Simone Ferrari, Questioni aperte in tema di evasione c.d. impropria

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non mediante l’utilizzazione di massime di esperienza). La menzogna o la reticenza testimoniale e ` da considerare innocua, irrilevante e quindi non punibile solo quando verta su circostanze assolutamente estranee al giudizio e prive di qualsiasi efficacia probante nel processo in cui la testimonianza e ` resa, restando solo in tali ipotesi escluso il pericolo di un fuorviamento della decisione giudiziaria (Cass., Sez. VI, 7 ottobre 2004, Messina, in C.E.D. Cass., n. 231445; Id., Sez. VI, 18 dicembre 1984, Canfora, in Giust. Pen., 1985, II, 641; Id., Sez. VI, 16 febbraio 1984, Scalzo, in C.E.D. Cass., n. 164492; Id., 3 ottobre 1981, Chiarotti, in Giur. It., 1982, II, 310). Profilandosi infatti la fattispecie legale come reato di pericolo, «la norma richiede la rilevante probabilita ` della induzione in errore del giudice, la quale non sussiste quando, con riferimento ai dati acquisiti al processo, il fatto o la circostanza richie- sti al testimone possano essere considerati estranei alle indagini» (Cass., Sez. VI, 7 ottobre 2004, Messina, cit.; Id., Sez. VI, 1 o giugno 1984, Pasavento, in C.E.D. Cass., n. 167685; Id., Sez. VI, 1 o luglio 1983, Marrazzo, in Riv. Pen., 1984, 199). Da tali considerazioni deriva che non e ` dato distinguere fra circostanze importanti e circostanze accessorie o secondarie: la configurabilita ` del reato e ` esclusa solo quando il mendacio, vertendo su fatti e cir- costanze assolutamente estranei alla materia oggetto del- l’accertamento giudiziale, non ha alcuna idoneita ` ad alte- rare il convincimento del giudice e, quindi, non ha alcuna possibilita ` di incidere sul normale funzionamento dell’at- tivita ` giudiziaria (Cass., Sez. VI, 16 ottobre 1985, Zanel- lato, in Giust. Pen., 1986, II, 517). Essendo, dunque, sufficiente che il mendacio o la reti- cenza abbiano la potenziale idoneita ` a trarre in errore il giudice, indipendentemente dal fatto che questi venga o meno effettivamente ingannato, la falsa testimonianza e ` stata ritenuta sussistere indipendentemente: dall’even- tualita ` che il giudice abbia tratto da altre fonti di prova validi elementi per la conoscenza della verita ` (Cass., Sez. VI, 17 maggio 2001, Vitobello, in Riv. Pen., 2001, 930; Id., Sez. VI, 25 maggio 1989, Lombardo, cit., in quanto il pericolo della immutazione del vero resta fuori dagli ele- menti costitutivi del reato); dall’uso che il giudice del processo principale abbia fatto della falsa deposizione o dall’esito della sua utilizzazione nell’insieme delle prove di cui disponeva (Cass., Sez. VI, 25 maggio 1989, Lom- bardo, cit.); dal grado di credibilita ` della falsa deposi- zione, in quanto il delitto e ` realizzato anche se il giudice abbia negato l’attendibilita ` alla deposizione (Cass., Sez. VI, 19 dicembre 1985, Riniolo, in Riv. Pen., 1987, 266). Anche l’esistenza di nullita ` processuali non esclude la sussistenza del reato, salvo il caso limite in cui le stesse facciano venire meno i presupposti del reato, come ad esempio la qualita ` di testimone o il rapporto con l’auto- rita ` giudiziaria (Cass., Sez. II, 30 gennaio 1995, Calvisi, in Giust. Pen., 1996, II, 278). Come si evince dalle pronunce indicate, l’individua- zione dei limiti di rilevanza penale della deposizione falsa o reticente, quando sia minima, verta su circostanze se- condarie o non abbia influito sulla decisione finale, e ` molto incerta. Su tale questione, che abbraccia il piu ´ am- pio tema della necessaria offensivita ` del reato (su cui, in generale, v. Vinciguerra, Appunti sull’inoffensivita `, la tenuita ` dell’offesa e la tenuita ` del reato in Italia nel se- condo Novecento, in Studi in onore di Marinucci, Milano, 2006, 2515) si e ` soffermata anche la dottrina sottoli- neando prevalentemente la necessita ` che la falsita ` sia non solo pertinente ma soprattutto rilevante ed escludendo la sussistenza del delitto quando la falsa testimonianza verta su circostanze estranee o prive di efficacia probatoria (B. Romano, Delitti contro l’amministrazione della giustizia, Milano, 2002, 112; Antolisei, Manuale di diritto penale. Parte speciale, II, Milano, 2000, 467, che considera la pos- sibilta ` di influire sulla decisione giudiziaria un requisito implicito del delitto in esame, desumibile dalla ratio della norma; Ruggiero, voce «Falsa testimonianza», in Enc. Dir., XVI, Milano, 1967, 540; Pisani, La tutela penale delle prove formate nel processo, Milano, 1959, 170). Margherita Lombardo Cassazione penale, VI Sezione, 10 febbraio 2005 (dep. 6 giugno 2005), n. 20943 — de Roberto Pre- sidente —Milo Relatore —Favalli P. M. (parz. diff.). — Scardina, ricorrente. Evasione e inosservanza di pena — Evasione c.d. «im- propria » — Concetto di « luogo indicato ai fini degli arresti domiciliari» (C. p. art. 385, 3 o comma). Evasione e inosservanza di pena — Evasione c.d. «im- propria» — Elemento soggettivo (C. p. art. 385, 3 o comma). L’allontanamento del detenuto, agli arresti domiciliari e autorizzato al lavoro esterno, dal luogo in cui e ` previsto che egli svolga la propria attivita ` costituisce reato di eva- sione, perche ´ anche il regime detentivo in forma attenuata impone il piu ´ rigoroso rispetto delle relative prescrizioni, facendo obbligo all’interessato di restare nel luogo indicato appunto ai fini degli arresti domiciliari come idoneo ad im- pedire che fuori di esso esprima la propria pericolosita `ea consentire in pari tempo un agevole controllo all’autorita ` di polizia (1). Ad integrare il dolo del delitto di evasione e ` sufficiente la volonta ` di compiere il fatto, cioe ` di allontanarsi dal pe- rimetro logistico di custodia, con la consapevolezza di tro- varsi legalmente in stato di arresto (nella specie l’imputato, sottoposto alla misura coercitiva degli arresti domiciliari con la sola facolta ` di recarsi sul posto di lavoro, si era da tale sito allontanato per alcune ore al fine di recarsi a pranzo a casa della convivente) (2). Omissis: — La Corte d’Appello di Torino, con sentenza 10/1/2003, confermava quella in data 29/1/2001 del Tri- bunale della stessa citta `, che, all’esito del giudizio abbreviato, aveva dichiarato Scardina Francesco colpevole del delitto di evasione (art. 385/3 c.p.) e lo aveva condannato alla pena di mesi quattro di reclusione. Rilevava il giudice distrettuale che l’imputato, sottoposto alla misura coercitiva degli arresti domiciliari con la sola facolta ` di recarsi sul posto di lavoro, si era da tale sito allontanato, il giorno 17/3/2000, per recarsi a pranzo in casa della convivente; ravvisava in tale condotta, protrattasi per alcune ore, gli estremi del contestato reato. Ha proposto ricorso per Cassazione, tra- mite il proprio difensore, l’imputato e ha dedotto: a) erronea applicazione della legge penale, con riferimento all’art. 385 c.p., in quanto l’allontanamento dal posto di lavoro poteva, al limite, integrare una mera trasgressione alle prescrizioni inerenti alla misura cautelare, era — in ogni caso — difettata in lui qualun- que volonta ` di sottrarsi a questa o era configurabile (in assenza di particolari prescrizioni del provvedimento che lo autorizzava a recarsi sul posto di lavoro) la scriminante putativa dell’eserci- zio di un diritto; gli doveva — quanto meno — essere accordata l’attenuante di cui al quarto comma dell’art. 385 c.p.; b) man- canza e manifesta illogicita ` della motivazione. Il ricorso non e ` fondato. L’allontanamento del detenuto, agli arresti domiciliari e au- torizzato al lavoro esterno, dal luogo in cui e ` previsto che egli svolga la propria attivita ` costituisce reato di evasione, perche ´ anche il regime detentivo in forma attenuata impone il piu ` ri- goroso rispetto delle relative prescrizioni, facendo obbligo al- l’interessato di restare nel luogo, indicato appunto ai fini degli arresti domiciliari come idoneo ad impedire che fuori di esso 1041 DIRITTO E PROCEDURA PENALE

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non mediante l’utilizzazione di massime di esperienza).La menzogna o la reticenza testimoniale e da considerareinnocua, irrilevante e quindi non punibile solo quandoverta su circostanze assolutamente estranee al giudizio eprive di qualsiasi efficacia probante nel processo in cui latestimonianza e resa, restando solo in tali ipotesi esclusoil pericolo di un fuorviamento della decisione giudiziaria(Cass., Sez. VI, 7 ottobre 2004, Messina, in C.E.D. Cass.,n. 231445; Id., Sez. VI, 18 dicembre 1984, Canfora, inGiust. Pen., 1985, II, 641; Id., Sez. VI, 16 febbraio 1984,Scalzo, in C.E.D. Cass., n. 164492; Id., 3 ottobre 1981,Chiarotti, in Giur. It., 1982, II, 310). Profilandosi infattila fattispecie legale come reato di pericolo, «la normarichiede la rilevante probabilita della induzione in erroredel giudice, la quale non sussiste quando, con riferimentoai dati acquisiti al processo, il fatto o la circostanza richie-sti al testimone possano essere considerati estranei alleindagini» (Cass., Sez. VI, 7 ottobre 2004, Messina, cit.;Id., Sez. VI, 1o giugno 1984, Pasavento, in C.E.D. Cass.,n. 167685; Id., Sez. VI, 1o luglio 1983, Marrazzo, in Riv.Pen., 1984, 199). Da tali considerazioni deriva che non edato distinguere fra circostanze importanti e circostanzeaccessorie o secondarie: la configurabilita del reato eesclusa solo quando il mendacio, vertendo su fatti e cir-costanze assolutamente estranei alla materia oggetto del-l’accertamento giudiziale, non ha alcuna idoneita ad alte-rare il convincimento del giudice e, quindi, non ha alcunapossibilita di incidere sul normale funzionamento dell’at-tivita giudiziaria (Cass., Sez. VI, 16 ottobre 1985, Zanel-lato, in Giust. Pen., 1986, II, 517).

Essendo, dunque, sufficiente che il mendacio o la reti-cenza abbiano la potenziale idoneita a trarre in errore ilgiudice, indipendentemente dal fatto che questi venga omeno effettivamente ingannato, la falsa testimonianza estata ritenuta sussistere indipendentemente: dall’even-tualita che il giudice abbia tratto da altre fonti di provavalidi elementi per la conoscenza della verita (Cass., Sez.VI, 17 maggio 2001, Vitobello, in Riv. Pen., 2001, 930;Id., Sez. VI, 25 maggio 1989, Lombardo, cit., in quanto ilpericolo della immutazione del vero resta fuori dagli ele-menti costitutivi del reato); dall’uso che il giudice delprocesso principale abbia fatto della falsa deposizione odall’esito della sua utilizzazione nell’insieme delle provedi cui disponeva (Cass., Sez. VI, 25 maggio 1989, Lom-bardo, cit.); dal grado di credibilita della falsa deposi-zione, in quanto il delitto e realizzato anche se il giudiceabbia negato l’attendibilita alla deposizione (Cass., Sez.VI, 19 dicembre 1985, Riniolo, in Riv. Pen., 1987, 266).Anche l’esistenza di nullita processuali non esclude lasussistenza del reato, salvo il caso limite in cui le stessefacciano venire meno i presupposti del reato, come adesempio la qualita di testimone o il rapporto con l’auto-rita giudiziaria (Cass., Sez. II, 30 gennaio 1995, Calvisi, inGiust. Pen., 1996, II, 278).

Come si evince dalle pronunce indicate, l’individua-zione dei limiti di rilevanza penale della deposizione falsao reticente, quando sia minima, verta su circostanze se-condarie o non abbia influito sulla decisione finale, emolto incerta. Su tale questione, che abbraccia il piu am-pio tema della necessaria offensivita del reato (su cui, ingenerale, v. Vinciguerra, Appunti sull’inoffensivita, latenuita dell’offesa e la tenuita del reato in Italia nel se-condo Novecento, in Studi in onore di Marinucci, Milano,2006, 2515) si e soffermata anche la dottrina sottoli-neando prevalentemente la necessita che la falsita sia nonsolo pertinente ma soprattutto rilevante ed escludendo lasussistenza del delitto quando la falsa testimonianza vertasu circostanze estranee o prive di efficacia probatoria (B.Romano, Delitti contro l’amministrazione della giustizia,Milano, 2002, 112; Antolisei, Manuale di diritto penale.Parte speciale, II, Milano, 2000, 467, che considera la pos-

sibilta di influire sulla decisione giudiziaria un requisitoimplicito del delitto in esame, desumibile dalla ratio dellanorma; Ruggiero, voce «Falsa testimonianza», in Enc.Dir., XVI, Milano, 1967, 540; Pisani, La tutela penaledelle prove formate nel processo, Milano, 1959, 170).

Margherita Lombardo

Cassazione penale, VI Sezione, 10 febbraio 2005(dep. 6 giugno 2005), n. 20943 — de Roberto Pre-sidente — Milo Relatore — Favalli P. M. (parz.diff.). — Scardina, ricorrente.

Evasione e inosservanza di pena — Evasione c.d. «im-propria» — Concetto di «luogo indicato ai fini degliarresti domiciliari» (C. p. art. 385, 3o comma).

Evasione e inosservanza di pena — Evasione c.d. «im-propria» — Elemento soggettivo (C. p. art. 385,3o comma).

L’allontanamento del detenuto, agli arresti domiciliarie autorizzato al lavoro esterno, dal luogo in cui e previstoche egli svolga la propria attivita costituisce reato di eva-sione, perche anche il regime detentivo in forma attenuataimpone il piu rigoroso rispetto delle relative prescrizioni,facendo obbligo all’interessato di restare nel luogo indicatoappunto ai fini degli arresti domiciliari come idoneo ad im-pedire che fuori di esso esprima la propria pericolosita e aconsentire in pari tempo un agevole controllo all’autoritadi polizia (1).

Ad integrare il dolo del delitto di evasione e sufficientela volonta di compiere il fatto, cioe di allontanarsi dal pe-rimetro logistico di custodia, con la consapevolezza di tro-varsi legalmente in stato di arresto (nella specie l’imputato,sottoposto alla misura coercitiva degli arresti domiciliaricon la sola facolta di recarsi sul posto di lavoro, si era datale sito allontanato per alcune ore al fine di recarsi apranzo a casa della convivente) (2).

Omissis: — La Corte d’Appello di Torino, con sentenza10/1/2003, confermava quella in data 29/1/2001 del Tri-

bunale della stessa citta, che, all’esito del giudizio abbreviato,aveva dichiarato Scardina Francesco colpevole del delitto dievasione (art. 385/3 c.p.) e lo aveva condannato alla pena dimesi quattro di reclusione.

Rilevava il giudice distrettuale che l’imputato, sottoposto allamisura coercitiva degli arresti domiciliari con la sola facolta direcarsi sul posto di lavoro, si era da tale sito allontanato, ilgiorno 17/3/2000, per recarsi a pranzo in casa della convivente;ravvisava in tale condotta, protrattasi per alcune ore, gli estremidel contestato reato. Ha proposto ricorso per Cassazione, tra-mite il proprio difensore, l’imputato e ha dedotto: a) erroneaapplicazione della legge penale, con riferimento all’art. 385 c.p.,in quanto l’allontanamento dal posto di lavoro poteva, al limite,integrare una mera trasgressione alle prescrizioni inerenti allamisura cautelare, era — in ogni caso — difettata in lui qualun-que volonta di sottrarsi a questa o era configurabile (in assenzadi particolari prescrizioni del provvedimento che lo autorizzavaa recarsi sul posto di lavoro) la scriminante putativa dell’eserci-zio di un diritto; gli doveva — quanto meno — essere accordatal’attenuante di cui al quarto comma dell’art. 385 c.p.; b) man-canza e manifesta illogicita della motivazione. Il ricorso non efondato.

L’allontanamento del detenuto, agli arresti domiciliari e au-torizzato al lavoro esterno, dal luogo in cui e previsto che eglisvolga la propria attivita costituisce reato di evasione, percheanche il regime detentivo in forma attenuata impone il piu ri-goroso rispetto delle relative prescrizioni, facendo obbligo al-l’interessato di restare nel luogo, indicato appunto ai fini degliarresti domiciliari come idoneo ad impedire che fuori di esso

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esprima la propria pericolosita e a consentire in pari tempo unagevole controllo all’autorita di polizia. Per «luogo indicato aifini degli arresti domiciliari» deve intendersi non soltanto lacasa di abitazione, dove la persona conduce la vita domestica,ma anche il luogo di lavoro dove la persona e eventualmentefacultata — per particolari esigenze ritenute apprezzabili — atrascorrere una parte della giornata, considerato che entrambidevono garantire, senza soluzione di continuita, l’immanenzadelle condizioni di legittima restrizione e limitazione della li-berta personale nonche l’assoluta e costante disponibilita delristretto all’azione di vigilanza e controllo da parte della Polizia.L’autorizzazione ad allontanrsi dal domicilio per recarsi al la-voro fissa il limite invalicabile entro il quale la condotta non epunibile, con la conseguenza che l’imputato, nell’ipotesi in cuivioli l’autorizzazione stessa e si rechi in localita diversa dalluogo di lavoro indicato, pone in essere un comportamento che,eccedendo dal permesso accordatogli e tradendo le finalitadello stesso, rientra nella previsione dell’art. 385 c.p.

Non puo trovare credito la tesi del difetto dell’elemento sog-gettivo, posto che a integrare il dolo e sufficiente la volonta dicompiere il fatto, cioe di allontanarsi dal perimetro logistico dicustodia, con la consapevolezza di trovarsi legalmente in statodi arresto, circostanze queste pacificamente non rimaste estra-nee alla percezione intellettiva e alla volonta del prevenuto.

Singolare e il riferimento alla scriminante putativa dell’eser-cizio di un diritto. A fronte, infatti, dei doveri connessi allo statodi persona sottoposta al regime di restrizione domiciliare, l’as-serita supposizione erronea di un’ipotesi di esclusione dellapena, individuata nell’esercizio di un presunto diritto ad allon-tanarsi dal luogo di lavoro per andare a pranzo dalla propriaconvivente, e al di fuori di ogni ragionevolezza, perche dilata iconfini di operativita della scriminante oltre ogni limite legale.

L’attenuante di cui al quarto comma dell’art. 385 c.p.) ogget-tivamente non configurabile per non essersi l’imputato costi-tuito in carcere o presso un organo di polizia, e stata sollecitataper la prima volta in questa sede. — Omissis.

(1-2) Questioni aperte in tema di evasione c.d.«impropria»

1. La sentenza in epigrafe, incentrata sull’evasione c.d.«impropria», afferma un principio di diritto in via diconsolidamento.

Nel caso in esame l’imputato, sottoposto agli arresti do-miciliari con la sola facolta di recarsi sul posto di lavoro,si era allontanato da tale luogo per recarsi a pranzo a casadella convivente. Il problema e che nella pratica dellecose e difficile tracciare una netta e sicura linea di confinetra le inosservanze che costituiscono il delitto di evasionec.d. «impropria» (art. 385, 3o comma, c. p.) e quelle altreche conducono soltanto alla revoca del beneficio ex art.276 c. p. p.

Va detto da subito che la figura criminosa prevista nel-l’art. 385 c. p. e posta a tutela dell’interesse di impedireforme di ribellione alla coercizione statuale legittima-mente disposta per fini di prevenzione e repressione deireati (Fiandaca, Musco, Diritto penale, parte speciale, I,3a ed., Bologna, 2002, 406).

In particolare, l’art. 385, 3o comma, c. p. precisa che ledisposizioni sull’evasione si applicano anche all’imputatoche, essendo in stato di arresto nella propria abitazione oin altro luogo designato nel provvedimento, se ne allon-tani, nonche al condannato ammesso a lavorare fuoridello stabilimento penale. In questi casi, si parla appuntodi evasione «impropria», che costituisce il contrappesodel regime di favore insito nelle misure diverse da quellecarcerarie. Del resto, in siffatti casi, chi evade mostra dinon meritare quella fiducia che gli era stata accordata(Pagliaro, Principi di diritto penale, parte speciale, II,Milano, 2000, 199).

Al riguardo, occorre tenere presente che il significatodell’evasione «impropria» va colto in rapporto alla mi-sura degli arresti domiciliari, cui e collegato: la norma exart. 385, 3o comma, c. p. sara, pertanto, da considerarsifinalizzata non solo ad evitare la fuga dell’imputato, maanche a contrastare l’inquinamento delle prove da parte

dello stesso, nonche ad impedire che egli abbia a com-mettere altri reati (Folla, Due fattispecie in tema di eva-sione cosiddetta «impropria», nota a Cass., Sez. VI, 30marzo 1995, Cascalisci, ed a Id., Sez. VI, 13 marzo 1995,Montedoro, in Giur. It., 1996, II, 278).

2. Si discute circa l’esatta portata del termine «abita-zione». Secondo la dottrina essa comprende, altresı, lepiu immediate pertinenze, anche quando costituisconooggetto di proprieta condominiale (Pagliaro, Principidi diritto penale, cit., 201; B. Romano, Delitti control’amministrazione della giustizia, 2a ed., Milano, 2004,275). Contra, si e asserito in giurisprudenza che il legisla-tore, nel delineare la condotta materiale del reato di eva-sione dagli arresti domiciliari, ha inteso escludere dallanozione di domicilio ogni altra appartenenza diversa dalluogo di vita domestica o privata — aree condominiali,dipendenze, giardini, spazi simili non di pertinenza del-l’abitazione — (fattispecie in cui il delitto e stato ritenutonella condotta dell’imputato, ristretto agli arresti domici-liari, che si era recato in un luogo di non consueto accessoda parte della famiglia, in quanto riservato al deposito diroba vecchia o di non immediata utilizzazione e che, perrecarsi in detto luogo, aveva attraversato spazi condomi-niali, come tali accessibili a tutti) (Cass., Sez. VI, 25marzo 2003, Pani, in Guida al Dir., 2003, 44, 83). Cio alfine di agevolare i controlli di polizia sull’imputato, con-trolli che devono avere il carattere della prontezza e dellanon aleatorieta (Cass., Sez. VI, 7 gennaio 2003, Favero, inRiv. Pen., 2004, 1131).

Piu in dettaglio, a meno che non sia diversamente sta-bilito nel provvedimento restrittivo, l’area definita dalconcetto di «abitazione» comprende gli spazi aperti diesclusiva pertinenza delle mura domestiche e ad esse im-mediatamente adiacenti. E cio in coerenza con la ratiodella condotta incriminata, che, sanzionando l’«allonta-namento», vuole impedire che il soggetto agli arresti do-miciliari si sottragga o si renda difficilmente reperibile aicontrolli di polizia. E cosı indubitabile che costituisceabitazione un cortile immediatamente comunicante conla casa, di esclusiva pertinenza di questa, nel quale nessunaltro soggetto puo accedere se non con il permesso di chivi abita: pertanto, il soggetto che ivi si trovi non puo dirsiessersi allontanato dall’abitazione, intesa questa nel sensosopraindicato, con la conseguente insussistenza del reatoin questione (Cass., Sez. VI, 23 giugno 2003, Vignarolo,in Guida al Dir., 2003, 47, 77).

Tuttavia, in base al principio di offensivita (in argo-mento v. Vinciguerra, Appunti sull’inoffensivita, la te-nuita dell’offesa e la tenuita del reato in Italia nel secondoNovecento, in Studi Marinucci, Milano, 2006, 2515), nondovrebbe costituire reato un modesto e brevissimo allon-tanamento che non crei alcun pericolo di fuga o di com-missione di ulteriori reati o di inquinamento della prova(quando si tratta di misura cautelare) e neppure frustri inmodo apprezzabile le funzioni della pena (quando sitratta di sanzione alternativa alla detenzione) (Pagliaro,Principi di diritto penale, cit., 201).

Vi e, quindi, una maggiore elasticita (dovuta al diffe-rente contenuto teleologico dei rispettivi istituti) rispettoal caso di chi sia arrestato o detenuto ai sensi del primocomma dell’articolo (Pagliaro, Principi di diritto penale,cit., 201). Conforme Folla, Due fattispecie in tema di eva-sione cosiddetta «impropria», cit., 278, secondo la quale lacustodia extra-carceraria e necessariamente caratterizzatada un grado di privazione della liberta decisamente piublando di quello che contraddistingue la detenzione car-ceraria e tale sua peculiarita ha dei riflessi anche sulla con-figurazione dei relativi comportamenti trasgressivi.

Cosı, sembra eccessivamente rigorosa la decisione se-condo cui la circostanza che la persona sottoposta agli

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arresti domiciliari sia sorpresa al di fuori del proprio ap-partamento, ancorche nelle immediate vicinanze del por-tone di ingresso del palazzo, integrerebbe il reato di eva-sione (Trib. Torre Annunziata, 7 gennaio 2004, n. 503, inGuida al Dir., 2004, 14, 88). Scarso rispetto del principiodi offensivita riscontriamo pure in Cass., Sez. VI, 27 no-vembre 2002, Vasti, in C.E.D. Cass., 223551: «Integra gliestremi del reato di evasione qualsiasi allontanamento dalluogo degli arresti domiciliari senza autorizzazione, an-che se di breve durata ed implicante uno spostamento dimodesta distanza, in quanto lo scopo della norma incri-minatrice va ravvisato nel fatto che la persona sottopostaalla misura cautelare degli arresti domiciliari resti nelluogo indicato, perche ritenuto idoneo a soddisfare le esi-genze cautelari e, nel contempo, a consentire agevol-mente il prescritto controllo dell’autorita».

Del resto, non sembra possibile andare oltre un’inter-pretazione, meramente oggettiva, che individua la con-dotta incriminata in un comportamento di apprezzabiledistacco del soggetto dal luogo in cui deve restare in ese-cuzione della misura. Se questo concetto non richiedeneppure la «irreperibilita», cio non significa che il fattodi trovarsi a pochi metri dal portone dell’abitazione co-stituisca evasione, mentre darebbe luogo ad effettivo «al-lontanamento» un distacco piu sensibile, come recarsi albar (Pisa, voce «Evasione», in Digesto Pen., IV, Torino,1990, 435).

Inoltre, la semplice violazione delle prescrizioni ine-renti all’arresto domiciliare non integra il delitto in di-scorso e neppure la contravvenzione di cui all’art. 650c. p., ma puo comportare la revoca del beneficio con larestrizione in carcere dell’imputato (Cass., Sez. I, 4 no-vembre 1993, Maimone Baronello, in Cass. Pen., 1995,280; Pagliaro, Principi di diritto penale, cit., 201). Non-dimeno, si ammette che nella prassi e ben difficile trac-ciare una chiara linea di confine tra le inosservanze checostituiscono il delitto in parola e quelle altre che condu-cono soltanto alla revoca del beneficio (Pagliaro, Prin-cipi di diritto penale, cit., 202). A nostro avviso, le solu-zioni a cui perviene l’interprete in tema di evasione «im-propria» devono essere piu che mai ispirate a criteri diragionevolezza: segnatamente, occorre valutare caso percaso se il soggetto abbia o no tradito quella particolarefiducia che gli e stata concessa.

3. In casi analoghi al nostro la giurisprudenza ha ravvi-sato il delitto di evasione «impropria»: «Integra gliestremi del reato di evasione la condotta del detenuto agliarresti domiciliari che si allontani dal luogo in cui e au-torizzato a svolgere l’attivita lavorativa, considerato chedetta autorizzazione non sospende il «regime» del dete-nuto ma muta semplicemente il luogo in cui l’interessatoe assoggettato agli arresti domiciliari, con la conseguenzache la violazione dell’obbligo di permanenza nel posto dilavoro autorizzato integra il reato di evasione (art. 385, 3o

comma, c. p.) e non l’ipotesi di trasgressione alle prescri-zioni imposte, apprezzabile e sanzionabile ex art. 276c. p. p.» (Cass., Sez. VI, 8 febbraio 2005, Cuccu, inC.E.D. Cass., 231177); «Nel caso in cui la persona che sitrovi agli arresti domiciliari sia stata autorizzata al lavorofuori dalla propria abitazione, si ha una semplice sostitu-zione temporanea del luogo di custodia, che coincide,per una parte della giornata, col luogo di lavoro (riferen-dosi l’art. 385, 3o comma, c. p. alla «abitazione» o ad«altro luogo designato») e non gia una sospensione tem-poranea dello stato di custodia cautelare, accompagnatadalla imposizione di obblighi la cui trasgressione importiunicamente la possibilita di inasprimento della misuracautelare, ai sensi dell’art. 276 c. p. p. Ne consegue cheanche l’allontanamento dal luogo di lavoro, in quantocoincidente col luogo di custodia, integra gli estremi del

reato in esame, in ogni caso in cui non abbia brevissimadurata e risulti, pertanto, incompatibile con le esigenze disorveglianza e di controllo da parte dell’autorita ammini-strativa che la norma incriminatrice tutela» (Cass., Sez.VI, 27 novembre 1998, Fallica, in Cass. Pen., 2000, 1007).Nel medesimo senso cfr., in dottrina, B. Romano, Delitticontro l’amministrazione della giustizia, cit., 272.

Nella stessa ottica, si e ritenuto che commette il delittodi evasione la persona in stato di arresti domiciliari che,autorizzata a lasciare l’abitazione per raggiungere la sededi prestazione della propria attivita professionale, escadalla prima senza portarsi effettivamente nel posto di la-voro, a nulla rilevando il suo successivo e tempestivorientro nel luogo di esecuzione della misura (Cass., Sez.VI, 18 febbraio 2004, Grasso, in C.E.D. Cass., 228318).Analogamente, si e ravvisato il reato nella condotta dellapersona ristretta agli arresti domiciliari che, autorizzatadal giudice a svolgere attivita lavorativa, rientra nella pro-pria abitazione con trenta minuti di ritardo, rispetto al-l’orario stabilito nell’ordinanza (Cass., Sez. VI, 9 dicem-bre 2002, Meloni, in Riv. Pen., 2003, 1036).

Dal canto suo, la sentenza che si annota ha specificatoche per «luogo indicato ai fini degli arresti domiciliari»deve intendersi non soltanto la casa di abitazione, ma an-che il luogo di lavoro dove la persona e eventualmenteautorizzata a trascorrere una parte della giornata, consi-derato che entrambi devono garantire l’immanenza dellecondizioni di legittima restrizione o limitazione della li-berta personale, nonche l’assoluta e costante disponibi-lita del ristretto all’azione di vigilanza e controllo da partedella polizia.

In senso opposto, ispirandosi maggiormente ad un’in-terpretazione semantica della norma, Trib. Milano, 23aprile 2001, in Foro Ambrosiano, 2001, 322, ha affermatoche la mera violazione delle modalita esecutive della mi-sura cautelare — nella specie la violazione dell’autorizza-zione ad allontanarsi dal domicilio per recarsi al lavoro,consistita nel rientro oltre l’orario stabilito da parte delsoggetto agli arresti domiciliari — non integra il reato inparola, ma potra comunque essere valutata dal giudiceche ha applicato la misura per un eventuale inasprimentodella stessa: «infatti — ha giustamente sottolineato il Tri-bunale — il delitto di evasione configurabile in regime diarresti domiciliari richiede necessariamente una condottadi “allontanamento” dagli stessi».

4. A nostro modo di vedere e preferibile quest’ultimatesi rispetto a quella — prevalente — accolta nella deci-sione in commento.

Invero, la giurisprudenza di legittimita finisce per ap-plicare analogicamente e per di piu in malam partem ilconcetto di «allontanamento dalla propria abitazione oda altro luogo designato nel provvedimento»: infatti, illuogo di lavoro nel quale la persona e «autorizzata» atrascorrere una parte della giornata e cosa ben diversadall’abitazione cui inerisce il provvedimento di arrestidomiciliari. Percio, la condotta di colui che, sottopostoagli arresti domiciliari con la sola facolta di recarsi sulposto di lavoro, si allontana da tale sito, costituisce unamera violazione delle modalita esecutive della misuracautelare.

Naturalmente, in questo caso, la sede di prestazionedell’attivita professionale non rientra neppure nella por-tata dell’espressione «altro luogo designato nel provvedi-mento». Tale espressione si riferisce a qualcosa di di-verso: si pensi al soggetto che, per motivi di salute, sitrova in stato di arresto in un ospedale.

Per convincersi di cio basta leggere il 1o e il 3o commadell’art. 284 c. p. p. (rubricato «Arresti domiciliari»):«1. Con il provvedimento che dispone gli arresti domici-liari, il giudice prescrive all’imputato di non allontanarsi

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dalla propria abitazione o da altro luogo di privata di-mora ovvero da un luogo pubblico di cura o di assistenza.3. Se l’imputato non puo altrimenti provvedere alle sueindispensabili esigenze di vita ovvero versa in situazionedi assoluta indigenza, il giudice puo autorizzarlo ad as-sentarsi nel corso della giornata dal luogo di arresto per iltempo strettamente necessario per provvedere alle sud-dette esigenze ovvero per esercitare una attivita lavorati-va». Come e evidente, il primo comma dell’articolo citatonon fa riferimento a luoghi di lavoro, mentre il terzocomma, parlando di autorizzazione ad assentarsi dalluogo di arresto, esclude che l’eventuale sede dell’attivitaprofessionale costituisca appunto — con tutte le conse-guenze che ne derivano — «luogo di arresto».

Tra l’altro, l’autorizzazione ad uscire dall’abitazione,comprendendo un arco di tempo di alcune ore, e tale daconsentire, implicitamente, una certa liberta di azione edi movimento, gia preventivate e valutate dal giudice cheha concesso l’autorizzazione stessa (Cass., Sez. I, 26 feb-braio 1997, Natomi, in Giust. Pen., 1997, II, 567).

Parimenti, il concetto di rientro, per quanto ritardato,pare intrinsecamente inconciliabile con la nozione di «al-lontanamento» di cui all’art. 385, 3o comma, c. p., anchese a tale proposito si e osservato che una siffatta letturaermeneutica, completata attraverso il richiamo a tutte lefinalita dell’istituto cautelare informante la disposizionequi esaminata, consente di ricondurre anche la condottasopra citata all’illecito in discorso (Folla, Due fattispeciein tema di evasione cosiddetta «impropria», cit., 279).

Vale la pena di notare che su questo terreno il metodoletterale dell’interpretazione si scontra con il metodo te-leologico: i risultati cui si perviene utilizzando un criteriooppure l’altro sono, infatti, qui opposti. Come accennato,riterremmo piu corretto far prevalere nella specie il me-todo letterale o semantico dell’interpretazione, in quantoquello teleologico potrebbe portare a conclusioni in con-trasto con il principio di tassativita della fattispecie incri-minatrice (sui metodi dell’interpretazione penale e sullecautele con cui impiegare il metodo teleologico, v. Vin-ciguerra, Diritto penale italiano, I, Padova, 1999, 512).

Ne integra gli estremi del delitto di evasione la con-dotta di chi, trovandosi agli arresti domiciliari con auto-rizzazione a lasciare la propria abitazione, per raggiun-gere un altro luogo, violi la prescrizione di seguire, a talfine, il percorso piu breve. Ed invero, la semplice scelta diuna via piu lunga non costituisce sottrazione alla possibi-lita di controllo da parte della polizia giudiziaria; sicche laviolazione di una tale prescrizione non incide significati-vamente sulla possibilita di controllo e potra essere valu-tata solo con riferimento alla possibile revoca o modificadell’autorizzazione o addirittura degli arresti domiciliari(Cass., Sez. I, 26 febbraio 1997, cit., 567).

5. In punto elemento soggettivo, la sentenza de quaconferma che ad integrare il dolo del delitto di evasione esufficiente la volonta di compiere il fatto, cioe di allonta-narsi dal perimetro logistico di custodia, con la consape-volezza di trovarsi legalmente in stato di arresto.

Invero, il dolo e generico e consiste nella volonta dievadere con la consapevolezza di trovarsi in un legittimostato di arresto o detenzione (Fiandaca, Musco, Dirittopenale, cit., 408; Antolisei, Manuale di diritto penale,parte speciale, II, 14a ed. integrata e aggiornata a cura diL. Conti, Milano, 2003, 528; Cass., Sez. VI, 19 giugno

2003, Principe, in Riv. Pen., 2004, 745: «Il reato di eva-sione non e a dolo specifico, essendo sufficiente, per lasussistenza dell’elemento soggettivo, la consapevolezza evolonta del reo di usufruire di una liberta di movimentovietata dal precetto penale, voluta anche unicamentecome fine a se stessa»; Id., Sez. VI, 1o giugno 2000, Ver-nucci, in Cass. Pen., 2001, 2360). Ne deriva che l’erroresulla legalita dell’arresto o detenzione dovrebbe avere ri-lievo ex art. 47, 3o comma, c. p. (Pagliaro, Principi didiritto penale, cit., 205). Per contro, qualora il provvedi-mento di arresti domiciliari faccia generico riferimento,quale luogo in cui deve essere osservato, ad un camponomadi, puo sorgere da parte del destinatario la possibi-lita di equivoco circa l’ambito applicativo, con la conse-guente esclusione dell’elemento soggettivo del reato al-lorche l’interessato, pur non venendo rintracciato nellapropria roulotte o nelle immediate vicinanze, sia tuttaviarimasto all’interno del campo (Cass., Sez. IV, 4 ottobre2000, Stankovic, in Cass. Pen., 2001, 3410). Invece, l’in-tenzione di fare ritorno al luogo di detenzione rimaneirrilevante (Cass., Sez. VI, 22 febbraio 1999, in C.E.D.Cass., 213887; Pagliaro, Principi di diritto penale, cit.,205).

Alla luce di siffatte puntualizzazioni e condivisibile l’as-sunto secondo cui va escluso, qualora l’imputato vengasorpreso seduto in un cortiletto antistante l’abitazione in-tento a leggere un giornale, l’elemento psicologico deldelitto di evasione, in quanto il dolo della figura crimi-nosa suddetta si configura sotanto se l’agente abbia agitoper sottrarsi alla sfera di custodia degli agenti delegati alcontrollo e per raggiungere cosı la piena ed illimitata li-berta (Trib. Crotone, 29 maggio 2000, Verzi, in Giur. diMerito, 2002, 480, con nota di Patta).

La Corte di cassazione ha pure chiarito che «l’allonta-namento del detenuto, agli arresti domiciliari e autoriz-zato al lavoro esterno, dal luogo in cui e previsto che eglisvolga la propria attivita costituisce reato di evasione,senza che sia invocabile l’inevitabilita dell’ignoranza dellalegge da parte del soggetto che sia stato autorizzato adallontanarsi dal datore di lavoro, atteso che il regime de-tentivo, anche nella forma attenuata, prevede comunqueuna serie di minuziosi e specifici obblighi che non pos-sono essere ignoti a chi nel sistema carcerario e inserito,onde, anche alla luce della sentenza n. 364/88 della Cortecostituzionale, non sono riscontrabili nella fattispecie nel’impossibilita di riconoscibilita del precetto, ne l’appa-renza di legittimita del comportamento incriminato inforza della quale qualunque consociato sarebbe caduto inuna falsa rappresentazione del contesto normativo»(Cass., Sez. VI, 4 ottobre 2000, Parisi, in Cass. Pen., 2001,2360). In tale prospettiva, si e statuito che ritenere la no-tifica di un decreto di citazione per l’udienza un’autoriz-zazione implicita ad allontanarsi dal luogo di restrizione,e un errore di diritto, in quanto afferisce alla disciplinadegli arresti domiciliari che integra la fattispecie penale epertanto non puo essere scusabile neppure per lo stra-niero, il quale, come il cittadino italiano, quando e desti-natario di un regime di arresti domiciliari, deve osservarecon la massima diligenza la regola fondamentale dell’as-soluto divieto di allontanamento dal proprio domicilio,senza preventiva autorizzazione del giudice (Cass., Sez.VI, 9 gennaio 2004, Caku, in C.E.D. Cass., 228465).

Simone Ferrari

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