Sfumature Freezine #3

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Datti un tono! # 3

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"Sfumature" assume anche la forma di una Free Fanzine mensile autoprodotta, anteprima e riassunto scottante delle migliori idee della nostra Crew, fantasioso contenitore di parole, impressioni, notizie e curiosità sempre aggiornate per dare una visione globale del nostro progetto.

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Datti un tono! # 3

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Rieccoci, nuovo mese, nuova corsa ! Ci siamo già pronunciati abbastanza riguardo al nostro progetto e di come esso si ponga a supporto di tutti coloro che hanno tante idee ma pochi spazi d'espressione e pertanto in quest'ennesimo editoriale ci occuperemo esattamente dell'inverso. Come tutti sanno, Febbraio è stato il mese di San Remo e la cosa più interessante dell'evento planetario è stata che dalle nostre parti non ce ne siamo nemmeno accorti, cioè non una delle centinaia se non migliaia di campagne pubblicitarie dedicate al più importante festival di musica nazionale ci ha lontanamente sfiorati e considerando quanto i canali mediatici tradizionali si prodighino nel diffondere a macchia d'olio la grande e profonda cultura della canzone italiana, possiamo affermare ad alta voce che la nostra involontaria indifferenza non è stata un'impresa da poco. Ebbene si, siamo orgogliosi di esistere, di pensare ma soprattutto di saper decidere e fortunatamente, dopo la diffusione di Internet su larga scala, non mancano le fonti per soddisfare curiosità e coltivare interessi premesso che se ne abbia la capacità, la voglia o ancor di più il coraggio. Infatti può sembrar banale ma oggi per poter mettere in bella mostra le proprie preferenze bisogna disporre di una marcia in più perché quando si è deboli l'unione fa la forza e sentirsi esclusi da questo infuso meccanismo mentale può causare forti crisi d'identità. Il fulcro della questione sta in ciò che viene definito normale o strano, abituale o inconsueto, comune o raro, tutti concetti legati non alla qualità, alla funzione o agli effetti di un dato prodotto bensì alla sua fruibilità o meno da parte di una maggioranza di persone che automaticamente ne attestano non solo la legittimità agli occhi di tutti, ma persino la superiorità. Ecco quindi che, in una società dove avendo i giusti mezzi è possibile ribaltare giudizi già ampiamente rodati, tutto diventa relativo, sospeso in aria, e non è la consapevolezza di quest'oscuro aspetto che ci fa premurare nel garantire un megafono aperto a tutte le voci, ma lasciamo tranquillamente che il pesce grosso ingoi quello piccolo perché solo un gruppo che la pensa allo stesso modo può essere indirizzato allo stesso modo e con molti meno sforzi di quelli che dovrebbero essere impiegati per riuscire a valorizzare ogni tassello di cui la nostra cultura si compone. Detto ciò, un esempio che potrebbe chiarire meglio il concetto appena espresso potrebbe essere quello fornito dal mercato discografico attuale che con la repentina e improv-visa diffusione della musica nel dominio digitale ha subito un calo non indifferente ma soprattutto non indifferentemente suddiviso verso tutti i settori della produzione musicale. Come si è potuto ben notare, i primi se non gli unici ad alzare la voce contro il peer to peer ed altre pratiche simili sono stati i rappresentanti delle cosiddette "majors" e ciò è avvenuto per un motivo molto semplice. La maggior parte della loro produzione è rivolta ad un pubblico generalista: alle casalinghe di Voghera che ascoltano la musica mentre si occupano delle faccende di casa, a coloro che costretti a lunghi viaggi la ascoltano per evitare di addormen-tarsi alla guida, a quella categoria di persone che nemmeno sanno quale possa essere la differenza tra mp3, wave, cd o vinile. A chi invece, oltre ad ascoltarla la musica la sente e la considera nella sua vera essenza, Arte, non è sicuramente la comodità di un click ad impedirgli di recarsi nel suo negozio preferito per acquistare un buon caldo vinile tutto da gustare. Quindi siate critici, siate selettivi, cinici se necessario ma non fatevi mai possedere dalla normalità che troppo spesso è molto più pericolosa di quanto la parola stessa possa far immaginare. Lo Staff

editoriale

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“Cinque minuti dopo, accovacciato, infreddolito, indolenzito dai postumi di un virus da trent'otto e mezzo fulminato in due pasticche amare ed effervescenti, dissetanti a destra e fumo a sinistra talmente avvinghiati, vicini, che il mio corpo era mutilato . . .” Let

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POP ARTDi Renato Marvasi

“Io sono per l’arte delle pompe di benzina

bianche e rosse e delle insegne luminose

a intermittenza, per i biscotti...

Sono per l’arte Kool, l'arte 7-Up,

l’arte Pepsi... l’arte 39 centesimi

e l’arte 9.99 dollari.”

Claes Oldenburg

James RosenquistI Love You with My Ford04

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“Cinque minuti dopo, accovacciato, infreddolito, indolenzito dai postumi di un virus da trent'otto e mezzo fulminato in due pasticche amare ed effervescenti, dissetanti a destra e fumo a sinistra talmente avvinghiati, vicini, che il mio corpo era mutilato . . .” Let

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La Pop Art è una delle più importanti correnti artistiche del dopoguerra. Nasce in Gran Bretagna alla fine degli anni cinquanta, ma si sviluppa soprattutto negli USA a partire dagli anni sessanta, estendendo la sua influenza in tutto il mondo occidentale.Gennaio 1958. Pollock è morto drammati-camente da poco più di un anno (11 agosto 1956), e già lo scenario dell’arte internazi-onale è drasticamente mutato. Molti cercano di indicare in una ripresa del Dadaismo il carattere del nuovo clima artistico, tanto da coniare il termine artistico New Dada, ma è un critico inglese, Lawrence Alloway, a intuire la verità della nuova forma d’arte. In un articolo che esce nel Febbraio 1958 in “Architectural Design” intitolato significativa-mente “The Arts and the Mass Media”, egli parla di cultura Pop, una cultura fatta di immagini banali legate al consumo di massa, di stereotipi, di semplificazioni e di fumetti che raccontano in modo più efficace rispetto ai romanzi. Questa nuova forma d'arte popolare (pop è infatti l'abbreviazione dell'inglese popular) è in netta contrappo-sizione con l'eccessivo intellettualismo dell'Espressionismo Astratto e rivolge la propria attenzione agli oggetti, ai miti e ai linguaggi della società dei consumi. L’appellativo “popolare” deve essere inteso però in modo corretto, non come arte del popolo o per il popolo ma come arte di massa, cioè prodotta in serie. In un mondo dominato dal consumo, la Pop Art respinge l'espressione dell'interiorità e dell'istintività e guarda, invece, al mondo esterno, al complesso di stimoli visivi che circondano l'uomo contemporaneo: il cosiddetto "folclore urbano". È infatti un'arte aperta alle forme più popolari di comunicazione: i fumetti, la

pubblicità, i quadri riprodotti in serie.Il fatto di voler mettere sulla tela o in scultura oggetti quotidiani elevandoli a manifestazi-one artistica si può idealmente collegare al movimento svizzero Dada, ma completa-mente spogliato da quella carica anarchica e provocatoria. Il risultato è scandaloso, perché per la prima volta con tale indiffer-ente brutalità, cose e immagini tratte dalla realtà sono assunte da un procedimento pittorico, che alla fine dà comunque vita a quadri. In un’importante mostra, nel 1961 alla galleria Martha Jackson, con artisti come Brecht, Dine Kaprow e altri, spicca senza dubbio Oldenburg, che sempre nel 1961, presenta “The Store”, finti prodotti in un negozio autentico, un esercizio abbando-nato nel Lower East Side riempito di 120 sculture riproducenti mercanzie con tanto di prezzo. Da lì a un anno lo scenario verrà completamente mutato ad opera di artisti che portano i nomi di Roy Lichtenstein, Tom Wesselmann, James Rosenquist, George Segal, Claes Oldenburg, Robert Indiana, Andy Warhol. Alla “Green Gallery” si susseguono nel 1962 Tom Wesselmann, James Rosenquist, George Segal, Claes Oldenburg. Rosenquist, cartellonista e illustratore (dalla grafica applicata proven-gono anche Lichtenstein e Warhol), utilizza proprio una vischiosa tecnica cartellonistica per riportare a misure enfatiche frammenti di immagini tra il pubblicitario e il quotidiano, spesso su supporti trasparenti. Ancora Oggi la Pop Art influenza la nostra quotidianità; è presente ovunque in un mondo di consumi e beni, dove conta solo la ricchezza e i beni materiali sono indispensabili, si pensa molto all’aspetto estetico, c’è un retrocedere della cultura che riscopre il passato che è come non mai contemporaneo.

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L'ungherese Laszlò Moholy-Nagy, è uno degli artisti più innovatori ed influenti della fotografia degli anni 20, nonostante non si sia mai considerato un vero fotografo, ma un pittore. Vissuto nell'era dell'industrializzazione, è sicuramente tra i primi a percepire quanto sia implicata l'arte nel processo storico, spingendo l'artista ad avere una sorta di intesa con tutto il sistema produttivo, provando nel mentre a ricercare costantemente una nuova definizione sociale del ruolo dell'artista.Inizialmente studia legge ma, durante il ricovero presso un ospedale militare, a causa di una ferita di guerra (Prima

Guerra Mondiale), decide di dedicarsi completamente all'arte abbandonando i precedenti studi. A Berlino (1920), entra in contatto con dadaisti e costruttivisti, e qualche anno dopo viene chiamato al Bauhaus di Weimar dove gli viene assegnata la direzione dell'officina metalli ed in seguito il corso propedeutico. Nonostante in questo periodo ancora non esisteva una classe autonoma di fotografia, Laszlò Moholy-Nagy è considerato uno degli antesignani di questo mezzo espressivo, soprattutto in seguito alla pubblicazione di Pittura Fotografia Film, che diventa il primo testo fondamentale sulla fotografia pubblicato al Bauhaus, e fa di lui il rappresentante per eccellenza di questo mezzo di espressione artistica. Egli parla di un arte che, rompendo con una visione individualistica, frutto di un'esperienza soggettiva, deve proporsi di progettare dei modelli estetici che devono essere in sintonia con le nuove realtà tecniche e sociali della società industri-ale moderna. L'arte deve dunque liberare la sua espressività figurativa abbandonando il concetto di riprodurre dei modelli già esistenti.La sua ricerca è quindi tesa

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ad approfondire le possibilità di una nuova visualità, che trova nella tecnologia dell'immagine, i suoi strumenti privilegiati ed il suo universo creativo di riferimento. Questo perchè la fotografia è un nuovo materiale artistico e non l'ausilio perfetto per rendere più acuta la percezi-one visiva.Laszlò Moholy - Nagy , dopo il trasferimento del Bahuaus a Dessau, nel 1926, insegna ancora per due anni e nel 1928 si trasferisce a Berlino.Nel 1929, partecipa all'allestimento della famosa mostra del Deutscher Werkbund “Film und Foto” a Stoccarda, alla quale è

presente con 97 fotografie, fotosculture e fotogrammi. Qualche anno dopo diventa direttore di una Scuola di Design appena costituita a Chicago, che sfortunatamente fu chiusa solo un anno dopo, così nel '39 fonda, insieme con altri artisti, una suaScuola di Design. Nel corso della sua vita, Laszlò Moholy-Nagy oltre ad aver realizzato numerose opere di pittura, ha lasciato un ampia opera teorica che affronta sia problematiche della pittura che della fotografia, dove ribadisce insistentemente su come la fotografia sia un mezzo espressivo con una dignità artistica autonoma.

“Nascono dalla combinazione di diverse fotografie, un.... metodo sperimentale della raffigurazione simultanea:

compenetrazione di rappresentazione visiva e gioco di parole, congiungimento inquietante che cresce nell'immaginario,

dei mezzi imitativi più reali. Ma al tempo stesso sono in grado di raccontare,

sono convincenti, più vere della vita stessa.”

Pittura Fotografia Film

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Rieccoci amici di Sfumature e appassionati di cinema. Questo mese, lo so, ho scelto due film che non centrano nulla l'uno con l'altro… Anzi, sono proprio l’opposto l’uno dell’altro: semplicità ed esagerazi-one a confronto. Una cosa però in comune ce l’hanno: entrambi ci stampano un bel sorriso sul volto, di quelli genuini e salutari. In questo momento non so voi, ma per me fa proprio al caso giusto.. E quindi che altro dirvi..divertitevi e…ENJOY THE MOVIES!!:)

RUBRICA DI CINEMA

L’ho rivisto pochi giorni fa e non ho resistito, era impossibile non metterlo nella rubrica “Ageless Movie”.Quale film è più cult dei BLUES BROTH-ERS??????? Film in cui le scene memorabili sono quasi infinite.Diciamolo..Sono pochissime le pellicole diventate un fenomeno di costume cosi forte come i Blues Brothers: Rayban neri, completo nero, cappello nero… Sono loro… I fratelli Blues.. In missione per conto di Dio. La commedia per eccellenza, paradossale nella maggior parte dei casi (conquistò il Guinness dei primati per la scena con il maggior numero di incidenti d'auto!!!!!), the Blues Brothers e’ un film musicale come pochi nel suo genere. E’ entrato nella storia del cinema grazie al suo cast di musicisti,

attori e cantanti straordinari da Aretha Franklin a Ray Charles in primis, passando a un meraviglioso Cab Calloway nei panni di se stesso nel brano “Minnie the moocher” (lo stesso regista John Landis interpreta un ufficiale della polizia, in più c’è anche Steven Spielberg che fa l’impiegato delle poste e Frank Oz che restituisce a Jake i suoi effetti personali). Insomma, un cast incredi-bile per un film incredibile con scene incredibili. E poi loro: John Belushi e Dan Aykroyd, i fratelli Jake "Joliet" Blues ed Elwood Blues. Non ci sono tante parole per descriverli:UNICI In pochi sanno che questi personaggi sono stati inventati proprio dai due attori-comici ai tempi delle loro primecollaborazioni al celebre show televisivo statunitense “Saturday Night Live” (tutta 10

Ageless movies

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un’altra cosa rispetto a quello italiano) con un successo talmente grande da trasformarli prima in band musicale (ancora adesso esistente) e poi trasportandoli direttamente sul grande schermo con questo capolavoro. La trama e’ semplice: Jake Blues (John Belushi), uscito di galera, si riunisce al fratello Elwood (Dan Aykroyd) e, dovendo trovare cinquemila dollari per evitare la chiusura dell'orfanotrofio in cui sono cresciuti, decide di tentare di riformare la vecchia blues band di cui i due erano stati i front men, per racimolare soldi... ma tutto quello che succede per realizzarlo e’ imperdibile! Davvero lo adoro. Un film che mette allegria, che fa ridere, che ti fa venir voglia di ballare, mai scontato e in ogni momento imprevedibile. Come dice la canzone più famosa del film “everybody needs somebody”… And we need Blues Brothers .. OOOO YEAH!:D

Due anni fa Gianni Di Gregorio, al suo primo film da regista (a 60 anni!) creò un film come “Il Pranzo di Ferragosto”, autentica “perla” del cinema italiano, vincendo tra i tantissimi premi anche il David di Donatello con incassi record. Quest'anno torna a grande richiesta con il suo secondo film: Gianni e le donne, che sarà al festival di Berlino nella sezione speciale. Non cosa da poco per un esordiente! Questa pellicola tratta il tema del passare degli anni e dell'avvicinarsi della vecchiaia in quella fase quando si capisce che non si è ancora troppo vecchi, ma neanche più giovani come una volta. Ahimè! Proprio per esorcizzare l'arrivo della tarda età, il protagonista, un uomo comune con una vita comune, si abbandona ad una ventata di freschezza giovanile, approc-ciando ad improbabili conquiste femminili, istigato in questo anche da un amico, Alfonso, piuttosto invadente e dagli esempi intorno a lui di uomini più vecchi e più brutti, tutti con delle doppie storie d'amore con donne più giovani. Il tutto contornato da un'ingombrante madre ultranovantenne, una moglie indaffarata, una figlia che adora, un ragazzo della figlia nullafacente, un cane e un gatto. Gianni Di Gregorio è un artista elegante e sincero. Anche in questo film (forse un po' meno rispetto al precedente) esprime situazioni spiacevoli con grande leggerezza e brio. Ha creato un film dai toni malinconici ma allo stesso tempo molto divertente che non annoia mai. A lui va il merito di essere riuscito, in mezzo a tanti film pieni di effetti speciali ma spesso inutili, di aver realizzato con poco un film che parla di gente comune e rivolto a gente comune, alle prese con problemi quotidiani, di cose vere, emozion-anti e che ci fanno tenerezza. E questo ci piace. Complimenti!

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Book it Now

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di Francesca Ferraiola

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Sono venuto a contatto con la musica di Laura Veirs molto recentemente grazie a un video postato sulla rete da una delle mie conoscenze virtuali che a volte possono anche risultare più sorprendenti di quelle reali. La cosa che ha fatto focalizzare la mia attenzione su quel particolare post immerso in una miriade di altre notizie e informazioni spesso superflue o addirittura inutili di cui necessariamente bisogna effettuare un'accurata selezione per evitare di finire i propri i giorni di fronte a uno schermo nel tentativo di trovare ciò che si sta cercando, è stata la frase con cui esso veniva introdotto: "Laura Veirs, una cantautrice che riesce ancora ad emozionare". Sostenendo fortemente che non un singolo suono che non riesca a farti aumentare la pressione, a riscaldarti il cuore, a stimolare ritmicamente i nervi a fior di pelle, sia degno di essere emesso, l'ultima cosa che a quel punto andava fatta era cliccare su play. Appare un viso da studentessa intellettualoide, anche un pò sfigata volendo, una Nerd, che con la sua chitarra acustica intona "Life Is Good Blues", una ballata folk da brivido, armonia e melodie perfette accompag-nate da una voce nello stesso tempo calda, limpida e puerile, colma di triste ottimismo, di speranza, amore a primo ascolto. Dopo l'improvviso colpo di fulmine non ho potuto fare a meno che avvicinarmi gradualmente alla cantautrice di Portland scoprendo un capolavoro dopo l'altro, inni naif alla vita di cui, nemmeno uno, delude le aspettative, non lasciando scemare l'attenzione per cosa accadrà dopo, così sentito quanto sorprendente.Caso vuole che, nel bel mezzo della mia ricerca musico-emozionale intorno all'autrice, si presenti, da li a poco, l'occasione di assistere a un suo live, come se a volte il destino, ve lo dice un fatalista incallito, volesse dare uno sbocco conclusivo ed esaustivo a un 04 - 02 - 2011 Circolo degli Artisti

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Due anni fa Gianni Di Gregorio, al suo primo film da regista (a 60 anni!) creò un film come “Il Pranzo di Ferragosto”, autentica “perla” del cinema italiano, vincendo tra i tantissimi premi anche il David di Donatello con incassi record. Quest'anno torna a grande richiesta con il suo secondo film: Gianni e le donne, che sarà al festival di Berlino nella sezione speciale. Non cosa da poco per un esordiente! Questa pellicola tratta il tema del passare degli anni e dell'avvicinarsi della vecchiaia in quella fase quando si capisce che non si è ancora troppo vecchi, ma neanche più giovani come una volta. Ahimè! Proprio per esorcizzare l'arrivo della tarda età, il protagonista, un uomo comune con una vita comune, si abbandona ad una ventata di freschezza giovanile, approc-ciando ad improbabili conquiste femminili, istigato in questo anche da un amico, Alfonso, piuttosto invadente e dagli esempi intorno a lui di uomini più vecchi e più brutti, tutti con delle doppie storie d'amore con donne più giovani. Il tutto contornato da un'ingombrante madre ultranovantenne, una moglie indaffarata, una figlia che adora, un ragazzo della figlia nullafacente, un cane e un gatto. Gianni Di Gregorio è un artista elegante e sincero. Anche in questo film (forse un po' meno rispetto al precedente) esprime situazioni spiacevoli con grande leggerezza e brio. Ha creato un film dai toni malinconici ma allo stesso tempo molto divertente che non annoia mai. A lui va il merito di essere riuscito, in mezzo a tanti film pieni di effetti speciali ma spesso inutili, di aver realizzato con poco un film che parla di gente comune e rivolto a gente comune, alle prese con problemi quotidiani, di cose vere, emozion-anti e che ci fanno tenerezza. E questo ci piace. Complimenti!

04 - 02 - 2011 Circolo degli Artisti

percorso intrapreso per pura coinci-denza che spesso si manifesta più proficua di una decisione fortemente ponderata con pro e contro minima-mente calcolati nei dettagli. Ecco quindi che il 4 Febbraio, dopo un'interessantissima apertura di "Led to Sea", progetto parallelo di cantau-torato sperimentale a cura di Alex Guy, voce angelica nonchè già violinista all'interno della line-up di Laura, la Veirs calca il palco del Circolo degli Artisti. L'atmosfera è molto intimistica e il pubblico degno di tale performance, in silenzio, con tutti i sensi rivolti verso un unico punto a cercare di scorgere, deliziando le proprie orecchie, ogni piccola sfumatura possa venir fuori da quell'atteso momento. Sembra quasi di tornare a ritroso nel tempo, in quella fase dell'età adoles-cenziale quando, puri e ingenui, con corpo e anima si perseguivano i più profondi desideri, e alla fine, esausti e appagati, ci si abbandonava a un malinconico e masochista riposo mentale che sarebbe potuto anche durare in eterno se solo quella fibrillazione lo avesse accompagnato lungo tutto il suo divenire. Questo provocano quelle note, proteggono anestetizzando il cervello dalle paure, affermando con prepotenza che ne vale sempre la pena indipendente-mente da come andrà a finire; enfatizzano le sottigliezze, i piccoli cambiamenti, il profondo sentire che tutto ciò di cui si ha bisogno è già li da un pezzo, basta semplicemente accorgersene. Eccellente esecuzione, lo strumento come prolungamento spontaneo del proprio corpo fa assumere al suono le sembianze di una danza, dove un leggero movimento al contatto con qualsiasi oggetto provoca una vibrazione bilanciata e autogenerativa.

Vinile e autografo di rito. Let Circolo degli Artisti

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Duke Reid, pseudonimo di Arthur Reid (1915 – 1975), è stato un produttore discografico giamaicano, fondatore della Treasure Isle, artefice di molte leggendarie produzioni discografiche ska e rocksteady. Duke Reid era in origine un poliziotto, ma abbandonò questa attività per aiutare sua moglie nella sua drogheria di successo. Da tempo amante della musica, Reid iniziò ad attirare più clienti suonando all'esterno del negozio, perlopiù R&B americano e jump blues, così come il calypso. Grazie al fiorente business, la coppia si spostò presto in un locale più ampio, situato nella Bond Street, che venne poi soprannominato Treasure Isle, un negozio di liquori. Reid diede inizio anche ad uno show nella sua radio, chiamato Treasure Isle Time, ma mise in piedi anche un sound system, portando la sua musica di dancehall

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percorso intrapreso per pura coinci-denza che spesso si manifesta più proficua di una decisione fortemente ponderata con pro e contro minima-mente calcolati nei dettagli. Ecco quindi che il 4 Febbraio, dopo un'interessantissima apertura di "Led to Sea", progetto parallelo di cantau-torato sperimentale a cura di Alex Guy, voce angelica nonchè già violinista all'interno della line-up di Laura, la Veirs calca il palco del Circolo degli Artisti. L'atmosfera è molto intimistica e il pubblico degno di tale performance, in silenzio, con tutti i sensi rivolti verso un unico punto a cercare di scorgere, deliziando le proprie orecchie, ogni piccola sfumatura possa venir fuori da quell'atteso momento. Sembra quasi di tornare a ritroso nel tempo, in quella fase dell'età adoles-cenziale quando, puri e ingenui, con corpo e anima si perseguivano i più profondi desideri, e alla fine, esausti e appagati, ci si abbandonava a un malinconico e masochista riposo mentale che sarebbe potuto anche durare in eterno se solo quella fibrillazione lo avesse accompagnato lungo tutto il suo divenire. Questo provocano quelle note, proteggono anestetizzando il cervello dalle paure, affermando con prepotenza che ne vale sempre la pena indipendente-mente da come andrà a finire; enfatizzano le sottigliezze, i piccoli cambiamenti, il profondo sentire che tutto ciò di cui si ha bisogno è già li da un pezzo, basta semplicemente accorgersene. Eccellente esecuzione, lo strumento come prolungamento spontaneo del proprio corpo fa assumere al suono le sembianze di una danza, dove un leggero movimento al contatto con qualsiasi oggetto provoca una vibrazione bilanciata e autogenerativa.

Vinile e autografo di rito. Let

tutt'oggi una label di successo che pubblicò diverso materiale nel Regno Unito proprio su concessione di Duke Reid. L'evoluzione del sound giamaicano procedette molto rapida-mente. Lo stile vocale di molti artisti sotto la Treasure Isle fu importante per l'emersione di un nuovo mercato e nuovi artisti sulla scia di John Holt (ex-The Paragons) e Joya Lendis che diedero inizio a quello che venne poi riconosciuto come lovers rock. Come passarono l'era rocksteady e early reggae, iniziò a svilupparsi il roots reggae dei rastafari, e Reid, ormai arrivato alla fine dei suoi 50 anni di età, si ritrovò in difficoltà nell'adattare il suo sound allo stile aspro e politico in voga negli anni ‘70: questa nuova variante non gli andava a genio, in particolare per le tematiche di protesta sociale, e questa presa di posizione contribuì a fare di lui parte della vecchia generazione ormai sorpassata. Così la sua Treasure Isle smise di essere un punto di riferimento per il nuovo reggae degli anni ‘70. Fortunatamente emergeva parallelamente un altro stile di reggae nelle dancehall: il dj style, stile nel quale alcuni artisti iniziarono a parlare e canticchiare sopra delle vecchie e famose registrazioni rocksteady o early reggae pre-esistenti. Il leader dei the Paragons, John Holt, trascinò U-Roy, il pioniere di questo nuovo stile, proprio agli studi di registrazione di Reid nel 1970. Reid si convinse presto ad iniziare la collaborazione con U-Roy, con l'idea di cantare sopra dei ritmi già esistenti che erano essenzialmente delle vecchie hit pubblicate dalla stessa Treasure Isle. Il risultato fu molto popolare; infatti quattro dei primi singoli di U-Roy conquistarono lo Top Five giamaicana. Reid continuò la collabo-razione con U Roy durante i primi anni ‘70, ripescando vecchi brani dal suo catalogo, ma realizzò materiale anche con altri dj, tra i quali spicca Dennis Alcapone. Sfortunata-mente, Reid iniziò ad ammalarsi seriamente nel 1974. Decise quindi di vendere l'etichetta Treasure Isle a Sonia Pottinger, vedova del suo amico Lenford Lennie the King e già proprietaria di un'azienda discografica; morì nel 1975.

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in dancehall con il suo furgone. Egli venne presto conosciuto con lo stesso nome del suo impianto: the Trojan. Reid costruì poi uno studio di registrazione sopra il suo negozio di liquori, ed iniziò a realizzare del materiale a partire dal 1959. La Treasue Isle cominciò poi a diventare una vera e propria etichetta discografica. Anche la Studio One divenne un'etichetta di culto per lo ska, il rocksteady e early reggae, e venne fondata dal più grande rivale di Reid, Coxsone Dodd alla fine degli anni cinquanta. Dalla loro competitività nacque lo ska, un riadattamento indigeno del sound R&B che veniva suonato dai sound system. Entrambi reclutarono delle "house band" le quali introdussero il sound del jump blues di New Orleans che accentuò e caratterizzò il tipico stile caraibico. Reid, che inizialmente aveva fondato l'etichetta come attività secondaria, iniziò a focalizzarsi sulle produzioni musicali dal 1962. Infatti dal 1962 al 1965 la Treasure Isle pubblicò diverse hit ska per gruppi come The Skatal-ites, Stranger Cole, The Techniques , Justin Hinds & the Dominoes, ed altri. Come la popolarità dello ska cominciò a diminuire, emerse una nuova variante più lenta, il rocksteady. In questo periodo la Treasure Isle riuscì a superare la popolarità della Studio One di Dodd, come tra le più note etichette in Giamaica. Infatti se la Studio One aveva superato Reid durante il periodo ska, la Treasure Isle dominò il periodo rocksteady. A contribuire alla sua ascesa fu anche il fatto che Reid aveva reclutato il talentuoso sassofonista Tommy McCook (ex Skatalites) dagli Studio One per fronteggiare la sua band di ispirazione jazz, i Supersonics, gruppo che compose diverse tracce poi rivisitate anche ai giorni nostri dai produttori dancehall. Durante l'era rocksteady emersero nuovi gruppi vocali che caratterizzarono questo periodo come The Ethiopians e The Paragons e anche artisti solisti come Alton Ellis e Phillis Dillon . Nei primi anni ‘60, quando nel Regno Unito cominciò a popolar-izzarsi la musica giamaicana, venne fondata un'etichetta che si ispirò al soprannome di Duke Reid, questa era la Trojan Records,

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Massime, aforismi, frasi fatte

La cosa più difficile in assoluto? Convincere me stesso.

Ogni nostra azione viene fatta meccanicamente, sovrappensiero, quasi non coscientemente. Strano come, una volta presa coscienza di ogni nostra singola azione, anche una passeggiata di cento metri possa sembrare interminabile.

E' tutta questione di tatto (avrei preferito fosse tutto questione di tette). Al sesto senso non si comanda! Oggi non capisci perché hai fatto qualcosa, domani sarà tutto più chiaro.

Il reato di pedofilia dovrebbe essere come l'idiozia della gente, non dovrebbe mai cadere in prescrizione.

Esistono persone che imitano loro stesse.

Se la gente si interessasse alla buona politica così come fa per i mondiali di calcio, vivremmo in una specie di Eden.

(In teoria) E' tutto questione di scelte. (In pratica) Siamo obbligati a scegliere determinate situazioni. La scelta è solo l'incipit, l'inizio del film.

Per quanto viva un' esistenza misera, anche uno scarafaggio fa di tutto per non farsi pestare.

Prima del governo Berlusconi, quando qualcuno usava la parola "escort",pensavano tutti alla macchina della ford.

Potenzialmente siamo Dei. Possiamo anche dimenticarlo ma è ciò che restiamo.

Prendo un caffè che non mi sveglierà mai.

Mi capita di continuare sogni interrotti, di tornare in luoghi onirici vissuti mesi prima e ritrovare persone "immaginarie" con cui condivido una storia. Ci sono momenti in cui appare tutto più reale della stessa realtà.

Non bisogna chiedersi se qualcosa cambierà o meno, è sempre stato tutto mutevole, ci sarà sempre evoluzione. La domanda giusta da porsi è un'altra: "cambierà in meglio o in peggio?".

Ipocrisia:(le cose vanno bene) -> E' tutto merito mio, mi son fatto da solo e dipende solo da me(le cose vanno male) -> Il destino mi è sempre stato contrario, non ho mai avuto fortuna

Solo gli animali pensano ad "essere", le persone si preoccupano più di apparire.

(Mi sento) come un pipistrello (prima di un concerto di Ozzy Osbourne.

di Santi Russo

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Radiohead

The King of the Limbs

PJ Harvey

Let England Shake

Valutazione 7,5/10

Valutazione 7/10

Buona possiamo definire l’ottava creatura della cantante alternative rock Polly Jean Harvey, con il ritorno di una sonorità più rock e più facile all’ascolto, con il ritorno delle chitarre che nel precedente lavoro White Chalk erano le grandi escluse. Il primo single The Words That Maketh Murder è un pezzo delle sonorità folk rock molto orecchiabile, infatti è proprio questo stile che caratterizza gran parte dell’intero album. Tutto viene registrato tra aprile e maggio del 2010 in una chiesa a Dorset, di nuovo con la collaborazione di Mick Harvey, ex Bad Seeds gruppo spalla di Nick Cave, e di John Parish con cui aveva creato a quattro mani A Woman A Man Walked By prima di questo album. Se ancora non conoscete quest’artista, e siete degli ammiratori di Nick Cave o del Brit-pop quello più minimal, iniziarla a conoscere da quest’album non è male. Poiché è leggero, intelligente e ben equilibrato, non tocca mai punta di pazzia estrema e ha un’atmosfera scanzonata, a volte buffa, fanfarona e un buon ritmo.

Dopo quasi quattro anni da In Raimbows esce l’ottavo prodotto inedito della band inglese. Al contrario di quanto dicevano i rumors su l’uscita di un album orchestrale, questo lavoro si presenta molto omogeneo, con la tipica atmosfera tra l’elettronica, il minimal e il rock che da Kid A li caratterizza. Con suoni scostanti, ritmiche frastagliate, cori e voci che rievocano sia la freddezza di Kid A che la melanconia di Amne-siac. Infatti molto più vicino ad essi che al suono pop di In raimbows. L’album si apre con le note frenetiche di piano di Bloom, dove man mano tutto sembra di andare in un infinito “loop”, con il cantato sinuoso di Thom Yorke che sembra tra lo speranzoso e il lamento, rendendo questo pezzo uno dei migliori di tutto l’album. Molto interessante anche la seconda traccia “Morning Mr Magpie” , molto più vicino alle sonorità “tradizionali” comunque con la ritmica vicina alla electro. “Lotus Flower” è un altro brano che vorrei segnalare, tra il mistico e il viaggio. Quest’opera è tra le più introverse e contrate del gruppo di Oxford. Infatti anche la durata dell’album, 37 min circa, è qualcosa del tutto nuova.

di Ariel Duarte Corrêa

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02Ilenia Volpe + Olafur Arnalds - Circolo Degli Artisti

04Elisa - Auditorium Conciliazione

Gogol Bordello - Atlantico

11Negramaro - PalalottomaticaTony Hadley - Stazione Birra

Lucio Dalla + Francesco De Gregori- Auditorium Conciliazione

Foja - La Riunione Del CondominioMarlene Kuntz - Alpheus

Tony Canto - Auditorium Parco Della Musica13

James Blunt - Palalottomatica

17Petra Magoni + Ferruccio Spinetti

- Auditorium Parco Della Musica

19Coro dei Minatori di Santa Fiora

- Auditorium Parco Della MusicaRoy Paci - Tendastrisce

24Kurt Elling - Auditorium Parco Della Musica

26Stefano Bollani - Auditorium Parco Della Musica

Greg & the Reeferbilly - Viper DeLuxe

29Brad Mehldau - Auditorium Parco Della Musica

31Crocodiles - Circolo Degli Artisti

Daniel Melingo - Auditorium Parco Della MusicaTony Levin - XRoads Live Club

06Joan As Police Woman - Auditorium Parco Della Musica

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Via Dè Messepi #8 - San Lorenzo

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03Raiz - Qube24Grana - AlpheusSimon Phillips + Pino Palladino + Philippe Saisse - Jailbreak Live ClubMonotonix - Circolo Degli Artisti

05Michele Rabbia - Auditorium Parco Della MusicaGianmaria Testa - Auditorium Parco Della MusicaElisa - Auditorium Conciliazione

10Negramaro - PalalottomaticaMulatu Astakte - Auditorium Parco Della MusicaFrancesco De Gregori + Lucio Dalla - Auditorium Conciliazione

12Angela Baraldi + Giorgio Canali - Auditorium Parco Della MusicaAndrea Cassese 4tet - Beba Do Samba

15Dave Burrell + Leena Conquest - Auditorium Parco Della Musica

18Caparezza - Tendastrisce

22Matthew Shipp - Auditorium Parco Della MusicaThe Radio Dept. + Everything Everything - Circolo Degli ArtistiPeter Frampton - Auditorium Parco Della Musica

25Giovanni Lindo Ferretti - AlpheusGiulia Ananěa + Filippo Gatti + Federico Palladini - Beba Do SambaStefano Bollani - Auditorium Parco Della MusicaPatrizia Laquidara - Auditorium Parco Della Musica

27Death Angel - Blackout

30Raiz + Radicanto - Auditorium Parco Della Musica

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9 Marzo 1985, I Big Black di Steve Albini pubbli-cano su Homestead il 7” Il Duce / Big Money. Alla

domanda sul perchè del singolo dedicato a Benito Musso-lini, Albini risponde: “Santiago [Durango, chitarrista del

gruppo, ndr.] Aveva una maglietta con stampata sopra la testa di Mussolini. Stavamo ridendo di come rassomigliasse

alla testa di un cavallo (uniforme ornata, migliaia di medaglie e nastrini . . ) e ci chiedevamo quanto poco

tempo avesse avuto Mussolini per curare gli affari di stato, visto che già solo vestirsi doveva prendergli un mucchio di ore. Non c'era nessun messaggio fascista dietro il testo,

solo interesse per un personaggio così assurdo. Devi anche sapere che in un parco della downtown di Chicago c'è una statua con un'iscrizione dedicata a Mussolini, scritta in un

italiano zoppicante. Prima che gli USA entrassero in guerra qui c'era molta simpatia per i movimenti fascisti italiani e tedeschi. E' stupefacente ma la gente non capiva quanto

pericolo si nascondesse in quelle ideologie.”

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