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SIAD • Società Italiana Autori Drammatici RIDOTTO MENSILE NUMERO1/2 GENNAIO/FEBBRAIO 2009

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SIAD • Società Italiana Autori Drammatici

RIDOTTO

MENSILE • NUMERO1/2GENNAIO/FEBBRAIO 2009

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RIDOTTO

EDITORIALEEttore Zocaro, Le memorie perdute del teatro italiano pag 2

TESTI ITALIANIa cura del Comitato di Redazione pag 4

INCONTRIStefania Porrino, Un incontro al Burcardo: le opere di Nicola Saponaro pag 6

POESIE IN TEATROGennaro Aceto, Pulcinella: ‘Na maschera e ciente penzieri’ pag 8

LIBRICarlo Vallauri, Trionfo dei corpi negli emozionantispettacoli di Pina Bausch pag 15

Mario Verdone, Teatro drammatico e lirico, e “Libretti” pag 17

NOTIZIEMc.B., Mario Fratti a New York pag 18

TESTI ITALIANIMaricla Boggio, La Merlin pag 19

AMICI DEL TEATROI 60 anni del Festival di Pesaro pag 32

Indice

Mensile di teatro e spettacolo fondato nel 1951SIAD c/o SIAE - Viale della Letteratura, 30 - 00144 Roma Tel 06.59902692 - Fax 06.59902693 - Segreteria di redazioneAutorizzazione del tribunale di Roma n. 16312 del 10-4-1976 - Poste Italiane Spa ˆ Spedizionein abbonamento postale 70% DCB Roma - Associata all’USPI (Unione Stampa Periodica) -Ccp n. 44385003 intestato a: SIAD Roma.Il pagamento può anche essere effettuato sul Banco di Sicilia ag. 10 - Eur - Piazza L. Sturzo,29 - Roma - c/c 125750ABI 01020 - CAB 03210 intestato a S.I.A.D. - Società Italiana Autori DrammaticiPrezzo del fascicolo € 10,00 – Estero € 15,00Abbonamento annuo € 50,00 – Estero € 70,00Numeri arretrati € 15,00ANNO 57° - numero 1/2, gennaio/febbraio 2009 finito di stampare nel mese di gennaioIn copertina: Lina Merlin in una fotografia giovanile

Direttore responsabile: Mario Verdone • Direttore editoriale: Maricla BoggioComitato redazionale: Gennaro Aceto, Maricla Boggio, Stefania Porrino, Mario Prosperi, Giorgio Taffon, Mario Verdone • Segretaria di redazione: Silvia MeloniGrafica composizione e stampa: L. G. • Via delle Zoccolette 24/26 • Roma • Tel.06/6868444-6832623

Il pagamento della quotarelativa alla appartenenzaalla SIAD è importante perla nostra attuale situazione,ancora in bilico per quantoriguarda i fondi per le atti-vità. La quota dà diritto ainumeri della rivista Ridot-to, alla partecipazione agliincontri e alle altre manife-stazioni della SIAD, esoprattutto consente diinstaurare un dialogo ver-bale e collegato alla rivistaRidotto con gli altri autori.Se vi è possibile, vi chiedia-mo di versare tale quota:

Euro 50,00 C/C 44385003Intestato a:S.I.A.D. Società Italiana AutoriDrammaticic/o SIAE Viale della Letteratura, 3000144 RomaCausale: Quota associativa

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EDITORIALE

LE MEMORIE PERDUTEDEL TEATRO ITALIANO

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Ettore Zocaro

Finite nel nulla molte commedie di successodel recente periodo

Che fine hanno fatto le commedie italianeche negli ultimi cinquant’anni del secolo

scorso avevano riscosso un buon successo? Miriferisco alle opere di quegli autori che oltre adottenere un vivo interesse da parte del pubblicoavevano ottenuto anche una non comune atten-zione da parte della critica. Insomma buoniincassi al botteghino e al tempo stesso in primafila nelle cronache dei giornali. Un risultato quindi che non sembrava destinatoa svanire rapidamente. Invece, di molte di que-ste commedie, mi accorgo che non si è saputopiù nulla, soffocate o disperse dai successivieventi teatrali, tanto che in molti casi non se neconserva neppure il ricordo. Non dico fra la

gente che abitualmente va a teatro ma persinofra i professionisti che operano ogni giornodietro le quinte (restano appena le documenta-zioni cartacee rintracciabili nella storica biblio-teca romana del Burcardo). E’ vero che, nono-stante questa situazione di abbandono, uncostante repertorio italiano esiste con il ricor-rente Eduardo De Filippo (si tratta giustamentedella presenza più richiesta), e che ci sonoanche altri che sporadicamente si riaffacciano,fra i quali Pier Paolo Pasolini, Annibale Ruc-cello, Vitaliano Brancati, Ugo Betti, LeonardoSciascia, Ennio Flaiano, Natalia Ginzburg,Giovanni Testori, Aldo Nicolaj, Corrado Alva-ro, Franco Brusati, e qualche altro. Ma ci sichiede: tutto il resto dove è andato a finire,probabilmente calato per noncuranza in unazona sommersa da dove non è più possibile rie-mergere? Si assiste così a una vera e propriacancellazione di gran parte del nostro teatro di

In questa stagione, come già nelle ultime pre-cedenti, innumerevoli testi di nuovi autori si

affollano in cantine, spazi di periferia, teatri diquartiere. Sono il segnale di un rinnovato desi-derio di rappresentare e soprattutto di rappre-sentarsi, in una società dei mass media e deisuoni ingigantiti, in cui il divertimento parte inprevalenza da un invito alla partecipazione dimassa come garanzia di successo.Il teatro si fa invece minimo, sia nella rappre-sentazione che nella fruizione. Chi fa questoteatro è spesso autore, regista, attore. Se l’ele-mento positivo è quello della volontà di dialo-gare hic et nunc come presenza viva ad altre –poche – presenze vive, rimane in sospeso il giu-dizio sul come e il che cosa. L’urgenza di rap-presentarsi cela sovente l’ignoranza dei mezzinecessari per farlo come forma espressiva d’ar-te: il passato viene ignorato, come se tutto par-tisse dalla propria volontà di rappresentazione,mentre niente prima pare essere accaduto. Cul-tura e tecnica dei mezzi espressivi sono neces-sari per ottenere davvero un rinnovamento chesia anche un proseguimento della nostra storia.

Ettore Zocaro ha ripercorso gli ultimi cin-quant’anni del secolo appena concluso, rica-vandone una riflessione ricca di nomi che rap-presentarono in una gamma variegata di ango-lazioni la nostra società del secondo Novecen-to. Nomi un tempo famosi, le cui opere fecerodiscutere, suscitarono polemiche, scandalipolitici e morali, in nome di una ricerca corag-giosa della verità e della libertà di pensiero. Adifferenza che in altri paesi – come l’Inghilter-ra con Coward, Osborne, Pinter; o la Franciacon Camus, Sartre, Gide, Tardieu, Genet laGermania con Brecht, Müller ecc. – l’Italiadimentica i suoi autori, ai quali va il merito dimantenerne viva la storia, come avviene attra-verso gli autori di romanzi e racconti. Questavasta carrellata fissata da Zocaro ci riportacon nomi, titoli ed argomenti, ad un passatoancora ben vivo e testimone delle nostre vicen-de, toccando temi che vanno dalla politica allamorale, alla religione, ai sentimenti privati ecosì via.

MC.B.

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EDITORIALE

appena ieri che al momento era sceso in campocon molte promesse per combattere le sue bat-taglie, peraltro fra le incomprensioni e gli osta-coli di solito riservati ai nostri autori non anco-ra diventati dei classici. Si tratta di uno dei tan-ti e strani misteri del teatro italiano poco versa-to a conservare e valorizzare i suoi figli miglio-ri abbandonandoli a se stessi lungo la strada,consegnandoli a un oblio perlopiù senza vied’uscita. Un buco nero, dunque, che pesa e cheè da considerare particolarmente grave per lacontinuità di una tradizione che non si può per-mettere zone desertiche prive di voci che larappresentino. Andando un po’ più indietro, negli anni ’30,c’era stata una produzione drammaturgicanazionale viziata di autarchismo e di vari prote-zionismi di regime, serie di commedie che si èritenuto opportuno dimenticare perché in gene-re evasive e fragili, tuttavia i nomi dei loroautori in qualche modo resistono perché ritro-viamo spesso i Calzini, i De Benedetti, i Colan-tuoni, i Gherardi, i Viola, i Tieri, gli Adami, iFalconi, come soggettisti o come sceneggiatoricinematografici nei film dell’epoca. Tornandoai “dispersi” degli anni post ’50 la griglia dicoloro che popolano il dimenticatoio in oggettopuò essere aperto da due opere particolarmentesignificative, “Processo a Gesù” di Diego Fab-bri e “La mascherata” di Alberto Moravia, duetitoli dai quali ci si sarebbe aspettati nel tempouna maggiore durevolezza. Sarebbe una fortunase ci fermassimo soltanto a loro La griglia cheabbiamo in mente è invece ampia. Comprendeautori che riemergono nella memoria comecampioni di stagioni che si credevano scoppiet-tanti ma che, al contrario, tali non erano perchési sono rapidamente dissolte. Si va da SilvioGiovanninetti, i cui successi con “L’abisso”,“L’oro matto” e “Sangue verde” sembravanoben fermi, a Carlo Terron, il quale con “Proces-so agli innocenti” e “Lavinia fra i dannati” aspi-rava di incidere in un teatro fatto di elementiantichi e moderni. Nel prosieguo non si puònon ricordare Enrico Bassano, commediografoappartato e profondo, strettamente legato aGenova, che ha dato commedie come “Unocantava per tutti” e “Come un ladro di notte”che volentieri si vorrebbe ritrovare. Ci sono poidiversi “casi”, quasi vulcanici nei giorni dellaloro esplosione: quelli di Gian Paolo Callegari

con “Cristo ha ucciso”, quadro della situazionedi una società uscita dalla guerra, di LeopoldoTrieste con “Cronaca”, di Federico Zardi con “Itromboni” e “I Giacobini”, di Guido Rocca con“I coccodrilli”, di Giuseppe Dessì con “La Giu-stizia”. Basterebbe riandare al clamore suscitatoda questi testi per provare ora un senso di scon-certo. Ma non mancano altri esempi: “D’amoresi muore” di Giuseppe Patroni Griffi, “Il tumul-to dei Ciompi” di Massimo Dursi, “I confesso-ri” di Vincenzo Di Mattia, “Una stana quiete”di Renato Mainardi, “Edipo a Hiroshima” diLuigi Candoni, “I burosauri” di SilvanoAmbrogi, per dire che le carte giocate erano ric-che di propositi e che non meritavano di finirein un cumulo di macerie. Si potrebbe andareavanti per un bel pezzo se si pensa a tanti altrilavori fin troppo rapidamente archiviati di cuipersino gli storici di teatro stentano a riammet-tere nei loro percorsi. Prendiamo “L’ora dellafantasia” di Anna Bonacci, del 1952. che è statoun successo mondiale per i suoi toni fiabeschi(vi si è ispirato Billy Wilder per un suo film),oggi sprofondato nel nulla, totalmente ignoratopersino dagli addetti ai lavori. Intanto in ungruppone, come si dice nel gergo delle corseciclistiche, si possono mettere “Un caso clini-co” di Dino Buzzati, “Anche le donne hannoperso la guerra” di Curzio Malaparte, “Roma”di Aldo Palazzeschi, “Amleto 1918” di Riccar-do Bacchelli, “Noi moriamo sotto la pioggia” diEnzo Biagi, “Tre quarti di luna” di Luigi Squar-zina, “I sogni muoiono all’alba” di Indro Mon-tanelli, “Sola su questo mare’’ di Alberto Perri-ni, “Il ciarlatano meraviglioso” di Tullio Pinelli,“Come si rapina una banca” di Sammy Fayad,“La casa scoppiata” di Enzo Siciliano, “Le for-miche rosse” di Domenico Rea, “L’educazioneparlamentare” di Roberto Lerici. “I cattedratici”di Nello Saito “I carabinieri” di Beniamino Jop-polo, “L’avventura di un povero cristiano” diIgnazio Silone: tutti testi, chi più chi meno, coninteressanti spessori tematici che rivelano lapropensione, anche da parte di letterati, di pun-tare con decisione al linguaggio teatrale. Ripro-porne alcuni in scena, e magari in televisione,(il giorno in cui la TV pubblica tornerà a fareteatro), non sarebbe sbagliato, specie in unmomento in cui la nostra drammaturgia apparemolto meno ambiziosa e complessa rispetto aquella del recente passato.

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TEST I ITALIANI

Teatro Stabile D’innovazionepresentaFOTOFINISHdi Flavia Mastrella e Antonio Rezzacon Antonio Rezza e Armando Novara(mai) scritto da Antonio Rezzaallestimento scenico Flavia Mastrellaassistente alla creazione MassimoCamillidisegno luci Maria PastoreRezzaMastrella in coproduzione conTeatro91Dal 1° dicembre 2008Teatro del Vascello

Auditorium Vallisa – BariL’OSPITE INQUIETANTE

di Lilli Maria Trizioregìa di Claurizio di Ciaula

con Michele Volpicella, PasqualinoBeltempo, Giuseppe Conserva, Paola

De marzo, Katia de Nicolò, TizianaMuciaccia, Fabio Vasco

dal 23 settembre 2008 e in tournée

Biblioteca di Archeologia e Storia dell’Arte presentanoLA TEMPESTAdi William Shakespearetraduzione e riduzione di Lorenzo Salveticon la partecipazione Massimo Roberto Beato, Alessandro Casula, Nicoletta La Terra, Giuseppe Pestillo, Nestor Saied, Alessandro Scaretti Elaborazione drammaturgica e regiaMassimo Roberto Beato e Jacopo BezziAssistente alla regia Francesca De RossiFoto di Fausto StaraceRoma - Sala CrocieraVia del Collegio Romano 274 dicembre 2008

Associazione Percorsi d’AutoreGIACOMO PUCCINI: DONNE, SPERANZE, ILLUSIONIMONOLOGO PER UN SOPRANOcon Carla Kaamini Carrettitesto e regìa di Stefania Porrinoal pianoforte Mauro AndreoniMusica di Giacomo PucciniTeatro Agoràdal 27 dicembre

TESTI ITALIANI IN SCENAa cura del Comitato di redazione

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Piccola Compagnia della MagnoliaHAMM-LET Studio sulla VoracitàElaborazione drammaturgica basata suHamlet di William Shakespeare e HamletMachine di Mullercon contributi da Laforgue, Moscato,Pasicon Valentina Tullio – OfeliaDavide Giglio – Hamm-letGiorgia Cerruti – GertrudeMusiche di Nyman, Armstrong, Morin,Portishead, Mia Martini, Rita PavoneElaborazione testo e regia: Giorgia Cerruti15/16/17 gennaio 2009 27 gennaio 2009 Teatro Sociale Busca

NOTIZ IE

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LA NOTTE DI GIANO di e con Gianluca Nicolettifantasia teatrale realizzata attraverso“La macchina per entrare e uscire dalmondo”21 dicembre 2008 TEATROLOSPAZIO.ITdiretto da Alberto Bassetti e Francesco Verdinelli

Giuliana Lojodice inLE CONVERSAZIONI DI ANNA K.liberamente ispirato a La metamorfosidi Franz Kafkatesto e regia di Ugo Chitiscene Daniele Spisacostumi Giuliana Colziluci Marco Messerimusica originale e adattamento VanniCassori e Jonathan Chiticon Giuliana Colzi, Andrea Costagli,Dimitri Frosali, Massimo Salvianti,Lucia Soccidal 20 gennaio all’8 febbraio TEATRO ELISEO

Associazione Culturale Studio 12 e Associazione Culturale Teatro DuseRomaUNGHIEdi Valeria Moretticon Elisabetta Carta, Nunzia Greco eCarmen Onoratiregìa di Giuseppe Venetuccidal 21 novembre 2008TEATRODUEROMASala Aldo Nicolaj – Teatro d’Essai

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INCONTRI

Stefania Porrino

L’evento

Giovedì 4 dicembre, nella Sala della Bibliote-ca Teatrale del Burcardo, un numeroso e

partecipe pubblico ha assistito alla presentazionedi Opere di Nicola Saponaro, edito da Spirali/Vel. Dopo un’introduzione del Presidente della Siad,Gennaro Aceto, gli interventi di Franca Angelini,Maricla Boggio e Maurizio Scaparro hanno illu-strato la ricca produzione dell’Autore, prendendoad esempio alcuni dei più di cinquanta titoli chesi trovano raccolti nel volume, uno dei quali, Lamafia non esiste, è stato scelto per la pubblicazio-ne anche su Ridotto (n. 9 – settembre 2008).Brani scelti di questo testo sono stati letti, nellaseconda parte della serata, da alcuni allievi diAugusto Zucchi che a suo tempo, quando il lavo-ro andò in scena a Roma nell’84, ne fu regista einterprete.L’incontro si è concluso con l’intervento di Sapo-naro e un vivace scambio di battute con il pubbli-co e gli altri autori presenti in sala.

Gli interventi

Franca Angelini, dopo aver lodato la ricchezzadi note, bibliografie e riferimenti che corredanola pubblicazione dei testi teatrali, ha fatto notarecome, oltre all’ottima prefazione di Franco Per-relli, siano presenti nel volume diverse introdu-zioni dei maggiori storici del teatro, come MarioApollonio e Federico Doglio, e quanto opportu-namente il libro comprenda anche molti materialirelativi alle messe in scena dei singoli lavori ilcui arco temporale va dal ’62, con I Girovaghi,al 2006 con La Maschera e il nulla”.Considerando l’insieme della produzione diSaponaro, l’Angelini ha individuato come centropropulsore di tutta la sua scrittura una fortissimavocazione storica, il bisogno di rivisitare imomenti essenziali della storia italiana sotto spe-cie teatrale. Una storia italiana che è anche una storia del tea-tro italiano perché, nei vari modi di organizzare itemi, Saponaro usa quasi tutte le tecniche e igeneri del teatro italiano a partire dal passato finoad oggi, passando dai primi testi di carattere veri-

sta fino agli ultimi in cui, superato il verismo,resta forte una carica di ricerca della verità.L’interesse per la storia non è mai espresso inmodo generico o astratto ma passa attraverso ipersonaggi coniugando opportunamente storiagenerale e storia personale e, quando si rivolge adepoche lontane come in Bianca Lancia (dove tro-viamo personaggi scolasticamente famosi comeDante, Pier delle Vigne, Federico II), l’Autore saguardare all’antico con l’occhio ironico delmoderno, pur non rinunciando a tutto il bagagliodi cultura che è necessario a chi intende indagareil passato.Oltre al “teatro della storia” l’Angelini ha eviden-ziato, nella produzione di Saponaro, altri modiespressivi dai lei così denominati: il “teatro delsilenzio”, rappresentativo del momento in cui lastoria (sia in due testi degli anni ‘69/’70 che nel-l’ultimo testo del 2006, La maschera e il nulla)travolge talmente l’individuo da togliergli lette-ralmente la parola; il “teatro dell’indignazione”,basato sulla testimonianza e sulla ricerca dellaverità, come in La mafia non esiste; e ancora il“teatro della vita” dedicato a biografie di perso-naggi che hanno inciso nella storia italiana comeGiorni di lotta con Di Vittorio.

Maurizio Scaparro ha iniziato il suo interventoricordando la messa in scena di Giorni di lottacon Di Vittorio, spettacolo di cui aveva firmato laregia e che faceva parte di quel “teatro politico”

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Nicola Saponaroe

Stefania Porrino

Un incontro al BurcardoLA PUBBLICAZIONE DELLE OPERE COMPLETE DI NICOLA SAPONAROPresentata la pubblicazione delle opere complete da Franca Angelini,Maurizio Scaparro e Maricla Boggio

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INCONTRI

che ha segnato un’epoca teatrale ormai conclu-sa, un modo di fare teatro per la gente cosiddet-ta “ignorante” – di cui si andava però a sentireil giudizio davanti al teatro, dopo lo spettacolo– o per gli studenti, portando il teatro fin dentrola scuola per sollecitare nei giovani, attraversola rappresentazione e il successivo dibattito,una partecipazione più attiva alla vita civile epolitica.In questo senso, per Scaparro, il merito di Sapo-naro è anche quello di voler scrivere per quelpubblico “che non c’è”, contrapposto al pubblico“che c’è” ma che consiste purtroppo in quell’ul-tima onda di cultori del teatro ormai in estinzio-ne dopo i quali si percepisce chiaramente unvuoto pneumatico di disinteresse e ignoranza.Basterebbe, per rendersi conto della cancellazio-

ne di certi punti di riferimento culturali apparte-nuti al pubblico “che non c’è”, provare a chiede-re oggi in una classe chi era Di Vittorio per ren-dersi conto che nessuno sa più chi sia, che unaparte di storia d’Italia è stata cancellata.Nel progressivo imbarbarimento attuale quindiè necessario tenere sempre presente lo scopo dicomunicazione con gli altri, di diffusione diidee che è proprio del teatro e che oggi, secon-do Scaparro, deve essere sostenuto e amplifica-to anche attraverso il cinema, superando la divi-sione preconcetta – tutta italiana – tra i due lin-guaggi e creando invece un’osmosi capace divincere quel castello della stupidità che la mala-televisione produce e che rischia di invaderetotalmente le menti e gli interessi del nostropotenziale pubblico.In questo senso, ha concluso Scaparro, abbiamoancora bisogno di un teatro politico.

Maricla Boggio, riallacciandosi alle ultimeparole di Scaparro, ha iniziato il suo interventoprecisando che, a suo parere, il teatro politiconon può considerarsi finito ma forse ha solobisogno di essere ri-definito nell’ambito dellanostra situazione attuale: un modo “moderno” dirivisitare momenti della storia passata, comeavviene nei testi Giorni di lotta con Di Vittorio eRocco Scotellaro di Saponaro, può essere consi-derato “teatro politico”.A proposito di quest’ultimo testo, la Boggio haricordato come il personaggio di Rocco Scotella-ro abbia accomunato lei stessa, autrice di unasceneggiatura di un film realizzato con la regia

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MaurizioScaparro

Da sinistra Maurizio Scaparro, FrancaAngelini, MariclaBoggio, GennaroAceto e NicolaSaponaro

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INCONTRI

di Scaparro, e Saponaro, autore di un testo teatra-le, nella scelta del personaggio; comunanza arti-stica rafforzata dal fatto di aver avuto, sia il filmche lo spettacolo, Bruno Cirino come protagoni-sta; e infine un caso di osmosi tra cinema e teatrocome auspicato nell’intervento di Scaparro.Passando all’esame della pubblicazione delleOpere di Saponaro, la Boggio ha voluto ricorda-re l’ampia raccolta di aforismi contenuta nelvolume ed uno in particolare –“La felicità è lapaura di perderla”– che, a suo avviso, è estrema-mente emblematico di molti lavori dell’Autore edella sua volontà di ricerca della verità. In particolare, in La mafia non esiste, l’esperien-za della felicità è rappresentata appunto dalmomento in cui viene scoperta l’origine mafiosadell’assassinio del sindacalista Placido Rizzotto.Felicità subito frustrata dall’ordine venuto dal-l’alto che impedisce che la verità emerga, impo-nendo di depistare le indagini su un delitto pas-sionale e rendendo vano l’intelligente lavoroinvestigativo dell’allora giovane capitano DallaChiesa. Ciò che non è vano e che resta comevalore etico espresso dal protagonista è l’altosenso dello Stato da lui dimostrato nella lottacontro l’atteggiamento di sudditanza e la pauradella gente.Analoghe situazioni si trovano anche in altrilavori di Saponaro: in Maggio napoletano, peresempio, c’è il decadere in pochi mesi dellagrande illusione della rivoluzione del 1799,accompagnata dalla consapevolezza dell’ambi-guità del comportamento dei francesi che dauna parte hanno incrementato il discorso liber-tario ma contemporaneamente hanno rapinato e

derubato. Anche in questo caso si può dire che“la felicità” – la rivoluzione – “è la paura diperderla”.

Nicola Saponaro ha concluso l’incontro conalcune considerazioni circa le motivazioni fonda-mentali della sua scrittura: la ricerca dell’emo-zione, primo fondamento del teatro, e la volontàdi dare voce a due bisogni essenziali dell’uma-nità, la libertà e l’ironia, due concetti che VictorHugo ha saputo mettere insieme in una sua bre-vissima ma significativa frase: “la libertà comin-cia dall’ironia”.E questa frase Saponaro ha voluto metterla pro-prio all’inizio del suo libro come compendio delsuo intento di drammaturgo.Quanto alla sua evidente propensione per la sto-ria, l’Autore ha precisato che il suo interesse siallarga fino a comprendere anche la leggendache spesso è il vero combustibile della storia. Sitratta di una leggenda nel caso di Bianca Lanciae persino in quello di Giorni di lotta con Di Vit-torio nel senso che il protagonista era diventato,per gli operai che lo avevano conosciuto e glierano stati vicino, un personaggio ormai leggen-dario.Infine, riconoscendo il valore della preziosa col-laborazione avuta con i suoi registi, Saponaro hafatto notare come sia stato suo preciso intentouscire dalla stanza chiusa del teatro per andareverso la festa popolare; distruggere la quartaparete, intesa come rappresentazione delle con-venzioni della società, e raggiungere appunto lalibertà attraverso l’ironia, secondo il dettato diHugo prima ricordato.

Gli interpretidelle letture:

Teresa Desio,Giulia Greco,

Niccolò Scogna-miglio, Massimo

Di Leo e Lidia Rirosati

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PULCINELLA E IL SUO RITRATTO

Uh! Maronna ‘o ritratto spiccicato‘e me medesimo!…accussì songh’io!faccia janca ‘e farina, recchie larghe,

nu cazone che sciacqua senz’ ‘o viento,‘o cammesone a maniche abbuffate,

nu cappuccio de lazzaro, calato ncopp’ a na coccia d’auciello spennatoE cchiu’ sotto, na fronte appecundritape fa paura a’e maluocchie e fatture,

na benda scura m’annasconne ‘o riesto,naso appuntuto, becco malandrino…

L’hanno chiammata maschera gli antichipe tenere lontana ‘a mala ciorta

Gesù, na goccia ‘e pioggia? scacazzata‘e moschiglione, oppure beccafico…e come s’è posato dritto all’uocchio?Madonna d’’o Carmine, na lacrima!E che me rappresenta? na tristezza?

‘o vero?…Pulcinella si fa triste, nu cristiano che abballa, ride, canta,

pe tutte ‘e viche, fa’cuntenta ‘a gente,e fa scurda’ fatica, fame e stiente

mo’ s’accompagna c’ ’a malinconia?Sarrà che sotto ‘a vesta, ci sta ‘n ommo.se chiamma attore. Cerca altri soggetti,Riccardo ‘o scartellato, Amleto ‘o sicco

il re cecato Edipo, Orfeo sperduto“che farò senza Euridice”. Romeo

ca s’accide ‘ncoppa a Giulietta soiaChe razza ‘e compagnia! Che sperpetuo

e che turmiento! Ma l’attore buono

pe fa calà ’o triatro adda ess’ triste.‘o vedi chiagnere,? E tu sbatte ‘e mmane !

La lacrima è una finta del mestiere.Però…che v’aggia dicere? Signori,pe ‘e fatti suoje la vita è na galera

Io so’ Pulicinella, sti’ soggettiio non li tratto, troppa nobiltà.

Io campo ‘mmiezo ‘a gente e me ne fotto!

IL PORTAFOGLIO

Currite!…gente! aiuto!…’o mariuolo!mo mo m’ha fruculiato ‘o portafoglio

‘a dint’ a’ sacca. Na manella lesta,ca nun se sente, ca nun fa rummore

mentre abballavo mmiezo a ll’ammuina…Cercate, gente! Forse, a nu cantone,

pe sotto ‘o marciapiede, l’evera , ‘e ccarte…Niente truvate? E’furto! Nu mestieredi mano assai capace. ‘A sacca miaè fògnera…profonda, ‘o portafoglionun se n’esce p’o ballo ‘e san Vito!

Nun pigliate pensieri, quattro spicci,quattro ciappette! Roba da pezzente,nemmanco na palata ‘e pane scuro,

na tazz ‘e brodo ‘e purpo miezzo ‘a via,nu quart ‘e pède ‘e musso…nu bicchiere

d’acqua sofregna. Ha perso ‘o tiempo sujo sto’ mariulo A’ll’annema, e che ardire

mett’ ‘e mmani int’ ‘a sacca ‘e Pulcinella!Facìmmece capì. Chi ha fatto ‘a scola

a lazzari, a scugnizzi , po’ patì

PULCINELLA: 'NA MASCHERA E CIENTE PENZIERI

Le poesie napoletane di Gennaro Aceto sono state presentatenel corso dello spettacolo “Il Maestro e Pulcinella”

POESIA A TEATRO

Associazione “ex Alunni del Liceo Vitruvio Pollione”FORMIA

in collaborazione con Maurizio Stammati e il C.T. “Bertolt Brecht”

il 9 dicembre 2008 alle ore 17,30 presso l’Aula Magna del Liceo

presenta

PULCINELLA'NA MASCHERA E CIENTE PENZIERI

poesie di Gennaro ACETORecital di Lello SERAO, al flauto Salvatore LOMBARDI

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nu soreciello che t’infila ‘a mana‘int a saccoccia? Nun c’è più creanza!

Si faceva ‘o mestiere seriamentecapava la persona…Taglia chiatta,‘o portafoglio chino ‘e fogli buoni,

e l’aria ‘e chi ti dice, ccà sta ‘o munnoIo so sicco, patuto assai, fatico

a mette insieme ‘e sorde d’’a miseria.‘O sorece? Ha fatto na strunzata

a cercà int ‘e panne d’ ‘o pezzente ‘O poveriello? Guardatemi, songh’io!

Spiegate la lezione al soreciello‘o mestiere se fa cu maestrìa,

serve ‘a cervella, serve fantasia

L’AMMUINA

Come sarebbe, ‘o nomme, ‘o compleanno,Pasqua, ‘o Ferrausto, Capodanno,ricorrenza d‘’o Santo, Carnevale,

e po’ basta? E po’ sotto ch’a fatica?Ih! Che languore ‘e stomaco st’attesa!Vuje pensate, comanna ‘o calendario,

‘o prevete, ‘o sinneco, ‘o padrone?‘o masto d’’o quartiere, quattro botte

‘a banda, Pieregrotta, duie lumini,na bancarella ‘e zucchero filato.‘O veramente questo vi aspettate

pe sistemà ‘e pensieri d’’a jurnata? Sentite a me che songo d’’o mestiere,ogni momento è buono pe na festa,

nu fiasco ‘e vino d’Ischia, na saciccia,na palatella ‘e pane, na caciotta

che vene da Surriento, doje sfogliate,macari doje canzone allere allere,na voce ca se stenne, nu motivo

sunato ‘ncopp’ ‘e corde ‘e manduline.A fianco, stritto cu la ‘nnamuratascetavaisasse e tarantelle, attuorno

nu poche ‘e gente, amici e canuscenti.Chesta se chiamma festa, ‘o calendario

parte da lunedì tutte ‘e semmane,‘a dummenica è l’ultima jurnata.

Voi dite, l’ammuina è confusione,parole, allucchi dentro le risate,ca sceta chi se sente ‘nzallanuto,

però fa male ‘a capa a chi è scetato.Ma ‘o silenzio s’accorda cu chi pensa,

chi rosica, chi chiagne ‘int‘a panza,chi tiene le cervelle arravugliate.

‘O rummore? Ma chillo è prepotente,ve trase int’e recchie, ‘ntrona ‘a capa

o puramente scenne int’e budellescansanno ‘o core e tutti ‘e sentimenti.

Nun è rumor l’ammuin, è vita!sapore ‘e maccarun', addore ‘e pizza,

piacere ‘e gioventù, friccico ‘e pelle,profumm' ‘e ciure. E tutti insieme invita

mmiez a piazza a ballà la tarantellaIn conclusione, amici, che aspettate? Nu poco d’ammuina! e ve spassate

LA FATICA DI PULCINELLA

‘O vero me chiammate sfaticato?Mo’ Pulcinella scansa la fatica!‘A verite sta’ vesta immaculata?Commo tocca ‘a fatica se fa nera.E stu cazone senza nu’ sostegno,nun se pò mantenè si porta pesi,si sbraca, s’anturcina sott’e pied’.

E sta’ cap’e pucino ammascherato?‘O padrone s’incazza! “Iatevenne!

nun c’è posto per galli e pe’ galline!”

Pe campà sfaticato, a panza chienaaveva nasce n’ata criatura

aveva nasce auciello figaruolointa na’ terra senza cacciaturioppuramente iatto malandrino

pe sotto a ‘nu bancone addo se ietta ‘o pesce arruvinato, cape e cole.Putev’ nasce erede ‘e tre palazziorfano e solo, senza ‘na famiglia

ca spart’ l’abbondanza e fa miseria.

.So’ nat’ Pulcinella.e so’ cuntent’ Canto, abballo, me levo quoch’ sfizio.

faccio la riverenza a lor signori,allucco, sfotto, zompo, e quando serve

porto ‘na serenata alle figliole.Chist’ è o’mestiere mio. E vui pensate,

fa rire ‘a gente, no, nun è fatica?Chella faccia ‘e quaresima ‘nserrataint’o pensiere ‘e chi l’ha fatto fesso,o chella smorfia gialla, addulurata

‘e chi ave ‘ncuntrata ‘a mala ciorta...

POESIA A TEATRO

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POESIA A TEATRO

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Scambiamoci di posto! Io m’assettoa panza all’aria, all’uldima poltronadi questo bel triatro. M’arriposo,

E voi saglite ‘ncoppa a questo palco,levate a chell’i facce la disgrazia

fatele comparì miezzo surrisose v’arriesce, e io vi sbatt’ ‘e ‘mmane.

Cherè! Già siete stanchi? Un po’ sudati?Avite fatt’ a prova.? Mo’ o ssapite,nun è cosa da niente o scarsulellaquesta fatica antica ‘e Pulcinella

LA PREGHIERA

Signore Dio del cielo e delle terredei vasci, delle piazze e dei cantoni!

Vommero, Pallonetto, Mater Dei.‘e quartieri Spagnoli, ‘a Vicaria e tutti gli altri pizzi, permettete,

vi chiamo Pataterno. E’ devozionedi chi ve sape pate ‘e tutte quante

uommene, piante, aucielli e criature‘e chisto munno, addò se rire e chiagne.

E pure ‘e Cuncettina sventuratap’ammore ‘e na figliola nata cionca

in cura all’Ospitale ‘e PelleriniFacitele truvà nu poche ‘e sordemagari all’intrasatta, sott’a porta,

oppure addirizzatele sti gambeVuje che dicite, nun si fa eccezione

‘o munne è chine ‘e zuoppi e scartellati?Passate na parola a san Gennaro

isso è de casa, sa comme s’appara.sta' condizione triste dei cristiani.Levate ’a miezo tutt' ‘e cravattari

chella è razz' ch’ ‘e pile ‘ncoppa ‘o core.Facitele murì! E arrassusia!

Vuje non putite? E già, nu Pataternoave scrupolo a fa’ ‘stì cose ‘e morteAssicurate ‘o pane a‘ ‘e piccirilli,

pure ‘o riesto. Si chiagne na criatura jastemma ‘o pate e ‘o cielo se fa scuro Commannate ‘o Vesuvio ‘e stà quieto, n’ata Pompei sarebbe un gran disastro.

Popolate ìe pisci ‘o mare nuosto,spigole, orate e purpe. ‘O piscatore

campa ‘a mugliera, ‘a mamma e tanti figliFacitele calmà chesti stagione

dint’ ‘o vascio d’austo nun se campa quand’ è friddo ‘a coperta nun ce basta

E po’ signore Iddio, nun ve scurdate‘e chi fatica a fa felice ‘a gentesarebbe a dire chi nun tene casa

niente famiglia, eppure se cuntentaMmiezo ‘o cielo mettiteci na stella

c’ assumiglia a ‘sta faccia ‘e Pulcinella.

LA SOLITUDINE DELLA MASCHERA

Che silenzio, e che pace int ‘a stu pizzo‘e vico sulitario.!Sulo sulo

comm’ a nu poveriello abbandunato‘ncoppa a na preta fredda ‘e na strada

Dorme ‘o lampione, dormeno ‘e feneste‘o mare s’è acquetato sotto ‘e scoglie,

arriva a’l’intrasatta addore ‘e sale,nu cane, ’a capa vascia, s’alluntana

rasente ‘o muro, ma nun fa rummorePure nu cane sape ch’ è ‘o mumento

‘e se stà zitto, ‘e nun fa presenza

Comm passa ‘a nuttata senza suonno?Na maschera nun dorme. Nun è n’ommocomme a tanti cristiane, quand’ è notte‘nzerrano ‘a porta e se ne vanno cocca?Ma allora, chi songo io? ‘Nu farfariello,na mazz ‘e scopa int’ a na vesta janca,

oppure munaciello ca cumpareil tempo della festa e poi svanisce?

Int’ a sta vesta ci sta ciat' e carne So’ stato piccirillo? M’arricordo,

sempe co sta cammisa, mascherato,nu cuppolone ‘ncapo p’’a crianzaquann’ è tiempo ‘e fa la riverenza,

servitore di tutti, malandrinosultanto pe campà, pe mettere ‘nsiemenu cuppetiello ‘e pasta e pummarole.Gesù, che ciorta nera! E vuje pensate

c’’o munno mio è tutta na risata?Da quanno ‘o sole sorge, fino a sera

me vene genio ‘e pazzià, ma ‘a notte,appena scenne e appanna,‘o munn' dorme,

io sto scetate, calano ‘e pensieri.na voce dint’a l’aria, “Pulcinella,

pachiochero, scunciglio, fanfarone!Che ciorta, che condanna a fa' 'o buffone!”

LA SERENATA

‘On Fulippo, re d’ ‘o vicos’avvicina, ‘o dito tiso,

l’ata mana chiena ‘e sorde“Pulcinè, vui state ‘e voce?”

Che ve serve, don Fulì?

“ ‘A cummara m’ha tradito,cu nu scorfano, chiachiello

niro e brutto, nu tizzonecurto e spuorco, nu craone!’o cucchiere ‘e tre pariglie,

schiattamuorto ‘e Poggi Poggi!io m’avessa vendicà”

Oh!Gesù, che v’è succiesso!

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Ma, a che serve ‘a voce mia?“L’appustate ‘a ponta ‘o vico,

quando saglie ‘int ‘a casavoi strillate dal purtone,zoccolona, capa storta,

malafemmena, sgobbata…le più grosse infamità!”

Don Fulì, io vi propongonu sistema meglio assajequi ci vuole una canzona

a dispietto, e nu strumentoche accompagna l’insolenza.

Qui ci vuole il putipù

“E chedè chisto strumento,n ‘ata sorta ‘e mandulino,na chiarra, nu tamburo,

n’accumpagno di un defuntofino all’urdema dimora? ”

Don Fulì, è na bovatta,nu bidone o caccavella

purchessia rotonda e chiatta,

serve a fa’ na voce cupanu rumore surdo e bassodi pernacchia trattenutanu turmiento. Fa zu-zu!

“Pulcinè, ma che ammaccate!parlo ‘e corna, e vuje n’ ascite

c’ ‘a bovatte e pernacchielle?Qua ci vogliono parole

quelle forti, da disprezzo,chella è femmina puttana,m’ha zucato tutt‘o sanghe,vuje parlate ‘e stu zu-zu!”

‘On Fulippo, lo strumentoviene usato p’accompagno.Il coperchio nun è fierro,

è na pella d’animaleco na canna ritta n’ miezzo,

se strofina e fa pru-pru

“Eh!Madonna, pricisatesto rumore comme fa,

po’ cagnate c’ ‘o pru-pru?Ma che, sona ‘sta bovatta,tiene voce, parla, offende,

è capace ‘e vindicà? ”

A seconda ‘e comme ‘a manascenne e saglie lungo ‘a canna.

Si ‘a parola è solo ‘nfamasi fa lenta e fa pru-pru.

Si le strillo, ‘sta’ fetente,è veloce comm’a lepren’esce fora nu zu-zu

“E va bene, Pulcinella,ecco i soldi, sono assaje,nun facite ‘o pacco a chi

sta c’ ‘o fuoco int’all’uocchiepe na zoccola spergiura,vuje l’avita spubblicà”

Sissignore, ‘on Fulippo,state certo, ‘sta monetafa piacere ‘a sacca mia

Si potessi cagnà ‘o postofaciarìa ‘a parta vosta,me dicesse so’ curnuto

ih! che corna so’ spuntate!E’ na cesta ‘e ciammarughe

Me sunasse ‘o putipùche ridenno fa zu-zu!

POESIA A TEATRO

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L IBRI

Carlo Vallauri

Chi ha visto Pina Bausch nella sua danza oin una sua invenzione coreografica non

potrà mai dimenticare l’emozione intensa pro-vocata dai suoi spettacoli. Ora la pubblicazio-ne Pina Bausch. Vieni balla con me, dell’edi-trice Barbès (alla quale non può non andare ilnostro augurio, dopo aver letto i libri in pro-gramma con autori al centro dell’interesse let-terario e teatrale) di Leonetta Bentivoglio eFrancesco Carbone (fotografo questi dotato dispecifica attenzione per le arti dello spettaco-lo), consente di ripercorrere la complessa edarmoniosa serie di stagioni della grande arti-sta.Ricordiamo la sua prima apparizione al festi-val di Spoleto e poi le sue prestazioni qui aRoma all’Argentina, sempre segnate da unaautenticità di alto spessore, nonché altre pro-duzioni. Coreografa e regista Pina dominava la

scena con la sua creatività capace di avvincerelo spettatore immettendolo in un mondo com-posto da realtà immaginifiche e da sollecita-zioni virtuali, mostrando sempre una espressi-vità originale unica ed inconfondibile, in gradodi passare dalle dimensioni classiche alla favo-listica in una identità plastica e sensuale.Basti pensare a Blaubart, miracolo prodigiosoderivato da una interpretazione geniale del“castello di Barbablù” di Bala Bartok, con idanzatori trionfanti nei loro corpi lucenti erituali, oppure all’inconfondibile Victor, fruttodi un lavoro dedicato a Roma rievocando unpassato di incubi e richiami grotteschi (musicadi Ciaicowski e scene di Peter Pabsj). Il Tanzittheatre Wuppertal è divenuto il simbolo di unlavoro minuzioso con mescolanza di donne eduomini in un vortice provocatorio di frontealla quotidianità banale e conformista, in unaalternanza di stili e di colori. Da Caffè Mullera Nefés i motivi della gioia e della felicità

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Pina Bausch

TRIONFO DEI CORPI NEGLI EMOZIONANTI SPETTACOLIDI PINA BAUSCHIn una pubblicazione di Leonetta Bentivoglio e Francesco Carbone viene messo in risalto il percorso artistico della grande danzatrice

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L IBRI

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allargano gli orizzonti immaginati. E ancora laNave incagliata negli scogli con i ballerini sulponte, i naufraghi furenti, i corpi in un equili-brio ormai perduto, cruda rappresentazionedell’esperienza drammatica delle migrazioniclandestine.Dai testi di Brecht, musicati da Kurt Weilcome per Die Sieben Tods¸nden. Mai schiavadei soggetti da lei interamente rielaborati,sapeva reinventare modi, personaggi, momen-ti, contribuendo a costruire opere ricche disentimenti in linguaggi sempre rinnovati. Leg-geri e liberatori gli spettacoli si sono susseguitiin un crescendo di operosità inventiva (propriocome nella festa di 1980).E a Roma si richiama esplicitamente O Didoche della violenza multietnica vuol esseremanifestazione esplicita. E poi va ricordatoPalermo, Palermo, (musiche di Grieg e diPaganini). La forza promanante dai corpicostituisce il carattere essenziale d’ogni operadi Bausch: corpi in movimento, là dove arte etecnica si aggiungono al suono di una musicasuggestiva. Forme e movimenti, ma soprattuttocorpi, esaltati nelle movenze fulminanti cheCarbone ha saputo cogliere con furtive fotoche rendono intimamente il dinamismo propriodella Bausch.Tutte le esperienze e le stagioni di vita si rin-corrono in una eccitante carica di sensi e diimmagini, come quando da Gluch riprende unOrfeo ed Euridice che tra Olimpo ed Avernooffre una poliedricità di sensazioni, incalzanti,ulteriori esemplificazioni di rotture continueper “ottenere il più possibile” come suole dire,mostrando come gli esseri umani possanoessere “vipere”oppure “piccoli animali impu-niti”: sapere che si può uccidere oppure essereuccisi a causa di un nonnulla, ma dopo l’auto-distruzione essere sempre pronti a ricomincia-re, come si legge negli appunti delle prove perPalermo, Palermo. E le operette come Renatetorna a casa, un richiamo all’epopea di Hol-lywood con quegli abiti, quei modelli di artistifamosi, parte dalla conoscenza e dalla coscien-za artistica di tanti tra noi.Le parole, i commenti, le trame riecheggiantinel lavoro eccellente di Bentivoglio e le fotosplendide di Carbone compongono una veraopera d’arte nella quale le creazioni artistichesi presentano nella loro interezza limpida escintillante. Infine un accenno al legameprofondo che unisce l’arte espressiva propriadella danzatrice e coreografa a quello che abil-mente chiamiamo “teatro di prosa”, ma quinell’indicare simili classificazioni ci rendiamoconto del loro scarso significato rispetto alvalore intrinseco degli spettacoli della Bausch.

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EVENTI

Mario Verdone

Lo scorso 7 dicembre il “Corriere della sera” pub-blicava, in occasione della rappresentazione alla

Scala di Milano, il libretto del Don Carlo verdianonella edizione adottata alla “prima”.Nei secoli scorsi i testi teatrali in prosa sono stati piùvolte oggetto di stampa nei periodici (non nei quoti-diani), e possono dimostrarlo, dal Novecento in poi,tutte le più conosciute riviste di teatro, non escluso“Ridotto”. Però l’uso del “libretto” è stato piuttostoun sussidio immediato per l’affezionato dello spetta-colo lirico e, a parte il compositore musicale, anchecon firme di rilievo. Basti ricordare quelle di Piran-dello (La favola del figlio cambiato per Malipiero) edi D’Annunzio (Il martirio di San Sebastiano perDebussy). Non staremo a citarli tutti, dopo Wagner eGoldoni, Adami e Simoni.Nell’insieme delle pregevoli raccolte teatrali dellaBiblioteca Casanatense, che comprendono collezionie florilegi di componimenti drammatici, con rari testianche di espressione dialettale, prende particolarerilievo la sezione dedicata al teatro per musica, dovesi incontrano “opere serie”, drammi giocosi, “operebuffe”, libretti per balletti. Gli storici e critici delmelodramma hanno disputato da tempo sulla primo-genitura del “libretto”. Nel volume L’Opéra et ledrame musical di Henriette Fuchs specialmentededicato a Wagner l’autrice è d’opinione che fu nel1534, in occasione del matrimonio di un Medici conLeonora da Toledo, che la musica, fino allora esclu-sivamente religiosa o popolare, si presentò per la pri-ma volta “elegante e mondana” sotto forma di unaPastorale accompagnata da musica. I più invece fan-no risalire alla Camerata fiorentina o dei Bardi il pri-mo melodramma, la Dafne (con musica di JacopoPeri) di Ottavio Rinuccini, autore anche di una Euri-dice (1600). Ma non mancano altre citazioni di sacrerappresentazioni o di favole con musica scenica. Visono ad esempio tre favole pastorali di Laura Gui-diccioni con musica di Emilio Del Cavaliere. È certoche il Rinuccini unendo alla musica scenica elementispettacolari fu tra i progenitori del melodramma,come pure Monteverdi con il suo Orfeo (1607). Laraccolta della Casanatense dà un significativo contri-buto alla storia del “libretto” per musica, anche seinizialmente gli autori dei testi letterari erano consi-derati di secondaria importanza. Non va dimenticato

che l’autorità del librettista venne riconosciuta inepoca relativamente recente. La tutela editoriale dellibretto non fu accettata che dopo la prima metà del-l’Ottocento. Precedentemente il librettista non erache un, così detto, “poeta” (a pagamento) che riceve-va un compenso dall’impresario del teatro o cuiveniva dato un “premio” in denaro per la “dedica”premessa a un testo scritto in omaggio ai principi oillustri personaggi.Non è qui il caso di fare la storia del “libretto”, che èla parte letteraria del melodramma, o la descrizionedel soggetto di una coreografia. Si può per controricordare che nel Settecento il “libretto” (trascurabilestampato o libriccino) raccolse talvolta anche criti-che sprezzanti ed anzi Benedetto Marcello gli dedicòuna satira nel Teatro alla Moda (1720 c.). Ci furonoperò nello stesso secolo librettisti di riconosciutavalidità come Apostolo Zeno, definito da FrancescoDe Sanctis “architetto del melodramma”, il Metasta-sio, vero poeta, Ranieri de’ Calzabici (che collaboròcon Gluck), Lorenzo da Ponte legato per Le nozze diFigaro e Don Giovanni a Mozart. L’Ottocento, comela presente silloge dimostra, ha un momento rilevan-te per i creatori del libretto: emergono il Romanelliper la Vestale di Pacini, Romani per Rossini e Belli-ni, Piave per Verdi e Sterbini per Il Barbiere di Sivi-glia, Ruffini per Don Pasquale, il romano Ferretti,stimato dal Belli, per la Cenerentola di Rossini, edaltri nomi di rispetto, in una schiera numerosissimadi “poeti” minori, per arrivare ai collaboratori diDonizetti, Boito, Pizzetti, Puccini, Rota.In una Storia del libretto (in quattro volumi) di Leo-nardo Bragaglia mi trovo citato nell’appendice delterzo volume (1971) per una decina di libretti e spe-cialmente per L’impresario delle Americhe, vincitoredel Premio Rossini (Pesaro, 1950) che venne messoin musica e diretto nel 1978 a Budapest dal direttored’orchestra e compositore Lamberto Gardelli, dinotorietà internazionale. Se ci fosse una riedizionedel Bragaglia, che ha un dizionarietto dei principalilibrettisti (1594-1971), circa un centinaio, potrebbericordare anche i miei Il vecchio geloso (1948),musica di Carlo Savina, Il pianista del Globe di Ser-gio Cafaro (1972), La guardia vigilante di LiberoGranchi (Premio Cilea, Bergamo, 1953). Le aggiun-te, sia convenuto, non dovrebbero essere consideratedel livello dei lavori dei più rinomati Romani, Piave,Sterbini, e via dicendo.

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TEATRO DRAMMATICO E LIRICO,E “LIBRETTI”Il “teatro per musica” ricopre un ampio spazio nella raccolta dei “libretti” della Biblioteca Casanatense. Nella “Storia del libretto” i testi per musica arrivano all’oggi

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Mc.B.

Italiano in America da parecchi decenni, docenteuniversitario, fondatore di “Italian Theatre in

America”, promotore del nostro teatro attraversospettacoli, letture, traduzioni e convegni, MarioFratti è riuscito a crearsi e a mantenere un suo spa-zio di singolare distinguibilità in quel mondo diffi-cile e preso d’assalto che è il teatro in particolare aNew York. Ricordiamo il successo davvero strepi-toso del suo “Nine”, spettacolo che resse il cartello-ne in più edizioni dagli anni Ottanta ad oggi nellaBroadway dei maggiori successi: dalla commediache aveva scritto ispirandosi a Fellini era stata trattauna rappresentazione con la solidità di un testodrammaturgico e la levità ed allegria del music hall.Vidi quello spettacolo insieme a lui, che ne eraincantato e perplesso al tempo stesso: “Riusciròmai a continuare a scrivere, dopo un successo cosìclamoroso?” si chiedeva Fratti, ed era sincero. Benpresto si riprese da quello stupore derivatogli dauna fortuna a cui in Italia non si potrebbe neppurpensare, e riprese a scrivere, a pubblicare e a vederrappresentati i suoi testi. Anche in Italia vide laluce il volume con gran parte dei suoi testi, a curadelle Edizioni E&A di Enrico Bernard. Via viache affrontava altri temi, Fratti si addentrava sem-pre più nelle tematiche più scottanti della nostraepoca, non avendo timore, pur dovendo fare i con-ti con una certa “pruderie” americana, di toccareargomenti come la guerra e la situazione proble-matica dei reduce fino al suicidio, oppure i rap-porti incestuosi spesso affrontati dalla stampa, oquestioni politiche di corruzione e così via.Nostro socio, attento con generosità agli autoriitaliani, gli dobbiamo di tener alto il nome di unadrammaturgia italiana sovente disattesa in patria;periodicamente inoltra a compagnie americaneelenchi di autori italiani che potrebbero suscitareil loro interesse.Dell’ultima commedia andata recentemente in sce-na a New York, Fratti ci ha mandato qualche foto,in un coacervo di bigliettini, lettere e proposte, per-ché è sempre in ebollizione, sul punto di partireper il Giappone o la Nuova Zelanda per assisteread una rappresentazione di qualche suo testo.Questa commedia si intitola “Madam Senator” etratta con argomenti di forte sapore politico il

tema dell’elezione di un presidente ipotetico inUSA, dove le donne, in un contesto grottesco dirivendicazioni e contestazioni contro il maschili-smo, in cui anche la prostituzione fa la sua parte,tentano la scalata al potere.

NOTIZ IE

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MARIO FRATTI A NEW YORK

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TEST I

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PERSONAGGI RECITANTILina Merlin. Il Giornalista.

PERSONAGGI EVOCATIJosephine Butler. Serva. Senatore Pieraccini.Senatore Galletto. Le Ragazze: Romana, Napoletana,Emiliana, Piemontese, Veneta. DonnaSenatore Boggiano Pico. Riccardo Lombardi.

Luci in sala e sipario chiuso.

CORO DELLA TRAVIATA – “Libiamo, amor fra i calici...Più caldi baci avrà”.

Dalla platea la Merlin sale in palcoscenico.Si ferma davanti al sipario. Ascolta. Il coro sfuma.

VOCE DELLA MERLIN – Avrò avuto una decina d’anni.Tornando da scuola, trovo sedute in salotto mia nonna inlacrime e mia zia che singhiozza stringendo un libretto frale mani. Ad un tratto la zia si mette a volteggiare qua e là per la

casa cantando a squarciagola “Libiamo libiam nei lieti calici!”. La nonna allora mi dice: «Prendi dall’armadio il vestitinobianco, stasera si va a teatro». Io ero stupita: lacrime, singhiozzi, vestitino bianco e lieticalici..., non sapevo come spiegarmi le ragioni di quegliaccostamenti.E non molto di più capii quella sera, di Margherita e delsuo mestiere, quando andammo a vedere la “Traviata”. Molto, ma molto più tardi, ne compresi l’infinita pena,oggetto della mia più tenace lotta parlamentare.

La Merlin si rivolge agli spettatori.

LA MERLIN – In quel maggio venne al Senato una delega-zione di donne. Erano dell’Associazione Femminile Inter-nazionale. Mi chiesero di presentare una proposta di leggeper abolire la regolamentazione della prostituzione da partedello Stato. Era una cosa avvenuta ormai in quasi tutti i pae-si del mondo ed era una precisa convenzione delle NazioniUnite, che esigeva da ogni nazione che volesse farne partedi non tenere aperte quelle case, chiamate “di tolleranza”. Ci eravamo riunite nella Sala Gialla, dove si riceveva il

LA MERLIN

di Maricla Boggio

Lina Merlin è stata l’unica donna deputato all’Assemblea Costi-tuente nel Collegio Unico Nazionale costituitosi nel 1946 per lastesura della Costituzione. Prima ed unica senatrice per due legi-slature – 1948 -53 e 1953-58 – venne eletta nei collegi rispettiva-mente di Adria e di Rovigo; per la terza legislatura – 1958-63 –venne eletta alla Camera.Iscrittasi a ventidue anni al partito socialista nel 1919, si opposefin dai suoi inizi al regime fascista; più volte in carcere venne poimandata al confino in Sardegna fino al 1930. Durante la Resi-stenza partecipò alla lotta clandestina organizzando l’assistenzaai partigiani di Milano. Nel 1945 fu tra le fondatrici dell’UDI –unione donne italiane, e si adoperò attivamente al rinnovamentodelle istituzioni. Fino alla fine degli anni Settanta, la Merlin siimpegnò nella risoluzione dei problemi sociali più scottanti, dallecondizioni disagiate di varie categorie di lavoratori, ai disastridell’alluvione nel Polesine, alla lotta contro la mafia.Questo testo teatrale sviluppa in particolare la battaglia di LinaMerlin durata dieci anni e, soprattutto nei primi anni, isolata,tesa a cancellare la vergogna delle “case chiuse” attraverso unalegge che eliminasse gli interessi dello Stato nel commercio delledonne e riportasse queste a pari dignità rispetto a tutti gli altricittadini: fra le ultime nazioni, l’Italia teneva ancora aperte quel-le “case” e non poteva far parte delle Nazioni Unite se non prov-vedeva ad adeguarsi al più presto agli altri Paesi. Nel periodo attuale, in cui la discussione sulla prostituzionerischia di assumere accenti che esulano dalla libertà di gestireliberamente la propria esistenza, ma tenta di far tornare a gallaantichi regolamenti di stampo vetero-maschilista, la rappresenta-zione di questa battaglia civile mi è sembrata un giusto omaggioall’impegno di Lina Merlin e un richiamo necessario al rispettodella dignità di tutte le donne.

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TEST I

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pubblico. Mentre stavamo discutendo, passò di là il senato-re Umberto Terracini. Gli esponemmo il caso, lui avevatrattato quell’argomento nella sua tesi di laurea. Ascoltòcon attenzione, poi disse: «È giusto. Perché questa propo-sta non la presenti tu?”. A luglio esponemmo al Senato la prima bozza. Era il 1948.Per arrivare all’approvazione della legge sarebbero passatidieci anni.

Si apre il sipario. La Merlin entra in scena. Siede nella zonadestinatale.Il giornalista avanza con andatura morbida e si rivolge aglispettatori.

IL GIORNALISTA – Facevo il giornalista parlamentare,quando la Camera e il Senato della Repubblica furono alungo impegnati nella discussione intorno alla legge chesubito si chiamò “la legge Merlin”.Soltanto il Patto Atlantico e la legge elettorale maggiorita-ria, detta polemicamente “legge truffa”, conobbero, io cre-do, fasi più mosse e provocarono interventi più appassio-nati.Nel corso di due legislature, intere stagioni parlamentari,in sede di commissione e in aula, furono assorbite dall’as-sillante tema tenacemente perseguito dalla battaglierasenatrice.

Brusii, risa sguaiate, voci in sovrapposizione. Il campanello del Presidente del Senato si agita furiosamen-te, fino a che il frastuono si placa.

LA MERLIN – La ringrazio signor presidente di consentirmidi concludere quanto ancora ho da dire su questa propostadi legge così osteggiata e perfino derisa.Non vi è nessuna ragione perché una legge come questanon si conformi al principio universalmente accettato,secondo cui la legge, per essere legge e non legalizzazionedell’arbitrio, deve essere uguale per tutti. Non vi è nessuna ragione perché qualcuno possa essereliberato dalle responsabilità che gli incombono in quantomembro della società civile. Nessuno può essere ridotto in servitù perché piace ad altridi usare questo sistema per assicurare l’apparente sicurezzadei propri vizi.E circa la pretesa igiene da controllare nelle case di tolle-ranza, non vi è nessuna ragione perché certi medici si met-tano al di sopra della legge. Questi medici stabiliscono unadiscriminazione enorme tra donne e uomini riguardo allemalattie che vi si contraggono: la donna è un “terribilepericolo sociale”; l’uomo è un “imprudente ostinato”.

Voci di dissenso, risa, urla. Il campanello del Presidente siagita energicamente, fino a ristabile il silenzio.

Concludo. La legislazione italiana appare oggi singolar-mente arretrata. L’Italia, ammessa all’Organizzazione delleNazioni Unite, si troverebbe in condizione di inferioritàrispetto alle altre nazioni. L’Italia sarebbe la sola a ripudia-re i principi affermati dall’ONU relativi al rispetto dellalibertà e della dignità umana. L’Italia non sarebbe in gradodi firmare la nuova Convenzione Internazionale, che preve-

de la punizione di chi tiene una casa di prostituzione edogni forma di sfruttamento della prostituzione, e prevedeanche la proibizione delle iscrizioni delle prostitute.Oggi tutte le donne italiane attendono che in sintonia conlo spirito e la lettera della Costituzione sia cancellata unavergogna che oltraggia l’onore della nostra nazione, ladignità umana, la coscienza civile.

Applausi e dissensi. Il frastuono svanisce.Sullo sfondo appare l’immagine di JOSEPHINE BUTLER.La Merlin parla con tono confidenziale, come a se stessa.

LA MERLIN – Quasi cento anni fa, Josephine Butler, tu hailottato per far chiudere le case in Inghilterra.

L’immagine fissa di Josephine si anima.

JOSEPHINE BUTLER – Gli stessi argomenti che adesso titrovi a dover affrontare tu, cara Lina. La mentalità degli uomini è la stessa, in ogni paese tu vada,in qualsiasi epoca tu viva. Ti accusano di voler cancellarela prostituzione dalla faccia della terra. Certo sarebbe belloche nessuna donna dovesse darsi ad un uomo senza amorema soltanto per bisogno. Io non chiedevo tanto, e neppuretu. Soltanto la dignità, l’uguaglianza, la libertà per tutti. Anch’io sono stata derisa. Molti però erano d’accordo conme, a cominciare da mio marito. Per far passare quella leg-ge. In Inghilterra ci sono voluti diciotto anni. A te neoccorrerà qualcuno di meno. Vai avanti, non farti intimori-re dalle accuse degli uomini, perfino dei tuoi colleghi sena-tori e deputati.

LA MERLIN – Dimmi su quali temi hai insistito di più.

JOSEPHINE BUTLER – Per prima cosa, la nefasta ripercus-sione sui giovani e giovanissimi. Sulla loro educazione ses-suale nell’età in cui gli istinti si sviluppano. Non c’è unragazzo che non consideri la visita alla casa del piacerecome un battesimo della sua virilità. È affascinato da questa strana istituzione che sa di harem,di carcere, di mercato di schiave, in cui può entrare senzainfrangere nessuna legge. Inesperto com’è, un ragazzo con-sidera la casa di piacere come una delle grandi provvidenzedello Stato per i suoi onesti cittadini. Dopo però ne risen-tirà le conseguenze morali, e quelle pratiche sessuali siripercuoteranno sul suo fisico. Oggi la vita dei giovani si sviluppa in un clima che nonrisente più della malsana ipocrisia che regolava i rapportifra i due sessi, quindi basta con le case di piacere!Questo per quanto riguarda i giovani. Il tema di maggior rilievo riguarda la dignità di tutte ledonne. La degradazione imposta a creature miserabili è un diso-nore per ognuna di noi, una vergogna per tutte. Devi rivolgerti direttamente agli uomini, come ho fatto io.Domanda: credete davvero che l’abbrutimento e la schia-vitù del sesso femminile sia una delle condizioni di esi-stenza della specie umana? Se lo credete, siete pronti apresentare in olocausto a questa fatalità vostra sorella,vostra figlia, vostra madre, vostra moglie? Nessunorisponderà di sì.

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E allora, in nome dalla giustizia, come potete esigere daaltri un sacrificio che non vorreste fare? Voi vi trovate nel-l’alternativa di sacrificare donne che vi sono sacre o di eri-gere a legge questa mostruosa iniquità: bisogna prendere lefiglie degli altri, che sono sempre le figlie dei poveri, perimporre loro un giogo vergognoso e crudele!

Josephine Butler si arresta ansante. Con tono affettuoso si rivolge alla Merlin.

Lina, abbi fiducia. Incontrerai molti ostacoli, ma la causaper cui combatti troverà sostenitori in tutti i partiti e tanticolleghi che al di là di un credo politico sono convinti chetutti gli uomini e tutte le donne hanno uguali diritti.

L’immagine di Josephine Butler scompare.La Merlin si rivolge agli spettatori.

LA MERLIN – La mia proposta in Senato dormiva nel caosdi infiniti disegni di legge. Ma le donne delle case, pur nel-l’ombra delle loro stanze dalle persiane chiuse, avevanosaputo! E cominciarono a mandarmi lettere.

Appare l’immagine di una donna vestita di un grembiulelogoro, le mani rovinate, i capelli annodati alla meglio. Èuna serva delle case. L’immagine si anima. La serva parla con tono stanco ma determinato, carico diantichi rancori e di non concluse sofferenze.

LA SERVA – Lei, senatrice Merlin, è la nostra protettrice,ma non sa ancora come si vive davvero qua dentro. Persinola Questura non lo sa! Perché mai nessuno ha osato di par-larne. I signori padroni delle case di tolleranza ricavanodall’incasso della ragazza la metà, e poi pretendono diprendersi la pensione del mangiare sulla metà che è rimastaalla ragazza, e anche il soggiorno e poi lei deve pagarsiperfino la luce perché non gliela tolgano di notte.Io lavoro la dentro, faccio le pulizie, vedo tutto! Alle signorine danno la bistecca di settanta grammi e licen-ziano la cuoca sui due piedi se per caso si dovesse sbaglia-re a darne di più. Il peso viene controllato dai signoripadroni! Se qualche signorina protesta col dire che labistecca è piccola, allora fingono di richiamare la cuocaalla presenza delle signorine e si permettono di dirci che èuna ladra, che con tutto quel denaro che gli danno per pre-parare da mangiare potrebbe fare delle bistecche doppie. Ela cuoca bisogna che stia zitta perché altrimenti vienelicenziata: dove va con tanta disoccupazione che c’è? Biso-gna che ingoi e che sopporti. Però per i cani dei padroni cisono i polli interi!Le signorine hanno bisogno di vestiti, ma è proibitouscire! Passano i viaggiatori, ma non possono entrare evendere alle signorine se non vestono a gratis i padro-ni. E allora questi viaggiatori sono costretti a prenderleper il collo queste disgraziate, per poter rimanere sulbilancio e mettere i loro vestiti a un prezzo molto piùalto. Il profumiere la stessa sorte, altrimenti non entrapiù. Il parrucchiere idem. È tutta una via crucis giorna-liera. Le signorine piangono e devono fare silenzio perché,se ricorrono alla Questura, non le accettano più in nes-

suna casa d’Italia, i padroni le segnalano dappertutto, ecosì non possono più lavorare.Noi personale di servizio siamo andate lì perché abbiamomariti mutilati, o siamo vedove e dobbiamo mantenere ifigli, com’è per me. E i padroni ci pagano pochissimo.Dobbiamo vivere sulle spese delle signorine, ogni cifraviene raddoppiata, sempre con il permesso dei padroni perpagarci poco. E se la signorina protesta coi padroni, quellimi chiamano, fingono di sgridarmi; poi in separata sedealla signorina dicono di portare pazienza, che presto milicenziano. Intanto la signorina finisce la quindicina e se ne va inun’altra casa, il personale rimane e tutto finisce e ricomin-cia uguale.

L’immagine della serva svanisce.Con andatura nonchalante, torna in scena il giornalista.La Merlin si pone ad ascoltarlo.

IL GIORNALISTA – Non c’era giornalista, a quel tempo, chenon ricevesse almeno una quindicina di lettere alla settima-na, invocanti articoli di fuoco contro il “folle” progetto. Molti padri di famiglia erano completamente d’accordocon i figli, e il secolare conflitto tra le vecchie e le nuovegenerazioni conobbe, in quegli anni, una nobile tregua.I commessi del Senato, poi, erano costantemente mobilitatiper smistare la corrispondenza da recapitare alla Merlin. Ilcontenuto della stragrande maggioranza di quelle missiveera decisamente osceno, talvolta con disegni turpi dove lasenatrice veniva grossolanamente effigiata in sembianze dimegera e in pose sconce, ora inchiodata alla gogna, orapenzolante da un capestro. Ella d’altronde era sicura delfatto suo, avendo dalla sua parte i parlamentari democri-stiani, oltre a quelli del suo partito – il socialista – che perdisciplina di gruppo dovevano mostrarle ogni solidarietà. Emolti furono gli interventi, pro e contro, dai banchi diPalazzo Madama. Tra gli atti di quella legislatura, si trovano veri e propri epi-cedi delle case di piacere. L’intervento più alto, per quelch’io ricordi, fu quello del venerando senatore GaetanoPieraccini, medico di fama e scrittore mantegazziano, oltreche, nei primi mesi dopo la liberazione, sindaco di Firenze.

Appare l’immagine del senatore Gaetano Piraccini. L’imma-gine si anima e l’oratore prende a parlare.Il giornalista rimane ad ascoltare.

PIERACCINI – Il mio discorso sarà forse un po’ lungo e par-ticolareggiato. D’altra parte credo di essere il solo a difen-dere il bordello, e quindi mi vorrete scusare. Il postribolo è innanzitutto un luogo sorvegliato dall’Auto-rità Sanitaria. Quelle donne non possono uscire dalla casaaltro che per andare a messa, oppure per andare a trovarequalche loro figlio, e sono sempre accompagnate da unpoliziotto della squadra del buon costume.

LA MERLIN – Le donne non escono dalle case per andare amessa, ma per andare a farsi le iniezioni antiveneree che imedici privati fanno pagare mille lire l’una!

PIERACCINI – Se ci sono difetti nell’applicazione della leg-

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ge, ciò non significa che la legge sia cattiva. Per quantoriguarda la religione delle prostitute, mentre nelle lorocamere non si vede alcuna immagine religiosa – questo sicomprende –, la sera, quando termina il lavoro, dal como-dino qualche immagine salta fuori, per rinascondersi quan-do ricominciano certe operazioni. Non è un fatto indiffe-rente codesto!Parliano delle visite mediche. Non si tratta solamente diesaminare i genitali della donna. Si prendono delle muco-sità vulvari e vaginali per controllarle al microscopio, perconstatare la eventuale presenza di genococchi. Eh! questirilievi accreditano l’opera profilattica dell’attuale leggesulla sorveglianza igienica dei postriboli. Eppoi, ci sonopostriboli bellissimi: a Firenze vi ho trovato il bagno nellecamere, e se si sale alle case più alte, ci sono specchi... unmobilio bellissimo...

Torna il giornalista.

IL GIORNALISTA – Il quadro che il senatore Pieraccinitesseva, forse non rispondeva più a quello offerto, negliultimi anni, dei postriboli superstiti. Data la tarda età,era chiaro che l’oratore aveva smesso di frequentarli damezzo secolo almeno. Ma l’occasione era per lui tale dariportare alla sua memoria un’eco della lontana giovi-nezza, quando maestosi portoni, saloni e giardini confontane degni di un ballo imperiale, e specchi che riflet-tevano magicamente l’universo, accoglievano, con lalarghezza ospitale di un castello arciducale, la clientelapiù eletta della belle époque. Le donne apparivano tal-volta velate come in un harem, e l’Occidente e l’Orien-te si davano suggestivamente la mano, ignari che, di lì apoco, il mondo sarebbe stato sconvolto dalle revolveratedi Serajevo.

PIERACCINI – L’onorevole Merlin diceva una cosa moltogiusta: la legge della conservazione dell’individuo e quel-la della conservazione della specie sono due leggi naturaliferree. Ma la legge della conservazione della specie, ono-revole Merlin, è la più forte, tanto nell’uomo che neglianimali. Le anguille che popolano i fiumi che sboccanonel Mediterraneo, quando entrano in amore, fanno unviaggio di migliaia di chilometri, vanno a trovare il loroletto di nozze alle Bermude, nell’Oceano Atlantico e lìdepongono le uova! Nascono le piccole anguille e rimon-tano i fiumi riprendendo la via dei loro genitori: conside-ri, onorevole Merlin, quanto è potente questo stimolo ses-suale! È ben questo stimolo che bisogna assistere e rego-lamentare con sane leggi e non dire: «Beh! uomini fatequello che volete e se vi impesterete peggio per voi!». Onorevoli senatori, il bel sole, la primavera, l’incantevolepaesaggio sono stimoli agli amori: ecco perché l’Italianon ha ancora abolito il postribolo, tra popolazioni delNord e del Sud ci corre una notevole differenza!E poi, mi permetta, onorevole Merlin, un rilievo. Ella haparlato di cento sedute d’amore al giorno per ogni donnadi postribolo: ciò non è possibile, è un’esagerazione! Sesi realizzassero cento coiti al giorno, calcolando anchequindici minuti per ciascuna seduta, cento sedute richie-derebbero venticinque ore! Abbassiamo il tempo dellaricreazione: portandolo a dieci minuti, ci vogliono sempre

diciassette ore circa. Io ho calcolato invece per le postri-bolanti un numero che si aggira al massimo a trenta coitigiornalieri: e il controllo igienico è assai più che perquello delle libere e vaganti, che al massimo – voglioessere generoso – raggiunge il numero di sei coiti ciascu-na. E veniamo alla questione della concedenda libertà atutte le meretrici, ossia alla libertà assoluta di offenderel’integrità fisica degli uomini. Con questa parte medico-legale darò corso alla richiestadella onorevole Merlin....

Il senatore Pieraccini svanisce mentre le ultime parole dellasua orazione si perdono lontano.Nell’aria echeggia un motivetto.

Il giornalista ascolta sorridendo.

CANZONETTA – Mimosa. mimosa,quanta malinconia nel tuo sorriso...avevi quel progetto delle case,ma forse resterai molto delusa...

La canzonetta prosegue in sottofondo.

IL GIORNALISTA – A quel tempo la Merlin vestiva conuna certa civetteria. I cronisti trovavano sempre il modo diparlare del suo cappellino grigio perla adorno di unamimosa. Venne di moda, nei corridoi e nella buvette di PalazzoMadama, una parafrasi scherzosa di quella famosa canzo-netta del primo dopoguerra.

La canzonetta sfuma. La Merlin scuote il capo fieramente.

LA MERLIN – Speravano che mi sarei arresa. Ero attacca-ta da tutte le parti. Mi mandavano insulti con lettereanonime, e parecchie addirittura firmate. Fui messa inburletta perfino sui palcoscenici e nei variétés. E i gior-nalisti! da tutto il mondo mi telefonavano, venivano acercarmi, non smettevano di tormentarmi. Ho tenuto testa agli avversari: certi erano in buona fede,ma la maggioranza era dura a capire. E altri erano forag-giati dalla gang dei lenoni: avevano addirittura organiz-zato riunioni a Milano e a Genova, e avevano stanziatoun miliardo! – dico un miliardo e siamo nel 1948! – perla campagna anti-Merlin! Sapevo, pur non potendolodimostrare, che esisteva una lobby di tenutari, e certierano presenti anche fra gli eletti al Parlamento. Ma era tale davanti al mondo la vergogna per quellecase su cui lo Stato guadagnava, che riuscii a far discu-tere la proposta sugli argomenti del testo redatto dallaCommissione, e finalmente essa fu approvata a stragran-de maggioranza. Poi la proposta fu inviata alla Camera. Tutte le Associa-zioni Femminili mi aiutavano. E anche tanti colleghi, didiversi partiti, erano convinti che si dovesse arrivare allaapprovazione della legge.

Brusii da aula parlamentare. Le voci si zittiscono. Emerge daun banco il senatore Galletto.

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SENATORE GALLETTO – Vorrei ancora aggiungere qual-che cenno al mio discorso. E lo farò ricordando la miaesperienza di avvocato penalista. Il primo processo che hodiscusso dinanzi alla Corte di Assise è stato un processoper infanticidio. Colpevole, una donna finita in carcere pri-ma di finire in una casa di prostituzione. Poi ho discusso unaltro processo per omicidio: una donna violentata, abban-donata, incanalata per i postriboli, a un certo momento rea-gisce e uccide. Questi fatti grondano di sangue e di dolore.Poi, non possiamo ignorare la situazione internazionale.Alla Società delle Nazioni il problema della prostituzione èstato a lungo discusso e più volte ripreso. E nel 1947, condeliberazione unanime, veniva stabilita l’abolizione dellecase di prostituzione.

In Europa diciotto paesi hanno legalmente stabilito lachiusura delle case di prostituzione. Solo tre, e tra questil’Italia, hanno mantenuto la regolamentazione di questecase. Il problema non ha solo ripercussioni di caratteremorale, ma anche di carattere politico, sociale e, per meche vi parlo, democratico cristiano e cattolico, spirituale ereligioso.Come si può sopportare che lo Stato autorizzi un contrattotra le donne perdute e i tenutari? Come si può accettareche abbia l’alta sanzione dello Stato un contratto nel qualela dignità, la moralità, le qualità migliori della donna ven-gano violate?

L’immagine del senatore Galletto svanisce.

Maricla Boggio, laureata in legge, diplomata con Orazio Costain regia all’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica “SilvioD’Amico”, dove è docente di scrittura scenica; prosegue in uni-versità e seminari l’insegnamento del Maestro sul metodo mimi-co, su cui ha scritto “Il corpo creativo”, “Mistero e Teatro”,“Orazio Costa maestro di teatro” e “Orazio Costa prova Amle-to”, Bulzoni 2001, 2004, 2006, 2008, e sempre sul metodo harealizzato i filmati “L’uomo e l’attore – Orazio Costa maestro diteatro”.Ha inaugurato il Teatro della Maddalena con la regia di “MaraMaria Marianna”, un episodio del quale, tratto dal libro “Ragaz-za madre”, Marsilio ed., è diventato “Marisa della Magliana”,definito “il primo telefilm femminista” (RAI, 1975).Fondatrice de “Le Isabelle”, ne ha raccolto in due volumi l’atti-vità – “Le Isabelle – dal Teatro della Maddalena alla IsabellaAndreini”, Besa 2002.Tra i premi: tre IDI, un Fondi La Pastora, un Giuseppe Fava,due Candoni, e il Premio della Presidenza del Consiglio per“Matteotti, l’ultimo discorso”, rappresentato alla Sala Consiliaredel Campidoglio (2004-2005).Tra i più di 60 testi per il teatro, rappresentati e pubblicati:“Santa Maria dei Battuti” insieme a Franco Cuomo; “La monacaportoghese”, con Rosa Di Lucia, regìa di Bruno Mazzali;“Schegge – vite di quartiere”, regìa di Andrea Camilleri; “Mariadell’Angelo” con Regina Bianchi, regìa di Ugo Gregoretti; “Losguardo di Orfeo”, regìa di Mario Ferrero; “Il volto velato”,regìa di Walter Manfrè; “Rocco Scotellaro”, film con regìa diMaurizio Scaparro; “Caracciolo – dramma in commedia” e“Spax”, regìe di Fortunato Calvino; “La stagione dei disinganni– Alfieri a Parigi incontra Goldoni e sogna Gobetti”, regìe diMiranda Martino e di Massimo Scaglione; “Pirandello Abba –frammenti”, regìa di Ennio Coltorti; “Doppiaggio”, regìa diMario Prosperi; “Humana e Via Crucis”, regìa di GiovannaCaserta; “Matteotti – l’ultimo discorso”, sua regia.Fra i testi di narrativa, saggistica e antropologia: “La monacaportoghese – cinque lettere d’amore”, Bulzoni 1980; “la Nara –una donna dentro la storia”, Jaca Book 1991; “Storie e luoghisegreti del Piemonte” Newton Compton, 6 edizioni dal 1986; “Ilvolto dell’altro – aids e immaginario” con L. M. LombardiSatriani e F. Mele, Meltemi 1995; “Come una ladra a lampo – laMadonna della Milicia, sacro e profano” con G. Bucaro e L. M.Satriani, Meltemi 1996; “Il volto velato” su Teresa di Lisieux,Besa 2000; “Farsi male”, Falzea 2001; “Maria Urtica – un’infan-zia nel ‘45”, Besa 2005; “Natuzza – il dolore e la parola” con L.M. Lombardi Satriani, Armando 2006; “Il disincanto – le patolo-gie dell’abbondanza in una comunità terapeutica per doppia dia-gnosi” con Raffaella Bortino e Francisco Mele, Armando 2006.

Sito: www.mariclaboggio.it

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LA MERLIN – Signor presidente, onorevoli colleghi, quandosi è saputo che io presentavo questo progetto, è avvenutociò che non avrei mai immaginato. Pensavo che nella maggior parte degli italiani fosseromaturi quei principi di libertà e di giustizia sociale che lanostra Costituzione afferma con tanta solennità.Invece mi si è riversata contro ogni sorta di contrasti. Le lettere: la settimana scorsa è stata la volta dei colonnel-li in pensione, e prima c’era stata la settimana degli inge-gneri, quella degli avvocati, dei medici, dei sociologi eperfino la settimana dei giovani “coscienti ed evoluti”. Dalche io posso desumere che le varie categorie sono stateorganizzate preventivamente. Tutte le critiche si mostrava-no intessute di malafede e, nella migliore delle ipotesi,manifestavano chiaramente che si era discusso del mioprogetto senza averlo prima serenamente esaminato.Ma altre lettere, di ben diversa portata, mi sono venutedalle maggiori interessate. E vari colloqui ho avuto conesse, in altre città e qui a Roma, a Palazzo Madama, nellesale celtiche, nei luoghi di recupero e perfino nelle case ditolleranza che mi sono recata a visitare.Ecco qualcuna di queste lettere.“Sono una ragazza che gira per queste case. Vi possodescrivere bene la vita che vi si trascorre...”.

Alla voce della Merlin si sovrappone quella della ragazzaromana che appare e comincia a raccontare.

RAGAZZA ROMANA – Manca tutto. Perfino l’acqua.

Lavoriamo dalle dieci del mattino fino all’una di nottesenza interruzioni, e se ci lamentiamo veniamo cacciatevia... Abbiamo uno sfruttatore da mantenere, quasi ognuna dinoi deve tenerselo. Altro che amante!, è un lurido essered’accordo con le padrone: quando gli occorrono soldi, se lifanno dare da loro, e noi dobbiamo rimanere nella casafino a che non si è scontato il debito!

La Merlin inizia un’altra lettera, mentre si fa avanti accantoalla precedente la ragazza napoletana. Ognuna delle ragazze è vestita e truccata vistosamente, mamostra sotto l’aspetto festoso una tristezza di fondo.

LA MERLIN – “A Napoli i padroni giocano alle corse e per-dono cifre da capogiro...”.

La ragazza napoletana prosegue il racconto accanto all’al-tra che annuisce a quanto va dicendo la compagna. Ogni nuova ragazza si aggiungerà alle precedenti.

RAGAZZA NAPOLETANA – Automobili, ville, cocaina!Conducono una vita da nababbi, i padroni, e siamo noi aprocurargli tutta ’sta pacchia. Ciò che si fa in queste case vui non ve lo putite credere!Più c’è lusso più c’è depravazione. Ci vengono tanti uomi-ni sposati, e giovanotti per fare “esperienza prima delmatrimonio...”. E diventano capaci di qualunque azionepur di procurarsi l’ebbrezza che gli hanno fatto provarequa, con la cocaina! E i vecchi viziosi, quelli pagano pure il doppio per costrin-gere noi ragazze a cose che nessuno può immaginare...

Si inserisce la ragazza emiliana.

RAGAZZA EMILIANA – È facile giudicarci perché faccia-mo questa miserabile esistenza. Le stesse cose le pensavoanch’io da ragazzina quando facevo le magistrali. Bisognaprovare a restare sole!... Dicono che non siamo obbligate aentrare nella vita. Non è vero! Tante volte sono deglisfruttatori senza scrupoli che ti costringono, Tante volte èla fame, il bisogno di soldi per mantenere la famiglia. Equando poi c’è un bambino che t’è venuto perché ti hannoilluso e poi ti hanno abbandonato... Come fai a trovare isoldi per mandarlo a balia, per pagare la retta del collegio?Che non sappia mai, la tua creatura, che cosa fa suamadre...

Fra le ragazze si inserisce la ragazza piemontese.

RAGAZZA PIEMONTESE – Riceviamo fino a centouomini al giorno, i vecchi sporcaccioni. i giovaniinfoiati, e gli ubriachi, e quelli che urlano, e quelli chevogliono sentir parlare... e quelli che ti chiedono coseche una volta solo a sentirle ci facevano arrossire eadesso facciamo perché non ci importa più di niente...Gente che paga per averci come bestie al mercato! Dor-miamo negli stessi letti dove riceviamo i clienti, e dinotte è una tortura: ci rivoltiamo nello sperma e nelsudore, il nostro sonno è pieno di incubi, e quando cisvegliamo è peggio ancora, perché rivediamo lo stesso

Il libro è stato realizzato da Lina Merlin e dalla moglie de pre-sidente Pertini, Carla Voltolina, che qui si firma Barberis

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letto, la stessa stanza, e ricomincia la catena di quellafila di maschi che non finisce mai ...

Alle ragazze si aggiunge la ragazza veneta.

RAGAZZA VENETA – Ero orfana. Mia sorella più grandesi sposa e mi accoglie in casa, lei lavorava fuori col mari-to, io facevo le faccende. Ma un giorno lui mi prende disorpresa, guai se lo dico! E appena può, ripete quella cosatremenda. Per paura io tacevo. E mi ritrovo incinta. Mivergognavo; dirlo a mia sorella, non mi avrebbe creduto.Lui voleva che abortissi. Allora sono scappata. Sola, senzaaiuti, in città. Mi trova una pattuglia. Documenti non neho. Dicono sei una puttana. Mi portano in prigione. Quan-do nasce il bambino mi mandano fuori, nel documento c’èche sono schedata. E così divento prostituta. Devo pagarela balia che mi tenga il bambino. Entro in una di quellecase, mi avevano detto guadagnerai un sacco di denaro...Ci resto poco, penso, poi me ne vado, e riprendo miofiglio. Per vivere lavoro alla maglia, cucio da sarta, qual-che cosa so fare... Ma sono dentro ormai, soldi non me nerestano, a noi ragazze non ci rimane che il quindici percento dell’incasso, tutto il resto se lo mangiano i padroni, iservizi, le mance, le visite mediche...

La ragazza veneta urla.

Basta con gli sfruttatori e i tiranni! Se riuscirete a chiuderele case, che Dio vi benedica!

L’immagine delle Ragazze svanisce.

LA MERLIN – Naturalmente, onorevoli senatori, non biso-gna domandare agli uomini la loro impressione sulle casedi tolleranza, la loro testimonianza non potrebbe essereserena. Ma abbiate la pazienza di ascoltare, perché vi leggeròalcuni stralci di una descrizione fatta da una signora, laquale si è recata per indagini in quella casa. In una grande sala circondata da panche di legno moltiuomini attendono, per la maggior parte vecchi, sgraziati edimessamente vestiti. La loro espressione è annoiata e tri-ste. Non sembrano in attesa di folli ebbrezze, ma di rischie di pericoli. Ritte in piedi, in mezzo alla sala, stanno due o tre donnedall’aspetto di manichini di cera; non hanno fascino, nonhanno vita, sono la merce stampigliata dello Stato. Nonimporta di sapere come sono giunte: si sa che il giorno incui entrarono in questi luoghi, accompagnate dall’agentedella tratta permessa dallo Stato, inseguite dallo sbirro sti-pendiato dallo Stato, hanno visto fiammeggiare davanti ailoro occhi le parole “Lasciate ogni speranza o voi ch’en-trate!”. La distruzione della loro umanità, della loro perso-nalità è stata operata sotto l’egida dello Stato, metodica-mente, implacabilmente.

Brusìo di voci fra stupore e irritazione.I senatori commenta-no in modi contrastanti a seconda della rispettiva opinioneriguardo alla chiusura delle “case”. Il brusìo svanisce mentre la Merlin riprende a parlare.

Si cammina per corridoi semibui, fiancheggiati da porte.

Una vecchia che ci accompagna ne apre qualcuna conindifferenza. Qualcuno dentro dice: “È occupata”. Unavolta abbiamo una rapida visione di membra stagliate dal-l’inquadratura della porta. Un cartello alla parete, il famoso decalogo degli avverti-menti. A capo del letto un altro cartello: lire tante. Lacoperta che copre il letto è sudicia: ottanta, novanta uomi-ni si distendono su quella coperta ogni giorno, assai spessoaffetti da malattie della pelle e da ogni varietà di parassiti.Tutti i mali, tutte le sporcizie hanno il diritto di essereignorati e tutte le abiezioni hanno il diritto di essere soddi-sfatte alla tariffa di lire tante. E c’è anche lo specchiettoper le allodole che permette di dire: “In quelle case si tute-la l’igiene”. Su di una mensola unta e macchiata c’è unvasetto e due bottiglie sulle cui etichette si potrebbe scri-vere illusione, illusione per chi ha il coraggio di servirse-ne.Ogni giorno innumerevoli volte tra queste pareti si discen-de al livello dei bruti. Ogni giorno si viola la legge dinatura che ha il fine della conservazione della specie.Gli uomini dichiarano: “Le prostitute non sono donne. Lanatura ignora la loro esistenza”. Ma per la natura ognidonna è donna, e ogni donna è madre.Molte di queste donne sono già madri al loro ingresso inqueste case. Quasi tutte, qui, concepiscono, e se la mater-nità non è interrotta, dopo alcuni mesi sono gettate sulmarciapiede e i loro bambini portati al brefotrofio. Tutta-via la natura non riconosce prostitute e bastardi, ma sol-tanto madri e bambini.

Brusii di commento.

E la nostra visita prosegue. Un individuo esce e si allonta-na, un altro si affaccia alla stessa porta, poco dopo esceuna donna che certo non ha più alcun ricordo di quell’uo-mo. Non è un uomo per lei, è un’ombra oscena fra milleombre oscene. Ed ecco in fondo al corridoio la sala da visita, luminosa,con una sedia bianca. Qui si svolge l’atto più doloroso del-la tragica farsa regolamentista.La disuguaglianza delle categorie sociali e la disugua-glianza dei sessi non aveva mai ricevuto, neanche fra leschiave antiche, una soluzione così atroce e spaventosa.Le infelici vivono in quest’afa tutto il giorno, escono poconelle grandi città e non escono quasi mai in provincia. Laloro vita è quella delle sepolte vive.Ora siamo in un andito illuminato da una forte luce. Nel-l’andito troneggiano tre casse e dietro ognuna di esse unadonna riceve, conta, controlla e registra il denaro. La lugu-bre sala d’attesa, le celle pidocchiose, la sedia bianca han-no questo principio e questo fine: far scorrere il denaro frale dita delle tre megere.

Forti brusìì fino a sfumare nel silenzio.Avanza con passo morbido il giornalista.

IL GIORNALISTA – Quella degli “Avignonesi” era una“casa” piuttosto di lusso. Negli ultimi tempi era la solarimasta a Roma di un certo chic. Le persone serie erano, almeno al novanta per cento, sicu-re di non incontrarvi giovani parenti o dipendenti, dato il

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prezzo e l’abilità della “signora” nel selezionare la clien-tela. Era difficile che un professore, tra quelle mura, s’imbat-tesse in qualche suo allievo. Anche la strada era pocofrequentata, sì che era quasi sempre superabile, senzaricorrere a nessun espediente, l’imbarazzo dell’uscita.Molte delle signorine erano di Bologna, ma c’eranoanche altre città, e ogni ragazza veniva chiamata con ilnome della città da cui veniva. Negli anni fra il Trenta eil Quaranta era la meta preferita dei gerarchi fascisti edelle personalità del Regime in genere. Un giorno – erala primavera del ’37 – tutti i podestà d’Italia erano con-venuti a Roma per un’adunata a piazza Venezia. Bene, inquella “casa” non c’era divano o sedia dove non ci fosseun copricapo di gerarca. Le ragazze non sapevano cometener testa all’impeto dei podestà, che, tra l’altro, si chia-mavano tra di loro con il nome delle rispettive città e nonsi capiva più se “Bolzano”, “Ravenna”, “Cesena”, “Fer-rara”, “Monza” fossero le ragazze o i gerarchi. “Cesena! – gridava la padrona – c’è di là un signore cheti vuole!”. Il podestà di Cesena andava “di là”, credendoche qualche collega avesse bisogno di lui e invece trova-va un cliente della “casa” impaziente di accompagnarsicon una delle signorine, chiamata “Cesena” in omaggioalla sua città. Ma “Cesena” numero uno, in quel momen-to, era impegnata con “Bolzano” in stivaloni, e a “Cese-na” numero due non restava che lanciare invettive verna-cole contro la “signora” alla quale non mancavano argo-menti per replicare.A un certo punto di quella giornata così agitata, un pode-stà uscì di corsa da dietro una tenda, inseguito dalla“signora” infuriata. “Cosa crede? – urlava la donna con il tono di chi procla-ma, alto, anche dinanzi al patibolo, l’invulnerabilità di undiritto consacrato dal sangue – Cosa crede? Che la boccadelle ragazze sia un cesso?”.Il podestà tentò una difesa disperata, ma l’aggressivitàdella “signora” era tale da indurlo a trovare scampo nellafuga. Era successo che la permanenza del gerarca nellacamera di una signorina s’era protratta per quasi un’ora eil cliente, poi, aveva fatto storie al momento di pagare,appigliandosi alla tariffa esposta sulla cattedra dellamaîtresse e che, come ogni frequentatore rispettabile diquei luoghi doveva sapere, aveva la stessa simbolica fun-zione delle cifre che le liste dei ristoranti segnano per ilpranzo a prezzo fisso. Vi erano prestazioni speciali chele ragazze prodigavano senza lasciarsi pregare, talvoltaanche senza invito, ai clienti e non contemplate nellatabella, per le quali per un’intesa che nessuno si sognavamai di contestare, si pagava un supplemento speciale. In “case” come questa si incontravano fior di poeti e let-terati fra i più celebri d’Italia. Ma anche altre, d’infimoordine, gli scrittori e gli uomini di cultura amavano fre-quentare. C’era ad esempio un postribolo di singolaresporcizia dietro piazza Navona, in cui vigeva la tariffapiù bassa del mondo, cinque lire per i civili e tre per imilitari. Vi era sempre, fin sulla strada, una fila di soldatiin attesa. Le “signorine”, quasi tutte attempate, non ave-vano tregua dalla mattina alla sera, e ogni perdita di tem-po in indugi e preamboli amorosi con i clienti corrispon-deva a una perdita di denaro. Allora, prima che il cliente

entrasse in camera, la “padrona”, con gesto di esperta,controllava se fosse già in condizioni di appagare subitoil suo desiderio. Qualora la verifica avesse dato un risul-tato negativo, il “bel signore” era pregato con gentilezzadi farsi da parte e di cercare di mettersi al passo con glialtri. Quella saggia maîtresse era stata in giovinezza una stelladel “varietà”: appariva carica di piume sul palcoscenico egli spasimanti l’aspettavano all’uscita per contendersenei favori. Al tempo dei suoi trionfi “teatrali” era stata l’a-mante di un giovanotto divenuto poi un gran gerarcafascista; da maîtresse aveva avuto l’idea di appendere,sulla sua “cattedra” davanti alla quale dovevano sfilare iclienti per il controllo, un enorme ritratto del duce a tor-so nudo su una trebbiatrice. I primi giorni nessuno fececaso al quadro, ma una mattina si presentarono due poli-ziotti che, dopo aver rimosso, con le precauzioni delcaso, la fotografia, diffidarono formalmente la signora anon ripetere più gesti profanatori del genere.

Perché mi ha interessato“La Merlin”

“Dal titolo, cioè un copione intitolato ‘La Merlin’, propo-sto oggi nel marasma multiplo che ci assedia, mi sembragià di per sé un’epifania e quindi io ho approvato il testoprima di leggerlo; il fatto che a qualcuno fosse venuto inmente di dedicare il proprio talento drammaturgico allasenatrice Merlin riduce il pessimismo esistenziale.La lettura del testo è stata la conferma qualitativa dellospecifico teatrale. Le sorgenti dell’operazione sono paral-lelamente equilibrate, anche se di diverso onere e naturateatrale: il panorama politico, culturale e sociale costituitoda un involucro modellato su variati calchi di una faunaumana estremamente contrastante – dai grandi PadriCostituenti ai gerarchi fascisti infoiati, dai moralisti difacciata alle umanissime puttane ospiti delle “case” chiu-dende – da un parte; dall’altra la presenza solitaria nellacavità teatrale di questa figura femminile di aspetto deli-cato e di passione civile inesauribile e costante.Dieci anni di battaglie galoppanti che evocano l’immagi-ne metaforica di un piccolo fantino in sella a un ippogrifo.(Il Giornalista lo lasciamo in ombra)”.

Ugo Gregoretti

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TEST I

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Si alza il brusìo dell’assemblea parlamentare finché nonsfuma per lo scampanellìo del Presidente.

LA MERLIN – La prostituzione non costituisce un crimi-ne, è invece un atto immorale; ma i codici moderni sisono ispirati al Codice napoleonico, che ha abrogato leleggi sull’immoralità. Se la prostituzione fosse un crimine, dovrebbero esserecondannati i due partenaires, cioè l’uomo e la donna.Invece la regolamentazione lascia il poliziotto arbitro diimprigionare la donna, anche se non ha commesso alcunatto contro la legge. Ne fanno testimonianza i rastrella-menti e la conseguente carcerazione, con tutti i dolorosistrascichi.La regolamentazione sulla prostituzione viola i principidel diritto ed è in aperto contrasto con la Costituzione. Esono ben tre gli articoli violati. “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono ugualidavanti alla legge, senza distinzione di sesso ecc.”, que-sto è l’articolo 3. L’articolo 32 afferma che la Repubbli-ca tutela la salute come diritto fondamentale; nessunopuò essere obbligato a un determinato trattamento sanita-rio se non per disposizione di legge, e la legge non puòviolare i limiti imposti dal rispetto della persona umana. Infine l’articolo 41 stabilisce che nessuna iniziativa eco-nomica possa svolgersi in contrasto con l’utilità sociale oin modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alladignità umana.Se il mio progetto di legge dovesse essere respinto,dovremmo per coerenza chiedere la modificazione dellaCostituzione.

Risate, proteste, consensi. Il campanello del Presidentesuona con insistenza finché torna il silenzio.

Il mio progetto ha trovato dissenzienti, oltre agli interes-sati anche quelli che hanno la ferma convinzione che laregolamentazione sia un metodo efficace contro ildiffondersi delle malattie veneree. Io non sono medico, ma mi sia permesso di dire almenoalcune cose. Prendiamo ad esempio l’esercito. La percen-tuale più alta di colpiti da queste malattie sono i ragazzidi leva del CAR, perché là ci sono i novellini che credo-no nell’efficacia delle case di tolleranza; poi vengono gliartiglieri e i bersaglieri, poi gli alpini perché in alta mon-tagna non godono del “beneficio” di queste case e, in ulti-mo, i carabinieri che hanno altre possibilità meno “garan-tite” dallo Stato.C’è poi un fatto che merita attenzione: il numero delleprostitute clandestine è molto superiore a quello delle tes-serate. E quante sfuggono ad ogni controllo!Infine, se trovate utile alla difesa della salute pubblica chesiano visitate le donne, perché non visitate anche gli uomi-ni? Lo sapete che il venti per cento delle donne sifilitichesono sposate, e il settanta per cento di esse è stato contagia-to dal marito che era malato prima delle nozze, e il trentaper cento dopo? E lo sapete che le donne costituisconoappena un terzo fra quanti affetti dalla malattia luetica,rispetto agli uomini?Bisogna anche sviluppare la coscienza sessuale del cittadi-no, perché una morale sessuale oggi non esiste!

Aprite ai giovani i campi sportivi non soltanto per la partitadomenicale! Moltiplicate gli Alberghi della gioventù anzi-ché lasciare i giovani affollare il vicolo della suburra inattesa del loro turno dietro la porta del lupanare...

Brusii. Consensi e dissensi.E le donne di queste case? Che cosa faranno, dopo? cichiedono alcuni.L’articolo 8 del progetto, nella relazione del senatore Bog-giano Pico, prevede la creazione di istituti in cui le donnepotranno venir accolte per ricevervi una adeguata istruzio-ne fino ad ottenere una qualifica professionale.Ci sono degli scettici che non credono alla possibilità direcupero, convinti come sono che vi sia una tara fisica, unapredisposizione che le leghi al mestiere. Se così fosse,come si provvede al ricovero dei sordomuti, dei ciechi,insomma dei minorati, si dovrebbe provvedere al ricoverodi queste donne considerate anormali, e non lasciarle all’ar-bitrio della polizia e spingerle sempre più in basso.E dunque s’impone il problema della riforma dell’attualepolizia del costume, dimostratasi inadatta ai compiti che iregolamenti le hanno assegnato. Essa è un ostacolo all’ope-ra di risanamento.Essendo a troppo stretto contatto con il mondo della prosti-tuzione, che si estende a tutta una cerchia di gente dimalaffare, finisce con il corrompersi. I poliziotti sono allafin fine dei giovani, soggetti a tutti gli allettamenti dellagioventù. A forza di chiudere gli occhi, finiscono con ilrendersi complici delle azioni della mala vita. Un agente della squadra del costume mi ha scritto: “Lei fabene ad aver preso la decisione di far chiudere questiambienti. Sono, oltre a tutto, spaccio clandestino di stupe-facenti. La polizia ha sempre tenuto ad agevolare i tenutarie gli sfruttatori di donne – ascolti, onorevole Scelba!, èsemplicemente scandaloso –. Noi della squadra del buon-costume non abbiamo mai avuto campo libero se non perportare la donna all’ufficio di polizia e sorvegliare che nonentrassero minorenni nelle case di tolleranza, ma maiabbiamo potuto avere libertà d’azione”.

Un altercare di voci intrecciato alla scampanellare del Pre-sidente. Il rumore si placa. La Merlin si rivolge agli spettatori.

Parevano tutti d’accordo a varare quella legge. Ma quandosi stava per arrivare al voto, altre forze inqualificabili siinterposero. All’ultimo momento un gruppo di deputatichiese l’invio in aula per la discussione. Ciò significavainsabbiare la proposta, perché poi per la Camera sarebbestato tardi, si era alla fine della legislatura. Dopo la tempestosa seduta della domenica di Passione alSenato causa la legge-truffa, anche il Senato fu sciolto.Intanto io continuavo a ricevere lettere dalle donne la cuivita si era svolta nelle case chiuse. Qualcuna aveva trovatola forza di uscirne.

Appare l’immagine di una donna dall’aspetto ancora piacen-te, vestita con modestia. La donna ha un atteggiamento supplice: le mani giunte, losguardo implorante, il tono intenso di una persona disperatache si appiglia ad una Santa degli Impossibili.

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LA DONNA – Fino a ieri vivevo in una grande speranza. Maadesso non so più. La guerra aveva ridotto la mia famiglia in miseria. Miopadre era morto al fronte e mia madre non sapeva come darda mangiare ai bambini. Io era la più grande. Per aiutarli mi trovai travolta nellaperdizione: entrai in quelle case. E quando i miei fratellierano ormai cresciuti, io non avevo più la forza di uscire daquel mestiere con cui li avevo sfamati senza che loro nientesapessero di me, così stavo rassegnandomi al destino. E proprio in quel luogo infernale, incontro un brav’uomo.Lui mi tira fuori di là e mi sposa! Sento la vita che ritorna,sono una moglie finalmente!, una donna onesta, e a darcipiena felicità nasce un bambino. Mio marito doveva entrare al Ministero della Difesa Aero-nautica, era tanto che sperava in quel posto, aveva fatto deiconcorsi e li aveva vinti. Era bravo, ostinato, voleva guada-gnare per la sua famiglia. Ma il Ministero chiede al Comando di mio marito informa-zioni su di me. E i Carabinieri e la Questura danno pareresfavorevole per il mio passato. E non basta. Per i miei pre-cedenti il Ministero passa all’Ufficio Disciplina la praticaper far allontanare per sempre mio marito dal servizio. Per-ché mai, se io mi sono messa sulla retta via e faccio unavita onesta? Senatrice, lei mi può aiutare! Non permetta che mio maritoa causa del mio passato ci metta tutti in mezzo a una strada,senza il suo posto guadagnato con sacrificio!Mi rivolgo a lei perché so quanto sta facendo per la chiu-sura delle case e per la rieducazione di tante ragazze. Leicertamente non mi abbandonerà, lo faccia per mio figlio,per mio marito che non merita tanta umiliazione! Se lui perde il posto che cosa faremo? Io non ho il librettodi lavoro, che referenze avrei, dopo essere stata nelle case?Sui miei documenti c’è scritto il mio passato, è un marchioche non si cancella, e così non posso trovare nessun lavoroonesto... Che altro mi rimane se non tornare in quei luridi posti diabiezione? La prego, mi risponda Signora, che Dio labenedica per il bene che fa a tutte le disgraziate come me.

La donna si inchina e la sua immagine svanisce.

LA MERLIN – Ne ricevevo tante, di lettere così. E quandopotevo, molte ragazze cercavo di aiutarle. Ma erano centi-naia a scrivermi. Vi citerò la visita di una di queste pove-rette, venuta a Palazzo Madama.Dopo avermi descritto la sua vita, dopo avermi detto l’infa-me sfruttamento a cui era soggetta, essa nominò il suobambino. Allora io dissi: “Ma come? Voi avete anche deifigli? Mi avevano detto che in generale quelle donne sonopoco soggette alla maternità”. E lei mi rispose: “Anchequesto può capitare qualche volta”. Ed io: “Sapete chi è ilpadre dei vostri figli?”. “Come possiamo saperlo, signora,con tanti uomini al giorno?”.L’angoscia di tutte quante riguarda soprattutto i figli: neiloro documenti risulta la madre prostituta; questi esseriinnocenti fin dai primi anni e per tutta la vita portano su disé un marchio infamante.

Voci che si sovrappongono. Lontano un frammento della fra-

se “La seduta è tolta!”, brusii e voci fino a che torna il silen-zio.

La Merlin sommessamente si interroga.

Tra poco ci saranno nuove elezioni. Chissà se io sarò rieletta? La mia proposta, chi la sosterrà?

La voce di Josephine Butler si fa sentire nitida.

VOCE DI JOSEPHINE BUTLER – Sarai di nuovo senatrice! E la proposta la porterai avanti tu!

LA MERLIN – Oh! Josephine! Quanto bisogna lottare peruna causa così giusta!

VOCE DI JOSEPHINE BUTLER – Io ho impiegatodiciott’anni per far abolire quelle case in Inghilterra. Tu seiappena a metà del cammino. Ma con te ci sono tutte ledonne. In passato ti sei trovata in situazioni più difficili...

La Merlin si prende la testa fra le mani.

LA MERLIN – Ero molto giovane. Il Fascismo mi avevacondannato al confino in Sardegna. Ho sempre il ricordodel viaggio, di prigione in prigione, verso l’esilio, dietro lalunga fila dei cinquantaquattro ergastolani ai quali mi ave-vano accomunata. E quando giungevo a una stazione, tutti iviaggiatori fissavano lo sguardo su di me. Pareva a queimiei infelici compagni di viaggio che mi ritenessero colpe-vole di delitti pari ai loro, e mi credessero una di quelledisgraziate spesso tradotte dalla Polizia. Allora uno di queigaleotti levava i polsi incatenati, mi faceva un cenno disaluto e poi gridava: “È una prigioniera politica!” E conqueste parole che egli traeva dalla sua anima turbata daldelitto, intendeva purificare me, donna, dinanzi agli occhidei maligni.

VOCE DI JOSEPHINE BUTLER – E durante la Resistenza,non ti ricordi quanto sei stata coraggiosa? Quella mattina, aMilano, sul tram...

La Merlin sorridendo fa un cenno di assenso.

LA MERLIN – Era ancora scuro. Tornavo da Legnano con ilprimo tram. E avevo un pacco piuttosto grosso, di tritolo.A San Lorenzo salirono dei soldati tedeschi. Cominciaronoa perquisire i viaggiatori. Avevo il mio pacco sulle ginoc-chia. Nasconderlo? Dove? Come? Rimasi immobile mentreguardavo fuori dal finestrino e pensavo: “Fra poco tocca ame, mi troveranno il tritolo, mi faranno scendere, mi fuci-leranno legata a quell’albero là fuori. Pazienza, così dove-va finire!”. Invece... Ero l’ultima da perquisire e me ne sta-vo quieta con il mio pacco sulle ginocchia: i soldati tede-schi mi guardarono e se ne andarono senza disturbarmi.

VOCE DI JOSEPHINE BUTLER – Hai superato tante diffi-coltà e tanti dolori. Anche quando sei rimasta sola, sei sem-pre andata avanti ...

LA MERLIN – Anche quando è morto mio marito. E’ durata

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così poco quella felicità. Ci conoscevamo da anni, ma perarrivare al matrimonio, quanto tempo è passato...Mi ero iscritta al Partito Socialista – era il 1919, si eraappena costituito il primo “fascio di combattimento” – eavevo avuto l’incarico di commemorare Rosa Luxemburg,assassinata a Berlino. Io misi in luce non le sue teorie, chenon conoscevo, ma la figura della donna che sa lottare,sacrificarsi e morire per un’idea.Dopo di me, l’onorevole Dante Gallani commemorò il suocompagno di martirio, Karl Liebknecht. Parlò splendida-mente, poi si avvicinò a me. “Signorina – mi disse –, conquegli occhi e quella voce lei può affascinare le folle. Haparlato bene, ma non conosce il socialismo teorico. Lei ècolta e non farà fatica a studiare Marx”. Studiai Marx ealtri, ma ancora oggi, dopo tanti anni di studi e di ricerche,sono convinta che si può conoscere Marx e non esseresocialisti, come si può essere socialisti senza conoscereMarx. E sono convinta di un’altra cosa ben importante: peressere socialisti bisogna essere onesti. Dante Gallani divenne mio marito parecchio tempo dopoquell’incontro. E durò poco quell’unione felice. Perché luimorì nel ’36, sfinito dalle persecuzioni dei fascisti che anniprima avevano distrutto la sua famiglia.

Si rivolge agli spettatori.

Nel ’53 fui rieletta, ed ero la sola donna al Senato.

Continuava la canea degli interessi a mantenere una turpeistituzione con l’autorevole consenso dello Stato. Ma ioripresi a battermi. Ero convinta che la Costituzione nonpotesse essere realizzata finché sulla donna, per un atto chenon è un crimine, gravassero gli effetti di una iniqua san-zione e perciò stesso si affermasse il suo stato di inferio-rità. E molti furono i senatori che si pronunciarono a favoredella proposta.

Rumori e brusii. Scampanellìo del Presidente del Senato.

VOCE FUORI CAMPO DEL PRESIDENTE – Riprendiamola seduta! Senatore Boggiano Pico, concluda il suo inter-vento.

Appare il senatore Boggiano Pico.BOGGIANO PICO – Vi ho descritto la legislazione degli

altri paesi: tutti ormai hanno abrogato la regolamentazionedella prostituzione di Stato. Del servizio di sorveglianzasulla prostituzione in Italia si era preoccupato Cavour,soprattutto per l’esercito e sull’onda della Francia. Variemodifiche vennero apportate nei decenni successivi, fino alregio decreto 18 giugno 1931: vi trasparisce lo sforzo dinon sancire il concetto dell’ “autorizzazione” delle case,ma soltanto quello di “tollerarle” entro certi limiti e conopportune cautele, a difesa del buon costume, dell’igiene edella sicurezza pubblica.Il movimento abolizionista che partì dall’Inghilterra ebbela sua prima spinta dall’azione di una donna generosa.

LA MERLIN (sottovoce) –Il senatore parla di te, Josephine...

BOGGIANO PICO – Da allora il movimento abolizionistaprocedette con ritmo accelerato. Merito soprattutto dellaSocietà delle Nazioni. Nel 1923, infatti, la Società delleNazioni inviò a tutti gli Stati un questionario per averenotizie sulla legislazione vigente e stabilire un rapporto fracase equivoche e tratta delle donne.La risposta inviata dal governo fascista rivelò la ben notaipocrisia del suo stile: “Ho l’onore di informarvi – rispondeMussolini – che non esiste in Italia alcuna regolamentazio-ne della prostituzione dal punto di vista economico e socia-le. Abbiamo tuttavia delle disposizioni intese a salvaguar-dare l’ordine e la salute pubblica. Il governo nazionale –prosegue ancora Mussolini – è fermamente risoluto avegliare perché queste disposizioni siano applicate piùrigorosamente ancora per ciò che concerne gli impegniinternazionali presi in seguito alle recenti convenzioni perla repressione della tratta delle donne”. Accanto a tante altre cause che portano queste donne allaprostituzione, è rilevante la promiscuità, specie urbana,determinata dalla mancanza di alloggi. Io sono abituato adaccedere per ragioni d’altro ufficio ai tuguri di tanti misera-bili. Quante volte ho veduto, nei vicoli della larghezza diun metro dove mai giunge raggio di sole, dove mai circolal’aria, in un ambiente privo di luce ammassata una interafamiglia, pigiata in una promiscuità igienicamente malsa-na, moralmente pericolosa e sovente funesta!Di altra natura, quella della cosiddetta “fatalità congenita”nelle prostitute. È la tesi del Lombroso, svolta nell’opera“La donna delinquente, la prostituta e la donna normale”.

Lina Merlin durante il confino in Sardegna, con alcuni com-pagni

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Avvertirà più tardi l’errore logico e l’esagerazione in cui ècaduto Lombroso, un illustre psichiatra positivista, il pro-fessor Tanzi, osservando che l’illustre psicopatologo tori-nese aveva aggregato la prostituzione all’esercito delladelinquenza, per non lasciare deserti i quadri che concerno-no il sesso femminile.Una questione che non può dirsi di margine, perché è attra-verso l’organizzazione delle case di tolleranza che si ponee che si riflette come una triste vergogna sopra il nostroPaese, gli è quella della “tratta delle bianche”. Contro latratta hanno protestato tutte le nazioni civili, ma la tratta sisvolge pur oggi nel nostro territorio. Possiamo citare unfatto notorio accaduto tre anni addietro. Mentre stava persalpare le ancore un grosso piroscafo dal porto di Genova,giunge sulla banchina accanto ad esso un camion che depo-ne sulla calata trenta grandi casse. Su ciascun lato di esseera scritto a grossi caratteri “fragilissimo”, “non capovol-gere”. Immediatamente una gru a bordo solleva le casse ele depone cautamente in coperta. La nave, deposta l’ulti-ma, salpa le ancore. Fuori delle acque territoriali si scoper-chiano le casse. Trenta donne erano partite così, vittimedella tratta, per Buenos Aires. Di fatti come questo ne sono accaduti numerosi. Mensil-mente partivano da Genova oltre trenta povere ragazze,sotto gli occhi chiusi degli agenti di pubblica sicurezza,quelli del Consorzio del porto e dei comandanti delle navi.L’organizzazione era e resta inquadrata in un centro dicorruzione e di sfruttamento che ha sede nelle più grandiNazioni europee.Ci è pervenuto un documento che fa riferimento a un casodi questo genere. “Il modo dell’imbarco – viene scritto –era e resta assai semplice. Grosse casse d’imballaggioaccoglievano queste povere vittime e le celavano alleinchieste, ai sopralluoghi e spesso ai comandanti. I bar-caioli del porto all’imbrunire imbarcavano le clienti, rac-

cogliendole sparse e nascoste nei diversi angoli e moli,lontani dall’occhio della vigilanza ufficiale e poi le trasfe-rivano di sotto bordo, sulle navi, che poco dopo salpavanoper l’estero. Il firmatario del documento ricordava, congrande tristezza, di aver visitato, poco prima della parten-za, nell’autunno del 1946, una nave greca. “ In copertac’erano sei pecore chiuse in uno steccato, i lati del qualeerano limitati da due cassoni per il foraggio. Ho visto sali-re a bordo sei ragazze, che segretamente entravano neicassoni che furono subito chiusi; sei pecore e sei povereragazze per i marittimi greci! Posso pure attestare – conti-nua il documento – che un gruppo di queste povere vittimequalche settimana addietro – la data del documento è del-l’aprile 1949 – si presentò allo scrivente e lo pregò di illu-minare l’opinione pubblica sul loro stato aborrito e mise-ro. Io mi son fermato in alcune parti del Mar Rosso. Latratta delle bianche, coperta dalla legalità della prostituzio-ne in Italia, alimenta la corruzione e le malattie nei porti,non solo del Mar Rosso, ma dell’oriente e i Missionaridell’Arabia e dell’India possono dire che questa piagadolorosa avvilisce l’Italia di fronte al mondo!”.

Il senatore Boggiano Pico svanisce.La Merlin si rivolge agli spettatori.

LA MERLIN – La proposta fu votata dalla prima Commis-sione del Senato. Poi fu inviata alla Camera, dove si stavaripetendo il giochetto di insabbiarla. Ma negli ultimi giorniuna valorosa collega, Gigliola Valandro, riuscì a trarla dal-le secche di Montecitorio. Punto per punto, tutti gli argo-menti che io avevo portato per far votare la legge, lei liportò alla Camera, con un linguaggio preciso e un richiamoalla coscienza morale di tutti quanti dovevano votare: parlòdell’ipocrisia della regolamentazione e dello scandalo cheportava con sé aprendo al vizio i giovani, parlò del recupe-ro di quelle donne che fino a che fossero rimaste prigionie-re delle case non avrebbero potuto raggiungere una vitacivile. E mi ricordò nell’impegno durato dieci anni: sì, die-ci anni erano passati da quando per la prima volta avevopresentato quel progetto e quante volte se ne discusse...

Brusii, scampanellìo del Presidente. Frasi confuse di seduteparlamentari che si accavallano e infine si dileguano.

Un vero e proprio schieramento politico non c’era. Logicod’altra parte che democristiani, comunisti e socialisti nonpotessero votare contro, poiché, malgrado le diverse ideo-logie, dovevano essere coerenti con le loro dottrine diuguaglianza dinanzi a Dio gli uni, di emancipazione daogni schiavitù gli altri. Pare che i partiti di centro siano stati sfavorevoli, all’in-fuori di qualche caso sporadico, per esempio Saragat delPSDI.

Voci confuse, scampanellii, qualche frase di sostanza parla-mentare, fino a dileguarsi.

Il dibattito fu lungo e intenso. Quell’ultima seduta io laseguivo di lontano perché avveniva alla Camera, ormai inSenato la legge era passata. Qualcuno ancora si opponeva,ma debolmente, come quando un’epidemia sta perdendo la

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Lina Merlin durante un intervento al IV Congresso Nazionaledel Sindacato Autonomo Scuola Media Italiana, a Roma, nel-l'aprile del 1960.

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sua virulenza e lascia appena qualche strascico. Ci fu chisi appellò a San Tommaso d’Aquino e a Sant’Agostinoche ritenevano che la “meretrix” si dovesse permettere – ecioè tollerare – per evitare mali peggiori; ci fu chi feceriferimento all’istinto “insopprimibile” determinato da esi-genze di natura, e quelli che si preoccupavano dell’animadelle povere donne: chi le avrebbe riaccolte al paesello? Egli istituti che dovrebbero recuperarle, con quali mezzi loStato li realizzerà?Insomma, ognuno diceva la sua, dilungando l’approvazio-ne della legge, che si capiva fosse ormai inevitabile.Di Oscar Luigi Scalfaro, che allora era sottosegretario diStato per la giustizia, mi colpì la posizione saggia e corret-ta sotto il profilo giuridico, ma anche tanto appassionatacirca il lato morale del progetto: lui scioglieva contrastidall’apparenza insanabile in quegli scontri che parevanoormai gli ultimi fuochi di un falò di opposizioni destinatoa morire. Alla fine parlò Riccardo Lombardi, e spazzò via ogni resi-dua resistenza.

L’immagine della Camera dei Deputati. In dissolvenza Riccardo Lombardi.

RICCARDO LOMBARDI – Il gruppo socialista è lieto chequesta proposta di legge abbia raggiunto la sua conclusio-ne attraverso un iter legislativo assai tormentato e prolun-gato, e per merito (va detto in questo momento) dellanostra compagna senatrice Merlin che con azione corag-giosa ed anticipatrice è riuscita a imporre a un’opinionepubblica – riconosciamolo – riluttante, l’urgenza del pro-blema e l’urgenza della sua soluzione. Mi preme in questo momento dichiarare che il grupposocialista, approvando come conseguenza del suo sostegnopluriennale la proposta Merlin, non crede di mettersi sulterreno del moralismo, ma sul terreno della moralità.Noi non nutriamo alcuna illusione che l’approvazione diquesta legge rappresenterà il capovolgimento dell’attualecostume. Il costume morale di una nazione non si modifi-ca attraverso le leggi. Esso è la conseguenza di un rivolgi-mento profondo, lento e continuativo nel regime familiare,nei rapporti di classe, nei rapporti di proprietà, in tutti glielementi della vita civile, di cui semmai l’atto legislativo èla conclusione e il riflesso, mai un surrogato.Ma non vi è dubbio che questa legge e la sua applicazionevarranno a rompere uno degli elementi più odiosi e più spre-gevoli della nostra società: quel tipo particolare di prostitu-zione che dà luogo ad un organizzato sfruttamento della don-na, che la incatena ad una continuità di prestazioni volontarieo non volontarie e che costituisce davvero uno degli elementipiù vergognosi della nostra comunità nazionale.Non vorrei replicare a ciò che ha affermato l’onorevoleChiarolanza, il quale si è richiamato perfino a Sant’Agosti-no. E’ chiaro che la moralità, la norma etica non è unacostante: essa accompagna la società umana e si evolve conl’evolversi di questa. Credo che dai tempi di Sant’Agosti-no ad oggi dei passi avanti o indietro si siano fatti. Peròdevo reagire contro la pretesa dell’onorevole Chiarolanzache si debba provvedere attraverso “soltanto” (come egliha l’aria di dire) 4 mila prostitute, così pochine invero, acostituire una specie di “ghetto di mestiere infame” – per

usare le parole di un famoso articolo di Benedetto Croce –cui affidare il compito di accogliere quel che di meno nobi-le fermenta nel cervello e nell’animo del resto dei cittadini.Ciò che mi fa pensare proprio per analogia ai guerrieri del-la Repubblica di Platone, tenuti in uno stato di volontarioabbrutimento per il benessere della società. Noi non possiamo pensare un momento solo che sia neces-sario o possibile che sia pure soltanto 4 mila esseri umanisiano tenuti in questo ghetto di abominazione per consenti-re al resto della popolazione una leggerezza di costume chené la legge morale né quella civile possono autorizzare. Noi voteremo perciò con pienezza di coscienza, sicuri difare il nostro dovere, lieti che vincendo le difficoltà a tuttiben note la proposta di legge Merlin sia arrivata alla con-clusione. Essa non muterà il costume, non farà certo spari-re la prostituzione; sarà però un elemento di rottura checontribuirà ad una mutazione del costume. Ed è utileavvertire la Camera che in questo momento noi stiamocompiendo un atto molto importante anche per questaragione: il nostro paese, dopo l’abolizione delle case chiuserecentemente decretata perfino nella Spagna e nel Porto-gallo, è rimasto il solo in Europa a mantenere in piedi untipo di legislazione regolamentatrice delle case di tolleran-za. Abolendo la quale io credo che compiamo un dovereverso di noi, verso i nostri partiti, verso gli elettori, verso lanazione italiana.

Applausi. Riccardo Lombardi svanisce.Entra il giornalista.

IL GIORNALISTA – Era già sera, una sera di settembre,piuttosto sciroccosa. Francamente non pensavo affatto alla“storicità” di quella giornata. Io, in definitiva, non ero maistato un buon cliente delle varie “madame” sempre cosìpropense ad ospitare, con un occhio di riguardo, giornalistie intellettuali. Ma casualmente, in farmacia, incontrai unamico, un intellettuale ben conosciuto, che di quelle caseera stato un assiduo frequentatore. “È la fine! – sospirò quello – Bisogna pure fare qualcosa”. “Che cosa? – domandai, e aggiunsi – Forse per una dimo-strazione è troppo tardi”. “Sì – sospirò quello –. Per una dimostrazione è troppo tar-di. Ma almeno, bisognerà manifestare la nostra solida-rietà!”. Io volevo vedere fino a che punto la chiusura di quellecase influisse sulla sua vita. “Facciamo un telegramma?”, proposi.“Sì... anche un telegramma... Un telegramma di protestada far pubblicare da un giornale... Ma prima di tutto,andremo a fare una visita... l’ultima visita...”-“Bene! – incalzai io – Sarà una specie di visita di condo-glianze...”.“Ci offriranno lo champagne, vedrai” replicò l’intellettua-le, e ci avviammo con passo ferale.Per questo pellgrinaggio simbolico, scegliemmo la “casa”più elegante di Roma, in via degli Avignonesi. In pochi minuti fummo davanti al noto ingresso e salim-mo le scale.Le ragazze erano piuttosto tristi. La “signora” aveva lelacrime agli occhi e salutava gli amici che erano andati,come noi, a manifestare la propria solidarietà.

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TEST I

Una “signorina” riconobbe il mio amico e lo chiamò pernome. Lui le andò incontro agitando le mani.“Voi altri giornalisti potevate salvarci e non lo avete fat-to!” gridò la padrona puntando il dito verso di me.Mi sentii confuso. “Ci sono cose più grandi di noi”, rispo-si, accozzando una frase alla meglio.“E allora dite pure che siete dei lavativi”, interloquì convoce cavernosa la “sotto-padrona” che ai tempi belli avevaanche la funzione di sorvegliante quando arrivavano i clien-ti di riguardo: il loro ingresso e la loro uscita dovevanorimanere fasciati della più impenetrabile discrezione.Molti domandavano alle ragazze che cosa avessero decisodi fare la mattina dopo. Tutte rispondevano che, per ilmomento, pensavano di riposarsi, poi avrebbero visto.Intanto, dato che, dalla mezzanotte in poi, erano libere inogni senso, avevano organizzato un pranzo di addio in unlocale di Trastevere. Se avessimo voluto, potevamo con-siderarci loro ospiti. Ma il mio amico trovò una scusa perdeclinare l’invito, e poi mi confessò a bassa voce che ibanchetti funebri gli avevano sempre fatto ripugnanza. Siera creato un clima veramente funereo e io non vedevol’ora di andarmene. Tra i “clienti” non mi era stato diffi-cile riconoscere alcuni poliziotti, evidentemente inviatiper far rispettare, al suonare della mezzanotte, l’ordine dichiusura, come si fa con i seggi elettorali.Quando uscimmo, mancava poco allo scoccare dell’orafatale. Non c’era dubbio che qualche cosa era finita sulserio in Italia. E la causa di questo cambiamento era statala tenace senatrice: fin da quando era giovane, non avevafatto che perseguire l’idea di far chiudere le “case”.

Il giornalista si avvicina alla Merlin, si inchina e le bacia lamano.

IL GIORNALISTA– Complimenti, madame. Avete avutocoraggio. Coraggio e tenacia.

LA MERLIN – Voi giornalisti non sempre mi avete sostenu-ta. Anzi, mi avete messa in ridicolo.

Il giornalista accenna alla canzoncina.

IL GIORNALISTA – “Mimosa mimosa... quanta malinco-nia nel tuo sorriso...”Noi giornalisti facciamo così perché dobbiamo attirare ilettori con un po’ di malizia... Ma abbiamo sempre avutomolta ammirazione per lei, una donna davvero in gamba.

LA MERLIN – Una donna che ha lottato perché alle don-ne venisse riconosciuta pari dignità rispetto agli uomini.

IL GIORNALISTA – Sono convinto che lei, senatrice,dovrà ancora combattere.

LA MERLIN – Non sono più senatrice, mi hanno elettoalla Camera.

IL GIORNALISTA – Per tutti lei è rimasta la Senatrice.

LA MERLIN – Sono stata la prima, questo sì. Adesso con-tinuerò a combattere da onorevole.

IL GIORNALISTA – Ci sono voluti dieci anni per chiude-re le case, ce ne vorranno almeno altrettanti per cancel-larne le tracce. Senza contare i giudizi della gente, i raz-zismi più duri a morire.

LA MERLIN – Per queste donne si stanno organizzandocase di recupero.

IL GIORNALISTA – Bisognerebbe aiutarle soprattutto amettere in piedi qualche attività economica, sia puremodesta.

LA MERLIN – Lei che è giornalista scriva che molte diqueste donne hanno chiesto dei permessi per aprire deichioschi di frutta, oppure di fiori... Che hanno chiesto lalicenza per metter su una lavanderia. Lo scriva: questipermessi vengono negati!

IL GIORNALISTA – Perché? Ormai sono donne libere.

LA MERLIN – Libere dallo sfruttamento dei tenutari,libere dallo sfruttamemto dello Stato! Ma su di loro gra-va ancora la famosa stampigliatura con cui lo Stato lelegava al mestiere.

IL GIORNALISTA – Allora non è cambiato niente!

LA MERLIN – Non esageriamo! Le case sono state chiu-se. Ci sono ancora degli strascichi.

IL GIORNALISTA – Già me la immagino, onorevoleSenatrice, prendere la parola e non smettere di parlarefino a che non le daranno ragione.

LA MERLIN – Lo farò senz’altro. E mi auguro che qual-cuno non pretenda davvero di riaprire quelle case.

IL GIORNALISTA – Un anacronismo che ci metterebbein difficoltà rispetto alle Nazioni Unite.

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TEST I

LA MERLIN – Non accadrà. Invece faremo cancellare ogniresiduo di discriminazione. Voglio raccontarle un fatto, chemi ha dato molta consolazione.

IL GIORNALISTA – Potrò scriverne?

LA MERLIN – Dovrà.

IL GIORNALISTA – Così mi farò perdonare.

LA MERLIN – Subito dopo la votazione della legge allaCamera, una mattina verso le nove, com’era mia abitudine,ero andata al Senato, eravamo ancora nella vecchia legisla-tura. I commessi mi dissero che alcune donne avevano chiestodi me: “Sa, sono di quelle. Torneranno alle dieci”. Diedi ordine di condurle nel mio ufficio, ero Segretaria allaPresidenza del Senato. Alle dieci, puntualmente, vennero e furono introdotte da uncommesso. Si avanzavano lente, con la testa bassa. Le invi-tai ad avvicinarsi, a sedersi. Quando mi furono vicine,fecero una profonda riverenza e mi baciarono chi la mano,chi le vesti.“In che cosa posso esservi utile?” chiesi.Mi risposero che venivano a ringraziarmi. “Ora non abbiamo più quella carta, non siamo più scheda-te, siamo cittadine come le altre” esclamarono in coro. Euna:“Ci guardi, signora, la più giovane di noi ha ventotto anni,la più vecchia trentadue. Siamo sfatte. In via dei Coronari,cento uomini al giorno per ognuna. Il padrone è ricco amilioni, e noi siamo disgraziate”.Le confortai come meglio sapevo e infine ebbi un’idea.“Volete visitare il Senato?” proposi. “Sù, venite con me”.Le imbarcai nell’ascensore, e giù, attraverso la sala grande,le accompagnai alla buvette. Alcuni vecchi senatori stava-no leggendo il giornale. Alzarono gli occhi meravigliati sume e sulle donne che avevano già qualificato, poi continua-rono la loro lettura. Chiesi:“Che cosa posso offrirvi?”. Domandarono un caffè e ogni tanto mormoravano: “Com’è gentile la senatrice! Che finezza! E non le abbiamoportato neppure un fiore!”.Le accompagnai a vedere gli affreschi in sala Maccari, poiil grande affresco di Appio Claudio e Pirro. Spiegavo ilsignificato di quei personaggi, ma loro, silenzio. Poi ancoraun affresco, di Attilio Regolo. “Quello della botte?” escla-marono in coro. Capii che dovevano almeno aver frequen-tato la quarta elementare.Eccoci finalmente in aula, che avevo fatto aprire da uncommesso. Questi indicò loro il mio posto consueto, accanto al presi-dente.“È da quel posto che lei pronunciò il discorso per noi?”,dissero.“No – spiegai –. Dal banco della presidenza parla solo ilPresidente. Quando devo pronunciare un discorso, vado inquel banco”. E lo indicai.“Sì – mi dissero –. Lo abbiamo imparato a memoria”.Mi domandarono se le avrei ricevute ancora e mi fecero saperei loro nomi di battaglia: Lia, Rosa, Iris, Flora... Brescia...

IL GIORNALISTA – Già, anche i nomi delle città di prove-nienza... E... le rivide ancora?

LA MERLIN – Durante le elezioni – eravamo nel ’58 e mitrovavo a Rovigo – ricevetti una lettera degli impiegati allaposta del Senato che mi informavano come vi fosse giacen-te un pacco: pareva un uovo di Pasqua, portato da alcunedonne. Mi chiedevano se dovevano spedirmelo, e intanto mimandavano il biglietto che accompagnava il pacco.Non c’era nessun indirizzo, ma tante firme, con i nomi dibattaglia delle mittenti: Lia...Rosa... Iris... Flora...

IL GIORNALISTA – E Brescia!

LA MERLIN – E Brescia. Tornata a Roma, ritirai il pacco. Loaprii: dentro c’era un vaso d’argento pieno di cioccolatini.L’ho ancora con me, quel vaso. È uno dei regali che mi hafatto più piacere in tutta la mia vita.

IL GIORNALISTA – Eh! Cara onorevole senatrice! Romanti-ca e testarda! Che cosa si propone adesso, come obbiettivo?

LA MERLIN – Vorrei fare in modo che le case di recuperofossero davvero utili. Non delle specie di caserme, come cer-te che ho visitato all’estero. Ma tante, dove sono andata qui,a Milano, a Roma, a Padova, sono dirette da religiose. Soche ciò non garba a molta gente, ma mi domando quante lai-che troveremmo, capaci di affrontare il duro compito di rie-ducare delle creature che hanno subìto la più vergognosadelle schiavitù, e accendere in loro una scintilla.

IL GIORNALISTA – Di queste case scriverò volentieri. Selei mi racconterà ancora di loro.

LA MERLIN – Anche se non dispongono di molti mezzi, lesuore della Redenzione di Cagliari, ad esempio, colmano lemancanze con una educazione che rispetta la personalità diogni donna. A una suora chiesi su quali principi poggiaval’opera di rieducazione. E sa che cosa mi rispose?

IL GIORNALISTA – Che cosa?

LA MERLIN – La bellezza!

In un veloce crescendo si espande la musica de La Traviata eil canto.

CORO DELLA TRAVIATA – “Libiamo, amor fra i calici...Più caldi baci avrà”.

Il giornalista si inchina alla Merlin.

GIORNALISTA – Senatrice, mi concede questo valzer?

MERLIN – Volentieri!

I due danzano volteggiando per il palcoscenico.

Maricla Boggio ringrazia Daniela Colombo, presidente del-l’AIDOS – Associazione Italiana Donne per lo Sviluppo – peri documenti e le ricerche utilizzati nella stesura del testo.

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Per richiedere il volume celebrativo dei 60 anni del Festival occorre spedire la richiesta per posta/fax/email all’Associazione Amici della prosa, via Zanucchi 13, 61100 Pesaro, inviando euro15 e i propri dati

di residenza, con accluso telefono, o telefonare per accordi alla Segretaria: 0721/64311.

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ALL’INTERNO

EDITORIALEEttore Zocaro, Le memorie perdute del teatro italiano

INCONTRIStefania Porrino, Le Opere di Nicola Saponaro

POESIA A TEATROGennaro Aceto, Pulcinella

LIBRICarlo Vallauri, Pina BauschMario Verdone, “Libretti”

TESTI ITALIANIMaricla Boggio, La Merlin

MENSILE • NUMERO 1/2, GENNAIO/FEBBRAIO 2009 • POSTE ITALIANE SPA ˆ SPEDIZIONE IN ABBONAMENTO POSTALE 70% DCB ROMA - € 10,00