemmo un ampio edificio intonacato che sputava fuoco da ogni parte, mentre nel giardino antistante tre pompe antincendio tenta­vano di controllare le fiamme, ma invano.

- È questo! - gridò Hatherley con grande eccitazione. - Il viale ghiaioso, il roseto dove sono svenuto. La seconda finestra è quella da cui mi sono buttato.

- Bene - disse Holmes - almeno vi siete vendicato di loro. Non c'è dub­bio che sia stato il lume a olio, frantumandosi, che ha appiccato il fuoco alle pareti di legno, ma erano troppo eccitati nel darvi la caccia per notarlo. Ora, guardate bene in questa folla se vedete i vostri amici della scorsa not­te, quantunque temo che ormai abbiano preso il volo.

I timori di Holmes erano fondati perché da allora a oggi non si è più 182

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sentito parlare della bella donna, del losco e sinistro tedesco o del taciturno inglese. Quella mattina, di buon'ora, un contadino aveva visto un carro con sopra più persone e degli scatoloni che filava velocemente in direzione di Reading, ma lì ogni traccia dei fuggiaschi si perse, e neppure il genio di Holmes riuscì a scoprire il minimo indizio su dove fossero. I pompieri fu­rono molto impressionati dalle strane cose che avevano trovato all'interno, e ancor di più per la scoperta di un pollice umano, reciso di recente, sul da­vanzale di una finestra al secondo piano. Ma verso il tramonto i loro sforzi furono premiati, l'incendio fu spento. Non poterono impedire, tuttavia, il crollo del tetto, per cui il luogo si ridusse a un ammasso di rovine e, a parte dei cilindri contorti e dei tubi di ferro, non rimase traccia della macchina che era costata tanto cara al nostro disgraziato ingegnere. Notevoli depositi di nichel e stagno furono trovati in una rimessa adiacente, ma di monete neppure l'ombra. Questo spiega la presenza degli scatoloni sul carro.

Come il nostro ingegnere idraulico fosse stato trasportato dal giardino al luogo dove aveva ripreso i sensi sarebbe rimasto un mistero senza l'indizio di alcune impronte lasciate sul terreno molle che servirono a dare una spie­gazione. Dovevano averlo trasportato in due, una persona con i piedi molto piccoli e l'altra con dei veri piedoni. Probabilmente il taciturno inglese, meno temerario o meno criminale del compagno, aveva aiutato la donna a portare l'uomo svenuto lontano dal pericolo.

- Bene - commentò il nostro ingegnere tristemente, mentre prendevamo posto sul treno che ci riportava a Londra - è stato proprio un bell'affare per me! Ci ho rimesso un pollice e cinquanta ghinee, e cosa ho guadagnato?

- Esperienza - disse Holmes ridendo. - Indirettamente può esservi pre­ziosa, sapete; non avete che da tradurla in parole per guadagnarvi la fama di essere un eccellente compagno per il resto dei vostri giorni.

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L'avventura Del Nobile Scapolo(The Adventure of the Noble Bachelor)

Il matrimonio di Lord St. Simon e la sua curiosa fine hanno cessato or­mai di essere al centro dell'interesse in quegli esaltati circoli che lo sfortu­nato sposo frequenta. Nuovi scandali l'hanno eclissato e dettagli più pic­canti hanno messo in ombra questo dramma che risale ormai a quattro anni fa. Avendo però ragione di credere che al pubblico non siano stati rivelati i fatti nella loro completezza e poiché il mio amico Sherlock Holmes ha avu­to una parte importante per il chiarimento dell'intera vicenda, mi sembra che il resoconto delle sue memorie non potrebbe essere completo senza la descrizione di questo interessante episodio.

Qualche settimana prima che io mi sposassi, quando ancora abitavo con Holmes nella casa di Baker Street, tornando dalla passeggiata pomeridiana egli trovò una lettera sul tavolo. Io ero rimasto a casa tutto il giorno perché c'era un tempo piovoso e soffiava un forte vento autunnale e il proiettile che avevo nella gamba come ricordo della guerra afghana si faceva sentire con insistenza. Sprofondato in una poltrona, con le gambe accavallate una sull'altra, mi ero circondato di una pigna di giornali fino a quando, stanco delle notizie, avevo messo tutto da parte e mi ero concentrato sul mono­gramma riportato sulla busta, chiedendomi chi poteva essere il nobile cor­rispondente del mio amico.

- C'è qui una lettera molto affascinante - dissi, quando lui entrò. - Le let­tere di questa mattina erano, se non mi sbaglio, di un pescivendolo e di un cameriere.

- Sì, la mia corrispondenza ha di certo il pregio della varietà - rispose lui sorridendo - e le lettere della gente più umile sono di solito quelle più inte­ressanti. Questa sembra uno di quegli sgradevoli inviti nell'alta società che ti costringono o a mentire oppure ad annoiarti a morte.

Ruppe il sigillo e guardò il contenuto.- Sembrerebbe qualcosa di interessante, dopo tutto.- Non è un invito, allora?- No, è un problema di lavoro.- Di un nobile?- Uno dei più famosi nobili inglesi.- Mio caro, mi congratulo con voi.- Io vi posso assicurare, mio caro Watson, senza finzione, che lo stato

sociale del mio cliente non m'interessa. In ogni caso comunque, forse que­sta volta potrebbe esserci d'aiuto. Avete letto i giornali di recente?

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- Così sembra - dissi, indicando la pigna di giornali nell'angolo. - Non avevo altro da fare.

- Allora forse potrete aiutarmi; di recente infatti ho letto solo le notizie che riguardavano i crimini e gli annunci mortuari, che sono sempre istrutti­vi. Ma se avete letto con attenzione, saprete di certo di Lord St. Simon e del suo matrimonio.

- Oh, si, mi ha interessato molto.- Benissimo. La lettera che ho in mano è di Lord St. Simon. Io ve la leg­

gerò e poi voi riguarderete le pagine dei giornali per dirmi qualcosa di più riguardo questa faccenda. Dice così:

Caro signor HoImes,Lord Backwater mi ha riferito che posso fidarmi del vostro giudizio e

della vostra discrezione. Mi sono deciso a chiedere il vostro aiuto per un evento molto doloroso occorso in occasione delle mie nozze. Il signor Le­strade, di Scotland Yard, ha già in mano la faccenda, ma mi ha assicurato che non ha obiezioni da fare sul fatto che voi collaboriate e pensa che po­trete esserci di aiuto. Verrò alle quattro del pomeriggio e, se doveste avere un altro impegno. io vi imploro di posticiparlo perché il mio problema è estremamente grave.

Distinti saluti. ST. SIMON.- È stata scritta a Grosvenor Mansions con una penna a inchiostro e il

nostro nobile Lord ha avuto la sfortuna di avere una macchia d'inchiostro sulla parte esterna del mignolo destro - notò Holmes, richiudendo la lettera.

- Ha detto alle quattro. Ora sono le tre; sarà qui esattamente tra un'ora.- Allora ho appena il tempo di chiarire meglio la faccenda, con il vostro

aiuto. Prendete quelle carte e sistematele in ordine cronologico, mentre io cerco di capire chi sia il nostro cliente. - Prese un volume ricoperto in rosso da uno scaffale pieno di libri sopra il camino. - Eccolo - disse, dopo essersi seduto per consultare meglio il volume. - Lord Robert Walsingham de Vere St. Simon, secondogenito del Duca di Balmoral. Ubm! Lo stemma di fami­glia è azzurro e nero. È nato nel 1846. Quindi ha quarantuno anni, un'età matura per sposarsi. Era sottosegretario alle Colonie nell'ultima ammini­strazione. Il Duca, suo padre, era a quel tempo Segretario degli Affari Este­ri. Discendono in linea diretta dai Plantageneti e hanno anche del sangue Tudor nelle vene. Ma non c'è nulla di particolarmente istruttivo qui. Devo rivolgermi a voi, Watson, per delle informazioni più utili.

- Non ho avuto difficoltà a trovare quello che cercavo - dissi - perché i fatti sono abbastanza recenti e la notizia mi aveva molto colpito. Non ho

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voluto parlarvene perché sapevo che avevate un altro caso per le mani e che non desideravate occuparvi d'altro.

- Oh, parlate del piccolo problema di quel camion di mobili a Grosvenor Square. Ormai è tutto risolto anche se, naturalmente, era tutto chiaro fin dall'inizio. Raccontatemi, per favore, quello che dicono i giornali.

- Ecco la prima notizia che ho trovato. È una colonna del Morning Post e, come potete vedere, risale a qualche settimana fa:

È stato fissato, e pare avrà. luogo tra pochi giorni, il matrimonio tra Lord Robert St. Simon, secondogenito del Duca di Balmoral e la signorina Hatty Doran, unica figlia dell'egregio signor Aloysius Doran, di San Fran­cisco, California, U. S. A.

Ecco tutto.- Stringato e dritto al punto - commentò Holmes, allungando le sue lun­

ghe gambe magre verso il fuoco.- Su un giornale più frivolo della stessa settimana c'è un più ampio reso­

conto. Eccolo:Dovrebbe essere decisa una legge per proteggere il mercato dei matri­

moni perché il commercio attuale sembra sfavorire grandemente i nostri prodotti nazionali. Una dopo l'altra, le più nobili casate della Gran Breta­gna stanno passando sotto il controllo dei nostri cari cugini d'oltreoceano. In quest'ultima settimana si è aggiunto un altro nome importante alla lista di persone rapite da questi affascinanti invasori.

Lord St. Simon, che per vent'anni si era mostrato invulnerabile alle frecce dorate di Cupido, ha annunciato il suo prossimo matrimonio con la signorina Hatty Doran, l'affascinante figlia di un milionario californiano. La signorina Doran che, per la sua graziosa presenza e il suo volto affa­scinante aveva suscitato molta ammirazione ai festeggiamenti tenuti a Westbury House, è figlia unica e si dice che la sua dote sia già molto co­spicua e che abbia ottime prospettive di aumentare in futuro. Non è certo un segreto il fatto che il Duca di Balmoral sia stato costretto a vendere i suoi quadri negli ultimi anni e poiché Lord St. Simon non ha proprietà, a parte una piccola tenuta a Birchmoor, è ovvio che l'ereditiera californiana non sarà l'unica a guadagnare qualcosa da un matrimonio che, da signori­na repubblicana, la farà diventare una nobildonna inglese.

- C'è dell'altro? - chiese Holmes sbadigliando.- Oh sì, molto. C'è un altro piccolo articolo sul Morning Post che comu­

nica che il matrimonio sarebbe stato molto tranquillo e che la cerimonia si sarebbe svolta nella chiesa di St. George, a Hanover Square, che sarebbero

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stati invitati solo una mezza dozzina di amici intimi e che il ricevimento si sarebbe svolto nella casa di Lancaster Gate, affittata dal signor Aloysius Doran. Due giorni più tardi, cioè mercoledì scorso, è stato pubblicato un altro breve articolo che afferma che il matrimonio aveva avuto luogo e che gli sposi avrebbero trascorso la luna di miele nella tenuta di Lord Backwa­ter, vicino a Petersfield. Queste le notizie apparse prima della scomparsa della sposa.

- Prima di cosa? - esclamò Holmes con un balzo.- Prima della scomparsa della donna.- Quando è sparita?- Durante il ricevimento di nozze.- Davvero? È molto più interessante del previsto e anche molto dram­

matico.- Sì, mi ha colpito perché è fuori dal comune.- Spesso spariscono prima della cerimonia, qualche volta durante il

viaggio di nozze, ma non avevo mai sentito una cosa simile. Datemi i det­tagli, per favore.

- Vi anticipo che sono molto incompleti.- Forse ci saranno utili.- Ecco quello che riporta un articolo di un giornale di ieri; ve lo leggo ad

alta voce. Si intitola: Fatto Singolare a un Matrimonio Importante.La famiglia di Lord Robert St. Simon è stata gettata nella più cruda co­

sternazione in seguito agli strani e dolorosi avvenimenti riguardanti il suo matrimonio. La cerimonia, come era stato brevemente riportato nei gior­nali di ieri, aveva avuto luogo la mattina precedente, ma solo ora è stato possibile confermare le strane voci che circolavano con insistenza. Nono­stante gli sforzi degli amici per tenere segreta la cosa, ora è giusto che il pubblico sappia la verità, senza essere privato di un argomento di conver­sazione. La cerimonia, che ha avuto luogo nella chiesa di S. George, a Hannover Square, è stata molto discreta. Erano presenti solo il padre della sposa, il signor Aloysius Doran, la Duchessa di Balmoral, Lord Backwa­ter, Lord Eustace e Lady GIara St. Simon (il fratello più giovane e la sorel­la dello sposo), e infine Lady Alicia Whittington. Tutti gli invitati si sono poi recati a casa del signor Aloysius Doran, a Lancaster Gate, dove era stato preparato il rinfresco. Sembra che una donna, il cui nome non è stato reso noto, abbia causato dei problemi, cercando di entrare al ricevimento e dichiarando di avere dei legami con Lord St. Simon. Solo dopo una lun­ga e penosa scena è stata cacciata via dal maggiordomo e dal valletto. La

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sposa, che fortunatamente era entrata in casa prima che avesse luogo que­sta spiacevole interruzione, si era seduta con gli altri invitati quando, di­chiarando un'improvvisa indisposizione, si è ritirata in camera sua. Poi­ché la sua prolungata assenza aveva suscitato qualche commento, suo pa­dre l'ha raggiunta in camera, dove però una cameriera gli ha comunicato che la sposa era stata nella stanza solo un istante, il tempo di prendere un cappotto pesante, un cappello e di sparire nel corridoio. Uno dei camerie­ri ha dichiarato di aver visto una donna con un cappotto lasciare la casa, ma di non aver pensato che potesse essere la sua padrona, convinto che fosse con gli ospiti. Dopo aver accertato che la figlia era sparita, il signor Aloysius Doran, insieme allo sposo, si è messo in contatto con la polizia; è già iniziata un'accurata indagine che porterà probabilmente a una rapida soluzione del mistero. In ogni caso,fino alla notte scarsa, non si sono avute notizie della signora scomparsa. Si dice che la faccenda sia molto intrica­ta e che la polizia abbia arrestato la donna che aveva cercato di intrufo­larsi al ricevimento, convinta che, per gelosia o per altre ragioni, possa essere coinvolta nella strana sparizione della sposa.

- È tutto?- Solo un altro piccolo accenno in un giornale, ma è molto suggestivo.- Cioè...?- La signorina Flora Millar, la donna che ha creato dei problemi al rice­

vimento, è stata arrestata davvero. Sembra che sia stata una ballerina di Al­legro e che conosca lo sposo da diversi anni. Non ci sono altri particolari e l'intero caso è ora nelle vostre mani, come già riporta la stampa.

- E sembrerebbe proprio un caso molto interessante; non me lo sarei la­sciato sfuggire per nulla al mondo. Suonano alla porta, Watson, e l'orologio segna qualche minuto dopo le quattro; non dubito che sia il nostro nobile cliente. Non sognatevi di andarvene, Watson, perché desidero avere un te­stimone, se non altro per controllare la mia memoria.

- Lord Robert St. Simon - annunciò il nostro paggio aprendo la porta. Entrò un gentiluomo con un volto nobile e intelligente, anche se pallido; aveva il naso all'insù e qualcosa di petulante intorno alla bocca; gli occhi erano quelli di un uomo che aveva sempre avuto la fortuna di comandare e di essere obbedito. Il suo modo di fare era un po' brusco e tuttavia, in gene­rale, dava l'impressione di essere più anziano della sua età, perché cammi­nava leggermente curvo. Si tolse l'elegante cappello, mostrando i capelli, brizzolati alle tempie, e radi. Il suo vestito era elegante, ai limiti della fri­volezza, con il collo alto, la giacca nera, la fascia bianca, i guanti gialli, le

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scarpe di cuoio e le ghette colorate. Avanzò con passo lento, voltandosi a destra e a sinistra, giocherellando con la cordicella legata ai suoi occhiali.

- Buongiorno, Lord St. Simon - disse Holmes, alzandosi e facendo un inchino. - Vi prego di accomodarvi. Questo è il mio amico e collega, il dot­tor Watson. Avvicinatevi al camino, mentre chiariamo la faccenda.

- Una faccenda molto dolorosa per me, come potete immaginare, signor Holmes. Sarò breve. So che vi siete già occupato di molti casi delicati, an­che se non credo in una classe sociale elevata come la mia.

- No infatti; sono in discesa.- Scusate?- Il mio ultimo cliente era un re.- Davvero? Non ne avevo idea. Re di cosa?- Il re di Scandinavia.- Cosa! Aveva perduto anch'egli la moglie?- Voi capirete - rispose Holmes con voce soave - che io devo trattare il

caso del mio ultimo cliente con la stessa segretezza con la quale tratto il vostro.

- Naturalmente! Molto giusto, molto giusto! Vi chiedo scusa. Per quello che riguarda il mio caso, sono pronto a darvi tutte le informazioni che vi possono aiutare a farvi un'idea del problema.

- Grazie. Per ora io so solo quello che è stato riportato sulla stampa. Suppongo di poter ritenere valide queste informazioni, per esempio, quelle che riguardano la sparizione della sposa.

Lord St. Simon lanciò un'occhiata al giornale. - Sì, è tutto vero.- Ma è necessario avere molti più dettagli, prima di farsi un'opinione.

Credo di poter arrivare ai fatti concreti, facendovi delle domande.- Vi prego di farlo.- Dove avete conosciuto la signorina Hatty Doran?- A San Francisco, un anno fa.- Stavate viaggiando per gli Stati Uniti?- Sì.- Vi siete fidanzati là?- No.- Ma eravate comunque in buoni rapporti?- Io stavo bene in sua compagnia e lei lo sapeva.- Suo padre è molto ricco?- Si dice che sia l'uomo più ricco della costa del Pacifico.- Come ha guadagnato tutti questi soldi?

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- Con le miniere. Solo pochi anni fa non aveva niente. Poi ha scoperto l'oro, l'ha investito e i soldi sono arrivati in abbondanza.

- Ora, cosa potete dirmi del carattere della signorina, anzi, di vostra mo­glie?

Il gentiluomo si tolse gli occhiali e fissò il fuoco del camino.- Vedete signor HoImes - disse - mia moglie ha compiuto vent'anni pri­

ma che suo padre diventasse ricco. Ha trascorso la sua giovinezza vaga­bondando tra le miniere, tra boschi e montagne e così 1a sua educazione l'ha ricevuta dalla Natura piuttosto che da una scuola. È una di quelle don­ne che in Inghilterra chiamiamo "maschiaccio", con un carattere forte, libe­ra e selvaggia, non vincolata da alcun tipo di tradizione. È impetuosa, po­trei dire vulcanica. Si forma subito un'opinione e non ha paura di portare avanti le sue decisioni. D'altra parte, io non le avrei dato il nobile nome che porto - a questo punto tossì brevemente - se non fossi stato certo che in lei c'è una vera nobildonna. Credo che sia capace di sacrifici eroici e che sia disgustata da qualsiasi aspetto disonorevole della vita.

- Avete una sua fotografia?- Porto questa con me. - Ci porse un medaglione che conteneva il primo

piano di una donna molto bella. Non era una fotografia, ma una miniatura in avorio; l'artista aveva reso in modo egregio il volume dei lunghi capelli neri, l'ampiezza degli occhi scuri e la perfezione della bocca. Holmes la guardò a lungo e con attenzione. Poi chiuse il medaglione e lo restituì a Lord St. Simon.

- La signorina venne a Londra, dove vi siete poi ritrovati?- Sì, suo padre l'ha accompagnata a Londra. Io l'ho incontrata spesso; in

seguito ci siamo fidanzati e ora ci siamo sposati.- Mi sembra che la signorina le abbia portato una dote considerevole.- Una buona dote, ma normale per la mia famiglia.- E questa dote rimane a voi, visto che il matrimonio è stato celebrato?- A dire la verità non ho chiesto spiegazioni a questo riguardo.- Ma certo. Avevate visto la signorina Doran il giorno prima delle noz­

ze?- Sì.- Era di buon umore?- Non l'avevo mai vista più allegra. Ha continuato a parlare dei nostri

progetti per il futuro.- Davvero? Molto interessante! E la mattina del matrimonio?- Era di ottimo umore, almeno fino a dopo la cerimonia.

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- Avete visto un cambiamento in lei?- Ecco, a dire la verità, ho notato che cominciava a dare segni del suo

carattere forte. Ma l'incidente è troppo banale per avere qualche relazione con il caso.

- Parlatecene ugualmente, per favore.- Oh, è davvero una sciocchezza. Mentre attraversava la navata della

chiesa, le è caduto il bouquet. Era davanti al primo banco e i fiori sono ca­duti proprio in quel punto. Si è fermata un attimo e l'uomo seduto in quel banco ha raccolto il bouquet e gliel'ha restituito, senza che i fiori avessero subito dei danni. Eppure, quando le ho accennato l'accaduto, mi ha risposto bruscamente e mentre tornavamo a casa in carrozza, mi è sembrata assur­damente agitata per quella sciocchezza.

- Davvero! Avete detto che c'era un uomo seduto al banco. Non era uno degli invitati, vero?

- Oh no; è impossibile evitare che entri gente, visto che la chiesa è aper­ta.

- Questo gentiluomo non era un amico di vostra moglie?- No, no; l'ho chiamato gentiluomo per cortesia, ma in effetti era una

persona molto comune. Non mi ero nemmeno accorto che fosse entrato. Ma credo che ci stiamo allontanando dal problema.

- Lady St. Simon, dunque, è tornata dalla cerimonia nuziale di umore meno allegro rispetto alla mattina. Cosa ha fatto quando è tornata nella casa di suo padre?

- Ho visto che parlava con la sua cameriera.- Chi è la sua cameriera?- Si chiama Alice. È americana ed è venuta con lei dalla California.- Una cameriera di fiducia?- Anche troppo. A me sembrava che la sua padrona le lasciasse un'ecces­

siva libertà. Ma forse in America la pensano diversamente a proposito di queste cose.

- Per quanto tempo ha parlato con questa Alice?- Oh, per pochi minuti; io comunque avevo altro da fare.- Non avete sentito quello che si dicevano?- Lady St. Simon ha detto qualcosa come "usurpare i diritti di qualcosa

che appartiene a qualcun altro". Era abituata a usare espressioni di questo genere. Non ho idea di che cosa significhi.

- L'americano è molto espressivo a volte. Poi cosa ha fatto vostra mo­glie, dopo aver parlato con la cameriera?

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- È andata nella sala del rinfresco.- Al vostro braccio?- No, da sola. Era molto indipendente per questo genere di cose. Poi,

dopo essere rimasta seduta per dieci minuti, si è alzata all'improvviso, ha pronunciato qualche parola di scusa e si è ritirata in camera sua. Non è più tornata.

- Ma questa cameriera, Alice, da quello che ho capito, ha detto che la si­gnora è entrata in camera, si è messa un cappotto pesante per coprire l'abito da sposa, si è infilata un cappello in testa e poi se ne è andata.

- Proprio così. Poi è stata vista camminare a Hyde Park con Flora Mil­lar, la donna che ora è stata arrestata e che aveva dato dei problemi a casa del signor Doran.

- Ah sì. Mi piacerebbe conoscere i particolari su questa giovane donna e sui vostri rapporti con lei.

Lord St. Simon si strinse nelle spalle, sollevando le sopracciglia.- Siamo stati amici per diversi anni... potrei dire intimi amici. Lavorava

da Allegro. Non l'ho trattata ingenerosamente e non ha motivo per lamen­tarsi di me, ma voi sapete come sono fatte le donne, signor Holmes. Flora era una ragazza deliziosa, ma troppo passionale e affezionata a me. Mi ha scritto delle lettere tremende quando ha saputo che stavo per sposarmi e, per dire la verità, ho voluto che la cerimonia si svolgesse solo tra pochi in­timi perché temevo che potesse fare uno scandalo in chiesa. Quando siamo tornati a casa del signor Doran, lei si è presentata alla porta, cercando di entrare, pronunciando frasi volgari a proposito di mia moglie, arrivando perfino a minacciarla. Io però, avendo previsto questa possibilità, avevo chiesto la presenza di due poliziotti in borghese che infatti l'hanno subito allontanata. Quando ha capito che era inutile fare una rissa, si è calmata.

- Vostra moglie ha assistito alla scena?- No, grazie a Dio.- Ma poi è stata vista camminare con questa donna?- Sì. Il signor Lestrade, di Scotland Yard, ha preso molto sul serio questo

particolare. Pensa che Flora abbia attirato mia moglie fuori di casa per ten­derle una trappola.

- In effetti è possibile.- Anche voi la pensate così?- Non lo ritengo molto probabile. Ma voi cosa ne pensate?- Io credo che Flora non farebbe male a una mosca.- Però la gelosia è un sentimento capace di trasformare le persone. Qual

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è la vostra teoria riguardo l'accaduto?- A dire la verità sono venuto per trovare una teoria e non per proporla.

Vi ho esposto tutti i fatti. Ma visto che me lo avete chiesto, vi dirò che mi è venuta in mente la possibilità che l'agitazione e la consapevolezza di aver fatto un enorme passo nella scala sociale abbiano causato a mia moglie qualche disturbo mentale.

- Cioè voi credete che abbia perso all'improvviso il controllo dei propri nervi?

- Ecco, quando penso che ha voltato le spalle, non solo a me, ma anche a tutto quello a cui molte aspirano senza successo, non riesco a trovare al­tre spiegazioni.

- Ecco, di certo si tratta di un'ipotesi possibile - disse Holmes sorriden­do. - Ora, Lord St. Simon, credo di avere tutti i dati che mi servono. Posso chiedervi se dal vostro posto sul tavolo del rinfresco voi potevate vedere la finestra?

- Riuscivo a vedere l'altra parte della strada e il parco.- Va bene, non credo di dovervi trattenere ancora a lungo. Mi manterrò

in contatto con voi.- Credete di riuscire a risolvere il problema? - chiese il nostro cliente al­

zandosi.- L'ho già risolto.- Come?- Ho detto che l'ho già risolto.- Allora dov'è mia moglie?- Questo è un dettaglio che potrò soddisfare con rapidità.Lord St. Simon scosse la testa. - Temo che la mia e la vostra testa non

bastino per questo mistero - disse e, inchinandosi pomposamente, se ne andò.

- È stato molto gentile da parte di Lord St. Simon onorare la mia testa, mettendola al pari con la sua - disse Sherlock Holmes ridendo. - Credo che berrò un whisky e soda e mi fumerò un sigaro dopo questo interrogatorio. Ero già arrivato a una conclusione prima ancora che il nostro cliente en­trasse da quella porta.

- Ma mio caro Holmes!- Ho affrontato molti casi simili a questo ma nessuno così scontato. L'in­

tero interrogatorio mi è servito solo per volgere l'ipotesi in certezza. Di cer­to una testimonianza circostanziale è molto utile e convincente.

- Ma io ho ascoltato tutto quello che avete ascoltato voi.193

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- Ma senza la conoscenza di casi preesistenti che invece mi sono stati di grande aiuto. È accaduto un fatto simile ad Aberdeen alcuni anni fa e anche a Monaco, l'anno seguente la fine della guerra Franco-Prussiana. Questo è uno di quei casi... ma ecco Lestrade! Buongiorno Lestrade! Troverete un bicchiere nella credenza e in quella scatola ci sono degli ottimi sigari.

L'ufficiale di polizia aveva una giacca verde e una cravatta che gli dava­no un aspetto decisamente nautico. In mano aveva una borsa nera. Dopo un rapido saluto si sedette e si accese il sigaro che gli era stato offerto.

- Cosa succede? - chiese Holmes con un bagliore negli occhi. - Sembra­te depresso.

- E lo sono. Si tratta di quell'infernale caso del matrimonio di Lord St. Simon. Non ci trovo né capo né coda.

- Davvero! Mi sorprendete.- Chi ha mai visto un affare così confuso? Tutte le tracce sembrano sci­

volarmi via dalle mani. Ho lavorato tutto il giorno.- Siete tutto bagnato - disse Holmes, appoggiando la mano sulla giubba

verde.- Si, ho dragato la Serpentine.- Perché mai, in nome del cielo?- Per cercare il corpo di Lady St. Simon.Sherlock Holmes si appoggiò allo schienale della poltrona, ridendo di

cuore.- Avete dragato anche la fontana di Trafalgar Square? - chiese.- Perché? Cosa intendete dire?- Perché avete le stesse probabilità di trovarci Lady St. Simon.Lestrade lanciò un'occhiata offesa al mio amico. - Suppongo che voi

sappiate già tutto? - disse, con una smorfia.- Ecco, ho appena sentito il resoconto dei fatti, ma la mia mente è già ar­

rivata a una conclusione.- Oh, davvero? Quindi voi credete che la Serpentine non abbia impor­

tanza nella vicenda?- Credo che sia molto improbabile.- Allora forse potrete spiegarmi come mai abbiamo trovato questi nel­

l'acqua della Serpentine? - Mentre parlava, aveva aperto la borsa, appog­giando sul pavimento un abito da sposa di seta, inzuppato d'acqua, un paio di scarpette, un velo e un'acconciatura da sposa, tutti scoloriti e bagnati. - E qui - continuò l’ispettore appoggiando un anello nuziale sopra tutta la pila di vestiti - c'è qualche problema per voi, signor Holmes.

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- Oh davvero? - chiese il mio amico, facendo dei cerchi con il fumo del sigaro. - Li avete trovati nella Serpentine?

- Il guardiano del parco li ha trovati che galleggiavano vicino alla riva. Li hanno identificati come i vestiti della donna scomparsa e a me sembra che se c'erano gli abiti, il corpo non può essere molto lontano.

- Da questo brillante ragionamento si deduce che una persona deve tro­varsi sempre vicino al suo guardaroba. E dove sperate di arrivare con que­sto?

- A ottenere le prove per implicare Flora Millar nella sparizione della donna.

- Temo che troverete delle difficoltà.- Ma davvero? - esclamò Lestrade con amarezza. - Temo, Holmes, che

voi non siate molto pratico con le vostre deduzioni e le vostre interferenze. Avete fatto due grossolani errori in pochi minuti. Questo vestito coinvolge senza dubbio Flora Millar.

- E come?- Nel vestito c'è una tasca. Nella tasca c'è una busta. Nella busta c'è un

biglietto. Eccolo. - Lo appoggiò sul tavolo di fronte a lui. - Ascoltate:"Ci incontreremo quando tutto sarà pronto. Vieni subito.F. H. M."Ora la mia teoria è che Lady St. Simon sia stata attirata fuori casa da

Flora Millar che, con dei soci, è la responsabile della sua sparizione. Qui, firmato con le iniziali, c'è il biglietto che, senza dubbio le è stato consegna­to in casa e che 1'ha portata nelle loro mani.

- Molto bene. Lestrade - disse Holmes ridendo. - Davvero molto brillan­te. Vediamo. - Prese il biglietto con lentezza ma subito dopo la sua atten­zione parve ridestarsi. Lanciò un grido di soddisfazione. - È davvero molto importante! - disse.

- Ah! Lo pensate anche voi?- Certo. Mi congratulo caldamente con voi.Lestrade si alzò con un'aria trionfante e guardò il biglietto. - Perché lo

state guardando dalla parte opposta? - esclamò.- Vi sbagliate, questa è la parte dritta.- La parte dritta? Voi siete matto! C'è una nota scritta in matita da quella

parte!- Sembrerebbe il frammento del conto di un albergo e questo! mi inte­

ressa molto.- Ma non significa nulla. Gli ho già dato un'occhiata - disse Lestrade

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leggendo ad alta voce:"4 Ottobre' camera: 8, colazione: 2, 6 totale; aperitivo: 1, pranzo: 2, 6

totale; un bicchiere di sherry: 8."Non ci vedo nulla di interessante.- Di interessante no, ma è lo stesso molto importante. Per quello che ri­

guarda il biglietto, anche il messaggio è molto importante, o almeno lo sono le iniziali. Mi congratulo di nuovo.

- Abbiamo perso abbastanza tempo - disse Lestrade alzandosi. - Io credo nel duro lavoro e non nella meditazione di strane teorie al caldo del cami­no. Buongiorno, signor Holmes e vedremo chi arriverà per primo in fondo alla faccenda. - Raccolse tutti gli indumenti, li chiuse nella borsa e si avviò verso la porta.

- Un'ultima cosa, Lestrade - disse Holmes prima che il suo rivale se ne andasse. - Vi dirò la vera soluzione del mistero: Lady St. Simon è un mito. Non è mai esistita.

Lestrade guardò il mio amico con aria sconsolata. Poi si voltò verso di me, si batté per tre volte il dito sulla tempia, scosse la testa con solennità e se ne andò.

Avevo appena chiuso la porta quando vidi che Holmes si infilava il cap­potto. - Quel tipo ha detto qualcosa a proposito di lavorare duramente fuori casa - disse - e così credo, Watson, che dovrò lasciarvi per un po' ai vostri giornali.

Erano le cinque quando Holmes se ne andò, ma non rimasi solo a lungo perché, circa un'ora dopo, arrivò un fattorino con una grossa confezione piatta. La aprì con l'aiuto del ragazzo che lo aveva accompagnato e, con mio grande stupore, vidi distendersi sul tavolo della nostra semplice abita­zione una cena epicurea. C'erano dei pezzi di beccaccia arrosto, un fagiano, una torta, pâté de foie gras e delle pregiate bottiglie antiche. Dopo aver si­stemato queste prelibatezze, i due uomini sparirono, come due geni delle Mille e Una Notte, senza dire una parola, a parte il fatto che la cena era già stata pagata.

Prima delle nove Sherlock Holmes entrò nella stanza con passo veloce. il suo volto era tirato, ma c'era una luce negli occhi che mi fece capire che le sue indagini non l'avevano deluso.

- Hanno già preparato la tavola - disse, strofinandosi le mani.- Sembra che aspettiamo ospiti. Hanno apparecchiato per cinque.- Sì, credo che avremo compagnia - disse. - Mi meraviglio che Lord St.

Simon non sia ancora arrivato. Ah! Mi sembra di sentire i suoi passi per le 196

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scale.In effetti il nostro visitatore del pomeriggio arrivò in tutta fretta, facendo

ondeggiare più che mai la catenella dei suoi occhiali; sul suo volto aristo­cratico si leggeva una forte tensione.

Il mio messaggio vi ha raggiunto allora? - chiese Holmes.- Sì e confesso che il contenuto mi ha molto meravigliato. Avete le pro­

ve per quello che dite?- Le migliori prove.Lord St. Simon si accasciò su una sedia, passandosi una mano sulla

fronte.- Cosa dirà il Duca - mormoro - quando saprà che un membro della fa­

miglia è stato sottoposto a una simile umiliazione?- È stato un incidente. Non direi che si possa parlare di umiliazione.- Ah, voi guardate queste cose da un altro punto di vista.- Non capisco chi si possa biasimare in un caso come questo. Non vedo

come la signorina avrebbe potuto comportarsi diversamente, anche se la sua impulsività è senza dubbio contestabile. Ma, non avendo una madre, non aveva nessuno con cui confidarsi in un simile momento di difficoltà.

- È un affronto, signore, un pubblico affronto - disse Lord St. Simon, battendo le dita sul tavolo.

- Dovete avere comprensione per quella povera ragazza, che si è trovata in una situazione così straordinaria.

- Non ho nessuna comprensione. Sono furioso e ritengo che si sia vergo­gnosamente abusato di me.

- Credo di aver sentito il campanello - disse Holmes. - Sì, ci sono dei passi sul pianerottolo. Se non sono riuscito a convincervi di voler conside­rare con comprensione l'intera faccenda, Lord St. Simon, ho fatto venire un avvocato che forse avrà più successo di me. - Aprì la porta per accogliere un uomo e una donna. - Lord St. Simon - disse - permettetemi di presentar­vi il signore e la signora Francis Hay Moulton. Credo che conosciate già la signora.

Alla vista dei nuovi venuti, il nostro ospite balzò in piedi e rimase in po­sizione eretta, con gli occhi abbassati e la mano infilata nella giacca: l'im­magine della dignità offesa. La signora gli si avvicinò piano, tendendogli una mano, ma lui rifiutò di alzare lo sguardo. Fu l'unico modo per mante­nersi fermo nelle proprie posizioni perché era impossibile resistere al volto implorante di lei.

- Sei furioso Robert - disse lei - e credo che tu abbia tutte le ragioni per 197

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esserlo.- Per favore, evita di scusarti - disse Lord St. Simon con amarezza.- Oh si, so di averti trattato davvero male e che avrei dovuto parlarti pri­

ma di andarmene, ma ero davvero sconvolta e, dopo aver rivisto Frank, non sapevo più cosa fare o dire. Mi chiedo solo come ho fatto a non sveni­re davanti all'altare.

- Forse, signora Moulton, preferite che il mio amico e io ci ritiriamo da questa stanza prima di dare le dovute spiegazioni ai Lord St. Simon?

- Se posso dare la mia opinione - intervenne lo straniero - ci sono già stati troppi segreti in questa storia. Per quello che mi riguarda, vorrei che tutta l'America e l'intera Europa fossero qui a ad ascoltare. - Era un uomo piccolo e magro, con il sottile volto abbronzato e un modo di fare un po’ brusco.

- Vi racconterò l'intera storia - disse la signora. - Frank e io ci siamo in­contrati nell'84 nel campo di McQuire, vicino alle Montagne Rocciose, dove papà stava lavorando in una miniera. Ci fidanzammo, Frank e io; ma poi un giorno papà trovò un buon filone e cominciò ad ammucchiare soldi, mentre il povero Frank aveva una miniera che non valeva nulla e non gua­dagnava niente. Più ricco diventava papà, più povero Frank restava. Così alla fine, papà non volle più sentir parlare del nostro fidanzamento e mi portò a San Francisco. Ma Frank non voleva rinunciare a me e così mi se­guì. Ci incontravamo di nascosto. Papà sarebbe diventato matto se l'avesse saputo e così decidemmo di fare le cose in segreto. Poi Frank decise di par­tire per tentare la fortuna e di non tornare a prendermi fino a quando non avesse posseduto tanto quanto papà. Così io gli promisi di aspettarlo fino al suo ritorno, giurando di non sposare nessuno fino a quando lui fosse stato vivo. "Perché non possiamo sposarci ora?" chiese. "Saremo più tranquilli; io non pretenderò di essere tuo marito fino al mio ritorno." Decidemmo di fare così e andammo in un posto grazioso, con un prete che ci aspettava. Poi Frank partì e io tornai da mio padre.

"Ricevetti notizie di Frank dal Montana; poi andò in Arizona e poi mi scrisse dal Nuovo Messico. Dopo di che lessi sui giornali che un campo di minatori era stato attaccato dagli Indiani Apaches e il nome di Frank era tra gli scomparsi. Sono quasi morta di crepacuore e per alcuni mesi non riuscii a riprendermi. Papà credeva che fossi malata e mi portò da tutti i dottori di San Francisco. Non ricevetti notizie per più di un anno e così non potevo avere il sospetto che Frank non fosse morto. Poi Lord St. Simon arrivò a San Francisco; quando io arrivai a Londra decidemmo di sposarci. Papà era

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molto contento, ma nel mio cuore sapevo che nessun uomo avrebbe potuto sostituire il mio povero Frank.

"Tuttavia, sposando Lord St. Simon, ero decisa a essere un'ottima mo­glie. Non si può comandare il cuore ma le azioni sì. Sono andata davanti all'altare con le migliori intenzioni. Ma potete immaginare come mi sono sentita quando, proprio mentre mi avvicinavo all'altare, mi sono voltata e ho visto Frank seduto al primo banco. In un primo momento ho creduto che fosse un fantasma, ma poi ho capito che era davvero lui; mi guardava come se volesse chiedermi se ero felice o spiacente di vederlo. Mi chiedo come ho fatto a non svenire. Tutto ha cominciato a girare intorno a me e le parole del sacerdote mi sembravano il brusio di un'ape che mi ronzava nel­l'orecchio. Non sapevo cosa fare. Dovevo interrompere la cerimonia e fare uno scandalo in chiesa? Lo guardai e lui sembrò capire quello che stavo pensando perché si mise una mano davanti alla bocca, per dirmi di stare zitta. Poi vidi che stava scrivendo qualcosa su un pezzo di carta e capii che mi stava preparando un messaggio. Uscendo dalla chiesa, io feci cadere il mio bouquet davanti a lui e Frank mi fece scivolare tra le mani il messag­gio mentre mi restituiva i fiori. Era solo una riga con la quale mi chiedeva di raggiungerlo a un suo segnale. Naturalmente non ho dubitato nemmeno per un minuto che il mio dovere fosse verso di lui e decisi di fare tutto quello che mi chiedeva.

"Quando sono tornata a casa, ho parlato con la mia cameriera, che aveva conosciuto Frank in California e che era sempre stata dalla sua parte. Le ordinai di non dire niente ma di preparare qualcosa in una borsa e di tenere pronto il mio cappotto pesante. So che avrei dovuto parlare con Lord St. Simon, ma era così difficile farlo davanti a sua madre e a tutti quegli ospiti illustri. Decisi di scappare e di dare una spiegazione in seguito. Ero seduta al tavolo da dieci minuti quando vidi Frank fuori dalla finestra, dall'altra parte della strada. Mi fece un cenno e cominciò a passeggiare per il parco. Io scivolai fuori dalla stanza, presi le mie cose e lo seguii. Una donna mi raggiunse per dirmi qualcosa su Lord St. Simon (da quel poco che ho senti­to mi è sembrato di capire che anche lui abbia un matrimonio segreto alle spalle), ma la allontanai in fretta per raggiungere Frank. Salimmo insieme su un taxi che ci portò in un appartamento che Frank aveva affittato a Gor­don Square e finalmente, dopo tanti anni, sono stata davvero sua moglie. Frank era stato fatto prigioniero dagli Apaches. Dopo essere riuscito a scappare, era andato a San Francisco, scoprendo che io, credendolo morto, ero venuta in Inghilterra; cosi mi seguì, arrivando a Londra la mattina stes­

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sa delle mie seconde nozze."- L'ho letto su un giornale - spiegò l'americano. - Diceva il nome degli

sposi e la chiesa, ma non riportava l'indirizzo della sposa.- Poi parlammo di cosa fare e Frank era deciso a dire tutta la verità. Io

però mi vergognavo al punto di voler sparire e non vedere più nessuno, dopo aver mandato un paio di righe a mio padre per dirgli che ero viva. Era terribile pensare a tutti quei gentiluomini e a quelle dame seduti ad aspetta­re il mio ritorno. Allora Frank ha preso il mio vestito da sposa, l'ha messo in un sacco e l'ha buttato da qualche parte, dove sarebbe stato difficile tro­varlo. Saremmo partiti per Parigi domani, se questo gentiluomo, il signor Holmes, non fosse venuto da noi questa sera. Come ci abbia trovato non lo capirò mai, ma, con parole chiare e gentili, mi ha fatto capire che io avevo torto e Frank ragione e che avremmo agito male facendo le cose in segreto. Quindi ci ha offerto la possibilità di parlare con Lord St. Simon ed è per questo che siamo qui, in casa sua. Ora Robert sai tutto. Sono addolorata di averti fatto soffrire e spero che non penserai tanto male di me.

Lord St. Simon non aveva abbandonato la rigidità della sua posizione, ma aveva ascoltato il lungo racconto con la fronte aggrottata e le labbra serrate.

- Scusatemi - disse - ma non è mia abitudine discutere in pubblico degli affari privati.

- Allora non vuoi perdonarmi? Non vuoi stringermi la mano prima che me ne vada?

- Oh certo, se ti può far piacere. - Tese una mano e strinse con freddezza quella di lei.

- Avevo sperato - intervenne Holmes - che sareste stato mio ospite in una cena amichevole.

- Credo che pretendiate troppo - rispose Lord St. Simon. - Posso accetta­re questi ultimi sviluppi, ma non si può pretendere che sia disposto a tra­scorrere qui un'allegra serata. Con il vostro permesso, vi auguro la buona­notte. - Si inchinò e usci dalla stanza.

- Spero almeno che voi vogliate farci compagnia - disse Sherlock Hol­mes. - È sempre un piacere incontrare un americano, signor Moulton, per­ché io sono uno di quelli che credono che la follia di un monarca e di un ministro negli anni passati, non eviterà che i nostri figli un giorno siano cit­tadini dello stesso enorme paese, unito sotto la bandiera inglese, arricchita con stelle e strisce!

- Il caso è stato molto interessante - commentò Holmes quando i nostri 200

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visitatori se ne furono andati - perché ha dimostrato come può essere sem­plice la soluzione anche quando le prime prove sembrano inspiegabili. Nulla potrebbe essere più logico del racconto della signora e nulla più stra­no dell'ipotesi presentata, per esempio, dal signor Lestrade di Scotland Yard.

- Allora non vi eravate sbagliato?- Fin dall'inizio, due fatti erano chiari per me: uno che la signora era

contenta di sposarsi e due che si era pentita pochi minuti dopo essere torna­ta a casa. Ovviamente doveva essere successo qualcosa durante la mattina­ta che le aveva fatto cambiare idea. Cosa poteva essere? Non poteva aver parlato con qualcuno mentre era fuori, perché era sempre stata vicina allo sposo. Allora aveva visto qualcuno? Se era così, doveva trattarsi di un ame­ricano perché si trova in questo paese da così poco tempo che non poteva aver conosciuto qualcuno che potesse farle cambiare idea su una questione così importante. Vedete che, per il procedimento dell'esclusione, siamo ar­rivati alla conclusione che doveva aver visto un americano. E chi poteva essere questo americano che esercitava su di lei una simile influenza? For­se il suo amante; forse anche suo marito. Sappiamo che aveva trascorso la giovinezza in condizioni particolari e in luoghi selvaggi. Lord St. Simon stesso ce lo ha riferito. Lui stesso ci ha parlato di un uomo al primo banco e dello strano comportamento della sposa che ha lasciato cadere il bouquet in chiesa, dimostrandosi poi molto agitata. Quando il nostro nobile cliente ci ha detto di averla vista parlare con la sua cameriera personale e di aver sentito un'allusione all'usurpazione di una proprietà, frase che nel linguag­gio dei minatori americani significa che qualcuno si impossessa di qualco­sa appartenente a un altro, l'intera situazione è stata subito chiara. Se ne era andata con un uomo che poteva essere un antico amante o il primo marito; la seconda ipotesi era senza dubbio la più probabile.

- E come avete fatto a trovarli?- Sarebbe stato difficile se l'amico Lestrade non mi avesse fornito delle

informazioni che lui stesso non sapeva di possedere. Le iniziali del mes­saggio sono state di grande importanza ma è stato fondamentale anche sa­pere che da una settimana l'americano alloggiava in uno degli alberghi mi­gliori di Londra.

- Come avete fatto a capirlo?- Dai prezzi. Otto scellini per un letto e otto penny per un bicchiere di

sherry: doveva trattarsi di un albergo molto costoso. Non ce ne sono molti a Londra. Nel secondo hotel, quello di Nortumberland Avenue, ho scoperto

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sul registro che Francis H. Moulton, un americano, aveva alloggiato lì fino al giorno prima. Guardando il conto registrato all'albergo, ho scoperto che coincideva con quello trovato sul biglietto. Aveva lasciato un altro indiriz­zo, in caso che gli fosse arrivata qualche lettera all'albergo: 226 Gordon Square. Così sono andato a questo indirizzo e ho avuto la fortuna di trovare l'innamorata coppia a casa. Mi sono permesso di dare loro un paterno con­siglio, convincendoli che sarebbe stato meglio chiarire la loro posizione davanti a tutti e in particolare con Lord St. Simon. Li ho invitati a incontra­lo qui e, come avete visto, ho provveduto che anche il nostro nobile cliente non mancasse all'appuntamento.

- Il risultato non è stato molto buono - notai io. - La sua condotta non è stata davvero gentile.

- Ah, Watson - disse Holmes sorridendo - probabilmente non sareste gentile nemmeno voi se, dopo esservi dato da fare per corteggiare e per sposare una donna, vi trovaste in un solo momento privato della moglie e di una fortuna. Io credo che dovremmo giudicare con comprensione Lord St. Simon e ringraziare il cielo misericordioso per non esserci trovati nella sua stessa condizione. Passatemi il mio violino, perché il nostro unico pro­blema attuale è come trascorrere queste orribili sere d'autunno.

Titolo originale: The Adventure of the Noble BachelorTraduzione di Roberta Formenti

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L'avventura del diadema di berilli(The Adventure of the Beryl Coronet)- Holmes - dissi una mattina mentre stavo nel nostro bovindo a guardar

giù nella via - c'è un pazzo. È piuttosto triste che i suoi parenti gli permet­tano di uscire da solo.

Il mio amico si alzò pigramente dalla poltrona e con le mani affondate nelle tasche della vestaglia, guardò al di sopra delle mie spalle. Era una mattina soleggiata e frizzante di febbraio e la neve del giorno precedente giaceva ancora al suolo, sprigionando riflessi brillanti grazie al sole inver­nale. Il traffico aveva lasciato un solco fradicio e marrone al centro di Ba­ker Street, ma ad entrambi i lati e sui cumuli alle estremità dei marciapiedi era ancora bianca come quand'era caduta. Il marciapiede grigio era stato pulito e spazzato, ma era ancora pericolosamente scivoloso, cosicché c'era­no meno passanti del solito. In verità, dalla direzione della stazione della metropolitana non giungeva nessuno eccetto quell'unico signore il cui ec­centrico comportamento aveva attirato la mia attenzione.

Era un uomo di circa cinquant'anni, alto, imponente, con un volto ampio e fortemente segnato e un portamento fiero. Era vestito in uno stile sobrio ma lussuoso, con una finanziera nera, un cappello lucente, scintillanti ghet­te marroni e pantaloni grigio perla di ottima fattura. Tuttavia i suoi gesti contrastavano assurdamente con la dignità del suo abbigliamento e delle sue fattezze, perché correva velocemente, con occasionali saltelli, come fa un uomo affaticato che è poco abituato a sostenere un peso sulle proprie gambe. Mentre correva agitava le mani su e giù, scuoteva la testa e contor­ceva il viso in modo singolare.

- Cosa potrà mai avere? - domandai. - Guarda i numeri delle case.- Credo stia venendo qui - disse Holmes, strofinandosi le mani.- Qui?- Sì. Mi verrebbe da pensare che stia venendo qui per consultarmi pro­

fessionalmente. Credo di riconoscere i sintomi. Ah! Non ve l'ho detto? - Mentre parlava, l'uomo sbuffando e soffiando arrivò di fretta alla nostra porta, dopodiché pigiò il campanello finché l'intera casa non risuonò per il fragore.

Alcuni istanti dopo si trovava nella nostra stanza, ancora sbuffando e sempre gesticolando, ma con uno sguardo così fisso di dolore e disperazio­ne negli occhi che i nostri sorrisi si trasformarono in un baleno in orrore e pietà. Per un attimo non gli riuscì di pronunciar parola, ma oscillò il corpo e si strappò i capelli come chi è arrivato ai limiti della ragione. Poi, all'im­

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provviso, saltando, batté la testa contro il muro con una forza tale che en­trambi accorremmo e lo portammo al centro della stanza. Sherlock Holmes lo spinse giù sulla poltrona e sedendoglisi accanto, gli carezzò la mano e gli parlò con i toni più piacevoli e tranquillizzanti che lui sapeva bene come impiegare.

- Siete venuto a raccontarmi la vostra storia, vero? - chiese. - Siete affa­ticato per la premura. Attendete finché non vi sarete ripreso e poi sarò lieto di prendere in esame qualsiasi piccolo problema che vorrete sottopormi.

L'uomo rimase seduto per un minuto e più con il torace palpitante, lot­tando contro la sua stessa emozione. Poi si passò un fazzoletto sulla fronte, strinse le labbra, e volse la faccia verso di noi.

- Senza dubbio penserete che io sia matto - cominciò.- Mi sembra di capire che avete avuto qualche grosso guaio - replicò

Holmes.- Iddio sa cosa mi è accaduto! Un guaio che basta a sconvolgermi l'intel­

letto, così improvviso e tanto terribile. Avrei potuto affrontare la pubblica disgrazia, sebbene io sia un uomo la cui reputazione non è stata mai mac­chiata. Anche i dolori privati sono il destino di tutti gli uomini, ma due in­sieme e tanto spaventosi, sono bastati a scuotere il mio animo. Inoltre non sono il solo. Anche le persone più in vista del paese ne possono risentire le conseguenze se non si troverà qualcosa per uscire da quest'affare tremendo.

- Vi prego di ricomporvi, signore - invitò Holmes - e fatemi un resocon­to chiaro di chi siete e di quel che vi è capitato.

- Il mio nome - rispose il nostro visitatore - probabilmente vi è noto. Sono Alexander Holder, della banca degli "Holder & Stevenson" di Th­readneedle Street.

Eravamo a conoscenza di quel nome perché apparteneva al socio più an­ziano della seconda banca più grande della City di Londra. Cosa poteva es­sere accaduto, allora, per condurre uno dei più eminenti cittadini londinesi in questa pietosissima situazione? Attendemmo, pieni di curiosità, che con un altro sforzo lui si accingesse a raccontarci la sua storia.

- Sento che il tempo è prezioso, - disse - è questo il motivo per cui sono venuto qui di corsa, quando l'ispettore della polizia mi ha suggerito che mi sarei potuto garantire la vostra collaborazione. Sono venuto in metropolita­na fino a Baker Street e poi fin qui a piedi perché i taxi vanno lentamente sulla neve. Questo è il motivo per cui sono senza fiato, perché io sono un uomo che fa poco movimento. Ora mi sento meglio e vi racconterò i fatti in breve e nel modo più chiaro.

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"Naturalmente voi sapete che un'attività bancaria di successo dipende da un lato dalla nostra capacità di trovare investimenti remunerativi per i no­stri fondi, dall'altro consiste nell'incrementare la nostra clientela e il nume­ro dei nostri depositanti. Uno dei mezzi più profittevoli di cedere denaro, è sotto forma di prestiti, dove la sicurezza è inattaccabile. Negli ultimi anni abbiamo fatto molto in questo senso e ci sono diverse famiglie nobili alle quali abbiamo anticipato ingenti somme prendendo come cauzione quadri, biblioteche o vasellame prezioso.

"Ieri mattina ero seduto nel mio ufficio alla banca quando mi fu recapi­tato un biglietto da uno degli impiegati. Quando lessi il nome sobbalzai perché non era niente meno che... forse è meglio che anche a voi non dica nient'altro se non che era un nome che è conosciuto dovunque sulla terra, uno dei nomi più elevati, più nobili e più esaltati dell'Inghilterra. Fui so­praffatto dall'onore e tentai quando entrò di dirlo, ma lui si immerse subito nell'affare con l'aria di un uomo che desidera arrivare in fretta a un compito spiacevole.

" - Signor Holder - disse - sono stato informato che voi avete l'abitudine di anticipare denaro.

" - La ditta lo fa quando la cauzione lo permette - risposi." - È fondamentale per me - riprese lui - che io abbia subito cinquanta­

mila sterline. Naturalmente potrei prendere a prestito una somma dieci vol­te superiore dai miei amici, ma preferisco trattarla come se fosse un affare e quindi portarlo avanti da me. Nella mia posizione voi capirete senza diffi­coltà che non sarebbe saggio sentirsi obbligato.

" - Se mi è consentito, per quanto tempo vi occorre questa somma? - do­mandai.

" - Il prossimo lunedì riceverò un'ingente somma e allora pagherò asso­lutamente quel che mi anticiperete, con qualsiasi interesse voi ritenete che sia giusto esigere. Ma è indispensabile che io abbia subito quel denaro.

" - Sarei lieto di offrirvelo senza ulteriori chiacchiere dal mio fondo pri­vato - dissi io - se non fosse che l'affare sarebbe piuttosto superiore alle possibilità. Se invece lo devo fare a nome della ditta, allora, per correttezza nei confronti del mio socio devo insistere che, perfino nel vostro caso, deb­ba essere presa qualsiasi sistematica precauzione.

" - Preferisco decisamente così - disse, sollevando una valigetta quadra­ta di marocchino che aveva appoggiato accanto alla sedia. - Avrete certa­mente sentito parlare del diadema di berillo.

" - Uno dei possedimenti pubblici più preziosi dell'impero - risposi.205

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" - Precisamente. - Aprì la valigetta e lì, avvolta in morbido velluto rosa, c'era il magnifico pezzo di gioielleria che aveva citato. - Ci sono trentanove enormi berilli e il prezzo dell'oro cesellato è inestimabile. La stima più bas­sa fisserebbe il valore del diadema nel doppio della somma che ho chiesto. Sono disposto a lasciarcela come mia cauzione.

"Presi tra le mani la preziosa valigetta e con perplessità spostai il mio sguardo da quella al mio cliente.

" - Avete dubbi sul suo valore? - domandò." - Affatto. Dubito soltanto..." - La convenienza del lasciarcela. Potete tranquillizzarvi. Non mi so­

gnerei di farlo se non fossi assolutamente certo che fra quattro giorni sarei qui a riprenderla. È una semplice questione di forma. È sufficiente la cau­zione?

" - Ampiamente." - Vedete, signor Holder, vi sto dando una grossa dimostrazione della

fiducia che ho in voi, basata su tutto quel che ho sentito dire sul vostro con­to. Confido che voi non solo siate discreto ed evitiate qualsiasi pettegolez­zo sulla faccenda, ma soprattutto che conserviate questo diadema con tutte le possibili attenzioni perché non è necessario che io vi dica che scoppie­rebbe un grosso scandalo pubblico se subisse qualche danno. Qualsiasi le­sione sarebbe quasi grave quanto la sua totale perdita, perché non ci sono berilli al mondo che possono competere con questi e sarebbe impossibile sostituirli. Quindi ve lo lascio, con la massima fiducia e lunedì mattina pas­serò io in persona a ritirarlo.

"Vedendo che il mio cliente era ansioso di andarsene, non aggiunsi altro, chiamai il mio cassiere e gli ordinai di pagare in banconote cinquantamila sterline. Quando fui di nuovo solo, tuttavia, con la preziosa cassetta adagia­ta sul tavolo dinanzi a me, non potei fare a meno di pensare con qualche apprensione all'immensa responsabilità che mi era stata assegnata. Non c'e­ra alcun dubbio, dal momento che si trattava di un possedimento pubblico, che ci sarebbe stato un pubblico scandalo se gli fosse capitato qualsiasi in­cidente. Mi ero già pentito di aver consentito di assumermi la responsabili­tà. Tuttavia, era troppo tardi per cambiare qualcosa, così la chiusi nella mia cassaforte privata e tornai al mio lavoro.

"Quando scese la sera pensai ché sarebbe stata un'imprudenza lasciare un oggetto tanto prezioso nell'ufficio. Le casseforti dei banchieri sono già state forzate e perché anche la mia non avrebbe potuto subire la stessa sor­te? Se fosse capitato, la posizione in cui mi sarei trovato sarebbe stata terri­

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bile. Pertanto decisi che per i pochi giorni successivi l'avrei sempre portata avanti e indietro con me, così non sarebbe mai stata al di fuori della mia portata. Con questa intenzione chiamai un taxi e mi recai a casa mia a Streatham, portando con me il gioiello. Non mi sentii a mio agio finché non l'ebbi portata di sopra e non l'ebbi messa sotto chiave nello scrittoio del mio guardaroba.

"E adesso due parole sulla mia famiglia, signor Holmes, perché desidero che comprendiate interamente la situazione. Il mio cameriere e il mio pag­gio dormono fuori casa e quindi possono essere trascurati. Ho tre cameriere che sono al mio servizio da molti anni e la cui assoluta affidabilità è indi­scussa. Un'altra, Lucy Parr, la seconda cameriera personale è in servizio solo da pochi mesi. Lei si è presentata con un'eccellente reputazione, e mi ha sempre accontentato. È una ragazza molto graziosa e ha attirato degli ammiratori che occasionalmente hanno girato nei paraggi. Questo è l'unico inconveniente che abbiamo trovato in lei, ma crediamo che in ogni caso sia un'ottima ragazza.

"Altrettanto per i domestici. La mia famiglia è così piccola che non im­piegherò molto a descriverla. Io sono vedovo e ho soltanto un figlio, Ar­thur. È stato una delusione per me, signor Holmes, una dolorosa delusione. Non ci sono dubbi che devo biasimare me stesso. La gente dice che sono stato io a rovinarlo e probabilmente è vero. Quando la mia adorata moglie morì, io sentii che lui era tutto quel che avevo da amare. Non sopportavo che il sorriso svanisse dal suo volto anche per un solo momento. Non gli ho mai negato nulla. Forse sarebbe stato meglio per entrambi se fossi stato più rigido, ma io miravo al meglio.

"Era chiaramente mia intenzione che lui mi succedesse nella mia attivi­tà, ma non era incline agli affari. Era crudele e ribelle, e per dire il vero io non mi fidavo a lasciargli maneggiare ingenti somme di denaro. Quand'era giovane era diventato socio di un circolo aristocratico e lì, avendo dei modi incantevoli, diventò presto amico intimo di molti signori con borsellini ca­pienti e abitudini costose. Imparò a giocare pesante alle carte e a sprecare denaro alle corse, finché non veniva da me a implorarmi di anticipargli un assegno affinché potesse saldare i suoi debiti di gioco. Ha cercato più di una volta di allontanarsi dalla pericolosa compagnia che frequentava, ma ogni volta l'influenza del suo amico Sir George Burnwell, è bastata a farlo retrocedere ancora.

"E, in verità, non mi stupirei che un uomo come Sir George Burnwell abbia potuto conquistarlo perché lui lo ha portato di frequente in casa mia e

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io stesso ho a fatica resistito al fascino delle sue maniere. È più vecchio di Arthur, un uomo di mondo, uno che è stato dovunque, che ha visto tutto, un brillante oratore e un uomo di grande bellezza. Tuttavia, quando lo penso a sangue freddo, lontano dall'incanto della sua presenza, sono convinto dai suoi discorsi cinici e dall'espressione che ho colto nei suoi occhi che è un individuo di cui non si deve avere assolutamente fiducia. Questa è la mia opinione e altrettanto pensa la mia piccola Mary che per indole ha una grande capacità d'osservazione.

"Rimane solo lei da descrivere. È mia nipote, ma quando mio fratello morì cinque anni fa e la lasciò sola al mondo io la adottai e da allora l'ho sempre considerata come figlia mia. È come un raggio di sole nella mia casa, amabile, bellissima, una meravigliosa direttrice e governante, ma an­che tenera, tranquilla e gentile come ogni donna dovrebbe essere. È il mio braccio destro. Non so come farei se non ci fosse lei. Solo in un particolare ha sempre contrastato i miei desideri. Due volte mio figlio le ha chiesto di sposarlo perché lui la ama con devozione, ma ogni volta lei lo ha rifiutato. Credo che se ci fosse stato qualcuno che avrebbe potuto ricondurlo sulla retta via, sarebbe stata lei e che il suo matrimonio avrebbe potuto cambiare tutta la sua vita, ma ora ahimè, è troppo tardi, troppo tardi per sempre.

"Ora, signor Holmes, conoscete tutte le persone che vivono sotto il mio tetto e continuerò con la mia triste storia.

"Quando quella sera dopo cena stavamo prendendo il caffè in salotto, raccontai ad Arthur e a Mary quel che mi era accaduto e del prezioso tesoro che avevamo sotto il nostro tetto, omettendo soltanto il nome del mio cliente. Lucy Parr, che aveva portato il caffè, sono certo che aveva lasciato la stanza, mentre non posso giurare se la porta fosse chiusa. Mary e Arthur erano molto interessati e desideravano vedere il famoso diadema, ma io ri­tenni fosse meglio non toccarlo.

" - Dove l'hai messo? - chiese Arthur." - Nel mio scrittoio." - Mi auguro che la casa non venga rapinata durante la notte – disse lui." - È sotto chiave - risposi." - Oh, qualsiasi chiave vecchia si adatterebbe a quella scrivania.

Quand'ero giovane, l'ho aperta io stesso con la chiave della credenza."Aveva spesso un modo incontrollato di parlare, così sorvolai su quel

che disse. Tuttavia, quella sera mi seguì nella mia stanza con una faccia molto seria.

" - Papà, guarda un po' - disse con gli occhi abbassati - mi daresti due­208

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cento sterline?" - No, non posso - risposi aspro. - Sono stato troppo generoso con te

nelle questioni di denaro." - Sei stato molto buono, ma devo avere questo denaro o non potrò più

far vedere la mia faccia al circolo."" - Sarebbe un'ottima cosa! - gridai." - Sì, ma non vorresti che io lo lasciassi con disonore - pregò lui. - Non

sopporterei la vergogna. Devo avere in qualche modo quel denaro e se non lo avrò da te, allora troverò altri mezzi.

"Ero adirato perché era la terza richiesta durante il mese. - Non avrai un centesimo da me - gridai, e lui fece un inchino lasciò la stanza senza una parola.

"Quando se ne fu andato aprii lo scrittoio, mi rassicurai che il mio teso­ro fosse al sicuro e lo chiusi di nuovo sotto chiave. Poi feci un giro per la casa per vedere se tutto era in ordine, un compito che generalmente lascia­vo a Mary ma che quella sera credetti fosse meglio assolvere di persona. Mentre scendevo le scale vidi la stessa Mary alla finestra del corridoio che chiudeva e sbarrava mentre mi avvicinavo.

" - Dimmi, papà - disse, guardando, pensai, con un'espressione un po' preoccupata - avete dato il permesso a Lucy, la cameriera, di uscire stasera?

" - No, assolutamente." - È entrata proprio ora dalla porta di servizio. Non ho dubbi che sia

stata al cancello laterale a vedere qualcuno, ma penso che non sia molto si­curo e dovrebbe essere chiuso.

" - Devi parlarle domattina, o se preferisci lo farò io. Sei sicura che tutto è sbarrato?

" - Certissima, papà." - Allora buona notte. - La baciai e salii di nuovo nella mia stanza dove

mi addormentai."Sto sforzandomi di raccontarvi tutto, signor Holmes, tutto quello che vi

possa tornare utile per il caso, ma vi prego di pormi delle domande su qual­siasi punto su cui non sono chiaro."

- Al contrario, la vostra dichiarazione è singolarmente chiara.- Giungo ora a una parte della storia in cui vorrei esserlo in modo parti­

colare. Io non ho un sonno pesante e la preoccupazione che avevo in men­te, senza dubbio, lo rendeva ancor meno profondo del solito. Verso le due del mattino fui svegliato da qualche rumore nella casa. Era cessato prima

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che fossi del tutto sveglio, ma aveva lasciato in me l'impressione che da qualche parte fosse stata chiusa adagio una finestra. Rimasi ad ascoltare con le orecchie tese. All'improvviso, al colmo della paura, sentii un distinto suono di passi muoversi piano nella stanza accanto. Scivolai fuori dal letto, palpitante per il terrore e sbirciai dietro l'angolo della porta del mio guarda­roba.

" - Arthur! - gridai. - Furfante! Ladro! Come osi toccare quel diadema?"La luce era fioca, come l'avevo lasciata io e il mio disgraziato ragazzo,

in camicia e pantaloni, stava in piedi accanto alla luce tenendo il diadema in mano. Sembrava torcerlo, o piegarlo con tutta la sua forza. Al mio gridò lasciò la presa e si fece pallido come la morte. Lo afferrai e lo esaminai. Uno degli angoli d'oro, con tre berilli, mancava.

" - Tu, mascalzone! - urlai fuori di me per la rabbia. - L'hai distrutto! Mi hai disonorato per sempre! Dove sono i gioielli che hai rubato?

" - Rubato? - gridò." - Sì, ladro! - urlai, scuotendolo per la spalla." - Non ne mancano. Non possono mancarne." - Ne mancano tre. E tu sai dove sono. Ti devo chiamare oltre che ladro

anche bugiardo? Non ti ho forse visto che tentavi di staccarne un altro pez­zo?

" - Mi hai già chiamato con sufficienti epiteti - disse - non lo sopporterò più. Non dirò più una sola parola su questa faccenda, finché avrai scelto di insultarmi. Domattina lascerò la tua casa e mi farò strada nel mondo.

" - La farai nelle mani della polizia! - gridai, quasi impazzito per il dolo­re e per l'ira. - Farò sondare questa faccenda fino in fondo.

" - Non saprai nulla da me - urlò con una tale collera che non avrei potu­to immaginare che era nel suo carattere. - Se scegli di chiamare la polizia, lascia che la polizia trovi quel che può.

"Ormai l'intera casa era in agitazione perché io avevo alzato la voce per la rabbia. Mary fu la prima a venire di corsa nella stanza e alla vista del diadema e della faccia di Arthur, lei comprese tutta la storia e con un grido cadde al suolo priva di sensi. Mandai la cameriera a chiamare la polizia perché iniziasse subito le indagini.

"Quando entrarono in casa l'ispettore e un poliziotto, Arthur, che teneva con risentimento le braccia incrociate, mi chiese se avevo intenzione di ac­cusarlo di furto. Io risposi che aveva smesso di essere una faccenda privata, ma che era diventata pubblica dal momento che il diadema rovinato era di proprietà della nazione. La legge avrebbe dovuto fare il suo corso in tutto,

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ne ero convinto." - Almeno non mi farai arrestare subito. Il vantaggio sarà sia tuo che

mio se potrò lasciare la casa fra cinque minuti." - Così potrai fuggire o forse nascondere quel che hai rubato. - E poi,

accorgendomi della terribile condizione in cui mi ero posto, lo implorai di ricordare che era in gioco non solo il mio onore, ma anche quello di qual­cuno che era molto più importante di me e che lui avrebbe minacciato di sollevare uno scandalo che avrebbe sconvolto l'intera nazione. Avrebbe po­tuto evitarlo se mi avesse detto cosa ne era stato delle tre pietre mancanti.

"- Puoi anche far fronte alla faccenda - dissi - sei stato colto sul fatto e nessuna confessione potrebbe rendere più atroce la tua colpa. Se deciderai di riparare in questo modo, dicendoci dove sono i tre berilli, tutto sarà per­donato e dimenticato.

" - Tieni il tuo perdono per quelli che te lo chiedono - rispose, voltando­mi le spalle con un sogghigno. Capii che si era troppo indurito per tutte le mie parole per poterlo convincere. C'era un solo modo. Chiamai l'ispettore e glielo diedi in custodia. Fu fatta subito una perquisizione, non solo sulla sua persona, ma anche nella sua stanza e in ogni parte della casa dove pote­va aver nascosto le gemme, ma non trovarono tracce, e tanto meno il mise­rabile ragazzo aprì bocca nonostante tutte le nostre persuasioni e le nostre minacce. Questa mattina è stato trasferito in una cella e io dopo aver sbri­gato le formalità dalla polizia, mi sono affrettato a venir qui per implorarvi di usare la vostra abilità per districare la faccenda. La polizia mi ha detto apertamente che al momento non può fare nulla. Potete spendere tutto quel che è necessario. Ho già offerto una ricompensa di mille sterline. Mio Dio, cosa farò? Ho perduto in una notte il mio onore, le mie gemme e mio fi­glio. Oh, cosa farò?"

Si mise la testa fra le mani e si dondolò avanti e indietro lamentandosi come un bambino il cui dolore è indicibile.

Sherlock Holmes rimase seduto in silenzio per qualche minuto, con le sopracciglia aggrottate e gli occhi fissi sul fuoco.

- Ricevete molta gente? - chiese.- Nessuno, eccetto il mio socio con la sua famiglia e un amico occasio­

nale di Arthur. Sir George Burnwell è venuto diverse volte recentemente. Nessun altro, credo.

- Frequentate molto la società?- Arthur. Mary e io stiamo a casa. Non ci interessa.- È una giovane insolita.

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- È di indole tranquilla. Inoltre non è così giovane, ha ventiquattro anni.- Quel che mi avete raccontato sembra che sia stato un colpo anche perlei.- Terribile! Lei ne è rimasta colpita quanto me.- Nessuno di voi ha qualche dubbio sulla colpevolezza di vostro figlio?- Come possiamo averne quando l'ho veduto con i miei stessi occhi con

il diadema tra le mani?- Io la ritengo a fatica una prova determinante. Il resto del diadema non

è stato affatto danneggiato?- Sì, è stato contorto.- Non pensate allora che lui stesse cercando di raddrizzarlo?- Dio vi benedica! Voi state facendo quel che potete per me e per lui, ma

è un compito troppo arduo. Allora cosa stava facendo? Se era innocente, perché non l'ha detto?

- Precisamente. E se fosse stato colpevole, perché non ha inventato una bugia? Il suo silenzio mi sembra che sia un'arma a doppio taglio. Ci sono diversi punti singolari nel caso. Che cosa ha detto la polizia sui rumori che vi hanno svegliato dal vostro sonno?

- Ritiene che potrebbe essere stato Arthur che chiudeva la porta della sua stanza da letto.

- Una storia verosimile! Come se un uomo incriminato sbattesse la porta per svegliare la servitù. Cos'ha detto inoltre della scomparsa delle gemme?

- Sta ancora facendo risuonare l'impiantito e sondando il mobilio nella speranza di trovarle.

- Hanno pensato di guardare all'esterno della casa?- Sì, e con straordinario impegno. L'intero giardino è stato esaminato

minuziosamente.- Ora, mio caro signore - disse Holmes - non vi è chiaro che questa fac­

cenda veramente impressioni molto di più di quanto sia voi che la polizia eravate dapprima inclini a pensare? A voi sembrava un caso semplice, mentre a me sembra estremamente complesso. Considerate quel che è coin­volto secondo la vostra teoria. Voi credete che vostro figlio sia uscito dal letto, sia andato, correndo un grosso rischio, nel vostro guardaroba, abbia aperto la scrivania, preso il diadema, ne abbia staccato un pezzetto con tut­ta la forza, si sia recato in qualche altro luogo, abbia nascosto le tre gemme tolte dalle trentanove, con un'abilità tale che nessuno riesce a trovarle e poi sia tornato con le altre trentasei nella stanza in cui si esponeva al grandissi­mo pericolo di venire scoperto. Io vi chiedo se una teoria simile sia sosteni­

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bile.- Ma cos'altro c'è? - gridò il banchiere con un gesto di disperazione. -Se

i suoi movimenti fossero innocenti, perché non li spiega?- È nostro compito scoprirlo - replicò Holmes - così adesso, signor Hol­

der, andremo insieme a Streatham, e ci dedicheremo a prendere in esame più da vicino i dettagli.

Il mio amico insistette perché li accompagnassi nella loro spedizione, cosa che io fui piuttosto orgoglioso di fare, perché la mia curiosità e la mia simpatia erano profondamente eccitate per la storia che avevo sentito. Con­fesso che la colpa del figlio del banchiere mi apparve tanto ovvia quanto lo era a quel padre infelice, tuttavia avevo una tale fiducia nel giudizio di Holmes che c'erano dei motivi per sperare finché lui era scontento della spiegazione accettata. Per tutto il percorso fino al quartiere a sud non pro­nunciò parola, ma rimase seduto col mento appoggiato al petto e il cappel­lo calato sugli occhi, immerso nei pensieri più profondi. Il nostro cliente appariva rinfrancato dallo spiraglio di speranza che gli si era presentata e addirittura intraprese con me una chiacchierata sconnessa sulla sua attività. Un breve tragitto in ferrovia e una camminata ancora più corta ci portarono a Fairbank, la residenza del finanziere.

Fairbank era una casa quadrata di discreta grandezza fatta di pietra bian­ca, e un po' in dentro rispetto alla strada. Un doppio sentiero e un prato co­perto di neve si estendevano fin davanti ai due grandi cancelli di ferro che sbarravano l'ingresso. Sul lato destro c'era un piccolo boschetto che condu­ceva a un sentiero stretto fra due siepi ordinate che andavano dalla strada alla porta della cucina e costituiva l'ingresso dei venditori. Sulla sinistra si snodava un viottolo che portava alle stalle, ma non faceva parte della casa, essendo una strada pubblica anche se poco usata. Holmes ci lasciò alla por­ta e camminò lentamente intorno alla casa, lungo la facciata, giù verso il passaggio dei venditori e fino al viottolo delle stalle. Impiegò tanto che io e il signor Holder andammo nella sala da pranzo e attendemmo vicino al fuo­co il suo ritorno. Eravamo seduti lì in silenzio quando la porta si apri e ven­ne dentro una giovane signora. Era appena più alta della media, snella, con occhi e capelli scuri che lo sembravano ancora di più visto l'assoluto pallo­re della sua pelle. Penso di non aver mai notato un pallore così mortale sul volto di una donna. Anche le sue labbra erano esangui, mentre i suoi occhi erano arrossati dal pianto. Quando scivolò silenziosamente nella stanza, lei mi impressionò per una sensazione di dolore ancora più grande di quella che al mattino mi aveva fatto il banchiere, cosa che in lei era ancor più stri­

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dente perché era chiaro che si trattava di una donna dalla forte personalità, con una immensa capacità di autocontrollo.

Trascurando la mia presenza, andò diritta da suo zio e passò la mano sul suo capo con una dolce carezza femminile.

- Hai dato ordine che Arthur venga liberato, vero papà? - domandò lei.- No, no, ragazza mia, la questione dev'essere prima scandagliata fino in

fondo.- Ma io sono sicura che è innocente. Tu sai com'è l'intuito di una donna.

So che non ha fatto del male e che ti rammaricherai di aver agito così dura­mente.

- Allora perché sta in silenzio se è innocente?- Chissà, forse perché si era arrabbiato per i tuoi sospetti su di lui.- Come potrei fare a meno di sospettarlo quando 1'ho visto: con il diade­

ma in mano?- Oh, ma l'aveva preso solo per guardarlo. Oh, oh, ascolta quel che ti

dico, è innocente. Lasciamo cader la questione e non parliamone più. È tanto tremendo pensare che il nostro caro Arthur sia in prigione!

- Non la lascerò cadere finché le gemme non saranno trovate... mai, Mary! Il tuo affetto per Arthur ti rende cieca come accade a me per le terri­bili conseguenze. Lungi dal soffocare la cosa, ho condotto qui da Londra un signore che condurrà delle indagini più approfondite.

- Questo signore? - domandò, guardandomi.- No, il suo amico. Desiderava che lo lasciassimo solo. Adesso si trova

sul viottolo che porta alle stalle.- Il viottolo delle stalle? - Inarcò le sopracciglia scure. - Cosa spera di

trovare là? Ah! Eccolo, è lui. Signore, spero che riuscirete a dimostrare che quel che sento è la verità, vale a dire che mio cugino è innocente di questo crimine.

- Condivido pienamente la vostra opinione e confido, come voi, che po­tremo dimostrarlo - replicò Holmes, tornando alla stuoia per scrollare la neve dalle scarpe. - Credo di avere l'onore di rivolgermi alla signorina Mary Holder. Posso farvi un paio di domande?

- Prego, signore, se posso essere d'aiuto per risolvere questa terribile faccenda.

- Voi non avete sentito nulla la scorsa notte?- Nulla, finché mio zio non ha cominciato a parlare forte. Allora ho sen­

tito e sono scesa.- La sera prima avevate chiuso le porte e le finestre. Avevate sbarrato

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tutte le finestre?- Sì.- Questa mattina erano tutte sbarrate?- Sì.- Avete una cameriera che ha un fidanzato? Credo che ieri sera abbiate

fatto notare a vostro zio che lei era stata fuori per vederlo.- Sì, ed era la ragazza che attendeva nel guardaroba e che può aver sen­

tito le osservazioni dello zio sul diadema.- Capisco. E voi concludete che può essere uscita a dirlo al fidanzato e

che i due abbiano progettato la rapina.- Ma qual è l'utilità di tutte queste teorie vaghe - gridò il banchiere, im­

paziente - quando vi ho detto che ho visto Arthur con il diadema fra le mani?

- Aspettate un momento, signor Holder. Dobbiamo tornare su quel pun­to, su questa ragazza, signorina Holder. L'avete vista tornare dalla porta di servizio, suppongo.

- Sì, quando sono andata a vedere se la porta era sbarrata per la notte, l'ho vista entrare di soppiatto, e nell'oscurità ho visto anche l'uomo.

- Lo conoscete?- Oh, sì. È l'ortolano che vende le verdure a domicilio. Il suo nome è

Francis Prosper.- È rimasto a sinistra della porta, cioè più in là del sentiero che è neces­

sario percorrere per arrivare alla casa?- Sì.- È un uomo con una gamba di legno?Qualcosa simile alla paura sali negli occhi neri ed espressivi della gio­

vane donna. - Perché, voi siete un mago? Come lo sapete? - Lei sorrise, ma sul volto magro e impaziente di Holmes non ci fu alcun sorriso di risposta.

- Adesso desidererei salire al piano superiore - disse lui. - Probabilmente tornerò ancora all'esterno della casa. Forse farei meglio a dare un'occhiata alle finestre del pianoterra prima di salire.

Camminò rapidamente dall'una all'altra, fermandosi soltanto a quella grande che si affacciava dal corridoio sul viottolo della stalla. La aprì e fece un esame molto accurato del davanzale con la sua potente lente d'in­grandimento. - Ora saliremo - ripeté infine.

Il guardaroba del banchiere era una stanzetta arredata con semplicità, con un tappeto grigio, un grande scrittoio e un lungo specchio. Holmes andò innanzitutto alla scrivania e guardò attentamente la serratura.

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- Che chiave si usa per aprirlo? - domandò.- Quella che il mio stesso figlio ha indicato, quella della credenza del ri­

postiglio.- L'avete qui?- È sul tavolo da toeletta.Sherlock Holmes la prese e aprì lo scrittoio.- È una serratura silenziosa - affermò. - Non c'è da stupirsi che non vi

abbia svegliato. Suppongo che questa cassetta contenga il diadema. Dob­biamo guardarlo. - Aprì la cassetta e togliendo il diadema lo depose sul ta­volo. Era un magnifico modello dell'arte orafa e le trentasei pietre erano le più belle che io avessi mai visto. A un lato del diadema c'era un'estremità rovinata, dove era stato staccato un angolo che conteneva tre gemme.

- Adesso, signor Holder - disse Holmes - ecco l'angolo che corrisponde a quello che sfortunatamente è stato perduto. Potrei dire che voi l'avete spezzato.

Il banchiere indietreggiò per l'orrore. - Non mi sognerei mai di farlo - disse.

- Allora lo farò io. - Holmes all'improvviso impiegò tutta la sua forza, ma senza risultato. - Ho la sensazione di non riuscirci ma sebbene io abbia una forza eccezionale nelle dita, impiegherei una buona dose di tempo per romperlo. Un uomo comune non lo potrebbe fare. Ora, cosa supponete che succederebbe se lo rompessi, signor Holder? Ci sarebbe un rumore simile a quello dello sparo di una pistola. Mi dite che è avvenuto tutto questo a po­chi metri dal vostro letto e che non avete sentito nulla?

- Non so cosa pensare. Mi è tutto oscuro.- Ma forse può diventare più chiaro mentre andiamo. Cosa ne pensate,

signorina Holder?- Confesso di condividere la perplessità di mio zio.- Vostro figlio non calzava scarpe o pantofole quando l'avete veduto?- Nulla eccetto camicia e pantaloni.- Grazie. Siamo sicuramente stati assistiti dalla fortuna durante questa

indagine, e sarà certamente tutta colpa nostra se non riusciremo a chiarire la faccenda. Con il vostro permesso, signor Holder, continuerò le mie inve­stigazioni all'esterno.

Andò da solo, su sua richiesta, perché spiegò che qualsiasi orma non ne­cessaria avrebbe reso più arduo il suo lavoro. Per più di un'ora lavorò, tor­nando infine con i piedi carichi di neve e le sembianze impenetrabili come sempre.

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- Ora credo di aver visto tutto quel che c'era da vedere, signor Holder. Potrò servirvi meglio tornando nel mio appartamento.

- Ma le gemme, signor Holmes. Dove sono?- Non posso dirlo.Il banchiere strinse le mani. - Non le rivedrò mai più! - gridò. - E mio fi­

glio? Ci sono speranze?- La mia opinione in ogni caso non è cambiata.- Allora, per l'amor del cielo, cos'è questo losco affare che si è recitato la

scorsa notte in casa mia?- Se passerete da me in Baker Street domattina fra le nove e le dieci,

sarò lieto di fare quel che potrò per renderlo più chiaro. Capisco che mi date carta bianca di agire per voi, a condizione che io restituisca le gemme, e che voi non ponete limiti sulla somma che io posso esigere.

- Darei la mia fortuna per riaverle.- Benissimo. Nel frattempo esaminerò la faccenda. Arrivederci. È possi­

bile che torni qui ancora prima di sera.Mi era chiaro che adesso la mente del mio compagno era decisa sul caso

sebbene quali fossero le conclusioni era più di quel che io potessi vaga­mente immaginare. Durante il nostro viaggio di ritorno tentai più volte di sondare quel punto, ma lui passava sempre a qualche altro argomento, fin­ché alla fine smisi per la disperazione. Non erano ancora le tre quando ci ritrovammo nella nostra stanza. Lui corse nella sua camera e dopo pochi minuti tornò vestito in una maniera insolita. Con il colletto ripiegato, la giacca lucida e logora, la sciarpa rossa, le pantofole consumate, era un per­fetto esempio d'eleganza.

- Credo che questa andrebbe bene - disse, fissando nella lente al di sopra del camino. - Vorrei che venisse con me, Watson, ma temo che non lo farà. Posso essere sulla pista di questa faccenda o forse sto seguendo un fuoco fatuo, ma saprò presto qual è. Spero di essere di ritorno fra poche ore. - Ta­gliò una fetta di arrosto che stava sulla credenza, lo mise fra due fette di pane e infilando questo pasto frugale in tasca, partì per la sua spedizione.

Avevo appena finito il tè quando tornò, evidentemente di buon umore, dondolando una vecchia scarpa con l'elastico di lato. La gettò in un angolo e si servì una tazza di tè. - Ho fatto una visitina mentre passavo - disse. - Procedo subito.

- Verso dove?- Oh, verso l'altro lato dello West End. Ci vorrà del tempo prima che tor­

ni. Non rimanete alzato ad aspettarmi nel caso tardassi.217

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- Come procedete?- Oh, così così. Niente di cui lamentarsi. Sono stato a Streatham da

quando vi ho veduto l'ultima volta, ma non alla casa. È un piccolo proble­ma e non avrei voluto perderlo. Tuttavia non devo restar qui seduto a chiacchierare, ma devo togliermi questi abiti stracciati e tornare al mio ri­spettabile io.

Potevo capire dai suoi modi che aveva dei validi motivi per esser soddi­sfatto, più di quanto le sue sole parole avrebbero implicato. Salì rapida­mente di sopra e dopo pochi minuti sentii sbattere la porta del corridoio; ciò mi disse che se ne era andato un'altra volta per la sua caccia congeniale.

Aspettai fino a mezzanotte, ma non c'erano segni del suo ritorno, così mi ritirai nella mia stanza. Non era strano da parte sua rimanere fuori per giorni e notti quand'era su una pista, quindi il suo ritardo non mi sorprese. Non so a che ora rientrò, ma quando scesi a colazione la mattina dopo, era lì con la sua tazza di caffè in una mano e il giornale nell'altra, fresco e ordi­nato come se niente fosse.

- Mi perdonerete per aver cominciato senza di voi, Watson - disse - ma ricordatevi che il nostro cliente ha un appuntamento piuttosto presto questa mattina.

- Sono appena passate le nove - replicai. - Non mi sorprenderei se fosse lui. Mi è sembrato di sentire il campanello.

In effetti era il nostro amico banchiere. Rimasi scioccato per il cambia­mento che era sopravvenuto in lui, perché il suo viso che era ampio e soli­do, adesso era tormentato e cadente, mentre i suoi capelli mi sembrava fos­sero più bianchi. Entrò mostrando una stanchezza e un abbattimento che erano ancor più dolorosi dell'ira della mattina precedente e si lasciò cadere pesantemente sulla poltrona che io spinsi verso di lui.

- Non so cosa ho fatto per essere così severamente provato. Soltanto due giorni fa ero un uomo felice e ricco, senza problemi. Adesso vengo lasciato solo e disonorato. Un dolore dopo l'altro. Mia nipote Mary mi ha abbando­nato.

- Vi ha abbandonato?- Sì. Questa mattina il suo letto era intatto, la sua stanza vuota e sul ta­

volino nel corridoio c'era questo biglietto per me. Ieri sera le dissi addolo­rato e non con rabbia che se avesse sposato il mio ragazzo, lui sarebbe stato su un'altra strada. Forse l'ho detto senza pensarci, ma in questo biglietto lei si riferisce a quell'osservazione.

Carissimo zio,218

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sento di averti creato dei problemi e che se avessi agito diversamente, questa terribile disgrazia non sarebbe mai avvenuta. Con questo pensiero nella mente, non potrò mai più essere felice sotto il tuo tetto e sento che devo lasciarti per sempre. Non preoccuparti per il mio futuro, perché si è provveduto e soprattutto non cercarmi, perché sarebbe una fatica infrut­tuosa e un pessimo favore per me. Nelle vita o nella morte, sarò sempre la tua affezionata Mary.

- Cosa può significare questo biglietto, signor Holmes? Pensate che si riferisca al suicidio?

- No, no, niente del genere. Forse è la soluzione migliore. Credo, signor Holder, che siate vicino alla fine di tutti i vostri guai.

- Ah, dite così? Avete saputo qualcosa, signor Holmes? Avete saputo qualcosa? Dove sono le gemme?

- Non penserete che mille sterline per ciascuna è una somma eccessiva?- Ne pagherò dieci.- Non sarebbe necessario. Tremila basteranno. E immagino che ci sarà

una piccola ricompensa. Avete il vostro libretto degli assegni? Ecco una penna. Meglio farlo di quattromila.

Con una faccia stupita il banchiere emise l'assegno richiesto. Holmes andò verso la scrivania, tolse un pezzetto triangolare d'oro con le tre gem­me e lo mise sul tavolo.

Il nostro cliente lo afferrò con un grido di gioia.- L'avete! - esclamò. - Sono salvo! Salvo!La reazione di gioia fu appassionata come lo era stata quella di dolore e

lui strinse al petto le gemme recuperate.- Avete un altro debito, signor Holder - disse Sherlock Holmes dopo,

piuttosto severamente.- Quanto vi devo? - Prese una penna. - Dite la somma e ve la pagherò.- No, il debito non è verso di me. Voi dovete le vostre umilissime scuse

a quel nobile ragazzo che è vostro figlio che in questo frangente ha agito come sarei orgoglioso di veder fare da mio figlio, se ne dovessi mai avere uno.

- Allora non è stato Arthur a prenderle?- Ve lo dissi ieri e ve lo ripeto ora che non è stato lui.- Ne siete sicuro? Allora andiamo subito da lui e facciamogli sapere che

la verità è venuta a galla.- Lo sa già. Quando avevo chiarito tutto, ho avuto un colloquio con lui e

scoprendo che lui non mi avrebbe raccontato la storia, gliela dissi io; per­219

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tanto quindi lui ha dovuto confessare che avevo ragione e ha dovuto ag­giungere i pochissimi dettagli che non mi erano del tutto chiari. Tuttavia le vostre notizie di stamani potrebbero farlo parlare.

- Per l'amor del cielo, ditemi, cos'è questo straordinario mistero?- Ve lo dirò e vi svelerò i passi che ho seguito per arrivarci. E innanzitut­

to permettete che vi dica che per me è faticoso dirvelo e per voi sarà ancor più duro sentirlo. C'è stata un'intesa fra Sir George Burnwell e vostra nipo­te Mary. Sono fuggiti insieme.

- La mia Mary? È impossibile!- Sfortunatamente è più che possibile, è certo. Né voi né vostro figlio

conoscevate la vera reputazione di quest'uomo quando lo introduceste nella cerchia della vostra famiglia. È uno degli uomini più pericolosi d'Inghilter­ra, un giocatore d'azzardo in rovina, un furfante assolutamente disperato, un uomo senza cuore e senza coscienza. Vostra nipote non sapeva nulla di uomini simili. Quando lui le ha fatto delle promesse come le aveva fatte a un centinaio prima di lei, lei si senti compiaciuta del fatto che solo lei gli aveva toccato il cuore. Il diavolo sa meglio quel che disse, ma intanto lei era diventata il suo strumento e lo vedeva quasi ogni sera.

- Non posso e non voglio crederlo! - gridò il banchiere, con volto cine­reo.

- Allora vi racconterò quel che è accaduto in casa vostra la scorsa sera. Vostra nipote, quando, come lei pensava, eravate andato nella vostra came­ra, scappò fuori per parlare con il suo amante attraverso la finestra che por­ta sul viottolo delle stalle. Le impronte dell'uomo erano perfettamente im­presse nella neve dal momento che lui si era trattenuto a lungo. Lei gli par­lò del diadema. La sua malvagia lussuria lo eccitò a quelle notizie e lui la piegò alla sua volontà. Non ho alcun dubbio che lei vi amasse, ma ci sono donne in cui l'amore per un amante annulla tutti gli altri affetti, e credo che debba essere stato il suo caso. Aveva appena sentito le sue istruzioni quan­do lei vi vide scendere, così chiuse la finestra e vi disse che una delle ca­meriere era fuggita con il suo amante con una gamba di legno, il che era assolutamente vero.

"Vostro figlio Arthur andò a letto dopo il suo colloquio con voi, ma dor­mì male a causa dell'inquietudine dovuta ai debiti al circolo. Nel mezzo della notte lui sentì un passo leggero superare la sua porta, così si alzò e guardò fuori, meravigliandosi di vedere che la cugina ,che camminava fur­tivamente lungo il corridoio, era scomparsa nel vostro guardaroba.

Pietrificato per la sorpresa il ragazzo infilò i vestiti e attese là al buio per 220

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vedere quel che ne sarebbe stato di quella strana faccenda. Infine lei uscì dalla stanza e alla luce del corridoio vostro figlio vide che teneva fra le mani il prezioso diadema. Scese le scale, e lui, tremando per la paura, la se­guì e si nascose dietro una tenda vicino alla vostra porta dove vide quel che accadeva nel corridoio sottostante. La vide aprire furtivamente la finestra, porgere il diadema a qualcuno nell'oscurità e poi richiuderla subito per tor­nare in fretta nella sua stanza, superando con calma il punto in cui lui era nascosto dietro la tenda.

"Finché lei fu in scena, lui non riuscì ad agire, rendendosi conto della terribile denuncia che avrebbe comportato nei confronti della donna che amava, ma nell'attimo in cui lei se ne fu andata, lui si rese conto che di­sgrazia sarebbe stata per voi e quant'era importante intervenire. Scese di corsa, come si trovava, cioè a piedi nudi, aprì la finestra, saltò fuori sulla neve e corse per il viottolo dove al chiarore della luna poté distinguere una sagoma scura, Sir George Burnwell che tentava di fuggire; allora Arthur lo afferrò, e fra loro ci fu una lotta, mentre il vostro ragazzo era attaccato a un lato del diadema e il suo avversario all'altro. Nella rissa, vostro figlio colpì Sir George e lo tagliò sopra un occhio. Poi all'improvviso qualcosa si spez­zò e vostro figlio scoprendo di avere fra le mani il diadema, corse indietro, chiuse la finestra, salì nella vostra stanza e aveva appena osservato che il diadema era stato contorto durante la disputa e tentava di raddrizzarlo quando voi appariste sulla scena.

- È possibile? - ansimò il banchiere.- Poi voi suscitaste la sua rabbia chiamandolo con quegli epiteti nel mo­

mento in cui lui sentiva di meritare tutta la vostra stima. Non poteva spie­gare la situazione reale della faccenda senza tradire qualcuno per cui certa­mente aveva riservato una qualche considerazione, quindi seguì il modo più cavalleresco di mantenere il segreto.

- Quello fu il motivo per cui lei urlò e svenne quando vide il diadema - urlò il signor Holder. - Oh, mio Dio. Che cieco! E lui che mi aveva chiesto di uscire cinque minuti! Quel caro ragazzo voleva vedere se il pezzo man­cante era ancora sul luogo della lotta. Come l'ho giudicato crudelmente!

- Quando sono arrivato alla casa - riprese Holmes - feci subito un giro accurato intorno ad essa per vedere se nella neve erano rimaste delle tracce che avrebbero potuto aiutarmi. Sapevo che non ne era caduta dalla sera pri­ma e che c'era stato un gelo intenso che aveva conservato le orme. Passai lungo il sentiero dei commercianti e le trovai tutte calpestate e irriconosci­bili. Ma subito dopo, dal lato della porta della cucina vidi che un uomo e

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una donna si erano fermati a parlare, e le orme rotonde da una parte dimo­stravano che lui aveva una gamba di legno. Potrei perfino dire che erano stati disturbati perché la donna era corsa velocemente alla porta, come era evidente dalla tomaia profonda e dal tacco leggero, mentre "Gamba di le­gno" aveva atteso un po' e poi si era allontanato. Allora credetti che fosse la cameriera con il fidanzato di cui mi avete già parlato e che l'indagine ha messo in chiaro.

"Sono andato nel giardino e c'erano solo delle tracce sporadiche, che pensai fossero quelle della polizia, ma quando raggiunsi il viottolo della stalla dinanzi a me si presentò una lunga e complessa storia scritta sulla neve. C'era una doppia fila di tracce di un uomo con gli stivali e un'altra doppia riga che vidi con piacere che apparteneva a un uomo dai piedi nudi.

"Subito mi convinsi di quel che mi avevate detto, che il secondo era vo­stro figlio. Il primo aveva camminato in entrambe le direzioni, ma l'altro aveva corso rapidamente e siccome il suo passo era segnato in alcuni punti sulla depressione dello stivale, era ovvio che lui era passato dopo l'altro. Li seguii e vidi che portavano alla finestra del corridoio, dove colui che porta­va gli stivali aveva schiacciato tutta la neve durante l'attesa. Poi andai al­l'altro capo che distava qualche decina di metri e più giù sul viottolo. Vidi che l'uomo con gli stivali si era voltato, dove la neve era rovinata come se ci fosse stata una disputa, e infine dov'erano cadute alcune gocce di sangue. Colui che portava gli stivali aveva corso per il viottolo e un'altra piccola traccia di sangue diceva che era lui che era stato ferito. Quando giunsi sulla strada maestra dall'altro lato, scoprii che il marciapiede era stato pulito e quindi la traccia era finita.

"Entrando in casa esaminai, come voi ricorderete, il davanzale e il telaio della finestra del corridoio e potei notare subito che era passato qualcuno. Potei distinguere i contorni di un'impronta di un collo di scarpa dove era stato appoggiato il piede bagnato entrando. Allora iniziai a farmi un'idea di quel che era accaduto. Un uomo aveva atteso fuori dalla finestra, qualcuno aveva portato le gemme e la scena era stata seguita da vostro figlio. Lui lo aveva inseguito, si erano attaccati al diadema, e le loro forze congiunte avevano causato i danni che uno solo non avrebbe potuto provocare. Era tornato con l'oggetto per cui aveva lottato, ma un frammento era rimasto nella presa del suo avversario. Fin qui era tu chiaro, ma adesso mi chiede­vo chi fosse l'uomo e chi gli aveva portato il diadema.

"È una mia vecchia massima che quando avete escluso l'impossibile, quel che rimane, anche se improbabile, dev'essere la verità. Sapevo che

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non eravate stato voi, pertanto rimanevano vostra nipote e le cameriere. Ma se erano state loro, perché vostro figlio consentiva di essere accusato al loro posto? Non ci poteva essere una ragione possibile. Siccome amava la cugina, si spiegava perfettamente il motivo per cui lui avrebbe mantenuto il segreto, tanto più che si trattava di un segreto tanto ignobile. Quando ricor­dai che voi l'avevate vista alla finestra e che era svenuta ancora alla vista del diadema, la mia supposizione diventò una certezza.

"Ma chi poteva essere il suo complice? Ovviamente un amante, per chi altri avrebbe potuto superare l'amore e la gratitudine che sentiva per voi? Sapevo che voi uscivate poco e che la vostra cerchia d'amici era molto li­mitata, ma fra loro c'era Sir George Burnwell. Avevo già sentito parlare di lui in passato per la pessima fama fra le donne. Doveva aver calzato lui quegli stivali e trattenuto le gemme. Sebbene sapesse che Arthur l'aveva scoperto, poteva ancora vantare di essere in salvo, perché il ragazzo non avrebbe potuto dire una parola senza compromettere la stessa famiglia.

"Poi il vostro buon senso suggerì che misure avrei dovuto prendere. Nei panni di un fannullone mi sono recato alla casa di Sir George, ho cercato di far conoscenza con il suo domestico, e ho saputo che la sera prima si era tagliato la testa e infine per pochi spiccioli ho avuto un paio di scarpe di­strutte. Con queste sono tornato a Streatham e ho visto che corrispondeva­no esattamente alle tracce."

- Ieri sera ho visto un vagabondo cencioso - disse il signor Holder.- Precisamente. Ero io. Scoprii di avere il mio uomo così tornai a casa e

cambiai gli abiti. Allora dovevo recitare una parte delicata perché sapevo si sarebbe dovuto evitare un processo per non sollevare uno scandalo e sape­vo che un furfante tanto astuto avrebbe capito che le nostre mani erano le­gate a quella faccenda. Andai a trovarlo. Dapprima, naturalmente negò tut­to, ma quando gli raccontai ogni dettaglio di quel che era accaduto, cercò di gridare e di prendere un bastone sfollagente dal muro. Ma io conoscevo il mio uomo e gli puntai una pistola alla testa prima che potesse colpire. Poi divenne più ragionevole. Gli dissi che gli avremmo offerto del denaro per le pietre che teneva, mille sterline per pezzo. Ciò mise in evidenza i primi segni di dolore che aveva mostrato. "Ve le cederò per seicento tutte e tre."

Riuscii a ottenere subito l'indirizzo di chi le aveva, promettendogli che non ci sarebbe stato alcun processo. Andai da lui, e dopo molto mercanteg­giare le ebbi per mille sterline al pezzo. Poi tornai da vostro figlio e gli dis­si che era tutto in ordine e infine verso le due me ne andai a letto, dopo

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quella che potrei definire una giornata di duro lavoro.- Una giornata che ha salvato l'Inghilterra da un grande scandalo pubbli­

co - ammise il banchiere, alzandosi. - Signore, non posso trovare le parole per ringraziarvi, ma non sarò ingrato per quel che avete fatto. La vostra abilità ha superato quel che avevo sentito su di voi. E adesso devo volare dal mio caro ragazzo per porgergli le scuse per il torto che gli ho fatto. Per quel che riguarda la povera Mary, sono veramente addolorato. Neppure la vostra destrezza potrà dirmi dove si trova ora.

- Credo di poter dire con certezza - rispose Holmes - che lei è sempre dove si trova Sir George Burnwell. Ma è altrettanto certo che qualsiasi sia­no stati i suoi peccati, lei sarà presto punita più che a sufficienza.

L'avventura dei Faggi Rossi(The Adventure of the Copper Beeches)«A chi ama l'arte per se stessa» osservò Sherlock Holmes, mettendo via

la pagina con gli annunci pubblicitari del Daily Telegraph «piacciono di più gli aspetti meno importanti. E voi, caro Watson, appartenete a questa schiera; ho notato che nei casi e nelle vicende che mi riguardano e di cui avete preso nota, magari abbellendoli un po', avete scartato le cause cele­bri, i processi clamorosi per porre l'accento sugli episodi, in apparenza ba­nali, che mi hanno permesso di esplicare quelle facoltà di deduzione e di sintesi logica che considero i miei pregi maggiori.»

«Tuttavia» risposi, sorridendo «non riesco a farmi assolvere del tutto dall'accusa di aver dato ai miei scritti l'impronta del sensazionale.»

Holmes afferrò con le molle un tizzone che ardeva nel caminetto, ci ac­cese la lunga pipa di legno di ciliegio che preferiva a quella di gesso quan­do era in uno stato d'animo più cavilloso che contemplativo e disse:

«Forse avete sbagliato cercando di aggiungere colore e vita in ciascuno degli episodi invece di limitarvi a registrare la rigida connessione tra causa ed effetto, che costituisce l'aspetto principale e più significativo delle no­stre imprese.»

«Quanto a questo, mi sembra di avervi reso piena giustizia» replicai con una certa freddezza perché consideravo l'egocentrismo una delle caratteri­stiche salienti del carattere del mio amico.

«No, non si tratta né di egoismo né di vanità» disse Holmes, come se mi avesse letto nel pensiero. «Se chiedo piena giustizia per la mia arte è per­ché è qualcosa di impersonale, al di fuori di me. Il crimine è una cosa co­

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mune, la logica è rara. Perciò è sulla logica e non sul crimine che dovete soffermarvi. Invece a volte avete trasformato in una serie di racconti ciò che avrebbe dovuto essere un corso di conferenze.»

Era una fredda mattina all'inizio della primavera e, dopo aver fatto cola­zione ce ne stavamo seduti davanti a un bel fuoco nel vecchio salotto di Baker Street. Una nebbia spessa aleggiava intorno alle lunghe file di case grigiastre le cui finestre sembravano occhiaie vuote. Nella nostra stanza la lampada a gas era accesa e illuminava la tovaglia, traeva lievi barbagli dal­le porcellane e dalle posate perché la tavola non era stata ancora sparec­chiata. Quella mattina Holmes era di umore poco ciarliero e non aveva fat­to che immergersi nella lettura delle colonne pubblicitarie di diversi gior­nali finché, abbandonate le sue ricerche, era emerso da quel silenzio con uno stato d'animo tutt'altro che disponibile per farmi un predicozzo sulle mie deficienze letterarie.

«Al tempo stesso» riprese dopo una pausa durante la quale aveva tirato lunghe boccate di fumo dalla sua pipa con lo sguardo fisso sul fuoco, «non posso neanche accusarvi di essere andato alla ricerca del sensazionale a ogni costo perché buona parte dei casi su cui avete scritto non riguardava delitti, non nel senso legale. Comunque, direi che, pur avendo evitato il sensazionale, a volte, siete sconfinato nel banale.»

«Forse il risultato è stato questo» risposi, «ma i metodi che ho usato mi sembravano nuovi e interessanti.»

«Be', mio caro, che importanza può avere questo per un pubblico super­ficiale e senza spirito di osservazione? E poi, se a volte siete caduto nella banalità non si può rimproverarvi perché il tempo dei casi clamorosi è or­mai finito. I criminali hanno perduto originalità e intraprendenza. Per quel che riguarda il mio campo d'azione, mi sembra che assomigli sempre più a quello di un'agenzia specializzata in ricerche di oggetti smarriti o in consi­gli alle giovani allieve di un collegio femminile. E oggi penso proprio di aver toccato il fondo, con questo biglietto che ho ricevuto poco fa. Legge­telo, prego.»

E, così dicendo, Holmes mi porse un foglio spiegazzato. La data era quella del giorno prima e il luogo di provenienza Montague Place. C'era scritto:

"Egregio signor Holmes,sono molto ansiosa di consultarvi prima di accettare o no il posto di

istitutrice che mi è stato offerto. Se non vi è di disturbo, verrò da voi do­mattina alle dieci e mezzo.

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Vostra Violet Hunter"«Conoscete questa signorina, Holmes?» chiesi.«No.»«Sono già le dieci e mezzo.»«Sì, e questa scampanellata è di certo la sua.»«Potrebbe trattarsi di qualcosa di più interessante di quanto pensiate, in

fondo. Ricordate la vicenda del carbonchio azzurro che in principio sem­brava roba da niente e poi è diventata un caso estremamente interessante? Può darsi che anche questa volta vada così.»

«Speriamo. Comunque i nostri dubbi si chiariranno presto perché, se non mi sbaglio, sta arrivando la persona in questione.»

Holmes aveva appena pronunciato quelle parole che la porta si aprì e una giovane donna entrò nella stanza. Era vestita semplicemente ma con cura, aveva un viso luminoso, espressivo, punteggiato di lentiggini e l'aria disinvolta di chi fin dalla prima gioventù ha dovuto farsi strada nel mondo con le proprie forze. A Holmes che si era alzato per salutarla, disse:

«Spero che mi scuserete per il disturbo, signor Holmes, ma purtroppo sono alle prese con un'esperienza decisamente insolita e, non avendo né amici né parenti a cui rivolgermi per un consiglio, ho pensato di ricorrere a voi.»

«Prego, sedetevi, signorina Hunter. Sarò felice di fare il possibile per aiutarvi.»

Notai che il mio amico era rimasto favorevolmente impressionato dai modi e dal linguaggio della nuova cliente. La osservò a lungo con aria scrutatrice, poi si dispose ad ascoltare il suo racconto con le palpebre soc­chiuse.

«Per cinque anni sono stata istitutrice presso la famiglia del colonnello Spencer Munro» cominciò la ragazza, «ma due mesi orsono il colonnello è stato trasferito ad Halifax, nella Nuova Scozia e i suoi figli lo hanno segui­to; così mi sono trovata senza lavoro. Ho messo degli annunci sui giornali, ho risposto a tutti quelli che ho trovato, invano. Alla fine il poco denaro che avevo messo da parte ha cominciato ad esaurirsi, tanto che non sapevo più come fare.

Nel West End c'è una nota agenzia di collocamento, la Westaway, e ci andavo una volta alla settimana con la speranza che ci fosse un lavoro adat­to alle mie capacità. Westaway è il nome del fondatore dell'agenzia, ma in realtà a mandarla avanti è la signorina Stoper. Se ne sta chiusa nel suo pic­colo ufficio e le ragazze in cerca d'impiego aspettano in anticamera; vengo­

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no introdotte una a una, la signorina consulta i registri e vede se c'è qualco­sa di conveniente per loro.

Bene, quando andai all'agenzia, la settimana scorsa, venni introdotta come al solito nell'ufficietto. Questa volta la signorina Stoper non era sola. Accanto a lei era seduto un uomo eccezionalmente robusto con un faccione sorridente e il doppio mento, occhialuto; quando entrai, costui mi lanciò un'occhiata, sobbalzò sulla sedia ed esclamò, rivolto alla signorina Stoper:

"Magnifico, magnifico! Non avrei potuto chiedere di meglio!"Sembrava entusiasta e si fregava le mani. Era un uomo dall'aspetto ras-

sicurante che faceva piacere guardare. Poi si rivolse a me e chiese:"Voi cercate un impiego, signorina?""Sì, signore.""Come istitutrice?" "Sì.""Quale salario chiedete?""Ricevevo quattro sterline al mese presso la famiglia del colonnello

Spencer Munro""Oh, via, questo è sfruttamento bello e buono" gridò il grassone, alzan­

do le braccia al cielo. "Come si può offrire una somma così ridicola a una ragazza con il vostro aspetto e le vostre doti?"

"Forse, signore, le mie doti sono minori di quanto pensiate" risposi. "Conosco un po' di francese e di tedesco, la musica, il disegno... "

"Basta, basta!" esclamò lui. "Tutto questo non ha la minima importanza. Il punto essenziale è questo: avete o no i metodi e il portamento di una vera signora? Questo è il nocciolo della faccenda. Se non possedete queste doti non siete all'altezza di educare un fanciullo che forse, un giorno, giocherà un ruolo importante nella storia del nostro paese. Se invece le possedete, come può un gentiluomo offrirvi uno stipendio inadeguato? Con me, signo­rina, comincereste con cento sterline all'anno."

Potete immaginare, signor Holmes, che per me, bisognosa com'ero, un'offerta del genere era una cosa di sogno; stentavo a crederci. Quel si­gnore dovette leggermi in viso l'incredulità, perché prese il portafogli e mi tese una banconota.

"È mia abitudine" disse, sorridendo così largamente che i suoi occhi di-ventarono due puntini scintillanti tra le pieghe del grasso "anticipare a co­loro che lavorano per me metà del salario, in modo che possano provvede­re alle piccole spese di viaggio e di guardaroba."

Non avevo mai incontrato, signor Holmes, un uomo così affascinante e generoso. Poiché ero già in debito con alcuni negozianti, quell'acconto mi

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era utilissimo; tuttavia c'era qualcosa di anormale in quella transazione e volli informarmi meglio prima di impegnarmi definitivamente.

"Posso chiedervi dove abitate, signore?" chiesi."Nell'Hampshire, in un posto di campagna, i Faggi Rossi, a cinque mi­

glia da Winchester. Sia il luogo che la vecchia casa di campagna sono il meglio che si possa desiderare, cara signorina."

"E quali sarebbero le mie mansioni, signore? Sarei lieta di sapere qual­cosa in proposito."

"Accudire un bambino, un simpatico monello di sei anni. Dovreste ve­dere come è bravo a uccidere gli scarafaggi con una pantofola. In un batter di ciglia è capace di farne fuori tre."

Il grassone si rovesciò all'indietro sulla sedia e rise. E di nuovo gli occhi quasi gli scomparvero nel grasso delle guance.

Mi sconcertò un poco il tipo di divertimento esercitato dal bambino, ma le risate del padre mi indussero a pensare che forse stava scherzando.

"Allora" dissi "i miei compiti si limiterebbero ad accudire un solo bam­bino?"

"No, non si tratta di questo soltanto, cara signorina" fu la risposta. "Do­vrete anche, come di sicuro il vostro buon senso vi suggerirà, obbedire agli ordini di mia moglie, purché, naturalmente, siano ordini che non intacchino la vostra dignità. Spero che non abbiate niente da obiettare."

"No certo, sarò lieta di rendermi utile.""Molto bene. Per quel che riguarda i vestiti, ad esempio: noi siamo gen­

te un po' stramba, sapete? Ma di buon cuore. Se vi chiedessimo di indossa­re un vestito che vogliamo darvi non vi opporreste a questo nostro piccolo capriccio, vero?"

"Be'... no" dissi, piuttosto stupita per quella richiesta."E sedervi da una parte piuttosto che da un'altra non vi spiacerebbe?""Oh no.""E acconsentireste a tagliarvi i capelli molto corti prima di trasferirvi da

noi?"Non credevo alle mie orecchie. Come avete notato, signor Holmes, i

miei capelli sono folti e abbondanti, di un bel colore castano dorato e tutti li hanno sempre lodati. Non mi sarei mai sognata di sacrificarli senza ra­gione.

"Temo che sia impossibile accondiscendere a questa richiesta" replicai.L'uomo, che fino a quel momento non mi aveva tolto gli occhi di dosso,

si oscurò in viso.228

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"Purtroppo questa è una condizione essenziale" disse. "È un innocuo ca­priccio di mia moglie e i capricci delle signore, mia cara, bisogna rispettar­li. Così, non intendete tagliarvi i capelli?"

"No, signore, proprio non potrei" risposi, altrettanto decisa."Bene, allora non c'è altro da dire; peccato, perché voi eravate proprio la

persona che cercavo. Vi prego, signorina Stoper, mostratemi qualche altra ragazza."

La signorina fino a quel momento se n'era stata china sulle sue carte senza intervenire nel colloquio, ma quando sentì che rifiutavo mi lanciò un'occhiata piena di risentimento; pensai che la mia risposta negativa le fa­ceva perdere una buona percentuale sull'affare. Poi mi chiese:

"Volete che il vostro nome continui a comparire sui nostri registri?""Se non vi dispiace, signorina Stoper, sì.""In realtà mi sembra inutile; visto che rifiutate delle eccellenti offerte"

ribatté con asprezza lei. "Non pretenderete che continuiamo a darci daffare per trovarvi un altro impiego. Buongiorno, signorina Hunter."

Percosse il gong che teneva sul tavolo e mi fece accompagnare alla por­ta da un fattorino.

Bene, signor Holmes, quando tornai al mio alloggio e trovai la dispensa vuota e diversi conti da saldare sul tavolo, cominciai a chiedermi se non avessi agito da stupida. Dopotutto, se quella gente aveva delle strane manie e chiedeva obbedienza su bizzarri particolari, era anche pronta a pagare lautamente la propria eccentricità. Ben poche istitutrici, in Inghilterra, ven­gono pagate cento sterline l'anno. Inoltre, a che mi servivano i miei capelli? Ci sono tante donne a cui i capelli corti donano e forse io sarei stata tra quelle.

Il giorno seguente ero già convinta di aver commesso un errore e quello dopo ancora ero amaramente pentita. Ero sul punto di passar sopra al mio orgoglio e tornare all'agenzia per chiedere se quel posto era ancora disponi­bile, quando ricevetti questa lettera di pugno del grassone. L'ho portata con me e ve la leggerò:

"Gentile signorina Hunter,la signorina Stoper mi ha gentilmente dato il vostro indirizzo e vi scrivo

per chiedervi se non siete per caso tornata sulle vostre decisioni. Mia mo­glie è ansiosa di avervi tra noi dopo che vi ho descritta con tanto entusia­smo. Siamo disposti a offrivi trenta sterline a trimestre, vale a dire cento­venti all'anno, per ricompensarvi dei piccoli fastidi che potrebbero causar­vi i nostri ghiribizzi. Dopotutto, non siamo poi tanto esigenti. Mia moglie

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ha una predilezione particolare per il colore blu elettrico e gradirebbe che voi indossaste un vestito di quella tinta, in casa, la mattina. Non dovete però spendere per procurarvelo, ne abbiamo già uno di mia figlia Alice, che ora si trova a Filadelfia, che penso vi andrebbe a pennello. Quanto a sedervi in un posto o in un altro e comportarvi nei modi cui vi ho accenna­to, penso che non avrete difficoltà. Riguardo ai capelli è un peccato sacri­ficarli, ho notato quanto fossero belli durante il nostro colloquio, ma pur­troppo su questo punto non posso transigere. Mi auguro comunque che l'aumento di stipendio vi ripaghi della perdita che vi impongo. I vostri do­veri nei riguardi del bambino, poi, saranno tutt'altro che gravosi. Spero proprio di vedervi presto ai Faggi Rossi; fatemi sapere l'orario del treno e sarò ad aspettarvi a Winchester con il calesse.

Vostro devotissimo Jephro Rucastle"Questa è la lettera che ho appena ricevuto, signor Holmes e penso pro­

prio che accetterò quel posto. Però, prima di fare il passo definitivo, ho vo­luto sottoporvi il caso.»

«Be', signorina Hunter, se avete deciso di andare, la questione è chiusa» disse Holmes con un sorriso.

«Voi mi consigliereste di rifiutare?»«Confesso che non è una situazione che mi sembrerebbe valida per una

sorella, se ne avessi.»«Che cosa pensate di tutto questo?»«Non ho dati sufficienti per pronunciarmi. E voi, vi siete già formata

un'opinione?»«Mah, a me sembra che ci sia un'unica spiegazione. Il signor Rucastle

mi è sembrato un uomo molto gentile, di buon carattere, ma forse sua mo­glie è un po' pazza e lui, per paura che venga rinchiusa in manicomio cerca di assecondare le sue manie impedendole così di entrare in crisi.»

«Questa è un'ipotesi accettabile, per la verità e, così come stanno le cose, la più attendibile. Ma continuo a pensare che quel posto non è adatto a una personcina come voi.»

«Ma, signor Holmes, il denaro è tanto!»«Certo, lo stipendio è buono, troppo buono, direi. È questo che mi im-

pensierisce. Perché darvi centoventi sterline all'anno quando avrebbero po­tuto avervi per quaranta? Dev'esserci qualche grave ragione per agire così.»

«Ho pensato di sottoporvi i miei problemi, prima di accettare, in modo che, se in seguito avessi bisogno di aiuto, voi non rifiutereste di interveni­

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re. Mi sentirei più protetta e sicura se sapessi di poter contare sul vostro ap­poggio.»

«Su questo non ci sono dubbi. Vi assicuro che il vostro piccolo proble­ma si sta rivelando il più interessante di tutti quelli che mi si sono presenta­ti negli ultimi mesi. Se vi trovaste in dubbio o in pericolo...»

«Pericolo! Prevedete che dovrò correrne?»Holmes scosse la testa.«Non ci sarebbe pericolo se potessimo prevederlo» disse. «Comunque

basterà che mi inviate un telegramma a qualsiasi ora del giorno o della not­te e io accorrerò al vostro fianco.»

La ragazza si alzò, con un'aria più serena, ora.«Questo mi basta, signor Holmes, per recarmi nell'Hampshire senza più

problemi. Scriverò subito al signor Rucastle, stasera stessa mi taglierò i ca­pelli e poi raggiungerò il mio nuovo posto di lavoro.»

Aggiunse qualche frase di ringraziamento, ci salutò con garbo e se ne andò verso il suo destino.

«Fortuna» dissi, mentre i suoi passi si allontanavano giù per le scale «che mi sembra una ragazza in grado di cavarsela benissimo da sola.»

«E dovrà farlo» disse Holmes con aria pensosa. «Se non mi sbaglio, en­tro breve tempo avremo sue notizie.»

Le previsioni del mio amico come al solito si avverarono, e piuttosto presto. Trascorsero quindici giorni durante i quali il mio pensiero corse spesso alla ragazza. Mi chiedevo a quale strana esperienza fosse andata in­contro. Lo stipendio troppo alto, le strane condizioni, le mansioni indefini­te, tutto induceva a pensare che ci fosse sotto qualcosa di anormale; non sa­pevo se si trattasse di innocenti manie o di un vero e proprio complotto, se l'uomo grasso fosse un filantropo o un mascalzone.

Quanto a Holmes, spesso se ne stava seduto a lungo, con la fronte corru­gata e l'aria assorta, ma ogni volta che accennavo alla ragazza, mi inter­rompeva con un brusco gesto della mano.

«Ci vogliono dei dati, dei dati!» esclamava. «Non posso costruire matto­ni senza argilla.»

E ogni volta concludeva borbottando che, se avesse avuto una sorella, mai le avrebbe permesso di accettare un posto di lavoro del genere.

Il telegramma che alla fine ricevemmo arrivò una sera sul tardi, quando io già pensavo di andare a letto e Holmes stava per concedersi a una delle sue esperienze predilette nel campo della chimica che di solito lo tenevano occupato per tutta la notte tra storte e alambicchi. Fu lui ad aprire il tele­

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gramma e dopo aver dato un'occhiata al contenuto, me lo porse.L'appello era breve, incalzante."Trovatevi all'Hotel Black Swan Winchester domani a mezzogiorno.Venite, vi supplico. Non resisto più.Hunter"«Date un'occhiata all'orario dei treni» mi disse Holmes.E tornò ai suoi esperimenti. Dopo un po', alzando lo sguardo, aggiunse:«Volete venire con me?»«Sì, mi piacerebbe.»«Allora sbrigatevi con l'orario.»«C'è un treno alle nove e mezzo» risposi. «Arriva a Winchester alle un­

dici e mezzo.»«Benissimo. Ora andiamo a riposare, domattina avremo bisogno di tutte

le nostre energie.»Alle undici del giorno seguente avevamo percorso buona parte del tra­

gitto. Holmes si era immerso nella lettura dei giornali ma quando fummo abbastanza vicini alla meta li mise da parte per ammirare il paesaggio.

Era una magnifica giornata di primavera, il cielo era limpido a parte qualche nuvoletta sfioccata, il sole splendeva e c'era nell'aria qualcosa di esilarante, di frizzante che affilava le energie. Qua e là i tetti rossi delle fat­torie emergevano dal verde delle foglie nuove.

«Non è splendido, tutto questo?» esclamai con l'entusiasmo di un citta­dino che si è appena lasciato alle spalle nebbia e fumo.

Holmes scosse la testa.«Per una mente analitica come la mia, Watson, qualsiasi particolare per­

de di importanza se non è legato all'interesse principale del momento. Voi, invece, guardando quelle casette dai tetti rossi, vi commuovete.»

«Certo non mi fanno pensare a un delitto!»«In me invece suscitano un certo orrore. L'esperienza mi suggerisce che

nei vicoli più malfamati di Londra non si consumano tanti delitti quanto in questo paesaggio così bello e sereno.»

«Holmes, volete spaventarmi!»«Il motivo è ovvio. Il peso della pubblica opinione, in città, può ottenere

ciò che la legge non riesce a raggiungere. Non c'è viuzza, neanche la più sordida, dove le grida di un bambino torturato o le invocazioni di un ubria­co percosso non suscitino la pietà e lo sdegno dei vicini e inoltre l'ingra­naggio della forza pubblica è talmente vicino che basta una parola di prote­sta per metterlo in moto e tra il crimine e il banco degli accusati il passo è

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breve. Ma guardate quelle case solitarie, isolate, abitate da gente ignorante che conosce ben poco la legge. Pensate a quante azioni malvagie possono proliferare là dentro. Se la ragazza che ha chiesto il nostro aiuto fosse an­data a vivere a Winchester, non avrei avuto paura per lei neanche un atti­mo. Ma queste cinque miglia di aperta campagna costituiscono un pericolo. Tuttavia è chiaro che lei non è minacciata personalmente.»

«No certo. Se può venire a prenderci a Winchester, questo significa che è in grado di muoversi liberamente.»

«Giusto.»«Allora, qual è il suo scopo? Quale spiegazione suggerite?»«Ho escogitato sette spiegazioni diverse e ciascuna potrebbe essere

quella giusta, però, prima di pronunciarmi, ho bisogno di altre informazio­ni che avremo senza dubbio una volta incontrata la ragazza. Bene, ecco la torre della cattedrale, tra poco sapremo tutto ciò che ci interessa dalla viva voce della signorina Hunter.»

Il Black Swan è una rinomata locanda a pochi passi della stazione e là trovammo la ragazza che ci aspettava. Aveva prenotato un salottino e la co-lazione era già in tavola.

«Sono felice di vedervi» disse in tono sincero. «Siete venuti tutti e due! Non so più come comportarmi e i vostri consigli mi saranno preziosi.»

«Diteci che cosa vi è accaduto.»«Lo farò e in fretta, anche. Ho promesso al signor Rucastle di essere di

ritorno entro le tre. Mi ha dato il permesso di uscire, ma non sa per quale ragione.»

«Diteci tutto con ordine» consigliò Holmes.Holmes allungò le lunghe gambe verso il fuoco e si preparò ad ascolta­

re.«Prima di tutto devo ammettere che, nel complesso, non ho ricevuto un

cattivo trattamento dal signore e dalla signora Rucastle. Questo glielo devo. Ma non riesco a capirli e non mi sento a mio agio con loro.»

«Che cosa non riuscite a capire, signorina?»«Le ragioni della loro condotta. Cercherò di spiegarmi meglio. Quando

arrivai, il signor Rucastle mi aspettava alla stazione con il calesse e mi con­dusse ai Faggi Rossi. La casa è ben situata, ma non si può certo definirla bella: è un grande edificio quadrato, imbiancato a calce ma tutto chiazzato di muffa e umidità. Ci sono ampi terreni tutto intorno, boschi su tre lati e sul quarto un campo che scende verso la strada maestra per Southampton lontana appena un centinaio di metri dall'ingresso principale. Il campo fa

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parte della proprietà ma i boschi tutto intorno appartengono alla riserva di caccia di lord Southerton. Un folto gruppo di faggi rossi davanti all'entrata della casa ha dato il nome al luogo.

Il signor Rucastle, gentile come sempre, mi accompagnò fin là e quella sera stessa mi presentò a sua moglie e al bambino. Non corrisponde a veri­tà, signor Holmes, la supposizione che facemmo quando venni a trovarvi in Baker Street. La signora Rucastle non è pazza. È una donna pallida e silen­ziosa, molto più giovane del marito, direi che è sui trent'anni mentre lui ne ha almeno quarantacinque. Dai loro discorsi ho capito che devono essere sposati da circa sette anni, che lui era vedovo e che l'unica figlia avuta dal­la prima moglie è quella ragazza che si è recata a Filadelfia. Il signor Ruca­stle mi confidò in privato che era partita perché provava una profonda av­versione per la matrigna. Capisco che per una ragazza sui vent'anni, la con­vivenza con la giovane seconda moglie del padre fosse spiacevole.

La signora Rucastle mi è sembrata scialba nel carattere come nell'aspet­to, ma affezionatissima al marito e al bambino. I suoi occhi grigi li seguono di continuo, intuendo ogni loro minimo desiderio e cercando di prevenirlo, se possibile. Il signor Rucastle è sempre gentile con la moglie alla sua ma­niera chiassosa e un po' gradassa e nel complesso quei due sembrano una coppia felice. Tuttavia, quella donna deve avere qualche pena segreta. Spesso si perde in profondi pensieri e sul suo viso si dipinge una grande tristezza. Più di una volta l'ho sorpresa in lacrime; ho pensato che fosse il carattere di suo figlio, un ragazzino maligno e viziato, a tormentarla. Il rampollo è piccolo di statura con una testa grande, sproporzionata, alterna momenti di violenta collera ad altri di cupa malinconia e il suo maggior di­vertimento consiste nel tormentare qualsiasi creatura più debole di lui; mo­stra un autentico talento nel catturare topolini, uccelli e insetti. E ora chiu­do con questo bambino che ha ben poco peso nella mia storia.»

«Io gradisco conoscere ogni particolare, signorina Hunter.»«Bene, cercherò di non tralasciare niente. L'unica cosa sgradevole, in

quella casa, quella che più mi ha colpito fin dal principio è l'aspetto e il comportamento della servitù. I domestici sono solo due, marito e moglie. Lui, di nome Toller, è un uomo rozzo e massiccio, con capelli e baffi grigi e un alito che puzza di alcool lontano un miglio; per ben due volte l'ho ve­duto ubriaco, ma il signor Rucastle non sembra farci caso.

La moglie di Toller è alta, robusta, con una faccia arcigna, taciturna come la sua padrona ma molto meno affabile. Insomma, una coppia sgra­devole; per fortuna io passo la maggior parte del mio tempo nella stanza

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del bambino o nella mia camera che sono attigue, situate nella stessa ala della casa.

Per due giorni, dopo il mio arrivo ai Faggi Rossi, tutto è filato liscio. Il terzo giorno la signora Rucastle è scesa subito dopo colazione e ha sussur­rato qualcosa al marito.

"Oh, sì, certo" ha risposto lui. Poi, rivolgendosi a me, ha proseguito: "Vi siamo molto grati, signorina, per aver accettato di tagliarvi i capelli. Vi as­sicuro che la nuova pettinatura vi dona moltissimo. Ora vorremmo che in­dossaste l'abito blu elettrico. Lo troverete in camera vostra, sul letto."

Il vestito c'era e aveva una tonalità di blu molto particolare; il tessuto era di grande pregio, ma si vedeva che quel capo era già stato indossato molte volte. Incredibile a dirsi, ma sembrava fatto su misura proprio per me.

Quando scesi dabbasso, dopo averlo indossato, i Rucastle dimostrarono un entusiasmo esagerato e mi guidarono nel salotto, una stanza vastissima che si estende lungo tutta la facciata della casa, illuminata da tre grandi porte finestre. Accanto a quella di mezzo c'era una sedia, con lo schienale rivolto verso l'esterno. Il signor Rucastle mi chiese di sedermi lì e poi co­minciò a passeggiare su e giù e a raccontare una quantità di storie tra le più divertenti che io abbia mai udito. Quell'uomo ha un'autentica vena comica e mi fece ridere fino alle lacrime. La signora Rucastle deve essere del tutto priva del senso dell'umorismo perché non sorrise neanche una volta e rima­se seduta, con le mani in grembo e lo sguardo perso nel vuoto.

Dopo un'ora circa, il signor Rucastle, di botto, disse che era giunto il momento di cominciare a lavorare: potevo cambiarmi d'abito e raggiungere il piccolo Edward nella sua stanza.

Due giorni dopo si ripeté la stessa storia nelle stesse circostanze. Indos­sai di nuovo l'abito blu elettrico, mi sedetti di nuovo sulla sedia accanto alla finestra centrale e mi divertii alle buffe storielle di cui il signor Ruca­stle sembrava avere un repertorio inesauribile. Poi lui mi dette un libro, un romanzo e, spostando un poco la sedia in modo che la mia ombra non offu­scasse le pagine, mi pregò di leggere ad alta voce. Lo feci per una decina di minuti, poi, d'improvviso, interrompendomi a metà di una frase, il signor Rucastle disse che bastava così: potevo salire in camera mia e cambiarmi d'abito.

Tutte queste stranezze mi avevano incuriosita e, più di tutte, il fatto che la sedia era sempre disposta in modo che voltassi le spalle all'esterno. Bru­ciavo dalla voglia di scoprire che cosa ci fosse là fuori e, pensa e ripensa,

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trovai il modo. Il mio specchietto si era rotto; ne nascosi un frammento nel fazzoletto poi, alla prima occasione, fingendo di asciugarmi le lacrime per le risa suscitate da una battuta particolarmente spassosa del mio padrone, mi portai il fazzoletto agli occhi e riuscii con quell'accorgimento a vedere che cosa c'era dietro di me. Confesso che rimasi delusa: non c'era niente di speciale. Lanciai un'altra occhiata e finalmente notai qualcosa: un uomo fermo sulla Southampton Road, un uomo snello, barbuto, vestito di grigio che sembrava guardare nella mia direzione. Quella strada è molto traffica­ta, affollata, ma l'uomo in grigio, immobile, appoggiato alla palizzata che delimita il campo, fissava intensamente la finestra davanti alla quale io ero seduta. Riposi il fazzoletto e notai che la signora Rucastle mi stava osser­vando con aria sospettosa. Non disse niente, ma di sicuro aveva notato che tenevo in mano lo specchio e che lo avevo manovrato per guardarmi alle spalle perché subito si alzò.

"Jephro" disse "c'è un impertinente fermo in strada che sta osservando la signorina Hunter."

"È forse un amico vostro, signorina?" mi chiese Rucastle."No. Non conosco nessuno da queste parti.""Diamine, che sfacciato! Giratevi, per favore, e fategli capire che deve

andarsene.""Non sarebbe meglio ignorarlo, signore?""No, continuerebbe ad aggirarsi nei dintorni. Per favore, giratevi e fate­

gli cenno di allontanarsi."Obbedii. Subito dopo la signora Rucastle chiuse le imposte. Tutto que­

sto è accaduto una settimana fa, e da allora non mi hanno più chiesto di se­dermi alla finestra, non ho più indossato il vestito azzurro né visto l'uomo in grigio fermo sulla strada.»

«Continuate, per favore» disse Holmes. «Il vostro racconto diventa sem­pre più interessante.»

«Temo che lo troverete un po' sconnesso, non attinente al nocciolo della faccenda. Bene, il giorno stesso del mio arrivo ai Faggi Rossi il signor Ru­castle mi condusse in una piccola rimessa attigua alla porta della cucina. Mentre ci avvicinavamo, udii un forte rumore di catene e un suono fondo, come se un grosso animale si muovesse.

"Guardate" disse il signor Rucastle, indicandomi una fessura tra due assi. "Non è una bellezza?"

Detti una sbirciatina e intravidi due occhi di brace, una forma indistinta accovacciata in un angolo buio. Mi tirai indietro con un moto di spavento.

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"Niente paura" mi rassicurò il mio datore di lavoro, ridendo della mia reazione. "Quello è Carlo, il mio mastino. Cioè, non appartiene proprio a me ma a Toller, il domestico, la sola persona che riesce a farsi obbedire davvero. Gli diamo un solo pasto al giorno, e neanche abbondante, in modo che sia sempre vigile e aggressivo. Toller lo mette in libertà ogni sera e che Dio protegga chi osa avventurarsi da queste parti. Anche voi non do­vrete metter piede fuori di casa, al buio, rischiereste la vita."

Due notti più tardi mi resi conto della grande utilità di quell'avvertimen­to. Stavo guardando dalla mia finestra il paesaggio splendidamente illumi­nato dalla luna quando vidi qualcosa muoversi all'ombra dei faggi e poi inoltrarsi nel prato. Era un cane enorme, alto come un vitello, con il pelo fulvo, la mascella cadente, il muso nero. Nonostante la forte struttura ossea era magrissimo, quasi scheletrico. Attraversò lentamente il prato e scom­parve nell'ombra dalla parte opposta. Quella spaventosa sentinella mi fece rabbrividire: la vista di un ladro mi avrebbe sicuramente spaventata di meno.

A questo punto ho da raccontarvi un'altra stranissima esperienza. Come sapete, mi ero tagliata i capelli a Londra e avevo riposto i miei poveri ric­cioli in fondo a un baule. Una sera, dopo che il bambino si era coricato, tanto per far qualcosa mi misi a esaminare i mobili della mia stanza e a riordinare le mie cose. C'era in un angolo un vecchio cassettone a tre cas­setti; i due più in alto erano vuoti e aperti, quello in basso era chiuso a chiave. Avevo già riempito con la mia biancheria i cassetti vuoti ma avevo ancora una quantità di cose da riporre e mi infastidiva non poter usare il terzo. Supposi che fosse stato chiuso per sbaglio e cercai di aprirlo con il mazzo di chiavi che avevo in tasca. Ebbi fortuna al primo tentativo. Dentro al cassetto c'era un unico oggetto e vi sfido a indovinare che cosa fosse: ciocche di capelli identiche alle mie!

Le presi e le esaminai attentamente. Erano folte, ricciute e della stessa tonalità castano dorata dei miei. Ma era impossibile che mi appartenessero: chi mai aveva potuto chiuderle in quel cassetto? Con le mani che mi trema­vano aprii il baule, lo frugai fino in fondo, ed ecco che trovai le mie cioc­che tagliate a Londra! Le avvicinai alle altre: erano identiche, incredibile! Riflettei a lungo su quello strano caso ma senza trovare soluzioni, allora ri­posi le ciocche che non mi appartenevano nel cassetto e non aprii bocca con i Rucastle perché mi rendevo conto che, forzandolo, avevo compiuto un'azione scorretta.

Come già avrete notato, signor Holmes, io sono un'attenta osservatrice e 237

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non ho faticato a imprimermi nella mente la disposizione esatta della casa. C'era un'ala che appariva del tutto disabitata, con una porta sempre chiusa a chiave, situata di fronte a quella che conduce agli appartamenti dei Ruca­stle. Un giorno, però, mentre salivo le scale, mi imbattei nel signor Ruca­stle che usciva proprio da lì con le chiavi in mano e un'espressione ben di­versa da quella bonaria che gli era abituale. Aveva le guance arrossate, la fronte corrugata e la rabbia che gli faceva gonfiare le vene sulle tempie. Chiuse la porta a chiave e mi sorpassò in fretta, senza rivolgermi né una parola né uno sguardo.

Tutto questo risvegliò la mia curiosità e quando uscii in giardino per la consueta passeggiata con Edward, feci in modo di passare sotto le finestre dell'ala disabitata. Ce n'erano quattro in tutto, tre erano sporche di polvere e ragnatele, la quarta aveva le imposte chiuse. Era evidente che in quelle stanze non viveva nessuno.

Mentre passeggiavo su e giù, sbirciando di tanto in tanto le finestre mi­steriose, comparve il signor Rucastle con la sua consueta aria gioviale.

"Non consideratemi maleducato per non avervi neanche salutato poco fa" mi disse con un sorriso. "Ero preoccupato per l'andamento di certi affa­ri."

"Non ci ho neanche fatto caso" risposi. E dopo una breve pausa aggiun­si: "Stavo osservando quelle finestre lassù, hanno un'aria così abbandonata! Una ha addirittura le imposte chiuse. Immagino che dietro ci siano delle stanze abbandonate."

Lui mi fissò."La fotografia è uno dei miei passatempi preferiti, signorina, e lassù ho

impiantato una camera oscura. Ma voi, mia cara, siete un'eccellente osser­vatrice, chi lo avrebbe mai creduto?"

Il signor Rucastle parlava in tono scherzoso, ma il suo sguardo non Io era affatto; dimostrava sospetto, piuttosto, fastidio.

Dal momento in cui intuii che in quella stanza c'era qualcosa che dove­vo ignorare, la mia curiosità si acuì. No, curiosità non è la parola giusta, era come la sensazione di dover far qualcosa, l'idea che penetrando in quel­le stanze avrei compiuto un'azione meritevole. Forse era il mio istinto fem­minile a guidarmi, comunque ero seriamente intenzionata a profittare di qualsiasi occasione pur di oltrepassare la porta proibita.

Quell'opportunità l'ho avuta solo ieri. Ah, dimenticavo di dirvi che, oltre al signor Rucastle, anche Toller e sua moglie salgono spesso in quelle stan­ze deserte, una volta li ho visti trasportare una grossa borsa di tela nera. In

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questi ultimi tempi lui beve più del solito e ieri sera era completamente ubriaco; quando anch'io salii, notai che la chiave era rimasta nella serratu­ra, sicuramente era stato Toller a dimenticarla. Il signore e la signora Ruca­stle, insieme a Edward, erano ancora dabbasso, dovevo approfittare dell'oc­casione. Girai la chiave nella serratura, aprii la porta e sgusciai dentro.

Davanti a me c'era un piccolo corridoio con le pareti nude e senza tap­peti che in fondo girava ad angolo retto. Oltre quell'angolo vidi tre porte in fila; la prima e la terza erano aperte e ciascuna conduceva a una stanza vuota, polverosa e squallida. La prima aveva due finestre, l'altra una soltan­to e tutte così sporche che la luce del tramonto vi filtrava a malapena. La porta centrale era chiusa da una pesante sbarra di ferro. Doveva corrispon­dere senza ombra di dubbio alla finestra con le imposte chiuse e tuttavia la stanza non era al buio, un po' di luce si faceva strada attraverso le connes­sure. Che ci fosse un lucernario che la illuminava dall'alto? Mentre, immo­bile, osservavo quella porta sinistra chiedendomi quale segreto nascondes­se, d'improvviso udii all'interno un sommesso scalpiccio e scorsi un'ombra passare avanti e indietro oscurando il filo di luce che filtrava tra le connes­sure. A quella vista mi sentii invadere dal terrore, tutto il mio coraggio sva­nì e fuggii. Corsi lungo il corridoio, oltrepassai la porta e finii tra le braccia del signor Rucastle che mi stava aspettando fuori.

"Allora eravate proprio voi" mi disse, sorridendo. "È quel che ho pensa­to quando ho visto la porta aperta."

"Oh, sono così spaventata" ansimai."Mia cara figliola, che cosa vi ha tanto spaventata?" chiese lui con voce

carezzevole, rassicurante. Un po' troppo carezzevole, direi. E fu questo a mettermi in guardia.

"Sono stata così sciocca da penetrare nell'ala disabitata" risposi con voce ansimante. "Ma là è tutto talmente solitario e lugubre, talmente oscu­ro che sono subito corsa via tremando. E che terribile silenzio, là dentro!"

"Non c'è altro?" mi chiese Rucastle, fissandomi come se volesse trapas­sarmi.

"Perché? Che altro avete pensato?" esclamai."Vi risponderò con un'altra domanda: per quale ragione credete che ab­

bia sbarrato la porta?""Non ne ho la più pallida idea.""Per tenere alla larga la gente che non ha niente a che fare in quel posto.

Avete capito?"E continuava a sorridermi gentilmente.

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"Se lo avessi saputo...""Adesso lo sapete. E se oserete di nuovo oltrepassare quella soglia..." a

quel punto il sorriso si trasformò in un ghigno di rabbia e il viso assunse un'espressione quasi demoniaca "... allora vi lancerò contro il mio masti­no."

Ero così terrorizzata da non sapere più quel che facevo. Ricordo solo che mi trovai nella mia stanza, sdraiata sul letto, scossa da un tremito irre­frenabile. È stato allora che ho pensato a voi, signor Holmes. Non posso più vivere ai Faggi Rossi senza l'aiuto e il consiglio di qualcuno. Ho paura di quella casa, del marito e della moglie, dei domestici, addirittura anche del bambino, e ho pensato che se vi avessi portato laggiù tutto si sarebbe sistemato. Avrei anche potuto fuggire, certo, ma la curiosità in me è più forte della paura. Così mi sono decisa a inviarvi quel telegramma. Ho in­dossato mantello e berretto e ho raggiunto l'ufficio postale, poco lontano da casa. Sulla via del ritorno mi sentivo più tranquilla; poi, quando sono stata vicino ai Faggi Rossi mi è balenata un'idea tremenda: che avessero già sguinzagliato il mastino? Poi mi sono ricordata che Toller aveva bevuto tanto, quella sera, da non essere più cosciente. E lui era l'unico ad avere qualche potere su quella bestia feroce, l'unico a osare di liberarlo dalla ca­tena. Sono rientrata in casa sana e salva ma per tutta la notte non ho chiuso occhio al pensiero che l'indomani ci saremmo incontrati, signor Holmes. Ho ottenuto senza difficoltà il permesso di assentarmi, stamattina, ma devo assolutamente tornare entro le tre, i signori Rucastle vanno a far visita a dei vicini e resteranno fuori per tutta la sera, perciò devo occuparmi da sola del bambino.

Ora che vi ho raccontato tutto, signor Holmes, vorrei tanto sapere qual è la vostra opinione su questa strana faccenda e, soprattutto, come devo com­portarmi.»

Holmes e io avevamo ascoltato la ragazza affascinati da quella storia in-credibile. A questo punto il mio amico si alzò e cominciò a camminare su e giù per la stanza, le mani in tasca, un'espressione grave dipinta sul viso. Alla fine chiese:

«Toller è ancora ubriaco?»«Sì. Ho sentito sua moglie che diceva alla signora Rucastle di non saper

più che fare per lui.»«Magnifico. E i Rucastle stasera escono?»«Sì.»«C'è una cantina con una serratura solida?»

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«Sì, la stanza dove tengono il vino.»«Finora vi siete comportata con grande coraggio e buonsenso, signorina

Hunter. Pensate che potreste lanciarvi in un'ultima impresa? Non ve lo chiederei se non vi considerassi una persona eccezionale.»

«Tenterò. Che cosa devo fare?»«Il mio amico e io stasera alle sette saremo ai Faggi Rossi. A quell'ora i

Rucastle saranno ancora fuori e Toller, spero, sarà ancora fuori circolazio­ne. L'unica che potrebbe dare l'allarme è la signora Toller. Se riusciste a farla scendere in cantina e a chiudercela dentro, il nostro compito sarebbe molto facilitato.»

«Farò il possibile.»«Benissimo. Poi cercheremo di veder chiaro in quest'affare. Natural­

mente c'è una sola spiegazione possibile. Voi siete stata assunta per imper­sonare qualcuno, e questo qualcuno è tenuto prigioniero nella camera sbar­rata. È evidente. E la prigioniera non può essere altri che la figlia del signor Rucastle, Alice, se non mi sbaglio, che dovrebbe essere in America. Voi siete stata scelta perché le somigliavate nell'altezza, nella figura, nel colore dei capelli. A lei i capelli erano stati tagliati, probabilmente nel corso di qualche malattia, per questo vi hanno chiesto di sacrificare i vostri. Per una strana coincidenza, avete scoperto quelli di Alice. L'uomo che stazionava in strada è senza dubbio un suo amico, forse addirittura il suo fidanzato e poiché voi indossavate il suo vestito e le assomigliavate tanto, almeno in distanza, si sarà convinto dalle vostre risate e dal cenno che gli avete fatto invitandolo ad allontanarsi, che la donna del suo cuore non lo voleva più; il cane viene lasciato libero di notte per impedire al giovanotto di avvicinarsi e mettersi in contatto con lei. Fin qui è tutto chiaro; il punto più difficile è invece il comportamento del bambino.»

«Che cosa ha a che fare lui con tutto questo?» chiesi concitatamente.«Mio caro Watson, voi, in qualità di medico dovreste pur sapere che un

bambino rispecchia il carattere e le tendenze dei genitori. Ma è vero anche il contrario e spesso sono riuscito a intuire il carattere dei genitori studian­do quello dei loro figli. Quel bambino è crudele in modo anormale, ama la crudeltà per se stessa e se questa inclinazione gli deriva dal padre bonac­cione, come sospetto, o dalla madre, questo significa che quella povera creatura imprigionata corre seri pericoli.»

«Sono sicura che avete ragione, signor Holmes» disse d'impeto la signo­rina Hunter. «Ora che avete messo in rilievo questo punto, mi tornano alla mente tanti piccoli particolari che mi sembravano insignificanti e che inve­

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ce non lo sono. Vi supplico, non perdiamo un istante, corriamo subito a soccorrere quella povera creatura.»

«Dobbiamo usare prudenza perché il nostro avversario è dotato di gran­de astuzia. Non possiamo fare niente fino alle sette di stasera; a quell'ora saremo da voi e in breve tempo scioglieremo il mistero.»

Fummo di parola e alle sette eravamo ai Faggi Rossi, dopo aver fermato il nostro calesse davanti a una locanda lungo la strada. Il gruppo d'alberi con le foglie che scintillavano come metallo brunito alla luce del sole mo­rente ci avrebbe indicato che eravamo giunti a destinazione anche senza la presenza della signorina Hunter in attesa sulla soglia, distesa e sorridente.

«Ci siete riuscita?» chiese subito Holmes.Dal basso ci giunse un rumore sordo, martellante.«È la signora Toller chiusa in cantina» disse la ragazza. «Suo marito è

disteso sul pavimento, in cucina e russa a più non posso. Queste sono le sue chiavi, un duplicato di quelle del signor Rucastle.»

«Vi siete comportata magnificamente!» esclamò Holmes con entusia­smo. «Ora fateci strada e tra poco questa cupa faccenda sarà risolta.»

Salimmo le scale, aprimmo la porta, percorremmo il corridoio e ci tro­vammo davanti alla porta sbarrata che la nostra giovane cliente ci aveva descritto. Holmes rimosse la sbarra di ferro e tentò di aprire la serratura con tutte le chiavi che aveva a disposizione, ma invano. Nessun rumore proveniva dall'interno e a quel silenzio la faccia del mio amico si rannuvo­lò.

«Speriamo che non sia troppo tardi» disse. «Penso, signorina, che per voi sia meglio non seguirci. Quanto a voi, Watson, spingete la porta con le spalle, insieme a me, e vediamo se riusciamo ad abbatterla.»

Il legno era vecchio e tarlato e al secondo tentativo cedette. Ci catapul­tammo nella stanza. Era vuota. Non c'erano mobili, a parte uno striminzito pagliericcio, un tavolinetto e un canestro pieno di biancheria. Il lucernario sul soffitto era aperto e la prigioniera scomparsa.

«Qui è stata commessa qualche scelleratezza» disse Holmes. «Rucastle deve aver intuito le intenzioni della signorina Hunter e ha trasportato altro­ve la sua vittima.»

«In che modo?» chiesi.«Passando attraverso il lucernario. Ora vedremo come ha fatto.»Holmes si arrampicò fino al tetto e subito dopo gridò:«Ecco! Appoggiata al cornicione c'è l'estremità di una lunga scala a pio­

li. Ha usato questa per portar via la prigioniera.»242

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«Impossibile» intervenne la signorina Hunter. «La scala non c'era quan­do i Rucastle sono partiti.»

«Lui è tornato indietro e l'ha presa. È intelligente e pericoloso. Non sa­rei per niente sorpreso se fossero suoi i passi che sento echeggiare per le scale. Watson, tenete pronta la pistola.»

Holmes aveva appena finito di parlare che un uomo comparve sulla por­ta. Era alto, grasso e stringeva tra le mani un pesante randello. Nel vederlo la signorina Hunter lanciò un grido e si addossò alla parte; Sherlock Hol­mes, con un balzo, gli sbarrò il passo.

«Voi, canaglia!» esclamò. «Dove avete nascosto vostra figlia?»L'uomo roteò gli occhi, poi indicò il lucernario spalancato.«Sono io a ritorcere la domanda!» ruggì. «Ladri! Spie e ladri! Vi ho sco­

perti e ora siete nelle mie mani, penserò io a voi.»E si precipitò giù per le scale con uno scatto inatteso.«È andato a prendere il cane!» gridò la signorina Hunter.«Ho la mia pistola» dissi, in tono rassicurante.«Meglio, comunque, chiudere la porta d'ingresso» replicò Holmes.E insieme scendemmo precipitosamente le scale. Avevamo appena rag­

giunto l'atrio quando udimmo l'abbaiare di un cane e subito dopo un urlo d'angoscia e un suono orribile, agghiacciante. Un uomo di mezza età, con il viso paonazzo, malfermo sulle gambe, entrò da una porta laterale.

«Misericordia!» gridò. «Qualcuno ha sciolto il cane: non mangiava da due giorni! Su, sbrighiamoci o sarà troppo tardi.»

Holmes e io uscimmo a precipizio e girammo l'angolo della casa con Toller alle calcagna. Vedemmo l'enorme bestia affamata con il muso nero affondato nella gola di Rucastle che si contorceva rantolando a terra. In fretta sparai alla testa del mastino che crollò con i denti acuminati ancora confitti nelle pieghe del collo grasso della sua vittima. Riuscimmo a fatica a separare i due e portammo l'uomo, ancora vivo, ma orribilmente dilania­to, fino a casa. Lo stendemmo su un divano e dopo aver spedito Toller, ora completamente lucido, a cercare sua moglie, feci quel che potevo per alle­viare i dolori del ferito. Eravamo tutti intorno a lui quando la porta si aprì e una donna alta e magra entrò nella stanza.

«Signora Toller!» esclamò la signorina Hunter.«Io in persona. Il signor Rucastle mi ha liberata quando è tornato indie­

tro, prima di salire da voi. Ah, signorina, è proprio un peccato che non ab­biate confidato le vostre intenzioni: avrei potuto rivelarvi che tutta questa pena era inutile.»

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«E chiaro che la signora Toller su questa faccenda la sa lunga e più di chiunque altro» disse Holmes con un'occhiata pungente alla donna.

«Proprio così, signore, e sono pronta a dirvi tutto.»«Allora sedetevi, prego e raccontate, perché ci sono dei punti in questa

vicenda che non sono ancora riuscito a capire.»«Certo, signore. E lo avrei fatto anche prima se fossi potuta uscire dalla

cantina. Se si arriverà a un processo, sappiate che io ho sempre difeso la si­gnorina Hunter, non solo: ero anche amica della signorina Alice. Lei non è mai stata felice in questa casa, dopo le seconde nozze del padre. Veniva tra­scurata, non aveva più voce in capitolo ma le cose peggiorarono ancora quando in casa di amici incontrò il signor Fowler. Per quanto ho potuto ca­pire, la signorina Alice, secondo il testamento di sua madre, aveva diritto a una sostanziosa parte dell'eredità, ma era così docile e buona che non disse mai una parola al riguardo, lasciando tutto nelle mani del signor Rucastle. Lui sapeva di non avere niente da temere dalla figlia ma quando spuntò al­l'orizzonte l'eventualità di un marito che avrebbe chiesto tutto quello che gli spettava di diritto, allora pensò che era giunto il momento di farla finita. Voleva costringere la signorina Alice a firmare un documento in cui era scritto che, nubile o sposata, avrebbe lasciato nelle sue mani tutto il patri­monio. Lei rifiutò e il signor Rucastle la tormentò a tal punto che la pove­retta si ammalò di una febbre cerebrale gravissima; per sei settimane rima­se sospesa tra la vita e la morte. Finalmente migliorò ma sembrava un'om­bra, così pallida, smagrita, con i capelli tagliati corti durante la malattia; ma tutto questo non cambiò i sentimenti del suo innamorato che continuò a es­serle fedele, come qualsiasi vero uomo dovrebbe fare.»

«Tutto questo chiarisce i lati della storia che mi erano rimasti oscuri» si intromise Holmes. «Il resto posso dedurlo da solo. Il signor Rucastle, im­magino, giunse al punto di imprigionare la figlia.»

«Proprio così, signore.»«E portò qui da Londra la signorina Hunter per scoraggiare l'ostinata de­

vozione del signor Fowler.»«Sì, giusto.»«Ma il signor Fowler era un tipo caparbio; ha continuato ad aggirarsi in­

torno alla casa e corrompendovi con del denaro è riuscito a convincervi che i vostri interessi e i suoi collimavano.»

«Il signor Fowler è un gentiluomo comprensivo e generoso» rispose la signora Toller senza batter ciglio.

«Così ha fatto in modo che a vostro marito non mancasse mai l'alcool e 244

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si è procurato una scala a pioli da usare quando il vostro padrone non fosse stato in casa.»

«Proprio questo è accaduto, signore.»«Vi siamo debitori, signora Toller» disse Holmes, «per averci così ben

chiarito ciò che ancora ci rendeva perplessi. Ecco, sta arrivando il medico condotto, insieme alla signora Rucastle. A questo punto, Watson, per evita­re incontri imbarazzanti, credo sia il caso di tornare a Winchester portando con noi la signorina Hunter.»

E così fu risolto il mistero di quella casa sinistra ombreggiata dai faggi rossi.

Il signor Rucastle sopravvisse, ma ridotto a un rottame e tenuto in vita solo dalle cure affettuose della sua devota moglie. La coppia abita ancora con i Toller; con quello che sanno i due, licenziarli potrebbe essere perico­loso.

Il signor Fowler e Alice Rucastle si sposarono a Southampton, con una licenza speciale, il giorno dopo la loro fuga e adesso Fowler ha un incarico governativo all'isola Mauritius. Quanto alla signorina Violet Hunter, il mio amico Holmes, con mio grande disappunto, non appena chiuso felicemente il caso dei Faggi Rossi, non manifestò più il minimo interesse nei suoi con­fronti. Di lei so solo che adesso dirige una scuola a Walsall e, credo, con notevole successo.

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