SHINY MAGAZINE 0 ITA

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SHINY MAGAZINE FURIOUS 7 APPLE WATCH THE AVENGERS 2 MAGGIO 2015 NUMERO 0 Fast & Furious 7 omaggia Paul Walker in una maniera che riesce ad essere toccante, sincera, elegante e delicata... Voglio provare a stuzzicarvi con una breve riflessione: forse stavolta Apple ha commesso un errore di valutazione... Che alla Marvel i team- movie riescano molto meglio di quelli, pur validi, dedica ai singoli eroi è oramai una certezza...

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SHINYMAGAZINE

FURIOUS 7 APPLE WATCH THE AVENGERS 2

MAGGIO 2015NUMERO 0

Fast & Furious 7 omaggia Paul Walker in una maniera che riesce

ad essere toccante, sincera, elegante e

delicata...

Voglio provare a stuzzicarvi con una

breve riflessione: forse stavolta Apple ha

commesso un errore di valutazione...

Che alla Marvel i team-movie riescano molto meglio di quelli, pur

validi, dedicati ai singoli eroi è oramai una

certezza...

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1IT’S SHINY MAGAZINE

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EDITORIALE APPLE WATCH ELECTRIC BLUE SKIES

THE AVENGERS 2 VIDEOGIOCHI D’AZZARDO FURIOUS 7

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2IT’S SHINY MAGAZINE

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FILM CULT: MARTYRS I MILLE VOLTI DI STEPH 2015 TECH TRENDS

RESPONSIVE DESIGN LORIS G. PHOTOGRAPHER RINGRAZIAMENTI

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3IT’S SHINY MAGAZINE

SHINY MAGAZINE. LA RIVISTA DI TUTTI.

EDITORIALE

Verba volant. Scripta manent.

Shiny Magazine è la terza rivista

digitale alla quale contribuisco, questa

volta come unico fondatore, ed è un

esperimento creativo ed ambizioso, al

quale mi sono già affezionato.

L’obiettivo principale di Shiny Magazine

è quello di fornire contenuti interessanti

e stimolanti ad un target estremamente

eterogeneo per sesso ed età. Il

principio alla base della raccolta di tali

contenuti è il crowdsourcing: chiunque

può partecipare e contribuire al

progetto in svariati modi, purchè abbia

qualcosa interessante da raccontare o

da mostrare al mondo. Mi riferisco ad

esperienze ed eventi emozionanti da

condividere con tutti, letture avvincenti

da consigliare, visioni cinematografiche

e sessioni videoludiche imperdibili,

condivisione di proprie creazioni e

molto altro ancora...

Shiny Magazine si assume il compito

di impaginare questi contenuti e di

mostrarli in forma smagliante alla

propria audience, segnalando sempre

le fonti per garantire visibilità ai

contributori. Nasce come la rivista

gratuita di tutti con lo scopo di ottenere

la massima diffusione possibile.

Shiny Magazine è un prodotto

fondamentalmente visuale, dove i

testi giocano un ruolo importante,

ma protagoniste sono le immagini, le

fotografie, le illustrazioni… Questo

perchè l’esperienza sul campo mi

insegna che una rivista digitale viene

principalmente sfogliata dai suoi lettori

ed è impossibile catturare l’attenzione

del grande pubblico con una valanga

di contenuti testuali, per quanto

interessanti essi siano.

L’obiettivo di Shiny Magazine è di

evolvere in un formato totalmente

universale e multimediale.

Tradotta in più lingue possibili,

incorporerà filmati, musica e animazioni.

Apprenderà gradualmente le preferenze

peculiari di ogni lettore e gli fornirà

contenuti inerenti la sua posizione

geografica, grazie alle possibilità che

le tecnologie moderne ci offrono e ci

offriranno sempre di più nel prossimo

futuro.

Se siete arrivati fino a qui, date una

chance a Shiny Magazine.

Sfogliatela, stampatela, leggetela,

condividetela e consigliatela agli amici.

Vi prometto che non ve ne pentirete.

Buon divertimento!

Luca Tenneriello

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4IT’S SHINY MAGAZINE

Shiny Magazine è una rivista digitale, gratuita e collaborativa, dedicata ad un pubblico di appassionati di tecnologia, arte, foto-

grafia, letteratura, cinema, videogiochi e musica. Scritta ed assemblata da un gruppo eterogeneo di collaboratori internazionali,

Shiny Magazine si pone come obiettivo quello di intrattenere e divulgare contenuti di qualità tramite le più moderne tecnologie

disponibili sul mercato.

Shiny Magazine non è una testata giornalistica, in quanto viene pubblicata senza alcuna periodicità. Pertanto, non può essere

considerata un prodotto editoriale ai sensi della Legge 62 del 7/3/2001. L’utilizzo delle immagini segue le norme del fair use. Per

qualsiasi problema vi preghiamo di contattarci: [email protected]

Sono un Analista Programmatore specializzato in tecnologia Open Source e Web 2.0. Lavoro da più di quindici anni in ambito IT

al servizio di aziende e privati, offrendo soluzioni capaci di rendere piacevole ed intuitivo l’utilizzo delle più moderne tecnologie.

La mia homepage: www.lucatenneriello.com

Luca Tenneriello

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5IT’S SHINY MAGAZINE

Apple Watch

TECNOLOGIA

L’ultimo Keynote di Apple ci ha mostrato

come l’azienda americana, fondata nel

1976 da Jobs e Wozniak ed ora diretta

da Tim Cook, abbia l’intenzione sempre

più forte di apparire agli occhi dei

consumatori come un brand di lusso.

La Gold Edition del neonato Apple

Watch è lì a dimostrarlo, con un prezzo

di listino assurdo, a partire da 10.000$.

Non mi soffermo sulle specifiche

tecniche di questo gioiello tecnologico,

che ormai avrete letto ovunque.

Provo invece a stuzzicarvi con una breve

riflessione:

forse stavolta Apple ha commesso un

piccolo errore di valutazione.

Esiste di sicuro un tipo di acquirente

disposto a spendere una cifra simile per

un orologio di lusso (di sicuro non io,

ma questo è un altro paio di maniche…),

ma questo tipo di acquirente ha molto

spesso le idee ben chiare e gusti

particolarissimi.

Il valore reale di un orologio d’oro da

svariate migliaia di dollari è difficilmente

misurabile, e non si basa affatto sulla

somma del valore intrinseco dei

componenti. Lo impreziosiscono ed

aumentano a dismisura elementi quali

il tipo di lavorazione (spesso a mano)

e l’applicazione di tecniche artigianali

vecchie di centinaia di anni; insomma, il

suo valore quasi umano, la sua “anima”.

Bello senz’anima

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6IT’S SHINY MAGAZINE

IL CINTURINO IN PELLE DI APPLE WATCH è ITALIANO!

Il cinturino in pelle “Leather Loop” di Apple Watch è fabbricato a mano, in Italia. Oltre

ad una tradizione artigianale di cinque generazioni, la conceria che lo realizza ha una

lunga storia di collaborazioni con alcuni tra i nomi più prestigiosi dell’alta moda. Questa

tradizione artigianale è combinata con un approccio progettuale all’avanguardia ed

innovativo. I magneti nascosti all’interno del cinturino di pelle morbida consentono una

presa avvolgente intorno al polso per una tenuta precisa ed un look alla moda.

Inoltre sto parlando di cimeli preziosi

che durano una vita, spesso tramandati

da padre in figlio e gelosamente

conservati come ricordo.

Qualunque versione di Apple Watch,

per quanto costosa ed esclusiva, viene

invece fabbricata in Cina, utilizzando

macchinari asettici e con una minima

interazione umana.

Insomma, l’Apple Watch Edition (il

modello d’oro 18 carati) non ha alcun

senso!

Dategli tempo un anno e diverrà

obsoleto sia come software/hardware

che come design. Non sarà possibile

nemmeno riciclarne la preziosa cassa

dorata perchè il successore avrà quasi

sicuramente uno chassis differente.

Paragonato a concorrenti “tradizionali”

della stessa fascia di prezzo non ha

alcuna chance. E’ un gadget bellissimo

da vedere e da toccare, semplice

ed intuitivo da usare, ma rimane un

PRODOTTO. Non può ambire al titolo di

ESPERIENZA.

Detto questo, la versione di alluminio, a

livello funzionale, è identica… E a 350$

posso farci sicuramente un pensierino!

Luca Tenneriello

LEATHER LOOP

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7IT’S SHINY MAGAZINE

www.electricblueskies.comElectric Blue Skies è un progetto Italiano, fondato da Emanuele

Bresciani alla fine del 2010, dedicato alla Fotografia Videoludica.

Le foto di Electric Blue Skies

non sono solamente immagini di

videogiochi, ma scatti di un fotografo

che passeggia estasiato in mondi

virtuali. Basta guardare i set fotografici

per rendersi conto che giocare e

guardare un videogame sono due cose

completamente diverse.

Mentre giocate siete focalizzati

sull’azione. Il Gameplay guida l’occhio

dove i programmatori vogliono che

voi guardiate. Certo, deve indicarvi la

via, è la sua missione, ma così facendo

sminuisce il lavoro di designer ed artisti

eccezionali.

Mentre correte verso il checkpoint

successivo vi perdete una cascata

impetuosa, un colore sgargiante,

un angolo di paradiso perchè avete

fretta di arrivare alla fine. Ma così vi

perdete stile, geometrie e scenografie

meravigliose.

Electric Blue Skies pone rimedio a tutto

ciò. Sedetevi comodi e gustatevi le

migliori inquadrature videoludiche che,

probabilmente, vi sono sfuggite mentre

stavate giocando!

VIDEOGAMES

ELECTRIC BLUE SKIES

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8IT’S SHINY MAGAZINE

ELECTRIC BLUE SKIES LUNGOLAGO

ELECTRIC BLUE SKIES LIKE A BOSS

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9IT’S SHINY MAGAZINE

ELECTRIC BLUE SKIESDRIVE CLUB

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10IT’S SHINY MAGAZINE

ELECTRIC BLUE SKIESFALLING SKIES

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11IT’S SHINY MAGAZINE

ELECTRIC BLUE SKIES IN THE GERMAN BOX

ELECTRIC BLUE SKIES THIS IS FOOTBALL

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12IT’S SHINY MAGAZINE

ELECTRIC BLUE SKIES ESCAPE VELOCITY

ELECTRIC BLUE SKIES RED ARROW

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13IT’S SHINY MAGAZINE

ELECTRIC BLUE SKIES DESIGNER’S REPUBLIC

ELECTRIC BLUE SKIES LEMON DAY

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14IT’S SHINY MAGAZINE

ELECTRIC BLUE SKIES INJECTION

ELECTRIC BLUE SKIES ENERGY SWORD

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15IT’S SHINY MAGAZINE

THE AVENGERS 2Che alla Marvel i team-movie riescano

meglio di quelli, pur validi, dedicati ai

singoli eroi è oramai una certezza.

A confermare questa tendenza è il

secondo episodio della saga di The

Avengers che, pur tradendo in parte la

sua funzione di film-ponte, necessario

per far evolvere la continuity del Marvel

Universe, conferma l’abilità registica

di Joss Whedon, anche questa volta a

suo agio nella gestione della quantità

spropositata di personaggi che si trova a

dover mettere in scena.

Age of Ultron è la cronaca del

pasticciaccio brutto (e relative

catastrofiche conseguenze) commesso

da Tony Stark, che temendo che gli

Avengers “non bastino” crea un esercito

di robot capeggiato da Ultron, un mech

dotato di un’intelligenza artificiale che

si ispira a quella del suo creatore, ma

che poco tempo dopo la sua attivazione

prende coscienza di sé, rendendosi

conto che la peggiore minaccia per la

Terra sono gli esseri umani (la stessa

CINEMA

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AGE OF ULTRONconclusione a cui erano arrivati prima

di lui Gaizok, Hal, Wopr, Skynet…).

Il gruppo di eroi si trova quindi a

fronteggiare un nemico cresciuto in

casa e la squadra, fatalmente, rischia di

sfaldarsi.

Sia che lo si consideri come film a sé

stante o come l’ennesimo episodio di

una saga oramai quasi decennale e le

cui tappe future sono già ampiamente

programmate, Age of Ultron convince.

O, per lo meno, soddisfa coloro che si

aspettano intrattenimento brillante,

tanta azione ed effetti speciali

spettacolari (e sotto quest’ultimo

punto siamo davvero arrivati a livelli

insuperabili). Tutto questo c’è in

abbondanza: un’opera più complessa

rispetto al prequel, più dark, più

spettacolare, altrettanto divertente e

maggiormente omogenea sotto il profilo

della narrazione (meno tempi morti e…

più botte!).

Cambiano invece, e piuttosto

radicalmente, le relazioni tra gli eroi

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ed il loro ruolo nell’arco narrativo.

Se il primo The Avengers (che da queste

parti era piaciuto parecchio) vedeva

Iron Man leader indiscusso del team,

stavolta il suo ruolo è più defilato e la

sua verve ironica è stata saggiamente

distribuita su tutti i personaggi.

Ottime e abbondanti le new entry.

Ultron è un credibile villain (peccato

però perdersi il doppiaggio originale di

James Spader); Visione ha un enorme

potenziale e permette finalmente

al ciarliero Paul Bettany (ex-Jarvis)

di mostrare finalmente il suo volto;

contrastanti le performance dei due

“superumani”: discreto Aaron Taylor-

Johnson/Pietro Maximoff/Quicksilver

(che perde la sfida a distanza con lo

scanzonato e irriverente personaggio

visto in X-Men e interpretato da Evan

“American Horror Story” Peters ),

convincente Wanda Maximoff/Scarlet,

una Elizabeth Olsen carismatica e

sensibile.

Whedon sa fare cinema popolare,

nella sua migliore accezione, quello

che “andiamo a vederlo un’altra volta?”

e “hai visto quel dettaglio/chicca/

particolare?”.

Age of Ultron, pur non avendo molto

a che fare con la sua controparte

“reale” fumettistica, le rende pieno

omaggio. Tutte le caratteristiche

tipiche dei comics Marvel trovano una

felice rappresentazione nel contesto

cinematografico: c’è l’umano, il

fantastico e l’inverosimile.

Considerando che, dopo qualche

tentativo meno riuscito, oggi

la casa produttrice è riuscita a

trovare la perfetta armonia tra

prodotti piacevolmente ipertrofici e

testosteronici (Avengers ed eroi vari),

scanzonati e sardonici (I Guardiani della

Galassia) e più attenti all’”uomo” e alle

motivazioni che spingono gli eroi a fare

quello che fanno, meno allo spettacolo

tout court (la serie di Daredevil), l’unica

cosa che noi spettatori possiamo fare

è sederci su una comoda poltrona, fare

il pieno di popcorn e bibite e goderci lo

spettacolo.

Andrea Chirichelliwww.playersmagazine.it

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22IT’S SHINY MAGAZINE

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23IT’S SHINY MAGAZINE

VIDEOGIOCHI D’AZZARDO“Se paragoniamo videogame e gioco d’azzardo notiamo che le

peculiarità che li accomunano sono di gran lunga superiori ai punti

che li separano!” VIDEOGAMES

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24IT’S SHINY MAGAZINE

Ieri sera, dopo una lunga sfida online

a Street Fighter X Tekken, ho visto il

film 21, diretto da Robert Luketic e

basato su una storia vera. La pellicola

narra le gesta di Ben, studente prodigio

del MIT, coinvolto dal suo professore

Mickey Rosa in un club segreto di

Black Jack. Scopo del gruppo di giovani

e lucide menti è quello di arricchirsi

rapidamente tramite la conta delle carte

ed il rapido calcolo matematico delle

probabilità di successo.

L’empatia che si crea tra spettatore e

protagonista è palpabile e concreta

e mi ha indotto ad una particolare

riflessione: se paragoniamo videogame

e gioco d’azzardo notiamo che le

peculiarità che li accomunano sono

di gran lunga superiori ai punti che li

separano! Sto parlando di competizione

e adrenalina, di frustrazione davanti

ad una sconfitta o euforia derivante da

un inaspettato successo. Mi riferisco

anche allo studio psicologico del proprio

avversario e all’utile controllo delle

proprie emozioni. E così, banalmente,

mi sono domandato come mai non

esista ancora la possibilità di giocare

veramente d’azzardo tramite Xbox Live

e PlayStation Network.

Il boom del gioco d’azzardo sul web ha

contribuito ad allargare enormemente

il potenziale bacino d’utenza alla quale

potrebbero rivolgersi Microsoft e

Sony. Eppure, nonostante i videogames

strizzino sempre più spesso l’occhio al

gioco d’azzardo, questo grande passo

non si è ancora compiuto.

Di recente ho ripreso a giocare a Red

Dead Redemption per cercare di

sbloccare l’obiettivo “Il ripulitore”, che

richiede al giocatore di vincere una

partita a Poker con almeno 2000 chips

in tasca. Apparentemente impossibile,

scopro che può essere facilmente

sbloccato spaventando i propri

avversari con un “All-in” imprevisto.

Ma tutt’altra storia sarebbe se venisse

chiesto di bluffare spudoratamente con

i Microsoft Points. Chiunque avrebbe

la faccia tosta di rischiare denaro reale?

Non ci credo! Il fulcro del divertimento

che ha reso il Texas Hold’em un successo

e business planetario è proprio la

componente psicologica. Eliminata

quella hai ammazzato il gioco.

E tornando a Microsoft e Sony, perchè

non lasciare da parte per un attimo

tecnologie mirabolanti e costose

come HoloLens e Morpheus per

infondere nuova linfa vitale nel gaming

competitivo online? Più ci penso e

più l’idea diventa eccitante. Ve lo

immaginate il nerd squattrinato che

si crea una ludoteca virtuale tramite

le proprie abilità videoludiche? Non

sarebbe forse questo un modo onesto

per premiare il talento piuttosto che

lucrare vendendo pacchetti salva-

tempo? Mi stupisce, anzi mi pare

impossibile che gli squali del marketing

videoludico non ci siano ancora

arrivati. Il rischio maggiore è quello

di coinvolgere minorenni in attività

vietate dalla legge, ma la soluzione più

ovvia e banale è il rispetto del PEGI ed

un semplice controllo tramite Carta di

Credito.

Luca Tenneriello

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25IT’S SHINY MAGAZINE

un film di James Wan

con Vin Diesel, Paul Walker, Jason Statham e il resto della Famiglia

CINEMA

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26IT’S SHINY MAGAZINE

I minuti finali di Fast & Furious 7

omaggiano Paul Walker in una maniera

che, nel contesto assolutamente grezzo

che è quello della serie, riesce ad essere

toccante, sincera, elegante, delicata.

E ne viene fuori un momento

completamente assurdo, una sorta trip

metalinguistico in cui il settimo episodio

di una saga cinematografica saluta

l’attore più presente lungo i vari capitoli

allontanandone il personaggio senza

ucciderlo, ma in fondo accettandone

la morte. Si parla di Paul Walker e se

ne omaggia la vita mettendo in realtà

a schermo quella di Brian O’Conner,

quindi di un essere umano che la cui vita

è durata appena le centinaia di minuti

raccontate nel giro di sei film.

Il montaggio saluta Brian, ma negli

occhi di Dom e nelle sue parole si legge

invece la sofferenza di Vin Diesel e il

gruppo su quella spiaggia sta salutando

il Keanu Reeves del discount che li ha

accompagnati lungo tutta questa serie

di bizzarri, assurdi, sconclusionati film.

È un corto circuito assurdo, toccante,

che in un certo senso percorre tutto

il film ben oltre quelle immagini

conclusive e finisce per rappresentare

l’unica vera traccia drammatica di

peso che regga davvero per quei

centotrentasette minuti.

La vendetta di Deckard Shaw, lo

scontro della famiglia contro la famiglia,

aveva il potenziale per essere qualcosa

di molto più forte, nel contesto della

serie, ma viene sfiorata a malapena.

Il zuccheroso tira e molla fra Lettie e

Dom dovrebbe essere un po’ la spina

dorsale del film, ma finisce per essere

sacrificato. Quel che davvero passa

in primo piano, e che probabilmente

in origine non avrebbe dovuto farlo,

perlomeno non più di quanto l’avesse

fatto già nel sesto episodio, è il conflitto

vissuto da Brian, la sua difficoltà

nell’adattarsi a una vita “normale” e nel

rinunciare al brivido dell’azione.

Finisce per fagocitare tutto il resto e

non per reale forza propria, ma per

tutti i significati che inevitabilmente

ci applichi mentre guardi il film. Ed è

di fondo l’unico motivo per cui Fast &

Furious 7 riesce a conservare un pizzico

di quel coinvolgimento emotivo che ha

sempre rappresentato l’anima forte

della serie e qui lascia invece un po’

troppo spazio al casino totale, sempre

e comunque, sparato a mille e urlato

fortissimo.

Può sembrare assurdo perder tanto

tempo a chiacchierare di storia e

coinvolgimento per una serie che li ha

sempre utilizzati come pretesto per

fare altro ma, di nuovo, in fondo la forza

di Fast & Furious, uno dei motivi per

cui continua a funzionare tanto, sta

anche nella capacità di spingere su quel

pedale, di dare perlomeno l’impressione

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di crederci, anche se poi, certo, il

punto era far correre le auto prima, è

diventato spaccare tutto poi.

E il problema forse più grosso di Furious

7, per come la vedo io, sta soprattutto

lì, nella maniera un po’ pigra con cui è

stato assemblato, riciclando in maniera

abbastanza schematica il precedente

film, tanto nella macrostruttura quanto

in piccole cose tipo la - bellissima,

intendiamoci - gag con cui fa il suo

esordio il personaggio di Paul Walker.

Insomma, se a tenere in piedi lo spirito

della famiglia ci ha dovuto pensare in

larga misura la morte di un attore, beh,

c’è qualcosa che non torna.

Aggiungiamoci che James Wan fa

un buon lavoro, non sbava troppo,

si destreggia bene nel macello che

dev’essere stato dirigere per la

prima volta un film dalle dimensioni

simili, oltretutto nel contesto di una

produzione che spinge così tanto sugli

stunt veri, ripiegando molto poco su

montaggio e computer. Epperò, allo

stesso tempo, vai a sapere quanto per

colpe sue, spreca totalmente Tony

Jaa e Ronda Rousey, il primo ridotto

a fare un po’ di parkour e nascondere

qualche calcio in mezzo a un tripudio

di montaggio, la seconda abbandonata

a un combattimento un po’ anonimo

(e, pure lui, strutturalmente identico a

quello di Gina Carano in Furious 6).

Va un po’ meglio coi due combattimenti

fondamentali, quelli che coinvolgono il

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28IT’S SHINY MAGAZINE

triangolo degli schiaffi Statham/Diesel/

Johnson, ma il frontale fra Vin e The

Rock in Fast Five rimane tutta un’altra

faccenda.

Oh, poi, intendiamoci, qualche bella

intuizione c’è, il lavoro è solido, il piano

sequenza che introduce Jason Statham

nella prima scena del film è roba da

alzarsi, correre in strada a mettersi a far

caroselli rovesciando le macchine nel

parcheggio, ma manca qualcosa e, anzi, a

tratti c’è pure troppo, con lunghe scene

d’azione che esagerano e non trovano la

sintesi perfetta che Justin Lin ha saputo

regalare nei suoi momenti migliori.

Però, insomma, a rilegger quel che ho

scritto fino a qui sembra che voglia

bocciare Fast & Furious 7 senza ritegno.

E invece. E invece ne sono uscito

comunque soddisfatto, dopo essermi

divertito come uno scemo per un paio

d’ore, nonostante qualche momento

di stanca, e convinto del fatto che, pur

essendo un film meno riuscito rispetto

ai due precedenti, è anche un delirio di

spacconaggine superiore agli stessi. E

che, dovrei lamentarmi?

Che l’avvio sia una roba da standing

ovation l’ho già detto. Le parti in

montagna e a Dubai, pur con qualche

ma, sono strepitose. Che la sintesi

sarebbe servita parecchio al finale,

pure, l’ho detto, ma in fondo sono i

classici quaranta minuti da blockbuster

moderno, con cui bene o male anche

questa serie, nel suo esplodere verso un

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29IT’S SHINY MAGAZINE

pubblico dalle dimensioni anni fa

impensabili, deve fare i conti. E sono

quaranta minuti insensati, messi in

scena comunque con una padronanza

che non era certo scontata. Gli attori,

poi, pur alle prese con dei personaggi di

carta velina, rendono tutti alla grande,

fra Kurt Russell che si diverte come

uno scemo, The Rock che parla come

un generatore casuale di battutacce

alla Schwarzy dei tempi d’oro, Tyreese

sempre più azzeccato come scemo

del villaggio e Vin Diesel che sbava

con gli occhi lucidi mentre tenta

disperatamente di far esplodere la

canotta.

È l’apoteosi del film cafone, ma che

riesce comunque ancora a conservare

un po’ del suo spirito sincero, senza

abbandonarsi del tutto alla bassa

furbizia. Dovunque ti giri c’è una gag

adorabile, fra i due matti che vanno

di frontale ogni volta che si vedono,

Dom che si sposa in canotta, le nuove

tecniche per la gestione di un braccio

ingessato, l’approccio di The Rock

alla guerra coi droni e quei due o

tre momenti che, nonostante tutto,

nonostante il riciclo, nonostante si sia

ormai al settimo film, ancora sanno

lasciarti a bocca aperta. È anche un

film che continua a portare avanti il

suo assurdo ma adorabile inseguire la

continuity, rincorrendo riferimenti di

ogni tipo per dare davvero il senso di

stare chiudendo un’era, come in fondo è

giusto che sia, vista anche un po’ quella

faccenda che percorre ogni fotogramma

e che viene presa di petto tanto bene

nel finale.

E poi c’è Jason Statham, che è un

capitolo a parte. Che sarebbe stato

il primo cattivo realmente munito di

carisma della serie era ovvio, forse

meno scontato era aspettarsi di vederlo

mangiarsi il film a quella maniera ogni

volta che appare. Soprattutto se si

considera, poi, il modo in cui viene

usato: una specie di terminator col

teletrasporto, che appare a caso quando

serve, semina distruzione e poi si

ritira di buon ordine. Fa impressione

vedere quanto riesca a spiccare in

queste condizioni e viene la voglia

di vederlo tornare in un seguito che

sappia sfruttarlo meglio. O, magari,

che venga posto nelle condizioni di

poterlo fare. Perché poi, forse, il punto

è anche un po’ lì: l’impressione è che

questo sia il miglior Fast & Furious

7 possibile alla luce di un po’ tutte le

faccende che gli sono ruotate attorno,

non solo per Paul Walker, ma anche

tenendo conto del cambio di regista,

delle prospettive sempre più sparate

verso l’alto della serie, del fatto che, per

come erano stati impostati gli ultimi

episodi, è ormai diventato categorico

fare sempre qualcosa di più grosso.

È un po’ come Tom Cruise che in ogni

Mission: Impossible deve salire più

in alto e, avendo finito i palazzi, s’è

fatto attaccare a un aereo in decollo. Il

percorso ormai è quello e non te ne devi

staccare. Tra l’altro, il riferimento non è

casuale: per la sesta volta Fast & Furious

ha sostanzialmente cambiato genere

da un episodio all’altro e questa volta

siamo entrati in zona Ethan Hunt. Come

andrà alla prossima? Non lo so, però

quel che so è che, pur con tutti i suoi

limiti e col timore che le cose potranno

solo peggiorare, Furious 7 è ancora una

volta uno spacco incredibile. E l’idea che

un film del genere stia incassando quel

che sta incassando, beh, scalda il cuore.

Avanti così.

Andrea Madernagiopep.blogspot.it

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31IT’S SHINY MAGAZINE

“Un popolo che ha bisogno di martiri è un popolo che muore!”Una bambina spalanca una porta,

attraversa un corridoio ed esce

all’aperto. La sua corsa è claudicante;

i suoi affanni si confondono fra grida e

lamenti. Indossa soltanto una canottiera

lurida e le mutandine. I suoi capelli sono

stati tagliati, quasi rasati. I suoi zigomi

sono tumefatti e il suo viso porta i

segni di molte percosse. Ha dei rivoli di

sangue rappreso sotto le narici e ai lati

della bocca così come sulla fronte e ai

lati degli occhi. Il suo corpo è ricoperto

di lividi e di altre ferite.

Il suo nome è Lucie e da un anno era

scomparsa. È il 1971.

Lucie è condotta in un ospedale

pediatrico che si occupi del suo

recupero sia fisico sia psicologico.

Le indagini cominciano dal luogo in cui

la bambina era tenuta prigioniera. Si

tratta di un fatiscente edificio di un’area

industriale dismessa, situata in periferia.

La piccola ha vissuto per un anno in

una stanza buia e, per la maggior parte

del tempo, era incatenata ad una sedia

forata al centro in modo che, senza

alzarsi, potesse fare i propri bisogni

che venivano raccolti in un secchio

di latta sottostante. Lucie non ha

subito molestie di carattere sessuale.

I maltrattamenti che le sono stati

perpetrati si concretizzano in percosse,

alimentazione ridotta al limite con

conseguente deperimento fisico e

disidratazione, ipotermia, disturbo del

sonno.

Nell’ospedale Lucie conosce Anna, una

sua coetanea con cui divide la camera

e con cui stringe amicizia. Attraverso

Anna e attraverso la confidenza che

Lucie ripone in lei, la polizia spera di

riuscire a trovare gli indizi utili per

individuare ed arrestare gli aguzzini che

hanno torturato la bambina.

Purtroppo la mente di Lucie è

disturbata. La bambina ha delle crisi

d’identità, non ricorda chi fossero i suoi

carnefici, è autolesionista, vive ancora

nella paura. Però di una cosa Anna è

certa: anche Lucie vuole stanarli e vuole

fargliela pagare.

Lucie, inoltre, è perseguitata da una

misteriosa presenza.

Quindici anni più tardi Lucie è convinta

FILM CULT

TRAGEDIA IN TRE ATTI

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32IT’S SHINY MAGAZINE

di aver trovato i suoi aguzzini, così

s’introduce nella loro abitazione e li

stermina.

Questa sinossi potrebbe costituire

da sola la trama di un film di circa

due ore e invece non è così. Quanto

narrato fino a questo momento,

Pascal Laugier lo concentra nei primi

tredici minuti di Martyrs. Da questo

è facile comprendere quanto sia

intensa la progressione narrativa del

film del regista francese. I particolari

si accumulano gli uni sugli altri. Un

dettaglio, una parola, un singolo gesto

o un semplice scambio di sguardi,

niente è lasciato al caso. Tutto serve

per caratterizzare i personaggi e per

preparare gli eventi che seguiranno.

E si tratta di una mera preparazione

narrativa, perché lo spettatore, per

quanto smaliziato e per quanto possa

essere stato messo in guardia dagli

slogan pubblicitari, non può avere la più

pallida idea del percorso che lo attende.

Pascal Laugier, dopo l’esordio con

Saint Ange, decide di alzare il tiro.

Se la sua prima pellicola è un film

piuttosto manieristico, che gioca

quasi esclusivamente sulle atmosfere

rarefatte e preparate con una cura

meticolosa, oltre che sull’eleganza

visiva, a discapito del ritmo narrativo

e delle così dette immagini shock,

Martyrs è il suo esatto contrario. Si

tratta di una pellicola dal ritmo veloce e

compatto che non lascia allo spettatore

un solo attimo per prendere fiato.

Anche in questo lavoro le atmosfere

sono preparate con una cura meticolosa,

ma Laugier, che ha abbandonato il

manierismo di Saint Ange, questa volta

racconta la violenza e la sofferenza. E

violenza e sofferenza trasudano da ogni

immagine.

Premettendo che Martyrs è un film

assai disturbante, doloroso, disperato e

rattristante, si avverte il lettore che nel

corso di questa analisi se ne riveleranno

tutti i principali colpi di scena incluso il

finale. Quindi, sconsigliando la lettura

preventiva di quanto segue, si caldeggia

vivamente la visione del film.

Poiché Martyrs è stato costruito con

una tecnica narrativa assai curata,

attenta ai tempi ed alla progressione

espositiva, si reputa necessario

svolgere prima un’analisi strutturale,

poi un’analisi contenutistica e, infine,

un’analisi artistica.

Da un punto di vista strutturale e

parafrasando uno dei capolavori di

Agatha Christie, la nuova pellicola

di Laugier è una tragedia in tre atti

preceduta da un prologo.

Ogni atto comincia con una valenza e

termina con la valenza opposta. E, prima

di procedere, è opportuno chiarire che,

quando si parla di valenza positiva e di

valenza negativa, non si vuole intendere

lo stretto binomio di bene e male, bensì

un insieme di emozioni e di situazioni

che siano in conflitto fra di loro.

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33IT’S SHINY MAGAZINE

Martyrs si apre in positivo, con la fuga

di Lucie (Jessie Pham) dai suoi aguzzini,

e termina in negativo, con la creatura

che tormenta la povera bambina.

Questo prologo, che dura una manciata

di minuti, è stato scritto e sviluppato

con sapienza ed abilità narrativa. Esso

è denso di elementi e di significati che

acquistano e sviluppano tutta la loro

forza soltanto dopo la visione completa

del film.

Dopo il prologo, abbiamo il primo atto

che narra la vendetta di Lucie (Mylène

Jampanoï). Agli occhi del pubblico si

presenta una scena ordinaria di vita

familiare apparentemente armoniosa

che viene spezzata dall’improvvisa

irruzione della ragazza armata di fucile

e dalla successiva carneficina. Questo

atto raggiunge il proprio apice nel

confronto fra Lucie e il proprio senso di

colpa e termina con il suo suicidio.

Nel secondo atto Anna (Morjana

Alaoui), che fino a quel momento è

rimasta nell’ombra, entra in primo piano

MORJANA ALAOUI

rivelandosi la vera protagonista del film.

Questo atto comincia in modo rarefatto.

Tutti i personaggi del primo atto sono

morti ad eccezione di Anna, che si

trova sola in una casa di campagna

teatro della strage. Lucie è morta e

con lei sembra essere morta la sua

follia omicida e tutto quell’orrore che

si portava dentro fin da quando era

bambina. Poi la svolta: il ritrovamento

di una ragazza orribilmente suppliziata

nei sotterranei della casa. L’atto termina

con l’arrivo di Mademoiselle (Catherine

Bégin) e con la narcotizzazione di Anna.

Il terzo atto si articola in due tempi: il

martirio di Anna della durata di circa

venti minuti e le conseguenze di tale

martirio, altri quindici minuti includendo

i titoli di coda, che culminano con il

suicidio della Mademoiselle, ossia con la

morte del principale carnefice.

Da questa esposizione risulta piuttosto

evidente come ogni singolo atto, se

sviluppato ed ampliato, avrebbe potuto

da solo costituire un film a sé stante.

Il primo atto sembra potersi inquadrare

nel cosiddetto genere del Rape and

Revenge, ma se in tale genere la vendetta

costituisce il momento catartico del

film, in questo caso è un semplice incipit.

Il secondo atto si concretizza in una

pura preparazione, ma se lo si separa dal

contesto generale del film ci troviamo

di fronte ad un dramma umano dai forti

risvolti psicologici. Qui Laugier mostra

al pubblico il lato compassionevole,

altruistico e samaritano di Anna. Lato

del suo carattere che era già ben

caratterizzato nel prologo, anche se in

modo più sottointeso e sfuggente.

Il terzo atto a sua volta potrebbe essere

distaccato dal resto della struttura,

andando a scivolare in uno dei tanti film

dell’orrore basati sulla segregazione e

sulla tortura.

Tuttavia, non ci si deve far fuorviare da

quanto appena detto. La struttura di

Martyrs è solida e compatta e i suoi

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34IT’S SHINY MAGAZINE

tre atti sono perfettamente amalgamati.

Si è voluto precisare che ogni singolo

atto avrebbe potuto costituire un

film a sé stante semplicemente per

chiarire che la nuova pellicola di

Laugier, a discapito di quanto è stato

affermato con superficialità da una

certa parte della critica, non si inquadra

in un genere cinematografico preciso

e, soprattutto, non è una ridicola

emulazione di determinate pellicole

di genere Horror americane fra cui

l’insulso “Hostel” né di quelle orientali,

fra cui ricordiamo alcuni capolavori

dell’ottimo Takashi Miike.

Martyrs non cade nel grottesco, né

sdrammatizza mai facendo ricorso ad

un qualche genere di ironia o di humour

nero.

Pascal Laugier si propone con successo

di affrontare una vasta serie di

tematiche e per raggiungere il proprio

scopo attinge a moltissimi elementi

del cinema di genere, ma senza mai

cadere nel banale né nel ripetitivo.

Egli mescola gli ingredienti con

originalità e dona alla pellicola un taglio

personalissimo e tanto potente sia sotto

un profilo estetico, sia sotto un profilo

narrativo, da imporsi nel panorama

cinematografico mondiale, divenendo

perciò un riferimento e un indice di

paragone con cui d’ora in poi i registi dei

film di genere non potranno evitare di

confrontarsi.

Laugier, che naturalmente è anche

lo sceneggiatore della propria opera,

affronta le proprie ossessioni alla

stregua di come i suoi personaggi si

trovano costretti ad affrontare le

proprie paure. La violenza più brutale,

la sopraffazione, il complesso di colpa,

la ricerca mistica che caratterizza

ogni società che ha raggiunto il punto

del tracollo, la pietà, la desolazione

per quella che è la condizione umana,

la speranza e la disillusione unite al

miraggio dell’uomo di essere padrone

ed artefice del proprio destino, la libertà

e il diritto alla vita sono i principali temi

affrontati dal regista.

Martyrs è costruito principalmente sul

paradigma dualistico sadiano vittima-

carnefice.

Nella storia del cinema la filosofia del

marchese De Sade è stata portata sugli

schermi in tutta la sua più efferata

crudezza una sola volta.

Era il 1975 e il film era Salò o le

120 Giornate di Sodoma di Pier

Paolo Pasolini, fedelmente tratto

dall’omonimo romanzo di De Sade (e più

in generale dagli studi contemporanei

sulla produzione artistica dell’autore

“maledetto”) e solo ingannevolmente

adattato in chiave più moderna.

In questa sede non si vuole instaurare

un confronto fra queste due pellicole

che sono enormemente distanti l’una

dall’altra. Ma restando ancora per

un momento su questa falsa riga, si

potrebbe affermare che Martyrs

sia esclusivamente lo sviluppo e

l’estensione del Girone del Sangue del

film di Pasolini.

MYLÈNE JAMPANOÏ

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35IT’S SHINY MAGAZINE

Nel paradigma sadiano, semplificando

all’estremo, il mondo si divide in vittime

e carnefici. I carnefici si raggruppano

in un’oligarchia che ha bisogno delle

vittime. Non vi è disprezzo per le

vittime, né pietà nei loro confronti: le

vittime sono necessarie.

Al suo primo incontro con Anna la

Mademoiselle dice testualmente:

“Lucie non è altro che una vittima, come

tutte le altre! È così facile creare una

vittima, signorina, così facile...”.

Ma se nel paradigma sadiano le vittime

sono indispensabili affinché l’oligarchia

di carnefici possa soddisfare i propri

bisogni, ripristinando quell’equilibrio

sancito da Madre Natura ed infranto

da quell’insieme di valori e di diritti

umani che De Sade ripudia, in

Martyrs si va oltre. Lo scopo ultimo

dell’Organizzazione è trovare un

soggetto capace di sostenere un

autentico martirio e di raggiungere

la susseguente trasfigurazione

trascendente.

Dice infatti ancora la Mademoiselle:

“Il mondo ormai è così fatto che non ci

sono altro che vittime! I martiri sono assai

rari; i martiri sono tutt’altra cosa. Il martire

è un essere eccezionale, signorina! Egli

sopravvive alla sofferenza, sopravvive alla

privazione, si fa carico dei mali delle Terra

e si abbandona. Egli trascende se stesso -

capite questa parola? - si trasfigura”.

Ossia il martire raggiunge uno

stato catartico che gli consente di

oltrepassare i limiti della realtà sensibile

imposti dal corpo. Su questo concetto

torneremo più avanti.

Quello che, invece, preme sottolineare

è che la distinzione fra vittima e martire

ha esclusivamente fini narrativi, poiché

risulta evidente che nell’ottica di

Laugier non vi è nessuna distinzione,

tutti sono vittime! In certa misura lo

sono anche i carnefici.

La violenza che Laugier ci propone non è

mai ludica, né fine a se stessa.

Come detto in precedenza, si tratta di

una violenza brutale e calcolata.

Durante i lunghi venti minuti in cui

Anna viene martirizzata, lo spettatore

non assiste a niente di ricercato o di

straordinario. Anna è tenuta prigioniera,

è maltrattata, è malnutrita ed è

percossa costantemente. Non si assiste

dunque a ingegnose e machiavelliche

torture, destinate a soddisfare chissà

quale perversione edonistica, bensì ci si

trova a confrontarsi con la più semplice

e brutale sopraffazione del più forte nei

confronti del più debole.

Anna viene spogliata degli abiti, della

libertà, della salute, del diritto di vivere

la propria vita, della dignità ed infine

anche della sua ultima difesa naturale:

la pelle. Anna, infatti, è spellata e

mantenuta in vita.

La decorticazione è indubbiamente il

martirio più raccapricciante fra tutti

quelli tramandati dalla tradizione

cristiana. Ma Laugier non vuole solo

sconvolgere lo spettatore attraverso

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36IT’S SHINY MAGAZINE

l’impatto visivo di un corpo scorticato.

Egli ancora una volta va al di là della

mera apparenza.

La pelle che ricopre il corpo umano

è l’ultimo confine di separazione fra

l’uomo e il mondo che lo circonda.

Si tratta di un organo protettivo, un

organo di difesa dell’individuo.

Dal momento in cui è decorticata,

Anna non ha più niente. Le ferite si

rimarginano, i lividi si riassorbono,

le ossa si rinsaldano, ma la pelle non

ricresce. Anna ormai è in balia dei

propri aguzzini. Ormai appartiene

completamente a loro. E’ privata anche

del diritto alla morte. Non c’è nessuna

speranza di salvezza, non ci sono

vie d’uscita. Se la penetrazione può

apparire come un’invasione del mondo

esterno nell’intimo del corpo di una

persona, la decorticazione equivale ad

aprire l’individuo al mondo esterno,

a metterlo completamente a nudo e

senza nessuna difesa. Il mondo esterno

si è impossessato completamente

e definitivamente dell’individuo. In

senso più lato essa consiste anche

nella perdita dell’individualità e nella

depersonificazione dell’essere umano,

il cui corpo si riduce ad un meccanismo

che può essere smontato e manipolato a

piacere.

Aver cominciato l’analisi partendo dalla

violenza non è stata una scelta casuale

anche se naturalmente nel film la

progressione narrativa consiste anche

in una progressione della violenza.

Nel primo e nel secondo atto del film,

infatti, Laugier mostra al pubblico gli

effetti di quelle violenze che Lucie ha

subito e che Anna vivrà soltanto nel

terzo ed ultimo atto.

Nel primo atto Lucie sembrerebbe

la sola autrice di violenza, ma anche

questo è un inganno voluto e calcolato

dal regista.

Lucie non è libera nelle scelte e nelle

proprie azioni. E’ vero che stermina

una famiglia ed è anche vero che è una

ragazza malata di mente, che potrebbe

aver massacrato una famiglia innocente,

ma qui non interessa entrare nel campo

assiologico delle azioni di Lucie, bensì

interessa sapere che cosa le ha causate.

E la risposta è semplice: le violenze di

cui è stata vittima da bambina. Non

è semplicemente vendetta quello

che Lucie va cercando. Lei ricerca

l’espiazione per una colpa che in realtà

non le è neppure imputabile.

La creatura, che Lucie vede e che la

perseguita fin da quando è bambina,

naturalmente è una sua proiezione

mentale. E non cada in inganno

lo spettatore nel pensare che la

prevedibilità di tale soluzione sia un

errore sfuggito a Laugier in sede di

sceneggiatura.

Fin dalla prima comparsa della creatura,

infatti, il regista suggerisce al pubblico

la vera essenza di questo mostro.

La creatura altro non è che il senso di

colpa di Lucie. Essa ha il volto tumefatto

di un’altra donna martoriata che Lucie

ha visto, quando da bambina è riuscita a

fuggire, e che non ha avuto il coraggio di

liberare. E’ infatti palese che se Lucie

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37IT’S SHINY MAGAZINE

avesse cercato di salvare quella donna,

non solo non vi sarebbe riuscita, ma

sarebbe anche stata immediatamente

riacciuffata dai suoi aguzzini.

Né la logica, né la morale, né l’etica

condannerebbero mai la bambina per

la propria condotta, ma resta il fatto

che quella donna è morta mentre Lucie

si è salvata. E questo lei non riesce a

perdonarselo.

Spiegherà più tardi la Mademoiselle

che vedere cose inesistenti è una

logica conseguenza delle torture e dei

traumi subiti, ma il caso di Lucie resta

particolare e ad avere la predominanza

rimane sempre e soltanto il senso di

colpa.

Sono semplicemente struggenti le

sequenze in cui la ragazza si punisce,

convinta che a punirla sia la donna che

lei non ha salvato.

Lucie è un personaggio bellissimo,

determinato ma fragile, buono ma

squilibrato, dolce ma aggressivo. Il

prodotto della violenza su una creatura

innocente.

Nel secondo atto Laugier ci fa

toccare più da vicino la violenza

sempre mostrandocene i suoi effetti

attraverso la visione del corpo

martoriato della ragazza suppliziata

nei sotterranei della casa. Qui c’è una

duplice finalità: la prima e più evidente

consiste nel conferire la più completa

assoluzione a Lucie, dimostrando che

effettivamente ha sterminato una

famiglia di mostri; la seconda e meno

evidente consiste nel mostrare la

forza di carattere, l’altruismo, l’innata

carità, la compassione e l’umanità di

Anna. Inoltre, nell’autolesionismo

della ragazza suppliziata si pone un

secondo importante distinguo con

Lucie. La ragazza suppliziata si affetta

con un coltello e si sbatte contro un

muro perché crede che il suo corpo sia

ricoperto di scarafaggi e di altri insetti

schifosi. In altre parole quest’ultima

cerca di porre fine ad uno stato di

sofferenza immaginario, mentre Lucie

non riesce a perdonare se stessa per

essere ancora viva e cerca la propria

espiazione attraverso il tormento

corporale che culmina col suicidio, da

intendersi non come atto punitivo ma

come atto liberatorio.

Merita ancora un discorso l’immagine

sociale sottesa.

L’oligarchia dei carnefici è un’evidente

e forse un po’ troppo semplificata

metafora della società occidentale. Una

società umana che ha raggiunto l’apice

del proprio sviluppo a discapito di quelli

che in passato erano stati i suoi valori

fondanti.

Laugier vuole presentare una società

che ha raggiunto il punto della rovina

e che, come è sempre accaduto nella

storia delle società umane, avendo

raggiunto il limite del baratro si getta

alla ricerca metafisica di una spiritualità

che ha perduto.

L’intento è molto buono e ben costruito,

ma in certa misura è mal sviluppato.

Questo è il punto debole di tutto il film.

La ricerca di qualcosa dopo la morte

come fine ultimo dell’Organizzazione è

un espediente narrativo come qualsiasi

altro. Altrettanto dicasi del fatto

che non sarà mai rivelato quello che

Anna afferma di aver visto durante la

trasfigurazione.

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38IT’S SHINY MAGAZINE

Più interessante è il suicidio della

Mademoiselle che, pur inquadrandosi

in un contesto di una certa furberia

narrativa, è molto ben costruito.

Mademoiselle, infatti, è nella sala da

bagno, davanti allo specchio. Così

come Anna è stata spogliata della

propria immagine esteriore, anche

Mademoiselle si spoglia della propria

apparenza. Si strucca, si toglie il

turbante, si leva le ciglia finte e la

parrucca e infine si spara in bocca.

“Etienne, sapreste immaginare che cosa c’è

dopo la morte? Dubitate, Etienne!”, queste

le sue parole prima di tirare il grilletto.

Il capo dei carnefici diventa vittima ed è

stata Anna a renderla tale. Un fulmineo

ribaltamento dei ruoli. Il suicidio di

Mademoiselle è la società che muore,

quella società che necessitando di

martiri dissemina il mondo di vittime.

A questo punto è chiaro quanto l’opera

di Laugier sia riuscita ad andare al di

là dei canoni e dei confini del cinema

Horror e quanti siano i livelli di lettura

di questa pellicola per chi non desidera

fermarsi esclusivamente all’impatto con

la violenza visiva e psicologica.

La regia di Laugier è accurata e

perfettamente confacente alla storia

narrata. La sua ricerca estetica è di

alto livello. E’ inutile in questa sede

descrivere la bellezza di alcune scene

come quella del suicidio di Lucie, se

ne consiglia semplicemente la visione

senza altro aggiungere.

E’ ammirevole anche il richiamo estetico

dell’iconografia medievale adattata in

chiave moderna. Come non ricordare,

ad esempio la statua di San Bartolomeo

conservata nel Duomo di Milano.

Una sorta di continuità della crudeltà

umana che attraversa i secoli e che

elabora tecniche sempre più sofisticate

per procurare dolore e sofferenza ai

propri simili.

Inoltre, il regista riesce ad affrontare,

attraverso le immagini e sotto un

profilo quasi esclusivamente estetico,

la tematica della trasformazione

attraverso la sofferenza. Una

sofferenza che non è mai salvifica

indipendentemente che trasformi la

persona che la subisce in una vittima,

in un martire o in un carnefice. Il corpo

umano si riduce a semplice carne, a un

insieme di materiali organici, oggetto di

esperimenti alla stregua di un blocco di

marmo in mano a uno scultore.

Pascal Laugier ci offre una prova

perfettamente equilibrata, visivamente

elegante ed emotivamente disturbante,

non priva di poesia e di malinconia.

Le due attrici protagoniste sono

magnifiche.

Mylène Jampanoï, già vista sugli schermi

italiani ne I fiumi di Porpora 2 (2004)

e nell’ottimo 36, Quai des Orfèvres

(2004), è semplicemente fantastica e

riesce ad essere bella e seducente anche

in un ruolo che davvero non esalta le sue

qualità estetiche. La sua interpretazione

è capace di trasmettere allo spettatore

tutto il tormento interiore e tutta la

sofferenza del personaggio.

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39IT’S SHINY MAGAZINE

Morjana Alaoui è molto brava e affronta

un ruolo abbastanza scomodo con

professionalità e con disinvoltura.

Si consideri che Pascal Laugier ha avuto

serie difficoltà a trovare le due attrici

protagoniste. In un’intervista egli ha

infatti dichiarato che la maggior parte

delle attrici a cui aveva proposto il ruolo,

dopo aver letto il copione, ha rifiutato

con sdegno, alla stregua di un film

pornografico.

Addirittura anche il produttore Richard

Grandpierre, generalmente desideroso

di lanciarsi in progetti dallo scandalo

facile, aveva reputato il copione

di Martyrs troppo duro, salvo poi

ricredersi ed accettare.

Il resto del cast artistico è

perfettamente funzionale e credibile.

Pascal Laugier è un accanito estimatore

del cinema dell’orrore italiano, in

particolar modo di quello degli anni

sessanta, settanta. Egli ha sempre

dichiarato di considerare come proprio

maestro Dario Argento, al quale ha

dedicato questa pellicola.

Martyrs è un film che merita almeno

due visioni, poiché di primo acchito

lo spettatore, inondato dalla violenza

psicologica e visiva, potrebbe perdersi

molto di ciò che questa pellicola offre.

L’occhio di Laugier mostra empatia e

pietà per le sue protagoniste e, invece,

non offre nessuna pietà allo spettatore

che si troverà trascinato all’interno di

una storia crudele, desolante e senza

nessuna speranza. Quello che resta

alla fine è una profonda tristezza,

un senso d’impotenza e di angoscia,

perché Martyrs prima di tutto è un film

che racconta la sofferenza dell’essere

umano.

Non si tratta di un film che vuole

spaventare o far paura nel senso più

blando del termine; è un film che fa

male!

Non ci sono vie d’uscita, non c’è

speranza, quello che resta è il filmino

di due belle ed ingenue bambine che

giocano fra loro, ignare della sorte che

le attende. Un filmino che apre e chiude

quest’opera di Laugier. Un’infanzia

perduta, due vite violate, due esistenze

rubate. Tutti siamo in balia della

violenza. La sofferenza, l’agonia, il

dolore, la sopraffazione sono ovunque

e chiunque un giorno può riscoprirsi

vittima.

Non c’è nessuna giustificazione per i

mali che le protagoniste sono costrette

a vivere. Il solo barlume di speranza

potrebbe paradossalmente risiedere

nella risposta alla ricerca condotta

dall’Organizzazione di scellerati. Solo

la certezza dell’esistenza di una vita

dopo la morte potrebbe costituire una

sorta di compensazione a tutto questo.

Tuttavia, non appare questa la visione

offerta da Laugier.

Martyrs a conti fatti è un film doloroso,

terribilmente triste e malinconico, e se

a una seconda visione non vi commuove

la visione delle due bambine che

giocano insieme, dei loro sorrisi e dei

loro sguardi vivaci, forse allora non siete

riusciti ad entrare in questa storia e vi

siete fermati solo alla sua superficie.

La sola domanda che si pone dopo la

visione di un film come questo è quella

proposta dal gradissimo scrittore Isaac

Bashevis Singer:

“Vi è mai qualcuno che trovi compenso

ai propri dolori finali? Esiste un paradiso

per i bovini, i polli, i porci macellati, per le

rane spiaccicate sotto i piedi, per i pesci

presi all’amo e sottratti al mare, per gli

ebrei torturati da Petljura o fucilati dai

bolscevichi, per i sessantamila soldati che

hanno versato il loro sangue a Verdun?

Già mentre ero lì a rimuginare su simili

domande, milioni di persone e di animali

stavano morendo. Molti esseri umani erano

intrappolati in prigioni, ospedali, all’aperto

per strada, in cantine, in baracche. Buon

per te papà che credi! Può essere che tu

abbia ragione”.

Carlo Baldacci Carliwww.carlobaldaccicarli.it

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40IT’S SHINY MAGAZINE

“Da un punto di vista strutturale e parafrasando uno dei

capolavori di Agatha Christie, la nuova pellicola di Laugier è

una tragedia in tre atti preceduta da un prologo.”

PASCAL LAUGIER

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41IT’S SHINY MAGAZINE

I MILLE VOLTI DI STEPHSteph è un giovane ritrattista italiano specializzato in arte figurativa. Appassionato da sempre di

disegno, ha coltivato la sua passione da autodidatta fino a trasformarla in lavoro.

Tramite la sua pagina Facebook è possibile commissionargli ritratti e dipinti:

www.facebook.com/ritratti.disteph

Shiny Magazine lo ha incontrato per una breve intervista.

ARTE

Ciao Steph, anzitutto grazie per la

disponibilità! Parlaci della tua passione

per il disegno.

Ciao! Grazie per questa intervista. Oggi

ho 34 anni e non riesco a pensare ad

una fase della mia vita nella quale non

abbia estrapolato immagini dalla realtà

per riportarle nel disegno. Già all’asilo

venivo spesso spronato a partecipare

a concorsi di rappresentazioni

visive. Negli anni adolescenziali mi

son dedicato principalmente alla

realizzazione di fumetti amatoriali, in

cui l’istinto e la passione mi guidavano

molto di più che lo studio della tecnica.

Da circa 10 anni sono specializzato nel

ritratto della figura umana che, devo

dire, mi dà molte soddisfazioni. La

tecnica che utilizzo principalmente è

matita e carboncino.

In Italia, chi volesse trasformare questa

passione in lavoro, ha vita facile?

Sicuramente no. Tutto ciò che è arte,

quindi non necessario ai fini pratici della

vita quotidiana, è relegato in secondo

piano nel mondo del lavoro e rimane

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42IT’S SHINY MAGAZINE

una professione di nicchia. Oltre alla

passione ed alle capacità pratiche,

occorrono forte determinazione, forza

di volontà e un pizzico di fortuna per

riuscire a trasformare questa passione

in un vero e proprio lavoro.

Di scuole per diventare professionisti

del settore ce ne sono tante ed anche

rinomate, in Italia, sebbene io sia

completamente autodidatta e non abbia

mai avuto l’opportunità di frequentarle.

In un piccolo paese di provincia (dove

attualmente vivo) bisogna rimboccarsi

le maniche ed aprire la mente il più

possibile per assorbire i consigli di gente

esperta e di artisti sul web.

Accanto all’attività di ritrattista,

lavoro nell’area delle risorse umane

e questo occupa buona parte della

mia quotidianità. Riuscire a conciliare

entrambe le attività non è facile. Il

motore che mi spinge a continuare

non è il riscontro economico, ma

la gratificazione personale e la

realizzazione come artista.

Quali sono i tuoi soggetti preferiti?

Il soggetto preponderante è la Donna,

detentrice della bellezza, ma il mio

scopo, oltre a quello di catturarla sotto

questo aspetto è riuscire a rievocare

espressioni, pose ed atteggiamenti oltre

al puro senso dell’estetica, mettendo

a nudo l’espressività, la fragilità e

l’intenzione di un messaggio non

verbale. Sono fortemente convinto che

i silenzi possano fare molto rumore

nel cuore di chi osserva. E’ la continua

ricerca di una verità da veicolare

al pubblico, che capisce quando il

messaggio che lanci ha una sua verità

e sensibilità. Proprio per questo, non

penso sia necessario doverlo gridare.

Che progetti hai per il futuro?

Sto lavorando alla realizzazione di un

progetto intitolato Lines of emotion, una

collana di ritratti rappresentanti figure

femminili interamente prodotte dalla

mia mente, senza un prototipo reale da

cui partire.

Cercherò di ottenere una svolta tecnica:

la prerogativa della perfezione e

dell’iperrealismo verrà surclassata dalla

ricerca dell’emozione rievocata da ogni

espressione (facciale e corporea) dei

soggetti ritratti.

Sarà una specie di collezione, nella

quale ogni spettatore potrà giocare

ad indovinare il titolo di ogni ritratto,

guardando le immagini.

Per ora non posso dire altro per non

svelare il meglio...

Gwyneth PALTROW

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43IT’S SHINY MAGAZINE

LAETITIA CASTA JULIA ROBERTS

ANGELINA JOLIEMatitE e Carboncino SU CARTA FABRIANO

La scelta del soggetto in penombra mi

ha consentito, oltre a dare maggiore

volume alle forme, di avvolgerlo in una

coinvolgente aura di mistero.

MatitE E CARBONCINO

Qui il chiaroscuro si fonde in un’armonia delicata. Ho utilizzato matite graduate, da

2H fino a 9B, mentre il carboncino solo su piccole zone (sopracciglia, ad esempio).

Nelle parti più luminose ho dovuto giocare per sottrazione di grafite, realizzando

prima lo sfondo omogeneo e poi cancellando le parti sovrastanti con gommapane.

matite e carboncino su cartA FABRIANO

L’abile e sapiente utilizzo della mano

conferisce un forte valore all’intenzione

e all’espressività dell’immagine.

Personalmente sono sempre stato

molto attratto dalla gesticolazione,

almeno tanto quanto dagli sguardi.

Per questa ragione cerco sempre di

raffigurare i miei soggetti in posture

particolari e questo ritratto della

celebre moglie del fortunato Brad Pitt

non fa eccezione.

Per realizzare i capelli che fuoriescono

dalla massa ho utilizzato uno sfumino.

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44IT’S SHINY MAGAZINE

marilyn monroe

EMILY BLUNT

Marilyn viene rappresentata nelle maniere più disparate.

Nel mio caso, ho voluto dare un’interpretazione eterea

tramite olio su tela, in bianco e nero. La monocromia

rafforza l’idea di superare spazio e tempo, così come fa il

ricordo della Monroe. Il contrasto è stato ulteriormente

accentuato per tridimensionalizzare l’immagine e

ricordare l’attrice sia in tutta la sua luminosità che nei

misteri del suo trascorso. I passaggi di tonalità sono

stati sfumati con un pennello a setole grosse, usato

“picchiettando” la linea di confine di colore.

Emily è l’ultimo dei miei lavori. Lo sfondo, volutamente

bianco, assume un ruolo importante nella dinamica visiva.

L’occhio dello spettatore percepisce fuorviante il soggetto

rispetto al centro visivo e crea in automatico un senso di

movimento, rafforzato dal vento tra i capelli, che sembra

cullare i passi immaginari della bella attrice.

OLIO SU TELA (MARYLIN) e matite e carboncino su carta (EMILY)

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45IT’S SHINY MAGAZINE

MERYL STREEP

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46IT’S SHINY MAGAZINE

CHARLIZE THERON

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47IT’S SHINY MAGAZINE

Quando si parla di Tecnologia, pensiamo ai motori, ai macchinari o agli strumenti informatici di tutti i

giorni, come Smartphone, Tablet, PC, Smart TV, Videogames... Non pensiamo mai alla Tecnologia sulla

quale si basano questi strumenti e all’enorme quantità di dati multimediali che essi generano.

Oggi vi parlerò di questo, in relazione alle tendenze tecnologiche del 2015.

Nicolas Barbarisi

TECNOLOGIA

2015 TECH TRENDS

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48IT’S SHINY MAGAZINE

IoT (Internet of Things)

In questo acronimo c’è tutto il

necessario per comprendere una delle

principali tendenze di quest’anno e

del futuro. Le informazioni oggi sono

ovunque e sensori integrati sono in

grado di comunicare continuamente

tra loro, potenzialmente in grado

di sostituire l’uomo nella raccolta,

elaborazione ed interpretazione dei

dati raccolti. Internet è la tecnologia

che consente lo scambio di informazioni

tra i sensori incorporati nei nostri

strumenti. Sistemi come il Parcheggio

Assistito ed il Pilota Automatico sono

un perfetto esempio di interazioni tra

sensori che migliorano la sicurezza del

guidatore e del passeggero, favorendo

l’automazione del veicolo.

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49IT’S SHINY MAGAZINE

IoP (Internet of PEOPLE)

Analogamente a IoT, IoP coinvolge le

persone e la possibilità di comunicare

tra loro scambiandosi una grande

quantità di dati nei più disparati modi,

sempre grazie ad Internet e ai Social

Network come Facebook, Twitter,

Google Plus, Instagram, Pinterest...

Ma, soprattutto, c’è un fattore chiave

da non trascurare quando si parla di

IoP, cioè il prezzo di Smartphone, PC

e Tablet. Sono sempre più potenti,

economici e diffusi sul mercato.

Tutto questo, insieme all’eccezionale

versatilità di Internet, consente di

collegare facilmente le persone di tutto

il mondo in un batter di ciglia.

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50IT’S SHINY MAGAZINE

ANALYTICS

Conseguenza di IoT e IoP è la

creazione di una vasta gamma di dati

numerici, visivi e sonori, chiamata Big

Data. Scienziati e ricercatori hanno

sviluppato nuovi metodi che consistono

nell’identificazione di patterns

all’interno dei Big Data per fornire

informazioni dettagliate a chi ne fa

richiesta. In tal modo viene velocizzato il

processo di analisi e vi è maggiore focus

sulle richieste dei clienti e sulle risposte

da fornire.

Il Data Warehouse è la tecnologia

che permette di immagazzinare ed

analizzare questi dati attraverso

specifici software di Business Analysis,

supervisionati da esseri umani.

3

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51IT’S SHINY MAGAZINE

NEAR FIELD COMMUNICATION

Grazie ad Apple possiamo pagare in

sicurezza con un semplice tap sullo

schermo dello Smartphone. Questo

servizio ci consente di eliminare o

ridurre l’utilizzo delle carte di credito.

Il principale beneficio per la gente

comune è la possibilità di muoversi

senza soldi in tasca, ma ne esiste

un altro molto importante: le frodi

tramite carte di credito danneggiano

l’economia e provocano un aumento

dei prezzi di beni e servizi. Eliminandole

o riducendole si diminuisce l’entità di

questi danni. La tecnologia collegata

ad Apple Pay è la NFC (Near Field

Communication). Grazie a sensori

incorporati nei nostri dispositivi

(sempre una conseguenza di IoT!)

possiamo comunicare con altri

apparecchi per pagare beni e servizi.

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52IT’S SHINY MAGAZINE

STAMPA 3D

E per concludere in bellezza questa

piccola classifica ecco la novità

tecnologica del momento, di cui tutti

parlano: La stampa in 3D!

Gli analisti tecnologici prevedono che,

nel corso dell’anno 2015, le spedizioni

mondiali di stampanti tridimensionali

aumenteranno addirittura del 98%!

Ultimamente il costo di questa

tecnologia si è abbassato notevolmente,

rendendola accessibile alle piccole

e medie imprese, favorendone

l’impiego in ambito industriale e

biomedico, consentendo finalmente

di abbattere i costi aziendali relativi

alla prototipazione, al design e alla

produzione snella di beni di consumo.

5

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53IT’S SHINY MAGAZINE

RESPONSIVE DESIGNCon il termine Responsive si indica tutto

ciò che reagisce o risponde in modo

rapido ed appropriato ad uno stimolo.

Applicando questa definizione al web

design, possiamo definire Responsive un

approccio tecnico mediante il quale sia

la progettazione che lo sviluppo di un

sito web siano pensati dinamicamente,

in base cioè alla risoluzione dello

schermo, alla piattaforma utilizzata

e all’orientamento del dispositivo

dell’utente.

Dal punto di vista puramente tecnico,

tutto ciò si può riassumere in un mix

di griglie, layout ed immagini flessibili,

affiancato da un uso appropriato delle

Media Queries CSS.

Quando l’utente passa dal suo

desktop ad uno smartphone, il sito

deve adattarsi automaticamente

alla nuova risoluzione, modificare le

dimensioni delle immagini e del testo e

riposizionare nel miglior modo possibile

i contenuti.

TECNOLOGIA

Page 55: SHINY MAGAZINE 0 ITA

54IT’S SHINY MAGAZINE

Il Responsive Design non serve

tuttavia a creare versioni di un sito web

specifiche per il mobile: non esiste la

necessità di versioni diverse! Ciò che

un buon webmaster progetta e realizza

deve essere auto-adattante rispetto

all’enorme varietà di dispositivi con

cui viene fruito (TV, Desktop, Laptop,

Tablet, Smartphone…). Gli obiettivi

minimi per realizzare un’esperienza

responsive adeguata e moderna sono

quindi i seguenti:

• Adattare il layout del sito al più ampio

numero di risoluzioni possibile.

• Adattare le dimensioni delle immagini

(e di tutti i contenuti solitamente a

larghezza fissa) alla risoluzione e alle

dimensioni dello schermo.

• Consegnare immagini meno pesanti

ai dispositivi mobile, che non sempre

possono sfruttare la banda larga.

• Semplificare il layout delle pagine per i

dispositivi con schermi piccoli.

• Nascondere elementi non essenziali

su questi dispositivi.

• Fornire un’interfaccia adeguata

all’interazione touch per i device che

la prevedono.

• Individuare e sfruttare, se necessario,

funzionalità adatte al mobile (ad

esempio la geolocalizzazione).

Cito un’espressione che riassume

efficacemente la filosofia del Responsive

Design: “Content first and Mobile first”.

Prima i Contenuti:

Per “contenuti” si intendono il logo, i

testi, le immagini, il menu principale,

le sezioni secondarie, i moduli di

ricerca e così via... In siti web di piccole

dimensioni è sufficiente affidarsi a

carta e penna per tracciare gli elementi

principali e disegnare uno schizzo

preliminare dei layout che intendiamo

implementare.

Prima il Mobile:

Secondo questa filosofia è necessario

partire dalla strutturazione dei

contenuti per il piccolo schermo dei

dispositivi mobili. Non si parte da

un layout e da un set di funzionalità

concepiti per il desktop per poi adattarli

al mobile. Al contrario, si parte dai

limiti posti dai dispositivi mobili per

concentrarsi al meglio sui contenuti

essenziali, per poi arricchire il tutto sui

dispositivi più capaci, man mano che

aumentano le dimensioni dello schermo

e la potenza dell’hardware.

Luca Tenneriello

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55IT’S SHINY MAGAZINE

Loris Gonfiotti è un artista emergente

italiano, intuitivo e creativo. Da sempre

appassionato di musica, inizia la sua

carriera artistica come DJ negli anni ‘90.

Esperto di computer grafica e audio/

video editing, sviluppa ben presto una

forte passione per la fotografia e per la

bellezza .

Nel 2007 decide di passare dalla teoria

alla pratica, diventando fotografo

professionista.

Oggi vive in Toscana, in uno splendido

scenario naturale, fonte di continua

ispirazione creativa.

Nelle tre pagine seguenti è possibile

ammirare la bellissima modella Slovena

Sonja Igrutinovic, immortalata dagli

scatti di Loris.

Loris Gonfiotti è disponibile per servizi

fotografici e video, per calendari

personalizzati, riviste e pubblicità...

Potete ammirare le sue opere sul sito:

www.lorisgonfiotti.com

Potete contattarlo via e-mail a:

[email protected]

Tutte le sue opere sono protette da

copyright e non possono essere copiate,

riprodotte, distribuite e ripubblicate in

qualsiasi forma senza il suo consenso.

FOTOGRAFIA

LORIS GONFIOTTI PHOTOGRAPHER

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58IT’S SHINY MAGAZINE

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59IT’S SHINY MAGAZINE

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60IT’S SHINY MAGAZINE

Grazie!!!

Grazie a Emanuele Bresciani per gli artwork di Electric Blue Skies.

Grazie a Steph per l’intervista e per la gentile concessione dei ritratti .

Grazie a Carlo Baldacci Carli per aver scritto la miglior recensione che io

abbia mai letto e per avermi consentito di pubblicarla.

Grazie a Nicolas Barbarisi per le sue chicche tecnologiche.

Grazie a Loris Gonfiotti per la gentile concessione delle sue fotografie.

Grazie ad Andrea Maderna per la recensione di Furious 7.

Grazie ad Andrea Chirichelli per la recensione di The Avengers 2.

Grazie a Francesco Annunziata per la consulenza strategica.

Grazie a Cristina Lanzi per la consulenza artistica.

Grazie a Tommaso De Benetti per gli utili consigli .

Grazie a Luca Bonci per il supporto tecnico.

Grazie a coloro che scaricheranno, leggeranno e condivideranno la rivista!

Shiny Magazine non avrebbe motivo di esistere senza di voi!

Luca Tenneriello

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61IT’S SHINY MAGAZINE

[email protected]

SHINYMagazine