Siamo Passati

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Comune di Vazzola SIAMO PASSATI Luoghi della memoria e testimonianze sulla Grande Guerra a Vazzola, Visnà e Tezze

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Luoghi della memoria e testimonianze sulla Grande Guerra a Vazzola, Visnà e Tezze

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Comune di Vazzola

SIAMO PASSATILuoghi della memoria e testimonianze sulla Grande Guerra a Vazzola, Visnà e Tezze

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S IAMO PASSATI

Luoghi della memoriae testimonianze sulla Grande Guerra

a Vazzola, Visnà e Tezze

a cura di:

Veruska Agnoloni

Enrico Bellussi

Vinicio Cesana

Mirca Dall’Ava

Andrea De Vido

Raffaella Furlan

Gianluca Zaia

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Finito di stampare nel mese di marzo 2008dalle Grafiche De Bastiani, Godega di Sant’Urbano (TV)

© Dario De Bastiani Editore, Vittorio Veneto 2008

ISBN 978-88-8466-128-9

In quest’anno, nel quale ricorre il novantesimo anniversario della fine della Grande Guerra, l’Amministrazione Comunale ha voluto ricordare quegli anni portando a termine questo secondo progetto editoriale, dopo il libro sulla storia di Palazzo Tiepolo.

La Grande Guerra è dietro l’angolo che abbiamo appena svoltato: ba-sta girarsi indietro per vedere i volti in bianco e nero di uomini, donne, bambini che l’hanno vissuta e che magari sono i nostri genitori o i nostri nonni. Quella che doveva essere un’azione bellica veloce si rivelò ben pre-sto una guerra lunga, cruentissima e rovinosa sul piano sociale, morale ed economico; entrarono nel conflitto italiani che erano ragazzi e ne uscirono uomini provati da vicende più grandi di loro. È storia che ci riguarda da vicino ed ecco perché abbiamo voluto ricordarla con un libro che potes-se raccogliere le testimonianze, le foto, i racconti dei protagonisti e che si ponesse come la naturale prosecuzione della mostra storico-fotografica “Siamo Passati. Luoghi della memoria a Vazzola, Visnà e Tezze” realizzata nel 2006.

Il grande lavoro svolto è merito di alcuni componenti la Commissione Attività Culturali ai quali sentiamo di rivolgere il nostro grato pensie-ro: Agnoloni Veruska, Bellussi Enrico, Dall’Ava Mirca e Furlan Raffaella. Con generosità si sono adoperati nella ricerca del materiale documentale e fotografico, hanno condotto interviste, hanno dato unitarietà a quanto raccolto fino a produrre il libro che ora avete tra le mani. Nel loro ope-rare sono stati guidati e sostenuti dallo storico locale Vinicio Cesana e da Gianluca Zaia dell’Associazione Bianconero Fotografia che, con altrettan-ta gratuità e passione, si sono spesi in due anni di ricerche. Desideriamo

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altresì ringraziare tutte le persone che, a diverso titolo, hanno usato la cor-tesia di favorire il reperimento dei documenti e hanno messo a disposizio-ne di questa ricerca tempo ed energie: a tutti il nostro grazie riconoscente, un grazie che è quello dell’intera comunità di Vazzola.

Vale la pena ricordare come i costi di stampa di questo libro siano stati coperti grazie all’aiuto di alcune istituzioni economiche del nostro territo-rio, segno di una realtà imprenditoriale e di un sistema creditizio attenti alla crescita culturale del territorio e capaci di condividere con lo stesso i frutti del proprio lavoro.

Ora tocca a tutti noi, cittadini del Comune di Vazzola, apprezzare tale lavoro. Buona lettura.

Marzo 2008

L’ Assessore alla Culturadr. Andrea De Vido

Il Sindacoavv. Maurizio Bonotto

P R E S E N TA Z I O N E

Nella tarda primavera di tre anni fa, la Commissione Cultura dell’Am-ministrazione Comunale di Vazzola, integrata da altre persone provenienti dalle più disparate esperienze personali e professionali, ma accomunate da un unico grande interesse per la ricerca storica, si ritrovarono a Palazzo Tiepolo, riuniti dall’Assessore Andrea De Vido. La proposta era di iniziare una ricerca in ambito locale finalizzata ad una mostra che coinvolgesse anche tutta la comunità vazzolese, invitata a collaborare offrendo la pos-sibilità della duplicazione di documenti e fotografie d’epoca conservate privatamente.

In quel primo incontro fu decisa un’azione preventiva di raccolta di tutte le notizie storiche reperibili in archivi e biblioteche della provincia di Treviso, con particolare riferimento a quelle di Vittorio Veneto per quanto riguardava la parte ecclesiastica. Nello stesso tempo iniziò una ricerca in ambito locale focalizzata soprattutto sull’archivio municipale di Palazzo Tiepolo.

Tra le enormi scaffalature contenenti migliaia di faldoni ordinati secon-do le “categorie” dell’archiviazione municipale, cercammo i registri più antichi con le deliberazioni di Giunta e del Consiglio Comunale risalen-ti agli inizi del 1900, negli anni immediatamente antecedenti la Grande Guerra.

Il ritrovamento di un corposo fascicolo intitolato “Monumento ai Ca-duti” ci fece subito comprendere che l’argomento era interessante per la ricchezza di materiale conservato, seppur alla rinfusa. Dopo aver ordinato cronologicamente i documenti e suddivisi al loro interno per tipologia ed

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argomento, si evidenziò ancor più l’attenzione per una vicenda che, oltre l’aspetto patriottico, aveva risvolti locali del tutto particolari ed interes-santissimi. Tra i manifesti elencanti le liste degli offerenti, i registri delle sedute del comitato pro erigendo monumento ai Caduti, la lotteria di beneficenza, quello che ci colpì di più fu soprattutto la copiosa corrispon-denza da Vazzola con lo scultore Bassignani di Fivizzano, allora residente nel Principato di Monaco, autore prima del bozzetto e poi dell’opera inti-tolata “Siamo passati”.

Unanime fu la decisione di iniziare da questo materiale per sviluppare una ricerca che coinvolgesse tutto il periodo che va dall’invasione nemica del novembre 1917 alla fine della Grande Guerra, con la successiva ri-costruzione di Vazzola, Visnà e Tezze, per arrivare all’inaugurazione del monumento ai Caduti nel luglio 1923.

Con i documenti e le fotografie raccolte in Comune di Vazzola, presso l’archivio della Provincia, e grazie alla collaborazione di molti ricercatori e collezionisti privati, fu possibile allestire la “Mostra storico-fotografica dal 1917 al 1923” che si tenne a Palazzo Tiepolo dal 4 al 19 novembre 2006 dal titolo “Siamo passati - Luoghi della memoria a Vazzola, Visnà e Tezze” che risultò suddivisa in due sezioni: la prima parte illustrava la ricostruzio-ne di Vazzola, Visnà e Tezze, la rinascita della vita civile ed amministrativa e terminava con i pannelli riguardanti la famiglia Candiani, incentrati soprattutto sul Sindaco Carlo e sul fratello architetto Luigi. La seconda parte era completamente dedicata alla realizzazione e alla inaugurazione del monumento ai Caduti di Vazzola. Il tutto esposto su circa cinquanta pannelli, dove con pazienza e perizia, tutto il materiale raccolto era stato ordinato secondo una sequenza logica.

Nel pomeriggio della prima domenica successiva all’inaugurazione, la mostra fu visitata da un arzillo vecchietto di Vazzola, Desiderio Tomasin che, all’incaricata dell’apertura, dichiarò di ricordare gli avvenimenti illu-strati per averli vissuti di persona, sciogliendo già a quel primo incontro alcuni dubbi su fatti e personaggi che, purtroppo, i documenti in nostro possesso non erano riusciti a chiarire.

Nei mesi successivi, quando veniva sempre più concretizzandosi l’aspet-tativa di raccogliere in un volume il nostro lavoro di ricerca, alcuni vaz-zolesi ultranovantenni quali lo stesso Desiderio Tomasin, Guido Contini, Teresa Toffoli Vettorello, Battista Gava e la più giovane Ines Da Dalto, per quanto riguarda la storia della famiglia Nardi, splendidi esempi di memoria vivente, coi loro ricordi integrarono la parte documentale in

un magnifico connubio tra vita vissuta, cronaca giornalistica del tempo e documenti scritti.

Questo libro si arricchisce di una terza parte, collocata però all’inizio per ovvie ragioni cronologiche. Vazzola ha avuto la fortuna di veder nar-rate le vicende dell’invasione da alcuni protagonisti del tempo che, con perizia e precisione, hanno lasciato ai posteri delle testimonianze epiche e commoventi di sacerdoti, di soldati e di donne che hanno vissuto un’espe-rienza terribile, quasi inenarrabile perché le parole si dimostrano insuffi-cienti a raccontare tanto patire e soffrire per la popolazione vessata in tutte le maniere.

Si tratta di cinque testimonianze importantissime da diversi punti di vi-sta: sono quelle di due sacerdoti, don Giovanni Dal Poz, parroco di Cima-dolmo, don Amerigo Garbuio, parroco di San Michele di Piave, entrambi ospiti nei primi mesi dell’invasione in canonica a Vazzola, due ragazze, Maria Nardi di Vazzola ed Elisa Fagnol di Visnà ed infine un soldato in-glese, Ernest C. Crosse, della 7° Divisione Britannica.

Il nostro è stato un lavoro di sintesi tra cinque diverse testimonian-ze. Prima di presentare i protagonisti dobbiamo accennare ai questionari, molto brevi e sintetici, che i parroci di Vazzola, Visnà e Tezze compilarono nei primi mesi del 1919 sulle medesime undici domande che furono loro sottoposte dalla Curia cenedese, al fine di documentare presso l’archivio diocesano, una breve relazione sullo stato della chiesa, della canonica, del campanile, delle campane, dell’archivio parrocchiale, degli arredi e dei pa-ramenti sacri. Vi sono inoltre note interessanti sulla popolazione e sulle violenze subite.

Tuttavia, solo quello del parroco di Vazzola, per estensione e ricchezza di particolari, assume un indubbio valore storico, come avremo modo di vedere più avanti. La relazione sulla parrocchia di Tezze è redatta da un parroco che era fuggito al momento dell’invasione e quindi, nella sua brevità, denota la mancanza di conoscenza diretta dei fatti. Il parroco di Visnà invece morì di crepacuore, nel momento della liberazione, per il crollo del campanile e la distruzione della chiesa. La relazione fu stesa dal parroco di Cimadolmo che provvisoriamente era stato incaricato di risie-dere a Visnà, in attesa di poter ritornare nella sua parrocchia.

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L E T E S T I M O N I A N Z E

M O N S . D O M E N I C O Z A N E T T E

Prima di presentare brevemente gli autori dei diari di guerra, è doveroso accennare alla figura principale che emergerà poi dalle varie testimonianze ed attorno alla quale ruota buona parte delle vicende. Si tratta di mons. Domenico Zanette, di 43 anni, allora parroco di Vazzola da 16, che in quei dodici mesi dell’invasione, divenne il punto di riferimento per l’as-sistenza spirituale e materiale di tutta la popolazione rimasta nelle imme-diate retrovie del fronte.

Innanzitutto decise di rimanere al suo posto, mentre tanti altri sacer-doti della forania, alle prime avvisa-glie del pericolo, avevano abbando-nato chiesa, canonica e parrocchia-ni per mettersi in salvo oltre la linea del Piave. Nelle poche stanze della casa canonica di Vazzola, requisita per l’alloggio delle truppe nemiche, lasciate a disposizione di mons. Za-nette, insieme al cappellano don Giovanni Rattin, l’arciprete ospitò i pochi sacerdoti della sinistra Piave che avevano deciso di rimanere: il parroco di Susegana e due sacerdoti della diocesi di Treviso, don Giovan- Mons. Domenico Zanette, arciprete di Vazzola

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ni Dal Poz di Cimadolmo e don Amerigo Garbuio di San Michele di Piave. Nei primi giorni dell’invasione essi corsero a mettere in salvo quanto era

possibile nelle parrocchie abbandonate dai loro sacerdoti, come a Tezze di Piave, a Rai e a San Polo di Piave, tra mille pericoli, restrizioni di movi-mento da parte dei militari, soprusi e violenze alla popolazione, alle quali poterono solo assistere inermi.

Nell’immediato dopoguerra don Zanette non riuscì a completare l’ope-ra di ricostruzione degli edifici sacri perché, forse spronato dai suoi supe-riori, concorse per il posto di arciprete della Cattedrale di Ceneda, dove entrerà nel gennaio 1923 con i titoli di Canonico onorario e Vicario Fo-raneo. Indubbiamente gli erano stati riconosciuti i meriti per la sua opera sacerdotale di soccorso alle popolazioni rivierasche durante l’invasione.

Antifascista convinto, nel settembre 1926 dovette subire il pubblico af-fronto nella piazza di Vittorio Veneto dove, insieme ad altri oppositori, fu insultato e deriso. Nel 1940 divenne Vicario Generale e tre anni dopo, dal 17 gennaio 1943, data della morte del vescovo mons. Eugenio Beccegato, al 29 maggio 1944, data dell’entrata del nuovo vescovo mons. Giuseppe Zaffonato, resse la diocesi vittoriese come Vicario Capitolare. Concluse la sua lunga esistenza il 23 gennaio 1965 alla bella età di 91 anni.

D O N G I O VA N N I D A L P O Z

Nato a Camposampiero il 14 novembre 1885, venne ordinato sacerdote a Salzano nel 1909; fu cappellano a Loreggia, Paese, Fonte; Vicario Spiri-

tuale e poi parroco di Cimadolmo dal 1915. Don Giovanni Dal Poz dunque nel 1917 aveva 32 anni ed era di circa dieci anni più giovane di mons. Zanette; era parroco di Cimadolmo solo da due anni.

Viveva insieme con le sorelle Te-resa e Angelina che lo seguirono nel profugato, ospiti in canonica a Vaz-zola dal 10 novembre 1917 al 13 febbraio 1918, quando fu costretto a spostarsi a Bibano. Per prima cosa riuscì a mettere in salvo l’argenteria Don Giovanni Dal Poz, parroco di Cimadolmo Frontespizio del diario di guerra di Don Giovanni Dal Poz

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della chiesa, i registri e l’oro della Madonna; dal 20 novembre divenne cooperatore a Rai, supplendo all’assenza del parroco don Francesco Pizzin.

Potrà rivedere le rovine della sua chiesa di Cimadolmo solo dopo la fine della guerra, quando riabbracciò i suoi famigliari a Camposampiero. Il 5 novembre 1918 tornò a Bibano ed il mese successivo venne nominato economo della parrocchia di Visnà, in sostituzione del parroco don Gio-vanni Battista Scrizzi, deceduto l’1 novembre 1918 a causa del dolore pro-vato per la distruzione della chiesa e del campanile da parte degli austriaci in ritirata. Tornò definitivamente a Cimadolmo il 3 aprile 1919.

Le sue vicende a cavallo di due diocesi ebbero vasta eco, tanto che, il 24 luglio 1919 in Vaticano a Roma, fu ricevuto in udienza dal Santo Padre Benedetto XV e poi anche dal Primo Ministro on. Luigi Luzzatti.

Antifascista come mons. Zanette, subì a Cimadolmo un duro pestaggio per la coerenza ai suoi ideali; nel 1927 lasciò Cimadolmo per Massanzago, dove morì il 26 dicembre 1939 a soli 54 anni d’età.

Fu invitato più volte dal vescovo di Treviso mons. Giacinto Longhin, sia personalmente che tramite mons. Costante Chimenton, a stendere e a sviluppare gli appunti personali che aveva scritto durante l’anno dell’inva-sione. Le sue memorie furono pubblicate nel 1937, ben vent’anni dopo i fatti narrati e 18 mesi prima della sua morte. Probabilmente annotò in un taccuino gli avvenimenti, perché la cronaca è breve, sintetica, ma precisa e soprattutto ordinata cronologicamente.

“L’Invasione – Diario di un profugo” di don Giovanni Dal Poz, poi-ché steso con l’indicazione precisa della data, è importantissimo perché ci permette di concatenare quanto riportato da altri testimoni che, in una stesura più libera, qualche volta hanno omesso la datazione degli eventi.

D O N A M E R I G O G A R B U I O

Nato a Caerano San Marco il 29 aprile 1882, venne ordinato sacerdote nel luglio 1907; fu prima cappellano a Selva e poi parroco di San Michele di Piave dal settembre 1913. L’intesa con don Dal Poz era forse dovuta al fatto che erano quasi coetanei, poco più che trentenni e trovarono in mons. Zanette un punto di riferimento ed un luogo di rifugio.

Don Garbuio viveva con la madre e le due sorelle, Matilde e Rosa; nel-l’imminenza dell’invasione la madre e la sorella Matilde si misero in salvo a Selva del Montello, dove era già stato cappellano, mentre la sorella Rosa

resterà sempre fedele al suo fianco. Il loro peregrinare nelle retrovie inizia a Vazzola il 13 novembre 1917 fino al 9 febbraio 1918, quando furono costretti a partire con 70 parrocchiani e 200 profughi verso il Friuli. Le tappe di questo esodo di giorno in giorno furono Vallonto di Fontanelle, Rivarotta, Annone Veneto, dove il 12 febbraio furono portati con dei carri bestiame a Codroipo. Il viaggio non era ancora finito perché le destina-zioni finali per i profughi di Cimadolmo fu Sedegliano, per quelli di San Polo fu Gradisca ed infine per quelli di San Michele, con don Garbuio, fu Coderno di Sedegliano.

Finita la guerra, il 10 novembre 1918, don Garbuio rivide per la prima volta San Michele di Piave; poi dal 27 novembre, sempre con la sorella Rosa, tornò nuovamente a Vazzola da mons. Zanette che gli offrì l’alloggio temporaneo fino alla fine di gennaio 1919. Ritornò definitivamente nella sua parrocchia di San Michele di Piave il 4 febbraio 1919 e mons. Zanette, in segno di affetto ed amicizia, gli donò un confessionale per la sua nuova chiesa da ricostruire.

In seguito don Amerigo Garbuio diverrà Vicario Foraneo della Congre-gazione di Negrisia e parroco di Ormelle, dove morì il 5 marzo 1940, a soli 58 anni d’età.

Don Amerigo Garbuioparroco di San Michele di Piave

Mons. Costante Chimentondelegato dal Vescovo mons. Giacinto Longhin

per la ricostruzione delle chiesedella diocesi di Treviso

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Anche don Amerigo trascrisse su un taccuino i suoi ricordi dell’in-vasione, ma non li pubblicò perso-nalmente; preferì consegnare la sua testimonianza a mons. Costante Chimenton, delegato dal vescovo mons. Giacinto Longhin per la ri-costruzione delle chiese della dioce-si di Treviso, distrutte dalla guerra. Mons. Chimenton, nato nel 1883, era quasi coetaneo di don Dal Poz e don Garbuio e aveva partecipato alla Grande Guerra arruolato col grado di tenente cappellano. Nel 1932 divenne Vicario generale del vescovo mons. Mantiero e morì nel 1961 a 78 anni d’età.

E’ l’autore della collana di pub-blicazioni dal titolo “E ruinis pul-

chiores”, per la storia delle ricostruzioni delle chiese lungo il Piave, 28 pubblicazioni che vanno dal 1923 al 1934; è autore inoltre di oltre 50 pubblicazioni sulla storia della diocesi di Treviso. Nel 1929 pubblicò il numero 24 della sua serie sulle chiese, dal titolo “S. Michele di Piave e la sua nuova chiesa” di 380 pagine. Nel III capitolo lo storico narrò diffusa-mente le vicende che riguardano don Amerigo Garbuio e don Giovanni Dal Poz nel profugato vazzolese.

Questi brani di mons. Chimenton, tratti dagli appunti di don Amerigo, sono stati inseriti cronologicamente nel testo di don Giovanni Dal Poz.

M A R I A N A R D I

Era la figlia del Sindaco di Vazzola avv. nob. Giovanni Nardi, ultimo di-scendente di una famiglia che aveva avuto importanti ed illustri personag-gi sia pubblici sia ecclesiastici, autori di numerose pubblicazioni. Maria viveva con il padre anziano e vedovo da alcuni anni che si stava avviando ad una progressiva infermità ai piedi.

Nata a Venezia il 25 novembre 1881, si trasferì a Sacile per circa un

Don Amerigo Garbuio,in seguito arciprete di Ormelle

Frontespizio del libro di mons. Costante Chimenton

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decennio, dal 1885 al 1895, per ri-siedere infine a Vazzola. Compì gli studi tra Treviso e Torino e durante gli anni giovanili ebbe occasione di viaggiare con i famigliari, visitando numerose città italiane ed europee. Direttrice dell’Unione delle Figlie di Maria, all’epoca dell’invasione aveva 36 anni. Inoltre la famiglia Nardi era composta da due sorelle suore Marina ed Anna, religiose del-la Congregazione del Sacro Cuore, e dal fratello Nicolò, chiamato Lino, volontario allo scoppio della guerra. Aveva l’abitudine di annotare quasi giornalmente la cronaca spicciola di

famiglia in una forma quasi mistica, perché il suo calendario era spesso scandito dalle ricorrenze religiose. Una vita vazzolese dunque trascorsa tutta tra casa e chiesa.

L’ultimo diario, quello dell’invasione, iniziò il 9 novembre e si concluse il 21 giugno 1918 quando, al termine della Santa Messa quotidiana, appe-na ricevuta l’Eucarestia e tornata al suo banco, morì in chiesa tra le braccia di mons. Zanette.

L’11 ottobre 1918, nell’ospedale militare di Napoli, morì anche il fra-tello Nicolò col grado di tenente, già ferito ad un occhio nel 1916 sul Carso, a causa della febbre spagnola contratta durante un viaggio alla volta delle Indie.

Purtroppo non conosciamo la collocazione attuale dei suoi diari; fu sempre mons. Zanette, che nel 1910 aveva già pubblicato “In memoriam” nel trigesimo della morte di Teresa Rossi nob. Nardi, madre di Maria, a dare alle stampe nel 1919 il libro “Pura e Forte” - in memoriam di Maria Nardi, dove inserì ampi stralci del diario.

Questi brani tratti dal diario di Maria Nardi furono poi ripresi anche da don Rino Damo nella sua pubblicazione “Vazzola – 5° centenario della Consacrazione della Chiesa”, pubblicato nel 1990.

Alcuni brani della testimonianza di Maria Nardi sono stati ora inseriti nel contesto cronologico di don Dal Poz.

Maria Nardi

Frontespizio del libro di Zanette

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E L I S A B E T TA F A G N O L

Nata il 5 novembre 1904 a Visnà, era la seconda dei sette figli di Gaeta-no e di Maria Maccari. I genitori erano entrambi istruiti, avendo frequen-tato le scuole medie a Oderzo. I Fagnol erano benestanti, piccoli commer-cianti di legname e possedevano dei campi con il mezzadro. Isetta era una bambina molto intelligente e lo notò subito la zia Isabella, maestra elementare, che chiese alla madre Maria di avere Isetta per due anni consecutivi in terza elementare, per esserle da supporto agli altri alun-ni, specialmente in matematica. A scuola però era brillante in tutte le materie, amava soprattutto leggere ed aveva un suo albero sul quale sa-liva tutte le mattine presto per im-parare le poesie. Isetta aveva però un carattere molto forte, era volitiva, di temperamento quasi virile “…vole-re è potere … e con l’aiuto di Dio si può”. Si rifiutò sempre fin da piccola di lavorare a ferri perché lo conside-rava troppo da femminucce. Prediligeva curare i bachi da seta col fratello piuttosto che fare la calza.

Finì le elementari nel 1914 e superò l’esame di ammissione per frequen-tare l’Istituto Magistrale al Collegio San Giuseppe di Vittorio Veneto. Lo scoppio del conflitto mondiale bloccò il suo sogno: il padre fu richiama-to alle armi ed Isetta dovette contribuire al sostentamento della famiglia, apprendendo il mestiere di sarta che esercitò in casa dei signori Bozzoli a Conegliano.

Nell’anno dell’invasione Elisabetta Fagnol aveva soli 13 anni, ma visse un’esperienza soprattutto legata alla liberazione del suo paese che trascrisse in un quaderno con precisione e dovizia di particolari. E’ una testimo-nianza eccezionale sia per l’età della protagonista sia per la capacità di stendere pagine su pagine di racconto.

Provvidenziale fu l’incontro tra Elisabetta Fagnol e lo scrittore opitergi-no Mario Bernardi, impegnato nella stesura di un libro dal titolo “Di qua

Elisabetta Fagnol

Frontespizio del quaderno di Elisa Fagnol

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e di là dal Piave – Da Caporetto a Vittorio Veneto” Mursia editore, che, uscito nel 1989, continua ancor oggi ad essere ristampato e presentato per la ricchezza delle notizie e delle testimonianze raccolte. A pag 11 della introduzione così scrive “… ho immaginato invece di soffermarmi sulla riva sinistra del Piave e di stare insieme al milione di uomini e donne che rimasero e furono infelici e inermi protagonisti di una attesa durata poco meno di un anno. Dai loro diari, dai loro quaderni di scuola (come quello commovente di Elisa Fagnol di Visnà o di Cunegonda Bozzetto di Piavon), dalle loro nar-razioni, dalle impressionanti testimonianze orali giunte fino a noi, ho cercato di mettere insieme un grande collage della loro vita e del loro patire; del loro pregare e soprattutto della loro muta, ma attiva, partecipazione ad una resi-stenza che ebbe momenti epici quasi sempre sconosciuti, perché i protagonisti di queste strazianti verità erano tagliati fuori dal mondo ufficiale della guerra e dell’informazione. Un mondo che stava di là dal Piave e che ebbe cento e cento momenti di vicissitudini e di eroismi”.

Nel 1927 Elisabetta sposò Mansueto Zanardo e dopo 4 mesi si tra-sferirono a Cimetta dove il marito aveva un mulino assieme a suo padre Pietro.

Dopo 5 anni Elisabetta e Mansueto presero in affitto un mulino a Vi-snà. Dal loro matrimonio nacquero 10 figli: Gaetano, Maria, Lidia (suor Alba), Eliana (suor Tarcisia), Tarcisio, Giovanni, Clara, Tullio, Flavio e Amedeo.

Aveva una fede incondizionata; nelle situazioni più difficili, al limite della fame, dello sconforto, dell’impossibilità di agire in alcun modo, lei confidava nella Provvidenza e comunque cantava per ringraziare il Signore per quello che aveva e quello che le avrebbe dato.

Nei suoi 93 anni di vita, Elisabetta fu sempre un punto di riferimento per la sua famiglia; seppe stare al passo con i tempi e fu coerente con le proprie idee che espresse sempre chiaramente.

In questo libro sono trascritte integralmente due testimonianze di Eli-sabetta Fagnol: la prima orale, raccontata all’autore Mario Bernardi su alcuni episodi dell’invasione nemica, la seconda invece è il suo quaderno dal titolo “Piccoli ricordi dell’invasione tedesca” che inizia dalla sera del 28 ottobre 1918 con il racconto della liberazione di Visnà.

E R N E S T C . C R O S S E

Soldato della 7° Divisione Britannica è l’autore di una testimonianza sulla battaglia finale dell’ottobre 1918, che fu raccolta da Giovanni Cec-chin nel volume “Piave Monticano Tagliamento”, Collezione Princeton.

Purtroppo non abbiamo alcuna notizia biografica di questo militare inglese e non può esserci d’aiuto nemmeno il curatore Giovanni Cecchin perché è deceduto.

Nelle circa settanta pagine è riportata una dettagliata relazione di guerra che coinvolge in modo particolare la Sinistra Piave e più specificatamente le operazioni nel Comune di Vazzola. La testimonianza inedita è ancor più importante perché di fonte straniera, sfuggita alla rigida storiografia ufficiale dell’epoca.

Il brano inserito in questa pubblicazione è il capitolo dal titolo “Il pas-saggio del Monticano”.

Foto austriaca del 29 Maggio 1918 della piazza di Vazzola durante l’invasione

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Colonna di soldati italiani in ritirata da Caporetto

L A C R O N A C A D E L L ’ I N V A S I O N E

DON AMERIGO GARBUIO - Le prime notizie della disfatta di Capo-retto giunsero il 28 ottobre 1917; erano informazioni catastrofiche, con quella tinta di terrorismo che annunziava una vera disfatta nazionale. La popola-zione informata dei fatti iniziò a mettere in salvo quanto era possibile. Intan-to cominciarono ad arrivare i primi profughi dal Friuli ed i paesi sulla sinistra del Piave furono invasi dai nostri soldati, reduci dal fronte il 31 ottobre.

La sera dell’1 novembre, dopo le celebrazioni religiose nei cimiteri delle va-rie parrocchie, i sacerdoti furono convocati d’urgenza dal Sindaco di San Polo di Piave, comm. Angelo Schileo, insieme ai proprietari della zona. La seduta

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fu brevissima: “Il popolo fu avvisato di tenersi pronto per passare il Piave; la prima tappa sarebbe stata fatta a Noale; il popolo sarebbe stato avvertito circa il momento della partenza”…

L’invasione (di Visnà) cominciò il 9 novembre 1917 alle ore 4.30 del mat-tino; alle ore 10 di quella stessa mattina la prima pattuglia tedesca aveva occupato Tezze e a mezzogiorno il nemico arrivò al Piave.

9 novembre 1917

MARIA NARDI - Non avrei mai creduto di segnare nel mio libretto fatti così disastrosi: la nostra sconfitta sul Carso sorpassò ogni immaginazione.

Vazzola fu scelta come posto di riorganizzazione delle truppe che ritorna-vano dal Carso, e militari ne vennero a centinaia e centinaia, tutti stanchi perché dicevano di aver fatto non so quanta strada a piedi, fuggendo così, senza saper nemmeno loro dove andare. Erano affamati e stracciati, insomma sembrava una seconda edizione della ritirata di Russia.

La nostra casa ospitò sino a 9 ufficiali in una volta. In generale il morale degli ufficiali era alto; alcuni dicevano, che, ricevuto l’ordine di ritirarsi, era-no scesi dal Carso piangendo. Nella truppa invece regnava una gran demora-lizzazione.

Furono giorni tristi, ad ogni modo si pensava che almeno sul Tagliamento sarebbe stata organizzata una resistenza efficace.

La sera del 3 novembre io ero già a letto, quando sento una forte suonata di campanello, vado alla finestra e odo la voce dell’Arciprete, che mi dice di aprire, perché ha una parola urgente da dire al papà.

Già immaginavo quello che seppi poco dopo, cioè che i tedeschi avevano passato il Tagliamento, ma che fare? Si decise di rimanere a Vazzola e di aiu-tarci gli uni agli altri.

10 novembre

DON GIOVANNI DAL POZ - La mattina celebro fra i timori nella chiesa rovinata (di Cimadolmo); poi vado con Beotto Domenico (Giovannin) a S. Polo (conservo ancora il passaporto per il ritorno a Cimadolmo) dal colonnello, in pa-lazzo Schileo. La canonica era vuota perché Don Giuseppe Chiarelli, arciprete di quella parrocchia, era scappato, spaventato, verso il centro d’Italia. Dev’esser stato molto grande quello spavento, se egli scappò dimenticando che il 3 novembre 1917 i sacerdoti della zona si erano raccolti con lui, nella sua canonica, e avevano presa, d’accordo, questa decisione: “Il clero rimanga con il popolo, e soffra con lui”.

Al Colonnello chiediamo se vi sia pericolo. Mi risponde affermativamente. Ne avviso i miei parrocchiani, e senz’altro parto con le sorelle per Vazzola, mentre le

Palazzo dell’Agenzia Papadopoli, residenza di Angelo Schileo, agente generale e sindaco di San Polo di Piave

La canonica di San Polo di Piave, posta tra la chiesa e l’antico palazzo Gabrieli

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palle fischiano sopra la carrozza, e una bomba esplosiva scoppia a pochi metri di distanza. Il cavallo spaventato si slancia a corsa sfrenata, e ci salva. Guai a noi se si fossero rotti i finimenti! In carrozza con noi volli l’argenteria della chiesa, i registri canonici e l’oro della Madonna, (che le mie sorelle salvarono portando sempre con sé sotto le vesti).

11 novembre. Domenica

DON GIOVANNI DAL POZ - Vado a Vazzola, celebro la S. Messa, ri-torno a Cimadolmo per condurre a Vaz-zola la signora Piva in Rampin, che in-vece rimane con l’intenzione di custodire le sue suppellettili. Ritorno a Vazzola. Vi dormo la notte in canonica.

12 novembre

DON GIOVANNI DAL POZ - Faccio per tornare a Cimadolmo, ma mi si vuol requisire il cavallo, che nascondo dietro la canonica di Vazzola di giorno, ed in cantina di notte. In questi giorni notizie laconiche, ma che nascondono uno stato d’animo incomprensibile.

MARIA NARDI - Oggi, l’invasione dei tedeschi è già avvenuta, ieri sera vi fu una piccola resistenza di nostri al Monticano; si sentivano colpi di cannoni e di mitragliatrici, ma verso le 10 i nemici avevano già valicato il fiume.

Né si tarda a far conoscenza con gli invasori: forza è ceder loro fin dal primo giorno, cavallo, veicoli e non so quante altre cose, mentre i soldati in-vadono podere, giardino e per sfamarsi rubano galline, conigli e quanto vien loro sotto mano, perché non si fan riguardo di entrare nelle stanze a prender ciò che loro garba meglio.

Un ufficiale alloggiato in casa nostra aveva detto: «Loro non sanno che cosa sia la guerra». Disgraziatamente lo abbiamo imparato.

Angelo Schileo

Mons. Giuseppe Chiarelli,arciprete di San Polo di Piave

Don Francesco Pizzin, parroco di Rai

13 novembre

DON AMERIGO GARBUIO - Il paese si poteva dire interamente deserto: quella mattina don Garbuio constatò, per la prima volta, che era rimasto senza parrocchiani: doveva egli pure decidersi e rassegnarsi a fare un S. Mar-tino in ritardo. — Partì da S. Michele alle ore 10 antimeridiane, per ignota

Reparto austriaco in piazza a Vazzola schierato di fronte alla chiesa

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destinazione, ma con l’intenzione di ritornare in paese la sera stessa: un po’ di biancheria e una berretta a croce fu l’unico corredo che volle, quel giorno, portare con sé. — Si portò a Vazzola, dove pure si era rifugiato il parroco di Cimadolmo. Giunto a mezzogiorno in casa canonica, fu giustamente rimpro-verato della sua arditezza: la sua permanenza a S. Michele era ormai inutile. Don Garbuio restò confuso dinanzi alle osservazioni dei confratelli, ma si mostrò talmente calmo da confessare candidamente di non aver dormito mai sonni più tranquilli quanto in quelle notti, sul duro suolo della sua cantina, confortato dal pigolìo delle galline e di qualche tacchino.

Don Garbuio aveva lasciato l’Eucarestia nella cappella dell’asilo. Quando intese che una nuova disposizione aveva imposto al popolo di non allontanarsi da Vazzola, sotto pena di fucilazione, si vide perduto; e quando i sacerdoti, raccolti in quella casa canonica unitamente al parroco di Susegana e all’arci-prete e al cappellano di Vazzola, lo consigliarono a non portarsi in S. Michele quella sera, per non cadere nelle mani dei gendarmi di ronda, comprese l’er-rore in cui involontariamente era incorso: i Tedeschi lo consideravano ormai come un vero prigioniero e, come tutto il clero della zona, quale spia italiana, e perciò controllato in tutti i suoi movimenti…

Le rovine della chiesa di Cimadolmo

14 novembre

DON AMERIGO GARBUIO - II Comando di Tappa di Vazzola non con-cesse, la mattina del giorno 14, il permesso al sacerdote di portarsi in S. Mi-chele; ma don Garbuio riuscì a mandare in paese una persona di fiducia, per informare la sorella Rosa e la sig.ra Campion di mettersi subito in salvo in Vazzola e portarvi il SS.mo Sacramento. — Il SS.mo fu portato dalla sig.ra Campion in una sporta ripiena di cenci: la Sacra Pisside fu avvolta in un panno bianco; l’operazione riuscì a capello: le due donne si allontanarono inosservate, quali due mendicanti, da quell’asilo che tanti ricordi pietosi con-centrava in se stesso. Lungo il viaggio si associò a loro un’altra donna, la sig.ra Angela Buosi, mamma dell’avv. dott. Enrico Buosi: la nuova compagna di sventura fu informata del sacro deposito che avevano con sé quelle due finte mendicanti: le tre donne lungo la strada recitarono l’intero Rosario. Quando entrarono nella chiesa di Vazzola, trovarono il parroco don Garbuio, vestito degli indumenti sacerdotali, che le attendeva. Consegnarono, piangendo, la Sacra Pisside al sacerdote che pure piangeva per la commozione: nessuna pa-rola si scambiarono il parroco e le parrocchiane di S. Michele: quel silenzio e quel pianto dissero tutta la gioia che faceva sussultare il cuore per veder salve da una sicura profanazione le Specie Sacramentali.

Trincee italiane sul Piave

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15 novembre

DON AMERIGO GARBUIO - Una stranissima disposizione del Comando di Vazzola fu emanata il 15 novembre: durante la notte le porte delle case dovevano rimanere spalancate: in Italia era entrato ormai il fiore dei galantuomini e le case non avevano più bisogno di custodia! La disposizione portò subito le sue tristi conse-guenze: si moltiplicarono i furti notturni, sotto gli occhi delle stesse autorità militari; in casa canonica di Vazzola, dove avevano preso alloggio i gendarmi germanici, fu rubato tutto il fieno dopo la mezzanotte del giorno 15 novembre: l’operazione si compì con la massima tranquillità, e i due gendarmi che riposavano nello stesso fienile, giurarono di non essersi accorti che il fieno veniva levato di sotto alle loro dure schiene! - Queste disposizioni, barbare e ridicole ad un tempo, eccitarono lo sdegno; ma non si potè protestare.

Ciò che nauseò la popolazione raccolta in Vazzola furono i sacrilegi che soldati germanici, protestanti e mussulmani, compirono nelle nostre chiese della riva si-nistra del Piave. I sacrilegi si perpetrarono là dove il sacerdote si era allontanato, dove la chiesa era rimasta abbandonata. Il parroco di Tezze, don Angelo Pedron, non aveva consumato il SS.mo prima di lasciare la sua parrocchia per passare il

Requisizione di campane

La chiesa di Tezze di Piave con il crollo parziale del campanile

Piave: i Tedeschi scassinarono il Tabernacolo nella speranza di farvi largo bottino. Don Garbuio, informato della cosa dalla sig.ra Celeste Zandonadi, il 15 novembre si portò, unitamente all’arciprete di Vazzola Mons. Domenico Zanette, in quella chiesa. Dentro il Tabernacolo trovò la pisside contenente una metà dell’Ostia: l’al-tra metà e le particole consacrate per la Comunione dei fedeli erano scomparse. E’ evidente il sacrilegio: le porticine del Tabernacolo erano state asportate: il SS.mo fu raccolto e trasportato nella chiesa di Vazzola.

16 novembre. Domenica

DON AMERIGO GARBUIO - In compagnia dell’arciprete di Vazzola, don Garbuio si portò a Rai di S. Polo, dove pure il SS.mo era stato abbandonato; là pure il sacrilegio fu perpetrato dai Tedeschi. I frantumi eucaristici furono raccolti e tra-sportati a Vazzola, unitamente ai paramenti sacri che, sotto l’incubo dello spavento, don Pissin (Pizzin) non aveva asportato dalla sua chiesa. - Nella chiesa di Vazzola si trasportarono pure i paramenti sacri rimasti abbandonati nella chiesa di Tezze.

MARIA NARDI - Anche oggi una festa senza suono di campane, messe det-te alla chetichella, che sembra d’esser ritornati ai tempi in cui i primi cristiani si radunavano nelle catacombe.

Una delle cose più penose è l’assoluta mancanza di comunicazioni, non si sa

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più nulla, non solo di quel che succede al di là del Piave, ma neanche dei paesi vicini invasi, né si riesce ad aver notizie esatte sugli avvenimenti del fronte.

20 novembre

DON GIOVANNI DAL POZ - Comincio ad andare a Rai per i bisogni spirituali di quella popolazione, priva di parroco, che scappò al di là del Piave come il parroco di Tezze.

A Rai! Che vita! Qualche notte la passo in mezzo ai soldati tedeschi, in un giaci-glio, in una atmosfera da caserma, in un tanfo da taverna. Le popolazioni, quando mi vedono, sono in festa: sembra loro di vedere colui che toglie i dolori, le sofferenze. Le mie non possono essere che parole, ma quanto sono gradite, e come sollevano!

Seppellisco i morti, dopo di aver loro amministrato i SS. Sacramenti, e, la festa, spiego il Vangelo, e confesso quelle persone che possono giungere fino alla chiesa.

21 novembre DON GIOVANNI DAL POZ - Con l’Arciprete di Vazzola Don Domenico

Zanette, vado a Campagnola di Mareno per presentare a quel comando un memo-riale delle infamie commesse dai soldati germanici, i quali rubano tutto, minaccia-no tutti, attentano al pudore delle donne e delle ragazze (magnifiche ragazze, forti come le Agnesi!), ed hanno ucciso un uomo, perché non voleva cedere l’unica risorsa rimastagli: il maiale. Quest’uomo è traforato dalle pallottole del fucile nemico, in un lago di sangue, coi parenti impazziti d’intorno! Quale schianto per il cuore!

Requisizioni e violenze in un quadro dell’epoca

22 novembre

MARIA NARDI - Credo ci siano probabilità che i tedeschi siano respinti, ma chissà a che cosa andremo incontro noi. Hanno piantato stamane una mitragliatrice nel nostro cortile; non ci voleva che questo per metter al colmo la costernazione della servitù. E’ veramente un momento brutto il presente e la situazione sembra farsi ogni giorno peggiore.

25 novembre

DON AMERIGO GARBUIO - I cinque sacerdoti, riuniti in casa canonica di Vazzola, in compagnia dell’avv. Dott. Nardi, si recarono presso il Comando germanico per implorare un po’ di disciplina nella truppa e per impedire che si commettessero tante ladronerie e sevizie contro la popolazione borghese. I sa-cerdoti furono accolti freddamente, in piedi, nell’anticamera del Comando: si rispose con una sola parola: “Si provvederà!”: ma il provvedimento assicurato non fu mai preso, e quella formula verbale rimase una promessa secca e fredda, vera lettera morta fino all’epoca dell’armistizio.

MARIA NARDI - Oggi il mio 36.m° compleanno; non mi ricordo di aver cominciato un nuovo anno in condizioni così critiche. Pare che i Tedeschi

Al centro la canonica di Vazzola

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abbiano passato il Piave in qualche punto, ma di notizie positive non se ne sanno. Si cerca saper un poco di quello che succede in Italia, ma non si riesce che ad avere qualche notizia confusa.

27 novembre

MARIA NARDI - Ieri qui da noi vi fu una riunione delle persone compo-nenti il comitato provvisorio per l’ordine del paese che, stante le requisizioni fatte, vede con paura l’avvicinarsi dell’inverno.

6 dicembre

DON AMERIGO GARBUIO - Il Comando di Vazzola impose la requisi-zione di tutti i cavalli, dei muli e degli asini: i quadrupedi si dovevano con-durre sulla pubblica piazza; motivazione del nuovo ordine draconiano, una semplice visita medica ai quadrupedi che si sospettavano colpiti dall’afta. Ma quando tutto il bestiame fu raccolto in piazza, il comandante ordinò la re-quisizione completa; tutti quegli animali dovevano la sera stessa essere spediti in Germania: a Vazzola non rimasero che pochi asini malconci e sfiancati che stentavano a reggersi in piedi. I proprietari ritornarono alle loro case mortifi-cati, imprecando contro una violenza di nuovo genere, non coperta dall’appa-

Volantino italiano lanciato dagli aerei nei territori occupati dal nemico

renza della legalità, né dalla concessione dei ridicoli buoni di requisizione che rivelarono, in seguito, un furto compiuto in forma elegantissima.

8 dicembre

DON AMERIGO GARBUIO - Ma le vessazioni si erano appena iniziate: la requisizione nella zona di Vazzola, per opera delle truppe germaniche, non poteva diventare più radicale.- Il giorno 8 dicembre, della festa dell’Immaco-lata, un nuovo bando del Comando austriaco impose che nella piazza fossero condotti tutti i bovini; non si allegò più il pretesto di una visita medica, ma si fece comprendere che una nuova requisizione si doveva attuare su larga scala. Si disse che tutto quel bestiame doveva essere spedito d’urgenza in Germania per servire di alimento ai nostri prigionieri italiani che in tutto il tempo della prigionia non gustarono mai un po’ di carne! Mancò la franchezza di dire: “Abbiamo fame noi!”: il popolo intese questa necessità: non reclamò; non pro-testò; subì l’ultimo sacrificio con quella rassegnazione che fortifica le anime nel dolore. “In tutte le famiglie si lasciò soltanto una vacca, con l’onere tassativo, - nuova ironia! - di fornire tutte le mattine il latte, non già ai bambini, ma ai signori ufficiali germanici!”.

Requisizione di vino nella cantina Bellussi a Tezze di Piave

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MARIA NARDI - La festa della Madonna, quest’anno viene proprio come fiore in mezzo al deserto. Non sappiamo niente di preciso intorno alla guer-ra, deve essere successo qualche cosa di anormale, perché i germanici hanno ricevuto un ordine preciso di partire. Sembra si rechino tutti dalla parte di Cividale che qui invece verranno gli austriaci.

Ieri sera viene dato l’ordine che stamane tutte le bestie, mucche, vitelli, ecc. fossero condotte in piazza per una requisizione generale. Questa povera gente è disperata...

9 dicembre

DON AMERIGO GARBUIO - Fu l’ultima impresa che si compì, in questo primo periodo d’invasione, dalle truppe germaniche accantonate nella zona Vazzo-la – Tezze – San Michele di Piave. – Il giorno 9 dicembre la divisione germanica cambiò settore: ma la distruzione e la requisizione erano ormai complete: “Durante questo mese, i Germanici, gente superba, prepotente e senza cuore, hanno fatto soffrire il soffribile a questa povera popolazione; hanno asportato quanto si poteva asportare, senza alcun rispetto a persone o a cose; hanno distrutto tutto ciò che si poteva distruggere; niente hanno pagato né in contanti, né con l’ap-parenza dei buoni. Ripetevano in tono canzonatorio e in aria di trionfo: «Ita-

lia? Caput! Tutto deve essere distrutto: vogliamo andare a Roma: vogliamo strangolare il Papa, e poi dormire sul suo letto!». - In grande maggioranza erano soldati luterani, istigati nel-le loro imprese di brigantaggio dai loro stessi cappellani! Entravano nelle case, dove tutto doveva essere a loro disposizione: «..letti, stanze, cucina, granaio, cantina e stalla. Le bestie venivano sciolte e lasciate libere per le campagne: nelle stalle mettevano i loro cavalli; nei letti dormivano loro, e i proprietari dormivano per terra; il granone veniva dato in pasto ai caval-li, molti dei quali dovettero, in conse-guenza, morire; il vino veniva lasciato Il cappellano militare Holler, Padre Domenicano

Da sinistra: don Amerigo Garbuio, padre Holler e il cappellano di Vazzola don Giovanni Rattinseduti all’esterno della canonica

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correre per le cantine e in quei laghi di nuovo genere furono trovati annegati diversi soldati germanici; alle galline si dava la caccia col fucile, e quando tut-te furono uccise, si pretendeva la fornitura delle uova, anche in pieno inverno; i maiali venivano uccisi a colpi di baionetta, bruciacchiati un po’ alla meglio e divorati in poche ore, senza condimento: i barbari, calpestato il bel suolo d’Italia, rinnovarono, in questi paesi, le gesta dei loro vecchi padri».

Nella sua relazione don Garbuio non può essere più efficace; si comprende dalle sue parole come il popolo istupidito non seppe mai reagire: era il terrore che imperava, il de-spotismo più assoluto, la barbarie più raffinata. «Quando quegli assassini se ne andarono, il popolo li accomiatò colle sue maledizioni; sospirò un po’ di tregua: ma questa tregua alle violenze era ancor lontana» : le scene di terrore dovevano riprendersi presto con un crescendo sempre più forte che aumentò le vittime fra i nostri poveri connazionali.

Il settore abbandonato dai soldati germanici fu occupato da soldati ungheresi, magiari e sloveni: le condizioni morali ed economiche non migliorarono; unica differenza fu che il cappellano militare era il padre Holler, domenicano, ottimo sacerdote che fu di valido appoggio e di ottima difesa per i nostri sacerdoti, quantun-que, con tutta la sua buona volontà, non sempre riuscisse ad ottenere buoni risultati per le truppe. Specialmente al loro primo arrivo, tutte le notti i soldati ungheresi si davano all’opera di libertinaggio: “Ogni mattina, fanciulle e madri giungevano in canonica spaventate e piangenti per raccontare le sevizie patite durante la notte e pregare che venisse posto un rimedio. Anche stando in canonica si sentivano, duran-te la notte le grida di queste donne, spaventate da questi animali viventi. L’arciprete di Vazzola si decise di raccogliere in una stanza della canonica le ragazze più esposte al pericolo.

11 dicembre

DON GIOVANNI DAL POZ - L’arciprete di Vazzola ed io andammo a Vittorio Veneto. Visitiamo il Vescovo in seminario, mangiamo un boccone da Mons. Bellè canc. Vesc., e la notte dall’11 al 12 dormiamo in casa dei parenti dell’arciprete di Vazzola a Cappella Maggiore.

Notte dall’11 al 12: fatto orribile

DON GIOVANNI DAL POZ - Molti soldati circuiscono la casa di una don-na di Vazzola, la oltraggiano, e deflorano alla sua presenza le sue due figlie, che dormono nel suo medesimo letto con lei.

DON AMERIGO GARBUIO - La mattina del giorno 12 giunsero in Cano-nica due ragazze di Vazzola, spaventate e disperate perché, durante la notte, alla presenza della madre, e la madre alla presenza delle figlie, erano state con violenza percosse, ferite e deflorate da soldati ungheresi …”.

Disposizioni nemiche sulle requisizioni

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Era il colmo dell’impudenza: da uno stato di vessazione e di ladronerie si era passati ad una condizione ancor più umiliante. - Don Garbuio, in assenza del-l’arciprete di Vazzola, ma in compagnia del cappellano di quest’ultimo, si presentò al Comando, espose le nuove violenze all’ottimo padre Holler, e richiese dei prov-vedimenti. Sei Ungheresi furono arrestati; ma pochi giorni dopo, rimessi in libertà, quei soldati giravano indisturbati per le vie di Vazzola, con aria di indifferenza e di disprezzo.

DON GIOVANNI DAL POZ - Questo fecero gli Austriaci, che, ai primi di dicembre, occuparono il posto lasciato libero dai Germanici, partiti per la grande offensiva contro la Francia, scatenatasi nella primavera successiva.

13 dicembre

DON GIOVANNI DAL POZ - L’arresto. A Rai e a Tempio per una visita; poi ritorno a Vazzola. Alle ore 17 del 13 il segretario comunale di Vazzola viene in canonica, e con molta circospezione mi annuncia il mio arresto. Subito non com-prendo, poi penso alla causa.

Il generale Radgh il 6 dicembre, in Rai, aveva fatto firmare da un suo subalterno il mio passaporto per Vittorio Veneto; poi il medesimo generale partiva per Lutrano, e veniva sostituito da un altro comando, al quale io non feci vedere il passaporto, e il martedì successivo, 11 dicembre, andavo a Vittorio Veneto, poi a Cappella Mag-giore, e quindi ritornavo a Vazzola, a Rai e a Tempio tranquillamente.

Si credette, dal nuovo comando, ch’io fossi paroco di Rai, e che mi fossi allonta-nato dalla parocchia senza passaporto. Alle ore 17, dunque, del 13 fui condotto in casa Mozzetti, mi si scaldò una stanza; più tardi mi si permise che Don Giovanni Rattin, cappellano di Vazzola e Don Amerigo Garbuio, paroco di S. Michele, mi portassero un po’ di cena, mi facessero compagnia per un’oretta, e che il profugo di S. Michele di Piave, Francesco Berna, mi si portasse un materasso per dormire la notte…

A mezzodì Don Amerigo mi portò un po’ di cibo per desinare e mi avvisò che alle tredici l’arciprete di Vazzola ed io saremmo andati a Rai, da quel comando. Di fatto carrozza e cavallo erano pronti all’ora stabilita: l’arciprete mi aspettava e fra due angeli custodi a cavallo andammo a Rai, dove quel colonnello, visto il mio passaporto firmato in piena regola, si accontentò di dirmi che avrei dovuto avvisarlo prima di allontanarmi dal paese. Risposi che, se avessi saputo ciò, l’avrei fatto; e fui rimesso in libertà.

Ma intanto che notte! quanti timori! quanti esami di coscienza! quali meditazio-ni sulla morte! Fu spontanea la asserzione: maledetta sorte! Sotto gli italiani erava-mo segnati a dito come austriacanti, sotto i Tedeschi lo siamo come spie italiane!

DON AMERIGO GARBUIO - Continuarono, anche in questo periodo, le ruberie, da parte dei soldati, col tacito consenso, se non l’approvazione dell’autorità superiore. Per impedire l’ultima rovina della popolazione, le autorità ecclesiastiche e civili di Vazzola decisero d’inviare un memoriale al Comando Supremo dell’ar-mata: specificarono le violenze commesse contro le proprietà private e si richiesero, d’urgenza dei provvedimenti. - Il memoriale non ebbe l’onore di una risposta! La popolazione rimase abbandonata nella sua angoscia: la fatale cappa di piombo continuò a gravare sopra i nostri connazionali.

Si riferisce a questo periodo di tempo un episodio raccolto a Vazzola dal cav. Car-Palazzo Mozzetti

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lo Magello; non è un episodio di violenze compiute in grande stile, ma un episodio sintomatico delle vessazioni continue a cui le nostre famiglie erano esposte da parte di elementi indisciplinati dell’esercito nemico. - Lo riproduciamo nella sua inte-grità: “ Siamo nei primi giorni, dopo l’occupazione; in un casolare di campagna. – “Dove tabacco?!! Avere vostra casa tabacco! E dare tabacco!” – così ripeteva eccitato un soldato tirolese ad una donna sorpresa in cucina con un bambino ammalato. – “Volere tabacco!”, insiste il soldato, agitando una di quelle grandi pipe tirolesi in majolica, che portano l’effige di Francesco Giuseppe e lo stemma imperiale. - La donna, sollecitata dalle imposizioni del soldato, ricordò che il marito aveva lascia-to in un armadio della stanza coniugale, del tabacco, e si precipitò a prenderlo, anche… per liberarsi da quella visita poco gradita. Ritornata in cucina, con sua viva sorpresa non trovò più il soldato tirolese, né… la pentola al fuoco, dove stava rinchiuso un pezzo di carne. Si portò alla porta, e vide, in distanza il soldato che rivolgendole un sogghigno beffardo, agitava, quasi trofeo, la pentola rubata in quel-la povera casa. - Naturalmente, quel giorno, il bambino ammalato non gustò una goccia di brodo”.

Verso la fine del mese di dicembre cessarono i ladrocini privati e si iniziò la serie di requisizioni ufficiali: se ai primi qualche volta era possibile porre un riparo, per le seconde tutte le cautele si resero inutili. - Lo spettro della fame cominciò a mostrarsi a quel popolo prigioniero, oppresso, già da due mesi.

Macellazione di maiali per sfamare le truppe nemiche

Fatto più odioso, i gendarmi austro-ungarici, in queste ripetute perquisizioni, erano accompagnati da interpreti del paese: persone obbligate, costrette spesso ad un servizio così ignobile, e qualche volta gareggianti col nemico nell’angariare le povere famiglie!

Ogni resistenza provocava le chiamate al Comando, le punizioni, le multe, le minacce di pene maggiori: fu il tormento più grave per i nostri invasi! Il nemico non fece mai mistero delle sue intenzioni: Il Comando di Tappa impose a Vazzola la pubblicazione, in chiesa di un manifesto che diceva semplicemente così: “I bor-ghesi nulla aspettino dal nostro Governo, si rassegnino a patire la fame!”. – I fatti confermarono quella che sembrava appena una minaccia, e la trasformarono ben presto in una tristissima realtà”.

La popolazione si interessò per nascondere quanto era indispensabile per la vita. Fortunato chi potè vivere in casa propria; disgraziato il profugo che, avendo perduto tutto, nulla poteva nascondere, “e dovette vivere con la tessera, o industriandosi con le appropriazioni indebite”.

In questi ultimi giorni del 1917 furono uccisi “gli ultimi animali bovini e suini, lasciati agli interessati dalle requisizioni: quella carne si conservò gelosamente come preziosa riserva per i giorni che ormai si avvicinavano più tristi e più dolorosi. Fu un’industria legittima: dove un vile delatore, indegno del bel cielo d’Italia, non denunziò al nemico le riserve accumulate, la vita si continuò meschina, ma non disgraziata; dove il tradimento, suggerito da antipatie personali, ebbe il suo predo-minio, trionfò la miseria, e allargò il numero dei rapitori e dei ladri”.

A queste industrie si decisero di dedicarsi, una volta sola, anche i parroci di S. Michele di Piave e di Cimadolmo. L’impresa compiuta ebbe tutti i caratteri della comicità. — I due sacerdoti acquistarono un maiale a caro prezzo; lo fecero uccidere in aperta campagna per non eccitare l’allarme dei gendarmi austriaci, e poi si affidò a don Garbuio l’incarico di trasportare la vittima in canonica di Vazzola e di disporre per il confezionamento dei salsicciotti. — E don Garbuio fece sistemare quel maiale ucciso sul fondo di uno di quei calessi rustici che nei nostri paesi di campagna sono usati per raccogliere le immondi-zie delle pubbliche strade; la vittima fu coperta di foglie e di paglia, e il calesse affidato a due ragazzi del paese. Il veicolo si mise in viaggio, lentamente; un ragazzo, con un badile in mano, raccoglieva gli sterpi e le immondizie e le gettava sopra il calesse; l’altro ragazzo, impassibile, tratto tratto si fermava per ostentare la sua stanchezza, e poi riprendeva il suo viaggio. Pochi metri discosto, seguiva il veicolo don Garbuio, con l’aspetto dell’uomo indifferente che osserva che cosa succede d’intorno e spia intanto tutti i viottoli per assicu-rarsi che nessuna belva esca da un nascondiglio improvvisato per avventarsi

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sulla preda. L’impresa riuscì: i gendarmi lasciarono passare indisturbati quei monelli, compassionando forse la miseria italiana: poche ore dopo in canonica di Vazzola si lavorava a salsicciotti e si rideva saporitamente sulla dabbenag-gine teutonica. — Senza dubbio, se l’impresa non fosse riuscita, don Garbuio sarebbe stato colpito da una multa grossissima e avrebbe scontato in prigione il suo ardimento.

Contrasto

DON GIOVANNI DAL POZ - In piazza di Vazzola suona la musica. Il nemico ha fatto un’avanzata sul Piave. E’ in giubilo. Silla Facchin, da Cimadolmo, porta a Vazzola una bomba a mano, inesplosa, e gioca con essa nella cucina della famiglia, che lo ospita presso la chiesa; la fa scoppiare ferendo sé, la madre, il padre e la padrona di casa. Quale contrasto con l’allegria della piazza! Dopo qualche giorno il padre guarisce; dopo qualche settimana guarisce la padrona di casa, e la madre del ragazzo, dopo qualche settimana, muore a Mareno di Piave, in quell’Asilo Infanti-le, convertito in ospedale; mentre il ragazzo si vede amputare ambedue le mani.

In questo tempo alcuni soldati stanno a nord-ovest della canonica di Vazzola guardando in alto e, a un certo momento, battono le mani. Hanno assistito a un

duello tra due aeroplani, e gioiscono per l’incendio di uno che sta per cadere: lo credono italiano. Mi fermo. L’aeroplano precipita presso di noi. Subito impartisco l’assoluzione sotto condizione al disgra-ziato aviatore, nella speranza che sia cattolico e ancor vivo. Ma i battimani cessano, e la gente ivi radunatesi viene allontanata quando i soldati si accorgo-no che l’aviatore è un tedesco, sformato, rotto lo stomaco, nel quale si vedono fe-gato, cuore, polmoni e il cibo dell’ultimo pasto. Mi ritiro piangendo in cuor mio l’animo cattivo di quei soldati…

Silla Facchin, da Cimadolmo profugo a Vazzola, con le mani amputate

“ D I Q U A D I L A’ D E L P I AV E ”di Mario Bernardi, ed. Mursia, 1989, pag. 46 - 49

I n t e r v i s t a a d E l i s a F a g n o l

«All’epoca dell’invasione avevo tredici anni. Un’età giovane, ma sufficiente a tener fissi i ricordi nella memoria, di quei giorni in particolare, perché alla paura si aggiungevano la fame e la disperazione di mia madre che si trovava a dirigere da sola una famiglia numerosa come la nostra. Mio padre era al fronte e di lui non si avevano notizie da più di un mese, perciò non potevamo neanche sapere se era morto o vivo.

Visnà è un piccolo paese di circa 1200 abitanti; chi poteva, ma furono pochissimi, se n’era andato oltre il Piave. Avevamo notizie da Oderzo e da Conegliano dove sembrava che la maggior parte degli abitanti avesse abban-donato la città, ma nel nostro piccolo borgo ci sentivamo abbastanza sicuri e mai avremmo immaginato che, proprio qui, si sarebbe consumato l’ultimo atto dell’estrema resistenza austriaca all’antivigilia dell’armistizio. Perciò ho scritto quella memoria su di un mio quaderno di scuola, perché volevo che si sapesse quanto grande fu il nostro patimento durato fino all’ultimo giorno del conflitto. Ma, andando per ordine, vediamo di rivivere insieme i primi momenti dell’invasione.

Da noi arrivarono i germanici. Erano numerosissimi e molto organiz-zati. Mio padre esercitava la profes-sione di falegname e di commerciante di legnami, ma avevamo anche una piccola proprietà a Rai, nei pressi di San Polo di Piave. Come ogni anno, le pannocchie erano accumulate nel granaio del nostro colono ed il vino era stato invece messo nella cantina di casa nostra in attesa di spartirlo col mezzadro. Arrivati i tedeschi, senza indugio decisero di installare le loro cucine proprio nel laboratorio-magazzino di mio padre, e noi sette fratelli con mia madre fummo relega-ti in due stanze insieme a mia nonna e a mio nonno. Accatastati come le Elisabetta Fagnol

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Elisabetta Fagnol, prima a sinistra, e le sorelle Richetta, Rina, Lucia e Teresa

bestie gli uni sugli altri, avevamo però la segreta speranza di poter almeno usu-fruire di qualche beneficio dalla cucina da campo tedesca. Qualcosa riusciva-mo ad ottenere, ogni tanto, ma si trattava di briciole che mia madre riusciva a raggranellare per noi ed a trasformare in cibo che potesse sfamarci. La prima operazione della truppa d’invasione fu quella di sequestrare tutte le bestie nelle stalle dei contadini. In principio sembrava che permettessero l’uso di una

vacca per ciascun nucleo familiare ed allora ci fu possibile avere da una nostra zia qualche litro di latte e consumarlo con le poche scorte di farina da polenta che mia madre cucinava con grande parsimonia ogni sera, badando poi a di-videre le porzioni con meticolosità. Ricordo gli occhi di mio fratello più piccolo che guardava questa polenta abbrustolire sulla graticola indicando con le sue manine alla mamma le fettine più grosse dicendole: mamma, questa e questa sono per me. E lei ad accarezzarlo e a dirgli di sì, mentre le si inumidivano gli occhi e ci guardava per capire se comprendevamo la sua disperazione.

Come dicevo, erano appena arrivati, ma la loro organizzazione era tale che, ogni mattina all’alba, procedevano alla macellazione di maiali requisiti il giorno prima e trasformavano le carni in salsicce, badando di lasciare in disparte le parti migliori per la mensa degli ufficiali.

Mia madre, altrettanto mattiniera, si avvicinava al caporale di cucina e qualche volta riusciva ad ottenere qualcosa. Soprattutto le scaglie di pelle e di ciccioli di grasso che in parte si mangiavano, in parte si trasformavano in grasso per fabbricare candele. Eravamo diventati tutti degli artisti in questo senso. Costruivamo gli stoppini attorcigliando il filo grosso in modo strettissi-mo e poi facevamo colare il sego liquefatto in uno stampo lasciandolo rassodare quanto necessario. Alla fine, purtroppo, si dovette ricorrere a questa scorta di candele per condire il radicchio e le altre poche erbe che riuscivamo a trovare nei campi. Ma loro, i tedeschi che rimasero a Visnà fino al febbraio del ’18, continuarono imperterriti i loro riti mattutini di preparazione delle salsicce, senza curarsi dei nostri sguardi e senza commuoversi.

Cercammo di raggiungere il nostro patrimonio nel granaio del mezzadro a Rai ma ci fu negato il permesso perché si diceva che non era possibile avvi-cinarsi alla zona del fronte. Del resto il viaggio sarebbe stato inutile perché, come si seppe più tardi, anche lì erano arrivati i provvedimenti di sequestro fin dai primi giorni ed il nostro contadino era riuscito a salvare a malapena qualcosa per la sua famiglia. Poi lo avevano buttato definitivamente fuori di casa e trasferito in un paese del Friuli assieme agli altri del suo paese. Insomma eravamo soli e disperati. Anche il vino era sparito, e le galline e quindi le uova. Ci restava un po’ di latte che nostra zia ci passava ogni giorno e, in cambio, noi andavamo in cerca di fieno per la sua vacca che era tenuta ben nascosta e lontana dalle tentazioni dei nostri occupanti.

La nostra bisnonna, che viveva in una casa vicina alla nostra, ci veniva a trovare e vedendo sempre la tavola vuota, si girava verso mia nonna e diceva: “Maria, perché no te va pi a botèga?”. Mia madre sorrideva e ci guardava con quei suoi grandi occhi. Le botteghe, come si sa, erano chiuse da un pezzo, e

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l’ultima cosa che mi era successa di poter comprare era una scopa ed un pezzo di sapone. Ma erano passati già due mesi ed anche il radicchio di campo, che da noi cresce abbastanza rigoglioso d’inverno, era finito. I tedeschi no, loro avevano un grande magazzino viveri proprio nel centro del paese, e noi guar-

davamo scaricare grandi sacche di pane nero e tante scatolette di carne dentro a cesti di vimini, che venivano ammonticchiati gli uni sugli altri.

Mia madre diceva: “Ma quel pan el se rovinarà!” e noi, che ormai ne avevamo dimenticato il sapore, soffrivamo con lei non meno che con i poveri soldati che anch’essi alle prese con privazioni sempre più dure stavano all’erta per vedere di far fuori qualcosa alla prima occasione. Infatti quest’ultima non mancò e fu una beffa crudele per tutti.

Un giorno di febbraio arrivò una delegazione composta da un generale tedesco e da alcuni altri ufficiali germanici. Fecero aprire il magazzino e, su-bito, si udì un gran vociare di imprecazioni che sembravano bestemmie. Poco dopo gli ufficiali uscirono con il volto paonazzo seguiti da alcuni soldati che tenevano sulle spalle i grandi sacchi di pane completamente ricoperti di muffa. Mia madre, dalla finestra di cucina commentò: “L’avevo detto, il pane non si può conservare in un magazzino umido come quello. Guardate quanto ben di Dio hanno buttato via”.

Fu scavata una grande buca ed il pane vi fu rovesciato dentro e sepolto senza indugio. Le scatolette di carne invece furono imbarcate su dei camion arrivati nel frattempo, ed al paese non restò che il sapore acre della muffa che aveva impregnato del suo odore i muri dello stanzone adibito a magazzino. La notte stessa però, si videro delle ombre di soldati annaspare nella terra fresca dove si era fatta la buca e tirarne fuori le pagnotte che vi erano sepolte. Le raschiavano con i coltelli e qualcosa restava. Osservandoli, veniva da pensare che era cominciata anche per loro la grande fame: l’avevamo già vista nei loro occhi ingordi, quando erano arrivati. Infatti non avevano esitato ad uccidere, com’era successo nei pressi di Motta di Livenza, per impossessarsi di un maiale e mangiarlo appena abbrustolito, riempiendosi la pancia fino a crepare.

Quando le nostre scorte furono quasi esaurite, si seppe, miracolosamen-te, di un tale mugnaio di Lutrano che vendeva farina in cambio di oro. Si fece un consiglio di famiglia e si decise di mettere mano ai tre marenghi che mio padre aveva nascosto in un luogo sicuro prima di partire per il fronte.

“Cominceremo con un marengo” disse mia madre, “e poi, se sarà necessario, andremo avanti anche con gli altri due. Sono sicura che, se vostro padre fosse qui, mi approverebbe”. Partirono, mia madre e mio fratello più grande, ed an-darono a Lutrano a barattare questo marengo con trenta chili di granoturco. Ci andarono di notte seguendo sentieri di campagna sconosciuti e ritornarono a casa prima dell’alba portandosi sulle spalle quindici chili a testa di questo grano, sani e salvi. Avevamo tutti una grande contentezza per questo patrimo-nio che ci avrebbe consentito di avere polenta per una ventina di giorni, ma

I soldati austriaci mostrano soddisfatti gli animali requisiti

Macellazione di bovini requisiti dal nemico

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c’era la preoccupazione del macinarlo senza destare sospetti e, soprattutto, del non farcelo sequestrare.

Proprio in quei giorni però i tedeschi decisero di procedere all’ennesima per-quisizione e, affamati com’erano, ci avrebbero sicuramente portato via tutto se lo avessero scoperto. Perciò mia madre, senza esitazione, trasferì il grano-turco in tante federe e ci mise a letto in quattro facendoci passare per vittime dell’epidemia d’influenza che in quei giorni incominciava a dare fastidio e più avanti si sarebbe trasformata in una tragedia paragonabile ad un’altra guerra.

Quando i soldati arrivarono a casa nostra, mia madre li avvertì che ave-va quattro bambini ammalati e che se volevano avrebbero potuto vederli a rischio di prendersi il contagio. Così i soldati misero appena un occhio dalla porta socchiusa e, vedendoci pallidi e assopiti, ci lasciarono in pace e se ne andarono.

La polenta comunque finì prestissimo ed io e mia sorella fummo costrette a deciderci di andare a lavorare nella costruzione di una piccola ferrovia che partiva dal deposito munizioni che avevano costruito a Visnà e proseguiva fino a Rai ed a San Polo di Piave. Ci davano una scatoletta di carne al giorno e qualche galletta. Noi eravamo un po’ ingorde e lavorando, si faceva molta fame. Ma pensavamo anche ai nostri fratelli più piccoli e portavamo a casa qualcosa anche per loro. Poi per fortuna arrivò la primavera, e tutti poterono saziarsi di erbe di campo e di fagiolini, patate e fagioli. I ragazzi si ingegna-

vano con le trappole per gli uccelli ed andavano a pescare sul Monticano e noi, che avevamo passato l’inverno più triste della nostra vita, andavamo a cercar erba sui campi e mangiavamo frutti acerbi e fiori di acacia fritti con le candele di sego che ci erano rimaste. »

25 dicembre

MARIA NARDI - Abbiamo avuto un Natale proprio da tempo d’inva-sione, senza suono di campane e senza la solita allegria che porta con sé tale solennità.

Ieri sera si avrebbe creduto di passarlo meno male, anzi si vedeva con pia-cere che i «nostri padroni di casa», così adesso chiamiamo gli invasori, erano compresi della festa che si doveva celebrare il domani, ed a cena, in luogo delle solite baccanate, s’udiva un dolce suonar di violino. Ad un certo punto entra-rono poi nella sala dei soldati camuffati da pastori, re Magi, e persino uno da Madonna, che portavano in processione una capannuccia e cantavano degli inni natalizi, con una certa aria che mostrava il loro sentimento religioso.

La sala ornata con rami di pino e in un angolo aveva anche il tradizionale albero di Natale.

Ahimé, pensai, forse lo avevano fatto tagliando uno dei pini del giardino! ma ormai si è abituati a perdere ogni giorno qualcosa!

Stamane però, appena tornata dalla chiesa ebbi un annunzio che non mi aspettavo. Durante la notte erano state scassinate le porte della cantina dai militari che avevano portato via buona parte del vino rimasto: così tutta la giornata si passò tra andare a ricorrere al Comando e ricevere la visita di un gendarme che dovrà occuparsi per scoprire gli autori del furto...

Gennaio

DON AMERIGO GARBUIO - Spuntò il 1918; spuntò in un’ombra di tristezza nuova. Il gennaio 1918 non apportò alcun miglioramento; la vita continuò con il suo sistema odioso, resa più grave dalle difficoltà del vettova-gliamento. — Concentrato tutto il grano nei magazzini del Comando di Tap-pa col pretesto che si sarebbe attuato il razionamento regolare fra i borghesi, quel grano fu dispensato in gran parte ai soldati, dato in pasto ai cavalli, o spedito in Austria: a Vazzola si conservò quanto poteva bastare per una distri-buzione giornaliera di gr. 120, per individuo, calcolando il vettovagliamento unicamente fino al 10 di giugno. Con quest’unica razione bisognava vivere. Elisabetta Fagnol, prima a sinistra, al mare agli Alberoni (VE)

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Nel mese di gennaio don Garbuio potè visitare tutti i suoi parrocchiani concentrati in Vazzola e nei paesi circonvicini: la sua visita accrebbe le sue pene, ma riuscì di conforto a chi potè sentirsi rivolgere, in mezzo a tanti musi forestieri, una parola di compatimento. — Anche in questo mese di gennaio i Sanmichelesi, eludendo il controllo dei gendarmi, più volte si portarono alle loro case: in queste visite, sconsigliate sempre dal sacerdote, qualche nuova cosa veniva messa in salvo e nuove dirette informazioni si poterono avere sulle condizioni del paese. Ma queste visite, se portarono qualche vantaggio, causa-rono danni fatali: diverse persone rimasero ferite e tre incontrarono la morte, vittime della loro arditezza. —

Fra le altre cose furono messi in salvo, nel gennaio 1918, oggetti appar-tenenti alla chiesa e che avevano assunto un uso del tutto nuovo. Perché gli Ungheresi, a S. Michele di Piave, si mostrarono geniali, di una genialità ori-ginale: in diverse trincee del Piave avevano sistemato, quale ornamento, le pianete rubate dalle chiese di S. Michele e di Cimadolmo; un piviale della chiesa di S. Michele servì di abbellimento per il ricovero di un ufficiale. Quel materiale, ridotto in condizione inservibile, fu strappato da quei ripostigli dai Sanmichelesi, e consegnato, in Vazzola, al sacerdote don Garbuio.

— Nessuna meraviglia, del resto, di queste profanazioni: in altre località si fece qualche cosa di più. A Tezze di Vazzola, per esempio, un soldato fu veduto indossare una pianeta mentre accudiva, in cucina, alla confezione del cibo;

altri Ungheresi fecero le mascherate per il paese, rivestiti di indumenti sacri; a Tezze pure furono scoperchiate le tombe dei sacerdoti, sistemate nell’interno della chiesa, come pure le tombe private del cimitero: si sperava trovare in quelle tombe nascosto qualche tesoro!

Soldati nemici in un momento di festa, forse carnevalesco

Nel mese di gennaio il paese di S. Michele si poteva dire distrutto: dove non giunsero le granate italiane, giunse la rapina. Le case furono scoperchiate; le travi, le imposte, le finestre furono trasportate nelle trincee o abbruciate dai soldati per ripararsi dal freddo della stagione. Di tutto si cominciò a sentir penuria, perfino di candele, di olio e degli elementi più semplici per l’alimen-tazione: «Con il cerume raccolto nella chiesa di Vazzola si confezionarono le nuove candele per l’illuminazione». Don Garbuio si trasformò in fabbricatore di steariche, mentre in canonica di Vazzola si fabbricava, di giorno e di notte, clandestinamente, l’acquavite che poi si cedeva, di nascosto e a buon prezzo, ai soldati e ai borghesi. — Venne a mancare perfino il legname che era di prima necessità, e diverse salme furono sepolte senza cassa funeraria: la civiltà era retrocessa di almeno dieci secoli!

Foto austriaca del 14 Febbraio 1918 dell’interno della chiesa di Tezze di Piave devastato dalle bombe

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1 gennaio 1918

MARIA NARDI – L’inizio fu triste, i nostri inquilini chiusero il 1917 con una allegria rumorosa che non potevamo condividere e a mezzanotte suonaro-no i 12 tocchi con una campanella che papà ed io si sentì dal letto.

Mentre salivo le scale m’incontrai con l’attendente ungherese, che di tut-ti quelli che sono in casa sembra il più cordiale con noi, il quale mi fermò facendomi gli auguri per il nuovo anno, ma mi disse: «Italia, niente pace». Purtroppo non vorrei che avesse ragione.

14 gennaio

MARIA NARDI - Oggi giornata burrascosa. Vennero a requisirci 120 et-tolitri di vino: caricarono tutta la mattina e torneranno per altri due giorni; mi faceva molta pena vedere il papà assistere a questa ingrata operazione ed ancora si diceva assieme: «Se poi ritornassero gli italiani e questi se ne andas-sero si lascerebbe loro portar via tutta la cantina!».

17 gennaio

MARIA NARDI - Si ode un rombo del cannone; si capisce che al Piave deve esserci stato un grande combattimento, e da quanto pare, favorevole agli italiani; così c’è speranza di vederli tra non molto nuovamente a Vazzola. Questi soldati, così si dice, devono tenersi, sia di giorno che di notte, sempre pronti alla partenza, cosa che non spiacerà loro troppo, perché non vedono l’ora sia terminata la guerra per far ritorno alle loro case.

3 febbraio

MARIA NARDI - Abbiamo passato due giorni molto brutti, specialmente quello in cui fecero la requisizione della biancheria; il che rappresenta una bella perdita. Tutte le stanze furono visitate e convenne aprire ogni armadio e lasciar loro prendere quanto volevano, e come succede, s’aggiunsero alla requi-sizione i furti privati dei militari che sono i più pericolosi.

Foto panoramica austriaca del 20 Marzo 1918 di Vazzola, probabilmente scattata dall’antica torre campa-naria, nella quale all’estrema sinistra è visibile palazzo Nardi collocato al termine della via omonima

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Io fui ancora abbastanza fortunata, perché avea ceduta la mia camera a papà che in questi giorni ha l’influenza e si trova a letto. Essi vedendo il mio papà a letto, ebbero un senso umanitario e si ritirarono, e così il mio corredo fu salvo!

Non tutti in paese furono così fortunati, e tante povere donne sono rimaste senza la biancheria da cambiarsi, tanto che dopo questa requisizione, nel pae-se è entrato un senso di scoraggiamento e tutti temono che, se non si ritirano presto, ne abbiamo ancora a veder delle brutte.

Ora raccolgono anche il granoturco per immagazzinarlo o distribuirlo più tardi a razione alla popolazione, ma sta a vedere se lo mangeremo noi!

I soldati austriaci sono letteralmente morti di fame: chiedono una fetta di polenta con le lagrime agli occhi, tanto che i nostri contadini non sono capaci di negarla. Manca loro anche il fieno per i cavalli e li mantengono con le can-ne che ancora trovano per i campi.

Intanto la distruzione continua. Già quasi tutti gli alberi del nostro brolo furono tagliati, le viti son tutte a terra, non parliamo delle piccole disgrazie, come quella dei fiori, che sono tutti stati gettati all’aperto, poiché della serra fecero una scuderia.

7- 8 febbraio

DON GIOVANNI DAL POZ - Grandi ansie perché ci si dice che coloro i quali non avevano fatto il deposito di granoturco, conforme alle prescrizioni del comando nemico, devono partire.

Mi ero fatto un dovere, a tempo opportuno, di convincere i miei parrocchiani di fare il richiesto deposito. Ed essi, con grande sacrificio, impegnando quanto aveva-no, persino il proprio oro, avevano consegnato al Comando il richiesto deposito di granoturco.

9 febbraio

DON GIOVANNI DAL POZ - Alla mattina, per tempo, il capitano co-mandante del luogo di Vazzola ci chiama in piazza con i profughi là raccolti per la partenza e ci dice che o l’uno o l’altro (o il paroco di Cimadolmo o quello di S. Michele di Cimadolmo) deve partire. Celebriamo in fretta, e poi la sorte cade su Don Amerigo Garbuio perché vi è chi fa capire al Comandante che la maggioranza dei partenti appartiene alla sua parocchia, mentre il paroco di Cimadolmo tra i presenti non ne ha che pochissimi. Gli altri hanno fatto il richiesto deposito di

granoturco prescritto dal comando nemico, e restano. Alle 9 Don Amerigo Garbuio parte per Coderno, paesetto sulla riva sinistra del Tagliamento; mentre il paroco di Cimadolmo resta a Vazzola per pochi giorni.

NOTA – E’ necessario, prima di continuare questo diario, soffermarsi un poco per rendere grazie all’ospitalità al R.mo Arciprete di Vazzola, il quale si restrinse in canonica per dar posto a noi sacerdoti, che volle sempre con sé alla mensa.

Mise quel luogo che rimaneva (la sala superiore e lo spazzacucina) a dispo-sizione delle nostre sorelle, e ci animò sempre a confidare, e a sperare. Di lui, che passò poi a Vittorio, canonico e paroco della cattedrale, serberemo sempre grata, cara memoria, come di sacerdote illuminato, caritatevole e di costumi illibati. L’abbiamo avuto qualche volta nelle nostre canoniche e nelle nostre chiese ricostruite, per la S. predicazione di missioni: egli, rievocando con la sua presenza quei giorni, ci rinnovava i sentimenti di grato affetto, che s’era cattivato in quelle tristi circostanze.

Quando le sorelle andavano trainando furtivamente al mulino un carretto con un po’ di granoturco, e i soldati rubavano l’unica risorsa di quei giorni: (avevamo comprato il granoturco a lire cinquecento il quintale); quando di

Profughi in partenza costretti ad abbandonare le proprie abitazioni

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nascosto l’arciprete comperava carne di maiale o di mucca, e la distribuiva in granaio; quando i soldati venivano d’improvviso, magari di notte, a requisi-re, e portavano lo scompiglio e la disperazione, perché ci rubavano anche le uniche lenzuola, che avevamo sul letto, (e poi, magari, le spedivano nei loro paesi); quando notizie allarmanti si facevano correre sui profughi, era Lui, sempre Lui, il buon Arciprete di Vazzola, che veniva in nostro soccorso, e sol-levava il nostro spirito depresso. Quella bella figura di sacerdote alto, magro, snello, aitante della persona, che non conobbe le paure dell’invasione e non fuggì; che affrontò i disagi e le umiliazioni di una barbara invasione per farsi tutto a tutti con sacrifici eroici, merita bene che sia ricordato e lodato da chi ne fu testimonio beneficato.

La vita a Vazzola passò fra continue alternative di speranze, di delusioni, di pau-re, di requisizioni. Si potè fare anche un po’ di bene: confessare, predicare, proteggere i profughi, andar a trasportare, a mettere al sicuro il Santissimo e le suppellettili sacre dei paesi vicini.

E s’era anche incominciata una specie di scuola apostolica, insieme con Don Gio-vanni Rattin, cappellano di Vazzola, per i poveri aspiranti rimasti con noi tra gli invasori. V’erano, fra gli altri… ai quali io mi ero impegnato d’insegnare italiano, latino, storia, geografia; e Don Giovanni Rattin greco e matematica. Ma l’uomo propone e Dio dispone.

Viaggio dei profughi verso l’ignoto

Don Giovanni Rattin fu ritirato tra i suoi nel Trentino; noi fummo sballottati altrove, e di scuola non si parlò più: per quei poveri aspiranti fu un anno di martirio sofferto con i propri cari nelle dolorose vicende della profuganza.

10 febbraio

DON GIOVANNI DAL POZ - Il 10 febbraio il R. Paroco di Bibano mi scri-ve che ha “per tante ragioni, vero bisogno, anzi gravissima necessità” di un sacerdote; e soggiunge: “la invito la prego a venire”. E continua a scrivere che ha già ottenuto dal comando imperiale Austro-Ungarico il regolare permesso del trasferimento”, e nella speranza di salutarmi “personalmente” con i soliti convenevoli si firma: Don Giovanni Battista Cesa, parroco.

La mia permanenza a Vazzola era divenuta difficile, perché mi s’era riconosciuto come un paroco delle rive del Piave, sospetto di non so quale possibile spionaggio. Il Sindaco di Vazzola, Sig. Nardi, e l’arciprete Don Domenico Zanette, mi proposero di chiedere al comando il permesso della mia permanenza a Vazzola per la predica-zione della quaresima, e per cooperare, con l’arciprete, al ministero sacro. Ma pensa e ripensa ci siamo poi decisi, in pieno accordo, di lasciare che la Provvidenza mi guidasse per mezzo degli eventi e degli uomini. E mi decisi, con quanto dolore si può immaginare, di trasferirmi a Bibano.

Il passaporto per me e per le sorelle, che conservo, porta la data del 12 febbraio 1918.

Postazione italiana presso il Piave

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DON AMERIGO GARBUIO - I primi giorni di febbraio si ripetè insisten-temente la voce che tutti i profughi avrebbero dovuto allontanarsi dal settore di Vazzola. Preoccupato dalla notizia e constatato che “essa aveva il suo fondamento”, don Garbuio credette suo dovere informare i suoi parrocchiani e persuaderli ad una partenza clandestina, fino a Bibano, dove quel buon parroco aveva promesso allog-gio, e dove poi egli stesso li avrebbe raggiunti. Non tutte le famiglie accettarono quel consiglio; la maggior parte preferì rimanere in sede, in attesa degli avvenimenti. Era un consiglio prudentissimo quello del sacerdote: la sua attuazione sarebbe riuscita facile per i borghesi, e assai più difficile per il sacerdote, controllato in tutti i suoi passi da un servizio speciale di vigilanza.

Il 7 febbraio, don Garbuio e don Dal Poz furono chiamati presso il Coman-do di Tappa, e informati che la mattina del giorno 9 i profughi dovevano al-lontanarsi: uno dei due sacerdoti avrebbe dovuto accompagnarli. Non già per rifiutarsi ad una missione pietosissima, ma unicamente per esporre la realtà del-la situazione, i due sacerdoti osservarono che chiunque di loro fosse stato incari-cato dell’accompagnamento, avrebbe dovuto abbandonare la maggioranza del suo popolo, disperso nei paesi circonvicini a Vazzola. Le giuste osservazioni non valsero. Motivazione della partenza: la mancanza di viveri a Vazzola; nei pae-si più interni il vettovagliamento era fornito in misura abbondantissima e di-

Pezzo di artiglieria italiana

rettamente da Vienna! Nuova turlupinatura che nascondeva interessi personali!Molti profughi chiesero di essere lasciati in Vazzola, impegnandosi a vivere a pro-

prie spese senza disturbare le autorità. Non si accettarono queste proposte e si vollero le prove: chi sapeva di poter vivere con mezzi propri per una lunga prigionia, poteva rimanere in Vazzola, purché avesse consegnato immediatamente, al Comando di Tappa, 52 Kg. di granoturco per ogni componente la famiglia. — II giuoco riuscì: diverse famiglie ottemperarono alla nuova disposizione, e furono, per il momento, rispettate; ma il giuoco aveva ottenuto un secondo effetto, doloroso anche per quei borghesi di Vazzola che desideravano la partenza dei profughi: l’autorità militare constatò che la popolazione conservava nascoste le sue riserve: il servizio di spionag-gio si aumentò e le poche riserve caddero presto sotto la requisizione.

Si ebbero delle eccezioni; ma queste non furono eseguite con quel senso di delica-tezza che manifesta una cura speciale per i poveri o per gli ammalati: le eccezioni si fissarono in base alle relazioni più o meno lecite che i membri del Comando un-gherese avevano con le famiglie stesse, dove qualche megera, snervata e ridicola, dal cervello di civetta, si prestava sorridente agli spasimi convulsi di chi tradiva i vincoli più puri della famiglia lontana!

Furono due giorni nefasti il 7 e l’8 febbraio 1918. — II Comando si era accorto che alcune famiglie si erano improvvisamente allontanate per evitare le peripezie della nuova profuganza: la fuga si era effettuata di tutta notte, attraverso la campa-gna, sotto il pericolo delle granate o della cattura da parte dei gendarmi. Il fatto mise in allarme il Comando: gendarmi ed interpreti passarono di famiglia in famiglia ad annunziare che per il giorno seguente, 9 febbraio, alle ore 4 antimeridiane, era stata fissata la partenza di tutti i profughi. Non si accettarono scuse: chi non offrì il nuovo tributo imposto dovette allontanarsi. Nessun riguardo ai vecchi, agli amma-lati, alle spose; uniche eccezioni, in quei momenti di confusionismo, poche famiglie che giunsero a tempo di far cadere una grossa mancia nelle mani degli interpreti, privi di coscienza. L’odiosità si rese subito nota in paese: un cumulo di improperi e di esecrazioni si riversò su qualche interprete italiano che tradiva, in un modo così infame, i suoi concittadini, ma nulla di più: il comandante si mostrò brutale con tutti quelli che si presentarono a lui per implorare pietà o giustizia: ancora una volta la camorra austriaca, associata alla camorra dei fedifraghi italiani, potè trionfare.

Il giorno 8 e la notte che precedette la mattina del 9 febbraio passarono fra i preparativi: i profughi non poterono trasportare più di trenta Kg di materiale per persona, compreso, in questa cifra, il peso del corredo personale. Così tutto si do-vette abbandonare nelle mani del nemico, e nelle mani... di qualche falso amico.

La mattina del giorno 9, don Garbuio, celebrata per tempo la Messa, alle quat-tro antimeridiane si trovava nella piazza di Vazzola, trasformata in un vero campo

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trincerato: in quella piazza potevano entrare i soli profughi a cui era stata imposta la partenza: gli sbocchi delle strade furono chiusi dai cordoni dei gendarmi armati. — « Una fila di carff austriaci è pronta per il trasporto. Eranvi là vecchi tremanti dal freddo, bambini piangenti, donne che imprecavano contro il Comando: a viva forza, quella notte erano stati sloggiati dalle case, senza concedere loro il tempo ne-cessario per racimolare quanto si credeva più utile; da più di un’ora quei profughi stavano concentrati in piazza tormentati da un freddo che faceva rabbrividire, in pieno inverno, in attesa di salire in un vero convoglio funebre. Era uno spettacolo straziante: tutti piangevano, tutti imprecavano, nessuno si sentì l’animo di reagire».

Il comandante decise che l’incarico dell’accompagnamento rilento dei profughi fosse affidato al parroco di Cimadolmo. Questi pregò, supplicò di non essere costretto ad abbandonare il suo popolo che in parte era concentrato a Vazzola; domandò di poter restare con i suoi parrocchiani nei paesi retrostanti; ogni scusa fu inutile: don Dal Poz doveva prepararsi alla partenza. —- Don Garbuio si tranquillizzò per un momento e si soffermò nella piazza per confortare i suoi parrocchiani, per assicurarli del suo interessamento; assicurò anzi che si sarebbe portato a Bibano per consolare la grande maggioranza del suo popolo che riteneva dover trovarsi in quella località. Quando era già mosso anche l’ultimo calesse, e don Garbuio aveva salutato, piangendo, gli ultimi partenti, commiserando con qualche amico quei disgraziati gettati in un modo così brutale nella via dell’esilio e della miseria, gli fu sopra il comandante ungherese che brutalmente gli gridò: « Deve partire lei! e non il suo collega di Cimadolmo! ».

Momento di pausa in trincea

Come mai questo cambiamento di scena? E’ uno dei tanti misteri in cui fu getta-to il parroco di S. Michele di Piave; mistero che noi non abbiamo potuto, né, siamo sicuri, potremo spiegare mai!

Due gendarmi si portarono in canonica di Vazzola; presero le poche coperte e l’involto di biancheria di proprietà di don Garbuio, e così, senza il cappello, già perduto in S. Michele, con una semplice berretta a croce, in gran fretta, il sacerdote fu fatto salire, tutto solo, su di un carro militare, mentre Mons. Zanette e la sorella di don Garbuio piangevano disperatamente.

La sig.ra Rosa Garbuio si fermò in casa canonica di Vazzola, perché il coman-dante l’aveva assicurata che il fratello sacerdote avrebbe potuto ritornare non appe-na i profughi fossero giunti a destinazione.

Don Garbuio si allontanò da Vazzola con soli 70 parrocchiani e 200 profu-ghi di altri paesi: la comitiva fu accompagnata da gendarmi a cavallo: «quasi fossimo veri delinquenti destinati all’ergastolo». — Quel giorno, attraversan-do varie posizioni, don Garbuio si incontrò con altri profughi di San Michele, che videro in quella lunga carovana la sorte che sarebbe stata riservata, quan-to prima, anche a loro.

11 febbraio

MARIA NARDI - Stamane fu celebrata la messa in onore della Madonna di Lourdes e l’arciprete espresse l’idea di fare un voto alla Madonna: di co-struire in paese una cappella, o meglio una imitazione della grotta di Lourdes, onde ottenere la pace presto. Il desiderio è tanto grande, che in poche ore l’ar-ciprete ricevette più di ottocento lire di offerta».

13 febbraio

DON AMERIGO GARBUIO - Arrivo a Bibano.

31 marzo

MARIA NARDI - Pasqua. Però per papà e me è passata come un giorno usuale, chè in chiesa nessuno dei due potè andare e le campane non ci portaro-no alcun segno di Alleluia. Lessi delle vecchie lettere delle mie sorelle colle loro espressioni di fedi così consolanti, e questo fu il momento più consolante delle giornata. Feci regali d’ova a poche persone, chè quest’anno un ovo è un valore, ma pei bimbi, Caterina vi supplì con delle colombine.

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Militari italiani con la mascotte in trincea

1 aprile

MARIA NARDI - Nessuno quest’anno ebbe voglia di fare uno dei soliti pe-sci. Era poi una giornata piovosa che metteva melanconia da sé sola. Quante volte lo zio avrà oggi pensato agli anni in cui veniva con noi a fare la seconda festa di Pasqua!

Quando non dormo di notte cerco di immaginarmi come si troveranno i nostri di Oltre-Piave, ma di positivo non si sa nulla…

16 giugno

MARIA NARDI - Ieri è scoppiata l’offensiva alle 2 di notte, ma già se ne era prevenuti e l’attendevamo tranquilli, perché si aveva fiducia che neanche stavolta il Piave sarebbe stato oltrepassato.

Dopo le 2, si fu tutti svegliati dal tuonar dei cannoni, sentiti a distanza sufficiente per non prender paura, ma abbastanza vicini per far tremare tutti i vetri e dare un’idea di quanto sia terribile la guerra.

L’indomani tanta gente era in strada di buon’ora e si spargevano ormai le novità sull’esito della battaglia.

Chi assicurava che i tedeschi avevano oltrepassato il Piave, altri affermava-no che erano stati fatti prigionieri dai nostri, insomma non si sapeva proprio a chi prestar fede. Alcuni dicevano, avviliti, che i tedeschi fossero ormai in cammino per Treviso. Papà invece era di opinione contraria, poiché le vedette italiane si scorgevano ancora vicine a noi e verso sera l’opinione generale fu, che ancorché i tedeschi avessero in qualche punto oltrepassato il Piave, fossero poi o stati fatti prigionieri o respinti dai nostri, tanto che si cenò abbastanza di buon umore, facendo l’augurio che la resistenza sul Piave fosse la riabilita-zione della sconfitta di Caporetto.

21 giugno

Così mons. Zanette racconta la fine di Maria Nardi: “La mattina volle andare in chiesa per far la Santa Comunione: Gesù l’aspettava per il supremo “Veni”.

Pochi minuti dopo averlo ricevuto, ritornata al suo banco si sentì male. Se ne avvidero le persone vicine che, pre-murosamente accorse, la condussero in sacrestia. Inutili furono tutte le cure per rianimarla…”.

Giugno

DON AMERIGO GARBUIO - Siamo a Vazzola, nei primi giorni del giugno 1918. — I primi giorni dell’in- Pezzo di artiglieria nemico

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vasione, gli ufficiali austriaci, avendo trovato abbondanza di viveri nei magazzini abbandonati dai nostri, affettavano un senso di disprezzo per la polenta, di cui si nutrivano le popolazioni rimaste invase. Quando furono consumate le riserve, e cominciò a scarseggiare il pane, la polenta fu presa in considerazione dai soldati e dagli ufficiali austriaci e germanici. Un colonnello, entrato un giorno in una casa di contadini nel momento in cui una piccola polenta veniva rovesciata sul tondo, fu attratto dalla gialla dea bergamasca. Estratto di tasca un po’ di zucchero, quel colonnello domandò altezzoso: «Voglio provare, se quella porcheria essere buona con zucchero!». — Ne mangiò una fetta bene inzuccherata; ne mangiò una seconda parimenti condita; ne mangiò una terza... senza zucchero, e poi se ne andò.

— Un contadino, dopo un lungo sospiro, esclamò: “Mostro d’un tedesco! la cia-mava porcheria... e co n’antra fetta el gavaria fato sparir tutta la polenta dal tagier!”

D a “ L A B AT TA G L I A F I N A L E ”di Ernest C. Crosse, della 7a Divisione Britannica

Tratto da “PIAVE MONTICANO TAGLIAMENTO”a cura di Giovanni Cecchin, Collezione Princeton, Cittadella, 1997, pag. 83 - 95

I L P A S S A G G I O D E L M O N T I C A N O

Durante la notte del 27/28 ottobre il ponte di Salettuol fu soggetto a un vio-lentissimo bombardamento. La confusione causata da questo può solo esser capita da chi sa cosa sia il traffico in una strada principale a ridosso di una battaglia. Qui, oltre ad ambulanze, a convogli dei rifornimenti, a colonne delle munizioni, ecc., reperibili in tutte le strade dietro dove si combatte, c’erano molti carri con pontoni che occupavano gran parte della carreggiata. Quasi impossibile quindi il traffico nei due sensi. Da Treviso a Salettuol c’era una sola grande strada, ma come quasi dappertutto in Nord Italia essa era fiancheggiata da fossi.

A complicare le cose intervenne il fatto che il XVIII Corpo d’Armata italiano schierato a Nervesa, non avendo raggiunto l’obiettivo di passare ivi il fiume, aveva ricevuto ordine di usare il ponte di Salettuol, per attaccare sulla sinistra delle truppe inglesi in direzione nord. Questa grossa unità italiana in movimento congestionò infinitamente di più il traffico. A un certo momento si progrediva al ritmo di un chilometro e mezzo ogni sei ore.

Della nostra 7 a Divisione, per regolare il traffico, furono impiegati non meno di 100 uomini e l’ufficiale responsabile, magg. W. Wall, lavorò da matto, ma i suoi sforzi ebbero solo un successo parziale. Quando sopraggiunsero gli aeroplani austriaci, la strada verso il ponte era intasata dalla fanteria e le perdite causate dalle bombe furono terribili. Rimasero uccisi circa 50 italiani, e oltre 150 loro feriti passarono per la nostra Sezione avanzata di Sanità di Maserada.

Il problema del traffico raggiunse il suo punto cruciale il mattino seguente, 28 ottobre, quando si ruppe il ponte. Ciò avvenne per due cause. La forza della corrente aveva gradualmente minato gli appoggi dei cavalletti facendoli sprofondare nell’acqua, e il rapido abbassamento della piena aveva fatto sì che la corrente colpis-se i pontoni ad angolo acuto invece che a 90 gradi. Questo provocò la perdita di tre pontoni portati via dall’acqua, facendo così interrompere tutto il traffico.

Riparare il ponte fu difficilissimo e per completarlo ci volle tutto il giorno. Un tentativo fatto dalla 528a Compagnia dei Royal Engineers di far navigare un pontone in posizione dall’isola Veneto non ebbe successo. Il pontone vorticò attorno a se stesso mille volte finché si capovolse. Due dell’equipaggio furono portati via dalla corrente e annegarono, gli altri furono salvati. A questo punto il nemico riprese a bombardare coi cannoni di lunga gettata. I tiri erano precisi, la prima granata cadde appena dieci metri oltre la testata del ponte. I Royal Engineers proseguirono

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In beata ignoranza di quanto stava succedendo alle loro spalle, ma che doveva farsi sentire nel mancato arrivo delle razioni, alle ore 12.30 le Brigate 20a e 91a si prepararono ad avanzare verso la strada Tezze - Rai, nota nella terminologia delle operazioni come la Linea Verde. Non si prevedevano difficoltà perché faceva già parte di uno schema d’operazioni del giorno prima e c’era stato tutto il tempo per organizzare l’attacco, e per di più le truppe erano su di giri per i successi già ottenuti.

Sulla sinistra, dove i South Staffordshires e i Manchesters tenevano la linea, av-venne un fatto che causò grande eccitazione. Il ten. col. Oldham della 35a Brigata della Royal Field Artillery, non riuscendo a far passare le sue batterie attraverso il ponte, si era spinto in avanti in ricognizione. Imbattutosi in un cannone austriaco con munizioni, già preso d’assalto dalla fanteria, si offerse di metterlo subito in azione se gli fosse stato fornito chi l’avesse tirato in posizione. Dopo consul-tazioni con la 91a Brigata si decise di usare il pezzo per attaccare casa Grigoletto, una cascina isolata vicino a Borgo Zanetti, che si sapeva difesa da un certo numero di mitragliatrici. Questa casa era obiettivo assegnato al 22° Manchesters e perciò si chiese a un gruppo di suoi uomini di tirare il pezzo in posizione. L’attacco doveva

Truppe inglesi verso il frontePonti di barche sul Piave per il passaggio delle truppe italiane all’attacco

comunque il lavoro come se niente fosse. Nel frattempo fu chiamata la 18a

Compagnia italiana Pontieri e il ponte fu completato verso sera, costruito una trentina di metri più a sud, mentre se ne preparò un secondo usando quello già costruito per l’isola Veneto e congiungendo questa alla Grave di Papadopoli.

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Schieramento delle divisioni italiane e inglesi nel momento dell’avanzata in data 24 ottobre 1918

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Soldati inglesi si apprestano a gettare un nuovo ponte

incominciare alle 12.30, ma per le 11.30 quelli del Manchesters non si erano ancora fatti vivi. Ne furono contentissimi gli Staffordshires, perché significava che potevano usare loro il cannone per attaccare Borgo Bellussi e si offrirono di mettere a disposizione gli uomini per trainare il pezzo in posizione. Ma appena in tempo arrivarono i Manchesters, che con molta difficoltà trascinarono il cannone in piazza di Tezze. Qui, per un pelo, l’intera avventura non ebbe prematura fine, perché piombò una granata austriaca che per poco non ammazzò tutti. No-

Soldati inglesi impegnati nei lavori per ripristinare il passaggio del Piave da parte delle truppe alleate

nostante le difficoltà, il cannone fu comunque trascinato nella posizione voluta, a trecento metri dall’obiettivo, appena in tempo prima dell’attacco. Era un tiro diretto e tutti erano in attesa dello spettacolo. Ma pochi istanti prima di aprire il fuoco, gli Staffordshires, che dell’attacco avevano preso l’iniziativa, s’intromisero e catturarono l’obiettivo senza incontrare alcuna resistenza da parte della guarni-gione. Fu una grande delusione per gli artiglieri...

Anche la 91a Brigata raggiunse l’obiettivo assegnato senza incontrare eccessive

Allestimento di un ponte di barche da parte degli inglesi

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difficoltà. Verso sera fu fatto avanzare dalla riserva il 2° Queens, che subentrò in prima linea.

Sulla destra, la 20a Brigata, con il 2° Borders in prima linea, ebbe pure un com-pito facile. Dovettero spostarsi in avanti più degli altri, perché il giorno prima non erano avanzati come loro, ma la resistenza incontrata fu poca cosa. Venimmo a sapere che le truppe ungheresi, che la sera prima tenevano la strada Tezze - San Polo, erano state sostituite durante la notte da una Divisione austriaca Landsturm. Dalla nostra parte aveva attraversato il fiume la 104a Batteria dell’artiglieria divisionale ed era già entrata in azione a sostegno della 20a Brigata. Si ebbe un po’ di resistenza a Casa Vital e nelle altre vicine, ma i Borders ne ebbero subito ragione e per le ore 13.30 l’obiettivo divisionale era stato raggiunto in tutti i punti.

A Rai furono liberati molti civili, che salutarono i liberatori con grande entusia-smo. Riporto un fatterello. Il gen. Green, cavalcando accompagnato da un interprete, fermò un civile e gli chiese dei suoi guai. Rispose che ne aveva patiti tanti, ma quello più brutto era la mancanza di tabacco da naso. Era la sua unica consolazione e non ne aveva da dodici mesi. Il generale, ch’era raffreddato, ne aveva in tasca e immediatamente gliene diede.

« Oh, grazie, grazie, signore! Mille ringraziamenti» (in ital. nel testo, ndt) rispose l’italiano stupito. «Questi meravigliosi inglesi, di cosa non son capaci!»

Col passar del giorno si decise di puntare in avanti al massimo, per sfruttare il

Passaggio del Piave delle truppe italiane

Foto aerea austriaca del 12 Marzo 1918 di Tezze di Piave nel tratto tra il centro e Borgo Malanotte

Foto austriaca del 3 Gennaio 1918 di Tezze di Piave, attuale via Duca D’Aosta

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successo ottenuto e possibilmente per assicurarsi i ponti sul fiume Monticano prima che fossero fatti saltare. Furono quindi mandate avanti verso il fiume pattuglie per catturare i paesi di Vazzola e Visnà. Per via della rottura del ponte sul Piave non erano giunte le razioni e gli uomini erano affamati e stanchi, ma risposero con molta prontezza alle richieste loro imposte.

Mettendo insieme informazioni raccolte dopo, sembra che gli austriaci, falli-to il tentativo di tenere la linea del Piave, avessero deciso per una ritirata generale verso il Tagliamento; e per facilitare questo avevano dato ordine a una Divisio-ne fresca di tenere le posizioni sul Monticano il più a lungo possibile per coprire la ritirata. Queste posizioni erano formidabili. Il fiume, sebbene allora non con acque profonde e largo appena una quindicina di metri, scorreva tra due argini artificiali molto alti, su entrambi dei quali erano state apprestate postazioni per armi da fuoco. Dietro il fiume c’erano numerose batterie di cannoni e davanti esistevano barriere di reticolati. Sulla destra, vicino a Visnà, c’erano i peggiori sbarramenti che avessimo mai incontrato in Italia. Sul nostro fronte divisionale solo due ponti attraversavano il fiume: uno dietro a Vazzola, di fronte alla 91a Bri-gata, l’altro verso Visnà, di fronte alla 20a Brigata. Erano stati tutti e due minati.

A parte gli argini, tutto il terreno attorno era piatto, folto di vigneti e solcato da fiumiciattoli, molti dei quali veramente profondi e più grandi di quanto non

Foto aerea del 18 Marzo 1918 di Tezze di Piave; in primo piano al centro i resti della chiesa e del campanile

apparissero dalle mappe. Trovammo in particolare difficile guadare il Favero e il Piavesella, che sebbene senza argini artificiali avevano più acqua del Monticano.

Per impedirci di osservare queste posizioni, gli austriaci presero il coraggio a due mani e il 28 fecero saltare i campanili di Vazzola e di Visnà. Questa distruzione, che avrebbe provocato nei tedeschi autentica gioia, deve invece aver causato agli austriaci le pene dell’inferno. Se questo sia stato perché nell’esercito austriaco c’erano molti, come i Tirolesi, tra i più devoti cattolici di tutto il mondo, o perché temes-sero il potere politico del Papa, non lo sappiamo. È comunque certo che l’esercito austriaco mostrò di gran lunga più rispetto per gli edifici sacri dei tedeschi; e dopo venimmo anche a sapere che durante i dodici mesi di occupazione, la casa del prete era stata riconosciuta come una specie di santuario, esente quindi da requisizioni e saccheggi. Il vecchio sacerdote (in ital. nel testo, ndt) deve aver allora goduto di grande popolarità. Anche in altri paesi la casa del prete funzionò come deposito di qualsiasi cosa i civili volessero salvare dalle grinfie degli invasori. Non c’era co-munque alternativa: decisi a tenere la linea del Monticano, non restò agli austriaci che distruggere i due migliori osservatori della zona, i campanili. Quando arri-vammo noi, erano un cumulo di mattoni e calcinacci.

Il primo inglese a entrare a Vazzola pare sia stato un solitario cavaliere che spuntò col suo destriere in piazza, rivoltella in mano, verso le ore 14 del 28 otto-bre. La piazza era allora zeppa di fanti austriaci e carriaggi che si preparavano a ritirarsi. Il cavaliere, probabilmente un esploratore del Northamptonshire Yeoman-ry, cavalcò verso di loro, e senza tante storie l’intero gruppo si arrese. Lui, per niente

La ritirata dell’esercito nemico

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sorpreso, incominciò a radunarli sbraitando e abbaiando ai loro calcagni come un buon cane pastore. A qualcuno degli austriaci venne fatto di constatare ch’egli era solo, uno contro trecento, per cui due «eroi» di quella marmaglia incominciarono a caricare i fucili. Non avendo alcuna possibilità contro questo imprevisto, l’inglese diede di sprone al cavallo, sfrecciò dietro la chiesa e sparì dall’orizzonte come una saetta. Così mi narrò uno di Vazzola presente al fatto.

Una pattuglia del South Staffordshires entrò in paese nel tardo pomeriggio, imbattendosi, pare, nella coda della colonna di trasporto che stava ritirandosi. Presero sette cavalli e ritornarono cavalcando trionfanti verso le nostre linee. Far da pattuglia, quel pomeriggio, poteva essere divertente, e i volontari non mancaro-no, ma un gruppo verso sera fu bloccato alla periferia del paese e dovette ritirarsi.

Ricevuto ordine di premere contro il Monticano, nella notte tra il 28 e 29 ottobre la 91a Brigata si preparò ad avanzare: il South Staffordshires a sinistra, il Queens a destra, il Manchesters di supporto. Non si incontrò resistenza. Parecchi austriaci, che ovviamente non avevano ricevuto ordine di ritirarsi o avevano deciso di arrendersi, furono catturati mentre dormivano.

Verso l’una del 29, Vazzola fu definitivamente liberata e rastrellata da pattuglie del South Staffordshires. Erano tutti stanchi e coi piedi doloranti. Uno dei civili, che sapeva che le sofferenze erano ormai finite, offerse ai liberatori l’ultimo cibo che aveva. Gli austriaci avevano requisito gran parte del grano che era stato raccolto, e negli ultimi giorni avevano razziato al massimo. Un vecchio, con le lacrime agli occhi, spiegò dopo che il nemico, semplicemente per dispetto, gli aveva avvelenato il suo cane da caccia, un pointer, la cui pelle impagliata era ora appesa in cucina a seccare. «Tutto rubato» (in ital. nel testo, ndt) continuava a ripetere a chi gli chie-deva della sua proprietà.

Mentre a Vazzola uomini della 91a Brigata si davano da fare per tirar giù dal letto civili italiani e soldati austriaci troppo pigri per ritirarsi, sulla destra, di fronte alla 20a Brigata, succedeva qualcosa di grave. Sembrava che gli austriaci avessero già fatto schierare sul Monticano la Divisione fresca per tenere la linea. Dopo un’avan-zata senza incidenti sulla strada Rai - Vazzola avvenuta nel pomeriggio del 28, durante la notte del 28/29 una nostra pattuglia di due ufficiali e due plotoni furono mandati in avanti verso il Monticano. Raggiunsero il paese di Visnà, dove non in-contrarono alcun nemico, e proseguirono verso il fiume. Il terreno appena fuori del paese è più aperto ed è solcato da parecchi corsi d’acqua molto larghi e profondi. Il più grande di questi tra Visnà e il Monticano è il Favero, facilmente scambiabile col Monticano stesso, non apparendo neppure sulle mappe. Sarebbe stato meglio se il gruppo si fosse fermato per la notte a Visnà e avesse solo mandato avanti verso il fiume una pattuglia in perlustrazione. Ma è facile esser saggi dopo i fatti.

Comunque, dopo un affrettato rastrellamento del paese, il gruppo procedette oltre. Raggiunta casa Grison, un piccolo fabbricato a circa 200 metri dal Monti-cano, incontrarono il nemico. Fecero un coraggioso ma inutile tentativo d’irrom-pere sul ponte. Gli argini del Monticano erano presidiati in forze e, a eccezione della breccia per la strada, tutto il terreno attorno era una selva di reticolati.

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Lasciando alcuni uomini a coprire il suo fianco sinistro, l’ufficiale in comando si mosse in perlustrazione verso destra. Fu spedita indietro una staffetta per riferire della situazione al Comando di battaglione, ma questa poco dopo tornò indietro con l’informazione che Visnà era fortemente in mano del nemico. Furono allora in-viate tre ordinanze con lo stesso messaggio e fu loro consigliato di tenersi alla larga dal paese. Solo una riuscì a passare e le altre due furono uccise.

Verso l’alba il nemico incominciò un movimento di accerchiamento di casa Gri-son. L’ufficiale inglese in comando decise di ritirarsi un po’ e prendere posizione dietro il fiume Favero. Ma qui si trovarono in condizioni ancor peggiori, sog-getti in campo aperto a fuoco da tutte le direzioni. C’erano già stati parecchi morti e sembrò improbabile che qualcuno sarebbe rimasto vivo se avessero continuato a resistere. Sicuri che sarebbero stati liberati entro pochi giorni, l’ufficiale decise per la resa. Una decisione forse discutibile, ma va sottolineato che l’ufficiale in questione aveva dato molte altre volte prova di coraggio e che il suo battaglione in tutta la guerra non fu mai secondo a nessuno.

Il destino di questi due plotoni rimase allora sconosciuto, e gli austriaci, alle tre del mattino, si ritirarono quasi tutti di là del Monticano. Alle 8.30 di quel 29 il resto della Brigata continuò ad avanzare. Sulla sinistra non s’incontrò alcuna opposizione sino alle rive del Monticano e anche Visnà fu occupata facilmente. Sulla destra, con le Compagnie «A» e «B» dei Borders schierate in

Foto aerea austriaca, del 18 Marzo 1918, del centro di Visnà

prima linea, fu incontrata parecchia resistenza nell’attraversamento del Pia-vesella e vicino a Fontanellette. Molto difficile fu pure rimanere in contatto con gli italiani più a destra.

Essendo la riva orientale del Monticano ancora in mano agli austriaci, fu deciso che l’avrebbe attaccata la Compagnia «D» dei Borders alle ore 18.30, dopo un bombardamento da parte dei nostri cannoni e di quelli italiani che avevano preso posizione a Visnà. Non appena queste batterie aprirono il fuoco, gli austriaci replicarono con violenza, bombardando Visnà coi loro cannoni dislocati a Fontanelle. I civili che avevano rifiutato di lasciare il paese ebbero anche loro parecchi morti. La chiesa al centro fu ridotta a un cumulo di ma-cerie. L’unica parte rimasta in piedi fu la facciata a occidente su cui appariva la scritta Beata, Pacis Visio (Benedetta la visione della pace). È sorprendente che, dopo tutte le battaglie che la 20a Brigata aveva sostenuto, questa scritta apparisse nell’ultimo villaggio dell’ultima battaglia di tutta questa guerra.

Poco prima che fosse decisa l’ora esatta dell’attacco, era giunto dal Comando di divisione il magg. Lawrence per dire che, se si prevedevano molti morti, bi-sognava rinunciare all’attacco. E ancora, siccome la 91a Brigata aveva sofferto molte perdite, essa sarebbe stata sostituita dalla 22a Brigata, e probabilmente nel giorno seguente la 20a Brigata avrebbe dovuto fare da supporto alla 22a.. L’attacco fu perciò cancellato e furono prese le misure necessarie per cedere il fron-te della 20a Brigata agli italiani. Questo avvicendamento avvenne durante le prime ore del 30 ottobre, col passaggio in prima linea dei Reggimenti italiani 267 e 268 (brigata Caserta, della 31a Divisione), mentre la nostra 20a Bri-gata fu ritirata, pronta però a passare il fiume sul ponte di Vazzola - Cimetta il mattino seguente.

Grazie alla balordaggine militare del nemico, il ponte tra Vazzola e Ci-metta non era stato fatto saltare. Era stato minato ed era stata sistemata anche la miccia tra i due argini. Bastava solo un fiammifero per distruggerlo. Per no-stra fortuna, il tizio che aveva messo la miccia era un pazzo e quello che doveva accenderla un vigliacco. Un minimo di previdenza avrebbe dovuto indurre Monumento in ricordo dei caduti inglesi a Salettuol

a Maserada sul Piave

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il primo a tirare la miccia sino a dietro l’argine orientale, così da poterla accendere all’ultimo momento in piena sicurezza. A quanto pare, questa intuizione era al di sopra del suo comprendonio, col risultato che per accendere la miccia bisognava arrampicarsi per il primo argine e scendere nel greto del fiume. Ciò che presumibil-mente avvenne è che quando questo avrebbe dovuto esser fatto, ci fu da destra e da sinistra una certa attività di «cecchinaggio», tanto che al tizio incaricato di dar fuoco alla miccia venne la tremarella e decise di non scendere dall’argine per non prendersi una fucilata. Carica esplosiva, detonatore e miccia erano perfettamente in ordine, come potè controllare lo stesso comandante dei Royal Engineers. La sopravvivenza di questo ponte fu per noi della massima importanza. Ci sarebbe voluto un sacco di tempo per ricostruirlo, e addio allora per parecchio ai nostri trasporti su ruota. Un grazie quindi sentito a questi «gentiluomini» austriaci da parte dell’Esercito britannico! Di questi «pazzi» non ne esistevano certo tra i tedeschi.

Il mattino del 29, quando la 20a Brigata era impegnata nell’azione già descritta e con davanti il ponte interrotto sulla strada Visnà - Cimetta, la nostra cavalleria informò che l’altro ponte, quello sulla strada Vazzola - Cimetta, era intatto e che gli austriaci si erano ritirati dal Monticano. (Probabilmente si erano ritirati quel-li che presidiavano il ponte e che furono poi sostituiti dalla Divisione fresca).

Fu quindi dato ordine alla 91a Brigata di fare da avanguardia premendo ver-so Codogné, con il 2° Queens in testa guidato dal ten. col. H.D. Carlton, i Manchesters sul fianco destro e i South Staffordshires di supporto. Si erano uniti alla Brigata anche la nostra 104a Batteria divisionale e una Batteria italiana da montagna.

Avanzando sulla strada Vazzola - Cimetta verso il fiume, la colonna si trovò in difficoltà. A quanto pare, durante la notte il nemico era ritornato sull’argine del fiume (con la Divisione fresca) intenzionato a coprire il grosso della ritirata. La strada, ch’era considerevolmente più alta del terreno circostante, fu soggetta a fuoco vivace di granate e investita da raffiche di mitragliatrici. L’artiglieria fu impossibilitata ad avanzare e la fanteria si buttò al riparo dentro i fossi laterali.

I Manchesters sulla destra, dispiegati a circa trecento metri a est di Vazzola, si fecero gradualmente sotto in mezzo alle vigne verso il fiume. Qui il nemico oppose resistenza dall’argine orientale. Fu molto difficile prendere d’assalto la posizione perché bisognava arrampicarsi sul primo argine ad appena venti metri dal nemico e sotto il naso dei suoi fucili e mitragliatrici. L’unico terreno protetto era il greto stesso del fiume. Qui le due parti si affrontarono per un po’ solo separati dalla stretta cor-rente e dai due alti argini. A un certo punto gli austriaci decisero che ne avevano avuto abbastanza, e parte si ritirarono verso Cimetta, parte passarono di qua del fiume con le mani in alto.

Così aiutati dai Manchesters, i Queens forzarono il passaggio attraverso il pon-te e avanzarono verso Cimetta. Dapprima tutto procedette bene e raccogliemmo in giro per le case moltissimi prigionieri. Ma il nemico osservava tutti i nostri movimenti dal campanile di Cimetta, un magnifico posto di osservazione. Le truppe d’attacco dovettero farsi strada in mezzo alle vigne, che non permettevano alcuna vista, e do-vemmo anche prendere parecchi fiumiciattoli che gli austriaci avevano usato come trincee. Per di più, il nostro fianco destro era completamente scoperto, essendo la 20a Brigata ancora bloccata sul Monticano. Vedendo che le truppe avanzavano disorganizzate, il nemico incominciò a uscire da Cimetta e ad attaccarci da quel fianco esposto. I Queens ebbero parecchie perdite e per un po’ l’avanzata fu blocca-ta. Era soprattutto la fatica che ci minava. Gli uomini non avevano decentemente dormito da una settimana e quel giorno eravamo ancora senza razioni.

Si diede allora ordine ai South Staffordshires di rinforzare ed estendere la li-nea di attacco, e ad essi si unirono anche una cinquantina dei Manchesters già prima intrufolatisi tra di loro. Questo nuovo dispiegamento fu attuato con una certa difficoltà a causa di un nutrito fuoco cui tutta l’area fu esposta. Nel primo pomeriggio, comunque, si riprese l’attacco, coi Manchesters sulla riva del fiume che proteggevano il fianco destro. Ne risultò un vivace scontro. La Batteria italiana da montagna colpì il centro di Cimetta, e anche la nostra Batteria 105 si mise a sparare dai campi più a destra. Ad esse si unì pure la Compagnia «A» del nostro 7° Mitraglieri che crivellò il paese di pallottole. Sotto questa combinata protezione avanzò la fanteria. In quanto all’artiglieria austriaca, essa fu tutt’altro che inat-tiva. Un comandante di Compagnia dei Manchesters fu ucciso. Altri dieci segna-latori caddero vicino al Comando della 91a Brigata, per non dire di altri ancora caduti altrove. Anche il comandante della 105a Batteria fu ferito.

Le truppe d’attacco balzarono allora in avanti con grande impeto. Sulla nostra sinistra stava intanto convergendo su Cimetta anche l’altra nostra Divisione, la 23

a. E infine ci fu la bella impresa del capit. F.A. Kendrick, del 1° South Staffordshi-res. Ferito alle braccia e rifiutando di essere sostituito, guidò i suoi uomini all’at-tacco e catturò una casa vicino alla chiesa ch’era il fulcro della resistenza. Il paese fu così conquistato e furono fatti molti prigionieri. Il nemico non contrattaccò ma si limitò a bombardare la posizione. Una serie di avamposti furono scavati poco oltre il paese, e i soldati, infreddoliti e stanchi, vi si acquattarono in attesa dell’alba.

Questa cattura di Cimetta il pomeriggio del 29 ottobre fu l’ultimo combatti-mento in cui fu impegnata la nostra Divisione. Il nemico aveva sperato di tenere il Monticano per almeno due giorni, per proteggersi la ritirata, ma la cosa non gli riuscì, e da questo punto in avanti la sua ritirata divenne una rotta. Vincemmo la battaglia non senza aver molto lottato.

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I Queens, che ebbero le perdite maggiori, contarono 21 morti. Per le perdite subite e per la fatica degli uomini, quella notte stessa fu giudicato conveniente dare il cambio alla 91a Brigata con la 22a. Con enorme soddisfazione di tutti arrivarono le razioni, compreso il rum. Sono del parere che nella 91a Brigata quella sera, di astemi, ce ne siano stati pochi. A sera già inoltrata, giunse a cavallo a Tezze il generale Shoubridge comandante la Divisione, che fece visita alla 22a Brigata nei campi lì vicino e che era in procinto di mettersi in moto per Cimetta. Gli uo-mini gli si affollarono entusiasti intorno e appresero da lui le ultime notizie sulla battaglia. «Dovete solo marciare come dannati e la guerra è vinta» concluse. Una previsione azzeccatissima.

“ P I C C O L I R I C O R D I D E L L’ I N VA S I O N E T E D E S C A ”di Elisa Fagnol

tratto da “DI QUA DI LA’ DEL PIAVE”di Mario Bernardi, ed. Mursia, 1989, pag.175–180

«Era la sera del 28 ottobre 1918. Dopo aver veduto per quattro giorni un continuo passaggio di truppe tedesche che si ritiravano dal fronte del Piave, comincia la notte farsi seria. La natura stessa pareva ci dicesse: preparatevi

ad una terribile scossa. Saranno state le quattro pomeridiane, quando comin-ciammo ad avere paura. Le strade e la piazza erano quasi deserte, si vedeva soltanto qualche monello, che andava qua e là per prendere le tavole lasciate dai tedeschi e qualche gruppo di soldati, che con piccolo mistero preparavano dei tradimenti, qualche altro invece per darsi prigioniero. Per esempio, quattro soldati che erano da un pezzo fermi in piazza, hanno messo dell’esplosivo fra le macerie del campanile atterrato dalle bombe e dalla mina. Noi, senza essere veduti abbiamo osservato che fu molto bene per i soldati italiani.

In quel che di misterioso era una malinconia insuperabile.Noi eravamo chiusi in una stanza a pianterreno perché aveva le mura più

larghe delle altre; si usciva soltanto per prendere quel po’ di mangiare che si aveva in cucina, eravamo accovacciati tutti vicini, i fratellini piccoli piange-vano di paura, la nonna dormiva di un sonno provvisorio, e noi più grandi si parlava con la mamma di un triste avvenire. Però in fondo a quella tristezza, un raggio di speranza ci consolava, pensando alla venuta dei nostri cari.

Eravamo così silenziosi che si ascoltava qualche monotono rumore, quando sentimmo un passo non tanto lontano che non era di uomini; allora più at-tenti ascoltammo. Il fratello aprì il balcone, e la mamma sotto voce gli diceva: chiudi, perché possono vedere il lume e sparare dubitando qualche tradimento. Ma lui non poteva trattenersi, perché sperava che fosse qualche italiano, per avvertirli della bomba nascosta sotto le macerie, e dei tanti soldati tedeschi

Concerto della banda austriaca in piazza a VisnàEvacuazione di Visnà ordinata dalle autorita’ militari austro-ungariche

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Avanzamento progressivo dell’esercito italiano dal 24 ottobre al 4 novembre 1918

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Saranno state le 8 antimeridiane del 29 ottobre 1918 quando cominciò a cadere qualche granata più vicino alla piazza. Allora più impauriti e ritirati nella solita stanza a pianterreno, si piangeva e si pregava il Signore che avesse pietà e che rimediasse a ciò che stava per accadere. Insomma non descrivo i terribili momenti, paura, malinconia, solitudine, sono tre parole che solo al pensiero rattristano. Immaginarsi a provarle!

Sempre sopportando con pazienza e rassegnazione, verso le 9 sentimmo un rumore, corremmo, era un aeroplano basso basso sotto le nubi; e si distingue-vano bene i tre bei colori: bianco, rosso, verde.

Lo osservammo un momento estatici con lo sguardo fisso come per dirgli: venite italiani, venite presto, poi ci ritirammo un po’ contenti. La malinconia era passata, ma non la paura. Dopo mezz’ora di ansia sentimmo uno scalpitìo, corremmo di nuovo, erano tre inglesi. Si fermarono in piazza, noi ci avvici-nammo, loro pure, e danno una stretta di mano. Ma la commozione era tanto nostra che loro: nostra nel vedere i liberatori, e di loro nel vedere tanta povera gente dimagriti, pallidi e affamati, non permetteva dar parole di ringrazia-mento e di gratitudine.

Rincasammo dopo qualche minuto come stupiti e ci fermammo nella soglia

La popolazione civile veniva sfamata dalle truppe degli invasori

nascosti in chiesa, salta fuori. Ma quasi subito entrò contento perché aveva scoperto che nella via Luminaria erano due cavalleggeri e parevano cioè nostri italiani. Di nuovo chiudemmo il balcone, ma con l’orecchio sempre teso li accompagnammo fin dove potemmo.

Poi si fermarono e abbiamo sentito due colpi di fucile. Un brivido ci è corso per la pelle; il fratello voleva andare a vedere ma la mamma non lo permise. Sicché eravamo agitati, il nostro cuore batteva forte, forte, non so perché, forse di speranza, forse di paura. Intanto la notte scendeva e la malinconia aumen-tava. Tutta la notte passammo così. Parlando di cose serie e ascoltando al di fuori. E non si udiva altro che qualche colpo lontano lontano che pareva ci dicesse col suo misterioso pon-pon: preparatevi che presto verremo a liberarvi e a sfamarvi.

Noi si ascoltava quel rumore quasi contenti, ma una inquietudine ci tur-bava, e si temeva il prossimo avvenire, perché prometteva veramente male.

Sicché dopo una notte brutta brutta, giunse il mattino freddo, nebbioso, malinconico. Se ci fosse stato il sole col suo tepido raggio, ci avrebbe animati, incoraggiati, avrebbe cacciato un po’ di malinconia che dominava in noi. Ma anche quello mancava; insomma tutto dava segno di una grande tristezza.

Ponte sul Monticano a Visnà, minato dal nemico, ma riconquistato prima che quest’ultimo potesse farlo saltare in aria

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La nonna pure spiccò proprio un salto e, di corsa dietro a noi venne fino in cortile. Mia mamma che era davanti alla fila, volse l’occhio, e vedendo che eravamo tutte, continuò la sua strada, attraversando i cortili vicini. Ad un tratto si tornò a voltare e non vide più la nonna. Povera vecchia, non so se dal-la paura o da debolezza di mente non sapeva più quello che faceva. Tant’è vero che appena arrivata in cortile, cominciò a cercare la scopa, che poi tornò in cucina a spazzare tutti i calcinacci staccati dalle mura. Noi intanto ci siamo ritirati nella casa di Brugnera perché non si voleva scappare senza la nonna. Intanto le granate cadevano fitte fitte. La nostra angoscia era indescrivibile. Come fare? La nonna non veniva, le palle arrivavano con fragore spaventoso, i soldati ci dicevano di scappare via anche da loro. Come? E la nonna? “Vado a prenderla” dissi io. Cominciai la strada (ero zoppa); appena passato il cortile di Brugnera e cominciato quello di Bianchi, uno sdrapelin [shrapnell] cadde poco davanti, tant’è vero che se non mi ritiravo dietro il muro, rimanevo fe-rita, nello stesso tempo parecchi soldati che avevano capito di cosa si trattava, mi dissero se ero pazza. Feci per ritirarmi e subito comparve mia mamma e le

In alto a sinistra, Elisabetta Fagnol con i fratelli, le sorelle, mamma Maria e nonna Beta

di casa aspettando le truppe. Difatti dopo poco arrivò una pattuglia di inglesi che si sparpagliarono per tutte le case per vedere se vi erano dei tedeschi.

Alcuni di essi entrarono in casa nostra, e dopo di aver stretta la mano gen-tilmente, li conducemmo per tutte le stanze, tanto per persuaderli.

Intanto che esultanti si stava in mezzo ai nostri liberatori, le granate cade-vano sempre più fitte e anche qualcuna nel centro.

Alle undici finalmente cominciò a passare qualche italiano, poi sempre più finché vedemmo avanzarsi la truppa, munita di mitraglie e cannoni.

E dopo di aver posato i cannoni in posizione di sparo per sparare al di là del Monticano che erano i tedeschi che facevano un po’ di resistenza, i soldati si nascosero dentro le case. E anche in casa nostra saranno stati 20 soldati.

Dopo un anno di pene, di sofferenze e di malinconia ecco il primo momento di felicità!

Eravamo tanto contenti, in mezzo ai nostri soldati, si raccontava loro le nostre tristi avventure, che loro con cenno di compassione ascoltavano estatici i nostri avvenimenti, e di tratto in tratto esclamavano: povera gente, è ben ora che veniate liberati!

In quel momento, nella casa vicino alla nostra è caduta una granata, che non fece né tanti danni né tanto rumore, ma quelli che erano dentro scappa-rono a casa nostra impauriti; che poi dimenticarono anche la paura trovan-dosi con i cari italiani. Però cadevano di continuo qualche granata, ma non proprio nel centro, ma dopo qualche istante, ecco che cominciò a caderne una in piazza, poi un’altra. Alla caduta di queste granate, mia mamma che per la prima volta dopo tanto tempo faceva la polenta buona, come diceva, mentre la mescolava interrogava un soldato che stava asciugandosi i calzetti che aveva bagnati passando il Piave poche ore prima, e le diceva: ci dica un po’ buon soldato, che ci sia ancora pericolo? Sento questi colpi tanto vicini che non posso mettermi in pace. E lui rispose: “Signora, io la consiglierei di scappare per-ché dicono che dovremo fare una piccola battaglia per passare il Monticano”. Mentre così parlavano, una granata cadde nel mezzo di casa nostra che fece un fragore indiavolato rompendo tutti i vetri e crollando le mura dell’ultimo piano e il tetto.

Che momenti indescrivibili, come un lampo la casa restò vuota, e soldati e borghesi fuggirono non so dove. Solo so che mio fratello più grande prese il pic-colo e se la diede a gambe, mia mamma prese la piccola che stava arrampicata su per il seggiolone dove sedeva la nonna e, prima scuote la vecchia e poi diede un allarme a tutti noi che eravamo ancora convalescenti della febbre spagnola; tutte insieme corremmo verso il cortile per scappare.

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piazza), poi dicono che è morta la signora Augusta.” Quella donna era vile. Vedeva in che angoscia si stava e continuava a dirci quelle cose per aumentare il nostro dolore. Che momenti di strazio, si era proprio al colmo del soffrire. Il pensiero terribile della nonna, il dolore della sentita morte della zia, il pensiero dei parenti, perché anche la zia Marina aveva due figlie gravemente ammalate, e i due più piccoli erano fuggiti con noi; anche per questo si pen-sava, perché la loro mamma non sapeva dove fossero, e poi la fame, perché in tre giorni avevamo mangiato soltanto un po’ di latte ed un pezzetto di pan-nocchia arrostita. Paura, perché anche là nei dintorni arrivavano granate; freddo, perché eravamo vestiti un po’ alla meglio; sonno, che da tre notti non si dormiva.

Se il cielo non avesse avuto pietà, cosa sarebbe stato di noi? Non si sentiva più niente, non si parlava più, ma nella mestizia di un profondo dolore si confidava nella misericordia di Dio, che ci aiutò a sopportare quegli strazi morali e fisici.

Alla sera ci venne regalato un pezzetto di polenta senza sale: come era buo-na! Poi una buona donna di quella famiglia disse alla mamma se voleva an-dare in una camera, un po’ fuori del freddo, che accettò ringraziandola.

La notte la passammo in quella stanza con un’altra famiglia che avevano anche loro la nonna in casa. Ci confortammo a vicenda con poche parole, e poi estatiche, sedute nel suolo, aspettammo il mattino.

Nei primi albori la mamma incominciò la strada per andar a prendere la nonna. Appena oltrepassata la porta di casa, la vide con la scopa in mano, che subito la lasciò cadere e corse incontro alla mamma; si abbracciarono e pian-sero. Dopo qualche istante le domandò dove si fosse ritirata nella notte e disse che l’Amelia Biasi era andata a prenderla e aveva passato la notte con la sua famiglia. Dopo questo breve dialogo, prese un po’ di farina che era rimasta dal giorno avanti e, a braccetto, si portarono fino in campagna, perché avevano detto che verso le nove veniva il contrattacco. La lasciò in una famiglia e venne a prendere noi a Rai, che poi, tutte assieme, andammo dai nostri contadini, e là siamo rimaste fino alle quattro pomeridiane, e dopo una bella mangiata siamo ritornate alla nostra casa, che l’abbiamo trovata tutta rotta, solo una stanza era abbastanza benino, e le altre, o i vetri, o il suolo, o le mura, erano tutte decrepite.

Quanta malinconia è rimasta in noi nel vedere il paese tutto devastato!Il campanile non era più; la chiesa quasi tutta a terra, il parroco in fin di

vita, l’ansia di sapere dei nostri profughi, e tante altre cose lasciate dalla terri-bile prigionia tedesca, che sarà per noi commemorata per sempre.

sorelle, anche loro volevano andare a prenderla, ma i soldati ci continuavano a dire: fuggite, salvate la gioventù. Allora tutti ad alta voce si chiamava: non-na, nonna; ma era invano, non sentiva perché il fragore delle granate si faceva sempre più grande, più terribile e spaventoso.

Ma non si partiva, se un soldato non veniva a spingersi. Ci disse: “Andate che andrò io a prendere la vecchia; la gioventù, la gioventù preme”.

Allora cominciammo il cammino verso i campi e venimmo seguiti da altra gente che veniva dalla piazza. Si domandava loro della nonna ma niente sapevano.

Quando arrivati ad un certo punto si vedeva bene la nostra casa, ma al di là un gran fumo, che pareva che dentro ardesse. E anche dicevano che la nostra casa era incendiata. La nonna! Che momenti di strazio, di desolazione e di paura per i nostri poveri cuori.

Le sorelline dicevano: “Mamma! La nostra casa è atterrata”, perché il fumo la nascondeva. E la nonna? La gente per consolarci ci diceva di non star a pensare, è scappata di certo quando ha veduto il pericolo. Non erano parole che ci consolavano, e si stava là là, non si osava nemmeno andare avanti. Ma poi i tedeschi stando al di là del Monticano allungarono il tiro dei cannoni, e siccome anche in quel campo si era in pericolo, bisognava andare ancora avanti. Oramai la forza ci mancava, ma la mamma si fece coraggio perché andava di vivere o morire essendo i proiettili tanto vicini, e disse: “Coraggio fi-glie mie, fuggiamo, il Signore ci aiuterà, e confidiamo in Lui che salverà anche la nonna”. Allora con la speranza sempre in cuore, sempre pregando abbiamo continuato il cammino. Ma io che dopo tre mesi di male al piede destro e otto giorni di febbre, per la prima volta avevo fatto un così lungo cammino, non ne potevo più, e a stento mi trascinavo dietro gli altri.

Sicché ero un bel pezzo dietro a mia mamma. Con me era una donna an-cora convalescente che portava in braccio due bambine ammalate. A un tratto sentimmo un fischio che veniva contro di noi. Era una granata che cadde tan-to vicino a noi che ci fece cadere per terra. Ma grazie al cielo non si scoppiò. Immaginarsi il nostro spavento.

Insomma, dopo aver passato siepi, fossi, e campi, ci trovammo in una fa-miglia di Brugnera a Rai, dove saranno state duecento persone scappate dal pericolo.

Appena arrivate ci sedemmo sfinite per terra e si stava con la mente a pen-sare avvolte dal dolore, quando una donna che veniva da Visnà ci disse: “La casa sua è tutta per terra, non è rimasta che un mucchio di pietre, così pure la chiesa e altre case; la mia non ancora, (invece fu solo la sua casa atterrata in

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A Visnà: 12 dicembre 1918

DON GIOVANNI DAL POZ - Celebro la prima volta a Visnà nella sa-letta della canonica perché la chiesa e il campanile sono crollati. Poco dopo la chiesa viene trasportata nella cantina adattata a casa del Signore.

16 gennaio 1919

DON GIOVANNI DAL POZ - A Visnà ebbi le graditissime visite di Mons. Bettamin e di Mons. Rostirola. Ecco come e perché. Il primo soccorso della diocesi di Treviso, per la generosità di S.E. Mons. Vescovo, portato con ca-mions da Mons. Paroco del duomo, giunse il giorno di S. Tiziano 16 gennaio 1919; il secondo soccorso il 17 gennaio 1919 dal mio paese di Camposanpie-ro, accompagnato da quel buono e benemerito arciprete Don Luigi Rostirola; il terzo soccorso il 25 gennaio 1919 alle ore 10 di sera da Mons. Bettamin paroco del Duomo di Treviso. Che Dio li ricompensi.

Vazzola liberata dagli invasori

Ma il Signore ha voluto che torna a rifiorire i primitivi giorni, ed ecco che il 4 novembre fu firmato l’armistizio della terribile e sanguinosa guerra europea, colla vittoria italiana.

Lodare Gesù... Viva l’Italia (però tante famiglie sono state segnate).

Novembre 1918

DON GIOVANNI DAL POZ - Da Treviso, dopo la visita al Vescovo Lon-ghin ritornai a Bibano. Quella popolazione volle farmi una cerca di granotur-co. Fu abbondantissima.Volle così dirmi che mi ringraziava e mi voleva bene. Serbo per essa un grato ricordo. Cercai con tutti i mezzi e tra mille difficoltà di avvicinarmi alla mia parocchia (Cimadolmo).

S.E. il Vescovo di Ceneda, che desiderava avermi tra i suoi paroci, con bolla in data del 5 novembre 1918 mi nominava Economun Dictae Ecclesiae Pa-rochialis S. Martini de Vicinatu, (Visnà di Vazzola), e con tutte le facoltà del caso; e il Vic. For. di Vazzola insisteva perché vi andassi.

Ecco in proposito la lettera di S.E. Mons. Eugenio Beccegato.Il Rev. Vicario Foraneo di Vazzola, Don Domenico Zanette, insiste perché

io annuisca al desiderio espressomi da S.E. di andare a Visnà.…Domani, Lunedì 25 co. (novembre 1918) vado a Treviso a parlarne a

S.E. Mons. Longhin.E da Visnà il 7-12-1918 don Domenico Pancotto mi scriveva: “L’avverto

che oggi nelle ore pomeridiane io parto per Portobuffolè. Questi fabbriceri sono avvisati, ma per oggi si trovano nella impossibilità di avere il mezzo pel trasporto della sua mobilia. Potrebbe intanto venire per le sue funzioni di domani e cioè per la messa prima alle ore 7.30 (perché la messa seconda viene ogni festa celebrata da Don Paolo Cescon) e così avrà campo di parlare e concretare coi fabbriceri.

Finalmente per il 12 dicembre 1918 tutto viene disposto perché nella nuova residenza provvisoria io possa celebrare la S. Messa. Confesso che lascai Bibano con grande dispiacere, perché fu testimonio per circa un anno di tanti dolori e di tanti affetti, di tante sofferenze e di tanta bontà, di tante privazioni e di tanta generosità, di tanto lavoro e di tanti preziosi, alti conforti.

Una cosa sola non mi mancò mai fino alla liberazione: elemosine per la celebrazione di S. Messe, e in tale abbondanza da poterne consegnare all’Arci-prete di Vazzola una cinquantina …

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24 luglio

DON GIOVANNI DAL POZ - La vigilia di S. Giacomo del 1919 (24 luglio) dopo che il S. Padre Benedetto XV ricevette i cardinali per gli auguri del suo onomastico, ricevette me. Volle conoscere a lungo le condizioni del Piave martoriato, e mi diede affidamento di soccorrere le mie opere cattoliche, che stavo per far sorgere.

Il 23 e 24 luglio fui ricevuto ripetutamente da S. E. Luzzatti, che il 24, alle ore 17, radunò nella biblioteca del parlamento S. E. Nava, Ministro delle terre liberate, con l’ammiraglio Chierchia e il suo Segretario, e fece una seduta per aiutare le mie opere, che avevo intenzione di far sorgere.

Le vicende di don Giovanni Dal Poz sono tratte da “L’INVASIONE – Diario di un profugo”, Noale, 1937.

Le vicende di don Amerigo Garbuio sono tratte da “S. MICHELE DI PIAVE E LA SUA NUOVA CHIESA” di mons. Costante Chimenton, Treviso, 1929.

Il Diario di Maria Nardi è tratto da: “PURA E FORTE – in memoriam di Maria Nardi”, 1919, di mons. Domenico Zanette.

Il diario di Elisa Fagnol è stato tratto da “PICCOLI RICORDI DEL-L’INVASIONE TEDESCA” inserito nel libro “DI QUA DI LA’ DEL PIAVE” di Mario Bernardi, ed. Mursia, 1989.

Febbraio 1919

DON GIOVANNI DAL POZ - Polenta -. Fino a oggi 19-2-19 ho potuto comperare e dispensare, a pagamento, più di 168 quintali di granoturco ai miei parocchiani al prezzo di £. 46 oppure 47 al quintale, mentre altrimenti l’avrebbero pagata a £. 56 e 60; e rimango creditore di altri 32 quintali, che mi furono recapitati il 1.o e il 2 marzo. In tutto 200 quintali di granoturco, senza contare l’olio, le patate, i fagioli, il petrolio e il latte concentrato.

Ad majorem Dei gloriam.Devo riconoscenza al comm. Dalla Favera, che me lo fece comperare, e a

Mons. Bettamin che me lo portò in paese.

2 marzo

DON GIOVANNI DAL POZ - Mons. Bettamin mi rimprovera dolcemente in cantina – Chiesa di Visnà, predicando; e in canonica, conversando, perché metto in pratica, per il mio popolo, l’esortazione di N.S.G.C.: pulsate, petite.

In pari data mi scrive: “Mando ora il resto, più qualche cosa che ho ritirato da Massanzago.” Sarà un momento d’amore e di riconoscenza quello che i poveri invasi innalzeranno a Mons. A.G. Longhin, vero emulo del poverello d’Assisi; ai Mons. Bettamin e Rostirola; e ai paroci benefattori.

13 marzo

DON GIOVANNI DAL POZ - Don Domenico Zanette, Arcip. Vic. For. di Vazzola, mi scrive che il Vescovo di Ceneda desidera che mi fermi nella sua diocesi; e il 17 ripete il medesimo desiderio di S.E. a mia sorella Teresa.

A voce, lo stesso Mons., Vescovo di Ceneda ripete il desiderio sopra riportato alla mia sorella Teresa a San Polo di Piave.

3 aprile

DON GIOVANNI DAL POZ - A mezzogiorno arrivo a Cimadolmo per rimanervi stabilmente.

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L U O G H I D E L L A M E M O R I A

Va z z o l a - Te z z e - V i s n à

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V A Z Z O L A

L A P A R R O C C H I A

P e r l e V i e d i Va z z o l a

Passando per le strade di un paese, il nostro sguardo è inevitabilmente attratto dal Municipio, dalla Chiesa, dai negozi che costeggiano la via principale, dalle ormai solitarie case coloniche immerse nel verde delle

La piazza di Vazzola

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ni. Un edificio, con tutto il suo arredo, ci lascia infatti una testimonianza indelebile di chi ci è vissuto.

A noi quindi l’impegno di trarre dall’oblio la nostra storia locale passata e di tramandare alle future generazioni, attraverso le nuove realizzazioni edili, quel bagaglio di valori lasciatoci dai nostri avi.

C e n n i s t o r i c i

Secondo il De Rubeis ed il Verci (“Storia della Marca Trevigiana e Ve-ronese”, Venezia, 1786), a Vazzola, fin dall’anno mille, doveva esserci una comunità cristiana con propri Pastori, la “plebs S. Johannis Baptistae”, dove plebs stava ad indicare la comunità di battezzati nel cui territorio sorgeva la chiesa.

Ma è solamente nel 1228 che compare il nome del pievano di Vazzola, “Pietro”, come teste giurato del testamento con il quale Alberto da Ca-mino, vescovo di Ceneda, donò la chiesa e il monastero di S. Giustina di Serravalle al monastero di S. Benedetto di Padova.

Verso il 1300, Vazzola era una delle 28 Pievi della Diocesi di Ceneda che deteneva la supremazia sui territori parrocchiali vicini quali quelli di

Interno della chiesa di VazzolaDue vedute della chiesa di Vazzola e la torre campanaria prima della Grande Guerra; nella facciata si nota la mancanza delle due statue laterali

campagne circostanti. Forse qualcuno di questi edifici è sorto sulle rovine di altri rasi al suolo o, in ogni caso, demoliti dalla guerra.

Con i conflitti mondiali ci furono migliaia e migliaia di vittime umane, incalcolabile fu il patrimonio artistico-culturale andato distrutto, che por-tò con sé una storia “minore” fatta di tradizioni e di piccoli gesti quotidia-

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Edifici distrutti della guerra

S. Ulderico di Cimetta, eretto nel sec. XV, di S. Francesco di Tezze, eretto in parrocchia filiale nel 1659, di S. Marco e S. Lorenzo di Soffratta, eretto in parrocchia nel 1733.

La chiesa di S. Giovanni Battista fu consacrata il 9 novembre del 1490, come riportato in una iscrizione posta sopra la porta rivolta a sud.

L’ e d i f i c i o

La chiesa è divisa in tre navate e lo stile architettonico è tra il bizantino e il lombardesco. Anticamente aveva sette altari (Maggiore, della Croce o del Salvatore, Rosario, S. Valentino, S. Macario, S. Antonio, S. Girola-mo), ma all’inizio del secolo, durante i lavori di restauro commissionati da mons. Zanette, ne vennero asportati quattro laterali, mentre l’altare Mag-giore fu totalmente ristrutturato durante l’ampliamento del presbiterio, dove venne pure costruita la grande cupola con le sacrestie e i matronei.

Nel 1908 venne eretto l’attuale coro, opera pregevole del prof. Vin-cenzo Rinaldo di Venezia, mentre nel 1909 vennero scoperti affreschi di Pomponio Amalteo. In seguito, fu innalzata la navata centrale.

L’ o c c u p a z i o n e

Nella notte tra l’8 e il 9 ottobre 1917, Vazzola fu occupata dalle truppe germaniche che presero possesso di parte della canonica e di parecchie case coloniche per dare sistemazione ai soldati.

Durante i combattimenti la chiesa fu colpita da una bomba incendiaria nella navata centrale e la cupola fu perforata da tre granate, cosicché la decorazione del presbiterio rimase gravemente danneggiata. “…Tutte le vetrate della chiesa e della sacrestia andarono completamente infrante. Anche la casa canonica e quella del cappellano vennero colpite da varie granate e presentarono gravi danni.

Le quattro campane furono asportate e vano fu il successivo ricorso, inol-trato dal parroco mons. Zanette presso il Comando competente, per riavere la campana maggiore di alto valore artistico e storico e risalente al XVI seco-lo…”.

Tratto dalla “Relazione dell’invasione nemica (1917-18)” del 25 marzo 1919, redatta da don Domenico Zanette

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U n a d o c u m e n t a z i o n e e c c e z i o n a l e

Le tre fotografie del funerale di guerra a Vazzola, gentilmente concesse dalla famiglia Boccardini Dalla Balla, offrono una documentazione rara di eccezionale valore storico.

Nella prima fotografia vediamo una delle due bare collocata sul catafal-co eretto al centro della chiesa: da notare i drappi funebri sul pavimento e sotto la bara, i due banchi ai lati rivolti verso la salma e l’omaggio floreale nonostante il tempo di guerra ed i mesi invernali. Infine si vede l’antico pulpito, dove il celebrante saliva dopo la lettura del Vangelo per la predica.

La seconda fotografia ci mostra il corteo militare formatosi all’uscita della chiesa che si avvia verso il cimitero. In primo piano, dopo un drap-pello di soldati, la banda militare austriaca che passa davanti l’antica torre campanaria; seguono i tre sacerdoti concelebranti e, più oltre, si intra-vedono le due bare portate a spalla. Sullo sfondo continua l’imponente seguito di militari.

Nella terza fotografia il corteo ha lasciato il corso principale e si avvia verso il cimitero: in primo piano un soldato con la croce, subito dopo altri due a capo scoperto con le insegne militari e le decorazioni dei caduti, i tre sacerdoti, le due bare precedute da una corona di fiori.

F U N E R A L E D I G U E R R A

I l d u e l l o a e r e o

Nel “Registro dei Morti” di Vazzola, il 4 gennaio 1918 fu trascritto il funerale di due soldati nemici sepolti nel cimitero di Vazzola. Furono vit-time di un duello aereo che don Giovanni Dal Poz, accorso sul posto per l’assoluzione “sub conditione”, raccontò nel suo diario: “… Contrasto. In piazza a Vazzola suona la musica. Il nemico ha fatto un’avanzata sul Piave. E’ in giubilo… In questo tempo alcuni soldati stanno a nord-ovest della cano-nica di Vazzola guardando in alto, e, a un certo momento, battono le mani. Hanno assistito a un duello tra due aeroplani, e gioiscono per l’incendio di uno che sta per cadere: lo credono italiano. Mi fermo. L’aeroplano precipita presso di noi. Subito impartisco l’assoluzione sotto condizione al disgraziato aviatore, nella speranza che sia cattolico e ancor vivo. Ma i battimani cessano, e la gente ivi radunatasi viene allontanata, quando i soldati si accorgono che l’aviatore è un tedesco, sformato, rotto lo stomaco, nel quale si vedono fegato, cuore, polmoni e il cibo dell’ultimo pasto. Mi ritiro piangendo in cuor mio l’animo cattivo di quei soldati …”.

Militari austriaci osservano desolati l’aereo caduto nel Favero

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Te s t i m o n i a n z a d i D e s i d e r i o To m a s i n( a n n i 9 7 , r e s i d e n t e a Va z z o l a )

“… Ricordo l’incidente aereo in via Favero. Quando passavano gli aerei scaricavano tante bombe. Quel giorno cadde un aereo, ho visto anch’io un mucchio di pallottole di mitraglia. Dopo ne abbiamo visto un altro cadere verso Cimetta. Fu una battaglia aerea paurosa. Quando gli aerei si allonta-navano si sentiva una musica. Erano tutte le schegge che facevano risonanza tagliando l’aria. Noi ci nascondeva-mo sotto gli alberi, se eravamo fuori, perché avevamo paura. Coprivano il cielo di bombe. Ogni bomba che sali-va faceva come una rosa nera.

Le postazioni erano a Susegana dove il ponte era bersagliato dagli ita-liani perché i tedeschi avevano fatto saltare il ponte grande ma non quello della ferrovia.

I vecchi dicevano che non c’era mai stato un anno abbondante come quel-l’autunno, così i germanici che arri-varono trovarono le cantine e i granai pieni e andavano a prendersi di tutto, uccidevano i maiali e li bruciavano per togliere il pelo, poi buttavano via testa e gambe.

Da Boccardini c’era un pozzo profondo. I tedeschi uccisero una bestia e but-tarono via la pelle, le gambe. Io andai a rubare una gamba, ma un tedesco mi vide e mi sculacciò cacciandomi via. Non si dimenticano certe cose!

Dopo l’offensiva di giugno, una sera mia sorella stava male e andò a dormi-re in camera, mentre di solito si dormiva in cucina. Mia mamma teneva un po’ di denaro e delle cose d’oro che quella sera mise sul comodino. Entrarono due germanici e uno di loro sparò un colpo e la pallottola fece anche un buco nel mobile. Mia zia corse dal comando che mandò la polizia ad arrestarli, ma dovettero lottare un’ora per prenderli e uno di loro ruppe le porte a calci. Volevano andare a dormire e uno di loro andò di sopra in camera, vide le cate-nine sopra il comodino e le prese. Mia mamma denunciò il fatto anche grazie all’appoggio di monsignor Zanette. Radunarono tutti i soldati e chiesero a

Il signor Desiderio Tomasin

Da notare che la partecipazione è solo militare perché non si vedono civili che seguono i feretri, solo alcuni ragazzi di lato osservano l’insolito avvenimento.

Funerale di guerra

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L a r i t i r a t a d e g l i a u s t r o - u n g a r i c i

Desiderio Tomasin così ricorda gli avvenimenti degli ultimi giorni del-l’ottobre 1918

“… La sera prima il Piave era tutto a ferro e fuoco e qui arrivava qualche bomba grossa. Allora siamo andati a dormire in campagna, presso la famiglia Dal Col. Le donne hanno steso delle trapunte per terra e ci hanno messo a dor-mire tutti. A mezzanotte hanno cucinato una bella polenta calda e ci hanno dato da mangiare. Subito dopo sono arrivati gli inglesi. Hanno visto la luce attraverso le fessure, hanno bussato e chiesto alle donne se c’erano dei tedeschi. Ne avevano due ma supplicarono che non facessero loro del male perché si erano comportati bene. Così li arrestarono e li portarono via.

Quella notte, con noi, c’era anche monsignor Zanette, che non era ancora monsignore. Quasi tutte le persone del paese, circa 50, erano lì quella notte. La mattina tornammo a casa in paese e trovammo gli inglesi che erano arrivati per primi. Il pomeriggio avvenne la ritirata. Il Piave era a ferro e fuoco, tutta una sparatoria. Nel pomeriggio arrivarono le truppe a Vazzola. Gli italiani arrivarono da Conegliano lungo la strada per Cimetta e si appostarono sul ponte sul Monticano. Lì scaricarono moltissime bombe, tutte piccole, ma le seminarono come i risi.

Verso le 4 del pomeriggio io mi trovavo lungo la strada dopo la curva nel-l’attuale via Armando Diaz, dove c’è l’accesso che entra nel borgo. Io ero lun-go la strada e guardavo passare l’esercito: era spaventoso. Senza vestiti, senza scarpe, feriti, senza medicazioni, senza cibo, tutti feriti le braccia e le gambe e senza bende. Si trattava dell’esercito austriaco che si dirigeva verso l’alto Friuli. Ogni tanto questa colonna di uomini era interrotta da grossi carri con le ruote alte come un uomo. Erano come una grande cassa aperta, dietro e all’interno erano accatastati i feriti che non potevano camminare, ammassati uno sull’altro come le bestie. Quelli che camminavano per la strada si sostene-vano l’un l’altro.

Si presentò un ufficiale a cavallo, ferito ad un braccio, ma con una bel-la medicazione. Con la mano destra teneva la briglia del cavallo e la carta geografica che gli cadde. Un soldato tedesco allora gliela raccolse e gliela rese perché loro erano pratici delle strade, sapevano bene dove andare.

La ritirata io ce l’ho bene impressa nella memoria, vedere tutti questi uomi-ni rimasti senza niente, un esercito di quelle dimensioni!

Ogni tanto c’era un soldato con un fucile in spalla, ma non avevano nulla,

mia mamma se riconosceva i due che erano entrati in casa. Monsignore mise un po’ di paura a mia mamma e le raccomandò di essere sicura perché anche lui era figlio di una mamma. Lei lo riconobbe, lo perquisirono e trovarono i soldi e l’oro.

Una volta due tedeschi chiesero a mio nonno del sale. Lui gliene diede la metà di quello che aveva. Dopo andarono in un’altra famiglia e gli chiesero qualcosa, ma non diedero niente. Allora si sentirono delle urla, mio nonno andò da loro ed entrando vide il tedesco nero di rabbia che teneva per il collo questo signore. Mio nonno lo fermò e salvò il vicino.

I germanici, quando avevano sete, entravano in una cantina, sparavano alla botte e bevevano il vino fino ad ubriacarsi. Nel primo mese di invasione fecero uno sperpero di cibo impressionante.

Lungo il muro c’erano tutti i cavalli. Andavano nei granai e davano loro da mangiare a volontà. Ne vidi scoppiare diversi per il troppo cibo, poi li seppellivano e dopo la guerra io dissotterravo le ossa per venderle come pure i bossoli…”.

Te s t i m o n i a n z a d i B a t t i s t a G a v a( a n n i 9 9 , r e s i d e n t e a Va z z o l a )

“... Durante l’invasione io ero giovane ed ero rimasto in paese. Mi ricordo di un certo Gava, che non era mio parente, che aveva simpatia particolare per i tedeschi.

C’era poi una persona che di co-gnome faceva “Patosh” e conosceva il tedesco, così accompagnava i tedeschi ed era sempre insieme a loro. Era qui di Vazzola. Ci interrogava noi ita-liani e poi traduceva ai tedeschi che venivano a fare i sopralluoghi per le case assieme a lui. Facevano delle domande, chiedevano informazioni: da dove si era, quanti eravamo e così via...”.Il signor Battista Gava

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L A D I S T R U Z I O N E D E L C A M P A N I L E D I VA Z Z O L A

( Te s t i m o n i a n z a d i D e s i d e r i o To m a s i n )

“… Il campanile era stato fatto saltare qualche giorno prima alle 9 di mat-tina. Si sentì un rumore che fece tremare la terra. Sono stati così bravi a far saltare il campanile verso l’alto in modo che le macerie ricadessero sulla base, solo qualche sasso arrivò in strada. Non danneggiò niente. La chiesa era stata bombardata invece prima di giugno. Due aerei hanno scaricato due bombe che colpirono la chiesa a metà, proprio di fronte alla scalinata che saliva al-l’altare. Danneggiarono solo il tetto. Pensavano che i tedeschi dormissero in chiesa, quindi gli italiani bombardarono la chiesa …”.

( Te s t i m o n i a n z a d i B a t t i s t a G a v a )

“… Con una mina hanno fatto saltare il campanile. Io ero in piazza, poco distante. Lo hanno minato e fatto saltare. L’esplosione mi ha sbal-

Cartolina pubblicitaria della latteria sociale di Vazzola

né cannoni, nulla, solo qualche fucile. Un caval-lo trainava i carri e quando qualcuno non ce

la faceva più a camminare, si fermava e aspettava il carro. Erano pochi però, sa-

ranno stati 500 - 600 uomini. La co-lonna era lunga ma gli uomini pochi. Mi ricordo che alcuni sostenevano un soldato con la faccia tutta nera perché camminasse, ma quando è passato il carro lo hanno buttato su …”.

“… Quando sono andati via i tede-schi, il nostro esercito occupò la latteria con circa un centinaio di prigionieri nemici. Dopo sono stati rimpatriati e la latteria è stata occupata dalla Cooperativa, Società Operaia dei fa-legnami e muratori, che gestiva i lavo-ri delle case bombardate dalla guerra.

Infine è tornato il direttore Contini, che era stato profugo a Torino, il quale ha installato e valorizzato nuovamente la latteria …”.

Ulderico Contini,direttore della latteria sociale di Vazzola

Latteria sociale di Vazzola

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zato via un po’ distante, ma ho visto tutto. I tedeschi lo hanno minato. I tedeschi si distinguevano dagli austriaci per il cappello, che era diverso. La maggior parte di quelli che lo hanno fatto saltare erano tedeschi.

Finita la guerra hanno ricostruito il campanile. Mi ricordo un grumo di materiale che è saltato in aria e poi hanno cominciato a portare via le macerie un poco alla volta con le carriole.

Non erano da qua quelli che hanno preso le pietre per ricostruirlo. Ho visto anche degli ingegneri lì intorno durante la sua ricostruzione. Quel-li che avevano il compito di ricostruire il campanile erano di Venezia. I ragazzi giovani avevano la scala adatta a lavorare nel campanile perché andavano su anche con le carriole fino a quando potevano per fare la base del campanile …”.

I n t e r v e n t o d i r i s i s t e m a z i o n e

Nel 1926, sempre su progetto del prof. Rinaldo, venne iniziato il lavoro di rifacimento della facciata neoclassica della chiesa di Vazzola, continuato poi, a causa della sopraggiunta sua morte, dall’architetto Luigi Candiani e completato solo nel 1928, al tempo di don Lazzari.

Ricostruzione della facciata della chiesa parrocchialeTre opere del Celotti: due statue poste sulle cuspidi della chiesa di Vazzola ed una riparata (in alto a destra) e Sant’Antonio da Padova collocato all’interno della chiesa di Tezze

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1918 per impedire all’esercito italiano di poter contare su di un osserva-torio privilegiato. Cinque anni dopo, alle ore 10 del 24 giugno 1923, alla presenza di Sua Ecc. mons. Beccegato e di mons. Zanette, arciprete della cattedrale di Ceneda, ci fu l’inaugurazione del nuovo campanile.

Veduta della Piazza Maggiore tra Palazzo Tiepolo e la Torre Campanaria

La chiesa e la torre campanaria prima della guerra

In questo periodo sarebbero state eseguite dallo scultore Vit-torio Celotti, secondo quanto riportato ne “L’Azione” del 19 ottobre 1929, le cinque statue poste sulle cuspidi. In realtà spettano allo scultore solamen-te le due statue sugli acroteri delle navate laterali e, con ogni probabilità, la testa del Cri-sto sulla cuspide del timpano, in sostituzione dell’originale danneggiata o perduta. Le tre statue centrali sono certamen-te anteriori, presumibilmente settecentesche, come sembra-no dimostrare l’enfasi barocca del viluppo delle vesti e le teste originali delle statue ai lati del timpano centrale. Sono invece

sicuramente di Celotti le statue di Sant’Antonio da Padova e San Giovan-ni Battista, più sobriamente moderne sia nella postura, sia nella semplifi-cazione dei gesti e delle pieghe delle vesti; il Sant’Antonio è molto simile a quello della chiesa di Tezze.

Tratto da “Vittorio Celotti scultore 1866-1942” di Giovanna Terzariol, Fabrizio Edizioni della Laguna, 2006

I l c a m p a n i l e

L’antica torre campanaria era una massiccia costruzione in mattoni del sec. XIV, con basamento in pietra alta quasi 42 m., terminava con una merlatura ghibellina formante un parapetto. Al di sotto, una cella cam-panaria, avente in ogni lato una bifora con archi in muratura di mattoni, conteneva il cestello campanario in ferro.

La torre fu fatta saltare dalle truppe austro-ungariche il 28 ottobre del

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lo coadiuvarono nelle sue molteplici iniziative dirette al bene ed al decoro della sua Parrocchia. Elogiò poi il geniale architetto per l’indovinato disegno del campanile, il gruppo tecnico locale del Ministero TT. LL. che condusse a compimento il lavoro ed inoltre la Ditta De Poli di Ceneda per l’intonato concerto di campane dato a Vazzola… Va ricordato finalmente che l’orologio della torre campanaria è della Ditta Miraglia di Torino e venne montato dai rappresentanti di essa sigg. Fratelli Milanese, orologiai di Treviso …”.

Tratto da “L’Azione” del 07/07/1923

La festa si prolungò per tutta la giornata, infatti “… Alle 4 del pomerig-gio ebbe luogo la inaugurazione dell’Orfanotrofio intercomunale che accoglie 12 orfane di guerra, allevate con cura dalle ottime suore di Maria Bambina.

Soldati e civili in posa sulle rovine dell’antica Torre Campanaria

Te s t i m o n i a n z a d i A n g e l o M a r i o n , r e s i d e n t e a Va z z o l a

“… Mio padre Leone mi raccontò di essere andato a prendere le pietre, che servirono per la costruzione del campanile, alla stazione di Conegliano con il carro e i cavalli. Esse provenivano dalla demolizione di una fornace a Genova. Fece una trentina di viaggi tra Conegliano e Vazzola per effettuare il trasporto di tutto il materiale …”.

La torre fu progettata dall’ architetto prof. Vincenzo Rinaldo di Venezia. “… Il Vescovo ebbe parole di alto encomio per Mons. Zanette, già arcip.

di Vazzola, al quale spetta il primo merito per l’interesse spiegato nel volere una torre degna dei buoni Vazzolesi che l’amarono sinceramente e che sempre

Soldati e civili in posa sulle rovine dell’antica Torre Campanaria

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Le impalcature per la realizazione del nuovo campanile di VazzolaI lavori di costruzione del campanile

Le fondamenta del nuovo campanile

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24 giugno 1923: solenne inaugurazione del nuovo campanile nel giorno del Santo Patrono

I lavori di costruzione del campanile

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Il progetto dell’arch. Vincenzo RinaldoLa lapide che fu collocata sopra la porta il giorno dell’inagurazione

Anche questa istituzione devesi a mons. Zanette, che tenne il discorso di circostanza, facendo la storia di essa … La festa fu poi rallegrata dal-la Banda di Refrontolo che seppe farsi onore. A sera poi il bravo pirotecnico Angelo Papa di S. Polo fece ammirare i bellissimi fuochi artificiali ...”.Tratto da “Il Gazzettino” del 30/06/1923

Alla base del campanile di Vazzo-la è stata posta una lapide della qua-le scrisse su “L’Azione”, il 13 ottobre dello stesso anno, un anonimo cit-tadino di Vazzola in esilio involon-tario: “… Che cosa dire del magnifi-co, artistico campanile, che è tutto un ricamo, degno di abbellire anche una grande Città, che risorse sulle rovine dell’antica torre millenaria minata ed atterrata dal barbaro invasore? ...”.

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“Specifica” delle spese e competenze per il progetto

atque miro artis splendore hodie coruscans germinavi pulcherrima rosa. VIII Dec. MCMXXII”.

Presso gli archivi del Comune di Vazzola è depositato il progetto del campanile e la specifica delle spese e competenze dovute dallo spett. Uf-ficio Tecnico del Ministero delle Terre Liberate di Conegliano per il pro-getto del nuovo campanile di Vazzola, in base alla tariffa normale delle competenze per lavori di Ingegneria dell’Associazione Naz.le Ingegneri

Questo viene ricordato ed eternato anche in una epigrafe in latino inci-sa nel marmo e collocata al di sopra del piedistallo del nuovo campanile. L’iscrizione venne composta dal prof. mons. Emilio di Ceva del seminario di Ceneda e suona così:

“Post fata resurgo et reliquiis vetustissimae turris annorum mille gloria ful-gentis quam hostis immani bello italo austriaco die XXVII oct. a MCMXVIII miserrime diruit Italiae ma tris munificentia ab inis instaurata fundamentis

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“Specifica” delle spese e competenze per il progetto

Il campanile di Vazzola è indubbiamente, fra i tre, il più bello e ricco di ornamenti: forse il paese aveva messo a disposizione una maggiore quan-tità di denaro rispetto agli altri Comuni?

La spesa sostenuta dal Comune per la sistemazione delle opere fu così ri-partita: £ 21.600 per l’orologio, £ 37.376,46 per la fusione e la posa in ope-ra delle campane, £ 318.000 per il rifacimento della facciata della chiesa.

L’opera più significativa e preziosa della chiesa è costituita dagli affre-

Italiani, Sezione Treviso. Il totale delle competenze da pagare ammontava a£ 17.797,33 comprensive di viaggio, trasporto, spese postali e telegrafiche.

L’architetto prof. Vincenzo Rinaldo progettò i campanili di Vazzola, Ormelle e San Polo di Piave. Le tre torri campanarie hanno delle caratte-ristiche comuni: sono state progettate senza tenere conto dello stile della chiesa e del Comune a cui appartengono o del campanile originale; sono tutte molto alte e slanciate; tutte costruite in mattoni faccia vista.

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Veduta panoramica degli edifici sacri dopo la ricostruzione

gento massiccio ed oro con parecchie figure a bassorilievo, dono di mons. Francesco Nardi, Uditore di Sacra Rota; nelle cantorie sono presenti bas-sorilievi in legno rappresentanti Dottori della Chiesa eseguiti molto accu-ratamente sempre in Val Gardena.

Esiste poi un organo, di pregevole fattura, costruito nel dopoguerra.“L’Azione” del 29/10/1921 descrive così la sua inaugurazione: “... Essa

avvenne l’ultima domenica dell’ottobre 1921. Lo strumento è opera della Dit-ta A. Pugina & Figli di Padova: esso è costituito da due manuali con 20 registri e un insieme di 1300 canne. Il collaudo fu eseguito dal Maestro Oreste Ravanello e dal Prof. Ernesto Dalla Libera.

Al mattino il Prof. Ravanello accompagnò la Messa cantata dalla Schola locale. Mons. Zanette tenne uno splendido e commovente discorso rivelando, come in tre anni appena, gli fosse stata consegnata spontaneamente dai par-rocchiani la somma necessaria. Dopo le spese ingenti sostenute per il restauro della chiesa, per la ricostruzione delle case, per rimettere le campagne devastate dalla guerra, un organo di tal valore era un sogno fino ad un anno prima.

Nel pomeriggio il nuovo strumento, sotto le magiche dita del Maestro Ra-vanello, rivelò tutte le sue risorse in un concerto che per più di un’ora deliziò il pubblico che stipava la chiesa …”.

Veduta generale del duomo

schi della sacrestia attribuiti a Francesco da Milano e quelli del Beccaruzzi, posti sulla parete della navata sinistra, risalenti entrambi al 1530.

Altre opere di pregio sono due sculture in legno, la Madonna del Rosa-rio e S. Antonio, eseguite dopo la guerra in Val Gardena; un calice in ar-

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L’albergo “Alla Croce di Savoia” tra Casa Grisostolo e il vecchio Municipio

G L I E D I F I C I C I V I L I D I VA Z Z O L A

Foto aerea di Vazzola all’inizio del secolo scorso

Scorcio di piazza Maggiore verso l’attuale via Roma

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Villa Righetti

Villa Toffoli

Palazzo Grisostolo

Palazzo Brisotto

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Ricordo dell’ingresso del parroco Vazzola 29 settembre 1901

Corrispondenza di mons. Domenico Zanette con la famiglia Nardi

I P A R R O C I

M o n s . D o m e n i c o Z a n e t t e

Mons. Domenico Zanette nacque a Vittorio Veneto il 9 novembre 1874 da Francesco e da De Conti Caterina, fu ordinato sacerdote il 30 luglio 1898 da S.E. mons. Brandolini Rota. Dopo aver ricoperto il ruolo di cap-pellano a Rua di Feletto, a soli 27 anni fu nominato arciprete di Vazzola, dove fece il suo ingresso il 29 settembre 1901. Si dimostrò subito intelli-gente, colto, dinamico e diede un impulso incisivo a tutta la parrocchia.

Appena arrivato, fondò la Pia Opera del Pane di S. Antonio per soccorre-re le necessità dei poveri. Nel 1903 si adoperò per istituire l’Asilo Infantile, affidandolo alle suore di Maria Bambina. Di seguito nacque l’Oratorio festivo femminile e il Laboratorio di ricamo diretto dalle suore.

Nel 1905 fu eretta la Pia Unione di S. Vincenzo de’ Paoli con lo scopo di provvedere alla refezione gratuita per i bambini poveri dell’asilo. Nel 1906 venne eretto canonicamente il Terz’Ordine di S. Francesco d’Assisi che ancora oggi continua la sua attività.

Don Zanette promosse anche il canto sacro e nel 1907 istituì la Schola Cantorum per il servizio li-turgico.

A causa dei gravi danni subiti dalla chiesa e dalla torre campanaria durante la guerra, l’arciprete diede avvio ai lavori di ristrutturazione che potè inaugurare prima della sua partenza da Vazzola.

Sempre aggiornato ed attento ad ogni novità, mons. Zanette parteci-pava a corsi di studio e a congressi in varie parti d’Italia. Fu sua l’idea di fondare, coadiuvato da un grup-po di giovani, un settimanale dioce-sano, tanto che il 5 dicembre 1914 nacque “L’AZIONE.”

Nel 1919 pubblicò la biografia di Mons. Domenico Zanette

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Maria Nardi, dimostrandosi un abile scrittore.Dopo circa 20 anni dovette lasciare Vazzola, in quanto nel 1923 venne

eletto arciprete della Cattedrale di Vittorio Veneto che resse per 17 anni. Così in un articolo del 13/01/1923 “L’ Azione” ricorda la partenza del

parroco: “… Alle ore 15.00 di domenica tutto il popolo di Vazzola si trovava raccolto nella chiesa per ricevere l’ultimo saluto e l’ultima benedizione del pa-dre che partiva. Il cappellano Don Sartori gli rivolse parole di gratitudine e di riconoscenza per tutto il bene che operò nel paese, anche con grande sacrificio, in quasi 22 anni di permanenza.

In segno di affetto e riconoscenza, il paese gli offrì un calice artistico, opera dell’orafo Brugo Camillo. Il Monsignore commosso disse che era venuto a Vaz-zola nel 1901 con l’intenzione di restarvi fino alla morte, quando ricevette con grande dolore l’ordine di trasferimento in altra parrocchia. Le Autorità, il Corpo Insegnante, la fabbricieria, le Suore, tutto il popolo e il Cappellano che per oltre due anni e mezzo lo ebbe come padre e maestro, rinnovarono commossi il loro ringraziamento al Monsignore che si apprestava a lasciare per sempre la parrocchia ...”.

Nel 1940 fu nominato vicario generale dal vescovo mons. Eugenio Bec-cegato, in quanto godeva di grande prestigio in tutta la diocesi. Alla morte del vescovo nel 1943 fu eletto vicario capitolare e diresse la diocesi “sede vacante” per sei mesi, fino all’arrivo del nuovo vescovo mons. Giuseppe

L’arrivo di Mons. Domenico Zanette

Corrispondenza di mons. Domenico Zanette con l’avvocato Giovanni Nardi

Corrispondenza di mons. Domenico Zanette

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Cattedrale di Vittorio Veneto e venne sepolto nella tomba dei Canonici del cimitero di Ceneda.

Quando fu cappellano a Vazzola, resse la parrocchia da metà gennaio (partenza di mons. Zanette) ai primi di dicembre del 1923 (arrivo di don Lazzari).

In quel periodo presenziò all’inaugurazione del nuovo campanile della chiesa parrocchiale avvenuta il 24 giugno 1923 e a quella del monumento ai Caduti di Vazzola, il 29 luglio 1923.

D o n A n g e l o L a z z a r i

Nacque a Miane il 21 giugno 1882. Fu ar-ciprete a Cison di Valmarino e poi a Vazzola per 9 anni, finché nel 1932 fu trasferito a Fontanelle, dove morì l’ 1 gennaio 1941.

Così venne descritto l’arrivo del nuovo parroco in un articolo de “L’Azione” del 15/12/1923:

“… Il 2 dicembre 1923 fece ingresso nel-la parrocchia di Vazzola dove fu accolto con grandi festeggiamenti. Alle 8.30 le autorità civili e molti paesani andarono incontro al nuovo parroco fino a Ramera. Alla periferia di Vazzola lo attendevano la Giunta Comunale, i maestri con i loro alunni e parte della popo-

lazione. Il lungo corteo, preceduto dalla Banda Musicale di S. Polo di Piave, si diresse verso la chiesa, dove Mons. Eugenio Granzotto, rettore del Seminario Vescovile, presentò ai Vazzolesi il nuovo parroco. Ebbe seguito poi la Messa Solenne cantata dalla locale Schola Cantorum. Dopo il Vangelo Don Lazzari si presentò alla popolazione che stipava la chiesa.

Alle ore 11.30 in Municipio fu servito il vermuth in onore del festeggiato.Dopo la funzione del SS. Sacramento, alle ore 15.00, vi fu un intrat-

tenimento nella sala teatrale dell’Asilo infantile con recite di circostanza. Alla fine a Don Angelo fu presentato un dono dei parrocchiani a lui molto gradito…

Dalle 16.00 alle 18.00, nella piazza Maggiore, la Banda svolse uno scelto programma e a sera, Angelo Papa di S. Polo di Piave, accese i fuochi artifi-ciali ...”.

Don Angelo Lazzari

Zaffonato, dove nel 1944 divenne suo stretto collaboratore come delegato vescovile. Tenne la carica fino al 1959 quando si dovette ritirare a vita privata per motivi di salute.

Mons. Zanette morì il 23 gennaio 1965 a 90 anni e fu sepolto nella tomba dei Canonici della Cattedrale, nel cimitero di Vittorio Veneto.

La grande personalità di mons. Zanette emerse soprattutto nel periodo di guerra, quando dal 24 novembre 1943 al 27 maggio 1944, come vicario capitolare, ebbe in mano la diocesi di Vittorio Veneto. Il suo atteggiamen-to antifascista fu noto fin dal 1926, quando assieme ad altri due sacerdoti, il 4 novembre 1926 fu minacciato sul giornale “La voce Fascista” da Ivano Doro, segretario del Fascio di Treviso; poi sempre con altri due confratelli, fu pubblicamente trascinato su un palco preparato in piazza del Popolo, insultato e maltrattato davanti alla popolazione.

Difese contro i tedeschi e i fascisti, i numerosi sacerdoti arrestati, recan-dosi anche al comando tedesco di Pordenone e riuscendo a salvare dalla condanna a morte almeno cinque di loro. Per tale motivo il maresciallo del Comando Carabinieri di Ceneda gli consigliò di andare fuori provin-cia, ma egli rimase sempre al suo posto, per difendere i perseguitati e in particolare i “suoi” preti.

D o n L u c i o S a r t o r i

Don Lucio Sartori succedette a mons. Zanette. Nacque il 6 gennaio 1891 a Fontigo.

Dal 1920 al 1924 fu cappellano ed economo a Vazzola. Successiva-mente fu curato a Meschio fino al 1927, parroco e vicario a Tarzo fino al 1935 e quindi a Mansuè fino al 1949. Fu poi cappellano del repar-to sanatoriale dell’ospedale civile di Vittorio Veneto dal 1952 al 1965, anno in cui si ritirò a riposo nella propria casa canonicale. Morì nel-la propria abitazione il 3 settembre 1970. I funerali si svolsero nella Don Lucio Sartori

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Composizione poetica in onore di Don Angelo Lazzari al suo arrivo a VazzolaFoto ricordo di una Prima Comunione con il parroco don Angelo Lazzari al centro

Don Angelo Lazzari con alcune parrocchiane

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T E Z Z E

L A P A R R O C C H I A

C e n n i s t o r i c i

I lavori per la costruzione della chiesa di Tezze iniziarono nel maggio del 1588, dopo la benedizione della prima pietra da parte del vescovo Marcantonio Mocenigo. Nel giugno 1589, dopo nemmeno un anno, era già terminata e fu stabilito di dedicarla a S. Francesco d’Assisi. Sorse su un terreno offerto dalla Repubblica di Venezia, di proprietà comunale, ed intorno si costruì un muro di cinta.

La chiesa dipendeva comunque da quella di Vazzola.L’edificio fu consacrato dal vescovo mons. Marcantonio Bragadino il 25

marzo 1634, come si legge nell’iscrizione posta sopra la porta grande.Il 14 novembre 1659 fu eretta chiesa parrocchiale dal vescovo Alberti-

no Barisoni, dopo che la parrocchia stessa era stata ingrandita con l’an-nessione del borgo Malanotte fino ad allora appartenente alla chiesa di Soffratta.

Venne ingrandita nel 1762 e restaurata nel 1816, ma durante l’inva-sione nemica del 1917-1918 fu danneggiata pesantemente tanto che ri-masero in piedi i soli muri perimetrali e tre altari però molto rovinati. Il pavimento era irrecuperabile e delle suppellettili furono ritrovati soltanto 4 candelabri d’ottone, un paramento similoro e una antica tunicella.

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L’ e d i f i c i o

Lo stile architettonico della chiesa è riconducibile all’ultimo barocco; essa è decorata con immagini per lo più rappresentanti fatti della vita di S. Francesco, cui è dedicata. Si tratta di dipinti ad olio su muro, ad eccezione di una tela applicata in tavola nel soffitto del coro, originale del pittore Sanfior di Conegliano. Dietro il coro si trova una Pala di S. Francesco, opera del pittore Valentino Canever (Noventa di Piave 1879-1930).

Vicino alle entrate laterali si trovano due elemosiniere con teste di che-rubino, bassorilievo in marmo bianco (1926-27), attribuite allo scultore coneglianese Vittorio Celotti per l’affinità che le ricollega ad alcuni esem-plari esistenti in altre chiese del coneglianese. Lo stesso scultore realizzò anche la statua di S. Antonio in pietra d’Istria (1926-27) che troviamo in uno degli altari laterali, probabilmente distrutto durante la Grande Guer-ra. Esistono nell’archivio parrocchiale di Tezze diverse quietanze per lavori eseguiti da Celotti fra il 1923 e il 1927: se ne desume che egli sia autore, oltre che della statua di S. Antonio, anche dell’altare su cui è collocata.

L’ i n t e r v e n t o d i r i s i s t e m a z i o n e

La risistemazione della chiesa di Tezze di Piave, che aveva subito gravi danni durante l’occupazione nemica del 1917-1918, fu affidata all’arch.

La chiesa e il campanile ricostruiti a Tezze di Piave

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in parte dal popolo. Sempre da quest’ultimo è stato pagato anche un sonello della ditta De Poli di Vittorio Veneto…”. (documento datato 29/03/1929 e proveniente dalla curia di Vittorio Veneto).

Infine il medesimo architetto intervenne nella progettazione dell’altare maggiore della chiesa di Tezze che era andato completamente distrutto durante la Grande Guerra.

“… gli altari sono in numero di 5 e cioè: il Maggiore di nuova costruzione su disegno del Prof. Candiani, non dello stile della chiesa, ma di ottimo effetto e per nulla scordante. E’ in marmo giallo di Verona, rosso di Verona; le 8 co-lonnine dell’espositorio in marmo rosso di Francia con altre qualità di marmi e bronzi ornamentali. Due altari in cappelle laterali sono in marmo africano,

Progetto dell’arch. Luigi Candiani per gli edifici parrocchiali

Luigi Candiani e cominciò nel 1920 con l’aiuto del Regio Governo e del popolo.

“…Dal 1920 si incominciò la restaurazione che fu compiuta nel 1926 con una solenne inaugurazione. Si occuparono della restaurazione e delle modificazioni necessarie il Ministero delle Terre Liberate e l’architetto Luigi Candiani…” (documento datato 29/03/1929 e proveniente dalla curia di Vittorio Veneto).

Fu sempre l’arch. Luigi Candiani a progettare il nuovo campanile e a decidere di spostarne la costruzione dall’originale all’attuale sito. Prece-dentemente infatti, la vecchia torre campanaria si trovava sul lato destro della chiesa (opposto a quello attuale).

“…Caduto il vecchio campanile… nel 1923 ai 6 di gennaio si poneva la prima pietra dell’attuale campanile costruito per metà con i mezzi finanziari dati dal governo per risarcimento e per l’altra metà con denari del popolo su disegno del Prof. Luigi Candiani approdato all’Opera di Soccorso delle chiese rovinate dalla guerra…

L’altezza al sommo della croce è di 57 metri. La cella campanaria è ad un’arcata romanica e vi si adeguano anche le altre parti della costruzione. Vi sono sistemate tre campane della ditta Bastanzetti di Arezzo del peso totale di kg. 2175 pagati in parte con il risarcimento da parte del Regio Governo ed

I primi danni agli edifici sacri

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Interno della chiesa alla fine dell’invasione

Sezione del campanile di Tezze di Piave relativa al progetto dell’arch. Luigi Candiani

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G L I E D I F I C I C I V I L I D I T E Z Z E

La piazza con villa Giacomini a destra

Borgo Zanetti, l’attuale via General Cadorna

altari che non sembrano costruiti per la chiesa ma forse acquistati altrove d’occasione e quivi adattati … Altri due altari in cappelle pure laterali, uno più vecchio e l’altro di data odierna sono in pietra e colonne di marmo rosso di Verona. I due primi e uno dei secondi uscirono dalla guerra mutilati molto, il quarto totalmente distrutto fu ricostruito per munificenze di un signore del paese …”.

Contrariamente a quanto si afferma nella relazione sopra citata, al punto dove si denuncia la scomparsa di una pala di soggetto incerto raffigurante la B.V. (oggi sostituita dalla pala di S. Francesco, opera del Canever), lo storico coneglianese Adolfo Vital scriveva, in un articolo da “Il Gazzetti-no” del 3 novembre 1920, che si trattava più precisamente: “… del quadro parimenti pregevole di Maria Vergine del Bersano, S. Domenico e S. Benigno esistente a Tezze di Vazzola di buon autore del sec. XVII …”.

Complessivamente, l’intervento di ristrutturazione della chiesa e del campanile ebbe un costo di £ 168.648,85.

Bozzetto a pastello del pittore Valentino Canever per la pala collocata sopra l’altare maggiore nella chiesa di Tezze di Piave

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Scorcio del Borgo Malanotte agli inizi del ‘900

Banchetto in onore della elezione a deputato del professor Ottavi, per il Collegio di Conegliano

Gli edifici religiosi con il primo monumento ai Caduti

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Don Giuseppe Giacomin morì all’ospedale di Conegliano il 10 giugno 1946 ed ora è sepolto nella tomba dei parroci nel cimitero di Tezze.

Tratto da “Tezze di Piave, storia di una parrocchia”, A. Maschietto, Ed. a cura di I. Soligon

Parroco don Giuseppe Giacomin

Festeggiamenti per l’ingresso a Tezze di don Giuseppe Giacomin il 19 marzo 1924

I P A R R O C I

D o n A n g e l o P e d r o n

Nacque a Camino di Oderzo il 13 dicembre 1871, fu ordinato a Cene-da il 4 agosto 1895 e fu il ventiduesimo parroco di Tezze, dal 29 maggio 1904 all’8 aprile 1922. A lui il merito di aver fondato l’asilo infantile inaugurato il 21 novembre 1914.

In seguito all’invasione, dopo la disfatta di Caporetto, visse la dura esperienza di profugo insieme ai suoi parenti e a tante altre famiglie.

Rientrò in parrocchia il 28 dicembre 1918, dove morì l’8 aprile 1922 e fu sepolto nel cimitero di Tezze.

D o n G i u s e p p e G i a c o m i n

Nato a Pieve di Soligo il 22 marzo 1890, don Giuseppe Giacomin fu ordinato sacerdote a Vittorio Veneto il 23 maggio 1915. Fece una breve esperienza come vicario cooperatore e vicario economo a Pieve di Soligo e poi, per circa 6 anni, al Duomo di Conegliano. Fu nominato parroco di Tezze dal vescovo Eugenio Becce-gato con bolla del 16 ottobre 1922, ma era già presente in parrocchia da più di un anno come economo spi-rituale.

L’ingresso ufficiale venne però fe-steggiato il 19 marzo 1924 con un pranzo a cui parteciparono tutti i ca-pofamiglia del paese.

La sua vita fu breve ma intensa di bene, di studio, di amore. Fu opera sua la ricostruzione di tutti gli edifici parrocchiali distrutti dalla guerra.

La sua figura vive ancora nella cara memoria di tante persone a Tezze.

Parroco don Giuseppe Giacomin

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… Requisizione di uomini, donne e ragazze per lavori pubblici. Non con-sta abbiano subìto maltrattamenti neppure attentati violenti al pudore. E’ dubbio una donna Pini Giovanna sia morta in seguito a percosse.

In luglio 1918 furono staccate e con funi calate la campana grande e la campanella e condotte via con carro e cavalli. La mezzana e piccola restarono sospese al campanile alcun tempo poi ai primi di agosto 1918 furono anch’esse trasportate verso l’Austria.

Le condizioni della chiesa furono abbastanza gravi: crollato il coro, spezza-to il soffitto, rovinati gli altari, asportato organo, pulpito. Così la casa cano-nica, rovinato il tetto, demoliti travi, pavimenti, finestre, porte, scuri. Le case coloniche più delle metà in vera rovina, il beneficio, pure devastati orti, gelsi, funi, pali tutto divelto e calpestato.

… Tezze fu liberata il giorno 29 ottobre 1918 dalle truppe inglesi, ignorasi l’Armata. Grande fu la gioia dei liberati …”.

A S S U R D I T À D E L L A G U E R R A

Anno 1917-1918.Durante l’occupazione austro-ungarica, i soldati dell’esercito nemico

condividevano momenti di vita quotidiana con le famiglie della nazione invasa rimaste in paese. Nella fotografia possiamo vedere un esempio di questa convivenza: dietro, al centro Pietro Vettori, detto “il Padreterno”,

Il “Padreterno” in posa con i soldati austriaci

D I A R I O D E L L’ I N VA S I O N E

Nel 1917 a Tezze, come nella maggior parte dei paesi limitrofi, ebbe luogo l’invasione da parte dell’esercito austro-ungarico.

Quasi tutte le famiglie furono sfollate in regioni anche molto lontane. Coloro che rimasero si trovarono a “ospitare” soldati del contingente ne-mico che occupavano il paese e le abitazioni. Don Angelo Pedron, allora parroco di Tezze, testimoniò questi momenti in una relazione che stese però in un momento successivo, poiché egli stesso fu profugo insieme alla maggioranza della popolazione. La relazione porta la data del 25 febbraio 1919 e fu probabilmente frutto della collaborazione di cittadini rimasti in paese.

“… L’invasione ebbe luogo la mattina del giorno 9 novembre 1917. Il par-roco e la maggioranza delle persone fu profuga oltre il Piave. Quella rimasta, salvo piccolissima eccezione, fu internata nella zona di occupazione nemica. Il contegno fu buono, da quanto consta, ispirato a sentimenti patriottici.

La casa canonica occupata e spogliata di tutto: così alla quasi totalità delle famiglie furono fatte delle minacce a chi tentava di resistere.

… La chiesa fu occupata dalle truppe. Una statua di S. Antonio, rotta la testa, vestita da soldato e gettata con profanazione nella tomba; le tombe aperte, violate le salme: degli indumenti in gran parte furono salvati: i vasi funebri e reliquie di Santi: trafugati tutti 3 i calici, un ostensorio, 2 pissidi, 3 reliquari, alcuni candelabri grandi d’ottone, una pala di certo pregio: Ma-donna del Rosario ed una di San Francesco e San Giovanni. Tutti gli altari rovinati, tutte le pietre sacre, l’organo interamente distrutto così pure le pitture del soffitto.

Soldati austro ungarici durante l’anno d’invasione 1917-1918

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La fascia nera al braccio di Giuseppe Vettori è segno del lutto per la morte del figlio. Era usanza diffusa infatti, per gli uomini, portare questo segno per un intero anno dalla morte di un famigliare, mentre le donne vestivano rigorosamente in nero.

Genitori in lutto davanti al ritratto del figlio morto in guerraCase devastate a Borgo di Mezzo

fra quattro soldati austro-ungarici. Davanti, da sinistra: Gioacchina Cat-telan in Camerotto con in braccio la figlia Anna, Giovanna Bellussi, al suo fianco Marianna Vettori, nipote del Padreterno, Luigia Poloni in Vettori, nuora del Padreterno, con il nipote Alfredo Poloni.

L E C O N S E G U E N Z E

Quando l’esercito nemico fu costretto a ritirarsi perché battuto dagli alleati, lasciò il paese di Tezze profondamente mutato. Ovunque macerie ed edifici distrutti. Il lavoro di ricostruzione si preannunciava lungo ed impegnativo, come testimonia l’immagine delle abitazioni del Borgo di Mezzo. Ma non solo gli edifici portavano il segno di un conflitto che si era appena concluso. Nella fotografia vediamo la famiglia Vettori nell’anno 1919-1920. Vi sono ritratti Giuseppe Vettori e la moglie Luigia Poloni. Dietro a loro, la figlia Marianna e la fotografia del fratello Pietro, bersa-gliere, deceduto a Verona durante la prima guerra mondiale.

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proprio lui, prima della ritirata, con-segnò il Crocifisso a nonna Teresa rac-comandando di pregare ogni sera con i suoi nipoti per chiedere al Signore aiuto per tutti. Il crocifisso fu posto nella spaccatura del tronco di un albe-ro che si alzava di fronte alla casa su una piccola altura (mutera). Era una bellissima pianta “El spin del Signor”. Adesso purtroppo di queste piante non ne vedo più in giro …”.

Oggi non rimane più la pianta e nemmeno la “mutera” ma il Croci-fisso è lì, in alto che vigila e protegge il borgo a Lui dedicato e quanti a Lui si rivolgono, a perenne ricor-do di ciò che è stato, perché è un segno tangibile di una storia che è la nostra storia e che nessuno deve dimenticare.

F R A N C E S C O B A R A C C A

Il 22 maggio 1918 fu il giorno della 32° vittoria di Francesco Baracca. Volando insieme al sergente D’Urso egli trovò un caccia nemico ad alta quota sopra Cimadolmo e, in breve tempo, lo mandò a infrangersi al suo-lo a sud di Borgo Malanotte. La vittima era Fàhnrich Ernst Pontalti, della Flik 51/J, che pilotava l’Albatros D. III 153.155. Così il Baracca scrive alla famiglia: “… Ieri alle 9.50 ho abbattuto il mio 32° apparecchio nemico, un caccia che faceva parte di una pattuglia di 6 apparecchi. E’ caduto in fiamme a Borgo Malanotte, oltre il Piave, in direzione delle Grave di Papadopoli. Non ho tempo di scrivere a lungo. Un bacio a te ed a papà.”

Questo è il rapporto di combattimento:“… Partito in crociera col sergente D’Urso a quota di 4000 metri avvistai

apparecchi nemici ad Est del Piave. Vidi colpi antiaerei in direzione di Can-delù. Salii a 4600 metri dirigendomi contro. Vidi un apparecchio da rico-

Crocifisso su un’abitazione di Borgo Cristo

R I C O R D I D E L L’ I N VA S I O N E

Nel paese non è facile trovare delle tracce che ricordino questo evento ormai così lontano. Tuttavia al Borgo Malanotte è conservata una trincea della prima guerra mondiale, aperta al pubblico in occasione della festa che qui si svolge nel mese di giugno.

Inoltre il Borgo Cristo deve la sua denominazione alla presenza di un Crocifisso lasciato da un soldato austro-ungarico. Le famiglie di questa borgata hanno raccolto i ricordi della sig.ra Gina Fattorello, che prece-dentemente abitava nella casa che ospita il “Cristo”, e pubblicato il suo racconto ne “La Colonna” del dicembre 2005.

“… Avevo quattro anni ma ricordo ancor oggi tanti soldati dell’esercito au-stro-ungarico che avevano invaso le nostre case e si erano impossessati di tutto ciò che trovavano utile. C’era stata infatti la disastrosa disfatta di Caporetto e quasi tutti gli abitanti di Tezze (in gran parte donne e bambini perché gli uomini erano in guerra) fuggivano lontano dal paese che era improvvisamente diventato fronte di attacco fra i due eserciti nemici, divisi solo dal fiume Piave. Pochissime le persone rimaste e tra queste mia nonna Teresa e mia mamma Virginia con due bambini piccoli: io e mio fratello Angelo. Con i soldati nemi-ci si era creato un bellissimo rapporto di solidarietà e di affetto…Tra i soldati c’era anche un cappellano militare che celebrava la Messa e faceva pregare e

Entrata della trincea in Borgo Malanotte

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zarsi, interruppi un istante il fuoco, il caccia picchiò, ripresi il tiro standogli sopra a picco a 30 metri di distanza; vidi l’ala inferiore sinistra staccarsi dalla fusoliera e l’apparecchio precipitare sfasciandosi; perdutolo sotto le ali lo ritro-vai subito e lo vidi continuare nella caduta incendiandosi ed andare a cadere a Sud di Borgo Malanotte...”.

Aereo nemico abbattuto da Francesco Baracca a sud di Borgo Malanotte nel suo trentaduesimo duello vittorioso

Borgo malanotte a Tezze di Piave Soldati austriaci fatti prigionieri a Borgo Malanotte

gnizione scortato da 6 caccia dirigersi verso Cimadolmo a quota da 4000 a 4500 metri parallelamente al Piave.

Incrociai la formazione nemica passando più alto e puntai sul caccia nemico di estrema sinistra a quota su-periore degli altri. Gli apparecchi ne-mici puntavano in tal momento verso Tezze di Cimadolmo; il caccia nemico non mi aveva veduto. Mentre ritengo di essere stato avvistato dall’apparec-chio da ricognizione che piegò verso l’interno. Picchiai sotto il caccia che trovavasi a quota di 440 metri e ca-brando quindi l’apparecchio gli feci una prima raffica dietro e sotto a 50 metri di distanza; vidi l’ala inferiore sinistra piegarsi ad angolo senza spez-

Francesco Baracca davanti al il suo aereo... con in evidenza il cavallino rampante

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Il monumento nella via principale del paese

I L M O N U M E N T O A I C A D U T I D I T E Z Z E

Il monumento ai Caduti di Tezze fu eretto a ricordo della battaglia del 27 ottobre 1918 ed è opera dello scultore veneziano G. Battista Soldà.

Molte persone del paese erano particolarmente sensibili alla necessità di ricordare i propri soldati morti nella Grande Guerra. Si formò così un comitato che commissionò l’opera all’artista veneziano. L’inaugurazione del monumento di Tezze fu per il Comune la prima occasione di manife-stare il ricordo per i propri caduti, che sarebbe stata a breve seguita da altri eventi dello stesso tipo, volti ad esternare i sentimenti che in quel periodo tutti facevano propri.

Leggiamo dalle pagine de “Il Gazzettino” del 20 novembre 1920 l’an-nuncio della prossima inaugurazione:

“… Il paese di Tezze, che nel Borgo Malanotte ebbe nell’ottobre radioso del-la vittoria del 1918 i più aspri combattimenti della nostra offensiva, per cui il camposanto di guerra ospita i morti eroi numerosi del nostro esercito e della divisione inglese, a degna memoria del loro valore fece erigere un monumento che sarà inaugurato con grande solennità domenica 21.

L’opera egregia in omaggio ai caduti ed alla vittoria, risponde ad eletta bel-

Nino Pietro di Vazzola nominato motorista di aviazine durante la Grande Guerra

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“Gloriaai prodi di questa terra

Sacra alle vittorie immortali del Piaveche pel diritto e la grandezza d’Italia per la libertà del mondo

cadderosui campi di battaglia nelle insidie del mare.

O generosi le spoglie Vostre disperse la terra tienema la Religione Vostra è qui

e qui vivrà immortale.Gli animi e i cuori degli italiani incitando

a egregie opereai più alti ideali.

Tezze di Piave27 ottobre 1920”

L a c e r i m o n i a

Il pomeriggio del 21 novembre 1920 era freddo e grigio, ma molte persone e autorità presenziarono all’inaugurazione del monumento, orna-to in quell’occasione da numerose corone offerte dai familiari dei caduti ed una a forma di croce di Savoia offerta dal comitato pro onoranze. Il picchetto d’onore era composto dagli artiglieri del 26° regg. da campagna al comando del ten. Pellizzari. Erano presenti il facente funzioni di sin-daco Carlo Candiani, la Giunta ed il Consiglio Comunale al completo, i membri del comitato per le onoranze ed il suo presidente Busolin, il colonnello Orsi, il capitano Spinelli, il pretore di Conegliano G. Millione, il capitano aviatore Savoini, l’autore dell’opera Soldà e molti altri notabili dell’epoca. C’erano le bandiere del Comune di Vazzola, della scuola, delle associazioni.

La benedizione venne affidata al vescovo della diocesi Sua Ecc. mons. Eugenio Beccegato accompagnato da mons. Zanette, arciprete di Vazzola, e da don Angelo Pedron, parroco di Tezze.

Il monumento venne scoperto al suono della banda di Oderzo, poi tre bambine recitarono la poesia e quindi il vescovo impartì la benedizione mentre le truppe presentavano le armi.

lezza d’arte, ed il piccolo paese che è frazione del comune di Vazzola, non badò all’ingente spesa pure che riuscisse di vero decoro. La cerimonia dell’inaugura-zione è fissata per le ore 15”.

L’ o p e r a

Il monumento raffigurava la statua della libertà in un momento di slan-cio: sulle spalle era posata la vittoriosa aquila italiana, mentre ai suoi piedi c’era quella austriaca bicipite dimezzata. L’artista rappresentò una donna che simboleggiava la libertà in modo molto realistico: era piuttosto formo-sa e coperta da un solo velo che aderiva al corpo in maniera che, per la mo-ralità del tempo, doveva sembrare alquanto provocatorio. Il monumento venne posizionato nella piazza del paese, tra la canonica e l’attuale villa Bi-scaro, in modo piuttosto centrale rispetto alla viabilità, a cui era senz’altro d’ingombro. Per la sua realizzazione furono spese 17.000 lire raccolte tra i cittadini del paese. Ai due lati erano incisi i nomi dei 39 caduti di Tezze e davanti si leggeva l’epigrafe dettata dal sig. Oreste Battistel:

Il primo monumento ai caduti di Tezze nella sua collocazione originale

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L’ a t t u a l e m o n u m e n t o : d u b b i e p o l e m i c h e

Negli anni successivi all’inaugurazione del monumento ai caduti di Tezze, l’opinione pubblica manifestò un sempre maggior fastidio nei con-fronti di quella statua che intralciava la circolazione e che era ritenuta “an-tiestetica”, forse perché aveva il velo troppo aderente. Già ne “Il Gazzetti-no” del 23 marzo 1922 leggiamo, in riferimento all’erigendo monumento a San Polo di Piave:

“… è più opportuno murare una o due lapidi decorose, che il porre in mez-zo la piazza una parodia di monumento quale ad esempio quello di Tezze di Piave che dovrà essere levato …”.

Nel 1928 l’Associazione Nazionale Combattenti di Treviso chiese al Podestà di Vazzola il suo interessamento per una possibile soluzione alla sentita questione del monumento considerato indecoroso anche per il Co-mune stesso.

Il Podestà manifestò la sua ferma intenzione di togliere il monumento e di elaborare un progetto per la formazione di un viale della Rimembranza, al cui ingresso potesse essere collocata un’opera monumentale a ricordo dei caduti della frazione. Commissionò così, quello stesso anno, all’ing.

Il monumento ai Caduti nella nuova posizione

G l i i n t e r v e n t i

Nel suo discorso, il vescovo rese omaggio agli eroi ai quali l’opera era dedicata, ricordando le parole della scrittura “Beati i morti che muoiono, cari al Signore”. Egli sottolineò l’importanza di ricordare quei caduti, mes-saggio affidato alla statua del monumento.

Presero poi la parola il presidente del comitato Busolin, il sindaco Can-diani ed infine l’oratore ufficiale avv. Marcello Roma che nel suo sentito discorso sottolineò il valore dei caduti del paese cui lui sentiva di apparte-nere e lo spirito di unità che accomunava Tezze al resto d’Italia.

“… e a Voi, o prodi, onore di pianto e di gloria – finché sia santo e lacrimato il sangue per la Patria versato, e finché il sole risplenderà sulle sciagure umane”.

La cronaca dell’epoca riferisce un discorso appassionato che fu molto applaudito, a testimonianza di quanto fosse diffuso il bisogno di non spe-gnere il ricordo.

Seguì poi un rinfresco in asilo e di sera, nel paese “straordinariamente illuminato”, la banda di Oderzo eseguì un concerto. Il giorno successivo, nella chiesa, seguirono le esequie per i caduti.

Tratto da: “Il Gazzettino” del 23 novembre 1920

Il discorso ufficiale durante la cerimonia dell’inagurazione

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a forma di obelisco che posa sulla stessa base della scultura precedente e nella quale tuttora si legge l’epigrafe originale e l’elenco dei caduti della frazione di Tezze.

Il nuovo monumento, molto più sobrio del precedente, venne posto al di là della Chiesa, di fronte al viale che porta al cimitero.

Antonio Bonotto di Treviso, la stesura di un progetto di un arco più gran-de e due più piccoli da posizionare all’ingresso del viale che conduceva al cimitero. La cosa non andò a buon fine, probabilmente per una questione economica. Il viale della Rimembranza fu realizzato senza alcuna opera nella strada d’accesso. La statua del monumento fu sostituita da una stele

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C a d u t i d i Te z z e

Bellussi PietroBreda MartinoBreda LuigiBreda AntonioBressan Antonio Bornia GuerinoBisson GiovanniBardini TobiaBardini EvaristoCuziol TizianoCuziol GiovanniCamerotto IsidoroCamerotto GelindoCescon GiacomoCestamelle AngeloCattelan Carlo Dalla Torre LuigiDalla Torre Giovanni

Anno 1963. Funerale di una bimba di 5 anni (Loredana Roveda). A lato della bara bianca le due cu-ginette. Il corteo funebre passa a fianco del monumento nella precedente collocazione e sta per imboccare il vialetto del cimitero

Corrispondenza relativa allo spostamento del monumento

Successivamente fu spostato per la seconda volta per favorire la nuova viabilità e collocato nella posizione attuale, ad angolo tra via Papa Luciani e la strada che porta al cimitero.

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I C I M I T E R I D I G U E R R A : T E Z Z E

L’ i n t e r v e n t o d e g l i i n g l e s i

La presenza delle forze del Commonwealth in Italia, durante la prima guerra mondiale, fu determinante per la vittoria finale. Le forze alleate erano composte da inglesi, francesi e americani. Dal Trentino al Carso vennero creati numerosi cimiteri di guerra per dare sepoltura ai soldati delle varie nazioni periti nel conflitto. In particolare, lungo l’offensiva del Piave, vennero istutiti due cimiteri inglesi: quello di Giavera del Montello e quello di Tezze.

Così è riportato nella rivista “Illustrazione Veneta” del 1928: “… gli inglesi in un magnifico slancio passarono il Piave a guado sotto la pioggia e assalirono subito le linee nemiche. La reazione nemica fu veemente ma le truppe italiane riuscirono egualmente a congiungersi agli inglesi e varcare il fiume nel pomeriggio della domenica 27 ottobre…

… A documentare la violenza di questo fatto d’armi, 610 salme di inglesi, italiani e austroungarici dormono nella morte il loro sonno eterno nei cimiteri di guerra di Tezze di Piave …”.

I l C i m i t e r o i n g l e s e

Nel 1920 gli inglesi si accinsero a raccogliere in un cimitero di guerra, appositamente costruito a Tezze, tutti i corpi dei loro caduti: 355 salme (più uno canadese), 8 delle quali di aviatori raccolte tra i rottami di aerei abbattuti a Levico presso Trento.

In provincia di Treviso c’è solamente un altro cimitero inglese e si trova a Giavera del Montello, ma numerosi altri sono sparsi in tutta Italia. Il cimitero inglese di Tezze appare solenne nella sua uniforme semplicità. I tumuli sono disposti con simmetria e contrassegnati da lapidi tutte uguali in marmo bianco, in sostituzione delle croci poste in un primo momento. Su ognuna vi è un nome e una data. Viene curato insieme al cimitero di Giavera da un custode giardiniere assunto dalla commissione Cimiteri di Guerra. Vi si accede percorrendo lo stesso viale che porta al cimitero comunale.

Il luogo ha un aspetto monumentale, dove è evidente il valore che la

De Vido RiccardoForest EnricoGiusti VincenzoGiacomini FrancescoGiacomini RiccardoGregoletto PietroModolo FerdinandoModolo GiuseppeMaccari GiovanniMaccari LorenzoNardi GiuseppePin MarcoModolo OttavioPellegrini AntonioPolese MarioPiccoli AntonioPaladin EugenioTonon LuigiTonon MarioVettori PietroSartori Evaristo

La collocazione attuale tra via Papa Luciani e l’ingresso del cimitero

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Le lapidi che sostituirono le croci

Iscrizioni inglesi all’ingresso del cimitero

nazione inglese ha voluto dare al ricordo dei suoi figli morti in terra stra-niera. Accanto al cancello una lapide spiega: “Il suolo di questo cimitero è stato donato dal popolo italiano per l’eterno riposo dei soldati delle armi alleate caduti nella guerra 1914-1918 e che sono qui onorati”.

All’interno una seconda lapide: “L’impero britannico sempre ricorda uni-tamente ai suoi figli caduti, quelli d’Italia che hanno dato la loro vita nella

Ara votiva

La prima sistemazione del cimitero inglese

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Veduta generale del cimitero

1918 difendendo l’estremo baluardo del Montello, come nell’ottobre dello stes-so anno passando nell’offensiva vittoriosa il Piave alle Grave di Papadopoli combattendo magnificamente a Borgo Malanotte di Tezze …”. L’organizza-zione ufficiale optò invece per una visita ai cimiteri inglesi sull’Altopiano di Asiago, dove Re Giorgio fu accompagnato dal generale Caviglia; quei piccoli cimiteri di montagna forse erano meno imbarazzanti di quelli di Tezze e Giavera, dove gli italiani non volevano ammettere l’apporto deter-minante dei soldati inglesi.

I l C i m i t e r o i t a l i a n o e d a u s t r i a c o

“… Pochi sono i militari italiani sepolti in questo cimitero mentre numerosi si trovano in quelli di Ormelle, Roncadelle, Cimadolmo, S. Polo. Hanno delle tombe in cemento e qui si è fatto quanto di meglio fosse possibile per rendere meno evidente il contrasto con la signorilità inglese. I nomi sono incisi, mentre purtroppo altrove, scritti su cartellini, sono ormai illeggibili. Triste è lo squallo-re nelle croci in legno austriache, delle quali ormai alcune infracidite, giaccio-no atterrate, come se ancora sui morti gravasse il duro fato della sconfitta…”.

Tratto da: “Il Gazzettino” del 23 novembre 1920

grande guerra 1914-1918”. Di fronte all’entrata svetta maestosa una gran-de croce in marmo, posta su un alto podio, fregiata di un altorilievo di bronzo a forma di spada, forgiato con i cannoni austriaci. Su “Il Gazzetti-no” del 23 novembre 1920 leggiamo: “… Davanti all’ingresso su una vasta gradinata marmorea, sorge una stella maestosa con la scritta: - Their name liveth for evermore (il loro nome vive nell’eternità).”

Il cimitero è stato più volte ristrutturato e le lapidi sostituite, ad ecce-zione di due; forse in seguito a questi lavori la stella menzionata sopra, è stata rimossa.

L a ( m a n c a t a ) v i s i t a d e i r e a l i i n g l e s i

Ci fu grande attesa a Tezze per il possibile arrivo dei reali inglesi, in vi-sita ufficiale in Italia nei primi giorni del maggio 1923, per un omaggio al cimitero dei caduti. Un trafiletto de “Il Gazzettino” del 4 maggio 1923 a cura del corrispondente della zona Carlo Magello avvisava che purtroppo

“ … si assicura che i Reali d’Inghilterra non si recheranno a Giavera sul Montello ed a Tezze di Piave. Eppure qui sulla riva del Piave rifulse la glo-ria maggiore dei fanti inglesi in emulazione con gli italiani. Così nel giugno

Commemorazione dei Caduti britannici a Tezze di Piave con la presenza della banda inglese

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I l c i m i t e r o a u s t r i a c o d i Va z z o l a

Da testimonianze raccolte in paese, risulta che a Vazzola, al termine della Grande Guerra, fosse stato realizzato un cimitero militare austriaco, situato nell’attuale parcheggio del camposanto.

Sul frontone dell’ingresso si trovava la semplice scritta: “Militar Frie-dhof ”. All’interno del cimitero, sul piedistallo di una grande croce, si po-teva leggere la dicitura: “Vobis qui reliquistis pro patria omnia moneta pia et sempiterna. Anno MCMXVII”.

Per molti anni la signora Marina Zanchetta Cadorin, insegnante presso la scuola elementare di Vazzola, era stata la custode morale e la madrina del cimitero.

Il primo maggio 1943, ormai ottantenne, inviò una lettera al Podestà di Vazzola informandolo che, prima di lasciare l’incarico nel dicembre del 1940, aveva voluto far eseguire delle fotografie al cimitero e lasciarle in copia al Comune come ricordo, caso mai un giorno i cimiteri dei tedeschi fossero stati soppressi.

Piantina del cimitero militare austriaco

Il terreno occupato dal cimite-ro austriaco era un appezzamento di circa 1000 mq. di proprietà del sig. Gio Batta Zacchi ed era adia-cente a quello comunale. Alla fine del 1921 il Consiglio Comunale de-liberò l’acquisto del fondo per lire 920, avvenuto l’11 agosto dell’anno successivo con atto notarile presso il notaio Giuseppe Cangelosi, come risulta dalla documentazione pre-sente nell’archivio comunale.

Durante la seconda guerra mon-diale tutte le salme dei soldati au-striaci furono riportate in patria ed il terreno servì ad ampliare il cimi-tero comunale. Un cippo nel cimitero di Tezze di Piave

Piantina del cimitero militare di Tezze

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Lettera autografa di Marina Zanchetta Cadorin in data 1 maggio 1943 indirizzata al Podestà di Vazzola

Nella lettera descrive il camposanto nei particolari, ringraziando il Co-mune per averle fornito i pali di legno per il sostegno dei rosai rampicanti che lei stessa aveva curato.

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Lettera autografa di Marina Zanchetta Cadorin in data 1 maggio 1943 indirizzata al Podestà di Vazzola

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Elenco dei caduti austriaci sepolti nel cimitero militare

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V I S N À

L A P A R R O C C H I A

C e n n i s t o r i c i

Il nome Visnà deriva, con molta probabilità, da Vicinatus, Vicinia per-ché posto nelle vicinanze della strada Ungheresca che passa entro i confini della sua terra. L’antica chiesa, dedicata a S. Martino, esisteva forse già prima del 959 e con certezza prima del 1124, quando i Conti Caminesi di Sotto donarono il luogo al circondario di Conegliano.

Tratto da “Cronachetta della Villa e parrocchia di Visnà”, Botteon e Scrizzi, Conegliano, 1915.

Inizialmente la chiesa era solo una Rettoria situata quasi nel preciso luo-go di quella attuale: era ad una sola navata e il coro si trovava nell’odierna sacrestia. La porta Maggiore era la stessa del campanile, posto nel bel mez-zo della facciata.

Dal 1576 fu dichiarata Parrocchia.

L’ e d i f i c i o

La chiesa fu ricostruita tra il 1628 e il 1635 un po’ più a nord della pre-cedente (circa 4 metri); aveva una sola navata con 5 altari in legno dorato barocco e due neoclassici. Fu aperta al culto nel 1687 e consacrata nel 1753 dal vescovo Lorenzo Da Ponte.

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Interno della chiesa prima della Grande Guerra: l’altare maggiore fra le cappelle di S. Antonio e della Madonna della Salute

L’interno della chiesa dopo la ricostruzione

Dal 1009 al 1490, ebbero giurisdizione su di essa i monaci cistercensi di Lovadina, dal 1490 al 1810, le monache di S. Maria degli Angeli di Mura-no, fino al 1866 il regio Governo Austriaco, poi il regio Governo Italiano fino al Concordato dell’11 febbraio 1922, infine il vescovo di Ceneda.

Nel 1884 venne alzato il tetto per costruirvi, sopra il cornicione, una specie di attico; nel 1910 gli interni furono ridotti e venne tolto il coro. Unica parte rimasta dell’antico edificio romanico era, fino al 1899, una piccola cappella adattata a sacrestia, la quale conservava la volta a crociera e nelle vele, gli Evangelisti in affresco. Ma anche questa, nello stesso anno, fu allungata ed alzata con un secondo piano. Dal punto di vista architetto-nico quindi non rimaneva più nulla di pregevole. La guerra infine abbatté la chiesa fino alle fondamenta. Era il 28 ottobre 1918: degli obici austria-ci, sparati da Fontanelle, fecero crollare il campanile e di conseguenza l’intera chiesa.

L e o p e r e

L’edificio sacro era dotato di numerose opere d’arte. Cinque erano gli altari: su quello Maggiore era posta la Pala di S. Martino che divide il mantello con il povero, dipinta da Giovanni da Campo, risalente al 1600 e

La chiesa parrocchiale agli inizi del secolo scorso

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guerra e rimessa a nuovo per merito del parroco Cappellotto, è il coro con le cantorie scolpite in legno di noce nel 1711 da Angelo Pigatti di Colle Umberto, discepolo del Brustolon, aiutato da Girolamo Rossetti. Sono 12 riquadri ad altorilievo divisi da cariatidi sormontati da cornice barocca. Sopra la cornice poggiano 13 statuine, in legno di cirmolo, rappresentanti il Signore e gli Apostoli. Il restauro fu fatto dallo scultore Barbieri Riccar-do e costò £ 6.600.

Degne di nota e fotografate dall’ispettore del museo di Padova P. Mo-schetti, sono due statue decorate, risalenti al 1400, dichiarate preziose e di importanza storica. Rappresentano la Beata Vergine e S. Giovanni. Attual-mente sono poste sopra l’antipetto dell’organo.

Nel 1921 vennero inaugurati, su progetto del prof. Antonio Varlonga di Moriago, la nuova chiesa ed il campanile ricostruiti in stile rinascimentale per una spesa di £ 501.000 e, nel 1927, il nuovo organo della ditta Pugina di Padova che sostituì quello del 1842 del De Lorenzi di Vicenza, andato distrutto con la Grande Guerra. L’organo costò £ 33.400. Il Governo delle Terre Liberate contribuì con la somma di £ 20.060, il restante lo aggiunse la fabbriceria parrocchiale e la popolazione.

Per la fusione delle campane si spesero £ 9.053,30 e per la loro posa in opera £ 5.430.

L’attuale chiesa è a navata unica con 5 altari: il Maggiore, della Beata Vergine della Salute, di S. Anna, di S. Antonio e la Cappella del Battistero. L’abside è decorata; la cupola del coro (50 m2) fu affrescata nel 1926, con il concorso del popolo di Visnà, dal prof. Corompai Duilio di Venezia: rappresenta Il trionfo e la gloria di S. Martino.

L’edificio si sviluppa in lunghezza per 33,60 metri, in larghezza per 12,70 metri e in altezza per 14.

Il nuovo campanile, costruito su palafitte come la chiesa, si eleva per ben 45 metri, alla base ne misura 6. Nella cella campanaria presenta quat-tro bifore; sono presenti 3 campane grandi e una piccola per un peso complessivo di Kg 1.863.

La spesa per la costruzione delle due opere sacre fu sostenuta dal Mini-stero delle Terre Liberate per un costo totale di £ 375.000.

andata distrutta durante la guerra. Non si sa con certezza chi fosse tale pit-tore, vissuto con probabilità tra la fine del 1500 e gli inizi del 1600. Nes-suno degli scrittori trevigiani ne fa menzione, né il suo nome ricorre nei più ricchi repertori, mentre appare difficile identificarlo con lo spagnolo Giovanni da Campo, nato nel 1530 e vissuto sempre fuori dall’Italia.

Nei due altari laterali erano poste due pale dipinte nel 1597 dal pittore Silvestro Arrosti da Ceneda: la Beata Vergine coi SS. Sebastiano e Rocco e i SS. Innocenti.

Altri due altari in legno non dorato erano posti nelle testate delle navate minori. Qui erano collocate la Pala con la Vergine e il Bambino, S. Seba-stiano e S. Rocco dell’Arrosti, dipinta nel 1597 e ora al museo Diocesano e La Vergine del Rosario fra S. Domenico e S. Begnino, opera di Antonio Arrigoni, discepolo dello Zanchi di Venezia. Questa pala è stata ricollocata sull’attuale altare detto di S. Anna.

Esistevano, e sono stati salvati, un antico e pregevole ostensorio d’ar-gento del 1600; un piviale con ricami d’oro zecchino, dono dei fratelli Tiepolo (fattura di Domenico Vierzi); quattro candelabri con piedistallo dell’XI secolo; un calice in bronzo cesellato di stile bizantino. Ma l’opera artistica più notevole, andata quasi completamente distrutta durante la

Veduta della piazza di Visnà con la nuova chiesa e campanile

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I P A R R O C I

D o n G i a m b a t t i s t a S c r i z z i

Originario di Ceneda, fu parroco di Rolle per oltre 17 anni. Fu trasferito nella parroc-chia di Visnà il 31 luglio 1903, morì l’1 no-vembre 1918 a 65 anni, sopraffatto dal dolo-re a causa della distruzione della chiesa e del campanile da parte degli austriaci durante la ritirata del 1918.

D o n F r a n c e s c o C a p p e l l o t t o

Nato il 9 marzo 1890 a Oderzo, nella contrada S.Giuseppe, da Antonio e da Tere-sa Zanchetton, don Francesco Cappellotto frequentò il ginnasio nel collegio Brandolini Rota di Oderzo e il liceo nel seminario ve-scovile.

Venne ordinato sacerdote il 26 luglio 1914 e fino al 1915 ricoprì il ruolo di vicario coo-peratore a Pieve di Soligo, poi, fino al 1916, fu curato a S. Antonio di Tortal.

Dal 1916 al 1918 prestò servizio militare come soldato di sanità a Padova, a Ponte di Piave, a Grignano Polesine e a Persiceto.

Nel novembre del 1918 giunse a Visnà come vicario economo, nell’agosto del 1919 fu nominato parroco, ruolo che ricoprì fino all’ottobre del 1948.

Passò quindi direttore spirituale al collegio vescovile “Balbi Velier” di Pieve di Soligo, ove rimase fino al 1953, quando si ritirò a riposo nella casa paterna ad Oderzo.

Morì il 3 giugno 1972 presso l’ospedale ortopedico di Vittorio Veneto per complicazione dovute alla frattura di un femore. Il 5 giugno, alla pre-senza del vescovo, fu sepolto nel cimitero di Oderzo.

Don Giambattista Scrizzi

Don Francesco Cappellotto

G L I E D I F I C I C I V I L I D I V I S N À

Piazza Maggiore

Gli abitanti di Borgo di Sotto, attuale via Damiano Chiesa

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La scuola elementare di Visnà sulla cui facciata fu collocata in origine la lapide ai Caduti

Il bozzetto di Vittorio Celotti per la lapide di Visnà

giata dai ritratti dei caduti. Il parroco benedice e subito il Presidente del Co-mitato, signor Angelo Daniotti, dà la spiacente notizia che l’Onorevole Fro-va, impedito di muoversi da Roma, non può presenziare alla cerimonia. Il Daniotti allora improvvisa un discor-so rifacendo la storia del Carso, del Grappa e del Piave, mettendo in evi-denza come il soldato italiano sappia veramente battersi e anche vincere.

Alla fine fa la consegna della lapide al signor Giacomini, rappresentante del Sindaco, momentaneamente im-pedito. Poi viene offerto il famoso ver-muth d’onore…”.Tratto da “Il Gazzettino” dell’1 dicembre 1920

L A L A P I D E A I C A D U T I D I V I S N À

La cerimonia di inaugurazione della lapide ai 42 caduti di Visnà si svol-se il 28 novembre 1920. Erano presenti le autorità civili del Comune e quelle militari rappresentate dal colonnello cav. Orsi, un picchetto armato e il clero.

La lapide è opera dello scultore Vittorio Celotti da Conegliano.“… La bella lapide è stata murata nella facciata delle scuole comunali pro-

spiciente la piazza. A sinistra spicca un’Italia coronata con nella mano sinistra una spada abbassata e nella destra una corona d’alloro sovrastante il nome dei 45 caduti. In alto vi è la scritta: “Visnà ai suoi caduti”. Di sotto si vedono i tre simbolici scudi di Roma, Trento e Trieste.

Alle ore 10.00 viene cantata la messa da requiem; la baracca adibita a chiesa rigurgita di fedeli: si notano il consiglio comunale, la giunta quasi al completo e le scolaresche con i rispettivi insegnanti.

A fine messa il monsignor Don Pizzinato legge un patriottico discorso du-rato una buona mezz’ora. Il corteo si dirige poi allo stabile scolastico dove sta murata la lapide circondata da una immensa corona di crisantemi e fiancheg-

Casa canonica del parroco di Visnà

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L’edificio scolastico dove inizialmente fu collocata la lapide

Immagine attuale della chiesa con la lapide ai Caduti

In questo articolo si cita come i caduti fossero 45, in realtà il loro nu-mero esatto è 42, come realmente inciso nella lapide.

Attualmente la lapide è collocata sul lato sinistro della chiesa. Preceden-temente si trovava, come riportato nell’articolo, sulla facciata delle vecchie scuole elementari situate a lato della piazza.

Veduta della chiesa dopo la ricostruzione: sul lato sinistro non è ancora stata murata la lapide

La lapide ai Caduti di Visnà, opera di V. Celotti

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Elemosiniere con testa di cherubino nella chiesa di Tezze di Piave

V I T T O R I O C E L O T T I

Vittorio Celotti nacque a S. Fior (TV) nel 1866, morì a Conegliano nel 1942.

Poco dopo la sua nascita, la fami-glia si trasferì a Colle Umberto. Qui il Celotti iniziò a fare pratica nella bottega del padre ebanista. Fre-quentò quindi i corsi della scuola di disegno di Vittorio Veneto e pro-babilmente, ma non documentato, l’accademia di Venezia.

Con i fratelli fondò uno studio di scultore e intagliatore di marmo e legno che divenne in seguito una fabbrica di mobili artistici. Esordì con apparati liturgici per chiese del territorio; seguirono raffinate scul-ture in terracotta, legno e marmo per chiese del Friuli occidentale: Pasiano di Pordenone e Latisana; del vittoriese: Cappella Maggiore, Salsa, Colle Umberto; della Sinistra Piave: Mareno, Cimadolmo, Santa Lucia di Piave.

Partecipò alla prima mostra d’arte trevigiana, organizzata da Luigi Co-letti nel 1907, con un nutrito gruppo di sculture che testimoniano, fin da quest’epoca, la produzione di piccole opere realizzate in legno o in cera-mica. L’artista collaborò anche con varie manifatture tra cui le Ceramiche Gregorj di Treviso, di cui sono rimasti esempi piacevoli e raffinati degli anni ‘20 -‘30.

Conseguì vari premi in mostre e concorsi; inventò e brevettò un meto-do di modellazione plastica per cui fu nominato “professore honoris cau-sa” dalla Scuola d’Arte e Mestieri di Conegliano; gli vennero addirittura commissionate delle opere dallo Zar Nicola II di Russia.

Partecipò al recupero dell’antica abbazia di Follina fornendo le porte intagliate con santi benedettini in stile neomedioevale. Eseguì la grande statua del redentore e le porte per la chiesa di San Leonardo in Treviso; la statua lignea di S. Luigi per la chiesa di S. Martino di Conegliano; la scul-tura La Madonna del santo Rosario del 1919 collocata nel secondo altare

Lo scultore Vittorio Celotti

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L A V I T A A M M I N I S T R A T I V A

I l p r i m o C o n s i g l i o C o m u n a l e : l ’ i n s e d i a m e n t o

La Grande Guerra era appena terminata e il 30 ottobre 1920 palazzo Tiepolo, dopo molti anni, riaprì le porte al neoeletto Consiglio Comuna-le. A passare il testimone del governo di Vazzola fu il sig. Carlo Dalla Cia, l’ultimo di una lunga serie di commissari prefettizi, il quale, dopo aver tracciato una dettagliata relazione della sua gestione, diede il benvenuto alla nuova Amministrazione, spendendo parole di incoraggiamento per l’arduo compito di ricostruzione che si preparava a intraprendere.

Coordinatore della prima sedu-ta fu il consigliere anziano, nonché presidente del Consiglio Comuna-le, il sig. Carlo Candiani, che come prima formalità sottopose i consi-glieri, eletti attraverso le “Liste ge-nerali amministrative”, ad una pro-va di “alfabetismo”, per accertare le loro capacità di leggere e scrivere. Il Consiglio, presa visione degli atti e delle prove fornite, ad unanimità per alzata di mano, convalidò la no-mina dei consiglieri preindicati. Il Consiglio raggiunse così il numero legale dei votanti per poter delibe-rare.

Raccolta delle delibere consiliari della prima am-ministrazione

di destra della chiesa arcipretale di Mareno di Piave; il coro della chiesa di Colle Umberto; un altare ligneo a Busco di Oderzo.

Altre sue opere si trovano nelle chiese di: Bibano, Falzè di Piave, Fratta di Caneva, San Fior, San Vendemiano, San Michele di Piave, Tezze di Piave e Vazzola. In particolare in quest’ultima, a seguito di lavori che vi-dero l’innalzamento della navata centrale della chiesa e il rifacimento della facciata ad opera dell’architetto Luigi Candiani fra il 1928 e il 1929, il Celotti eseguì le due statue aggiunte alle tre già esistenti (vedi nelle pagine precedenti “Intervento di risistemazione”).

Fra il 1921 e il 1926, ricevette numerose commissioni per monumen-ti ai caduti, nei quali dispiegò la sua piena professionalità. Suoi ottimi esempi si trovano a: San Michele di Piave, Miane, Cimpello, San Leonar-do Valcellina, Brugnera, Castello Roganzuolo, Gaiarine, Miane, Ramera, San Vendemiano, Soffratta di Mareno di Piave, Visnà di Vazzola, Vittorio Veneto e Conegliano, dove collaborò egregiamente con Giovanni Battista del Lotto. Sua fu pure la lapide scolpita in ricordo del tenente Lucio Eu-genio Cadorin di Vazzola, di cui si parlerà più avanti.

Tra le amicizie e i rapporti del suo tempo, assunse particolare rilievo l’essere stato Celotti maestro di Claudio Granzotto, il futuro beato Fra Claudio, col quale collaborò nella chiesa di Santa Lucia di Piave.

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quanto i tempi non erano ancora maturi per una decisione di tale portata.Meno complicata fu l’elezione della Giunta che era composta da quat-

tro assessori effettivi e da due supplenti. Venne fatta una prima votazione, con il metodo dello scrutinio segreto, per gli assessori effettivi e una secon-da per gli assessori supplenti.

In quella seduta e nelle altre successive vennero elette anche altre cari-che: la nomina dei tre Revisori dei Conti, di due membri del Consiglio Amministrativo per la commissione Provinciale Approvvigionamenti, il pres. della Congregazione di Carità e altri organi facenti parte il coordina-mento del Comune, quali il Comitato Elettorale.

In ogni seduta, il Consiglio Comunale deliberava in merito alle propo-ste della Giunta quali la riscossione del dazio comunale, i sussidi a favore degli anziani e dei disabili a carico del Comune, la manutenzione delle strade del paese (27 km che dall’1 gennaio 1921 passarono di competenza del Comune), il regolamento degli stradini, lo statuto organico del Con-sorzio Agrario e vari altri progetti di ristrutturazione e di costruzione ex novo di edifici come la scuola elementare.

Il Consiglio in questo modo non solo si adoperò per la ricostruzione degli edifici del paese, per il ripristino delle linee telefoniche e delle strade, ma creò anche nuovi posti di lavoro (tre spazzini), contatti con i Comuni vicini (creazione del consorzio con Mareno di Piave per la riscossione del

Palazzo Municipale di Vazzola

I successivi punti dell’ordine del giorno riguardavano l’elezione del Sin-daco e della Giunta Comunale.

Il Consiglio, in base alla mozione del consigliere Daniotti, decise al-l’unanimità di rimandare la nomina del Sindaco a data da destinarsi, in

Verbale della seduta inaugurale del Consiglio Comunale

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Gruppo di scolari davanti al municipio, a quel tempo adibito a scuola elementare

La maestra Vittoria Cadorin con la propria scolaresca nel 1925 circa

Scolaresca con la maestra Vittoria Cadorin nel 1935 circa

dazio), dando così inizio ad una rete di rapporti proficui, con lo scopo di ridare vita al Comune di Vazzola dopo i danni causati dalla Grande Guerra.

Per la nomina del Sindaco si dovette aspettare fino al 22 gennaio 1921, quando il Consiglio, riunitosi in seduta straordinaria, sollecitato ripetu-tamente dal Regio Prefetto, nominò Carlo Candiani primo cittadino di Vazzola, con 17 voti a favore su 18.

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I L S I N D A C O E L A S U A G I U N TA

FINETTI GIROLAMOnato a Montecchio

Maggiore il 31-7-1881da Angelo e Teresa Tirapelle

deceduto a Vazzolail 31-3-1965

Professione: negoziantedi generi diversi

AssessoreFu eletto Assessore

il 27-2-1921 in sostituzio-ne di Carlo Candiani,

nominato Sindaco

BUSOLIN GIROLAMOnato a Vazzola l’1-7-1889

da Pietroe Adelaide Giacobinideceduto a Vazzola

il 18-6-1941Professione:

agente assicurativoAssessore supplente

Fu nominato Cavaliere della Corona d’Italia con decreto

del 5-12-1922

CUCH GIOVANNInato a Vazzolail 3-7-1891da Giuseppe

e Angela Rivedaemigrato in Argentina

nel 1923non si conosce

la data di morteProfessione: falegname

GIACOMINI EGIDIOnato a Vazzola

l’1-9-1880da Tobia

e Maria Camerotto deceduto a Vazzola

l’1-12-1966Professione:

industriale di tappetidi cocco

CAMATTA MARTINOnato a Mareno di Piave

il 2-9-1888da Angelo

e Angela Piaideceduto il 28-6-1962

in Argentinadove era emigrato

nel 1928Professione: falegname

ZANELLACRISTOFOROnato a Fontanelle

il 21-3-1877da Pietro

e Anna Ciadeceduto a Mareno di Piave il 12-5-1930

Professione: agricoltore

GIACOMINIVIRGINIO

nato a Vazzola il 7-12-1888da Giuseppe e Costanza Ochs

deceduto a Romail 10-6-1961

Professione: agricoltoreAssessore

POLONI GIOVANNInato a Mareno di Piave

il 7-6-1884da Luigi

e Giovanna Lorenzondeceduto a Vazzola

il 10-2-1948Professione:

mediatore di bestiame

CESCON GIOVANNInato a Vazzola l’1-2-1852da Sante e Lucia Tocchetti

deceduto a Vazzola il 15-5-1925Professione: agricoltore

Assessore supplenteEra il membro più anziano del Consiglio Comunale e perciò, insieme al Sindaco e al segretario comunale, firmava tutte le delibere consiliari. Faceva anche parte della fabbriceria di Visnà ed è tuttora ricordato come uomo di fede profonda.

MACCARI VINCENZOnato a Vazzolail 13-2-1874da Antonio

e Lucia Serafinideceduto a Vazzola

il 6-4-1960Professione:

agricoltore non coltivatorecioè possidente

ZACCARONGIOVANNI

di Luigi

non abbiamo dati anagrafici

CANDIANI CARLO nato a Vazzolail 4-3-1891da Gio Batta

ed Evangelina Corradinideceduto a Vazzola

il 22-2-1957 dal 1935 al 1942si trasferì a Romae per un periodoanche in Africa

Professione:amministratore

MACCARI LORENZOdi Pietro

non abbiamo dati anagrafici

BELLUSSI DONATOnato a Vazzolail 20-11-1887

da Antonioe Anna Serafin

deceduto a Bronzoloil 7-5-1966Professione:agricoltore

BATTISTELLA MARCOnato a Vazzolail 4-8-1891

da Luigie Giuseppina Bonottodeceduto a Vazzola

il 18-05-1966Professione:

coltivatore diretto

AGNOLONI GIUSEPPEnato a Oderzo il 15-2-1877

da Innocente e Maria Gasperottodeceduto a Vazzola il 21-1-1968

Professione: commerciante

Emigrò giovanissimo in America, ma tornò in Italia per assolvere il suo dovere di cittadino nella guerra 1915-18. Titolare di una impresa edile, nel primo dopoguerra egli costruì a Vazzola il campanile, le scuole elementari, il pennone e alcune edicole funerarie del cimitero.

DALLA CIA GIOVANNInato a Vazzolail 25-5-1854

da Marcoe Teresa Armellin

deceduto a Vazzolail 22-4-1926

Professione: agricoltoreAssessore

BENVENUTIERMENEGILDO

nato a Vazzola il 14-4-1891da Pompeo

e Maria De Lorenzideceduto a Vazzola

il 24-1-1949Professione:

applicato in ComuneAssessore

BRUGNERAFERDINANDOnato a Vazzolail 6-12-1871da Gioacchinoe Pierina Moro

trasferito a Fontanafredda nel 1932

Professione: agricoltore

DANIOTTI ANGELOnato a Vazzolail 25-10-1873

da Antonioe Anna Basei

deceduto a Trevisoil 7-9-1940Professione:

commerciante

SindacoFu eletto Sindaco del Co-mune di Vazzola il 22-1-1921 e rimase in carica fino all’11-4-1927 data dell’ultimo consiglio comu-nale della sua Amministra-zione. Persona di sicura e profonda sensibilità, gli fu tributato un riconoscimento da parte della popolazione del Comune che colpisce per la bellezza e ricercatezza, firmato dal prof. L. Cado-rin, che pubblichiamo per concessione della famiglia.

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Riconoscimento degli abitanti del comune di Vazzola a Carlo Candiani,primo Sindaco del dopoguerra, eseguito dal prof. Lino Cadorin

Giovanni Cuch con la moglie Olga Bisson sposati in Argentina nel 1924

Giuseppe Agnoloni con i due figli Orlando e Colo-rado, la moglie Maria Spinazzè e la cognata

1923 – Festa per la consegna della nomina al Cavalierato della Corona d’Italia a Girolamo Busolin (decreto del 5-12-1922)

T E S T I M O N I A N Z E D E I C O N S I G L I E R I

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Giovanni Cescon con la moglie Elvira Furlan e la figlia Lucia, sposati nel 1909

Onorificenza attribuita a Giovanni Cescon, membro anziano del Consiglio Comunale,eletto dopo la Grande Guerra

Bollettino della Vittoria eseguito dal prof. Lino Cadorin

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Girolamo Busolin con la moglie Angelica Carli e i figli Enrico, Ettorina e, seduto, Gianluigi

Marco Battistella con la moglie Maria Fighera, sposati nel 1920Girolamo Finetti con la moglie Teresa Coletti, sposati nel 1909

Lorenzo Maccari, a fianco dello sposo, il giorno del matrimonio della figlia Luigia

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sta crisi, dovettero ridurre il numero dei dipendenti. Così anche la signora Faustina Bastanti Scotti il 14 marzo 1812 dovette licenziare gli agenti Candiani che si impegnarono a lasciare terre e “fabbriche vitinicce” entro la fine del 1814.

Luigi Ferdinando, figlio di Giovanni Battista, nacque a San Donà di Piave, ma si spostò poi a Conegliano, allora fiorente cittadina, dove si sposò il 29 novembre 1837. Rimasto subito vedovo, si risposò il 7 ottobre 1840 con Lucia Fenti, figlia di un commerciante. Il suocero possedeva nu-merosi negozi, così Ferdinando ruppe con la tradizione di famiglia e svolse la professione di commerciante. Ebbe sei figli dei quali Giovanni Battista, nato il 18 ottobre 1852 a Conegliano che si trasferì con il fratello Luigi a Mareno di Piave per un breve periodo.

Il 16 maggio 1887 Giovanni Battista sposò, a Cison di Valmarino, Evangelina Corradini e a Mareno nacque il loro primo figlio Luigi (1888-1993) noto architetto a Treviso. Subito dopo andarono ad abitare a Vaz-zola in una grande casa di loro proprietà, nella piazza principale al n. 86. In un locale ad angolo c’era un negozio di generi alimentari che Giovanni Battista gestiva insieme alla moglie e ad alcuni commessi e che in seguito cedette, mantenendo però sempre l’attività di proprietari terrieri. L’edifi-cio fu ampliato con un rustico per la raccolta e l’essicazione dei bozzoli;

Evangelina Corradini e Giovanni Battista Candiani

L A F A M I G L I A C A N D I A N I

L a s t o r i a

La storia, raccolta in una ricerca da Gabriella Candiani nel 1995, ci pre-senta una famiglia dinamica, che si sposta per motivi di lavoro e si ferma laddove l’economia sembra essere più florida, quasi ci occupassimo di una famiglia d’oggi.

La prima presenza dei Candian (come si chiameranno fino alla metà del 1700) si riscontra negli archivi parrocchiali di Stra, San Pietro e Vigonovo nel 1600, dove si accerta l’esistenza di Giacomo Candian (1610-1675).

La famiglia visse quindi nei paesi della riviera del Brenta svolgendo le mansioni di agenti, gastaldi e fattori fino circa alla metà del 1700, quando Mattio Candian si spostò a San Donà di Piave, località in fase di fiorente sviluppo agricolo e commerciale, come agente della famiglia Scotti. Nel-l’atto di matrimonio del figlio Agostino, compare per la prima volta con il cognome Candiani.

Agostino e il figlio Giovanni Battista continuarono a esercitare la pro-fessione di agenti per la famiglia Scotti. La fine della Repubblica di Ve-nezia creò però una situazione di vuoto politico ed economico, aggravata dalla necessità di finanziare la campagna di Napoleone. Anche le frequen-ti incursioni di truppe francesi ed austriache, che razziarono il territorio veneziano, misero in seria difficoltà molti nobili veneziani. Comparve la fame e con essa molte malattie. Molti proprietari terrieri, investiti da que-

La famiglia Candiani. Da destra: Luigi, Maria, Girolamo, Giuseppe, Carlo, Anna, Leone, Antonio. In primo piano: Giovanni Battista, Evangelina con Maria Eva, Giovanni Battista, Giovanni, Teresa, Lino

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formavano un bersò. Nelle aiuole, tra i fiori, qualche cespuglio di rose e di viburni e in una rotonda un’acacia a foggia d’ombrello. Sotto l’ombra di un grande gelso, nelle vicinanze di un pozzo, una pompa con un lavatoio. Oltre un muretto di sassi si apriva un brolo tenuto a viti e ad alberi da frutto…”.

A Vazzola nacquero gli altri figli:Lino (1889-1962) rappresentante dei mulini Stucki, sposato con Teresa Fossa.Carlo (1891-1957) amministratore e Sindaco di Vazzola, sposato con Anna Bellussi. Girolamo (1892-1971) proprietario terriero, sposato con Maria Menini.Giovanni (1894-1958) avvocato a Oderzo, sposato con Giulia Malatesta.I gemelli: Antonio (1896-1939) geometra, sposato con Evelina Pellizzari, e Francesco Leone (1896-1897) morto prematuramente.I gemelli: Giuseppe (1901-1975), detto Pino, enologo e pittore, sposato con Antonietta Maccari, e Leone (1901-1960) chirurgo veterinario a Car-

mignano del Brenta, sposa-to con Palmira Brunetta.

Giovanni Battista morì il giorno 11 febbraio 1937 a Vazzola, dove ora riposa, insieme ai figli, nella tomba di famiglia. La moglie Evan-gelina Corradini continuò a vivere nella grande casa di Vazzola e si spense il 22 ottobre 1950. La famiglia Candiani ebbe un ruolo di primaria importanza nella vita civile del paese di Vaz-zola nell’immediato dopo-guerra. I suoi componenti, in vari modi, parteciparono alla ricostruzione del paese. Carlo Candiani fu il primo Sindaco del Comune di Vaz-zola eletto dopo la fine della guerra. Antonio Candiani, suo fratello, fu per alcuni anni Da “Il Gazzettino” di domenica 14 Febbraio 1937

nel periodo della vendemmia inoltre arrivavano i mezzadri da vari paesi vicini per la pigiatura dell’uva.

Così Gabriella Candiani ricorda nella sua “Storia di una famiglia” la grande casa della famiglia Candiani: “…Oltre che dalla porta principale, si entrava nell’edificio da un ampio portone di legno che si apriva su un portico dal pavimento ciottolato che conduceva in giardino e che permetteva di acce-dere da un lato in cantina e dall’altro in cucina. Era questa una vasta stanza con un grande tavolo di legno, una credenza, un lavello di cemento e, sotto una piccola rettangolare finestra inferriata, un camino annerito dal fumo con una stufa a legna.

Appeso ad una parete, sopra un rustico cassone contenente legna e tutoli, facevano bella mostra alcuni rami. Oltre alle numerose stanze adibite ad abi-tazione, la casa comprendeva un grande granaio, una cantina e una piccola stalla dove una mucca, accudita da un servitore addetto anche ad altre incom-benze, offriva giornalmente il suo nutriente latte.

In un locale ad angolo c’era un negozio di generi alimentari che Giovanni Battista ed Evangelina gestivano aiutati da alcuni commessi e che in seguito cedettero. Nel retro dell’abitato si apriva un ampio cortile, dove un po’ discosti offrivano la loro ombra ristoratrice nei caldi giorni estivi alcuni platani e una mimosa, dai pennacchi rosa, e qualche albero di bosso, i cui rami intrecciati

Vazzola: primi anni del 1900. Piazza con Casa Candiani

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Locandina della mostra “Incontri…” dedicata a Luigi Candiani

il geometra comunale e progettò diversi edifici tuttora esistenti a Vazzola, tra cui la scuola elementare del capoluogo. Infine Luigi Candiani fu un noto e stimato architetto. Molti progetti di ricostruzione di chiese e campanili di paesi della sinistra e destra Piave, distrutti dalla guerra, portano la sua firma.

L U I G I C A N D I A N I

L a v i t a

Luigi Candiani, primogenito di Giovanni Battista ed Evangelina Cor-radini, nacque il 25 maggio 1888 a Mareno di Piave, dove la famiglia Candiani si era da poco trasferita. Giovanissimo andò a vivere a Vazzola con i genitori. Studiò presso il collegio Brandolini-Rota di Oderzo e nel 1909 si diplomò geometra al Riccati di Treviso.

Nel 1919 si laureò in architettura all’accademia di Belle Arti di Bolo-gna; la laurea gli aprì una via feconda di lavoro: dapprima nella ricostru-zione degli edifici sacri delle parrocchie martoriate del Piave, poi come libero professionista. Nel 1924 sposò a Cremona Caterina Brotto dalla quale non ebbe figli. Nel 1931 si trasferì definitivamente a Treviso nella nuova villa con parco e campi in via della Polveriera, dove realizzò la sua abitazione e lo studio professionale. Qui trascorse il resto della sua vita e concluse la sua centenaria esisten-za il 7 maggio 1993, all’età di qua-si 105 anni. Per sua volontà testa-mentaria fu seppellito nella tomba di famiglia a Vazzola e lasciò tutto il suo archivio di progetti, tavole e documenti (tra cui i progetti di 100 chiese e di 35 campanili) all’Ordine degli Architetti di Treviso (del qua-le fu il primo iscritto in provincia), che lo onorò con una mostra a Ca-stelfranco Veneto, nel primo anni-versario dalla morte. Ritratto di Luigi Candiani

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L e o p e r e

Dei lavori progettati nell’immediato dopoguerra, oltre ad alcune tavole evidentemente legate al periodo delle esercitazioni d’accademia, esistono tracce nei pochi e gradevoli disegni di ville. Sono di difficile datazione ed attribuzione e fanno pensare ad opere svolte in periodi di assistenza e di

Chiesa di CimadolmoChiesa San Michele di Piave

Chiesetta nelle Grave di PapadopoliChiesa di Tezze di Piave

Copertina e prima pagina del registro dell’ordine degli architetti della provincia di Treviso, nella quale si può notare la registrazione col numero 1 di Luigi Candia-ni nel 1929

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tirocinio presso colleghi più affermati. Per il tipo di architettura che raffi-gurano, potrebbero essere datati agli anni ’10.

Arrivato a Treviso, fu uno dei protagonisti di un periodo di intensa attività edilizia, rivolta alla realizzazione di importanti costruzioni e rico-struzioni del centro cittadino e all’espansione residenziale della città fuori dalle mura, che caratterizzarono, in particolar modo, gli anni ’20. Sono di questo periodo alcuni importanti fabbricati civili come la Banca della

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Vi fu inoltre una immensa mole di lavoro dedicato all’architettura reli-giosa comprendente costruzione e rifacimenti di chiese e campanili, que-sti ultimi particolarmente colpiti dalle vicende belliche. Appartengono a questo primo periodo di attività dell’architetto Candiani le chiese di San Michele di Piave, Cimadolmo, Tezze, la chiesa romanica nelle grave del Piave dedicata alla Madonna e il monumento ai caduti di Mareno.

Si può stimare che non meno di 25 chiese e 35 campanili siano stati effettivamente costruiti su un totale di oltre cento progetti variamente sviluppati. Per la chiesa di Pegognaga a Treviso, per la realizzazione dell’at-tuale facciata della chiesa di San Leonardo e per la fontana di quella stessa piazza e, fuori dalle mura, per la chiesetta degli Oblati, i progetti furono redatti in un arco di tempo di 50 anni.

Negli anni ’30, anche per gli effetti della crisi economica, la lista è più ricca di progetti che di realizzazioni e comprende sistemazioni di aree pub-bliche, monumenti e proposte di edifici di rilevante presenza urbana. C’è addirittura un progetto di concorso per il Trocadero di Parigi.

L’incarico per la stesura del piano di risanamento del quartiere di San Niccolò, di cui Candiani fu autore capogruppo assieme a Torres e Picco-nato, segna il culmine del suo successo professionale. Nei progetti di que-sto periodo fu affiancato, come assistente e tirocinante, da Mario Vio, di

Campanile di Breda di Piave Monumento ai Caduti di Mareno di PiaveAlcuni progetti dell’architetto Luigi Candiani

Seta, che ancora risente dello stile floreale e i palazzi neogotici romanici di piazza San Vito. Palazzo Bogoncelli, per il quale furono redatti due diversi progetti, di cui, quello non realizzato, costituisce forse il mancato capolavoro di Candiani.

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Tomba Giol nel cimitero di San Polo di Piave

cui riconosciamo la bellissima mano nella grafica e nell’estro dei disegni, e da Piero Del Fabro, con il quale ci fu un vero rapporto di associazione in molti progetti successivi.

A questa seconda stagione più fiorente, ponderata e artisticamente ma-tura, appartengono le chiese da lui progettate della provincia di Padova, quella di Biadene, Castello di Godego, Vallonto, San Pietro in Gu di Vi-cenza e il campanile di Breda di Piave.

Luigi Candiani dimostrò perizia singolare anche nei rifacimenti, negli ampliamenti e nelle modifiche di edifici sacri e opere civili di cui ricordia-mo il demolito Mercato Ortofrutticolo di Treviso, l’edicola funeraria della famiglia Giol in San Polo di Piave e alcuni piani regolatori in collaborazio-ne con noti architetti e ingegneri.

Luigi Candiani fu architetto d’Accademia, non solo per titolo, ma per aver concepito l’architettura come espressione sempre disciplinata dal ri-ferimento agli stili, secondo la tradizione delle Belle Arti. Non si sentì mai trasportato per lo stile moderno anche se, nel dopoguerra, fece importanti realizzazioni, come il cinema Garibaldi a Treviso.

Fu cittadino illustre ai suoi tempi, mai condizionato dal regime, tanto da essere membro del Comitato di Liberazione Nazionale del 25 aprile 1945.

Ha lasciato tutti i suoi progetti e disegni all’Ordine degli Architetti del-la Provincia di Treviso che li ha raccolti nel suo Archivio Storico.

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I L M O N U M E N T O A I C A D U T ID I V A Z Z O L A

P r i m i a t t i d e l C o n s i g l i o C o m u n a l e

La nuova Amministrazione Comunale, nella ricorrenza del secondo an-niversario della liberazione, fece subito capire quale sarebbe stato il suo atteggiamento rispetto alle conseguenze della guerra appena conclusa.

Il 4 novembre 1920, interpretando il sentimento e il desiderio della po-polazione, ci fu una commemorazione solenne della Vittoria nella sala del Consiglio. Dopo una breve cerimonia religiosa, il consigliere provinciale prof. Luigi Candiani, fratello del pro-sindaco, tenne un discorso in cui ricordava la recente liberazione e le conseguenze del periodo bellico per il paese e la popolazione.

“…degli immensi sacrifici derivati dalla lunga guerra alla nostra cara pa-tria e dei gloriosi nostri caduti la cui memoria indelebile nei nostri cuori verrà senza dubbio alcuno eternata anco nel marmo fra non molto…”.

Tratto da “Il Gazzettino” del 05/11/1920

Sembra evidente che l’amministrazione giudicava prioritario l’impegno per l’erezione del monumento ai Caduti.

L’ a v v i s o

Il 15 luglio 1921 fu pubblicato, sul quotidiano “Il Gazzettino”, un av-viso di concorso pubblico, da parte del “comitato pro monumento Caduti di Guerra” di Vazzola, per la realizzazione di un’opera artistica a memoria

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dei tanti giovani che non erano tornati dalla guerra. La comunicazione fu ripetuta due giorni dopo, il 17 luglio 1921 e, nonostante fosse collocata in una parte del giornale piuttosto defilata, tra i necrologi e la pubblicità del tempo, l’avviso non passò inosservato.

Nell’archivio del municipio è conservata ampia documentazione sulle richieste di maggiori informazioni a riguardo, inviate da architetti e scul-tori a Carlo Candiani, presidente del comitato pro monumento. L’annun-cio uscì dopo circa otto mesi dall’inaugurazione del monumento di Tezze e della lapide di Visnà; probabilmente, la costituzione spontanea dei due comitati e la raccolta in loco delle offerte che autofinanziavano le spese preventivate, avevano fatto bruciare le tappe alle due frazioni.

Nonostante l’avviso di concorso ponesse come termine la data molto vicina del 20 agosto per la presentazione degli elaborati, dei progetti e dei bozzetti, e la commissione tecnico artistica esprimesse il suo parere nel mese di settembre, Vazzola potè inaugurare il suo monumento solo due anni più tardi, il 29 luglio 1923.

Avviso del Concorso per la rprogettazione del monumento di Vazzola,pubbilcato ne “Il Gazzettino” il 15 e 17 luglio 1921Verbale della commissione pro monumento

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I l c o m i t a t o p r o m o n u m e n t o

Indubbiamente, l’avviso di concorso fu il primo atto ufficiale del comi-tato pro monumento Caduti di Guerra di Vazzola, rappresentato ufficial-mente da Carlo Candiani, Sindaco della prima amministrazione pubblica del dopoguerra e presidente del comitato stesso, coadiuvato inizialmente da circa 20 consiglieri, come risultava dal registro dei verbali nelle dieci convocazioni che vanno dal 20 ottobre 1921 al 6 giugno 1923. Il numero dei componenti variò di volta in volta ed andò aumentando perché molti consiglieri si aggiunsero nei mesi successivi. Inoltre per particolari atti uf-ficiali venivano nominate delle commissioni apposite.

Era strano che in quegli appuntamenti cruciali mancasse sempre la fir-ma di un personaggio che avrebbe assunto, col prosieguo delle vicende, un ruolo molto importante, quasi fondamentale. Si trattava del farmaci-sta dott. Vincenzo Boccardini, il quale divenne referente dell’autore del monumento, Umberto Bassignani, come testimoniano molte delle lettere indirizzate dallo scultore a Vazzola. Inoltre, il Boccardini fu il promotore ed organizzatore della lotteria di beneficenza per concorrere nella raccolta di offerte per la realizzazione del monumento.

Innanzitutto il comitato aveva già individuato, in località Favero, il luogo dove collocare l’opera, grazie alla donazione del terreno da parte dell’avvocato cav. Giovanni Nardi in ricordo del proprio figlio Nicolò, morto a Napoli, con il grado di tenente, il 12 ottobre 1918, per malattia contratta in guerra.

G I O VA N N I N A R D I

La famiglia Nardi di Vazzola conseguì il titolo della nobiltà con l’ag-gregazione al Consiglio nobile di Ceneda nel 1801. Tre lapidi all’interno della chiesa parrocchiale ricordano i suoi componenti più noti: il canonico Nicolò e il medico Giovanni, vissuti nel settecento, e soprattutto l’abate Francesco, professore all’università di Padova.

Nel 1841 nacque Giovanni Nardi, nobile avvocato, figlio di Nicolò e Anna Lucheschi. Egli esercitò la sua professione principalmente a Venezia e a Padova. Sposò Teresa Rossi e da questa unione nacquero Nicolò, sol-dato morto a Napoli in seguito alla spagnola nel 1918, Anna e Marina, suore dell’Ordine del Sacro Cuore rispettivamente a Padova e a Catania, Il nuovo monumento con i nomi dei Caduti scolpiti alla base

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Nicolò Nardi

e Maria, morta in concetto di santità nella chiesa di Vazzola, subito dopo aver ricevuto la Comunione il 21 giugno 1918. La vita è descritta in un piccolo libro di mons. Domenico Zanette “Pura e forte”, Padova 1919, ripreso da don Rino Damo in “Vazzola, V centenario della consacrazione della chiesa”, 1990.

Il cav. Giovanni Nardi, sindaco del comune di Vazzola al momento dell’invasione, è stato una persona di grande valore nel periodo a caval-lo dei due secoli, come testimonia l’articolo comparso il 16 dicembre 1924 su “Il Gazzettino”, il giorno dopo la sua morte: “… Fu soldato con Garibaldi in Sicilia, poi avvocato stimatissimo per dottrina, e scrittore elegante di vari libri, tra cui Ema-nuele Valenzani – Anna e Ricordi di Recoaro. Coprì uffici pubblici e, per diversi anni, diresse le sorti del nostro comune lasciando di sé buona memo-ria…”.

Negli ultimi anni della sua vita si ritirò nel palazzo di famiglia in se-

Teresa Rossi, moglie dell’avvocato Giovanni e madre di Maria Nardi

Innocente Toffoli

L’avvocato Giovanni Nardi, sindaco di Vazzola al momento dell’invasione

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Maria NardiMarina e Anna Nardi, poi religiose nella Congregazione del Sacro Cuore

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Cartolina autografa di Maria Nardi inviata al fratello Nicolò ricoverato a Roma

guito alla malattia che gli impediva di camminare. Fu assistito da Inno-cente Toffoli, mezzadro cui l’avvocato era molto affezionato, al quale toc-cò il compito di denunciare la sua morte avvenuta il 14 dicembre 1924.

Grazie ai ricordi lucidi della figlia di Innocente, Teresa Toffoli, siamo riusciti a ricostruire l’immagine di Giovanni Nardi e della sua famiglia.

Il fratello dell’avvocato Nardi, Arrigo, abitava a Corbolone e aveva tre figli. Rimase vedovo presto, con la figlia Eugenia ancora in tenera età. I due figli maschi emigrarono in Sudamerica ed egli li raggiunse appena possibile.

Il fratello Giovanni accolse la nipote Eugenia in casa sua e la allevò come una figlia. Ella potè così frequentare gli studi fino a quando decise di raggiungere la famiglia in Sudamerica. Durante il viaggio in nave conobbe Ettore Rossi con cui si sposò in Guatemala il 17 aprile 1909 e dal quale ebbe due figli: Ezio ed Elsa. La famiglia Rossi si stabilì a Buenos Aires dove ancora vivono gli eredi.

Il cavaliere Giovanni Nardi rimase comunque sempre affezionato alla nipote che considerava parte della sua famiglia e, dopo la morte del figlio Nicolò e di Maria, avendo egli solo le altre due figlie suore, decise di la-sciare come unica erede proprio la nipote Eugenia.

Alla morte dello zio, ella ereditò il palazzo Nardi ed il parco ad esso adiacente. Quando Eugenia morì, i figli Ezio ed Elsa Rossi divennero i nuovi proprietari dei beni che erano stati della famiglia Nardi. La pro-

Tomba della famiglia Nardi esistente un temponel cimitero di Vazzola

prietà assunse quindi il nome di palazzo e parco Rossi, tuttora in uso per definire lo spazio pubblico che il comune di Vazzola acquistò dagli eredi Rossi con atto di vendita datato 29/06/1987.

Il ricordo di Giovanni Nardi rimasto nella memoria della sig.ra Toffoli è di una persona buona e generosa, piena di attenzione verso i concittadini e molto stimata da tutti. Sensibile ai bisogni che nel primo dopoguerra si facevano strada nelle persone, egli donò al comitato per la costruzione del monumento ai caduti il terreno sul quale esso ancora si trova.

Nonostante la malattia gli impedisse di camminare, volle essere presente all’inaugurazione del monumento che probabilmente lo avvicinava anche a quel figlio morto lontano da casa che lui non aveva potuto raggiungere.

Tutti i Nardi furono sepolti nella tomba di famiglia nel cimitero di Vaz-zola che è stata però rimossa circa 20 anni fa.

Ezio Rossi con la moglie Lidia Griselli e i tre figli

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Te s t i m o n i a n z a d i Te r e s a To f f o l i( d i a n n i 9 5 , r e s i d e n t e a Va z z o l a )

“… Mio padre assistette l’avvocato e gli faceva proprio da infermiere. Di giorno era assistito da una suora man-data da Padova della congregazione delle figlie, ma di notte egli voleva solo mio papà. Morì quando aveva più di 80 anni, era ammalato alle gambe e non camminava più.

L’avvocato Nardi aveva un fratel-lo Arrigo che abitava a Corbolone. Aveva 3 figli. La moglie è morta che Eugenia era ancora piccola e i due maschi appena cresciuti un po’ se ne andarono in America ed Eugenia fu presa in casa dall’avvocato Nardi fino ai 18 anni e la fece studiare. Poi deci-se di raggiungere i fratelli in America.

I figli si chiamavano Attilio e Renato. In nave incontrò Rossi Ettore. Si par-larono e si innamorarono e una volta in America si sposarono.

Teresa Toffoli Vettorello

Da sinistra: Giuditta Vazzoler, Innocente Toffoli con in braccio la figlia Gabriella, Caterina Roveda e Maria Toffoli

Innocente Toffoli e la moglie Caterina Roveda con i cinque figli: Maria, Giovanni, Giuseppe, Bortolo e Teresa

Innocente Toffoli, Caterina Rupolo, Vittorina Zago e Teresa Toffoli

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Mio padre partiva tante volte con il landeau e lo accompagnava a prendere il treno per Sacile o Vittorio Veneto. Con noi era una persona molto buona e quando mio padre si sposò gli disse che siccome non aveva una paga molto alta, quando lui fosse morto gli avrebbe lasciato qualcosa. Così gli lasciò la

Giovanni lasciò tutto in eredità ad Eugenia che aveva tenuto come una figlia fin da piccola perché rimasta orfana. L’avvocato era una persona molto stimata e Mons. Zanette andava spesso a fargli visita come pure la signorina Giannina Spellanzon che era un’insegnante molto colta.

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Caterina fu Gio-Batta, casalinga, nata a Caneva di Sacile e Toffoli Inno-cente fu Bortolo, nato a San Polo, entrambi qui domiciliati, comparve il sig. Candiani Carlo, nella qualità di Sindaco di Vazzola. L’avvocato Nardi Giovanni fu Nicolò, in qualità di comproprietario ed usufruttuario in par-te, ed anche nella qualità di speciale Procuratore delle figlie Nardi Marina ed Anna, entrambe domiciliate a Padova, fece donazione al Comune di Vazzola di un piccolo appezzamento di terreno.

Il frazionamento era già stato eseguito dal geometra Antonio Candia-ni, debitamente approvato dalla Sezione Catastale di Treviso il 5 giugno 1923, con i seguenti dati: Sezione A – Vazzola - fog. IV – map. n° 167b – 167c, per complessive are 8.20. Le parti dichiarano che il valore del terreno donato fu di £ 1. (Archivio Notarile di Treviso – Atto notaio Can-gelosi Giuseppe del 6 novembre 1923 – Rep. n° 3701)

Il Comune di Vazzola si era assunto anche tutte le spese inerenti la donazione che ammontavano a £ 305,70, quale onorario del notaio Can-gelosi (16/02/1924) e £ 38 quale rimborso per la procura speciale delle figlie Marina ed Anna, redatta dal notaio cav. Orsolato dott. Giovanni di Padova (22/04/1924).

L a c o m m i s s i o n e e s a m i n a t r i c e

L’11 settembre 1921, alle ore 11, la commissione esaminatrice pro eri-gendo Monumento si riunì per valutare i 16 bozzetti giunti in Comune, ognuno contrassegnato da un motto. Col presidente Carlo Candiani era-no presenti i consiglieri: avv. cav. Giovanni Nardi, ing. Renato Grisostolo, ing. Vico Primavera, dott. Scipione Vezzù, Ilario Fioratti, Egidio Sacconi, Luigi Pasin, Ruggero Malacarne, Angelo Citron, Italo Ghizzoni; assenti Giuseppe Salgarella e Domenico De Luca.

Il rigido protocollo di “disposizioni” articolate in 8 punti, sottoposto ai presenti dal segretario del Comune e del comitato stesso Leone De Tof-foli, prevedeva al numero 3 che “… la Commissione, mediante votazione a scheda segreta, nomina nel proprio seno una Commissione Speciale, composta di cinque membri, la quale fra tutti i bozzetti presentati, ne sceglierà cinque sui quali dovrà cadere la scelta”.

casa e del terreno dove tuttora la famiglia Toffoli vive. Tante volte diceva a mio padre che lui era troppo buono ma anche lui era buono perché ha riconosciuto la bontà di mio padre e ci ha lasciato qualcosa. Ricordo però che l’avvocato aveva lo studio qui a Vazzola e fino a pochi anni fa c’erano ancora i mobili dello studio nel palazzo. Poi la casa passò ad Eugenia che avendo sposato Rossi, diede il nome al palazzo e al parco …”.

L a d o n a z i o n e d e l t e r r e n o

Il 31 luglio 1922, il Consiglio Comunale approvò l’ “Accettazione di donazione dell’area occorrente per l’errigendo monumento dei caduti del capoluogo”, “… assumendo a carico del Comune le spese inerenti e conse-guenti al contratto di donazione che si prevedono in £ 500 e già stanziate nel bilancio dell’esercizio in corso”. (Comune di Vazzola – Archivio – B. 17 C.c. 1924)

Il 6 novembre 1923 a Vazzola, nella casa del cav. nob. avv. Giovanni Nardi, residente al n. 10 di via Nardi, davanti al notaio dott. Giusep-pe Cangelosi, residente a Conegliano, alla presenza dei testimoni Rupolo

Veduta del terreno ceduto per la realizzazione del monumento

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motivi per i quali si era deciso a concorrere per il monumento di Vazzola. Bassignani, quando venne a conoscenza del concorso, aveva già pronti non solo i disegni ed i bozzetti, ma anche tutti i modelli in grandezza d’esecuzione, in quanto aveva ricevuto l’incarico dal suo comune di re-sidenza, Fivizzano, per realizzare il locale monumento ai caduti, la cui inaugurazione era già stata programmata per il 24 maggio 1921.

A cambiare completamente il corso degli avvenimenti fu, alle ore 7.50 del 7 settembre 1920, il più catastrofico terremoto della storia sismica del-la Lunigiana che distrusse completamente la città di Fivizzano, rinviando a data imprecisata anche la realizzazione del monumento.

Nella lettera il Bassignani accennò al terremoto precisando che era riu-scito a salvare solo il modello grande e che egli stesso aveva riportato solo poche ferite.

“Siamo passati” è il motto con il quale lo scultore Umberto Bassignani battezzò il suo soggetto “... perché ricorda quelle ore infuocate passate in codesti paesi nei giorni che precedettero la grande Vittoria.

Il primo bozzetto dello scultore Umberto Bassignani per il monumento ai Caduti di Vazzola

Lo scultore Bassignani davanti a un suo lavoro

L a c o m m i s s i o n e g i u d i c a t r i c e

Dalla votazione per la commissione speciale risultarono eletti: ing. Re-nato Grisostolo come presidente, coadiuvato dall’ ing. Vico Primavera, Angelo Citron, avv. Giovanni Nardi e Ruggero Malacarne. La seduta mat-tutina del comitato terminò con l’esclusione di tre bozzetti perché, “… pur apprezzando il valore dell’opera, (la commissione) non li trova rispondenti alle esigenze del luogo ove dovrebbero essere collocati …” e quindi procedette alla scelta dei cinque bozzetti finali.

La seduta venne riaperta nel primo pomeriggio dello stesso giorno alle ore 15.00, ma prima di procedere alla scelta definitiva, sempre tramite votazione del motto a scrutinio segreto, il comitato fu chiamato ad espri-mersi su uno dei cinque bozzetti prescelti, e precisamente il numero 13, contrassegnato dal motto “Siamo passati”, se fosse conforme alle indica-zioni date preventivamente dal bando del concorso.

Il bozzetto restò ammesso con 8 voti favorevoli e 3 contrari. Si passò così alla votazione dell’opera vincitrice, ma prima il presidente Candiani dichiarò di astenersi perché parente di uno dei concorrenti finali. ll boz-zetto col motto “Siamo passati” ottenne di nuovo 8 voti ed il “Sursum” i rimanenti due.

Ad oltre ottant’anni di distanza, ci sembra strano prima il tentativo di escludere il bozzetto e successivamente la vittoria finale. Il Presidente Car-lo Candiani si astenne dalla votazione finale perché il bozzetto “Sursum”, arrivato secondo, era del fratello architetto Luigi Candiani. Nonostante la procedura prevedesse la segretezza degli autori dei bozzetti, il comitato aveva forse opportunamente evitato che la realizzazione del monumento fosse ristretta alla sola famiglia Candiani e di conseguenza un “conflitto di interessi” ante litteram.

I l v i n c i t o r e d e l c o n c o r s o

Possiamo solo immaginare la sorpresa per gli abitanti di Vazzola quando appresero che il vincitore del concorso con il bozzetto “Siamo passati” era lo scultore prof. Umberto Bassignani, residente a Fivizzano nella Luni-giana e da poco tempo trasferitosi con il suo laboratorio nel Principato di Monaco.

Nella sua prima lettera di presentazione al comitato, l’artista precisò i

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il modello del monumento, sarebbe partito per Vazzola al fine di forma-lizzare l’impegno per la realizzazione dell’opera.

Il 29 ottobre 1921 venne firmato il contratto fra Umberto Bassignani e la commissione preposta per la stipulazione dello stesso, articolato in 9 punti che precisavano i tempi di realizzazione, i pagamenti, il collaudo ed eventuali contestazioni in corso d’opera.

In calce troviamo la firma di 11 componenti della commissione e per ultima quella dello scultore.

Terremoto di Fivizzano 7-9-1920

Ed è la Vittoria che con le sue ali abbraccia la roccia ed i simboli, domi-nando il soggetto.

A sinistra di chi guarda è il lavoro che dando l’ultimo sguardo ai campi abbandona l’aratro avvolto nell’alloro, simbolo di gloria e corre fidente alla lotta ma si trova fra i gas ed i reticolati che spezza ed oltrepassa, proseguendo fino ai piedi della Vittoria dove cade con l’impronta tranquilla del dovere sul volto, mentre si preme la ferita con un lembo della bandiera portata a braccio dalla Vittoria mentre questa con l’altro innalza la face della libertà.

Il gruppo scultoreo dovrà posare sopra un basamento a piramide troncata dove saranno incisi i nomi dei caduti. La totalità della sua altezza raggiunge-rà i 6 metri circa e sarà bene adatto all’esedra stabilitaci”.

L’ i n c a r i c o u f f i c i a l e

Il 17 ottobre 1921 Umberto Bassignani, dal Principato di Monaco, ringraziò il presidente ed il comitato per aver dichiarato vincitore il suo bozzetto e comunicò che, dopo una breve sosta a Fivizzano per recuperare

La lettera di presentazione dell’opera “Siamo Passati”

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Prima lettera di Umberto Bassignani al comitato pro-monumento di Vazzola

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Contratto firmato in calce dai componenti la commissione per il monumento e da Umberto Bassignani

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Seguì nei mesi successivi una raccolta di offerte estesa a tutte le famiglie di Vazzola, delle quali furono successivamente pubblicati gli elenchi, forse per stimolare gli assenti.

Dai bilanci del comitato appariva evidente che la sottoscrizione pubbli-ca non riusciva a coprire la spesa, pertanto fu organizzata una lotteria di beneficenza della quale ci rimane un’ampia documentazione di corrispon-denza verso enti o ditte per raccogliere materiale vario.

Il gruppo scultoreo con la statua della Vittoria

D e s c r i z i o n e d e l m o n u m e n t o e m o d a l i t à c o s t r u t t i v e

I brevi e concisi articoli del contratto furono integrati dalla descrizione del monumento e dalle modalità costruttive.

“… Il Monumento dell’altezza di circa m. 5.50 conforme al tipo presentato consta di quattro statue in marmo bianco di Carrara a grandezza naturale e poserà su di un basamento a tronco di piramide avente una base inferiore di m. 4.00 x 4.00, superiore di m. 1.80 x 1.80 e di altezza di m. 1.50 circa. Detto tronco di piramide sarà rivestito con N° quattro lastroni di marmo bianco di Carrara di spessore non inferiore ai cm. 5 e sarà terminato inferiormente da N° tre gradini. Le fondazioni sono a carico del Comitato come pure l’anima del tronco di piramide che sarà costruita in muratura e che misurerà un metro cubo circa. Il Comitato dovrà fornire il legname necessario per le armature ed assumere il trasporto del monumento dalla ferrovia a Vazzola. Resta a carico dello Scultore il trasporto in ferrovia, la posa in opera del monumento e delle sue parti accessorie (lastroni e gradini). Resta inteso che il carico e lo scarico sarà fatto sotto sorveglianza e responsabilità dello scultore stesso …”.

O b l a z i o n i e l o t t e r i a

Il terzo articolo del contratto prevedeva che la somma complessiva da versare al Bassignani fosse di £ 30.000 e l’articolo successivo precisava che i pagamenti sarebbero stati fatti nelle seguenti scadenze: £ 5.000 anticipate, £10.000 a lavori avviati ed il saldo delle rimanenti 15.000 dopo il collaudo.

Nella seduta del Consiglio Comunale del 31 marzo 1921 fu approvata una “proposta di concorso del Comune pro erigendo monumento ai cadu-ti di guerra del capoluogo” con la seguente deliberazione: “… la spesa viene coperta quasi interamente da offerte del pubblico. Però la sottoscrizione non è sufficiente per garantire la somma necessaria per innalzare un monumento che ricordi degnamente i nostri valorosi paesani, oltre un centinaio, che immola-rono la loro giovane esistenza per la salvezza della nostra Patria. La Giunta Municipale sente perciò il dovere di concorrervi con una somma di £ 2000 (duemila). Il Consiglio a voti unanimi per alzata di mano delibera di appro-vare la proposta della Giunta e di far fronte alla spesa con un prestito da con-trarsi con una Banca estinguibile in due annualità con decorrenza 1/1/1922”. La Giunta Provinciale di Treviso approvò la delibera il 7 luglio 1921.

(Comune di Vazzola – Archivio B. 14 C.c. 1923)

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Manifesto elenco degli oblatori prima listaAppello ai cittadini per la raccolta di fondi pro-monumento

La vigilia di Natale del 1922 fu decisa una convocazione straordinaria di tutti i capi famiglia di Vazzola e presentato un bilancio quasi a pareggio fra entrate ed uscite, ma mancavano ancora £ 10.000 da versare allo scul-tore a fine lavoro. Venne decisa un’ulteriore tassazione per ogni famiglia di Vazzola che si trovasse in grado di contribuire senza grave sacrificio.

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V I N C E N Z O B O C C A R D I N I

Un tassello fondamentale per comprendere la travagliata vicenda legata alla realizzazione del monu-mento ai Caduti di Vazzola, fu la famiglia Boccardini Dalla Balla, il cui capofamiglia, dott. Vincenzo Boccardini, tanto si adoperò per or-ganizzare una lotteria con lo scopo di trovare i fondi per portare a com-pimento l’opera del Bassignani.

Vincenzo Boccardini nacque a Vazzola il 28 novembre 1884. Si laureò in Farmacia all’Università di Padova il 29 aprile 1910. Sposò, il 29 maggio 1920, Giuseppina nobile Dalla Balla. Esercitò la professione

Il dott. Vincenzo Boccardini

Tessera di riconoscimento del Regio EsercitoManifesto lista oblatori seconda lista

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Il matrimonio di Vincenzo Boccardini con Giuseppina Nob. Dalla Balla celebrato il 29 maggio 1920

L’antica farmacia in centro a Vazzola

La laurea in Farmacia

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Comunicazione del conferimento del titolo di Cavaliere al dott. Vincenzo Boccardini

presso la farmacia di famiglia nel comune di Vazzola. Morì il 26 maggio 1968 all’età di 84 anni.

Vincenzo Boccardini si attivò in particolar modo con le case farma-ceutiche, con cui aveva frequenti contatti di lavoro, per raccogliere del materiale utile all’allestimento della lotteria. Inoltre, quasi tutta la corri-spondenza fra l’artista Umberto Bassignani e i componenti del comitato pro monumento, venne tenuta dal Boccardini che fece da intermediario fra questi, sempre più impazienti di ricevere notizie sullo svolgimento dei lavori e sull’invio del monumento, e lo scultore, in ritardo con la consegna dell’opera.

La famiglia Boccardini

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Discorso del Podestà Ragusa in occasione della consegna del Cavalierato al dott. Vincenzo Boccardini

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La moglie Elvira Signanini

I figli di Umberto Bassignani

U M B E R T O B A S S I G N A N I

Figlio di Pietro e di Zelinda Babbini, nacque a Fivizzano il 29 agosto 1878. La famiglia era originaria di Pontremoli ed il padre svolgeva l’atti-vità di decoratore. Dalle scarne notizie raccolte sappiamo che lo scultore aveva un fratello, Luigi, ed una sorella, Maria. Il 30 aprile 1906 Umberto si unì in matrimonio con Elvira Signanini di Certardola, dalla quale ebbe due figli: Leonida, morto in giovane età a diciott’anni e Leonardo che, con il padre, condivise poi le fatiche e gli onori, distinguendosi nell’arte di modellare la creta.

L’8 maggio 1907, per ragioni di lavoro, partì per il Principato di Monaco, dove aprì il suo studio di scultore al numero 13 di Boulevard Charles III. Il 27 maggio 1917 ritor-nò in patria richiamato alle armi ed aggregato al 42° Reggimento Fante-ria di stanza a Lodi. La sua attività Lo scultore Umberto Bassignani

Un’ulteriore testimonianza del tempo ci è fornita dalla documentazione storica riguardante il funerale di Bernardo nobile Dalla Balla, suocero di Vincenzo Boccardini, morto l’11 gennaio 1921

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Lo studio dell’artista a MonacoIscrizione all’Accademia delle Belle Arti di Genova

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effettivamente quando era giovane, aveva appartenuto al partito anarchico, ma che da parecchi anni egli non ne fa più parte, aggiungendo anzi, che ora sconfessando il suo passato giovanile, aveva sentimenti di buon Italiano …”.

L o s c u l t o r e

Umberto Bassignani apprese i primi insegnamenti artistici in famiglia dal padre Pietro. Successivamente fu allievo di Leonardo Bistolfi (Casal Monferrato 1859 - Torino 1933), considerato uno dei maggiori scultori del suo tempo, e ne seguì l’esempio prediligendo opere monumentali a carattere patriottico o monumenti funerari, generalmente ingentiliti con motivi floreali.

Passaporto per l’estero rilasciato dal Comune di Fivizzano

di scultore subì un brusco rallentamento allo scoppio del secondo conflit-to mondiale quando parte della sua clientela approffittò della situazione per ritirare le commissioni artistiche e annullare i pagamenti. Deluso e provato da questa situazione ostile e precaria, morì il 21 gennaio 1944 a Monaco e la sua salma fu trasportata in Italia e tumulata nel cimitero di Lerici, dove la famiglia aveva deciso di trasferirsi.

Dopo la sua morte, nacquero i quattro nipoti: Umberto (Ivrea), Vitto-rio (Brescia), Marcella (Sarzana La Spezia) e Daniela (La Spezia).

L’ a n a r c h i c o

Fin dalla giovane età, Umberto Bassignani si dimostrò di carattere ir-requieto e rivoluzionario. In data 26 agosto 1900 era già schedato presso la Prefettura di Massa come comunista anarchico e si era fatto conoscere per la sua attività sovversiva a Genova, dove frequentava l’accademia di Belle Arti.

Fu arrestato ed incarcerato per quattro mesi. Nella scheda personale, conservata insieme ad ampia documentazione presso l’archivio degli anar-chici a Roma, possiamo comprendere che era di corporatura piuttosto bassa, alto m.1,64, e che aveva frequentato solo le scuole elementari.

Fu un collaboratore del giornale di Genova “Combattiamo” e fece di-screta propaganda presso gli operai. Da allora l’occhio vigile e discreto della polizia continuò a seguire i suoi spostamenti ed a segnalarli alla Pre-fettura di Massa dove tutto venne ordinatamente trascritto per ben ven-tisette anni. Dai documenti si comprende come dopo il servizio militare, svolto in tempo di guerra, il Bassignani abbia abbandonato i propositi rivoluzionari e sia stato apprezzato in Francia come un ottimo artista che aveva aderito alla comunità italiana ed al circolo degli ex combattenti.

Solo nel 1927, il Consolato Italiano, con sede nel Principato di Mona-co, propose, al Ministero dell’Interno a Roma, la cancellazione del Bas-signani dall’elenco dei sovversivi anarchici perché “… ha sempre mostrato di essere persona tranquilla, amante del lavoro e della famiglia e si è sempre volentieri prestato quando la sua opera fu a lui richiesta a beneficio di questa Colonia. Le autorità locali non hanno mai avuto da lamentarsi di lui. Egli ha moglie e un bimbo ambedue di ottimi sentimenti Italiani, e richiesto un gior-no in base appunto alle segnalazioni di codesto R. Ministero, del suo modo di pensare in relazione alla sua professione di fede politica in patria, rispose che

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Il Bassignani fu anche premiato con medaglia d’oro a Torino nel 1909, a Bruxelles nel 1910 e a Monaco nel 1920 e nel 1921.

L e o p e r e

Dal materiale messoci a disposizione dalla nipote Marcella Bassignani, residente a Sarzana in provincia di La Spezia, la quale ha conservato la cas-settina con gli attrezzi del nonno e la documentazione fotografica delle sue opere contenute in due album, si può intuire che la produzione artistica di Umberto Bassignani sia stata molto ampia, ricca di opere monumentali sparse in tutta Italia e soprattutto in Francia e nel Principato di Monaco. Purtroppo molti fattori negativi quali il rientro in Italia della famiglia in tempo di guerra, la mancanza di elenchi di committenti e delle relative opere eseguite e di uno studio approfondito a posteriori su tutta l’attività dello scultore, hanno contribuito alla perdita dell’identificazione di queste opere delle quali oggi non conosciamo l’ubicazione.

Abbiamo diviso l’elenco delle opere conosciute in due gruppi: in Italia e all’estero.

Ritratto di Bassignani in altorilievo

Oltre che in patria, lavorò in Francia e a Montecarlo. Del suo arrivo nel Principato di Monaco ne diede notizia il giornale “Le Petit Monegasque”: “… Lo scultore Umberto Bassignani, che si è stabilito qui da qualche mese, dove ha aperto un atelier al n°13 del boulevard Carlo III, ha appena finito di arricchire il cimitero del Principato di una notevole opera d’arte, eretta alla memoria di una fanciulla la cui morte improvvisa ha funestato, l’anno scorso, una delle più note e ragguardevoli famiglie di Monaco. Si tratta di un altorilievo in marmo bianco raffigurante un gruppo di tre personaggi a gran-dezza naturale: un Angelo che trasporta un’anima in cielo, mentre al di sotto di essi piange la Purezza. Attorno a queste tre figure cadono mazzi di fiori in una battaglia di fiori profumati. Questa scena, da cui sprigiona una profonda emozione, è rappresentata con molta maestria e rivela una grande sensibilità artistica …”.

Lo scultore posa davanti a un suo altorilievo

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Medaglione iconografico dell’arte farmaceutica che attualmente adorna il soffitto della farmacia Clementi a Fivizzano

Altorilievo in onore del on. Ernesto Artom con la scritta: “all’on. Ernesto Artom la Lunigiana e la Garfagnana unite in nobile concordia – rassegnano stima ed affetto – MCMVI”

Altorilievo premiato con medaglia d’oro all’esposi-zione di Torino del 1909

Monumento a Giovanni Fantoni, a Fivizzano, inaugurato nel 1908

Bozzetto per il monumento, mai realizzato, da erigere nel cimitero civico di Fivizzano, attualmente collocato sotto il porticato del cimitero stesso

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I l m o n u m e n t o d i Va z z o l a :v e n t u n o m e s i d i s o l l e c i t i e r i n v i i

Il secondo articolo del contratto firmato dal Bassignani affermava che “il monumento dovrà essere ultimato per il 20 maggio 1922”, probabilmente prevedendo l’inaugurazione per il successivo 24, settimo anniversario del-l’entrata in guerra dell’Italia.

Se pensiamo che l’inaugurazione fu fatta il 29 luglio 1923, ventun mesi dopo la stipula del contratto, comprendiamo come le vicende che riguar-davano la successiva realizzazione dell’opera fossero state molto sofferte e prolungate da continui rinvii.

Nell’archivio comunale sono conservate ventotto lettere di Umber-to Bassignani indirizzate al presidente del comitato e al dott. Vincenzo Boccardini, che documentano un rapporto non facile fra committenza ed esecutore, a volte persino risentito fra le parti per i ripetuti solleciti di pagamenti, per le difficoltà di reperire il marmo mancante da parte del Bassignani e per l’urgenza del comitato di inaugurare l’opera.

Possiamo sintetizzare questo lungo carteggio affermando che, senza ombra di dubbio, una delle cause delle lungaggini furono gli oltre quat-

Il Busto a Vittorio Emanuele III, nella sala della Casa Italiana a Monaco

La tomba di famiglia Sylvain Barret nel Cimitero di Monaco

Il monumento al soldato Caduto, eretto il 10 giugno 1923 nella pittoresca cittadina francese di Pelle, un tempo appartenuta alla Contea di Nizza dove si era insediata la famiglia Lascaris

Il Monumento eretto a Monaco nel 1930, in me-moria del corridore Augusto Maccari: un uomo a grandezza naturale in atto di correre

La statua a Giovanna d’Arco, in sostituzione di quella distrutta durante la guerra 1915-18, inau-gurata a Saint Quentin (Francia) il 17 agosto 1930

La fontana detta si San Nicolò, con alla sommità la statua del santo, eretta nella città di Monaco

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A l c u n i p a s s i s i g n i f i c a t i v i

Il 5 marzo 1922 Bassignani scrisse al comitato “ … riguardo al bozzetto dell’insieme, mi creda che non ho ancora avuto il tempo di eseguirlo, trovan-domi molto imbarazzato di lavoro … intanto la prego di inviare i nomi dei gloriosi, acciocché possa aver tutto a mia disposizione fra una decina di giorni per disegnare le lettere e farle incidere dallo scalpellino …”.

Il 6 luglio 1922 dal presidente del comitato a Bassignani “… la cosa sta prendendo una piega piuttosto seria, caro Sig. Bassignani, siamo già a luglio ed ancora non è in grado di fissare l’epoca dell’invio del monumento! … Non ha fatto ricerche della mia raccomandata del 15 maggio con la quale la prega-vo di voler porre un velo o di alzare la sopraveste della Vittoria fino a coprire il decolleté troppo spiccato …”.

La situazione fra le due parti si aggravò quando il comitato decise di in-viare a sorpresa il consigliere Angelo Citron, allora presidente della Coope-rativa di Lavoro Vazzola-Mareno, per controllare l’avanzamento dei lavori.

Il 23 settembre 1922 da Fivizzano a Vazzola “… Chi determinò l’invio

Cartolina postale del 5 maggio 1922, spedita da Fivizzano da Angelo Citron all’ing. Ludovico Primavera a Vazzola con tutti i dati tecnici del monumento

Cava di marmo a Carrara

Il trasporto dei blocchi di marmo

trocento chilometri di distanza fra Vazzola e Fivizzano. Una seconda con-causa fu il trasferimento dell’attività del Bassignani nel principato di Mo-naco, dopo il terremoto del 1920, con sue saltuarie presenze a Fivizzano per eseguire i lavori preparatori per il gruppo marmoreo.

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del Signor incaricato dal comitato a Monzone? (località vicino a Fivizzano da dove i blocchi di marmo saranno poi spediti tramite la ferrovia). Non io, perché quello che diceva era vera e pura verità. Perché tanta diffidenza verso chi dà un lavoro superiore al prezzo? ...”.

Il 17 agosto dal Bassignani al presidente del comitato “… non posso stabilire una data (per l’inaugurazione) fino a che non sia giunto in deposito il blocco di marmo che mi manca ancora per completare il lavoro … Era forse

Documento del trasporto ferroviario del monumento di Vazzola

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I quattro blocchi di marmo scolpiti dal Bassignani, fotografati dopo l’arrivo a Vazzola, prima di venire collocati nella loro sede

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L a c r o n a c a

Arrivò il tanto sospirato giorno dell’inaugurazione del monumento ai Caduti di Vazzola. Dopo la messa solenne celebrata da don Lucio Sartori e lo scoprimento della lapide con il bollettino della vittoria, nella mattinata di domenica 29 luglio 1923, un violento acquazzone pomeridiano fece ritardare l’inizio della manifestazione patriottica. Solo verso le 18.00 il corteo si mosse dal municipio verso la località Favero, con grande parteci-pazione di rappresentanze civili, religiose e militari.

Tutti giunsero davanti al monumento intonando “Il Piave” e vennero deposte le corone delle varie associazioni e rappresentanze presenti. Sul luogo ad attendere si trovò il vescovo Eugenio Beccegato con il clero; dopo che fu tolto il telone che copriva il monumento, impartì la benedi-zione episcopale, mentre il picchetto d’onore del 55° Fanteria presentò le armi. Dopo alcune parole di circostanza, fu la volta del dott. Vezù, che a nome del comitato, lesse la relazione del prof. Rinaldo. Seguì il discorso del sindaco Carlo Candiani che disse “… un dì fu onorato il Milite ignoto nell’Altare della Patria come manifestazione di un culto per lo sconosciu-to sacrificio. Oggi suonò la campana della Patria per chiamarci attorno un piccolo monumento che per noi è un tempio di fede sublime! …”. Concluse ringraziando le autorità, il comitato ed espresse la riconoscenza del paese

Vazzola – Monumento

meglio che avessi utilizzato il pezzo con il difetto? No, Signor Presidente, sono cose che non si fanno! …”.

Il 13 ottobre 1922 il presidente Candiani a Bassignani: “… per quan-to riguarda il monumento ci meraviglia che Voi ci scriviate alludendo alla stagione invernale quando per noi è viceversa assolutamente necessario che l’inaugurazione abbia invece a coincidere con quella del costruendo campa-nile, ciò che avverrà non più tardi del 26 di novembre p.v. … il basamento conforme alle vostre indicazioni è ultimato ed il resto che voi richiedete è tutto pronto …”.

La situazione peggiorò ulteriormente con la lettera del 30 gennaio del comitato a Bassignani “… presa visione della sua lettera in data 26 u.s. dalla quale chiaramente risulta che ogni promessa da Lei fatta costituisce una nuova delusione per il Comitato stesso, stanco alfine che una questione così impor-tante e delicata venga dalla S.V. trattata con così poca serietà, è venuto nella seguente determinazione: dare incarico a persone di fiducia per accertarsi se il monumento effettivamente sia ultimato e pronto sul piazzale di carico della Stazione di Monzone, o se, come per il passato, il Sig. Bassignani, sorvolan-do con puerile facilità sulle promesse e sui nostri impegni morali, continui a mancare di correttezza facendo sempre il vero stato delle cose e dedicando la propria attività ad altri lavori …”.

La lettera si concludeva con una richiesta perentoria di spedire i mar-mi entro il 15 febbraio 1923. Solo il 19 maggio arriverà da Fivizzano la comunicazione che il vagone con i marmi era partito il giorno prima dalla stazione di Monzone con un viaggio previsto di circa una decina di giorni.

( Te s t i m o n i a n z a d i D e s i d e r i o To m a s i n )

“… I blocchi di marmo erano stati portati in piazzetta San Francesco, per-ché avevano deciso di fare il monumento là, ma dopo il paese non ha voluto. Allora hanno domandato il terreno a Mozzetti, il quale non ha dato niente perchè non voleva rompere il brolo. Così se ne è uscito Nardi che ha regalato la terra al Comune per fare il monumento perchè non sapevano dove metterlo. Han suonato le campane quando sono arrivati i blocchi del monumento por-tati con i carri dalla stazione di Conegliano ...”.

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Conferimento delle medaglie

Comunicazione del rinvio del sorvolo degli aerei

Manifesto con il programma dell’inagurazione

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per l’Italia e che ricorda il valore dei nostri soldati. Dobbiamo fissare questa lapide per incoraggiarci a rettamente compiere la missione di onesti e virtuosi cittadini, nella quale tutti dobbiamo riuscir grandi dinanzi alla propria co-scienza, alla Patria, a Dio. Non sia adunque eretta questa lapide in mezzo di noi senza uno scopo morale …”. La lapide si trova ora sotto il portico che collega il municipio con il distretto socio-sanitario, a sinistra dell’ingresso della guardia medica.

D i n u o v o “ I l G a z z e t t i n o ”

La storia del monumento di Vazzola, iniziata sulle pagine de “Il Gazzettino” del 15 e 17 luglio 1921, terminò sulla prima pagina del quotidiano locale di giovedì 2 agosto 1923. Da molto tempo “Il Gazzettino” aveva iniziato una ru-brica intitolata “Ai Caduti di ...”, dove quasi ogni giorno presentava i nuovi monumenti, uno alla volta, man mano che venivano inaugurati in tutto il Triveneto.

In centro pagina faceva bella fi-gura la foto del monumento di Vazzola con uno stringato articolo di presentazione che, nella sua es-senzialità, ne illustrava tutti i dati caratteristici.

Si concludeva così, per Vazzola, una vicenda alquanto travagliata, ma le sorprese non erano finite …

Prima pagina de “Il Gazzettino” 2-8-1923

al dott. Nardi che generosamente aveva offerto l’area del monumento.Fu poi la volta del prefetto ed infine dell’oratore ufficiale avv. Cleanto

Boscolo di Treviso. Al termine, il corteo ritornò in municipio, dove nella sala consigliare vennero consegnate novanta croci di guerra alle madri, alle vedove ed ai combattenti, nonché le medaglie ricordo della Grande Guerra.

Il maltempo rovinò in parte la grande festa patriottica, ma consentì di avere un seguito il giorno successivo. Le raffiche di vento e di pioggia im-pedirono il sorvolo degli aerei provenienti da Aviano, che giunsero su Vaz-zola il lunedì pomeriggio alle ore 18.00. Con un cielo sereno, gli ufficiali del VI gruppo aeroplani “caccia” con 7 veivoli volteggiarono su Vazzola a bassa quota, facendo piovere sul monumento dei cartellini tricolori, com-muovendo la popolazione accorsa in strada per vedere lo spettacolo.

I l b o l l e t t i n o d e l l a V i t t o r i a

Il 29 luglio 1923 si procedette anche allo scoprimento della lapide in marmo, collocata nella sala consiliare, riportante il bollettino della Vit-toria. Il discorso venne affidato a don Lucio Sartori, in quel periodo par-roco pro tempore di Vazzola: “… Noi non dobbiamo affatto smarrirci, né arrestarci davanti a questa lapide che segna la pagina di storia più gloriosa

La lapide del bollettino della Vittoria

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V I N C E N Z O R I N A L D O

L a v i t a

Vincenzo Rinaldo, figlio di Lo-renzo e di Maria Bortoluzzi, nacque a Venezia il 24 luglio 1867; dopo aver completato gli studi presso l’ac-cademia di Belle Arti, iniziò la sua carriera di insegnante e professioni-sta al fianco dell’architetto Giacomo Franco nella realizzazione del duo-mo di Lonigo. Da allora fu impres-sionante l’elenco delle opere ascritte al nostro architetto nel Veneto e nel Friuli; tra tutte citiamo solamente quelle a noi più vicine come la fac-ciata della chiesa dei Santi Rocco e

Domenico a Conegliano, realizzata tra il 1899 ed il 1901; la chiesa di San Giovanni Battista a San Fior di Sopra; i campanili di Ormelle e di Vazzola; la facciata ed il campanile di San Polo di Piave con due progetti distin-ti: uno realizzato prima della guerra ed uno, successivo, di ricostruzione. Dopo la guerra, il Rinaldo era stato messo a capo dell’ufficio per la rico-struzione delle Terre Liberate di Conegliano, a cui era affidato il compito di gestire la ricostruzione dei paesi della sinistra Piave. Tutti i progetti di nuovi edifici, chiese o campanili, prima di essere realizzati, dovevano rice-vere il nulla osta ed essere approvati dal prof. Rinaldo.

In quegli anni di grande attività, troviamo il Rinaldo presente anche a Napoli dove, dal 1919 al 1926, lo sappiamo incaricato presso la Sovrin-tendenza alle Belle Arti. L’anno successivo rientrò a Venezia, dove morì il 28 aprile 1927, a soli sessant’anni.

“ L’ a r b i t r o i n a p p e l l a b i l e ”

Nelle vicende che riguardano la realizzazione del monumento ai Caduti di Vazzola, rivestì un ruolo fondamentale la figura dell’architetto venezia-

Il prof. Vincenzo Rinaldo

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Relazione finale dell’arch. Rinaldo sul monumento di Vazzola

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Articolo del Rinaldo sul monumento di Vazzola

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no Vincenzo Rinaldo. Docente del Regio Istituto di Belle Arti di Venezia e professore dell’Università di Padova, si trovò ad operare nell’immediato primo dopoguerra nella ricostruzione dei paesi devastati dall’invasione e dai combattimenti. Lavorò a stretto contatto con le amministrazioni civi-che e le parrocchie della sinistra Piave, in modo particolare a Ormelle, a San Polo di Piave e a Vazzola, dove firmò i progetti degli attuali campanili.

La sua presenza e la sua consulenza vennero più volte richieste nelle varie comunità, come ad esempio per il monumento di Vazzola, dove nel contratto di appalto all’articolo 5 si afferma: “… il collaudo (dell’opera) avrà luogo da parte del Comitato pro monumento ai Caduti con l’intervento del prof. Vincenzo Rinaldo …” ed al numero 8: “… nel caso in cui sorgessero contestazioni ed in tutte le questioni d’arte da risolversi, sarà arbitro inappel-labile il suddetto prof. Vincenzo Rinaldo …”.

Nel corso dei mesi il Rinaldo mantenne i contatti con l’Amministra-zione ed il comitato pro monumento di Vazzola, arrivando a fine luglio 1923 a esaminare l’esecuzione dell’opera e ad esprimere il suo giudizio artistico. Il commento dell’architetto fu positivo sotto tutti gli aspetti: in primo luogo ne approvò la collocazione appena fuori dalla piazza, ma in un contesto di verde che s’intonava con il gruppo marmoreo; inoltre riten-ne idonea l’esecuzione che fu nei parametri espressi preventivamente dallo scultore. Nella relazione finale concluse esprimendo le sue felicitazioni sia al Bassignani che al comitato che “… con entusiasmo e sacrifici ha saputo dotare Vazzola di cospicua opera d’arte, certamente una delle migliori, se non la migliore, della Diocesi, ed in ambiente veramente adattissimo …”.

L’architetto Vincenzo Rinaldo non fu presente il giorno dell’inaugura-zione e la sua relazione fu letta pubblicamente dal dottor Vezù.

L’ i n a u g u r a z i o n e d e l m o n u m e n t o d i F i v i z z a n o

Trascorsi dieci anni dal terremoto che l’aveva rasa al suolo, la città di Fivizzano, completata la ricostruzione, nel 1930 inaugurò, con una ceri-monia solenne, il suo monumento ai Caduti. Nel frattempo erano stati riallacciati i contatti con lo scultore concittadino Umberto Bassignani al-lora residente a Monaco, il quale, forte dell’esperienza vazzolese, ripropose di nuovo il bozzetto “Siamo passati”. Fu una festa patriottica per la citta-dina che rinasceva dopo la distruzione e che coinvolse tutta la zona della Lunigiana, da La Spezia a Carrara. Il monumento di Vazzola visto dai quattro lati in foto d’epoca

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Il picchetto rende gli onori mentre due vedove di guerra portano la corona d’alloro

Il monumento ai Caduti di Fivizzano

artista poi caduto nell’oblio del tempo che passa e tutto cancella, che per una stravaganza commessa ottant’anni fa, ha il merito di aver unito due località che mai avrebbero immaginato di aver qualcosa in comune.

I preparativi per l’inagurazione

La cerimonia

Da allora, i comuni di Vazzola e di Fivizzano, per un bizzarro corso delle vicende, si trovano ad avere lo stesso preciso ed identico monumen-to ai Caduti, opera della stessa mano dello scultore Umberto Bassignani,

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Particolari del monumento

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pubblicò un opuscolo intitolato “Monumenti della riconoscen-za eretti dagli italiani ai caduti per la patria nella grande guerra MCMXIV-MCMXVIII”. Il libret-to era composto da 20 foglietti ri-portanti ognuno 8 monumenti rac-chiusi all’interno di un francobollo senza valore facciale ed usato come chiudilettera.

Questa era la prima serie di ben 160 monumenti da tutte le province d’Italia, alla quale seguirono una se-conda serie ed infine una terza, dove ritroviamo anche il monumento di Vazzola, il cui chiudilettera ebbe una diffusione a livello nazionale.

Cartoline illustrate edite da Giulio Marino (Conegliano-Seravalle) riproducenti il monumento ai Caduti di Vazzola

Chiudilettera raffigurante il monumento

C a r t o l i n e e c h i u d i l e t t e r a

Con la contemporanea realizzazione di migliaia di monumenti ai Ca-duti in tutti i Comuni d’Italia, nacque l’idea di divulgare e pubblicizzare le nuove opere. Molte ditte specializzate nella produzione di cartoline illu-strate sottoposero alle Amministrazioni comunali la proposta di stampare vari esemplari sul locale monumento.

Quella che presentiamo è una delle tante comunicazioni giunte a Vaz-zola da parte della ditta Garioni di Piacenza.

Anche per il monumento di Vazzola furono realizzate delle cartoline commemorative. Ne conosciamo due versioni: una con veduta frontale ed un’altra laterale, dove si possono intravedere le scritte dei nomi dei caduti.Furono prodotte dai “Premiati Studi d’arte Giulio Marino” con sede in viale della Stazione a Conegliano e a Serravalle di Vittorio Veneto.

Le cartoline di Vazzola hanno una particolarità: l’autore ha dimenticato di stampare tutti i riferimenti del luogo dove si trova il monumento, una cartolina che risulta quindi del tutto anonima se non per il logo del foto-grafo. Per il monumento di Tezze e la lapide di Visnà non furono stampate cartoline.

Nel settembre 1923, la casa editrice “E. Malferrari & C.” di Bologna

Cartolina proposta per un ordine della ditta Garioni di Piacenza

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E L E N C O C A D U T I D I VA Z Z O L A

Antoniazzi AntonioArmellin EugenioBrisotto LuigiBiasi GiovanniBonotto AgostinoBonotto LodovicoBosco GiocondoCamerotto GiovanniCasagrande LuigiCarnelos PietroCadorin EugenioCescon GiovanniColmagro CarloDalla Cia Antonio (+1914 Libia)Dalla Cia GiordanoDa Ros AntonioDe Carli LuigiDe Giusti DomenicoFreschi GiovanniFranceschet RaffaeleGiacomin LuigiGiacomin DomenicoGarlant ErmenegildoGiacomin AntonioGobbo Luigi

Gera AntonioGera LuigiLovat GiovanniMaronese EugenioMaschietto ArcangeloMaschio AntonioMilanese GiovanniNardi NicolòPasqualin LuigiPerin PietroPoloni PietroRonchi PaoloRonchi AngeloSalomon GiovanniSoligon AntonimoSpellanzon AugustoTomasin AndreaTonon GirolamoTardivo AgostinoVenturin AngeloZaccaron LuigiZanchetta PinoZava AntonimoZago GiuseppeZanella Francesco

C I V I L I M O R T I P E R C A U S E D I G U E R R A

Battistella LuigiBattiston Corocher MariaBerto LuigiaBerto AngelinaColmagro DomenicoColmagro Regina

Corocher VincenzoGirardi SanteLigonto GiobattaModolo StellaPaladin CaterinaPagotto Giovanna

Copertina della prima serie di 160 monumenti ai Caduti d’Italia

Presentazione dell’opera

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C a d u t i i t a l i a n i n e i c i m i t e r i d i Va z z o l a

In applicazione del programma che il Governo Nazionale stava svol-gendo per la definitiva sistemazione dei caduti sepolti nell’ex territorio di guerra, stava sorgendo sul Montello un monumentale ossario, nel quale sarebbero state sistemate tutte le salme allora sepolte nei vari cimiteri civili e militari della zona. Ogni corpo avrebbe avuto un proprio loculo con lapide riportante il nome.

Il 2 febbraio 1933 l’ufficio centrale per la Cura e le Onoranze dei Ca-duti di Guerra inviò all’amministrazione comunale di Vazzola gli elenchi dei soldati sepolti nei cimiteri del Comune al fine di:

1. segnalare se negli elenchi fossero compresi dei militari appartenenti al Comune di Vazzola;

2. richiedere alle famiglie interssate il consenso al trasporto delle salme dei loro congiunti nell’ossario del Montello;

Il quadro con le foto dei 130 caduti del Comune di Vazzola

I l r i t o r n o

La guerra era terminata da quattro anni e nella risistemazione delle cen-tinaia di cimiteri di guerra sparsi in ogni luogo ove si era combattuto, mol-ti dei quali già in stato di abbandono, fu data facoltà ai parenti di poter recuperare i resti dei caduti e riportarli ai paesi di origine.

Fu così che nei mesi di maggio, giugno e luglio 1922, trentotto soldati originari di Vazzola furono riportati nei tre cimiteri del Comune.

Si rinnovarono lacrime e dolori, ma almeno queste famiglie avevano potuto riavere un luogo su cui posare un fiore e recitare una preghiera.

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In una lettera al padre così scrive:“Caro papà ieri sono rimasto ferito alle mani e alla testa. Per fortuna nulla

di molto grave. Ho tutto il corpo contuso ed è ciò che mi dà maggior fastidio ma passerà.

Sono stato investito da migliaia di sassi e schegge piccole e grandi. Per fortu-na ho la testa molto dura. Questa sera andrò all’ospedale di Cervignano ...”.

Il 21 dicembre 1916, alla vigilia della licenza invernale, fu colpito mor-talmente da una granata.

Alla fine della guerra venne sepolto nel cimitero di Redipuglia in una semplice tomba riportante il suo nome.

La famiglia Cadorin

3. fornire i nomi dei caduti non compresi nell’elenco le cui famiglie avessero autorizzato il trasferimento a Nervesa della Battaglia.

Nella richiesta veniva sottolineato come la decisione delle famiglie fosse irrevocabile e, per nessun motivo, l’ufficio avrebbe accolto in seguito ri-chieste tendenti ad ottenere la tumulazione delle salme nell’ossario.

Il 3 marzo 1933, il podestà di Vazzola inviò i dati richiesti informando che, nei cimiteri del comune di Vazzola, erano sepolti 14 soldati, ma che era stato possibile ottenere il consenso dalle rispettive famiglie per il tra-sporto nell’ossario del Montello soltanto per le salme di quattro militari:

1. Fighera Carmelo di Giuseppe sepolto nel cimitero di Visnà;2. Pellegrini Antonio fu Bortolo sepolto nel cimitero di Tezze;3. Bressan Antonio di Luigi sepolto nel cimitero di Tezze;4. Breda Luigi di Pietro sepolto nel cimitero di Tezze.

Il 2 maggio 1933, il commissario del Governo Generale di Divisione, Giovanni Faracovi, inviò al Podestà di Vazzola la comunicazione che tra l’8 maggio e il 30 giugno sarebbe giunto un reparto per procedere all’esuma-zione dei Caduti italiani. In attesa della tumulazione nei rispettivi loculi del monumento ossario, le salme, racchiuse in apposite cassette, sarebbero state trasportate a Nervesa e depositate nella chiesa di San Nicolò.

Il 4 maggio 1933 il comandante del Distaccamento Arturo De Risi in-formò il Podestà che, dalla seconda quindicina di maggio in poi, sarebbero stati disseppelliti i corpi. Pregò di avvisare le famiglie interessate al fine di conoscere se avessero desiderato presenziare all’esumazione.

I L S O L D AT O L U C I O E U G E N I O C A D O R I N

Presso il monumento ai Caduti di Vazzola, nell’elenco dei soldati dece-duti nella Grande Guerra, è riportato il nome del tenente aiutante mag-giore Lucio Eugenio Cadorin.

Nato a Vazzola l’1 febbraio 1895 da Marina Zanchetta e Giovanni Ca-dorin, Lucio Eugenio si diplomò maestro presso il collegio Brandolini Rota di Oderzo. Anche la madre e il fratello Dante (docente a Padova) erano insegnanti.

Si arruolò nell’89° reggimento Fanteria e nel 1916 andò a combattere nel Carso, dove fu più volte ferito.

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Tratto da “Il Gazzettino” del 17/05/1917

“Con pensiero gentile e altamente patriottico questo Circolo sociale ha voluto onorare la cara ed indimentica-bile memoria del proprio consocio te-nente Eugenio Cadorin, caduto nello scorso dicembre sulle balze cadorine, murando in una parete della propria sede una targa marmorea di squisita fattura. Ne è l’autore il bravo quanto modesto scultore Vittorio Celotti.

Ieri alle 11 seguiva l’inaugurazione della targa in parola alla presenza di

La tomba a Redipuglia

Il ritratto in ceramica del fi-glio fu spedito dalla madre, nel-l’agosto 1928, all’ufficio centrale C.O.S.C.G. di Padova; nell’otto-bre dello stesso anno la foto venne collocata sulla tomba del defunto a Redipuglia.

Il 22 aprile 1938 i genitori si re-carono presso il cimitero, dove era sepolto il figlio, per riportare la sal-ma a Vazzola e tumularla nella tom-ba di famiglia.

Il circolo sociale di Vazzola, aven-te sede a quel tempo nell’attuale palazzo Berna, decise di onorare la morte del tenente Cadorin, dedi-candogli una lapide collocata pro-prio all’interno della sede stessa.

Il Tenente Cadorin con i suoi commilitoni

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alto, slanciato, bruno; era buono e sognatore; un poeta. Amava il verso sonoro e scorrevole … viveva tra libri leggendo e sognando … narrava la vita di trin-cea, delle sofferenze dei nostri soldati, della triste avventura da cui era uscito da poco. Una bomba nemica caduta proprio nella sua trincea aveva tutto

Lettera di Marina Zanchetta Cadorin per la sistemazione dell’area attorno al Monumento

alcune signore e signorine, di molti soci e concittadini. Tolta la tela, il maestro Giacomo Meneghetti lesse una bella e commovente lettera dei genitori del Glorioso caduto, scusante la loro assenza alla cerimonia per ovvie ragioni … Il presidente del Circolo dott. Scipione Vezzù ricorda: Eugenio Cadorin era

Sacrario di Redipuglia: i genitori portano a casa la cassetta con i resti del figlio

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I soci del centro sociale. Seduti: Antonietta Dalla Balla, Zamarra, Maria Grisostolo Sacconi, Marina Dalla Balla Policardi D’Antiga, Angela Grisostolo Bonetti, Ina Dalla Balla Boccardini, Dott. Vezù, Bernardo Dalla Balla. In piedi: Piero Mozzetti, Lino Policardi D’Antiga, Cesare Salgarella, Bubola, Lino Cadorin, Salgarella, Renato Righetti, Alfonso Grisostolo, Ilario Fioratti, Salgarella, Enzo Boccardini

Villa Berna

La lapide al tenente Eugenio Cadorin, realizzata dallo scultore Vittorio Celotti e collocata all’interno del centro sociale presso Villa Berna

stravolto. Buona parte dei suoi soldati era rimasta uccisa; lui carico di fango, di sassi illeso. E narrava che nelle balze tridentine aveva in un furioso assalto visto morire d’intorno tutti gli ufficiali della sua compagnia e molti soldati, ma la posizione fu mantenuta egualmente. Si credeva come tutti invulnerabile e cadde quando proprio sperava di venir presto in famiglia.

Il bellissimo discorso commosse tutto l’uditorio ... poi ognuno volle vedere da vicino la bella targa in marmo carrarese recante questo verso sublime del Fo-scolo: “Ai generosi giusta di gloria dispensiera è morte” E più sotto: “Al tenente Eugenio Cadorin morto per la patria – XXI. XII. MCMXVI Nova Vas”. Due rami d’alloro finemente scolpiti ed intrecciandosi a mo’ di graffa orizzontale, completano ed integrano la dicitura”.

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I V I A L I D E L L A R I M E M B R A N Z A

L e d i s p o s i z i o n i

Il Ministero della Pubblica Istruzione, il 27 dicembre 1922, inviò a tutti i regi Provveditori agli Studi una lettera circolare con la quale fa sapere:

“… che le scolaresche d’Italia si facciano iniziatrici di una idea nobilissi-ma e pietosa: quella di creare in ogni città, in ogni paese, in ogni borgata, la Strada o il Parco della Rimembranza. Per ogni caduto nella grande guerra, dovrà essere piantato un albero; gli alberi varieranno a seconda della regione, del clima, dell’altitudine ...”.

L’indomani, lo stesso Ministero fece pubblicare sul Bollettino Ufficiale n. 52 del 28 dicembre 1922 una seconda circolare, la n. 73, nella quale vennero illustrate le “norme per la costituzione dei Viali e Parchi della Ri-membranza”:

“… tre regoli di legno dai tre colori della bandiera nazionale … descrivano un tronco di piramide triangolare e siano tenuti fissi da sei traversine sottili di ferro … Uno dei regoli e precisamente quello colorato in bianco, alquanto più lungo degli altri due, dovrà portare a 10 cm dall’estremità superiore una targhetta in ferro smaltato, con la dicitura:

IN MEMORIA DEL (grado, nome, cognome)CADUTO NELLA GRANDE GUERRA IL (data) A (nome della battaglia)”.

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0,75 x 0,55, in marmo bianco di Carrara levigato e lavorato dai quattro lati, con quattro borchie in bronzo e con l’incisione e la verniciatura di 78 lettere alte cm. 4, fu eseguita da Giovanni Gera, scalpellino con laborato-rio a Conegliano.

In occasione dell’inaugurazione furono acquistate, dalla ditta Vincenzo Varisco di Vazzola, 8 bottiglie di Vermuth bianco e pasticcini per com-plessive £ 96.

Frontespizio dell’opera di Dario Lupi su “Parchi e viali della rimembranza”, Firenze 1923

I t r e v i a l i a Va z z o l a

Anche il Comune di Vazzola si attivò per creare questo “luogo della memoria”. Al 15 ottobre del 1923 infatti Vazzola era uno dei comuni che aveva già costituito il comitato per l’inaugurazione dei parchi o viali della Rimembranza.

Tale comitato e l’Amministrazione Comunale di Vazzola il 7 febbraio 1923 disposero:

“… di collocare le piante in memoria dei caduti per la Patria lungo i via-li d’accesso dei rispettivi cimiteri comunali delle diverse frazioni ritenendole queste località le più adatte. I Caduti per la Patria appartenenti a questo Comune sommano a N. 130 …” .

Con una circolare del 13 marzo 1923 il Corpo Reale delle Foreste, Dip. di Treviso, distretto di Vittorio Veneto, fece sapere che, le piantine forestali occorrenti per la creazione dei tre viali della Rimembranza del Comune di Vazzola, sarebbero state gratuitamente distribuite dal Mi-nistero dell’Agricoltura (Direzione Generale delle Foreste).

Il Comune di Vazzola spese com-plessivamente, per la formazione del viale della Rimembranza del ca-poluogo, £ 2.548,20 come da man-dato di pagamento in data 6 luglio 1923. Dall’elenco delle spese risulta che le 55 colonnine (regoli) furono eseguite dalla ditta Ferrandi di Su-segana per un importo complessivo di £ 793,40.

Le placche in ferro smaltato di cm. 10 x 4 arrivarono dalla ditta “Fabbrica Timbri Studio d’Incisioni Rigoli & Fraschini” di Milano per una spesa di £ 166,20.

La lapide di intitolazione, di m. Schema di messa a dimora delle piante

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Il Comune di Vazzola incaricò inoltre la sig.ra Elena Zanchetta per la pulizia dei viali e del giardino del monumento ai Caduti, come risulta dai mandati di pagamento bimestrale per complessive £ 27.(Comune di Vazzola – Archivio B. 23 C.c. 1925)

Comunicazione del numero dei caduti

In conclusione è interessante il conto presentato dalla fruttivendola Rosalia Mutti per 612 arance a cent. 20 l’una, distribuite agli alunni del-le scuole del Comune di Vazzola che presero parte all’inaugurzione delle bandiere scolastiche, del viale della Rimembranza e della Festa degli Alberi avvenute il 29/04/1923. Successivamente il Comune, in data 17/11/1924, spese £ 419,60 per la fornitura di altre 34 piante che furono collocate a completamento del viale della Rimembranza.(Comune di Vazzola – Archivio B. 16 C.c. 1923, B. 17 C.c. 1924)

Cartolina commemorativa a ricordo S.E. Dario Lupi ideatore dei parchi o viali della Rimembranza

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L a c e r i m o n i a d ’ i n a u g u r a z i o n e

Domenica 29 aprile 1923, alle ore 10 circa, la folla si radunò nella piazza Maggiore di Vazzola davanti al palazzo municipale. Erano presenti la Giunta Comunale al completo, il patronato scolastico col presidente dott. Vezù, Antonio Pennacchio, Giuseppe Vettori e Fioratti, il direttore didattico Giacomo Meneghetti, al quale va tributato, assieme al Sindaco Carlo Candiani, il maggior merito delle riuscite cerimonie.

All’inaugurazione dei nuovi viali della Rimembranza erano presenti: tutti gli scolari del comune di Vazzola con le loro insegnanti, l’asilo infan-tile, le orfanelle dell’orfanotrofio, la centuria di Tezze della Milizia Nazio-nale, i comandanti di Vazzola Gustavo Poletti e Dalla Balla, l’architetto Luigi Candiani, il commendatore Giovanni Folie, il cavaliere Busolin, il dottor Plotti e il dottor Mazzotti, il segretario di Vazzola Toffoli, i fratelli Candiani, don Giacomin, parroco di Tezze, don Cappellotto, parroco di Visnà e l’Esercito, rappresentato dal valoroso capitano Cadorin.

Don Lucio Sartori, cappellano di Vazzola, diede inizio alla cerimonia con la rituale benedizione dei vessilli che fu ben lieto di consegnare al primo cittadino e alle scuole, non dopo aver pronunziato un discorso in-tonato ad alti sensi di fede e amore per la patria. Altrettante vibrate parole di patriottismo pronunziarono il Sindaco Carlo Candiani “… mai come ora il tricolore fu simbolo fedele d’Italia” e il comandante Gustavo Poletti.

“Dalla Piazza si snoda quindi il lungo corteo di autorità, scuole e popolo con le camicie nere in testa, e si recò nel Viale della Rimembranza davanti al cimitero. Si allineano 50 ippocastani con 50 colonnine sulle quali furono po-ste 50 targhette che ricordano i valorosi caduti di Vazzola. Una lapide su cui sovrasta una lampada votiva incita: “Non lagrime chiedono i morti ma qui chiamano i viventi a imparare come si ami la Patria. 29 Aprile 1923”.

Tratto da “Il Gazzettino” dell’1/05/1923

Don Lucio Sartori impartì la sua benedizione al viale esaltando il valore dei prodi che tutto diedero senza nulla domandare.

Dopo una commovente poesia sulle glorie lontane e vicine di Vazzola, de-clamata da un’orfanella, salì sul tavolo l’architetto Luigi Candiani e porse una parola di plauso per quanto seppe nobilmente compiere Vazzola per i suoi morti. Le memorie di guerra furono chiaramente esposte dal capitano Cado-rin, mentre, ricordando il cimitero austriaco di Vazzola, tributò una degna parola di rispetto per coloro che caddero per il compimento di un dovere.

Inoltre la Giunta municipale di Vazzola, in data 10/11/1924, deliberò la spesa di £ 400 per l’acquisto di due tubi in ghisa, forniti dal Comune di Conegliano, come antenne con fanali per l’illuminazione, da collocarsi presso il monumento ai Caduti.

(Comune di Vazzola – Archivio B. 17 C.c. 1924)

Richiesta da parte del Corpo Reale delle Foreste sul luogo da destinare al viale delle Rimembranza

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Discorso di don Lucio Sartori per l’inaugurazione del viale di Vazzola

Dopo i discorsi, i fanciulli delle scuole intonarono i canti nazionali. Seguì quindi l’ultima più semplice cerimonia della festa degli alberi e, alle dodici, ebbe luogo un banchetto all’albergo Italia al quale parteciparono autorità, rappresentanze e tutto il corpo insegnante.

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là c’era un capitello (risalente al 1400) da dove partiva il viale della Rimem-branza che finiva all’inizio del viale del cimitero che era spostato di una de-cina di metri rispetto all’attuale (più a ovest verso via Nardi). Il termine del viale era indicato da una lapide, con un lumino, posta sulla mura dell’asilo (attualmente si nota ancora il segno della sua collocazione).

Hanno piantato tutti castagni, con colonnine sulle quali era posta una tar-ghetta riportante il nome del caduto. Inizialmente c’era un fosso tra la strada e l’attuale famiglia Salvador e l’acqua passava sotto le case. Il viale era più stretto, poi hanno coperto il fosso, lo hanno allargato e l’entrata del viale del cimitero è stata spostata dove si trova oggi. I castagni erano ai lati della strada, lungo l’attuale proprietà Salvador e la mura dell’asilo …”.

( Te s t i m o n i a n z a d i D e s i d e r i o To m a s i n )

“… Mi ricordo che davanti al viale del cimitero, che è già stato spostato due volte, da una parte c’era il cimitero degli austriaci e di qua del muro del-l’asilo erano piantati gli alberi. Dirimpetto sono passati dei predicatori, dei frati che hanno fatto un tirocinio di prediche e hanno benedetto e fatto una croce grande come una stanza, con due travi, e l’hanno installata a simbolo

Il viale di Vazzola Il viale di Visnà

G l i a l b e r i d e l r i c o r d o o g g i

Per formare i tre viali della Rimembranza di Vazzola, Visnà e Tezze, furono messe a dimora 130 piante.

A Tezze il viale conserva la sua struttura originale, nonostante numerosi siano stati i reimpianti.

Il viale di Visnà è stato invece rimaneggiato in modo evidente e non rispecchia il numero iniziale delle piante.

Dalla testimonianza della sig.ra Toffoli e di altri anziani del paese, ri-sulta che il tracciato dell’attuale viale della Rimembranza di Vazzola non è fedele a quello originale.

( Te s t i m o n i a n z a d e l l a S i g . r a Te r e s a To f f o l i i n Ve t t o r e l l o )

“…Tra il palazzo Nardi e la casa dove abitavamo noi, c’era un grande arco con un portone che alla sera veniva chiuso e passavano solo i fittavoli Ceotto. C’era anche una siepe con le carobole. Di lì passava un corso d’acqua dove i miei fratelli pescavano le tinche. L’entrata della nostra casa era sulla strada, allora proprietà di Nardi e faceva angolo fra via Nardi e via S. Rocco. Proprio

Manifestazione patriottica davanti al municipio di Vazzola con la partecipazione delle autorità, reduci e scolaresche con le loro bandiere; sull’angolo a sinistra la banda musicale di San Polo di Piave

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In seguito i castagni sono stati tolti in quanto le foglie sporcavano tutta la strada e le suore dell’asilo si lamentavano perché cadevano sul terreno di loro proprietà.

Il vero viale della Rimembranza non c’è più, ma possiamo dire che esi-ste ancora a Vazzola, ed è costituito dal viale di accesso al cimitero, dove i cipressi rispecchiano più o meno l’originale numero di ippocastani.

Gli alberi dei tre viali non recano più la targhetta con la dedica al cadu-to corrispondente, ma continuano a testimoniare la sacralità del luogo.

Antica mura dell’asilo in via San Rocco dove sono visibili le tracce della lapide del viale della Rimem-branza

del passaggio di questo giubileo. Dopo, la croce si è marcita, era di abete ed è stata sostituita …

… Un pezzo di lapide dei caduti è capitato in mano anche a me e adesso non so dove sia. Volevo fare un tratto di marciapiede lungo la casa di Ghe-din, che era pieno di erbacce e allora ho domandato a Silvio Tonello, che faceva lo stradino, dei pezzi di mar-mo che lui buttava via e me li ha dati: insieme a quelli c’era anche una parte della lapide dei caduti …”.

Il viale di Tezze

Antico capitello posto un tempo all’incrocio fra le attuali via Nardi e via San Rocco Ricostruzione visiva del viale della Rimembranza con la lapide in un quadro di Roberto Vettoretti realizzato nel 2008

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I L P E N N O N E

U n a r e a l i z z a z i o n e a f f r e t t a t a

Il 5 dicembre 1926, in occasione della consegna dei gagliardetti alle associazioni di Vazzola, fu inaugurato il nuovo pennone collocato nella piazza Maggiore del capoluogo, di fronte la sede municipale, per esporre lo stendardo comunale.

Il progetto per la costruzione del piedestallo in cemento, con tre stem-mi del Comune di Vazzola ed uno del Fascio Littorio, con relativa anten-na, fu preparato dal prof. arch. Luigi Candiani con una spesa prevista di £ 3.000. La realizzazione del basamento e dei gradini fu eseguita da Giu-seppe Agnoloni, mentre l’antenna in pino iniettato, alta quindici metri fu fatta arrivare da Mestre per una spesa finale complessiva di £ 3.700.

Solo dopo un mese dall’inaugurazione, il Consiglio Comunale deliberò, il 20 gennaio 1927, di approvare la spesa per la costruzione dell’antenna e di far fronte con la contrattazione di un mutuo, di pari importo, con la Banca Agricola di Vittorio-Conegliano, estinguibile in tre annualità al tasso dell’8%.

L a G i u n t a P r o v i n c i a l e s i o p p o n e

La Giunta Provinciale, nella seduta del successivo 14 febbraio 1927 non approvò la delibera “… poiché la spesa, assolutamente facoltativa e non necessaria, dissente da quelle stesse direttive di rigida economia volute dal R. Governo e si emette ordinanza di rinvio degli atti …”.

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Il tricolore sventola sul nuovo pennoneIl basamento appena realizzato ancora senza antenna

Nella successiva convocazione del Consiglio Comunale, in data 11 aprile 1927, in considerazione del fatto che si discuteva su un’opera che era già stata realizzata da alcuni mesi, si deliberò di far fronte alla spesa col fondo ricavato dalla vendita delle baracche e di impegnarsi ad assumersi personalmente la spesa qualora questa non fosse approvata.

La Giunta Provinciale, in data 23 maggio 1927, non approvò di nuovo. La situazione era alquanto ingarbugliata e si trascinò per diverso tem-po. Con la fine dell’Amministrazione presieduta da Carlo Candiani, ar-rivò a Vazzola il primo commissario prefettizio, il cav. Alfonso Sardelli. Il 6 settembre 1929, con la delibera n° 321, questi decise di costituirsi in giudizio contro l’ex Sindaco Carlo Candiani e i dieci consiglieri che avevano approvato la delibera di spesa per l’antenna: Giuseppe Agnolo-ni, Ferdinando Brugnera, Girolamo Finetti, Egidio Giacomini, Angelo Daniotti, Donato Bellussi, Vincenzo Maccari, Lorenzo Maccari, Giovan-ni Poloni, Marco Battistella e l’ex segretario comunale Leone De Toffoli.

L’ i n g i u n z i o n e d i p a g a m e n t o

Agli ex amministratori furono accollate anche le spese di due altre de-libere del periodo, non approvate dalla Giunta Provinciale, riguardanti l’acquisto delle divise degli avanguardisti e l’assunzione di una guardia municipale.

Ad ognuno dei citati amministratori fu inviata una raccomandata, in data 16 dicembre 1929, con la richiesta di un rimborso, entro otto giorni, rispettivamente di: Candiani £ 791,40, Agnoloni £ 515,10, Brugnera £ 515,10, Finetti £ 791,40, Giacomini £ 515,10, Daniotti £ 791,40, Mac-cari £ 515,10, Poloni £ 515,10, Battistella £ 515,10, De Toffoli £2.491,40 e Bellussi £ 1.700.

Da una lettera del Consigliere comunale Lorenzo Maccari di Visnà, successiva all’ingiunzione di pagamento, possiamo rilevare la sua testimo-nianza, quando afferma che “… il sottoscritto è intervenuto alle sedute ed ha approvato assieme a tutti, quando già tutto era stato fatto dietro assicurazione perché il Signor Sindaco Candiani tacitava l’assemblea assicurando che egli stesso avrebbe assunto qualsiasi responsabilità da parte della Giunta Provin-ciale …”.

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zione dei quali ho dato tante prove anziché affrontare dei giudizi dei quali il legale ha dichiarato di assumersi la responsabilità …”.

La Giunta Provinciale, in data 6 dicembre 1929, riconfermò ancora una volta la responsabilità degli amministratori e l’ingiunzione al pagamento.

Non c’è dato sapere come si concluse la vicenda del pennone; possiamo solo constatare che i dissidi tra la Giunta Provinciale di Treviso ed il Co-mune di Vazzola chiusero in modo imbarazzante l’esperienza amministra-tiva del Sindaco Carlo Candiani, durata sette anni. Forse questa vicenda contribuì anche al suo successivo distacco da Vazzola, poiché lo troviamo presente prima a Roma e poi per un periodo addirittura in Africa. Gli va attribuito, certamente, il merito di aver guidato la ricostruzione del paese, la ripresa della vita civile ed amministrativa in momenti veramente diffi-cili. Della sua opera ci restano varie testimonianze, tra le quali possiamo riconoscergli il merito di aver realizzato un monumento ai caduti con gusto artistico, competenza organizzativa e tanta … pazienza.

Il pennone davanti al vecchio Municipio

Il progetto dell’arch. Luigi Candiani

L’ex segretario comunale Leone De Toffoli scrisse da Tarzo il 9 agosto 1929 che: “… alla fornitura delle divise ai Balilla e alla costruzione dell’an-tenna aveva provveduto direttamente in precedenza al voto del Consiglio il Sindaco Carlo Candiani. Il Consiglio era consapevole di ciò ed ha ritenuto opportuno di approvare i preventivi delle spese già eseguite …”.

Più tranquilla la risposta dell’ex Sindaco Carlo Candiani che in data 11 luglio 1929 così scrisse al commissario prefettizio di Vazzola: “…il fatto stesso che spese simili sono state approvate per altri comuni consiglierebbero piuttosto il definitivo accollamento delle spese al comune, mi permetto di pre-gare la S.V. Ill.ma di considerare la cosa con quei criteri di larga amministra-

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1969 - Associazione combattenti e reduci di Vazzola

1996 - 40° Raduno Interegionale Bersaglieri 1998 - 80° Anniversario della Vittoria

M a n i f e s t a z i o n i l e g a t e a l m o n u m e n t o

1967 - Circuito del “Medio Piave”

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2000 - Inaugurazione della lapide in ricordo degli aviatori morti in guerra

Rientro in Patria del soldato Romano Zanchetta dal cimitero militare di Luckenwalde (Germania) 2006 - Raduno Interegionale Bersaglieri

1991 - Rientro in Patria dei Bersaglieri Lodovico Zanella e Aurelio Salvador

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C O N C L U S I O N E

A ottantacinque anni dalla sua realizzazione ed inaugurazione, il monu-mento ai Caduti di Vazzola è ritenuto ancora oggi dagli esperti e studiosi d’arte uno dei meglio riusciti artisticamente, se non il migliore, fra quelli eretti nella Sinistra Piave in diocesi di Vittorio Veneto, riconfermando ancora una volta il giudizio estetico espresso dall’architetto Vincenzo Ri-naldo nella sua perizia del 1923.

Il nostro lavoro, iniziato tre anni fa con il ritrovamento del fascicolo sul monumento, si conclude oggi con la pubblicazione di una ricerca che offre una cronaca originale e forse unica nel suo genere delle vicende dello scultore Bassignani e della sua opera inserita nel contesto storico vazzolese del primo dopoguerra.

Per quanti in futuro vorranno approfondire questa storia proponiamo una visita innanzitutto a Fivizzano, città natale del Bassignani, ed al suo monumento, identico a quello di Vazzola. I suoi attrezzi da lavoro sono esposti presso il ristorante gestito dalla nipote Marcella a Sarzana e molte sue opere, soprattutto monumenti funebri sono visitabili nel Principato di Monaco; infine per concludere, una visita alla sua tomba nel cimitero di Lerici.

Per il gruppo di appassionati ricercatori, che hanno visto il concretizzar-si di questa pubblicazione, è stata una notevole soddisfazione personale, grazie alla sensibilità e alla disponibilità dell’Amministrazione comunale, andare oltre alla stampa del libro e ricollocare la lapide del Viale della Ri-membranza che nel tempo era andata prima dispersa e poi dimenticata. L’abbiamo voluta realizzare nel modo più fedele all’originale con lo stesso marmo, le medesime dimensioni e parole e rimessa sulla mura dell’asilo

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R I N G R A Z I A M E N T I

Siamo riconoscenti a tutti coloro che hanno collaborato o che ci hanno fornito il materiale.

Don Rino DamoDon Antonio BotteonDon Marcello De NardoDaniela e Marcella BassignaniMario BernardiGabriella CandianiVincenzo CandianiFam. Boccardini Dalla BallaElisa CadorinLuigia Cellot Roma Stefano EspositoGabriele PellizzerItalino RossiLuigi GrisostoloGiancarlo Bardini Maurizio LucheschiFamiglia RighettiPierluigi RovedaTarcisio RovedaLamberto BellussiInnocente AzzaliniMarc’Antonio Alessi

Gaudenzio BaseottoGianna RizzottoPietro TomasellaPietro CellotMariagabriella RonchiGiulietto CadorinMartino CamattaFamiglia Angiola BusolinMarco BattistellaLuigia MaccariSante Dell’OnoreGiampietro AgnoloniGiuseppe AgnoloniAntonio MarconLucio Dal ColTeresa FinettiItalo MaccariGiuseppe CamerottoAngelo CitronAntonio BonottoVinicio CesanaGianluca Zaia

nella sua originale collocazione posta all’incrocio del Viale della Rimem-branza con quello d’accesso al cimitero. E’ un ulteriore segno che ricor-derà a tanti concittadini, pur senza l’albero, la colonnina e la targhetta, il sacrificio di tanti giovani e padri di famiglia.

Nel 1923, come ripetono la lapide del Viale della Rimembranza e la scritta scolpita alla base del monumento, era finito il tempo delle lacrime per lasciare il posto, a cinque anni dalla fine delle ostilità, al ricordo degli eroi che con il sacrificio della loro vita erano stati di monito per l’esempio di amore per la Patria.

Questo libro e soprattutto questo monumento e questa lapide sono oggi un richiamo rivolto ai nostri giovani e alle generazioni future per comprendere come la pace fra i popoli sia l’obbiettivo di ogni persona con la speranza e l’augurio che non ci siano mai più guerre.

Vazzola oggi si riappropria del proprio passato che viene riproposto a distanza di molti decenni con il racconto di vicende umane e fatti di guer-ra in gran parte inediti e se nei nostri concittadini avremo risvegliato l’interesse e la voglia di riscoprire queste vicende, che riteniamo cruciali nel corso dell’ultimo secolo, la nostra fatica non sarà stata vana.

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B I B L I O G R A F I A

BOTTEON E SCRIZZI (1915), Cronachetta della villa e parrocchia di Visnà, Conegliano. CAPITANO LUIGI CONTINI (1933), Francesco Baracca l’asso italiano, Omero Marangoni Editore, Milano.COMANDO SUPREMO (1918), The battle of Vittorio Veneto, Royal Italian Army.COMMISARIATO PER LE RIPARAZIONI DEI DANNI DI GUERRA (1924), Le ricostruzioni nelle terre liberate, Libreria dello Stato, Roma.DARIO LUPI (1923), Parchi e Viali della Rimembranza, R. Bemporad e Figlio Editori, Firenze.DON DOMENICO ZANETTE (1919), Pura e forte – in memoriam, Padova.DON GIOVANNI DAL POZ (1937), L’invasione – diario di un profugo, Luigi Guim Noale.DON RINO DAMO (1990), Vazzola – 5° centenario della consacrazione della chiesa, Vittorio Veneto. GABRIELLA CANDIANI (1995), Storia di una famiglia. GIOVANNA TERZARIOL FABRIZIO (2006), Vittorio Celotti Scultore (1866-1942), Edizioni della Laguna. GIOVANNI CECCHIN (1997), Piave Monticano Tagliamento, Collezione Princeton, Cittadella. LUCHESCHI MAURIZIO (1990), I Lucheschi, Arti Grafiche Conegliano, Susegana – Treviso.MALFERRARI E. e C. (09/1923), Monumenti della riconoscenza eretti dagli italiani ai caduti per la patria nella grande guerra MCMXIV-MCMXVIII, Casa editrice Bologna.MARIO BERNARDI (1989), Di qua e di la’ del Piave, Ed. Mursia.MARTIN HARDIE E WARNER ALLEN (1920), Our italian front, A. & C. Black LTD. , London.MONSIGNOR COSTANTE CHIMENTON (1929), San Michele di Piave e la sua nuova chiesa, Treviso. PAOLA BOTTINI E VALERIA VERRASTRO (2006), Villa Nitti a Maratea: il luogo del pensiero, Rubettino Industrie Grafiche ed Editoriali, Soneria Mannelli (CZ).PAOLO POZZATO E TIBOR BALLÀ (2005), Il Piave. L’ultima battaglia della Grande Guerra, Gino Rossato Editore, Noale.ROBERTO CATALANO (1970), Le battaglie del Piave, Varesella Grafica Editrice, Varese.A.MASCHIETTO, Tezze di Piave, storia di una parrocchia, a cura di SOLIGON I. (2001) Ed. Arti Grafiche, Pieve di Soligo.VINCENZO RUZZA (1992), Dizionario biografico Vittoriese e della Sinistra Piave, Sistema Bibliotecario del Vittoriese, Dario De Bastiani Editore, Vittorio Veneto.

Antonino AntoniazziFranco CastagnerMassimo ToffoliTeresa ToffoliBattista GavaDesiderio TomasinGuido ContiniInes Da DaltoAngelo MarionAnnamaria Polese

Franco BazzoEliano PavanCinzia ZanardoAldo ToffoliAnnamaria NinoMarialuisa NinoMaria Grisostolo BernaFrancesco BianchiGiovanna Terzariol FabrizioArcangelo Cecchetto

Bozzetto di Giacomo Citron (1901-1976) con le caricature dei personaggi più importanti di Vazzola nel primo dopo guerra

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I N D I C E

Presentazione .........................................................................................................................pag. 5

Le testimonianze .........................................................................................................................11

La cronaca dell’invasione .......................................................................................................25

Luoghi della memoria ..........................................................................................................101

Vazzola ..............................................................................................................................103

Tezze ... 147

Visnà .. 195

La vita amministrativa ..........................................................................................................209

Il monumento ai Caduti di Vazzola ............................................................................239

I viali della Rimembranza ..................................................................................................335

Il pennone .... 349

Conclusione 359

Ringraziamenti ..........................................................................................................................361

Bibliografia ... 363

A R T I C O L I D I G I O R N A L E

Il GazzettinoIl Gazzettino IllustratoIllustrazione VenetaL’AzioneLa ColonnaLa Vita del Popolo Le Petit Monegasque

D O C U M E N T I E M A N O S C R I T T I

Documenti provenienti dalla curia di Vittorio Veneto:DOMENICO ZANETTE (25/03/1919), Relazione dell’invasione nemica (1917-18). DON ANGELO PEDRON (25/02/1919), Relazione dell’invasione nemica (1917-18). DON GIOVANNI DAL POZ, Relazione dell’invasione nemica (1917-18). ELISA FAGNOL, Piccoli ricordi dell’invasione tedesca.

B I B L I O T E C H E P U B B L I C H E - P R I VAT E E A R C H I V I

ARCHIVIO COMUNE DI VAZZOLAARCHIVIO DELLA CURIA DI VITTORIO VENETOARCHIVIO NOTARILE DI TREVISOARCHIVIO PERSONALE DELLA FAMIGLIA CADORINARCHIVIO PERSONALE DELLA FAMIGLIA ZANARDOARCHIVIO PRIVATO DANIELA BASSIGNANIARCHIVIO STORICO DELL’ORDINE DEGLI ARCHITETTI DI TREVISOARCHIVIO STUDIO DA ROS DI VAZZOLAARCHIVIO PRIVATO INNOCENTE AZZALINIARCHIVIO COMMONWEALTH WAR GRAVES COMMISION DI ROMABIBLIOTECA COMUNALE DI FIVIZZANOBIBLIOTECA DEL SEMINARIO DI TREVISOBIBLIOTECA DEL SEMINARIO DI VITTORIO VENETO CENTRO DI DOCUMENTAZIONE STORICA DELLA GRANDE GUERRABiblioteca di S. Polo di Piave

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Via Casere, 9 - 31020 Visnà di Vazzola (TV)Tel. 0438.441474 [email protected]

Borgo Bellussi, 26 - 31020 Tezze di Vazzola (TV)Tel. 0438.28439 - Fax 0438.28992 - www.azienda-agricola-bellussi.it

Via G. Cantore, 55 - Visnà di Vazzola (TV)Tel. 0438.441248 - Fax 0438.740992 - www.maccarivini.it

S PUMAN T I

Via G. Cantore, 35 - Visnà di Vazzola (TV) - Tel. 0438.444700 Fax 0438.444791

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