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SESSIONE: IMMUNOLOGIA E REUMATOLOGIA A CONFRONTO: TEMPO DI ABBATTERE I CONFINI Manifestazioni autoimmuni in pazienti con immunodeficienze primitive: esperienza di un singolo centro pediatrico G. Costagliola Università di Pisa, Pediatria Giuseppe Maiorino (1), Martina Bizzi (1), Daiana Giannini (2), Rita Consolini (1). 1: Università di Pisa, Pediatria 2: Università di Pisa, Allergologia e Immunologia Clinica Introduzione: Nelle immunodeficienze (ID) primitive, oltre alla aumentata suscettibilità nei confronti di patologie infettive e neoplastiche, si riscontra una maggiore tendenza a sviluppare manifestazioni autoimmuni. Obiettivo: valutare la prevalenza delle manifestazioni autoimmuni nei pazienti con ID primitiva, in modo da identificare la presenza eventuale di popolazioni a maggior rischio di sviluppare tali complicanze. Materiali e metodi: analisi retrospettiva condotta su pazienti affetti da ID primitive (deficit di IgA, immunodeficienza comune variabile o CVID, sindrome di DiGeorge) seguiti presso l’Università di Pisa. Sono state indagate la modalità di esordio della patologia, la presenza di autoimmunità ed eventuali fattori associati con il suo sviluppo. Risultati: Sono stati analizzati 57 pazienti (27 M, 30 F, età media 13,04 ± 6,21 anni): 25 affetti da deficit di IgA, 14 da CVID, 18 da sindrome di DiGeorge. Sono state evidenziate manifestazioni autoimmuni in 18 pazienti (31,6%), 10 di sesso maschile e 8 di sesso femminile. Tali manifestazioni si sono riscontrate in tutte le ID, seppure con frequenza differente: 6/14 nella CVID (42,9%), 6/18 nella sindrome di DiGeorge (33%), 6/25 nel deficit di IgA (24%). Nonostante nella maggior parte dei pazienti (57,9%) l’esordio clinico sia stata caratterizzato da infezioni severe o ricorrenti, le manifestazioni autoimmuni hanno preceduto la diagnosi di ID in 5 casi (27,8%), con una latenza temporale media di 4,4 ± 4,7 anni. Nel complesso sono stati osservati: 4 casi di tiroidite, 4 di celiachia, 5 di impegno ematologico (2 trombocitopenie autoimmuni, 2 neutropenie autoimmuni, un paziente con entrambe le citopenie) 3 casi di impegno muco-cutaneo (2 psoriasi, un caso di alopecia), una malattia di Behchet, una rettocolite ulcerosa, una connettivite indifferenziata e una artrite idiopatica giovanile oligoarticolare. Dal nostro studio è emerso un differente pattern di autoimmunità nelle singole ID. Difatti, i pazienti affetti da CVID hanno sviluppato preferenzialmente autoimmunità ematologica (4/18, 22%), mentre nei pazienti seguiti per sindrome di DiGeorge sono state riscontrate più frequentemente manifestazioni muco-cutanee (3/18, 16,7%) e i pazienti con deficit di IgA hanno mostrato una associazione con la presenza di tiroidite (3/25, 12%) e, come atteso, di celiachia (4/25, 16%). Lo sviluppo delle manifestazioni autoimmuni non è risultato associato alla presenza di un fenotipo clinico di morbilità frequente (p:0,56) o atopia (p:1). Conclusioni: le manifestazioni autoimmuni si verificano in una considerevole percentuale di pazienti affetti da ID primitiva. L’autoimmunità si osserva indifferentemente in tutte le varie forme di ID, senza variazioni significative di genere e in modo indipendente dalla presenza di un fenotipo clinico di morbilità frequente o atopia. Questi dati suggeriscono la necessità di una sorveglianza periodica nei confronti dello sviluppo di autoimmunità in tutti i pazienti con ID.

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SESSIONE: IMMUNOLOGIA E REUMATOLOGIA A CONFRONTO: TEMPO DI ABBATTERE I CONFINI Manifestazioni autoimmuni in pazienti con immunodeficienze primitive: esperienza di un singolo centro pediatrico G. Costagliola Università di Pisa, Pediatria Giuseppe Maiorino (1), Martina Bizzi (1), Daiana Giannini (2), Rita Consolini (1). 1: Università di Pisa, Pediatria 2: Università di Pisa, Allergologia e Immunologia Clinica Introduzione: Nelle immunodeficienze (ID) primitive, oltre alla aumentata suscettibilità nei confronti di patologie infettive e neoplastiche, si riscontra una maggiore tendenza a sviluppare manifestazioni autoimmuni. Obiettivo: valutare la prevalenza delle manifestazioni autoimmuni nei pazienti con ID primitiva, in modo da identificare la presenza eventuale di popolazioni a maggior rischio di sviluppare tali complicanze. Materiali e metodi: analisi retrospettiva condotta su pazienti affetti da ID primitive (deficit di IgA, immunodeficienza comune variabile o CVID, sindrome di DiGeorge) seguiti presso l’Università di Pisa. Sono state indagate la modalità di esordio della patologia, la presenza di autoimmunità ed eventuali fattori associati con il suo sviluppo. Risultati: Sono stati analizzati 57 pazienti (27 M, 30 F, età media 13,04 ± 6,21 anni): 25 affetti da deficit di IgA, 14 da CVID, 18 da sindrome di DiGeorge. Sono state evidenziate manifestazioni autoimmuni in 18 pazienti (31,6%), 10 di sesso maschile e 8 di sesso femminile. Tali manifestazioni si sono riscontrate in tutte le ID, seppure con frequenza differente: 6/14 nella CVID (42,9%), 6/18 nella sindrome di DiGeorge (33%), 6/25 nel deficit di IgA (24%). Nonostante nella maggior parte dei pazienti (57,9%) l’esordio clinico sia stata caratterizzato da infezioni severe o ricorrenti, le manifestazioni autoimmuni hanno preceduto la diagnosi di ID in 5 casi (27,8%), con una latenza temporale media di 4,4 ± 4,7 anni. Nel complesso sono stati osservati: 4 casi di tiroidite, 4 di celiachia, 5 di impegno ematologico (2 trombocitopenie autoimmuni, 2 neutropenie autoimmuni, un paziente con entrambe le citopenie) 3 casi di impegno muco-cutaneo (2 psoriasi, un caso di alopecia), una malattia di Behchet, una rettocolite ulcerosa, una connettivite indifferenziata e una artrite idiopatica giovanile oligoarticolare. Dal nostro studio è emerso un differente pattern di autoimmunità nelle singole ID. Difatti, i pazienti affetti da CVID hanno sviluppato preferenzialmente autoimmunità ematologica (4/18, 22%), mentre nei pazienti seguiti per sindrome di DiGeorge sono state riscontrate più frequentemente manifestazioni muco-cutanee (3/18, 16,7%) e i pazienti con deficit di IgA hanno mostrato una associazione con la presenza di tiroidite (3/25, 12%) e, come atteso, di celiachia (4/25, 16%). Lo sviluppo delle manifestazioni autoimmuni non è risultato associato alla presenza di un fenotipo clinico di morbilità frequente (p:0,56) o atopia (p:1). Conclusioni: le manifestazioni autoimmuni si verificano in una considerevole percentuale di pazienti affetti da ID primitiva. L’autoimmunità si osserva indifferentemente in tutte le varie forme di ID, senza variazioni significative di genere e in modo indipendente dalla presenza di un fenotipo clinico di morbilità frequente o atopia. Questi dati suggeriscono la necessità di una sorveglianza periodica nei confronti dello sviluppo di autoimmunità in tutti i pazienti con ID.

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Mimickers di Linfoistiocitosi Emofagocitica (HLH): CXCL9 come potenziale biomarker per distinguere l’HLH da altre condizioni con iperferritinemia G. Marucci, I. Caiello, M. Pardeo, V. Messia, G. Prencipe, A. Pascarella, F. De Benedetti, C. Bracaglia U.O.C. Reumatologia, IRCCS Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, Roma, Italia Introduzione: L’iperferritinemia è un biomarker altamente suggestivo di HLH primaria e secondaria ed è uno dei criteri diagnostici HLH-2004 e delle linee guida della MAS nell’ambito dell’Artrite Idiopatica Giovanile Sistemica. Tuttavia la ferritina può essere elevata anche in altre condizioni infiammatorie. E’ stato dimostrato che l’interferon-gamma (IFNγ) e le chemochine indotte da IFNγ, in particolare CXCL9, sono marcatamente elevate nei pazienti con HLH primaria e secondaria. Obiettivi: Descrivere otto pazienti con iperferritinemia che rispettano del tutto o parzialmente i criteri HLH-2004, ma nei quali il successivo decorso clinico e gli ulteriori accertamenti hanno permesso di porre una diagnosi differente che ha richiesto terapie diverse. Definire i livelli di CXCL9 in grado di identificare malattie che possono mimare l’HLH. Il CD25 solubile non è stato determinato in nessuno di questi pazienti. Materiali e Metodi: I livelli sierici di CXCL9 sono stati analizzati mediante DuoSet ELISA KIT DY392 (R&D Systems, Minneapolis, Minn). I valori normali di CXCL9 sono inferiori a 700 pg/ml. Risultati: Abbiamo identificato otto pazienti con caratteristiche di laboratorio suggestive per HLH, inclusi livelli elevati di ferritina (> 500 ng/ml). Tre di questi pazienti rispettavano cinque dei criteri HLH-2004, due di essi ne rispettavano quattro e gli altri ne rispettavano tre. Un paziente presentava solo alti livelli di ferritina e citopenia. I livelli di CXCL9 erano < 300 pg/ml in sette pazienti e circa 600 pg/ml nell’ottavo paziente. Il decorso clinico e le altre indagini effettuate hanno permesso di escludere la diagnosi di HLH e ognuno dei pazienti ha avuto una diagnosi diversa. Nessuno dei pazienti è stato trattato per l’HLH (Tabella 1). Tabella 1. Caratteristiche dei pazienti.

Pt Sesso

Mesi all’esordio

CriteriHLH-2004

Ferritina ng/ml

CXCL9 pg/ml

Diagnosi finale

1 M 1 5 9.849 <300 Osteopetrosi

2 M 6 5 800 <300 Deficit di Vitamina B12

3 M 1 5 543 <300 Malattia granulomatosa cronica

4 M 1 4 15.629 <600 Sindrome dell’intestino corto

5 M 3 4 4.378 <300 Deficit di Cobalamina

6 F 2 3 37.232 656 Sindrome del bambino battuto

7 M 165 3 1.400 <300 Displasia ematodiafisaria di Ghosal

8 M 172 2 1.184 <300 Mielofibrosi primitiva

Conclusioni: L’HLH è una condizione grave e potenzialmente fatale, pertanto una diagnosi precoce ed un trattamento tempestivo sono essenziali per modificare il decorso della malattia. L’iperferritinemia è una caratteristica tipica dell’HLH. A causa della gravità della malattia, a volte i pazienti devono essere trattati prima che i criteri diagnostici siano rispettati. Gli otto pazienti descritti avevano caratteristiche altamente suggestive di HLH e rispettavano i criteri HLH-2004, o parte di questi. Tuttavia tutti hanno avuto una diagnosi diversa. Tutti presentavano elevati livelli di ferritina, ma in nessuno CXCL9 era aumentato. CXCL9, chemochina specificamente indotta da IFNγ, è stato dimostrato essere marcatamente elevato in pazienti con HLH primaria e secondaria per l’attivazione della pathway di IFNγ. Nei casi descritti CXCL9 ci ha permesso di identificare patologie con elevati livelli di ferritina che mimano un’HLH. Alti livelli di CXCL9 sembrano essere un potenziale biomarker specifico per la diagnosi di HLH. Il dosaggio precoce dei livelli di CXCL9 nei pazienti con iperferritinemia in cui ci sia il sospetto clinico di HLH potrebbe essere molto utile per una diagnosi differenziale tempestiva.

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SESSIONE: L’ARTRITE IDIOPATICA GIOVANILE: LA DIAGNOSI Dolori osteoarticolari persistenti: forse manca qualcosa? A. Arduini Dipartimento di Pediatria Policlinico Umberto I, “La Sapienza” Università di Roma Luana Carmela Gerarda Raffaele1, Raffaele Pecoraro1, Giulia Marucci2, Virginia Messia2, Manuela Pardeo2, Michele Salata2, Antonella Insalaco2, Claudia Bracaglia2, Fabrizio De Benedetti2 1Dipartimento di Pediatria Policlinico Umberto I, “La Sapienza” Università di Roma 2Unità operativa di Reumatologia, IRCCS Ospedale Bambino Gesù, Roma Introduzione Lo scorbuto è una malattia determinata dalla carenza di vitamina C. Nell’80% dei casi sono presenti sintomi muscoloscheletrici in quanto il deficit di vitamina C è responsabile delle alterazioni strutturali del collagene e comporta una ridotta formazione di matrice ossea con un aumento del suo riassorbimento. Tale patologia deve rientrare nella diagnosi differenziale dei dolori osteoarticolari che giungono all’osservazione del reumatologo. Obiettivi e metodi Descriviamo quattro casi di scorbuto esorditi con importante sintomatologia dolorosa osteoarticolare in bambini con alimentazione estremamente selettiva. Risultati Pz.1 Maschio di 5 anni, con disturbo generalizzato dello sviluppo e selettività del comportamento alimentare, presenta dolore urente agli arti inferiori, difficoltà nella deambulazione ed ecchimosi. Gli esami ematochimici mostrano anemia microcitica e indici infiammatori negativi. La vitamina C risulta indosabile. Pz.2 Maschio di 6 anni con disturbo dello spettro autistico e alimentazione selettiva. Comparsa di zoppia con rifiuto della deambulazione e petecchie agli arti inferiori. Viene sospettata una porpora di Schonlein-Henoch. Per il persistere della sintomatologia articolare esegue Rx arti inferiori che mostra alterazioni suggestive di un quadro carenziale. Il dosaggio della vitamina C conferma il sospetto di scorbuto. Pz.3 Maschio di 7 anni con sindrome genetica (microduplicazione 1q21.1) e rifiuto dell’alimentazione. Presenta improvviso dolore al femore sinistro ed esegue Rx con evidenza di apposizione periostea sul versante laterale e mediale del femore a livello diafisario.La scintigrafia ossea mostra iperattività osteometabolica a livello del femore sinistro ed in altre sedi. Per cui, nel sospetto di CRMO esegue RMN che conferma la presenza di molteplici aree di alterata intensità di segnale. Si programma quindi biopsia ossea ma il dosaggio della vitamina C permette di porre diagnosi di scorbuto. Pz.4 Maschio di 3 anni con riferito improvviso rifiuto della deambulazione. La RMN encefalo e midollo risulta negativa mentre la RMN del bacino e la scintigrafia mostrano un quadro suggestivo di sacroileite. Da una più accurata anamnesi emerge che il bambino ha un’alimentazione estremamente selettiva per cui si ipotizza un difetto vitaminico. Effettua quindi Rx arti inferiori che mostra bande di radiotrasparenza ed ispessimento della corticale. Il dosaggio della vitamina C conferma la diagnosi di scorbuto. I pazienti hanno presentato una rapida risoluzione della sintomatologia con la supplementazione vitaminica. Conclusioni Di fronte ad un bambino con dolori osteoarticolari persistenti è importante effettuare un’accurata anamnesi e pensare anche ad una patologia carenziale. Lo scorbuto, molto frequente in passato, non è tuttavia così raro anche ai giorni nostri in particolare in bambini con alimentazione estremamente selettiva. la mucopolisaccaridosi di tipo i R. Cimaz Reumatologia Pediatrica, AOU Meyer Firenze Tra le diagnosi differenziali da prendere in considerazione nel caso di un’artropatia che non presenti attività flogistica evidente, soprattutto se caratterizzata da contratture e rigidità più che da tumefazioni, bisogna includere anche le malattie da accumulo lisosomiale. Tra queste, soon da considerare in primo luogo le mucopolisaccaridosi (soprattutto il tipo I). La mucopolisaccaridosi di tipo primo (MPS I) è una patologia complessa, multisistemica, progressiva, eterogenea e potenzialmente fatale [1]. La malattia si presenta sotto diverse forme a seconda della gravità e dell’età dei pazienti. La malattia ha un’incidenza di circa 1:100.000 neonati in tutto il mondo. I pazienti affetti da mucopolisaccaridosi di Tipo I presentano un difetto genetico di tipo autosomico recessivo che induce una carenza dell’enzima lisosomiale α-L-iduronidasi; sono ad oggi note diverse mutazioni [2]. L’assenza di questo enzima provoca disturbi del metabolismo dei glicosaminoglicani (GAG), ma i meccanismi precisi per i quali

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poi si arriva alla complessa sintomatologia clinica progressiva sono ancora sconosciuti. Tradizionalmente, i pazienti affetti da MPS I vengono classificati in una di tre diverse sindromi: sindrome di Hurler, Hurler-Scheie, o Scheie rispettivamente di forma grave, media o ‘lieve’. Tuttavia non esistono chiari criteri clinici o biochimici per definire con precisione queste sindromi. Il termine ‘lieve’ appare inadeguato per i pazienti affetti da MPS I dal momento che questi soggetti presentano sintomi e complicanze patologiche che portano ad una morbosità e disabilità notevoli. Appare più appropriato parlare di uno spettro patologico con, da una parte, un’insorgenza precoce (la forma più grave) e, dall’altra parte, la forma ad insorgenza ritardata (più lieve). Nel caso della forma più grave, la diagnosi viene formulata piuttosto presto e i pazienti muoiono entro i primi 10 anni di vita. Presentano malattie somatiche quali epatosplenomegalia, disturbi a carico dello scheletro, opacità corneale e riduzione dell’acuità visiva, disturbi articolari, sordità, problemi cardiaci associati ad un ritardo dello sviluppo e ad un grave ritardo mentale. Si incontrano le seguenti complicazioni patologiche principali: idrocefalo, apnea notturna, rinite e frequenti infezioni alle orecchie, artropatia progressiva, cardiomiopatia, glaucoma, pneumopatia complessa, opacità corneale e degenerazione della retina. I problemi dello sviluppo mentale e la disostosi multipla hanno inizio nei primi anni di vita mentre i sintomi a carico delle articolazioni e del tessuto connettivo si sviluppano più avanti. I pazienti con la forma intermedia presentano difetti intellettuali di scarso rilievo o del tutto assenti ma potrebbero avere un’importante malattia ostruttiva delle vie aeree, una patologia cardiovascolare, rigidità/contratture delle articolazioni, anomalie scheletriche e una ridotta acuità visiva. I pazienti muoiono in età adolescenziale e nei 20 anni. I pazienti con la forma meno grave potrebbero non presentare lineamenti grossolani del viso ma avranno comunque sintomi quali stanchezza, malattie scheletriche ed articolari, manifestazioni cardiache, sindrome del tunnel carpale, come anche taluni sintomi gastrointestinali come, ad es., la diarrea. Potrebbero avere un’aspettativa di vita normale e la diagnosi in genere viene formulata più avanti. In generale quindi la malattia si presenta molto eterogenea nel suo intero spettro patologico. I sintomi a carico delle articolazioni e dello scheletro, quindi quelli di interesse del reumatologo, sono rappresentati da rigidità, contratture articolari, dolore e gravi deformità scheletriche, con conseguente perdita di mobilità. Essi sono causati da un accumulo progressivo di GAG nella sinovia, nei tessuti periarticolari e nelle ossa. La velocità di crescita dei pazienti con MPS I è quasi sempre inferiore alla norma con conseguente statura relativamente bassa. Nel caso di MPS I meno grave, le caratteristiche cliniche possono essere fuorvianti per chi ha familiarità con il fenotipo classico più grave di Hurler. Se si guarda con attenzione possono però apparire evidenti caratteristiche quali statura relativamente bassa, mascella ampia, collo corto ed ipertricosi. Spesso sono presenti rigurgito aortico e mitrale e displasia dell’anca. L’esistenza di fenotipi più lievi è dovuta probabilmente ad una certa attività enzimatica residua che riduce il tasso di accumulo dei substrati nelle cellule. La diagnosi delle forme meno gravi è problematica per tutte le mucopolisaccaridosi. Il trattamento della forma meno grave della MPS I dipende dai sintomi e dal decorso previsto per la malattia. Una diagnosi precoce è fondamentale per la gestione clinica ottimale della MPS I. Dei nuovi metodi potrebbero essere usati come opzioni di screening (uno si basa sulla misurazione del livello degli enzimi nel sangue e l’altro si riferisce ai livelli di GAG nelle urine) [3]. Il prelievo (goccia) di sangue può essere facilmente messo su carta assorbente ed inviato per posta. Il test degli enzimi non richiede alcuna manipolazione, viene automatizzato e convalidato facilmente e può quindi essere usato anche nelle strutture ospedaliere più piccole. La terapia di supporto delle complicanze muscoloscheletriche della MPS I si basa sulla fisioterapia, in quanto la rigidità delle articolazioni, che si manifesta in tutti i pazienti, può essere misurata con la valutazione del movimento. È possibile rimediare con una terapia passiva ed attiva del movimento o con l’applicazione di stecche. La chirurgia ortopedica può fare molto per i pazienti con MPS [4-8]. L’accumulo di GAG nel tessuto osseo dà origine ad anomalie istologiche della cartilagine d’accrescimento e ad un’ossificazione insufficiente. Di conseguenza i pazienti sono di bassa statura ed hanno disostosi multipla che comprende displasia dell’anca, cifosi toraco-lombare, ginocchio valgo, rigidità delle mani, dita a scatto e sindrome del tunnel carpale. Queste anomalie muscoloscheletriche non si possono prevenire con il trapianto di midollo osseo. La chirurgia della mano può comprendere la decompressione del tunnel carpale e della puleggia per il trattamento delle dita a scatto [9]. Per il trattamento della displasia dell’anca, si possono eseguire osteotomie femorali ed altre procedure. I pazienti con cifosi toracolombare possono essere sottoposti a riduzione anteriore e posteriore e fusione della colonna vertebrale [10]. L’intervento per il ginocchio valgo si esegue

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solo in casi a rapido deterioramento e consiste in una procedura di epifisiodesi sec. Blount. La strategia raccomandata per la gestione ortopedica è quella di seguire il seguente ordine di priorità di intervento: mani, anche, colonna vertebrale e ginocchio valgo. La chirurgia è anche importante per il trattamento della sindrome del tunnel carpale, un’altra delle complicazioni associate alla MPS I che si osserva piuttosto spesso. Una nuova era nel trattamento della MPS I è iniziata dal momento dello sviluppo della terapia enzimatica sostitutiva [11-14]. La produzione su larga scala di α-L-iduronidasi fu iniziata in cellule di ovaio di criceto cinese sui microvettori usando la tecnologia con DNA ricombinante. Il primo prodotto fu impiegato in un modello canino di MPS I. La distribuzione ad un’ampia varietà di tessuti fu osservata con un’effettiva riduzione dei GAG nei tessuti. Nel dicembre del 2000, ebbe inizio lo studio di Fase III e l’Aldurazyme® è stato approvato dalla FDA negli USA il 30 aprile del 2003 e dalla Commissione Europea il 10 giugno del 2003. Nei primi studi effettuati, dopo 50 settimane si registravano miglioramenti significativi nel punteggio dell’indice di disabilità (CHAQ/HAQ) e nelle misurazioni della qualità della vita (SF-36/CHQ). La progressione veniva misurata nei seguenti punteggi: scale dei componenti fisici e mentali, salute generale, funzionalità fisica, dolore corporeo, e funzionalità sociale. In totale, su più di 1500 infusioni di laronidasi effettuate nel corso di uno studio controllato, la tolleranza e la collaborazione dei pazienti è stata eccellente. Tra gli eventi segnalati, i più frequenti sono stati vampate, emicrania, febbre, ed eruzioni cutanee. Tra gli altri approcci terapeutici, ricordiamo il trapianto di midollo osseo [15] ed il trapianto di cellule staminali emopoietiche. Il trapianto è associato comunque ad una mortalità significativa. Per la terapia enzimatica sostitutiva ci vorrà molto tempo prima di poter osservare ulteriori prove di miglioramento. Per i pazienti con disturbi gravi in cui la funzionalità del sistema nervoso centrale e neurocognitiva è molto scarsa, non si può offrire alcun trattamento efficace per invertire questo processo. In futuro il trasferimento e l’espressione del gene dell’iduronato-2-solfatasi potrà probabilmente essere effettuato in vitro e in vivo. BIBLIOGRAFIA 1. Wraith JE (1995) The muchopolysaccharidoses: a clinical review and guide to management. Arch Dis Child 72:263-267 2. Matte U, Yogalingam G, Brooks D, et al (2003) Identification and characterization of 13 new mutations in mucopolysaccharidosis type I patients. Mol Genet Metab 78:37-43 3. Chamoles NA, Blanco M, Gaggioli D (2001) Diagnosis of alpha-L-iduronidase deficiency in dried blood spots on filter paper: the possibility of newborn diagnosis. Clin Chem 47:780-781 4. Masterson EL, Murphy PG, O’Meara A, Moore DP, Dowling FE, Fogarty EE (1996) Hip dysplasia in Hurler’s syndrome: orthopaedic management after bone marrow transplantation. J Pediatr Orthop 16:731 5. Pronicka E, Tylki-Szymanska A, Kwast O, Chmielik J, Maciejko D, Cedro A (1988) Carpal tunnel syndrome in children with mucopolysaccharidoses: needs for surgical tendons and median nerve release. J Ment Defic Res 3:79-84 6. Haddad FS, Jones DH, Vellodi A, Kane N, Pitt MC (1997) Carpal tunnel syndrome in the muchopolysaccharidoses and mucolipidoses. J Bone Joint Surg Br 79: 576-579 7. Van Heest AE, House J, Krivit W, Walker K (1998) Surgical treatment of carpal tunnel syndrome and trigger digits in children with muchopolysaccharide storage disorders. J Hand Surg (Am) 23:36-40 8. Wraith JE, Alani SM (1990) Carpal tunnel syndrome in the muchopolysaccharidoses and related disorders. Arch Dis Child 65:962-966 9. Matsui Y, Kawabata H, Nakayama M, et al (2003) Scheie syndrome (MPS-IS) presented as bilateral trigger thumb. Pediatr Int 45:91-92 10. Tandon V, Williamson JB, Cowie RA, Wraith JE (1996) Spinal problems in muchopolysaccharidosis I (Hurler syndrome). J Bone Jont Surg Br 78:938-945 11. Kakkis ED, Muenzer J, Tiller GE, et al (2001) Enzyme-replacement therapy in mucopolysaccharidosis I. N Engl J Med 344:182-188 12. Glaros EN, Turner CT, Parkinson EJ, Hopwood JJ, Brooks DA (2002) Immune response to enzyme replacement therapy: single epitope control of antigen distribution from circulation. Mol Genet Metab 77:127-135 13. Brooks DA (2002) Alpha-L-iduronidase and enzyme replacement therapy for mucopolysaccharidosis I. Expert Opin Biol Ther 2:967-976 14. Kakavanos R, Turner CT, Hopwood JJ, Kakkis ED, Brooks DA (2003) Immune tolerance after long-term enzyme-replacement therapy among patients who have mucopolysaccharidosis I. Lancet 361:1608-1613

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15. Vellodi A, Yuong EP, Cooper A, et al (1997) Bone marrow transplantation for muchopolysaccharidosis type I: experience of two British centers. Arc Diagnosi differenziale dell'AIG: Ipofosfatasia Arianna Maiorana1*, Carlo Dionisi-Vici1, Giuseppe Pontrelli2, Susanna Livadiotti2, Alessandra Simonetti2 1.UOC Patologia Metabolica, Dipartmento di Pediatrie Specialistiche, Ospedale Bambino Gesù, IRCCS, Roma 2.Centro Trial, Dipartimento Universitario di Pediatria, Ospedale Bambino Gesù IRCCS, Roma L'ipofosfatasia è un raro errore congenito del metabolismo causato da mutazioni inattivanti del gene della fosfafasti alcalina non-tessuto specifica (TNSALP), espressa a livello di tessuto scheletrico, fegato e rene.Il deficit di TNSALP provoca l'accumulo extracellulare dei suoi substrati, quali il pirofosfato inorganico (PPi) e il piridossalfosfato (PLP). L'accumulo di PPi inibisce la mineralizzazione ossea causando rachitismo nel bambino e osteomalacia nell'adulto. Le radiografie dello scheletro mostrano osteopenia e alterazioni metafisarie specifiche. Il biomarcatore plasmatico è la ridotta attività enzimatica della fosfatasi alcalina. Il quadro clinico del bambino è complicato da dolore articolare/muscolare, fratture, debolezza muscolare, deambulazione anomala o atassica e perdita prematura dei denti decidui. Le problematiche reumatologiche pongono questa patologia in diagnosi differenziale con l'artrite idiopatica giovanile. E' importante conoscere e diagnosticare l'ipofosfatasia perchè da circa 1 anno è disponibile la terapia enzimatica sostitutiva che modifica radicalmente la storia naturale di malattia. Sintomi muscoloscheletrici come esordio dei tumori infantili e fattori predittivi per la diagnosi differenziale con l’Artrite Idiopatica Giovanile: studio prospettico osservazionale Francesca Ricci1, Alice Zini1, Chiara Passeri2, Chiara Gorio1, Eleonora Prete4, Gianni Alighieri5, Adele Civino3, Marco Cattalini1 1 Clinica Pediatrica, Università degli Studi di Brescia e ASST Spedali Civili di Brescia 2 Unità di Igiene e Medicina Preventiva, Università degli Studi di Brescia 3 Reumatologia e Immunologia Pediatrica, P.O. Vito Fazzi, Lecce 4 Unità di Ematologia A.O. "Card Panico" Tricase (LE) 5 Unità di Pediatria A.O. "Card Panico" Tricase (LE) INTRODUZIONE Il dolore muscoloscheletrico è un sintomo frequente nella pratica pediatrica con impatto significativo sulla qualità di vita del bambino. La diagnosi differenziale è ampia, cruciale risulta la distinzione tra malattie infiammatorie, in particolare Artrite Idiopatica Giovanile (AIG) e tumori. OBIETTIVI Principale: confronto degli elementi clinici e laboratoristici tra esordio di tumori e nuove diagnosi di AIG, per identificare parametri specifici per ognuna delle due categorie. Secondario: rilevare la prevalenza dell’esordio muscoloscheletrico tra tutti i casi di tumore osservati. MATERIALI E METODI All’interno dello studio multicentrico Oncoreum, sono stati arruolati pazienti <16 anni con diagnosi di tumore o di AIG presso gli Spedali Civili di Brescia. Parametri clinici e di laboratorio sono stati raccolti in un database costruito ad hoc. RISULTATI Arruolati 116 pazienti: 42 AIG, 74 oncologici di cui 23 con esordio di tipo muscoloscheletrico: 14 Leucemia Linfoblastica Acuta, 2 Linfoma di Hodgkin, 1 Leucemia Mieloide Acuta, 3 Neuroblastoma, 1 Ganglioneuroblastoma, 2 Osteosarcoma. I pazienti con AIG erano così distribuiti: 25 oligoarticolare, 9 poliarticolare, 4 artrite con entesite, 3 sistemica, 1 indifferenziata Il confronto per singolo parametro (X2) ha evidenziato correlazione tra artralgie vs artrite, dolore osseo sproporzionato alla clinica, notturno e al rachide e diagnosi di tumore. Artrite vs artralgie, rigidità mattutina e interessamento muscoloscheletrico esclusivo sono risultati invece associati all’AIG. Nel modello di regressione logistica è stata confermata l’associazione tra tumore e dolore muscoloscheleltrico notturno, severo, al rachide, osseo agli arti e l’associazione negativa con sintomi muscoloscheletrici come unica manifestazione. L’esordio con sintomi a carico di spalla e anca era più tipico dei tumori, quello a carico di mano e ginocchio dell’AIG. Altre manifestazioni più frequentemente associate ai tumori (p significative) febbre e astenia, tra i sintomi, anemia, neutropenia, linfocitosi, piastrinopenia e aumento dell’LDH, tra le alterazioni di laboratorio

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CONCLUSIONI I nostri dati confermano che una percentuale di tumori può manifestarsi con sintomi muscoloscheletrici all’esordio (31%) e che parametri clinici e di laboratorio di primo livello possono essere utili per la diagnosi differenziale tra tumori e AIG. Tipici dei tumori - presenza di artralgie senza una vera e propria artrite (dolore senza tumefazione) - dolore osseo - dolore muscoloscheletrico severo, sproporzionato alla clinica - dolore muscoloscheletrico notturno - dolore al rachide - localizzazione a livello di anca o spalla - presentazione muscoloscheletrica associata a febbre e astenia - agli esami: anemia, neutropenia, pianstrinopenia, linfocitosi, aumento dell’LDH Bias del nostro studio il ridotto numero di pazienti e la maggioranza di LLA tra i tumori. Sono attesi i risultati dello studio multicentrico per una valutazione più precisa. SESSIONE: L’ARTRITE IDIOPATICA GIOVANILE: IL TRATTAMENTO E LE COMPLICANZE Rash e tenosinovite: un binomio da non sottovalutare. Marta Mazzoni1, Samuele Caruggi 1,2, Marcella Battaglini 1,2, Marco Gattorno 3, Clara Malattia 1,2 1 Clinica Pediatrica e Reumatologia, Istituto Giannina Gaslini, Genova, Italia. 2 Università degli Studi di Genova, Italia. 3 UOSD Centro Malattie Autoinfiammatorie e Immunodeficienze, Istituto Giannina Gaslini, Genova, Italia Descrizione del caso clinico: Matteo, 2 anni, giungeva alla nostra osservazione a gennaio 2018 per la persistenza da circa un mese e mezzo di tumefazione a carico di entrambe le caviglie e dei polsi, con zoppia e rigidità mattutina. Il bambino aveva familiarità per patologie autoimmuni: madre con artrite idiopatica giovanile (AIG) diagnosticata all’età di un anno di vita con successivo sviluppo di patologia con importanti esiti strutturali e severa uveite; nonna materna con psoriasi. Obiettivamente il bambino presentava un quadro di poliartrite con una franca componente di tenosinovite soprattutto a livello dei polsi e delle caviglie, confermato anche mediante ecografia muscoloscheletrica. Erano presenti delle papule eritematose al dorso di mani e piedi, diagnosticate presso altra sede come esantema post-infettivo. Gli esami ematochimici mostravano un lieve incremento degli indici di flogosi e un quadro di anemia microcitica ipocromica. La determinazione di ANA, ENA e HLA-B27 risultava negativa. La valutazione oculistica non mostrava segni di uveite. A febbraio 2018 il bambino veniva sottoposto in sedazione ad infiltrazione intra-articolare di corticosteroidi a carico di ginocchia, subtalare sinistra e a carico della guaina dei tendini estensori e flessori di polsi e caviglie. Veniva inoltre avviata terapia di fondo con methotrexate con scarso beneficio. E’ stato quindi necessario intraprendere trattamento anche con steroide per os, alla sospensione del quale tuttavia si assisteva a riaccensione del quadro articolare. Vista la peculiarità del quadro articolare caratterizzato da una franca componente tenosinovitica e la presenza da lungo tempo di manifestazioni cutanee maculo-papulari in sede acrale è stata eseguita biopsia cutanea delle lesioni. L’esame istologico ha mostrato la presenza di un’infiammazione granulomatosa del derma. In considerazione del quadro istologico è stata effettuata analisi genetica che ha mostrato una mutazione del gene NOD2. Tale mutazione è stata riscontrata anche nella madre. L’analisi genetica ha confermato pertanto il sospetto diagnostico di sindrome di Blau. I controlli oculistici, eseguiti mensilmente, sono sempre risultati negativi per uveite. Tuttavia, per lo scarso controllo della sintomatologia articolare, è stata avviata terapia con farmaco biologico anti-TNF. Discussione: la sindrome di Blau è una rara malattia autoinfiammatoria granulomatosa dovuta alla mutazione “gain of fuction” del gene NOD2. Esordisce nella prima infanzia e si caratterizza clinicamente per la presenza di artrite, uveite e manifestazioni cutanee maculo-papulari. Vista la sua rarità spesso viene diagnosticata erroneamente come AIG. Uno degli elementi caratterizzanti che deve guidare il sospetto diagnostico è la presenza di una “boggy” sinovite e una prominente componente tendinea localizzate specialmente alle estremità e la concomitante presenza di manifestazioni cutanee.

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Il Treat-to-Target in reumatologia pediatrica Alessandro Consolaro, MD, PhD Istituto Giannina Gaslini e Università di Genova, Genova Recent advances in the management of juvenile idiopathic arthritis (JIA) render disease remission an attainable goal in many, if not most, patients. This has led to suggestions that future treatment guidelines include an overriding goal to achieve clinical remission or, at least, minimal disease activity. Furthermore, implementation of treatment strategies aimed at achieving and maintaining tight disease control in standard paediatric rheumatology practice has been proposed. A compelling argument is available at this time to suggest that the incorporation of treat-to-target approach in the management of children with JIA may improve disease outcome. Recently, descriptions of disease states that represent suitable therapeutic targets, such as inactive disease, minimal disease activity, or parent- or child-acceptable symptom states, have been developed. In addition, criteria for these states based on the Juvenile Arthritis Disease Activity Score (JADAS) have been identified. A Steering Committee has recently formulated a set of recommendations for treating JIA to target based on evidence derived from a systematic literature review. These were subsequently discussed, amended and voted on by an international Task Force of 30 paediatric rheumatologists in a consensus-based, Delphi-like procedure. The group agreed on six overarching principles and eight recommendations. The main treatment target, which should be based on a shared decision with parents/ patients, was defined as remission, with the alternative target of low disease activity. These recommendations can inform various stakeholders about strategies to reach optimal outcomes for JIA. Farmaci biologici nell’Uveite AIG correlata: quando introdurli e quando sospenderli Ilaria Maccora, Gabriele Simonini SODc di Reumatologia Pediatrica, Dipartimento NEUROFARBA, AOU A.Meyer- Università di Firenze L’Artrite Idiopatica Giovanile (AIG), la più comune delle patologie infiammatorie croniche dell’infanzia, è la principale causa di uveite anteriore in età pediatrica, riscontrabile nel 1,8-47% dei casi di uveite ed in assoluta la più comune causa di uveite cronica pediatrica nei paesi sviluppati. I bambini affetti da Uveite associata ad AIG (U-AIG) sviluppano coinvolgimento oculare fino al 50% dei casi nei primi 3 mesi e fino al 90% nei 4 anni successivi alla diagnosi. L’U-AIG, con incidenza variabile dal 1,8-47% dei casi di uveite in relazione alla diversa frequenza fra Europa occidentale/nord America e Europa Orientale/Medio Oriente, rappresenta una significativa causa di disabilità visiva a breve e lungo termine, con significativi rischi di complicazioni e perdita del visus. Il goal della terapia odierna è quindi l’induzione e il mantenimento della remissione. Nelle ultime due decadi, l’introduzione dei farmaci biologici, e in particolare degli anti-TNF ha notevolmente migliorato la prognosi di questi pazienti. Recentemente sono state rispettivamente pubblicate le raccomandazioni raggiunte dalle consensus dell’iniziativa SHARE (Single Hub and Access point for pediatric Rheumatology in Europe) e dal network CARRA (Childhood Arthritis and Rheumatology Research Alliance) La terapia si basa su di un approccio step-by step allo scopo di controllare l’infiammazione oculare, raggiungere un effetto corticosteroid-sparing e ridurre il rischio di complicazioni oculari. L’uso dei farmaci anti-TNF-α (adalimumab > infliximab> golimumab) è raccomandato nei pazienti con uveite refrattaria o resistente ai comuni DMARDs in particolare il MTX, raggiungendo una percentuale di remissione in terapia fra 80-90%. Attualmente sono disponibili 2 studi randomizzati, placebo-controllati in doppio cieco, multicentrici che hanno valutato l’efficacia e la sicurezza dell’adalimumab nei pazienti con uveite AIG correlata, SYCAMORE e ADJUVITE, cui si è associata la registrazione del farmaco per questa indicazione. In caso di insuccesso della primo anti-TNFa è indicato o lo switch ad altro anti-TNF o lo swap a terapia biologica con diverso meccanismo di azione: Abatacept, Tocilizumab, Rituximab, Canakinumab. Quindi, ad oggi, mentre c’è consenso (quasi) unanime su quando iniziare il trattamento con biologici e quale farmaco utilizzare, di fatto mancano indicazioni su quando interrompere il trattamento una volta raggiunta la remissione clinica e gli studi disponibili sono pochissimi. Peraltro la percentuale di ricaduta alla sospensione del trattamento, non è irrilevante: oltre l’80% a 2 anni dalla sospensione. Evidenze precedenti in soggetti con U-AIG trattati con MTX suggeriscono che un più lungo periodo di inattività, superiore a 2 anni, durante la terapia riduce significativamente il rischio di “flare” alla sospensione. Un recente studio retrospettivo, di coorte, multicentrico riporta che il raggiungimento della inattività oculare entro 6 mesi e l’utilizzo della terapia con Anti-TNFa sono variabili associate ad una più alta

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probabilità di remissione alla sospensione del farmaco sistemico. Tali dati se pur preliminari e non disponibili in maniera prospettica sembrano meritevoli di considerazione prima di considerare la sospensione della terapia con biologico, valutando e bilanciando caso per caso rischi/benefici della terapia a lungo termine con quelli di una ricaduta. Un algoritmo decisionale per la gestione clinica del sospetto coinvolgimento ATM nei pazienti con Artrite idiopatica Giovanile Alessandra Alongi, Giacomo Chiappe1,Gabriella Giancane1, Alessandro Consolaro1, Nicola Laffi1, Gian Michele Magnano1, Angelo Ravelli1 Istituto Giannina Gaslini, Genova Introduzione L’artrite delle articolazioni temporomandibolari (ATM) rappresenta un comune interessamento nei pazienti con AIG, potenzialmente associato a severa disabilità. Data la ridotta sensibilità e specificità dei singoli segni clinici, la distinzione tra quadri di sinovite e di danno cronico o disturbi funzionali è affidata attualmente alla Risonanza Magnetica (RM) con mezzo di contrasto. Obiettivi Identificare pattern di predittori clinici di alterazioni RM utili a stratificare il rischio di sinovite nei soggetti con sintomi ATM e distinguere i casi che possono più beneficiare dell’esecuzione di RM da quelli che possono essere sottoposti direttamente a terapia immunosoppressiva. Metodi Dati su 166 pazienti con AIG (332 ATM) seguiti nel nostro centro sottoposti a RM per sospetta artrite ATM tra il 2007 e il 2017 sono stati retrospettivamente analizzati, inclusi segni e sintomi ATM alla valutazione reumatologica e odontoiatrica e rilievi radiologici. Sulla base dei reperti RM (versamento, edema osseo, enhancement sinoviale, erosioni condilari, alterazioni discali) sono stati individuati sottogruppi con differente probabilità di sinovite. Il potere predittivo di 38 variabili cliniche per l’identificazione delle classi di rischio è stato quindi analizzato con un modello a Reti Bayesiane. Infine, un Modello Decisionale Bayesiano ed un albero decisionale sono stati estimati per identificare la strategia clinica più vantaggiosa in differenti quadri clinici. Risultati Il modello a classi latenti dei reperti RM ha individuato 2 sottogruppi rispettivamente a bassa (gruppo 1, n = 176) e alta (gruppo 2, n = 156) probabilità di sinovite ATM. Il modello a Reti Bayesiane ha permesso di correlare i profili clinici con diversi strati di rischio, classificando i soggetti a bassa (classe 1), alta (classe 2) e intermedia (classe 3) probabilità di sinovite ATM con un’ AUC, rispettivamente, di 0,89, 0,87 e 0,97. 9 variabili (limitazione da < 3 mesi, pregressa sinovite, retrognazia, dolore alla palpazione ATM, dolore alla palpazione della muscolatura temporale, laterodeviazione alla visita, limitazione da 3-6 mesi, ridotta traslazione, laterodeviazione da < 3 mesi) sono state utilizzate per l’analisi decisionale che - assegnando pesi decisionali maggiori rispettivamente al trattamento immediato per i pazienti con alta probabilità di sinovite (classe 2), osservazione per i soggetti con bassa probabilità (classe 1) ed esecuzione RM per quelli con probabilità intermedia (classe 3) - individua 4 scenari clinici in cui il trattamento immediato risulta vantaggioso, 3 dove è suggerita l’osservazione, e 7 in cui è indicata l’RM. Conclusioni L’algoritmo proposto può costituire uno strumento utile a guidare il work-up diagnostico nei casi di sospetta sinovite ATM. Un’applicazione contenente il modello per l’identificazione delle classi di rischio sulla base di segni e sintomi inseriti dall’utente è disponibile per il download ed eseguibile tramite il software gratuito “Genie”.

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SESSIONE: LA DIAGNOSTICA PER IMMAGINI IN REUMATOLOGIA PEDIATRICA Una sacroileite poco infiammatoria Simone Carbogno, C. Agostoni, S. Torreggiani, F. Baldo, G. Filocamo, F. Minoia, G. Di Landro, S. Lanni, M. Torcoletti, F. Corona, A. Petaccia. Università degli Studi di Milano Fondazione IRCCS Cà Granda Ospedale Maggiore Policlinico, Università degli Studi di Milano Introduzione Il sarcoma di Ewing è un raro tumore maligno primitivo dell’osso, secondo per frequenza all’osteosarcoma (in bambini > 10 anni). I sintomi, dolore e tumefazione dell’osso e dei tessuti molli circostanti, sono aspecifici; le caratteristiche radiografiche tipiche, lesione osteolitica con reazione periostale a buccia di cipolla, poco sensibili. Spesso viene confuso con un’osteomielite e non è raro il ritardo diagnostico. Obiettivi e metodi Descriviamo un caso di Sarcoma di Ewing esordito con un quadro di sacroileite monolaterale. Risultati Una ragazza di 12 anni giunge alla nostra osservazione per dolore in regione lombosacrale sinistra irradiato alla regione posteriore del braccio sinistro da tre mesi, poco responsivo alla terapia con ibuprofene, in apiressia. Nel ricovero presso altra struttura presentava indici di flogosi elevati (VES 45 mm, PCR 6.45 mg/dl), radiografia dell’anca sinistra e lombosacrale negativa per lesioni osteolitiche/osteoaddensanti o fratture e risonanza magnetica (RM) di bacino e rachide lombosacrale suggestiva per sacroileite (edema dell’osso iliaco sinistro con edema dei muscoli limitrofi). Nel nuovo ricovero si confermavano indici di flogosi elevati, lieve anemia microcitica con restante emocromo nella norma, LDH funzionalità epatica e renale nella norma; profilo autoanticorpale negativo. Per approfondire la natura della lesione iliaca ha eseguito TC-bacino con evidenza di addensamento disomogeneo della spongiosa ossea sul versante iliaco della sincondrosi sinistra, moderata reazione periostale e corticale ossea continua ma focalmente ispessita. Non potendo escludere un’ osteomielite iniziava terapia antibiotica con ceftriaxone e rifampicina con scarso beneficio. Per la persistenza dei sintomi eseguiva anche agobiopsia della lesione, diagnostica per Sarcoma di Ewing. La ragazza quindi è stata trasferita presso centro specializzato. Conclusioni Il sarcoma di Ewing può presentarsi indifferentemente alle estremità, così come allo scheletro assiale. I sintomi sono aspecifici e la radiografia poco sensibile. Le lesioni osteolitiche sono definite meglio dalla TC, mentre quelle dei tessuti molli dalla RM. La principale diagnosi differenziale è l’osteomielite, ma la letteratura riporta anche casi più rari esorditi con un quadro di sacroileite monolaterale o artrite dell’anca. Come nel nostro caso la TC o la RM sono gli esami strumentali da preferire ma, in casi dubbi, l’agobiopsia è inevitabile. Bibliografia Arndt C. A. S. Neoplasms of bone. Nelson Testbook of Pediatric 19th edition. Al-Adsani A. et al. Ewing’s sarcoma of the ilium mimicking sacroiliitis. Rheumatology (Oxford). 1999 Aug;38(8):792-3. Ray P. Et al. Ewing's sarcoma of the pelvis: an unusual, but not to be missed, cause of an irritable hip. BMJ Case Rep. 2016 Jan 21;2016. De Maddi F. et al. Misdiagnosis of Ewing’s sarcoma of the ilium at the pelvis X-ray. Rheumatol Int. 2012 Apr;32(4):1109-10. L’ecografia osteoarticolare nelle mani del pediatra reumatologo Silvia Magni-Manzoni UOC Reumatologia, IRCCS Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, Roma Introduzione. Negli ultimi anni si è osservato un interesse e un uso sempre più diffuso dell’ecografia osteoarticolare fra i Pediatri Reumatologi. Ciò è dovuto all’acclarato valore aggiunto che la metodica ha apportato alla clinica e alla ricerca nell’ambito della Reumatologia dell’adulto e alla sua progressiva applicazione in Reumatologia Pediatrica. Contenuto principale. Lo scheletro in età pediatrica presenta peculiarità proprie e i riferimenti ecografici osteoarticolari utilizzati nell’adulto non possono essere semplicemente traslati per la valutazione dei bambini. Inoltre, l’uso nei bambini con artrite idiopatica giovanile (AIG) delle definizioni ecografiche e delle tecniche di scansione standardizzate sviluppate per adulti con artrite reumatoide ha condotto a riscontri contraddittori e di difficile interpretazione. Pertanto, negli scorsi anni diversi studi sono stati orientati a individuare parametri e definizioni ecografiche condivise di normalità osteoarticolare nelle varie fasce di età pediatrica. In secondo luogo, sono state approntate definizioni per gli aspetti ecografici della sinovite volte

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alla valutazione dei bambini con AIG, che al momento devono essere validate e non differenziano fra le varie forme di sinovite nel bambino. Conclusioni. Nell’ultimo decennio sono stati compiuti importanti progressi nella conoscenza e nel processo di standardizzazione dell’ecografia osteoarticolare per la valutazione dell’AIG, che sono tuttora in corso. L’ecografia osteoarticolare non può essere utilizzata per sostituire quanto per integrare e supportare, ampliandola, la valutazione clinica del Pediatra Reumatologo nei bambini con AIG e con altre forme di sinovite. Infiltrazioni peritendinee di glucocorticoidi (IPG) nell’Artrite Idiopatica Giovanile (AIG): chi, come, quanto? Andrea Uva1, Rebecca Nicolai2, Fabrizio De Benedetti2, Silvia Magni-Manzoni2

1Scuola di Specializzazione in Pediatria, Sapienza-Roma;

2 UOC di Reumatologia, IRCCS Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, Roma Introduzione. Le infiltrazioni peritendinee di glucocorticoidi (IPG) rappresentano un’opzione terapeutica locale sempre più utilizzata negli ultimi anni nell’AIG. Al momento non sono noti la frequenza con cui i tendini vengono infiltrati nell’AIG, il tipo di procedura usata e l’efficacia del trattamento. Obiettivi. Identificare le caratteristiche cliniche dei pazienti con AIG trattati con IPG, individuare i tendini sottoposti più frequentemente a IPG, i farmaci e la procedura adottata. Inoltre: valutare la frequenza di remissione dell’interessamento infiammatorio tendineo e l’intervallo di tempo necessario per raggiungerla. Metodi. Sono state revisionate le cartelle di tutti i pazienti con AIG sottoposti a IPG nel centro dello studio dal 2013 al 2018, con registrazione di: caratteristiche cliniche e demografiche, data dell’IPG, tendini sottoposti a IPG, tipo di glucocorticoide utilizzato, tipo di procedura (ecoguida, sedazione locale o generale), data di riscontro clinico/ecografico di remissione locale, attività di malattia nei siti infiltrati all’ultima osservazione presso il centro ed eventuale occorrenza di effetti collaterali Risultati. Tra i 260 pazienti con AIG sottoposti nel periodo 2013-2018 a 715 sedute di iniezioni intraarticolari di glucocorticoidi, sono stati individuati 182 pazienti (70%;F 79%;età media 8aa) trattati con IPG in 262 sedute (37%), per un totale di 610 IPG. Nel 54.4% i pazienti presentavano oligoartrite persistente, nel 19.8% oligoartrite estesa, nel 24.7% poliartrite e nell’1.1% AIG sistemica. Tutte le procedure sono state eseguite in ecoguida; il 97% in sedazione generale. Il metilprednisolone acetato è stato usato nel 97.4%, il triamcinolone esacetonide nel 2.6% delle IPG. Nell’86% delle procedure si è osservata remissione nei tendini infiltrati dopo una mediana di 2.3 mesi (IQ 1.9-3.2). Quaranta pazienti (22%) hanno ripetuto IPG negli stessi siti di infiltrazione per ripresa o persistente interessamento infiammatorio locale, per un totale di 61 tendini (10%) re-iniettati. All’ultimo follow-up, dopo una mediana di osservazione di 21.7 mesi (IQ 8.4-36), 165 bambini su 182 (90.6%) sono risultati in remissione clinica e/o ecografica per il sito iniettato. Fra i 40 pazienti che hanno ripetuto IPG nello stesso sito, 35 (87,5%) erano in remissione locale all’ultima osservazione. Nell’11% dei pazienti sono stati riportati effetti collaterali, tutti solo a livello locale (atrofia sottocutanea, ipopigmentazione cutanea). Conclusioni. Negli ultimi 5 anni, le IPG sono state effettuate con elevata frequenza nei pazienti con AIG trattati con iniezioni intraarticolari nel centro dello studio, in particolare nei soggetti con oligoarticoartrite persistente. Il trattamento è risultato associato a una elevata frequenza di remissione dell’infiammazione locale, senza effetti collaterali maggiori. Ulteriori studi sono necessari per definire il ruolo della concomitante terapia sistemica nel raggiungimento e nel mantenimento della remissione. Tabella 1. Tipo di tendini sottoposti a IPG nei 182 pazienti dello studio

Tendini Nr. di IPG (%)

Tibiale posteriore Flessori delle dita delle mani (I-V compartimento) Peronieri Estensori del polso (I-VI compartimento) Flessore comune delle dita del piede

172 (28.2%) 135 (22.1%) 113 (18.5%) 67 (11%) 56 (9.2%)

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Flessore dell’alluce Altri

22 (3,6%) 45 (7.4%)

TOTALE 610 (100%)

SESSIONE: SINDROMI AUTOINFIAMMATORIE IL-1 MEDIATE DALLA SCIENZA DIBASE AL LETTO DEL MALATO Two cases of refractory kawasaki disease successfully treated with anakinra F. Tirelli 1, E. Marrani1, I. Maccora1, T. Giani 2, G. Simonini2,3, R. Cimaz2,3 1 Scuola di specializzazione in Pediatria, università di Firenze 2 Servizio di reumatologia, Ospedale Anna Meyer, Firenze 3 Dipartimento NEUROFARBA, università di Firenze Introduction: Kawasaki Disease (KD) is a self-limited childhood vasculitis of unknown origin and coronary artery aneurisms are its most significant complication. Timely treatment with Intravenous Immunoglobulins (IVIG) represents the standard care, but more than 10% of children are unresponsive. The most effective therapy for refractory cases is still not defined. Although mice models have suggested a significant role of Il-1 in the pathogenesis of KD and coronary aneurisms, treatment with Interleukin-1 Receptor Antagonist (Il-1 RA) has been seldom used. We report two patients with refractory KD who achieved remission with Anakinra following IVIG and corticosteroid failure. Case series: Case #1 is a 4-month-old male, presenting for high fever, irritability and poor feeding, bilateral conjunctivitis, micropapular rash involving face and extremities, mucositis, hand and feet edema. KD was diagnosed and the patient was started on aspirin and IVIG on day 5th from the onset of fever; a second dose of IVIG was administered two days later because of persistent fever. Despite this treatment, his general conditions deteriorated and cutaneous rash worsened, evolving into necrotic-hemorragic vasculitic lesions. Pulse methylprednisolone was started on day 8th, followed by high dose oral prednisone. Ten days later the patient relapsed and a third IVIG infusion was administered. Seriated echocardiographies showed from the 23rd day of illness a marked dilation of right and left coronary arteries. Case #2 is a 4-year-old male admitted to General Pediatric Unit because of 4 days high fever, poor feeding, conjunctival injection, cervical adenopathy, mucositis, abdominal rash and palm and sole erythema. KD was diagnosed, aspirin was started and 2 IVIG infusions were administered without improvement. Seriated echocardiographies showed dilation of left coronary artery. From day 8th of fever, 3 pulses of methylprednisolone were administered, followed by oral prednisone with initial improvement. Four days later he was febrile again and in poor general conditions with severe irritability. Given the resistance to IVIG and corticosteroids, IL1-RA (anakinra) was started in both patients at the dose of 2 mg/kg once a day subcutaneously. They both showed a rapid improvement; particularly, patient #1 showed a gradual resolution of the severe cutaneous vasculitic lesions. Two weeks after starting biological therapy, both patients could be discharged from hospital on anakinra, tapering oral corticosteroid. Treatment with anakinra was maintained for 1 month in both children and no relapses occurred after its discontinuation; patients did not experience any side effect during therapy. Echocardiographic controls showed complete resolution of coronary dilation after 5 months in patient #1 and 6 weeks from the onset of KD symptoms in patient #2. Conclusion: Our case series suggests that treatment with IL-RA may be considered as an effective and safe therapeutic option for refractory KD. L’infiammazione IL-1 mediata: meccanismi patogenetici O.M. Lucherini Research Center of Systemic Autoinflammatory Diseases, Behçet's Disease Clinic and Rheumatology-Ophthalmology Collaborative Uveitis Center, Department of Medical Sciences, Surgery and Neurosciences, University of Siena Le malattie autoinfiammatorie costituiscono un gruppo eterogeneo di patologie rare caratterizzate

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dalla ricorrenza apparentemente spontanea di episodi infiammatori acuti a carico di cute, sierose, articolazioni, apparato gastroenterico e sistema nervoso centrale. Nel corso degli anni grazie all’identificazione dei geni alla base di alcune di queste sindromi e allo sviluppo delle tecniche molecolari è stato possibile integrare questo concetto che oggi descrive le sindromi autoinfiammatorie come patologie associate ad una regolazione difettiva del sistema dell’immunità innata determinata dall’alterazione funzionale di alcune proteine coinvolte nella risposta infiammatoria. La mancata regolazione della risposta immunitaria innata, per alcune di queste sindromi, presenta un’origine genetica ben distinta caratteristica principale di una sottoclasse di malattie autoinfiammatorie denominate febbri ricorrenti ereditarie monogeniche. Nella relazione saranno trattati i principali meccanismi molecolari responsabili di tali patologie noti oggi essere associati all’infiammazione mediata dall’Interleuchina (IL)-1. Farmaci anti-interleuchina 1 nelle pericarditi idiopatiche ricorrenti Roberta Caorsi La pericardite acuta è un’infiammazione del foglietto pericardico che può manifestarsi isolatamente o può essere parte di una condizione sistemica. La cause di tale disordine possono essere infezioni, neoplasie o malattie autoimmuni; talvolta può essere dovuta a procedure interventistiche o alla cardiochirurgia. Tuttavia nella maggior parte dei casi (85%) non viene indentificata una causa specifica, configurando la diagnosi di pericardite idiopatica. La diagnosi di tale condizione richiede la presenza di almeno 2 dei 4 criteri diagnostici: dolore presternale, sfregamento pericardico, anomalie ECG specifiche (sottoslivellamento del tratto PR e sopraslivellamento diffuso del tratto ST), riscontro di versamento pericardico o peggioramento di un pregresso versamento. La pericardite si definisce incessante quando permane in modo continuo per oltre 4-6 settimane, ricorrente quando recidiva dopo un intervallo libero da malattia di almeno 4-6 settimane, cronica se persiste per oltre 3 mesi. La terapia medica è eziologica nei casi secondari. Nei casi idiopatici la terapia di primo livello è costituita da aspirina o FANS, in associazione alla colchicina; convenzionalmente, nei casi refrattari a tale terapia, l’uso dello steroide è considerato il secondo livello terapeutico. In caso di forme ricorrenti va indagata la presenza di una malattia autoimmune o autoinfiammatoria sottostante ed è giustificato ricorrere a terapie di 4 livello quali azatioprina o immunoglobuline, in caso di mancata risposta a FANS, colchicina e steroide, anche tra loro associati Negli ultimi 10 anni sono stati riportati numerosi casi aneddotici in cui si è riscontrata una completa risposta all’antagonista recettoriale dell’Interleuchina 1 (anakinra) in pazienti con pericardite ricorrente resistenti alla colchicina e/o dipendenti dallo steroide: la quasi totalità dei pazienti trattati presentava una completa risposta, che si manteneva anche dopo la sospensione delle restanti terapie. Tale efficacia è stata recentemente confermata dal trial AIRTRIP che ha dimostrato che, rispetto al placebo, l’anakinra riduce il rischio di recidiva nella maggior parte dei pazienti trattati. L’utilizzo di altri inibitori dell’IL1 (canakinumab, rilonacept) nella pericardite ricorrente è attualmente solo aneddotico e non sono disponibili risultati di trial clinici. Tuttavia dai casi riportati emerge una minore efficacia della terapia selettiva per IL1beta; tale osservazione potrebbe sottendere il ruolo dell’IL1alfa nella patogenesi di tale condizione. Validation of the recently developed evidence-based eurofever classification criteria for hereditary

recurrent fevers (HRF) and PFAPA S. Federici 1, 2, F. Vanoni3, 4, F. Bovis5, N. Ruperto1, M. Hofer6, M. Gattorno1 and on behalf of the Expert Committee for the Classification Criteria in periodic fever 1Division of Rheumatology, Istituto Giannina Gaslini, Genova, 2Division of Rheumatology, IRCCS Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, Rome, Italy 3Pediatric Rheumatology Unit CHUV , University of Lausanne, Lausanne, 4Departement of Pediatric of Southern Switzerland, Bellinzona, Switzerland, 5Biostatistic Unit, Department of Health Sciences, University of Genoa, genoa, Italy, 6Pediatric Rheumatology Unit , CHUV, Lausanne, Switzerland

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Introduction: Provisional Eurofever evidence-based classification criteria for the four inherited recurrent fever (FMF, CAPS, TRAPS, MKD) have been published and other diagnostic criteria are available in the literature for FMF, CAPS and PFAPA. Despite a significant increase of accuracy of the recent Eurofever classification criteria in respect to the previous ones, none of them combine the clinical criteria with the results of molecular analysis. This is a major limitation considering the fact that the genetic analysis might be considered per se pathognomonic, and therefore diagnostic, at least in the presence of a confirmatory genotype. Recently new evidence-based classification criteria for hereditary recurrent fevers (HRF) and PFAPA have been identified during a Consensus Conference held in Genoa in March 2017. For each of the monogenic recurrent fever new classification criteria based on genetic and clinical variables were developed. For PFAPA novel classification criteria based on positive and negative clinical variables were also approved by experts (Gattorno et al. PRES 2017, submitted). Objectives: To evaluate the performance of the final set of classification criteria, in discriminating patients with the different HRF and PFAPA in a separate set of real patients coming from the Eurofever Registry and

to compare their accuracy with respect to existing criteria.Methods: We selected those patients with recurrent HPF coming from the Eurofever Registry excluding patients belonging to the original dataset of 360 patients used for the development of the criteria themselves. Patients with inherited periodic fever (TRAPS, FMF, MKD and CAPS), PFAPA and undefined periodic fevers were considered and classified according to the indication of each center, without any process of validation by expert. Sensitivity, specificity, accuracy, negative and positive predictive values and AUC-ROC of the new criteria were calculated. Results: A total of 1018 new patients coming from the Eurofever Registry were included. The performance of the criteria coming from the Consensus conference in comparison with the criteria of the literature is listed in table 1. Overall, their performance was superior (accuracy ranging from 0.81 to 0.98) to the already published literature’s criteria (accuracy 0.56-0.94) with a very high specificity and a variable sensitivity. Most of the patients not classified with the new criteria were negative for genetic analysis or carriers of low-penetrance mutations with an inconsistent clinical phenotype. Conclusion: The validation of the new Eurofever classification criteria in a large group of unselected patients coming from the registry confirms their high specificity and overall better performance in comparison to other criteria available in the literature. It is recommended to use them as classification rather that diagnostic criteria, for clinical trials and pathogenic studies. SESSIONE: SINDROMI AUTOINFIAMMATORIE: NON SOLO IL-1 Ruxolitinib e lupus monogenico da difetto di DNAse 2 Luisa Cortellazzo Wiel, Anna Maria Chiara Galimberti, Giulia Gortani, Serena Pastore, Alessandra Tesser, Andrea Taddio, Alberto Tommasini Università degli Studi di Trieste IRCCS Burlo Garofolo, Trieste, Italy Valerio, 17 anni, giunge in Pronto Soccorso per un episodio di lipotimia, seguito dalla comparsa di dispnea, tachicardia e cianosi dei prolabi. Ma la sua storia non inizia qui. Valerio infatti è noto al nostro Servizio di Reumatologia per una sindrome da deficit di DNAse2 , disordine autoinfiammatorio geneticamente determinato con forte sovrapposizione clinica al Lupus Eritematoso Sistemico. L’anamnesi patologica remota di Valerio è caratterizzata da una costellazione di sintomi che comprendono: epatopatia neonatale, citopenia, febbre ricorrente, poliartrite, glomerulonefrite cronica, lipodistrofia, lupus pernio e ritardo di crescita. La diagnosi veniva posta all’età di 14 anni tramite sequenziamento dell’esoma, col contributo non trascurabile della signature interferonica, la cui forte positività suggeriva un ruolo patogenetico centrale dell’interferone di tipo 1. Visto il progressivo peggioramento clinico, nonostante l’impiego di corticosteroidi, immunosoppressori e biologici, era stato avviato un tentativo terapeutico con l’associazione di due antimalarici (idrossiclorochina e mepacrina), abatacept e ruxolitinib: questo schema terapeutico aveva portato ad un rapido miglioramento clinico con progressiva riduzione della posologia di corticosteroidi.

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All’arrivo in reparto, viene dimostrata un’ipertensione arteriosa polmonare severa (media 77 mmHg) con importante disfunzione delle camere cardiache destre. Nell’ipotesi di una reazione avversa a farmaci, la terapia in atto viene sospesa. Considerando altresì la possibilità che l’ipertensione polmonare rappresenti una manifestazione dell’interferonopatia, Valerio viene sottoposto ad infusione di boli di corticosteroidi, in associazione a diuretici e a terapia vasodilatante con iloprost, ambrisentan e sildenafil. Durante il ricovero compare una progressiva e severa pancitopenia (Hb 10 g/dl, GB 1020/mmc, PLT 20.000/mmc): esclusa un’infezione virale in atto, viene eseguito un aspirato midollare, che dimostra ipocellularità, escludendo le ipotesi di malignità o di una linfoistiocitosi emofagocitica. Vista la scarsa risposta ai corticosteroidi si decide di provare a reintrodurre il ruxolitinib a dosaggio superiore rispetto al precedente (10 mg 2 volte/die), sulla base dell’evidenza della buona risposta dimostrata da Valerio e dell’efficacia aneddotica della molecola in casi di ipertensione arteriosa polmonare. La risposta è sorprendente: le pressioni polmonari si riducono drammaticamente, in maniera molto più rapida di quanto non ci si potesse attendere con la sola terapia vasodilatante, con una pressione polmonare alla dimissione stimata pari a 35 mmHg. Al follow-up le pressioni arteriose polmonari continuano a manifestare un lento e progressivo miglioramento, analogamente ai sintomi della condizione di base. Il ruxolitinib viene quindi mantenuto ad una dose pari a 7.5 mg 2 volte/die. Ai successivi controlli Valerio manifesta uno Zoster cutaneo transitorio, rapidamente risolto dalla terapia con acyclovir e una moderata elevazione del titolo di virus BK urinario, con ricerca sierologica negativa. Concludiamo quindi che il ruxolitinib può sia scatenare che migliorare stati di ipertensione arteriosa polmonare. Poiché il trattamento con ruxolitinib può associare ad un’elevazione del titolo virale (come avvenuto nel nostro con il virus BK) è difficile discriminare il ruolo patogenetico nell’ipertensione polmonare del virus e dell’interferonopatia in sé. Appare comunque raccomandabile un attento bilancio di rischi e benefici di terapie a bersaglio molecolare per condizioni geneticamente determinate. Ciò vale in particolare per i JAK inibitori, una cui eventuale sospensione improvvisa può associare ad un importante rebound infiammatorio. 1 Rodero M.P. et al., Type I interferon-mediated autoinflammation due to DNase II deficiency., Nat Commun. 2017 Dec 19;8(1):2176. Interferon-γ correlates with disease activity in pediatric systemic lupus erythematosus and potentiates the production and the activity of type I interferons Emiliano Marasco, G. M. Moneta, C. Bracaglia, I. Caiello, C. Farroni, L. Bracci-Laudiero, R. Carsetti, F. De Benedetti Division of Rheumatology, OSPEDALE PEDIATRICO BAMBIN GESU Introduction: Pediatric systemic lupus erythematosus (pSLE) is an autoimmune disease characterized by the production of autoantibodies against self-antigens and immune dysregulation, resulting in tissue damage. In the last decade, several studies showed an up-regulation of genes induced by type I interferons (IFNs) in peripheral blood and tissues of pSLE patients. The expression of this group of genes, known as the interferon signature, correlates with disease activity. More recently the type II interferon has been implicated in pSLE but its role has not been extensively investigated yet. Objectives: To investigate the role of type II IFN, IFNγ, in the pathogenesis of pSLE evaluating: 1) the expression levels of IFN-related genes and serum levels of IFN-related chemokines in the peripheral blood of pSLE patients; 2) the cross-talk between type II and type I IFNs. Methods: Expression levels of type I IFN-induced genes (IFI27, IFI44L, IFIT1, RSAD2, ISG15, SIGLEC1) and type II IFN-induced genes (CXCL9, CXCL10, IDO1) in peripheral blood of pSLE patients was evaluated by quantitative PCR (qPCR). Serum levels of IFNγ-related chemokines were measured by ELISA. For each patient, SLEDAI score was calculated. Human peripheral blood mononuclear cells (PBMCs) from 6 HD were stimulated in vitro with recombinant human IFNγ and IFNα2b and gene expression was evaluated by qPCR. Results: Expression levels of both IFNα-induced genes and IFNγ-induced genes were increased in the peripheral blood of pSLE patients with active disease (n=12) compared to healthy donors (HD) (n=10) and pSLE patients with inactive disease (n=13). We developed a type II IFN score similarly to the type I IFN score described by Crow et al. Type I and type II IFN scores were calculated for each pSLE patient. The type II IFN

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score significantly correlated with the SLEDAI (r=0.64, p<0.01); as previously reported, also the type I IFN score significantly correlated with SLEDAI (r=0.67, p<0.01). To confirm the gene expression data, we evaluated the serum levels of two cytokines induced by IFNγ, CXCL9 and CXCL10, and we found that both were increased in pSLE patients compared to HD. We, then, investigated a possible crass-talk between type I and type II IFNs: we found that IFNγ induced the expression of type I IFNrelated genes in human PBMCs in a dose-dependent manner. Moreover, IFNγ upregulated the expression of both TLR7 and TLR9, two potent inducer of IFNα by pDC. Finally, human PBMCs stimulated with recombinant IFNα2b strongly up-regulated the expression of IFNγ, thus, once activated, IFNα can potentiate the production of IFNγ. Conclusion: Our data suggest a potential role of IFNγ in the pathogenesis of pSLE. IFNγ-induced genes in whole blood and serum levels of IFNγ-induced chemokines are increased in patients with pSLE patients; a type II IFN score correlates with disease activity. We show that IFNγ can potentiate reciprocal biological activity of type I IFNs in SLE. SESSIONE: LA REUMATOLOGIA NELL’AMBULATORIO DEL PEDIATRA DI LIBERA SCELTA (1) Una recidiva un indizio…. tre recidive una prova! Alessia Arduini, Camilla Celani, Giulia Marucci, Manuela Pardeo, Antonella Insalaco, Claudia Bracaglia, Fabrizio De Benedetti Dipartimento di Pediatria Policlinico Umberto I, “La Sapienza” Università di Roma Unità operativa di Reumatologia, IRCCS Ospedale Bambino Gesù, Roma Introduzione La malattia reumatica (MR) è una malattia infiammatoria acuta che può interessare diversi organi e apparati determinata da un’infezione da SBEGA. Secondo le linee guida internazionali i pazienti con MR debbono effettuare profilassi con benzilpenicillina ogni 21 giorni al fine di prevenire nuove infezioni da SBEGA e quindi il rischio di recidive della malattia[1].La profilassi deve essere proseguita per almeno 5 anni dall’ultimo attacco o fino al compimento dei 21 anni di età. In presenza di danni cardiaci è raccomandato di proseguire la profilassi per 10 anni o fino ai 40 anni e se si è stata sostituita la valvola, anche per tutta la vita[1].I pazienti con diagnosi di MR che sviluppano una successiva faringite da SBEGA hanno un rischio maggiore di avere una recidiva di malattia, inoltre la cardite (CR) può essere più grave per ogni episodio di ricaduta. Le linee guida raccomandano l’uso di una profilassi continua poiché spesso anche infezione asintomatiche possono agire da trigger di ricaduta di malattia. Obiettivi e metodi Descriviamo tre casi di bambini con pregressa MR che hanno presentato una recidiva in seguito alla sospensione della profilassi. Risultati Pz 1. Femmina 8 anni, nel gennaio 2014 diagnosi di CR. A gennaio 2016, in seguito a interruzione della profilassi per decisione dei genitori, presenta febbre e artralgie migranti. Gli esami ematochimici mostrano incremento degli indici infiammatori, aumento del TAS e l’ecocardiogramma rivela peggioramento. Inizia terapia con glucocorticoidi, con rapida normalizzazione degli indici infiammatori, e riprende profilassi. Pz 2. Maschio 11 anni, a Marzo 2010 diagnosi di MR con corea e CR. A Febbraio 2012 ricomparsa di movimenti involontari a carico degli arti superiori, con difficoltà nella scrittura. I genitori riferiscono incostanza nell’esecuzione della profilassi. Viene pertanto ripresa la terapia con glucocorticoidi e profilassi con progressivo miglioramento della sintomatologia coreica. Pz 3. Maschio 18 anni, nel 2009 diagnosi di CR per cui viene sottoposto a tre interventi cardiochirurgici. A Giugno 2018 comparsa di dolore a carico della caviglia sinistra, in assenza di traumi e febbre. Gli esami ematochimici mostrano aumento degli indici di flogosi e l’ecografia conferma la presenza di un cospicuo versamento. Inizia terapia antinfiammatoria con buona risposta clinica nelle prime 24 ore. Nel sospetto di recidiva di MR si approfondisce il colloquio anamnestico ed emerge una sospensione autonoma della profilassi per il raggiungimento della maggiore età. Conclusioni I casi clinici presentati si inseriscono nel dibattito circa l’utilità della prevenzione delle recidive in paesi sviluppati. Gli studi disponibili si riferiscono a parecchie decine di anni fa. Appare pertanto necessario programmare studi epidemiologici che definiscano il rischio di recidiva di MR in caso di profilassi non eseguita in maniera continuativa. Bibliografia: 1)Gerber MA, et al.Circulation.2009.119(11):1541

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Il reumatismo articolare acuto nel XXI secolo: diagnosi, terapia e profilassi L. Verdoni La malattia reumatica èun processo infiammatorio acuto a acarico di articolazioni, cuore, SNC, cute e sottocute che può comparire, in soggetti predisposti in meno del 2-3% delle faringiti da streptococco β-emolitico del gruppo A(SBEA) a dstanza di 2-3 settimane dall’infezione faringea. Nella metà dei casi può residuare una cardiopatia cronica, secondaria a un danno valvolare irreversibile e gravata da altrepossibili complicanze come aritmie, infarto, endocardite, morte improvvisa. Il miglioramento delle codizioni igieniche e la diffusione di un corretto approccio allafaringite acuta hanno portato, nei paesi occidentali, negli ultimi 5 decenni, alla riduzione dell’incidenza dela malattia al di sotto dei 2 casi su 100.000 b.ni per anno. L ‘imprevedibilità dell’evoluzione del danno valvolare e la segnalazione negli ultimianni di focolai di recrudescenze con andamento epidermico mantengono altol’interesse del clinico e della comunità scientifica per identificare prontamente i casi sospetti di malattia reumatica ed instaurare un corretto trattamento.L’ultima revisione dei criteri di Jones da parte dell’AHA nel 2015 ha differenziato i singoli criteri, maggiori e minori, tra le popolazioni ad alto e basso rischio di malattia, introducendo tra i criteri maggiori la monoartrite e la poliartralgia nelle popolazioni ad alto rischio e la cardite silente (o subclinica) nelle popolazioni a basso rischio. Un’altra sfida interessante, soprattutto per il pediatra ambulatoriale, è l’identificazione dei pazienti con faringite acuta da sottoporre al test per la ricerca dello SBEA e quindi al trattamento eradicante (o profilassi primaria): la corretta selezione dei pazienti aumenta il valore predittivo positivo del test ed evita la prescrizione inutile da antibiotico ai bambini con faringite virale o ai “portatori”dello SBEA. La malattia reumatica è l’unica malattia reumatologica prevenibile con un’adeguata profilassi antibiotica. Gli esami di laboratorio: quali chiedere, quando chiederli, come interpretarli Giovanni Filocamo, MD PhD Pediatria a media intensità di Cura Fondazione IRCCS Cà Granda Ospedale Maggiore Policlinico Milano L’inquadramento anamnestico e la presentazione clinica rimangono gli elementi fondamentali per orientare la diagnosi e guidare la definizione degli accertamenti di laboratorio da prescrivere. In un bambino con segni di artrite attiva, la presenza di febbre, iperemia a livello dell’articolazione interessata, severa impotenza funzionale, condizioni cliniche generali del bambino compromesse, nel bambino sotto l’anno di vita, oppure in caso di traumi di entità significativa, si impone una valutazione urgente in PS. Nel caso in cui non si rilevino elementi di allarme, gli esami da valutare nel primo livello sono l’emocromo con indici di flogosi (VES e PCR), funzionalità epatorenale, enzimi muscolari ed es urine. In base all’orientamento diagnostico determinato dall’anamnesi e dall’esame obiettivo, potrà essere indicato valutare la presenza di elementi indicativi di un’infezione recente da SBEA (tampone faringeo, TASL), oppure la presenza di autoanticorpi (ANA, FR, ENA, anti dsDNA, ANCA, …) anche se tendenzialmente questi accertamenti potrebbero trovare indicazione dopo la valutazione specialistica di secondo livello. Utile nel paziente con storia di dolore addominale ricorrente o storia compatibile con quadro di spondilo artropatia ricercare la presenza di sangue occulto fecale su 3 campioni e calprotectina fecale. Infine nei pazienti con riscontro di anticorpi antinucleo positivi sarà da considerare l’opportunità di eseguire una valutazione oculistica con lampada a fessura, sicuramente da eseguire nel regolare follow up dei bambini con AIG ANA positiva. Gli accertamenti laboratoristici e strumentali nel follow up dei pazienti con patologia reumatologica sono finalizzati al monitoraggio degli effetti tossici della terapia in corso e per il monitoraggio della malattia, sulla base delle indicazioni dello specialista di riferimento.

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Methotrexate e Sclerodermia Lineare: outcome a lungo termine in 50 pazienti pediatrici seguiti presso un singolo centro Gloria Fadanelli, A. Agazzi, F. Vittadello, A. Meneghel, F. Zulian, G. Martini Unità di Reumatologia Pediatrica, Dipartimento di Salute della Donna e del Bambino, Policlinico universitario di Padova Introduzione: La Sclerodermia Lineare (SL) è la forma più frequente di Scerodermia Localizzata Giovanile, e quella più spesso associata a danno tissutale e disabilità funzionale. Il methotrexate (MTX) è il farmaco di prima scelta, ma i dati sull’outcome sono scarsi e spesso incompleti. Obiettivi: Valutare la ricorrenza di malattia e l’outcome a lungo termine dei pazienti trattati con MTX dalla diagnosi. Materiali e metodi: Studio retrospettivo-trasversale sui pazienti seguiti fra il 2000 e il 2016, presso l’Unità di Reumatologia Pediatrica di Padova. Sono stati inclusi i pazienti trattati alla diagnosi con MTX per almeno un anno e tutt’ora seguiti presso il nostro Centro. L’andamento di malattia è stato analizzato retrospettivamente valutando le caratteristiche cliniche, la gestione terapeutica e le ricadute di malattia. L’outcome è stato definito all’ultima visita, valutando l’attività di malattia, la severità del danno tissutale e/o del deficit funzionale associati, con lo score LoSCAT (Localized Scleroderma Cutaneous Assessment Tool) e la teletermografia. Risultati: Sono stati inclusi 50 pazienti, 24 con SL degli arti e 26 con SL del volto. La durata media di follow-up è di 7.8 anni (2.1-16.3) e la durata media di trattamento con MTX di 3.1 anni (1.8-8.5). Solo il 16% dei pazienti non ha risposto al MTX, un altro 16% ha avuto almeno una ricaduta di malattia, mediamente 30 mesi dopo l’avvio del MTX, mentre il 10% ha presentato ripetute ricadute. A 5 anni di follow-up l’82% ha ottenuto la remissione parziale (malattia inattiva in corso di terapia) e il 18% la remissione completa (malattia inattiva, fuori terapia da oltre 2 anni), ma a 10 anni di follow-up è l’80% dei pazienti ad ottenere la remissione completa. Nel gruppo dei 16 pazienti con malattia da più di 10 anni, la remissione completa è stata riportata nel 88%. All’ultima visita il danno tissutale è risultato lieve nel 42% dei casi, moderato nel 32% e severo nel 26%. La presenza di limitazione funzionale associata alla malattia è stata riportata nel 42% dei pazienti con SL degli arti. La severità del danno tissutale non è risultata correlata alla durata di malattia né associata a maggiori riattivazioni o al raggiungimento della remissione. Conclusioni: La maggior parte dei pazienti, con il MTX, raggiunge la remissione completa di malattia senza presentare ricadute, e solo una minoranza presenta ripetute riacutizzazioni ed una malattia ancora attiva dopo più di 10 anni. Il monitoraggio a lungo termine, anche dopo la sospensione del trattamento, è cruciale, per identificare tempestivamente le possibili ricadute e trattarle adeguatamente. Nel complesso, le sequele estetiche e funzionali sono comunque rilevanti, probabilmente poichè il danno dei tessuti si instaura in una fase precoce della malattia e la sua severità non sembra correlata alla durata di malattia. SESSIONE: LA REUMATOLOGIA NELL’AMBULATORIO DEL PEDIATRA DI LIBERA SCELTA (2) Un particolare caso di tumefazione di caviglia. Marta Mazzoni1, Annalisa Madeo 2,3, Maja Di Rocco 3, Clara Malattia 1,2. 1 Clinica Pediatrica e Reumatologia, Istituto Giannina Gaslini, Genova, Italia. 2 Università degli Studi di Genova, Italia. 3 UOSD Malattie Rare, Istituto Giannina Gaslini, Genova, Italia. Caso clinico: Ajet, 8 anni, da fine febbraio 2017 ha cominciato a presentare tumefazione e dolore a livello della caviglia sinistra, senza storia di traumi ne’ episodi infettivi. All’esame articolare presentava tumefazione del versante mediale dell'estremità distale della tibia sinistra, particolarmente evidente in sede sovramalleolare. Gli esami ematochimici mostravano valori normali di emocromo, funzionalità epato-renale, LDH, PCR. L’ecografia muscolo-scheletrica non mostrava distensione del recesso articolare dell’articolazione tibio-tarsica e subtalare, nè segni di tenosinovite. Veniva evidenziata però minima irregolarità del profilo osseo metafisario distale della tibia, evidente anche all'esame radiografico, con associato lieve ispessimento ipoecogeno dei tessuti molli al di sopra del profilo osseo nella stessa sede. Veniva eseguito approfondimento mediante RM e TC, che evidenziavano un’alterazione di segnale a carico della spongiosa e della corticale della metafisi tibiale distale, con reazione periostale armonica e iperintensità e CE dei tessuti molli periossei, in assenza di neotessuto periosseo. Il quadro risultava di non univoca interpretazione e meritevole di indagine

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bioptica che risultava sostanzialmente negativa. Venivano ripetuti gli esami ematochimici che mostravano un lieve incremento degli indici bio-umorali di flogosi (PCR 0,58 mg/dl, VES 32 mm1h) con emocromo e funzionalità epato-renale sempre nei limiti. Si segnalava valori di fosfatasi alcalina (ALP) inferiori alla norma per l'età (59 UI/l, v.n. 96-187), con livelli carenti di vitamina D25OH 14.4 ng/ml (carenzaT (p.Ser181Leu) nell’esone 6. Questa variante è stata precedentemente descritta in eterozigosi composta in un paziente con una forma infantile di HPP con attività enzimatica residua. Discussione: l’HPP è una malattia metabolica genetica rara dovuta a mutazioni del gene che codifica per la ALP tessuto non-specifica, la cui bassa attività sierica, associata a una mineralizzazione difettosa delle ossa e/o dei denti, costituisce l’elemento diagnostico caratteristico. Le manifestazioni cliniche dell’HPP sono estremamente variabili e costituiscono uno spettro continuo di gravità. Come nel caso di Ajet, sono anche riportati dolori osteo-articolari e difficoltà di deambulazione, mentre la tumefazione periarticolare non è una presentazione tipica dell’HPP. Tuttavia, essendo il quadro clinico del nostro paziente di lieve entità al momento è stato deciso di non avviare terapia enzimatica sostitutiva con asfotase alfa, il cui avvio tempestivo è invece fondamentale nelle forme severe. La gestione del bambino con malattia reumatologica nell'ambulatorio del PLS: dai FANS ai farmaci biologici. Francesca Ricci Il paziente con malatia cronica reumatologica necessita di controlli clinici e laboratoristici seriati, per monitorizzare l'andamento di malattia, controllare la compliance alla terapia e gli effetti collaterali della stessa. Il pediatra di base puo collaborare con lo specialista nell'individuare precomente le ricadute di malattia e in molti casi, iniziare autonomamente una terapia d'attacco. I famaci più sicuri e maneggevoli da usare come terapia di prima linea , per esempio, nelle ricadute di artrite sono sicuramente i FANS: naprossene, ibuprofene, flurbiprofene.Tali farmaci vanno prescritti per almeno 15 giorni e preferibilmente in associazione con un protettore gastrico. Il secondo farmaco più usato in reumatologia Pediatrica è il metotrexate, i cui effetti collaterali più frequenti sono nausea, vomito: utile puo quindi essere l'aisulio di farmaci antiemetici di origine natuirale a base di zenzero. Poichè il metotrexate puo provocare alterazioni della crasi ematica e alterazione della funzionalità epatorenale, è fondamentale che il paziente controlli regolarmente gli esami ematici in modo da poter effettuare eventuali modifiche nel dosaggio terapeutico. Importante è che il Pediatra sia conoscenza delle interazioni delle terapie assunte dal paziente con altri farmaci o sostanze, in particolare per qunto riguarda la colchicina e la ciclosporina. E' importante che il paziente in terapia immunosoppressiva che presenta febbre sia prontamente valutato dal pediatra per stabilire l'eventuale sospensione della terapia. Il pediatra potrà inoltre dare indicazioni sulle vaccinazioni a cui il paziente può sottoporsi senza problemi. Studio della copertura vaccinale e delle reazioni avverse nei pazienti affetti da sindrome autoinfiammatoria (AID) in una singola coorte in Italia Enrica Toniolo1, Leonardo Oliveira Mendonça1; Caterina Matucci Cerinic1,2; Sara Signa1,2; Marta Bustaffa1,2; Matteo D’Alessandro1,2; Alessandro Consolaro1; Clara Malattia1; Stefania Viola1; Stefano Volpi1; Roberta Caorsi1; Marco Gattorno1. 1Clinica Pediatrica e Reumatologia, IRCCS Istituto G.Gaslini 2DINOGMI, Università di Genova, Genova Introduzione: Le malattie autoinfiammatorie (AID) sono un insieme di disordini immunologici legati a mutazioni genetiche dell’immunità innata. La riattivazione della malattia di base in seguito alla vaccinazione è ben nota nei pazienti con Sindrome da IperIgD, ma potrebbe interessare anche altri pazienti con AID. A seguito dei recenti movimenti anti-vaccino sono riemerse in Europa malattie prevenibili con l’immunizzazione, inoltre l’errata interpretazione di reazioni avverse può culminare in un problema di sanità pubblica. Lo scopo di questo studio è quello di condurre un’indagine in una singola coorte di pazienti AID in Italia focalizzata sulla copertura vaccinale e sulla loro sicurezza in questa specifica popolazione. Materiali e metodi: Lo studio è stato condotto sui pazienti che sono seguiti presso l’ambulatorio della Pediatria II dell’Istituto Giannina Gaslini. Sono stati presi in considerazione tre gruppi di pazienti: le forme monogeniche di AID, quelle ben definite clinicamente e le forme indefinite. Ad ognuno dei soggetti inseriti nello studio è stato sottoposto un questionario. Il Registro Internazionale Eurofever è stato usato come strumento

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comparativo per la distribuzione geografica, demografica delle AID e per valutare i triggers di malattia. Come controllo negativo di malattia è stato utilizzato un gruppo di pazienti affetti da Artrite Idiopatica Giovanile (AIG) seguiti presso lo stesso centro. Risultati: Sono stati distribuiti 150 questionari ai pazienti AID con un tasso di risposta del 74%. La copertura vaccinale risulta essere appropriata per le vaccinazioni obbligatorie; per quelle facoltative, invece, i tassi di adesione risultano essere inferiori. Reazioni avverse gravi associate alla riattivazione della malattia di base sono state osservate in pazienti affetti da Sindrome TRAPS, PFAPA e IperIgD. Al contrario nei pazienti affetti da CRMO e Sindrome CAPS non si registra alcun tipo di effetto avverso. In totale nello studio sono state considerate 1729 dosi di vaccino somministrate ed un totale di 11 reazioni avverse gravi dunque un tasso di 6,36 X 1000. Nel gruppo di controllo (AIG) il tasso di copertura vaccinale è sovrapponibile al precedente per tutti i vaccini eccetto per l’MPR in cui si regista una copertura inferiore dovuta alla terapia con farmaci biologici. Il tasso di reazioni avverse gravi è del 4,5 X 1000. Conclusioni: I pazienti affetti da AID, in linea generale, effettuano con regolarità le vaccinazioni obbligatorie, quelle facoltative invece sono eseguite con una minor frequenza. Questo dato potrebbe rappresentare un potenziale rischio alla luce delle alterazioni del sistema immunitario e della terapia in atto in questi soggetti. Il tasso di reazioni avverse gravi è più elevato rispetto al gruppo di controllo e alla popolazione generale. Sarebbe utile condurre studi prospettici per confermare i dati raccolti e per valutare se questi pazienti in seguito alle vaccinazioni raggiungano un titolo anticorpale sufficiente SESSIONE: ANTI-PHOSPHOLIPID SYNDROME: HOW TO DIAGNOSE IT, HOW TO TREAT IT Un raro caso in età pediatrica di “Nefropatia da sindrome da anticorpi antifosfolipidi secondaria a Lupus Eritematoso Sistemico” Conti G1, Barone P2, Fede C1, Spinuzza A1, Paternò S2, Chimenz R1 1 UO Nefrologia e Reumatologia Pediatrica, AOU Policlinico G Martino, Messina 2 UO Broncopneumologia Pediatrica, Ambulatorio di Reumatologia, AOU Policlinico Vittorio Emanuele, Catania Introduzione L’interessamento renale da “sindrome da anticorpi antifosfolipidi” (APS) può essere vario. Proponiamo questo caso clinico per il decorso e le decisioni diagnostiche e terapeutiche Ragazza, 12 anni e mezzo, dopo un mese persistente di malessere generale, con febbre ed artralgie, riscontrava piastrinopenia (35000), anemia (Hb 7.5) e tendenza alla leucopenia. Effettuato aspirato midollare nella norma. Proseguiva controlli che documentavano: incremento di VES, PCR e LDH, ipocomplementemia e lieve insufficienza renale acuta (IRA). Successivamente peggioramento delle condizioni generali e della IRA (creatininemia 5 mg/dl, proteinuria 12 g/24h) e grave ipertensione arteriosa (trattata con triplice terapia). Gli ulteriori esami documentavano: positività di ANA, Ab anti-nDNA, ACA, antibeta2glicoproteine e LAC. Posta diagnosi di nefrite lupica si avviava protocollo Eurolupus. Nelle successive settimane progressivo miglioramento. Dopo i 6 boli di CTX: Hb 10.4, piastrine 340.000, creatininemia 1.2 mg/dl, clearance creatinina 65 ml/min/1,73mq, proteinuria 2.7 g/24h. Per valutare il proseguo della terapia si eseguiva biopsia renale che documentava “Microangiopatia trombotica in associazione a Glomerulonefrite membranosa lupica”. Rivalutando il caso clinico propendevamo per “Nefropatia da APS secondaria a LES”. Si proseguiva terapia con immunosoppressore (Micofenolato 2 g/die), riduzione del cortisone fino alla sospensione, inserendo cardioaspirina per la APS, ACE-Inibitori e sartanici per ridurre proteinuria e pressione arteriosa. Dopo 3 anni dall’esordio la ragazza presenta buone condizioni generali, senza recidive. PA 110/70 mmHg. Gli esami di laboratorio documentano una funzione renale ai limiti della norma (creatinina 0,72 mg/dl, clearance 107 ml/min/1,73 mq, proteinuria 175 mg/24h), emocromo e complemento nella norma; nDNA ed ENA negativi, ANA, ACA IgG e antibeta2glicoproteina IgG debolemente positivi. Discussione Dato il rapido peggioramento renale e dato che l’ipertensione arteriosa grave associata a piastrinopenia e positività per APS determinavano un alto rischio emorragico post-biopsia renale, si avviava subito il protocollo Eurolupus con progressivo ed anche rapido miglioramento. Al termine del protocollo, la biopsia renale ha maggiormente evidenziato i segni istologici di una nefropatia da APS che da LES. In questa nefropatia, il danno renale avviene attraverso una combinazione di due processi patologici: deposito di

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immunocomplessi e microangiopatia trombotica. E pertanto il trattamento deve essere combinato: immunosoppressivo+anticoagulante Conclusioni Ad oggi, sono descritti pochi casi in letteratura di “nefropatia da APS e LES” in età pediatrica . Riteniamo importante in casi clinici simili di eseguire, quando le condizioni lo permettono, una biopsia renale. Infatti l’associazione di dati clinici, laboratoristici e istologici può permettere di formulare una diagnosi certa e quindi eseguire il trattamento più opportuno. L’outcome a lungo termine dei bimbi nati da pazienti con anticorpi antifosfolipidi Laura Andreoli Durante la gravidanza, gli anticorpi antifosfolipidi (aPL) di classe IgG possono attraversare la placenta e raggiungere il circolo fetale similmente a quanto accade alle comuni immunoglobuline che hanno il compito di trasferire passivamente al feto l’immunità materna contro le infezioni. Ci si può dunque interrogare su quelli che possano essere gli effetti della esposizione in utero ad aPL materni, sia in termini di sviluppo di trombosi nel neonato sia di possibili alterazioni dello sviluppo neurologico dei bambini a causa di possibili interferenze degli aPL sul sistema nervoso fetale in formazione. Trombosi neonatali in neonati di madri con Sindrome da Anticorpi Antifosfolipidi. Dal confronto tra 71 neonati nati da madri con sindrome primaria da antifosfolipidi (APS) e altrettanti bambini nati da madri sane, abbinati per epoca gestazionale, peso alla nascita, modalità di parto ed eventuali complicanze ostetriche, non sono emerse differenze nell’incidenza di patologie neonatali o di ammissione alla terapia intensiva neonatale (1). Rare sono le descrizioni di eventi trombotici nei neonati di pazienti con APS: 15 lavori hanno riportato 24 casi (2); il Registro Europeo dei bambini nati da pazienti con APS non ha riscontrato alcun caso di trombosi (3,4,5). Nell’ambito di 201 gravidanze seguite in 125 pazienti con APS primaria in un singolo centro dal 1985 al 2014, solamente un caso di APS neonatale è stato osservato (una bambina nata prematura a 31 settimane del peso di 1110 grammi) (6). Pertanto, le complicanze trombotiche nei neonati sono rare, nonostante il teorico potenziale patogenetico degli aPL materni trasmessi al feto attraverso la placenta (7,8). Sviluppo Neuropsicologico dei bambini nati da madri portatrici di aPL (con o senza concomitante Lupus Eritematoso Sistemico) Il fatto che la mamma sia affetta da Lupus Eritematoso Sistemico (LES) non sembra avere un impatto sul livello di intelligenza dei bambini. Tuttavia, studi condotti alcuni decenni fa riportavano una tendenza a sviluppare disturbi dell’apprendimento (dislessia, discalculia) nei figli maschi (9,10,11). Studi più recenti hanno suggerito che la presenza di disturbi dell’apprendimento e del linguaggio potessero essere associati alla positività materna per anticorpi antifosfolipidi (3, 12, 13, 14, 15). Tuttavia, esistono differenze metodologiche da studio a studio e non vengono tenuti in considerazione fattori di rischio noti quali la prematurità e il peso alla nascita. Un recente studio (16), condotto da un team multidisciplinare includente neuropsichiatri infantili, ha indagato lo sviluppo neuropsicologico di 40 bambini (età mediana 7.4 anni) esposti in utero a aPL materni (madri affette da LES o APS primaria). Non sono stati riscontrati problemi dal punto di vista cognitivo (normale livello di intelligenza), tuttavia disturbi del sonno e problemi minori della sfera affettivo-comportamentale sono stati rilevati rispettivamente nel 30% e nel 20% dei casi. Disturbi dell’apprendimento erano noti per 3 dei 16 bambini in età scolare (19%), con la particolarità che tutti questi bambini erano nati da madri con un profilo di triplice positività per aPL. Nonostante vi siano delle evidenze sperimentali che suggeriscano un impatto negativo degli aPL sullo sviluppo del sistema nervoso fetale (8), è necessario considerare che gli studi condotti finora hanno rilevato dei problemi dello sviluppo neuropsicologico che possono essere multifattoriali (non solo fattori pre-natali, ma anche post-natali) e che comunque sono gestibili e superabili con una diagnosi tempestiva e un approccio specialistico. BIBLIOGRAFIA 1. Tincani A, Rebaioli CB, Frassi M, et al. Pregnancy and autoimmunity: maternal treatment and maternal disease

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Results from the Italian Registry of Autoimmune Congenital Heart Block (Lu.Ne Registry): pregnancy, foetal outcomes and recurrence of CHB. Micaela Fredi 1 Rheumatology and Clinical Immunology Unit and Department of Clinical and Experimental Sciences, University of Brescia, Italy 1 L. Andreoli, 2 V. Cappa, 1 F. Franceschini, 3 A. Lojacono, 3 S. Zatti, 2 S. Calza, 4 A. Brucato, 1 A. Tincani, on Behalf of Lu.Ne Registry authors 2, Department of Molecular and Translational Medicine, University of Brescia, 3 Obstetrics and Gynecology, Spedali Civili Brescia, 4 ASST Papa Giovanni XXIII, Bergamo, Background: Cardiac neonatal lupus is due to placental transfer of maternal anti-SSA/Ro and anti-La/SSB autoantibodies to the fetus and mainly includes congenital heart block (CHB) and dilated cardiomyopathy. The prevalence of CHB has been estimated as 1-2% in anti-SSA/Ro women while the recurrence rate is 16-19%(1). Cardiac manifestations are associated with a high rate of fetal/neonatal mortality and in the majority of cases requires pacemaker pacing (2-6). Objectives: The rarity of this condition requires the establishment of collaborative registries in order to improve our knowledge. Here we report the data of the ongoing Italian Registry of the autoimmune congenital heart block (Lu.Ne), which was recently created. Material and Methods: The aim was to collect retrospective and prospective pregnancies complicated with CHB in patients with antibodies. Data regarding demography, treatment, maternal and neonatal outcome and follow-up were collected through an online electronic datasheet prepared in a Research Electronic Data Capture platform. Results: Eighty-nine cases of CHB were collected in 85 women with 88 pregnancies that occurred between 1969-2017. CHB was mostly detected in utero (84 cases, 94.2%) with 5 neonatal CHB. The mothers were mostly caucasians (79, 93%) and a prezexistent diagnosis of systemic connective tissue disease was present in 55% of them. Complete CHB (III degree) occurred in 56 cases (66.7%), with 5 cases of intermittent

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II-III degree. Globally, a permanent peacemaker was implanted in 44 children (61%); whereas child mortality was observed in 23 (25.8%) cases: 12 fetal, 5 termination of pregnancy and 6 postnatal. Maternal and fetal risk factors for fetal mortality were analyzed and, at univariate analysis, factors associated with death were an earlier detection of CHB (20.7 ±1weeks versus 24.9±5.6 weeks; p value =0.003), hydrops (p=0.004; OR=13.1; CI95% 2.28-75) and pericardial effusion (p=0.007;OR>100; CI95% 2.88->100). Thirteen patients had 16 subsequent pregnancies with 17 children: 14 unaffected and 3 with CHB, with a recurrence rate of 17.6%. Conclusions: The Lu.Ne registry is an ongoing project aiming at collecting all Italian CHB. Up to now, our data showed similar rate of fetal/neonatal death and of PM implantation previously reported. We confirmed that hydrops and pericardial effusion are risk factors for fetal death. A peculiarity of our cohorts is that the majority of the mothers had an established diagnosis of systemic autoimmune disease at CHB detection, whereas in other registries CHB was mostly incidentally detected in healthy women. This discrepancy is probably related to a recruitment mostly performed in Rheumatology or Internal Medicine Units that has to be confirmed with the collection of cases from Gynecological and Pediatric Centres. SESSIONE: LA TRANSIZIONE IN REUMATOLOGIA: ALLA RICERCA DELLA RICETTA PERFETTA La percezione dell'impatto di malattia nei genitori e pazienti con Artrite Idiopatica Giovanile: Risultati dei Focus Group Virtuali condotti dall’OMERACT JIA Working Group Alessandra Alongi1, Serena Calandra1, Susan Thornhill2, Jennifer Stinson3, Stephanie Luca3, Jennifer Horonjeff4, Angelo Ravelli, Jane E. Munro5, Esi M. Morgan6 Alessandro Consolaro1 1Istituto Giannina Gaslini and University of Genova, Genova, Italy, 2) Thornhill Associates, Hermosa Beach, USA, 3) The Hospital for Sick Children, and University of Toronto, Toronto, Canada, 4) Columbia University Medical Center, New York, USA 5) Murdoc Introduzione: La riduzione dell’impatto della malattia sulla vita dei pazienti e dei caregivers rappresenta uno dei principali obiettivi del trattamento dell’Artrite Idiopatica Giovanile (AIG). Nell’ambito del lavoro svolto dal OMERACT JIA Core Set Working Group per incorporare le prospettive dei pazienti in un nuovo core set di misure di outcome per l’AIG, sono stati condotti focus group virtuali (FGV), come parte di una collaborazione internazionale, allo scopo di identificare i temi di maggiore importanza per i pazienti riguardo l’impatto sulla salute fisica e psicosociale dei diversi stati di attività della malattia. Obiettivi: 1) Indentificare temi e domini più rilevanti per pazienti e caregivers, evidenziando eventuali differenze cross-culturali 2) Individuare le caratteristiche che più differenziano gli stati di attività malattia dalla prospettiva del paziente Materiali e Metodi: 41 partecipanti italiani sono stati arruolati nei FGV, già condotti su un analogo campione statunitense (n=43). Due set di sessioni online, della durata di 3 giorni, con genitori e pazienti distinti in due gruppi sulla base dell’età (adolescenti e giovani adulti) e dell’età dei figli ( 10 anni) rispettivamente, sono state moderate da un facilitatore. Nella discussione, centrata sull’impatto di malattia e le differenze percepite tra gli stati di attività e remissione, è stato chiesto di identificare e priorizzare le 5 caratteristiche più rilevanti nella definizione di malattia inattiva dal punto di vista del paziente. Un’analisi a metodi misti (qualitative e quantitativa) è stata condotta comparativamente sui trascritti dell’edizioni italiane e statuninense. Risultati: Gli aspetti psicosociali e le limitazioni alle attività quotidiane sono emersi come domini principali in tutti i gruppi. La paura delle ricadute e l’impatto delle terapie sono risultati temi rilevanti e specifici per pazienti e genitori Italiani, mentre la riduzione del rendimento scolastico e lavorativo e gli effetti sulla vita familiare sono stati maggiormente citati nella popolazione statunitense. Un “priority score” generato sulla base del ranking assegnato dalle due popolazioni ha identificato nell’assenza di dolore, tumefazione, limitazioni alle attività quotidiane e disturbi dell’umore le cinque caratteristiche più importanti per la definizione dello stato di malattia inattiva. Conclusioni: L’analisi dei FGV ha consentito di identificare domini e temi condivisi e specifici per le due popolazioni esaminate. I temi emersi, in particolare il ruolo del trattamento e della paura delle ricadute, meritano futuri approfondimenti al fine di definire le strategie più opportune per minimizzare l’impatto della malattia sulla vita dei pazienti e delle famiglie.

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Il giovane adulto con AIG nell’era dei biologici. I. Pontikaki Ambulatorio dedicato alla “Transizione del Giovane Adulto” affetto da reumatismi giovanili Unità Complessa di Reumatologia, ASST Pini/CTO, Cattedra di Reumatologia, Università degli Studi di Milano L’Artrite Idiopatica Giovanile (AIG) è una patologia infiammatoria cronica che colpisce bambini e adolescenti e che presenta profonde differenze rispetto all’artrite dell’adulto, in quanto a manifestazioni cliniche e inquadramento diagnostico e terapeutico. La transizione dalla gestione pediatrica a quella orientata all’adulto è una sfida per il reumatologo poiché costituisce un approccio multidimensionale, caratterizzato da diverse sfaccettature cliniche, psicologiche e sociali. Cinquant’anni di esperienza in reumatologia pediatrica presso un centro di terzo livello dove è possibile continuare a seguire il paziente “giovane adulto” affetto da reumatismi ad esordio giovanile nell’era dei farmaci biotecnologici, ha permesso una profonda evoluzione e rivoluzione nell’outcome e nella gestione dei pazienti affetti da AIG. Dal 1999 al 2016 abbiamo avuto la possibilità di valutare una ampia popolazione di pazienti afferenti all’ambulatorio di transizione del nostro Centro, sia dal punto di vista dell’attività di malattia, della terapia biotecnologica e non, del numero di impianti protesici, delle gravidanze, della mortalità e dell’integrazione sociale (mobilità, impiego lavorativo e livello educativo). La figura del Reumatologo (esperto in AIG) svolge in tal senso un ruolo chiave nella multidisciplinarietà, al fine di coordinare le valutazioni specialistiche di cui necessita questo tipo di paziente. In considerazione della diversità dell’Artrite Reumatoide ad esordio giovanile, la creazione di ambulatori interdivisionali (come quello con il chirurgo dell’Artrite Reumatoide, la Pregnancy Clinic, l’oculista esperto in immunopatologia oculare, il dermatologo e lo psicologo) è l’approccio ideale per offrire al paziente la certezza che, anche se in età adulta, può affrontare le problematiche legate alla malattia, alle sue conseguenze e alla sua terapia presso un Centro dedicato. Ad oggi si può dire che il giovane adulto affetto da AIG è un paziente (prevalentemente donna) con una durata media di malattia di 15-20 anni esordita nella prima decade di vita. Un quinto dei pazienti ha avuto come complicanza un’uveite anteriore, in taluni casi con gravi esiti, come glaucoma o perdita del visus permanente. Un quarto dei pazienti ha avuto necessità di valutazioni ecografiche osteoarticolari comprensive di infiltrazioni articolari (acido ialuronico o corticosteroidi), allo scopo di posticipare un eventuale intervento di protesizzazione. Il tasso di protesizzazione di ginocchia/anche è di circa il 16%. Lo stretto monitoraggio e l’introduzione delle terapie biotecnologiche ha permesso di raggiungere nella maggior parte dei casi una bassa attività di malattia. Nel 2017 possiamo affermare che il paziente affetto da AIG è nella maggior parte dei casi perfettamente integrato nella società, ha un impiego, guida la macchina ed ha una rete di supporto familiare e sociale. Tutto questo viene permesso grazie ad un approccio multidisciplinare verso i singoli pazienti, realizzato da un reumatologo con esperienza nell’AIG con la collaborazione di altri specialisti (oftalmologo, ortopedico, dermatologo, gastroenterologo, ostetrico e psicologo). Influenza dei fattori psicosociali in bambini con artrite idiopatica giovanile e l’impatto di un trattamento psicologico cognitivo-comportamentale Francesco Rogari S.C. di Clinica Pediatrica, Università di Perugia, Azienda Ospedaliera di Perugia, Perugia V. M. Balbo, T. Giani, G. Simonini, S. Esposito, R. Cimaz Struttura complessa di Reumatologia, Università di Firenze, Ospedale pediatrico Meyer, Firenze Introduzione:L’Artrite Idiopatica Giovanile (AIG) è la patologia reumatologica più frequente in età pediatrica, con alternanza di fasi acute, remissione e riattivazione di malattia che possono indurre disabilità, compromissione funzionale e sociale di grado variabile su base di fattori medici (sottotipo clinico, ritardo nella diagnosi, adeguatezza di trattamento) e non-medici (stile di attaccamento, life-events stressanti, strategie di coping, stato emozionale del bambino e dei caregivers). Secondo evidenze scientifiche un intervento cognitivo-comportamentale è efficace nel migliorare capacità di coping e ridurre dolore, flogosi

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articolare, disabilità fisica e sintomi depressivi in pazienti affetti da dolore cronico. Obiettivi:Lo studio indaga aspetti psicosociali di bambini affetti da AIG all’esordio e la sua associazione con valutazione medica di dolore e dello stato di salute globale del bambino al follow-up. Obiettivo secondario è valutare l’efficacia di un intervento cognitivo-comportamentale sullo stato di salute globale di bambini affetti da AIG e dei loro genitori. Materiali e Metodi:Abbiamo condotto uno studio longitudinale aperto su pazienti all’esordio di AIG (ogni sottotipo secondo la ILAR). Durante il colloquio psicologico sono stati somministrati ai bambini questionari per valutare l’attaccamento con i caregivers (Separation Anxiety Test), problematiche psicopathologiche (Child Behavior CheckList), strategie di reazione al dolore (Coping);nsono stati valutati inoltre i life-events e lo stato di ansia ed emozionale (STAI-Y 1 STAI-Y 2) dei caregivers. La valutazione medica è stata ricavata dall’esame clinico (numero di articolazioni attive), laboratoristico (ANA, emoglobina, VES e PCR) e dal CHAQ. Alcuni sono stati assegnati ad un percorso di tipo cognitivo-comportamentale individuale, basato su educazione psicologica dei bambini e dei genitori ai meccanismi di dolore e ansia, insegnando ai bambini a ristrutturare il pensiero negativo associato al dolore con tecniche di rilassamento. I risultati sono stati misurati tramite scale di autovalutazione. Risultati:Sono stati raccolti dati di 40 pazienti con AIG (24 femmine; 16 maschi) con età media all’esordio di 8,5 anni (3-16 anni); il 64.7% ha riportato life-events; lo stato di ansia dei caregivers non è risultato significativamente associato al tipo di AIG. I risultati hanno mostrato un trend positivo nella riduzione di ansia e stato emozionale nei pazienti e nei caregivers che hanno completato il percorso cognitivo-comportamentale ma tale diminuzione non ha raggiunto significatività statistica (p= .44). Conclusioni:L’analisi preliminare ha mostrato che life-events stressanti promuoventi la slatentizzazione di AIG sono: cambiamenti scolastici, malattia di un membro della famiglia, separazione dei genitori, lutto in famiglia. Si è evidenziato che un intervento cognitivo-comportamentale per pazienti affetti da AIG e caregivers potrebbe aiutare nel ridurre il peso della malattia.

POSTER WALK 1 Whole blood phosphorylated STAT1 levels in patients with active macrophage activation syndrome and secondary hemophagocytic lymphohistiocytosis Antonia Pascarella, Claudia Bracaglia, Emiliano Marasco, Ivan Caiello, Gian Marco Moneta, Giulia Marucci, Manuela Pardeo, Fabrizio De Benedetti, Giusi Prencipe Unita Operativa di Reumatologia, IRCCS Ospedale Pediatrico Bambino Gesu' Introduction. Interferon gamma (IFNγ) plays a pivotal role in the pathogenesis of secondary hemophagocytic lymphohistiocytosis (sHLH) and macrophage activation syndrome (MAS). IFNγ is an activator of macrophages and exerts its biological activities by phosphorylation of the transcription factor Signal transducer and activator of transcription 1 (STAT1). Objectives. In this study, we aimed to investigate whether the phosphorylation status of STAT1 in whole blood cells represents a good biomarker for the identification of patients at early stages of MAS/ sHLH. Methods. Whole blood samples from patients with suspected MAS/sHLH both untreated (n=7) and glucocorticoids-treated (n=9) were collected. As controls, whole blood samples from patients with active systemic Juvenile Idiopathic Arthritis (sJIA) without MAS (n=6) and healthy subjects (HS, n=7) were used. Fresh whole blood cells were stimulated with different concentrations of IFNγ (0.01, 0.1, 1, 10 ng/ml) for 10 minutes. The phosphorylation levels of Tyrosine (701) STAT1 (pSTAT1) were evaluated by flow cytometry and results were expressed as Delta mean fluorescence intensity (MFI). Monocyte, neutrophil, natural killer- and T- cell subpopulations were analyzed. In addition, western blot (WB) analyses were performed on unstimulated whole blood cell lysates, to further evaluate the basal levels of pSTAT1 and total STAT1. Results. In both treated and untreated MAS/sHLH patients, flow cytometric analyses showed no significant differences in pSTAT1 levels in unstimulated monocyte, neutrophil, natural killer and T cell subpopulations, compared to sJIA and healthy subjects. When compared to sJIA and healthy subjects, in patients with untreated MAS/sHLH, pSTAT1 levels were significantly higher in monocytes (p<0,01 Vs HS, p<0,05 Vs sJIA and p<0,01 Vs HS, p<0,05 Vs sJIA, for stimulation with 1 and 10 ng/ml of IFN respectively) and neutrophils

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(p<0,05 Vs HS, p<0,05 Vs sJIA and p<0,01 Vs HS, p<0,01 Vs sJIA) stimulated with the higher concentrations of IFNγ (1 and 10 ng/ml). In contrast, we did not find differences in pSTAT1 levels in stimulated monocytes and neutrophils from treated MAS/sHLH patients or those from active sJIA and healthy subjects. WB analyses on patient whole blood cell lysates showed that pSTAT1 levels were markedly higher in untreated MAS/sHLH patients and also in treated MAS/sHLH patients, compared to active sJIA patients without MAS. Conclusions. Our results demonstrate that the combined evaluation of pSTAT1 levels by flow cytometry in monocytes and neutrophils stimulated with IFNγ and by WB in fresh whole blood cell lysates show high levels of pSTAT1 and might contribute to the identification of patients at early stages of MAS/sHLH. In addition, our results further support the involvement of IFNγ in the development of the diseases, as suggested by the increased phosphorylated STAT1 levels exclusively in patients with active MAS/sHLH and not in patients with active sJIA. Interferon (IFN) score tipo I e CXCL10 correlano con l'attività di malattia nei pazienti affetti da dermatomiosite giovanile (DMG) Rebecca Nicolai1, G. M. Moneta1, I. Caiello1, L. Rava’2, S. Rosina3, L. Bracci-Laudiero1, 4, A. Ravelli3, F. De Benedetti1 1 UOC Reumatologia, Ospedale Pediatrico Bambino Gesù IRCCS, Roma; 2 Unità di Epidemiologia Ospedale Pediatrico Bambino Gesù IRCCS, Roma; 3 Reumatologia, Istituto Giannina Gaslini IRCCS, Genova; 4 Istituto di Farmacologia Traslazionale, CNR, Roma Introduzione: Nel muscolo di pazienti affetti da DMG l’espressione di geni indotti da IFNs tipo I e tipo II è aumentata e i livelli di espressione correlano con specifiche alterazioni istologiche delle biopsie muscolari e caratteristiche cliniche dei pazienti. E’ stata inoltre evidenziata up-regolazione di geni interferon-regolati (IRGs) anche nel sangue periferico di pazienti con DMG, suggerendo un loro potenziale ruolo come biomarkers in questa patologia. Obiettivi: Abbiamo voluto studiare l’espressione degli IRGs (misurati come IFN score tipo I) e delle chemochine CXCL9 e CXCL10 (indotte sia da IFNs di tipo I che di tipo II) nel sangue di pazienti affetti da DMG, valutando eventuali correlazioni con parametri clinici e di laboratorio della malattia. Materiali e metodi: Sono stati raccolti 125 campioni di sangue da 28 pazienti DMG in momenti diversi del follow-up. L’espressione degli IRGs (IFI27, IFI44L, IFIT1, ISG15, RSAD2, SIGLEC1) è stata misurata tramite quantitative PCR (qPCR) e utilizzati per calcolare l’IFN score di tipo I. I livelli sierici di CXCL9 e CXCL10 sono stati analizzati mediante ELISA. Ad ogni visita di follow-up sono stati registrati i seguenti dati: valutazione globale di malattia del medico su scala VAS (Visual Analogue Scale), VAS cutanea, CAT (Cutaneous Assessment Tool) activity score, Childhood Myositis Assessment Score (CMAS), livelli sierici di CPK, status degli ANA e degli anticorpi miosite-specifici/miosite-associati (MSA/MAA), dose di prednisone (o equivalente) (mg/kg/die), terapia immunosoppressiva in atto. Risultati: L’IFN score tipo I è risultato significativamente più elevato nei pazienti con caratteristiche cliniche suggestive di malattia in fase attiva (PGA VAS >0.2, CAT activity score≥1, CPK>150 IU/l). I livelli di CXCL10 erano significativamente più elevati nei pazienti con interessamento muscolare attivo (CMAS150 IU/l), mentre i livelli di CXCL9 sono risultati più elevati solo nei pazienti con livelli aumentati di CPK. Utilizzando un modello di analisi multilevel mixed effect, l’IFN score tipo I è risultato significativamente associato con valutazione globale di malattia del medico su VAS, VAS cutanea, CAT activity score, CMAS e livelli di CPK; i livelli di CXCL10 sono risultati associati con il CMAS e i livelli di CPK; CXCL9 non ha mostrato associazioni significative con le variabili cliniche analizzate. Le associazioni evidenziate non sono modificate dall’’inclusione nell’analisi dell’intervallo tra esordio di malattia e momento del prelievo. I farmaci immunosoppressivi modulano negativamente l’espressione degli IRGs e delle chemochine IFN-indotte. Conclusioni: I dati di questo studio hanno evidenziato che I IFN score tipo I e livelli sierici di CXCL10 correlano con l’attività di malattia nei pazienti con DMG, confermando il loro ruolo come possibili biomarkers.

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La via di trasduzione dell’interferone di tipo i: un utile strumento nelle mani del clinico per la diagnosi ed il follow up di disordini autoimmuni/autoinfiammatori. Soliani Martina1, Ricci F 1, Vairo D 2, Masneri S 2,Giliani S 2, Cattalini M 1 1 Clinica Pediatrica, Università di Brescia e ASST Spedali Civili, Brescia, Italy; 2 Istituto di Medicina Molecolare “A. Nocivelli”, Dipartimento di medicina Molecolare e Traslazionale, Università di Brescia, Unità di Citogenetica e Genetica Medi Introduzione L’Interferone di tipo I è strettamente correlato alla patogenesi di disordini poligenici come il Lupus Eritematoso Sistemico (LES) e monogenici, raggruppati sotto il termine di Interferonopatie monogeniche di Tipo I. Obiettivi Lo scopo del nostro studio era valutare la via di trasduzione dell’IFN di tipo I in due diverse popolazioni - LES e sospetta malattia autoinfiammatoria/autoimmune (SAD)- misurando due markers di attivazione della via dell’IFN: STAT1 (sia la proteina totale STAT1 che la sua forma fosforilata pSTAT1) e Interferon Score (IS), che rispecchia l’espressione di 6 geni stimolati dall’IFN. [1] Nel gruppo di pazienti affetti da LES (diagnosi posta sulla base dei criteri ACR), l’obiettivo era di valutare se l’attivazione della via di trasduzione dell’IFN di tipo I correlasse con l’andamento di malattia, misurata con parametri clinici e di laboratorio. Nel secondo gruppo di pazienti, inviati alla nostra attenzione nel sospetto di SAD, ma per i quali non sussistevano i criteri per porre diagnosi definitiva, lo scopo era di valutare se pSTAT1, STAT1 ed IS potessero fungere da “metodica di screening” per selezionare pazienti realmente affetti da patologia ed eventualmente discriminare tra forme acquisite e congenite. Metodi Abbiamo reclutato 21 pazienti: 9 con diagnosi di LES e 12 giunti per SAD. Per tutti i pazienti abbiamo eseguito periodici prelievi per la valutazione della via di attivazione dell’asse dell’’IFN di tipo I (pSTAT1, STAT1 e IS), sempre confrontandoli con controlli sani valutati in parallelo, valutazione clinica e, limitatamente ai pazienti affetti da LES, dosaggio degli anticorpi anti DNA e calcolo dello score SLEDAI. Risultati Nei 9 pazienti affetti da LES abbiamo riscontrato una forte attivazione dell’asse dell’IFN di tipo I. All’esordio di malattia (T1) era presente un incremento statisticamente significativo di IS, pSTAT1 e STAT1 rispetto sia ai controlli che al gruppo dei pazienti SAD (IS: p<0,0001, pSTAT1 and STAT1: p<0,001). Inoltre, confrontando prelievi dei pazienti LES a T1 e a T2 (ΔT: 6-8 mesi), si è assistito ad un significativo decremento dell’entità delle tre variabili, parallelamente ad una riduzione dello SLEDAI ed ad una riduzione del titolo degli anticorpi anti DNA nativo. Solo in tre pazienti con SAD si è osservata attivazione dell’asse, e per questo motivo i pazienti sono stati mantenuti in follow/up. Conclusioni Nei pazienti affetti da LES, abbiamo riscontrato concordanza fra lo score clinico, il titolo di anticorpi anti DNA nativo e la valutazione di STAT1/pSTAT1/IS. I biomarcatori dell’attivazione dell’asse dell’IFN sembrano quindi essere un utile strumento per valutare la risposta terapeutica. Nei pazienti del gruppo SAD, la valutazione dell’asse dell’IFN è stato d’aiuto nel discriminare fra i vari disordini: nella maggioranza dei casi (9/12) la negatività di IS, pSTAT1 e STAT1 ci ha permesso di escludere diagnosi di interferonopatia sia monogenica che acquisita. [1] Rice GI, Melki I, Frémond ML, Briggs TA, Rodero MP, Kitabayashi N, Oojageer A, Bader-Meunier B, Belot A, Bodemer C, Quartier P, Crow YJ. Assessment of Type I Interferon Signaling in Pediatric Inflammatory Disease.J Clin Immunol. 2017 Alta prevalenza di rare varianti del gene FBLIM1 in una coorte italiana di pazienti con CNO. Andrea Taddio1,2, Adamo Pio D’Adamo1,2, Giovanna Ferrara1, Manuela Pardeo3, Marco Cattalini4, Francesco La Torre5, Martina Finetti6, Antonella Meini4, Clotilde Alizzi7, Gabriele Simonini8, Virginia Messia3, Serena Pastore2, Alberto Tommasini2, Rolando Cimaz8, Antonella Insalaco3, Marco Gattorno6. 1Università di Trieste, Trieste, Italia 2Istituto Materno – Infantile - IRCCS “Burlo Garofolo” – Trieste, Italia 3Dipartimento di Medicina Pediatrica, Divisione di Reumatologia, Ospedale Peditrco Bambino Gesù, Roma, Italia. 4Clinica Pediatrica, Università di Brescia e Spedali Civili di Brescia, Brescia, Italia. 5Centro Regionale di Reumatologia Pediatrica, Dipartimento di Pediatria, Ospedale Antonio Perrino, Brindisi, Puglia, Italia.

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6Istituto "G. Gaslini", UO Pediatria II, Genova, Italia. 7Ospedale dei Bambini "G. Di Cristina”, Palermo, Italia. 8Unità di Reumatologia Pediatrica, AOU Meyer, Università di Firenze, Firenze, Italia.

Introduzione. L'osteomielite cronica non batterica (CNO) è una rara malattia infiammatoria caratterizzata dall'insorgenza di dolore, di tumefazione ossea locale e da reperti radiologici che suggeriscono un'osteomielite, di solito in più siti contemporaneamente. Sebbene la patogenesi della CNO resti ancora sconosciuta, l'ipotesi che la CNO possa essere una malattia genetica nello spettro dei disordini autoinfiammatori ha acquisito importanza. La più forte evidenza proviene dalle forme sindromiche di CNO (sindrome di Majeed e Cherubismo) e dalla presenza di osteomielite infiammatoria cronica in due malattie monogeniche causate da mutazioni di geni coinvolti nell'attivazione del NLRP3 (artrite piogenica, pioderma gangrenoso e acne: PAPA ) e deficit di IL-1 beta recettore (carenza di antagonista del recettore IL-1: DIRA). Sebbene sia stato suggerito l'esistenza di geni che contribuiscono alla CNO sporadica, non è stato ancora identificato un gene specifico che possa essere correlato alla malattia; tuttavia è stato recentemente dimostrato che FBLIM1, una proteina coinvolta nella regolazione del rimodellamento osseo, potrebbe essere coinvolta nella patogenesi della CNO. Obiettivi. Sequenziare FBLIM1 in una coorte di 83 pazienti italiani con CNO e correlare i risultati con le manifestazioni cliniche. Metodi. Le regioni codificanti FBLIM1 sono state sequenziate in una coorte di 83 pazienti affetti da CNO utilizzando DNA purificato dal sangue. Le PCR sono state inviate per il sequenziamento in Sanger. Sono state prese in considerazione solo le varianti rare (MAF globale <2%). È stata eseguita una valutazione clinica tra pazienti con varianti rare e senza varianti. Il test esatto di Fisher è stato utilizzato per confrontare i dati categoriali e ordinali e il test t di Student è stato utilizzato per analizzare i dati continui. Risultati. Dieci su 83 pazienti presentavano almeno una rara variante codificante nel gene FBLIM1. Un paziente era un composto eterozigote (rs114077715 / rs146575757), mentre un paziente presentava una mutazione omozigote (rs540511146). Otto pazienti presentavano varianti eterozigoti mai descritte prima (Tabella). Tutti i pazienti presentavano caratteristiche classiche della CNO e differenze statistiche tra pazienti con presenza di FBLMI1 e quelli senza mutazioni genetiche non sono stati trovati in termini di prevalenza di sesso, storia familiare positiva, età all'esordio, numero di localizzazioni coinvolte, presenza di febbre, artrite, coinvolgimento cutaneo e prevalenza della remissione alla fine del follow-up. Conclusione. I nostri dati sembrano confermare un possibile ruolo di FBLIM1 nella patogenesi della CNO, suggerendo che la CNO è un disturbo dell'infiammazione cronica e di uno sbilanciamento del rimodellamento osseo.

Tabella. Pazienti con CNO con varianti rare di FLBM1non descritte

Paziente Variante MAF Cambiamento Amino Acidico

2 rs41310367 0.01 c.250+32 C>A Eterozigote

3 rs41310367 0.01 c.250+32 C>A Eterozigote

4 rs114077715 0.011 c.931G>A Eterozigote

6 rs 187479896 0.0008 c.717+14 A>G Eterozigote

7 rs144567113 0.01 c.718-29 C>T Eterozigote

8 rs144567113 0.01 c.718-29 C>T Eterozigote

9 rs144567113 0.01 c.718-29 C>T Eterozigote

10 rs766409425 0.00002 c.541+13G>A Eterozigote

Studio molecolare dei geni associati a Linfoistiocitosi Emofagocitica familiare (HLH) nella Sindrome da Attivazione Macrofagica (MAS) e nelle HLH secondarie mediante NGS C. Passarelli1, M. Pardeo2, I. Caiello2, E. Pisaneschi1, A. Insalaco2, F. Minoia3, A. Taddio4, F. Licciardi5, A. Novelli1, F. De Benedetti2, C. Bracaglia2 1Laboratorio di Citogenetica e Genetica Molecolare, UO Genetica Medica, Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, IRCCS, Roma 2Divisione di Reumatologia, Dipartimento di Medicina Pediatrica, Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, IRCCS, Roma

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3 Reumatologia Pediatrica, IRCCS Istituto Giannina Gaslini, Genova 4 Istituto per l’infanzia - IRCCS “Burlo Garofolo” – Trieste, Università di Trieste 5 SCDU Pediatria II, Immunoreumatologia, Ospedale Pediatrico Regina Margherita, Torino Introduzione. La MAS, complicanza delle malattie reumatologiche, specie l’AIGs,è classificata tra le forme secondarie di HLH (sHLH). Le HLH primarie (pHLH) sono causate da mutazioni in geni associati alle funzioni citotossiche cellulari. Studi su modelli murini hanno dimostrato che varianti in eterozigosi in più geni associati alla pHLH determinano un maggior rischio di sviluppare sHLH in seguito ad un’infezione virale. Questo suggerisce che più mutazioni possono essere rilevanti nella patogenesi dell’HLH. Obiettivi Il nostro studio mira a implementare le conoscenze sulla MAS e la sHLH attraverso i dati ottenuti con NGS sui geni associati a pHLH in pazienti con MAS e sHLH. Metodi Abbiamo applicato un protocollo di Targeted Resequencing su un pannello comprendente i 7 geni principali associati a HLH (PRF1, UNC13d, STX11, STXBP2, RAB27a, XIAP, SH2D1A). Abbiamo utilizzato le piattaforme MiSeq® e NextSeq® Illumina, confermando tutte le varianti identificate con sequenziamento Sanger. Abbiamo preso in considerazione soltanto le varianti con una frequenza allelica nella popolazione globale <5% nei database dbSNP e Ensembl. Risultati Abbiamo analizzato 125 pazienti (pz): 47 MAS (di cui 40 nell’ambito di un’AIGs), 32 sHLH, 22 AIGs (senza storia di MAS) e 24 con varie patologie autoinfiammatorie (AID). I pz con AIGs e AID sono stati utilizzati come gruppo di controllo. Nel 52% dei pz (45%MAS e 62%sHLH) è stata identificata almeno una variante in uno dei geni analizzati e nel 37% sono state riscontrate varianti in più di un gene. Nel gruppo di controllo, il 54% con AIGs e il 33% con AID porta almeno una variante in uno dei geni analizzati, mentre varianti poligeniche sono state riscontrate rispettivamente nel 14% e nell’8% dei pz. I geni maggiormente coinvolti in entrambi i gruppi MAS e sHLH sono PRF1 e UNC13d, mentre varianti in RAB27a e XIAP sono state identificate soltanto nei pz con sHLH. Le varianti più frequentemente identificate in entrambi i gruppi sono state A91V in PRF1 e R928C in UNC13d. La variante A91V è stata riscontrata nel 19% dei pz sia con MAS che con sHLH e nel 5% e 4% dei pz con AIGs e AID, rispettivamente. La variante R928C è risultata presente nel 32% delle MAS, nel 18% delle sHLH, nel 9% delle AIGs e nel 17% delle AID. Riguardo le caratteristiche cliniche dei pz, recidiva, coinvolgimento del SNC, ricovero in terapia intensiva e morte, abbiamo osservato che, fra le sHLH, il 50% dei pz con varianti poligeniche ha avuto episodi recidivanti di HLH e il 33% ha sviluppato una patologia molto grave con exitus. Conclusioni Varianti monoalleliche dei geni associati a pHLH sono più frequenti in pz con MAS, sHLH e sJIA e meno in quelli con AID, suggerendo il coinvolgimento di differenti meccanismi molecolari in queste patologie. Nei pz con sHLH la ricorrenza degli episodi e la severità della patologia sembrano essere più frequenti fra quelli con varianti in più di un gene. Questi dati supportano l’ipotesi di un modello poligenico di malattia.

Comparison between the classification of patients with hereditary recurrent feverbased on genetic or

clinical and genetic information

S. Federici 1, 2 1Division of Rheumatology, Istituto Giannina Gaslini, Genova, 2Division of Rheumatology, IRCCS Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, Rome, Italy

F. Vanoni3, 4, F. Bovis5, N. Ruperto1, M. Hofer6, M. Gattorno1 3Department of Pediatrics, Ospedale San Giovanni, Bellinzona, 4Unité Romande d'Immuno-rhumatologie

Pédiatrique, CHUV, University of Lausanne, Lausanne, Switzerland, 5Biostatistics Unit, Department of Health

Sciences, University of Genoa, 6Division of Rheumatology, Istituto Giannina Gaslini, Genoa, Italy, 7Unité Romande d'Immuno-rhumatologie Pédiatrique, CHUV, University of Lausanne, Lausanne, Switzerland Introduction: Recently a group of geneticists classified the variants reported in Infevers at March 2017 for

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the MEFV, MVK, TNFRSF1A and NLRP3 gene and propose a genotype interpretation according to the

combination of the single variants and mode of inheritance of the diseases (J Med Genet 2018) Objectives: To evaluate the concordance between the pathogenicity classification proposed by geneticists

and the classification in 360 real patients blinded evaluated by 33 experienced experts Materials and methods: 360 patients with recurrent fever were analyzed during the process of patients’ validation performed for the identification of the new Eurofever classification criteria (Gattorno, PRES 2017, in preparation).We compared the pathogenicity classification of the genotype with the final classification reached by the experts. According the geneticists classification each variant was classified in pathogenic (P), likely pathogenic (LP), variant of unknown significance (VOUS), benign (B), likely benign (LB) in a validated or provisional way. Variant for which a consensus was not reached were classified as unsolved. The genotype was considered i)confirmatory, if the patient carries 1 P or LP variant in autosomal dominant (AD) diseases or 2 P/LP variants in autosomal recessive (AR) disease; ii)consistent, in presence of 2 P or LP variants (not phased) or 1 P/LP variant and 1 VOUS or unsolved variant in AR diseases; iii)of uncertain significance, if composed by 1 VOUS variant in AD diseases or 2 VOUS variants in AR diseases. We defined as not confirmatory the genotype of patients carrying 1 or more variants and not included in the previous groups

(i.e heterozygous patients for AR diseases) or negative patients for genetic analysis Results: A total of 281 patients reached a consensus during the evaluation by the experts. The majority of patients with consensus obtained the classification as confirmatory or consistent genotype. The most relevant discrepancy observed was the lack of classifications of some heterozygous patients (7 FMF and 2 MKD) for AR diseases in the consensus group. The 2 MKD patients were positive for mevalonic acid in the urine. Only 1FMF, 1 CAPS and 2 TRAPS with uncertain pathogenic variants reached a consensus among the experts (table 1)

Conclusion: Generally a good correlation between the two methods of classification was observed. Nonetheless a limitation of this method might be the lack of classification of a subgroup of patients (heterozygous patients in AR disease) that otherwise reached a consensus on the diagnosis when considering both clinical and genetic data.

PTS with consensus PTS with no consensus

N° of

pts Genetic classification

N° of

pts Genetic classification

FMF 36

Confirmatory/consistence 27/36 (75%) Uncertain significance 1/36 (3%)

Not classify 1/36 (3%) Not confirmatory 7/36 (19%) (7/7 heterozygous for

pathogenic variants)

15

Confirmatory/consistence 3/15 20% Not classify 2/15 13%

Not confirmatory 10/15 (67%) (9/10 heterozygous for pathogenic variants)

MKD 56

Confirmatory/consistence 50/52 (96%)

Not confirmatory 2/52 (4%) (2/2 heterozygous for pathogenic variants)

3

Confirmatory/consistence 1/3 (33%)

Not confirmatory 2/3 (67%) (2/3 heterozygous for pathogenic variants)

CAPS 32

Confirmatory/consistence 27/32 (84%) Uncertain significance 1/32 (3%) (1 V198M)

Not classify 4/32 (13%) 19

Uncertain significance 13/19 (68%) (13/13 Q703K or V198M)

Not confirmatory 6/19 (32%) (6/6 genetically NEGATIVE)

TRAPS 39

Confirmatory/consistence 36/39 (95%) Uncertain significance 2/39 (5%) (1 R92Q, 1 D12E)

Not classify 1/39 11

Confirmatory/consistence 2/11 (18%) Uncertain significance 7/11 (64%) (6/7 R92Q, 1/7 P46L)

Not confirmatory 1/11 (9%) (1/1 genetically NEGATIVE) Not classify 1/11

UNDEF. 81

Confirmatory/consistent 1 pts for MVK Uncertain significance 2 pts for MEFV

Not confirmatory (9 pts for MEFV, 7 pts for NLRP3, 8 for TNFRSF1A)

14

Uncertain significance (2 pts for TNFRSF1A, 3 pts for NLRP3)

Not confirmatory 1 for MEFV

PFAPA 37 Uncertain significance (1 pts for NLRP3, 3 for TNFRSF1A)

Not confirmatory (3 pts for MEFV)

17 Uncertain significance (1 pts for NLRP3, 1 for TNFRSF1A)

Not confirmatory (2 pts for MEFV, 1 for MVK)

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POSTER WALK 2 Il profilo di sicurezza degli inibitori dell'Interleuchina 1 Anakinra e Canakinumab nella pratica clinica: studio osservazionale retrospettivo multicentrico nazionale. Carla Gaggiano1, Jurgen Sota2, Antonio Vitale2, Antonella Insalaco3, Paolo Sfriso4, Giuseppe Lopalco5, Giacomo Emmi6, Marco Cattalini7, Raffaele Manna8, Rolando Cimaz9, Roberta Priori10, Rosaria Talarico11, Ginevra de Marchi12, Micol Frassi13, Romina Gallizzi14, Alessandra Soriano15, Maria Alessio16, Daniele Cammelli17,Maria Cristina Maggio18, Stefano Gentileschi2, Renzo Marcolongo19, Francesco La Torre20, Claudia Fabiani21,22, Serena Colafrancesco10, Francesca Ricci7, Paola Galozzi4, Ombretta Viapiana23, Elena Verrecchia8, Manuela Pardeo3, Lucia Cerrito8, Elena Cavallaro12, Alma Nunzia Olivieri24, Giuseppe Paolazzi25, Gianfranco Vitiello17, Armin Maier26, Elena Silvestri6, Chiara Stagnaro11, Guido Valesini6, Marta Mosca11, Salvatore de Vita12, Angela Tincani13, Giovanni Lapadula5, Bruno Frediani2, Fabrizio De Benedetti3, Florenzo Iannone5, Leonardo Punzi4, Carlo Salvarani15, Mauro Galeazzi2, Rossella Angotti27, Mario Messina27, Gian Marco Tosi22, Donato Rigante28, Salvatore Grosso1, Luca Cantarini2 for the “Working Group” of Systemic Autoinflammatory Diseases of SIR (Italian Society of Rheumatology) Gruppo di studio Nazionale per le malattie autoinfiammatorie 1 Clinical Pediatrics, Department of Molecular and Developmental Medicine, University of Siena, Siena, Italia. 2 Research Center of Systemic Autoinflammatory Diseases, Behçet's Disease Clinic and Rheumatology-Ophthalmology Collaborative Uveitis Center, Department of Medical Sciences, Surgery and Neurosciences, Rheumatology Unit, University of Siena, Siena, Italy. 3 Division of Rheumatology, Department of Pediatric Medicine, IRCCS, Bambino Gesù Children's Hospital, Rome, Italy. 4 Rheumatology Unit, Department of Medicine, University of Padua, Padua, Italy. 5 Interdisciplinary Department of Medicine, Rheumatology Unit, University of Bari, Bari, Italy. 6 Department of Experimental and Clinical Medicine, University of Florence, Florence, Italy. 7 Pediatric Clinic, University of Brescia and Spedali Civili di Brescia, Brescia, Italy. 8 Institute of Internal Medicine, Periodic Fever Research Center, Fondazione Policlinico A. Gemelli, Università Cattolica Sacro Cuore, Rome, Italy. 9 Pediatric Rheumatology Unit, AOU Meyer, Florence, Italy. 10 Department of Internal Medicine and Medical Specialties, Rheumatology Unit, Sapienza University of Rome, Rome, Italy. 11 Rheumatology Unit, Department of Clinical and Experimental Medicine, University of Pisa, Pisa, Italy. 12 Department of Medical and Biological Sciences, Rheumatology Clinic, University of Udine, Udine, Italy. 13 Rheumatology and Clinical Immunology, Spedali Civili, and Department of Clinical and Experimental Sciences, University of Brescia, Brescia, Italy. 14 Department of Pediatrics, Azienda G. Martino, University of Messina, Messina, Italy. 15 Rheumatology Unit, Department of Internal Medicine, Azienda Ospedaliera ASMN, Istituto di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico, Reggio Emilia, Italy. 16 University Federico II, Naples, Italy. 17 Experimental and Clinical Medicine Department, University of Florence, Florence, Italy. 18 Universitary Department "Pro.S.A.M.I.", University of Palermo, Palermo, Italy. 19 Clinical Immunology, Department of Medicine, University of Padua, Padua, Italy. 20 Pediatric Rheumatology Section, Pediatric Oncoematology Unit, Vito Fazzi Hospital, Lecce, Italy. 21 Department of Ophthalmology, Humanitas Research Hospital, Rozzano, Milan, Italy. 22 Ophthalmology Unit, Department of Medicine, Surgery and Neuroscience, University of Siena, Siena, Italy. 23 Rheumatology Section, Department of Medicine, University of Verona, Verona, Italy. 24 Dipartimento della Donna, del Bambino e di Chirurgia Generale e Specialistica, Seconda Università degli Studi of Naples, Naples, Italy. 25 Department of Rheumatology, Santa Chiara Hospital, Trento, Italy.

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26 Struttura Semplice di Reumatologia, Ospedale di Bolzano, Bolzano, Italy. 27 Division of Pediatric Surgery, Department of Medical, Surgical and Neurological Sciences, University of Siena, Siena, Italy. 28 Institute of Pediatrics, Periodic Fever Research Center, Fondazione Policlinico A. Gemelli, Università Cattolica Sacro Cuore, Rome, Italy. Scopo del lavoro: Pochi sono gli studi attualmente disponibili in letteratura per quanto riguarda il profilo di sicurezza degli inibitori dell’interleuchina (IL)-1 nella real-life. Scopo del nostro lavoro era quello di descrivere il profilo di sicurezza di anakinra (ANA) e canakinumab (CAN) in un contesto di dati provenienti dalla real-life. Materiali e Metodi: Dati clinici, demografici e terapeutici appartenenti a 425 pazienti per un totale di 526 regimi di trattamento con ANA e CAN venivano raccolti e analizzati retrospettivamente. ANA e CAN erano somministrati rispettivamente in 421 e 105 regimi di terapia. Risultati: Durante un follow-up medio di 24.39 ± 27.04 mesi sono stati individuati 89 eventi avversi (EA), di cui 13 (14.61%) classificati come EA seri (EAs). Il tasso globale stimato di EA e EAs era 8.4 per 100 pazienti-anno. I problemi relativi alla sicurezza si presentavano più frequentemente in pazienti con età maggiore di 65 anni rispetto ai pazienti pediatrici (p=0.002). Nessuna differenza nel profilo di safety veniva osservata tra la monoterapia con ANA e CAN e la terapia di combinazione con immunosoppressori convenzionali (p=0.055). Una differenza significativa emergeva quando si escludevano dagli EA le reazioni al sito di iniezione (p=0.01). Il sesso (p=0.462), la diversa linea biologica di trattamento (p=0.775) e i diversi regimi terapeutici (p=0.70 ANA; p=0.39 CAN) non differivano significativamente in termini di safety. La drug retention rate globale era significativamente differente tra il gruppo di pazienti nel quale non si verificavano EA ed il gruppo in cui tali eventi si verificano (p<0.0001). Stratificando per ANA e CAN, la significativa si manteneva solo per ANA (p<0.0001 ANA; p>0.05 CAN). La durata del trattamento era l’unica variabile associata significativamente con la comparsa di EA (OR = 0.399 [C.I. 0.250–0.638], p = 0.0001). Nel loro complesso, ANA e CAN hanno dimostrato un eccellente profilo di sicurezza; il rischio di sviluppare EA e EAs tende a diminuire con il tempo. Pericarditi recidivanti: decorso clinico e terapia Camilla Celani, Bade Maunier, Virginia Messia, Manuela Pardeo, Claudia Bracaglia, Giulia Marucci, Pierre Quartier, Fabrizio De Benedetti, Antonella Insalaco UOC Reumatologia, IRCCS Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, Roma, Italia Unité d'Immunologie-Hématologie et Rhumatologie pédiatrique, Paris, France Introduzione: La pericardite ricorrente è una complicanza della pericardite acuta e si presenta con una frequenza del 15-30 % dopo un primo episodio. L’eziologia è a tutt’oggi sconosciuta e circa l’80% sono considerate idiopatiche. Le terapie convenzionali includono FANS, glucocorticoidi, colchicina e negli ultimi anni è stata confermata l’efficacia dell’Anakinra,(inibitore dell’IL1) nel trattamento di tali condizioni. Scopo dello studio: analizzare le caratteristiche cliniche e la terapia in una popolazione di pazienti con pericarditi ricorrenti. Materiali e Metodi: Sono stati inclusi pazienti con almeno due ricorrenze di pericarditi seguiti presso l’Ospedale Necker di Parigi e l’Ospedale Bambino Gesù di Roma tra il 2006 e il 2016. Risultati: Sono stati selezionati 32 pazienti. L’età media all’esordio della sintomatologia è di 11,8 anni. Le terapie somministrate al primo episodio sono state diverse: 15 pazienti hanno ricevuto FANS, 6 colchicina e 11 glucocorticoidi. I pazienti che hanno assunto glucocorticoidi al primo episodio hanno presentato una recidiva di malattia prima di quelli che non li avevano assunti, rispettivamente 1.9 vs 6 mesi (p<0.02). La popolazione dello studio può essere divisa in due gruppi: gruppo 1 (20 pazienti), trattati con le terapie convenzionali e gruppo 2 (12 pazienti) in cui è stata iniziata la terapia con Anakinra. I pazienti del gruppo 2 hanno presentato un maggior numero di recidive (2.93 vs 1.73; p<0,01), ed una maggiore steroido-dipendenza rispetto ai pazienti del gruppo 1, (72.7 % vs 21.1%.; p<0.005). In tutti i pazienti appartenenti al gruppo 2 l’inizio della terapia con inibizione dell’IL1 ha determinato una rapida risposta clinica che ha reso possibile la sospensione della terapia glucocorticoidea. Una riduzione nella frequenza di somministrazione dell’Anakinra è stata effettuata in 7 pazienti su 12, 4 di essi hanno presentato una recidiva. Inoltre 5 pazienti su 12 hanno sospeso definitivamente la terapia con Anakinra dopo un periodo medio di 32,2 mesi (16-58), e di questi 2 hanno presentato una recidiva. Il tempo medio dall’inizio della terapia con inibitore dell’IL-1 al tentativo di riduzione della frequenza di somministrazione è stato di 11±3,4 mesi nei 4 pazienti che sono

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andati incontro a recidiva e di 17,6±4,6 mesi in quelli che non hanno recidivato, (p<0,04). La media delle recidive prima e dopo l’inizio della terapia con inibizione dell’IL1 è stata rispettivamente di 3.1 (1-5) vs 0.4 (0-2). Conclusione: L’Anakinra è da considerarsi un trattamento efficace nelle pericarditi recidivanti, soprattutto in quei pazienti che non rispondono alle terapie convenzionali, e che necessiterebbero quindi di alte dosi di terapia glucocorticoidea. I nostri dati suggeriscono che una più lunga durata del trattamento riduca l’incidenza di recidiva,tuttavia sono necessari ulteriori studi su più ampie casistiche per definire la più adeguata durata del trattamento. Efficacia del Rituximab nella sclerosi sistemica giovanile e interessamento cardiaco Alessandra Meneghel1, Biagio Castaldi 2,Giorgia Martini, Giovanni Civieri2, Francesco La Torre3, Francesco Zulian 1UOSD di Reumatologia Pediatrica, Dipartimento di Salute della Donna e del Bambino 2UOC di Cardiologia Pediatrica, Dipartimento di Salute della Donna e del Bambino, Azienda Ospedaliera-Università di Padova, 3Ambulatorio di Reumatologia Pediatrica, UO Oncoematologia Pediatrica, Lecce Introduzione Nella Sclerosi Sistemica Giovanile (Juvenile Systemic Sclerosis, JSSc) l’interessamento cardiaco, seppur raro, è una importante causa di morbilità e mortalità(1). La cardiomiopatia severa richiede un trattamento immunosoppressivo aggressivo(2) la cui efficacia è spesso transitoria o limitata(3). Recentemente, il Rituximab (RTX), un anticorpo monoclonale diretto contro l’antigene CD20 delle cellule B, si è dimostrato un trattamento promettente nella sclerosi sistemica dell’adulto, specie per il coinvolgimento cutaneo e cardiopolmonare(4-6). Obiettivi Descrivere l’andamento clinico di maggiopazienti con JSSc e interessamento cardiaco sottoposti a trattamento con RTX. Metodi Sono stati raccolti dati clinici, bioumorali e parametri cardiologici di pazienti seguiti presso il nostro Centro negli ultimi 5 anni. I dati sono stati raccolti all’esordio delle manifestazioni cardiache (T0), a 6 (T6) e 12 mesi (T12) dall’inizio del trattamento con RTX. Tutti i pazienti sono stati trattati con boli endovena di RTX (375 mg/m2 ogni 2 settimane ad intervalli di 3 mesi), prednisone per via orale (PDN, 0.5 mg/Kg/die), micofenolato mofetil per via orale (MMF, 500 mg/m2/die) negli intervalli tra le infusioni di RTX. Risultati Dei 30 pazienti con JSSc seguiti presso in nostro Centro, quattro (13.3%), 3 M e 1 F, età 7-17 anni, presentavano interessamento cardiaco associato a coinvolgimento cutaneo moderato, videocapillaroscopia con scleroderma pattern active e positività degli ANA. Tre pazienti presentavano fenomeno di Raynaud e due interessamento respiratorio. Tutti hanno sviluppato manifestazioni cardiologiche entro 3-5 anni dall’esordio della JSSc: aritmie, ridotta frazione di eiezione ventricolare sinistra (LVEF), miocardite attiva o fibrosi miocardica alla risonanza magnetica cardiaca (cMRI). In due pazienti è stato necessario posizionare un ICD a causa di episodi di tachicardia ventricolare (TV) e arresto cardiaco. Due pazienti hanno completato 12 mesi di follow up e due 6 mesi. Tutti hanno mostrato un’ottima risposta alla terapia con RTX, in termini di miglioramento della LVEF (Caso 1 da 39% a 45%; nel Caso 3 da 27% a 39%; nel Caso 4 da 59 a 69%), risoluzione degli episodi di TV e miglioramento cutaneo. Un paziente (Caso 4, con prevalente interessamento polmonare), ha presentato a T6 un miglioramento della capacità di diffusione del CO (DLCO da 21% a 82%). Non eventi avversi maggiori correlati al trattamento. Conclusioni I risultati preliminari del nostro studio confermano la potenziale efficacia di RTX nel controllo del coinvolgimento cardiaco in pazienti con JSSc ma anche dell’interessamento cutaneo e polmonare. Ulteriori studi su casistiche con maggiore numerosità sono tuttavia necessari per confermare questi incoraggianti risultati. References 1. Martini G, Zulian F, Arthritis Rheum 2006; 2. Quartier P J Rheumatol 2002; 3. Stack J Scan J Rheumatol 2010; 4. Daoussis D Semin Arthritis Rheum 2017; 5. Jordan S Ann Rheum Dis 2015; 6. Smith V Rheum 2013 Validazione prospettica della tac cone beam per il monitoraggio della progressione di malattia nella sclerodermia lineare del volto in eta’ pediatrica. Alessandra Meneghel, S. Puggina2, E. Kamburi1, G. Martini1, F. Vittadello1, F. Zulian1 1 UOSD di Reumatologia Pediatrica, Dipartimento di Salute della Donna e del Bambino, Azienda Ospedaliera-Università di Padova 2 Iniziativa Medica, Monselice (PD)

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INTRODUZIONE. Le tecniche attualmente utilizzate per il monitoraggio nel tempo della Sclerodermia Lineare del Volto (LSF) presentano diversi limiti. La TAC Cone Beam (CBCT) è una metodica non invasiva, facilmente riproducibile, con bassa dose radiante che si è recentemente dimostrata affidabile nella valutazione dei pazienti con LSF. SCOPO DELLO STUDIO. Definire l’affidabilità della TAC Cone Beam (CBCT) nel quantificare le variazioni di simmetria facciale nel tempo rispetto alle metodiche, cliniche e strumentali, attualmente utilizzate nel monitoraggio di questa patologia. MATERIALI E METODI. Pazienti con LSF valutati in modo prospettico nel periodo 2009-2017, sottoposti a CBCT. Per ogni CBCT effettuate misurazioni dello spessore totale (total thickness, tt) sia nel lato affetto che in quello non affetto del volto. E’ stata quindi calcolata la percentuale assoluta di cambiamento (ARC) sia del lato affetto che di quello non affetto. Il confronto tra l’ARC del lato affetto e di quello non affetto ha permesso di calcolare la percentuale relativa di cambiamento (RRC). E’ stato inoltre formulato un giudizio globale di stabilità o peggioramento della lesione sclerodermia basato sulla valutazione clinica medica (PGA-VAS), la teletermografia delle parti molli e la valutazione di fotografie cliniche sequenziali (FCS). E’ stata quindi calcolata la sensibilità al cambiamento della CBCT attraverso la valutazione della Risposta Media Standardizzata (SRM) e dell’Effect Size (ES). RISULTATI. 26 pazienti con LSF, 15 femmine e 11 maschi, di età media 7.6 anni (range 1.2-17.8): 18 sindrome di Parry Romberg (PRS), 5 En coup de sabre (ECDS) e 3 emiatrofia facciale (FH). Sono state condotte ed analizzate 69 CBCTs. Un peggioramento della CBCT con RRC > 5% è stato trovato in 10/40 valutazioni (25%). In 20 valutazioni (54%) è stato raggiunta una valutazione concorde tra l’analisi della CBCT e della FCS. Il confronto tra le 4 metodiche clinico-strumentali di monitoraggio, eseguito per 40 valutazioni, ha mostrato concordanza pari al 66.7%. I risultati dell’analisi delle CBCTs è riultata in accordo con la PGA-VAS nel 67.6% delle valutazioni. La sensibilità al cambiamento nel tempo della CBCT si è rivelata molto buona soprattutto a livello del piano condilo mandibolare (range SRM 0.53-0.77, ES 0.40-0.50) nel lato non affetto. A livello del lato affetto SRM e ES hanno mostrato valori intorno allo 0.5. CONCLUSIONI. La CBCT è una tecnica innovativa che permette di valutare i cambiamenti del lato affetto, rispetto al lato non affetto, nei pazienti con LSF in età pediatrica. Rappresenta una metodica oggettiva e riproducibile per il monitoraggio della LSF nel tempo in associazione con gli altri metodi clinico-strumentali di follow up, attualmente utilizzati. La ricaduta pratica di questa tecnica consiste essenzialmente nella possibilità di indirizzare correttamente le scelte terapeutiche e di favorire il corretto timing per gli interventi chirurgici di ricostruzione del volto. Preliminary prospective validation of the juvenile dermatomyositis activity index (JDMAI) Silvia Rosina, Giulia Camilla Varnier 1,2,3; Alessandro Consolaro 1,2; Pieter van Dijkhuizen 1; Kiran Nistala 3; Nicola Ruperto 1. Istituto Giannina Gaslini, Genova, Italy; 2. Università degli Studi di Genova, Genova, Italy 1; Angela Pistorio 1; Clarissa Pilkington 3; Angelo Ravelli 1,2 1. Istituto Giannina Gaslini, Genova, Italy; 2. Università degli Studi di Genova, Genova, Italy; 3. Great Ormond Street Hospital, London, UK Introduction: The first composite disease activity score for juvenile dermatomyositis (JDM), named JDMAI, has recently been developed and validated in retrospective patient datasets. It is composed of 4 domains and takes into account also the parents’ view. The 6 preliminary versions of the tool performed similarly in validation analyses. Objectives: To test prospectively the validity of the JDMAI in a sample of JDM patients seen in daily practice. Materials and methods: A total of 53 JDM patients seen consecutively at 2 tertiary-care paediatric rheumatology centers, either at disease onset or at a follow-up visit, a median of 2.3 years after disease onset, were enrolled. Each patient received a retrospective and a cross-sectional evaluation at study entry. 22 patients also underwent a second (prospective) assessment after a median of 3.5 months from study entry. Physician-centered evaluations included assessment of muscle, skin and overall disease activity on a visual analog scale (VAS) or through the Disease Activity Score (DAS), rating of disease state and course, and measurement of disease damage with the Myositis Damage Index (MDI). Laboratory data comprised muscle enzymes and ESR. Parent-reported outcomes were collected through the administration of the Juvenile Dermatomyositis Multidimensional Assessment Report (JDMAR). Validation analyses included assessment of construct validity, internal consistency (with Cronbach’s α), discriminant ability, and responsiveness to change in disease state over time (with standardized response mean, SRM). All JDMAI versions showed strong

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(r>0.7) correlations with muscle disease activity VAS (0.85-0.87), muscle section of DAS (0.81-0.83), total DAS (0.89-0.92), pain VAS (0.72-0.75), and fatigue VAS (0.92-0.93). The correlations of the different JDMAI versions with the skin index not contained in the specific version (skin disease activity VAS or skin section of DAS) were strong (0.74-0.79). As expected, JDMAI correlations were moderate (r=0.4-0.7) or low (r<0.4) with laboratory parameters (CK, LDH, AST, ALT, and ESR) and with the MDI (0.1-0.11). The SRM was greater in patients judged as improved by the physician or the parent (1.42-1.56) than in those judged as not improved (0.88-1.11). Cronbach’s α was very high (0.89-0.91) for all JDMAI versions. All JDMAI versions discriminated strongly between patients classified in different disease activity states by the physician (p<0.0001) or by the parent (p=0.002-0.005), and between patients whose parents were satisfied or not satisfied with their children’s disease status (p=0.0005-0.0008). Conclusions: Validation analyses in this prospective patient sample confirmed that the JDMAI possesses good measurement properties and is a suitable and reliable tool for the assessment of disease activity in children with JDM both in clinical practice and research. Importantly, the new tool revealed a strong capacity to capture the improvement of disease activity over time. CALPROTECTINA SIERICA ED ECOGRAFIA ARTICOLARE NEI PAZIENTI CON ARTRITE IDIOPATICA GIOVANILE Manuela Marsili, M. Primavera1, G. Cannataro2, C. Di Battista1, G. Lapergola1, R. Troiani1, D. d'Angelo1, R. Faricelli3, M. L. Marcovecchio4, L. Breda1 1 Servizio Regionale di Reumatologia Pediatrica, Clinica Pediatrica, Ospedale Policlinico, Chieti 2 Dipartimento di Neuroscienze e Imaging, Ospedale SS Annunziata Chieti, Università di Chieti 3 Unità di Patologia Clinica, Ospedale SS Annunziata, Chieti 4 Department of Pediatrics, Università di Cambridge, Cambridge, Regno Unito INTRODUZIONE La treat-to-target therapy è una strategia innovativa nel trattamento dell’artrite idiopatica giovanile (AIG). L'identificazione di nuovi biomarker e il perfezionamento delle tecniche di imaging possono aiutare a raggiungere il target stabilito. La calprotectina sierica (MRP8/MRP14), un complesso di proteine leganti il calcio e lo zinco, sembra essere un promettente biomarker. L'ecografia articolare (EA) è un valido strumento d’imaging per la valutazione dell'attività di malattia nei pazienti con AIG. OBIETTIVI Abbiamo valutato la MRP8/MRP14 e l'EA in un gruppo di pazienti con AIG e verificato quale di questi strumenti correli meglio con l'attività di malattia. METODI Sono stati arruolati 70 pazienti con AIG (54 F/16 M). Il kit PhiCal Calprotectin ELISA è stato utilizzato per dosare la calprotectina sierica (v.n. < 3 μg/ml). L’attività di malattia è stata calcolata tramite il JADAS-27, definendo inattivi i pazienti con valore <1. Tutti i pazienti hanno eseguito valutazione clinica ed esame ecografico delle articolazioni clinicamente interessate dall’esordio di malattia, in totale 282. Per l’EA sono state utilizzate le linee guida OMERACT, alla ricerca di eventuale versamento articolare (VA), iperplasia sinoviale (IS) e segnale Power-Doppler (PD) (scala 0-3, valore soglia >1). RISULTATI I livelli sierici di MRP8/MRP14 erano aumentati nei pazienti con malattia attiva rispetto a quelli inattivi [3.920 (2.417-5.078) vs 1.990 (0.85-2.86) μg/ml; p-value<0.001]. Gli indici di flogosi (VES e PCR), il JADAS-27 e la presenza di sinovite (documentata con EA) risultavano significativamente differenti tra i pazienti attivi ed inattivi (p-value <0.001). Il 71,4% dei pazienti con AIG attiva presentava uno score positivo ecografico di 2 rispetto al 4,7% dei pazienti inattivi (p-value<0.001). VES, PCR, MRP8/MRP14 e la sinovite correlavano tutti positivamente con il JADAS-27. La MRP8/MRP14 si associava positivamente con gli score ecografici di sinovite. CONCLUSIONI Dal nostro studio è emersa un'associazione significativa tra i livelli di MRP8/MRP14, i marcatori clinici e laboratoristici di attività di malattia. Inoltre, è stata dimostrata un'associazione tra i livelli sierici di MRP8/MRP14 e la sinovite documentata tramite EA. Il nostro studio ha confermato che sia MRP8/MRP14 che EA possono essere considerati strumenti validi ed attendibili per la valutazione della sinovite nell'AIG; studi longitudinali potranno in futuro stabilirne meglio il ruolo.

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POSTER LA PANCREATITE COME COMPLICANZA DELLA PORPORA DI HENOCH-SCHONLEIN. CASISTICA SICILIANA Maria Cristina Maggio Dipartimento Universitario Pro.Sa.M.I. “G. D’Alessandro”, Università degli Studi di Palermo Saveria Sabrina Ragusa, Giuseppe Salvo, Clotilde Alizzi, Giovanni Corsello Dipartimento Universitario Pro.Sa.M.I. “G. D’Alessandro”, Università di Palermo, Italia Introduzione: La Porpora Henoch-Schönlein (PHS) è la vasculite più frequente in età pediatrica. I segni clinici tipici sono: porpora palpabile, artrite e/o artralgia, dolore addominale con possibile sanguinamento intestinale. L’addome acuto è una complicanza severa che richiede una pronta terapia medica. La PHS può esser responsabile della comparsa di pancreatite acuta, a decorso rapido e -talora- causa di decesso. Pertanto, nei pazienti con dolore addominale persistente è d’obbligo il dosaggio di amilasi pancreatica e lipasi, oltre che la RMN addominale. La terapia di prima linea è steroidea ad alte dosi con sospensione della nutrizione enterale. Obiettivi: Abbiamo valutato retrospettivamente tutte le cartelle cliniche dei pazienti con diagnosi di PHS ricoverati presso la nostra UO nel periodo 2011-2018. Metodi: Sono stati analizzati I dati di 50 pazienti di età compresa fra 4-14 anni, with PHS. Fra questi, 5/50 (10%; 4 M; 1 F; età: 3-10 anni) hanno presentato una pancreatite acuta. In tutti i pazienti non sono stati identificati altri fattori di rischio di pancreatite. Risultati: La nutrizione parenterale è stata effettuata in tutti i pazienti. Due pazienti sono stati trattati con prednisolone (2 mg/kg/die), associati alla nutrizione parenterale. Un paziente con pancreatite associata a sindrome nefrosica è stato trattato con 3 boli di metilprednisolone (30 mg/kg/dose) seguito da prednisolone (2 mg/kg/die) and micofenolato; un paziente con pancreatite associata a insufficienza renale acuta, è stato trattato con 3 boli di metilprednisolone (30 mg/kg/dose) seguiti da una singola infusione di ciclofosfamide (750 mg/m2), seguito da azatioprina (50 mg/die). Un paziente con pancreatite acuta, associata a enterorragia ed orchite, è stato trattato con 3 boli di metilprednisolone (30 mg/kg/dose) seguito da prednisolone (2 mg/kg/die). La terapia steroidea, in tutti i pazienti, è stata ridotta gradualmente sino alla completa regressione della pancreatite. Conclusioni: La pancreatite acuta è una complicanza grave che mette a rischio la sopravvivenza dei pazienti con PHS. Pur in assenza di protocolli validati, la terapia di prima linea prevede l’uso di steroidi ad alte dosi e la nutrizione parenterale. Nei non-responders agli steroidi, la terapia di seconda linea prevede l’uso di immunosoppressori, la cui scelta dipende dagli organi coinvolti e dai parametri ematochimici. Policondrite ricorrente? Sdr. igG4? morbo di Behcet? IBD? vasculite ANCA associata? Una diagnosi differenziale complessa nel campo delle malattie rare Leveghi Lorenzo UO Reumatologia Ospedale S. Chiara Trento Floretta Ilenia, Fadanelli Gloria, Bressan Elisabetta, Di Palma Annunziata, Paolazzi Giuseppe UO Pediatria Ospedale Santa Chiara Trento Valentina, ragazza di 14 anni, viene ricoverata nel Reparto di Pediatria del nostro nosocomio per un quadro clinico caratterizzato da aftosi del cavo orale, tumefazione ed iperemia perioculare dx, zoppia dx e febbre. All'obiettività d'ingresso paziente marcatamente astenica, disfonica, febbrile; presenza di stomatite bollosa diffusa al cavo orale con ulcere al palato molle, cellulite orbitaria destra e lesione infiltrata, dolente ed iperemica alla sella del naso. Inoltre artrite franca del ginocchio dx e lesioni papulari agli arti inferiori. Agli esami ematochimici importante elevazione dei reattanti di fase acuta, anemia microcitica normocromica, leucocitosi, ipergammaglobulinemia policlonale e debole positività per ANCA PR3. Inoltre positività del sangue occulto fecale ed elevazione della calprotectina fecale. Negative le principali indagini in senso infettivologico. Venivano condotte numerose indagini strumentali volte alla ricerca di una chiara eziologia e per operare una diagnostica differenziale. Da segnalare alla TC orbita ds raccolta all'angolo orbitario supero-esterno che, unitamente al quadro di condrite, ci portava ad ipotizzare una forma di policondrite ricorrente Vs granulomatosi con poliangioite e Vs sdr. da IgG4. Il quadro di artrite, aftosi orale e patergia positiva ci orientavano verso una possibile sdr. di Behcet. Nel corso della degenza le condizioni cliniche di Valentina

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peggioravano marcatamente con importante rettorragia condizionante peggioramento della cenestesi e conseguente significativa anemizzazione, per cui venivano eseguite indagini endoscopiche con EGDS (ulcera gastrica HP negativa) e colonscopia quest'ultima documentante quadro di retto-colite erosiva-ulcerativa a tratti di severa entità. Il quadro istologico della mucosa colica restringeva la diagnosi differenziale tra una forma di malattia infiammatoria cronica intestinale indeterminata ed una localizzazione intestinale di malattia di Behcet. Dal punto di vista terapeutico è stata trattata con metilprednisolone 125 mg per 3 gg, proseguita poi con prednisone 50 mg/die. Da dopo l'esecuzione della colonscopia ha anche iniziato terapia topica con Pentacol. Successivamente si è proceduti ad un graduale e progressivo tapering dello steroide e al trattamento con antiTNF-alfa (INFLIXIMAB) con netto miglioramento clinico e normalizzazione dei parametri bioumorali. Il caso è stato condiviso e ampiamente discusso con i Colleghi Gastroenterologi e Anatomopatologi anche di Centro di III livello proprio a fronte del "polimorfsimo" clinico che ha richiesto un'esclusione di varie forme sindromiche nell'ambito di patologie rare. Nonostante i dubbi ancora in essere, Valentina è stata trattata come affetta da IBD e in particolar modo da un quadro severo di rettocolite ulcerosa esordita in maniera assolutamente atipica. Risposta al tofacitinib in un caso di malattia familiare CANDLE-like Anna Maria Chiara Galimberti University of Trieste Luisa Cortellazzo Wiel, Giulia Gortani, Serena Pastore, Flavio faletra, Alessandra Tesser, Andrea Taddio, Alberto Tommasini Pediatrics, Human genetics, clinical Immunology of IRCCS Burlo Garofalo Riportiamo il caso di una ragazza di 18 anni con sintomi clinici suggestivi di sindrome CANDLE. La sua storia clinica è caratterizzata da lupus pernio, lesioni ulcerative distribuite alle estremità e al viso, alopecia areata, edema periorbitario, artralgie diffuse, artrite poliarticolare e deficit dell'ormone della crescita. Altra caratteristica clinica distintiva è la presenza di noduli panniculitici multipli dolorosi, che hanno provocato una grave e diffusa lipodistrofia, in particolare a carico del volto, con conseguente necessità di sottoporsi a lipofilling. La firma interferonica è risultata francamente positiva. Tuttavia, le valutazioni genetiche, compreso il sequenziamento dell'intero esoma, eseguite tenendo conto della storia familiare di connettivopatia, non ha evidenziato particolari mutazioni. La sua malattia ha sempre risposto moderatamente ai corticosteroidi, mentre i diversi tentativi terapeutici con farmaci immunosoppressori (ciclosporina, azatioprina, ciclofosfamide, idrossiclorochina), immunoglobuline endovena, farmaci biologici (anakinra, infliximab e abatacept) e la terapia iperbarica, non hanno condotto a significativo beneficio clinico sui sintomi. Alla luce della gravità del coinvolgimento cutaneo, con il suo corredo emotivo, e del ruolo dell'interferone nella patogenesi della malattia, è stata avviata la terapia con tofacitinib (inibitore JAK1-JAK3) al dosaggio di 10 mg due volte al giorno. Si è assistito ad un rapido miglioramento della lipodistrofia, dei geloni e ad una ricrescita lenta ma progressiva dei capelli. È stata osservata inoltre una risoluzione quasi completa delle lesioni panniculitiche, associate al dimezzamento del punteggio della firma interferonica. Tuttavia, durante la terapia si è verificato un incremento dei livelli di colesterolo LDL e delle CK. L’aumento delle LDL è un evento avverso frequentemente riportato in soggetti trattati con tofacitinib e di facile gestione. Invece l'aumento delle CK è osservato raramente ed è più difficile da interpretare. Per questo motivo, il dosaggio del farmaco è stato ridotto a 7,5 mg due volte al giorno. Nessun altro evento avverso è stato notato. Osteomielite cronica multifocale ricorrente e sintomi gastrointestinali. Marta Mazzoni Clinica Pediatrica e Reumatologia, Istituto Giannina Gaslini, Genova, Italia. Università degli Studi di Genova, Italia. Giorgia Negro 2,3, Samuele Caruggi 1,2, Marcella Battaglini 1,2, Serena Arrigo 3, Clara Malattia 1,2 1 Clinica Pediatrica e Reumatologia, Istituto Giannina Gaslini, Genova, Italia. 2 Università degli Studi di Genova, Italia. 3 Gastroenterologia pediatrica ed Endoscopia digestiva, Istituto Giannina Gaslini, Genova, Italia.

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Introduzione: l’osteomielite cronica multifocale ricorrente (CRMO) è una malattia autoinfiammatoria che esordisce in età pediatrica e si caratterizza per multipli focolai di osteomielite sterile che si localizzano prevalentemente a livello delle metafisi delle ossa lunghe con distribuzione simmetrica. L’esordio del dolore osteoarticolare può essere insidioso e la malattia acquisisce un andamento cronico ricorrente. E’ descritta in letteratura l’associazione tra CRMO e malattie infiammatorie croniche intestinali (MICI). Recentemente in una casistica nazionale inglese sono stati riportati 3 casi di associazione di CRMO e MICI negli ultimi 10 anni. Riportiamo l’esperienza del nostro Centro. Descrizione dei casi: nell’ultimo anno presso il nostro Centro è stata posta diagnosi di CRMO, confermata istologicamente, in 3 bambini. Tutti all’esordio presentavano agli esami ematochimici un rialzo degli indici di flogosi. La RM STIR total- body (TB) ha evidenziato in un paziente iperintensità di segnale alle metafisi distali e al collo dei femori, alle metafisi prossimali e distali delle tibie e alle sincondrosi ischiopubiche. Nel secondo era evidente alterazione di segnale all'astragalo e ai condili femorali. Nell’ultimo era presente iperintensità di segnale alle metafisi ed epifisi distali dei peroni, epifisi e metafisi prossimali delle tibie, in sede cervicotrocanterica dei femori, in sede iliaca e sacro-iliaca destra. Per lo scarso controllo della sintomatologia osteoarticolare in tutti i pazienti è stato avviato trattamento con FANS, in un paziente con steroide e in un paziente con etanercept e methotrexate. Successivamente tutti i pazienti hanno sviluppato una sintomatologia gastrointestinale caratterizzata da episodi ricorrenti di dolore addominale ed evacuazioni di feci semi-liquide. In un unico paziente si è verificata diarrea ematica. In tutti e tre i pazienti agli esami di laboratorio era presente un’anemia microcitica ipocromica, rialzo degli indici di flogosi e valori elevati di calprotectina fecale. L’ecografia dell’addome ha evidenziato la presenza di ispessimento delle pareti intestinali. L’esame endoscopico ha mostrato la presenza di infiammazione della mucosa intestinale prevalentemente a livello dell’ultimo tratto ileale e del cieco. L’istologico ha permesso di porre diagnosi di malattia di Crohn in due pazienti e di colite indifferenziata nel terzo. Discussione: è nota in letteratura la possibile associazione in età pediatrica tra MICI, in particolare M. di Crohn, e CRMO, anche se ad oggi sono pochi i casi descritti. E’ stata avanzata l’ipotesi che la CRMO possa rappresentare una rara complicanza extra-intestinale delle MICI e che tendenzialmente i sintomi osteoarticolari precedano la comparsa di quelli intestinali. Sulla scorta di questi dati riteniamo opportuno che in bambini con diagnosi di CRMO con dolore addominale e/o alterazione dell’alvo venga eseguito come screening dosaggio della calprotectina fecale ed ecografia dell’addome. Granulomatosi con poliangioite: descrizione di un caso resistente alla terapia. Diana Sutera UOC Pediatria (AOU G. Martino Messina) C. Cuzzupè, J.Trombatore, M. Valenzise, G. Zirilli, R.Gallizzi UOC Pediatria( AOU G. Martino Messina) La granulomatosi con poliangioite è una vasculite necrotizzante prevalentemente dei piccoli vasi. La malattia è tipicamente caratterizzata da infiammazione granulomatosa, glomerulonefrite necrotizzante paucimmune, coinvolgimento di alte e basse vie respiratorie e presenza di anticorpi anti citoplasma dei neutrofili (ANCA). Nei bambini l’ incidenza stimata è pari a 0,1: 100.000. L'eziologia non è nota. La diagnosi si avvale di criteri clinici (EULAR/PRINTO PRES CRITERIA). Se non trattata la mortalità ad un anno dalla diagnosi è del 90% circa. La terapia si basa sulla combinazione di corticosteroidi e ciclofosfamide e piu’ recentemente di Rituximab per indurre la remissione, seguiti da corticosteroidi e azatioprina nella fase di mantenimento. Descriviamo un caso di una bambina di 11 anni che giunge alla nostra osservazione poichè da due mesi presentava secrezione purulenta nasale non responsiva al trattamento antibiotico a cui si sono aggiunti febbre, dispnea, emoftoe, artrite, vasculite cutanea ed ematuria. I primi test di laboratorio mostravano GR 3,870,000 mmc, Hb 6 gr%, GB 5,860 mmc, N 84%, L 10%, PLT 317.000 mmc, aumento della pcr 18,6 mg/dl( vn 0-0,5) VES 99 1° ora, FR 83 IU/ml e ANCA 183 u/l (vn 0-20 ). La TC del massiccio faciale mostrava: Amputazioni focali della parete mediale del seno mascellare, quasi completa del turbinato inferiore e parziale del turbinato medio. Anche l'etmoide appariva sede di focali amputazioni ossee. Discontinuità in piu’ punti della lamina papiracea. Posta diagnosi di granulomatosi con poliangioite avviato terapia con corticosteroide ( metilprednisolone) alla dose di 30 mg/ kg/die, per i primi 4 giorni e successivo tepering sino a 60 mg/die associato a terapia immunosoppressiva (ciclofosfamide) alla dose di 3 mg/kg/die. Il coinvolgimento delle vie aeree inferiori è stato sin da subito sensibile alla terapia, con miglioramento graduale della sintomatologia funzionale

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respiratoria, contrariamente al coinvolgimento renale che è andato progressivamente peggiorando. Pertanto sono stati eseguiti 4 infusioni di Rituximab alternati a sedute di plasmaferesi (7 sedute). A fronte di un iniziale risposta al trattamento con riduzione degli indici di flogosi e graduale normalizzazione degli indici di funzionalità renale, si è assistito a graduale peggioramento sino all’instaurarsi di insufficienza renale cronica che ha necessitato l’ avvio della dialisi. Abbiamo segnalato questo caso per la rarità della patologia in età pediatrica, la severità del quadro clinico e la mancata risposta ai trattamenti convenzionali e non. Non era una malattia di Kawasaki.... Jessica Trombatore, G.Zirilli, M. Valenzise, D. Sutera, F. De Luca, R.Gallizzi UOC Pediatria ( AOU G. Martino Messina) La Panarterite nodosa (PAN) è una vasculite caratterizzata da necrosi infiammatoria che coinvolge prevalentemente le arterie di medio calibro. I criteri di classificazione secondo EULAR/PRES richiedono per la diagnosi la presenza di necrosi all’esame istologico o anomalie angiografiche (aneurisma, stenosi o occlusione di arterie di medio-piccolo calibro) più uno dei seguenti criteri: coinvolgimento cutaneo, mialgie, ipertensione, neuropatia periferica o coinvolgimento renale. Raramente coinvolge il cuore (arterite coronarica, stenosi, dissezione, aritmia e patologie valvolari). Descriviamo il caso di un ragazzo di 11 anni che ha goduto di buone condizioni cliniche fino a Giugno 2016, epoca in cui ha presentato astenia, malessere generale, cefalea e dolori muscolari con difficoltà alla deambulazione. Eseguito prelievo ematico che evidenziava VES 99 mm/1h, PCR 48 volte la norma, motivo per cui veniva avviata terapia corticosteroidea ed antibioticoterapia con lieve miglioramento della sintomatologia. Dopo una settimana di terapia il ragazzo presentava un peggioramento dei sintomi ed ulteriore incremento degli indici di flogosi. Un esame ecocardiografico mostrava una dilatazione tubuliforme di entrambe le coronarie in tutto il loro decorso del diametro di circa 6 mm ciascuna, motivo per cui, nel sospetto di una malattia di Kawasaki atipica/incompleta, veniva avviata terapia con aspirina a dosaggio antinfiammatorio e due boli di IVIG (2 gr/kg/die). Malgrado la terapia, persistevano mialgie intense, malessere generale ed indici di flogosi costantemente elevati. Giungeva pertanto alla nostra osservazione, veniva quindi sottoposto ad Angio-TC coronarica che metteva in evidenza un’ectasia dell'arteria coronaria destra nel tratto prossimale (4mm) , del tronco comune (5.5 mm) e della discendente anteriore (6.7 mm) e mostrava inoltre una stenosi in sede post-ostiale a destra. L’Angio-RM Total body escludeva la presenza di alterazioni vascolari in altri distretti. Nel forte sospetto di una vasculite sistemica è stato avviato trattamento corticosteroideo per via endovenosa ad alte dosi (metilprednisolone 30mg/die per 3 giorni) e successivamente per os (prednisone 50mg/die) con buona risposta clinica. Il suddetto caso incontrava i criteri diagnostici per la diagnosi di PAN: alterazioni vascolari tipiche all’esame angiografico (stenosi ed aneurismi) e mialgie. Ha proseguito il trattamento steroideo, in associazione a ciclofosfamide per os, aspirina a dosaggio antiaggregante ed eparina molecolare a basse dosi. Dopo due mesi il trattamento con ciclofosfamide è stato sostituito con il metotrexate. I successivi controlli ecocardiografici hanno mostrato una progressiva riduzione delle dilatazioni coronariche fino alla completa negativizzazione a 9 mesi dall’avvio del trattamento. Abbiamo deciso di descrivere questo caso per la rarità della patologia in età pediatrica ed in particolare per l’ ancora più raro coinvolgimento coronarico. Idrosadenite suppurativa (HS) associata a Sindrome SAPHO in un paziente in età pediatrica: brillante remissione clinica indotta con adalimumab e metotrexate Caterina Matucci-Cerinic 1Clinica Pediatrica e Reumatologia, IRCCS Istituto G.Gaslini 2DINOGMI, Università di Genova, Genova Conti G.3, Papa R. 1,2, D’Alessandro M. 1,2, Fede C.3, Trombatore J. 3, Caorsi R. 1, Gattorno M. 1 1Clinica Pediatrica e Reumatologia, IRCCS Istituto G.Gaslini 2DINOGMI, Università di Genova, Genova 3 UO Nefrologia e Reumatologia Pediatrica, AOU Policlinico G Martino, Messina Dall’età di 13 anni comparsa di lesioni inguinali pustolose, inizialmente inquadrate come follicolite infettiva. A 15 anni comparsa di rachialgie e zoppia.Agli esami ematici PCR 28 g/l, VES 41 mm/h.Alla RM lombosacrale:marcata disomogeneità subcondrale al soma di D11-D12 ed allo spigolo ant-inf di L2-L4 con iperintensità in T2 per componente edemigena.Analogo reperto alle sincondrosi sacroiliache.Nell’ipotesi di una spondilo-artrite veniva avviata terapia con Naprossene 500 mg bid con miglioramento della

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sintomatologia.HLAB27 negativo,ANA/ENA negativi.Riscontro di HS di grado moderato trattata con clindamicina topica.Non uveite.A 16 anni giungeva alla nostra osservazione in sovrappeso,con rigidità del rachide dorsolombare e Schober positivo,ridotta flessoestensione delle ginocchia ed intrarotazione dell’articolazione coxo-femorale ds,dolore alla digitopressione della sacroiliaca sn, e lesioni inguinali come esito di recente idrosadenite suppurativa.Agli esami ematici PCR 2.05 mg/dl,VES 29 mm/h.Alla RM STIR total body plurime aree iperintense a carico di:epifisi tibiale distale bilaterale,condilo femorale esterno destro ed interno sinistro,epifisi prossimale del perone destro,trocantere bilateralmente,passaggio meta-epifisario femorale bilaterale,tetto acetabolare sinistro,ramo pubico superiore bilateralmente,sacroiliaca destra,metafisi omerale prossimale sinistra,soma L1 e L3.Veniva posta diagnosi di CRMO associata ad HS inguinale.Il quadro risultava quindi compatibile con una diagnosi di sindrome SAPHO.Indagine genetica per PSTPIP1 negativa.Veniva quindi avviata terapia con metotrexate (MTX) sc 20 mg/sett in associazione ad Adalimumab (ADA) 40 mg ogni 2/sett.Dopo 8 settimane miglioramento della rachialgia e della limitazione funzionale.Completa remissione dei sintomi a 5 mesi dall’avvio della terapia.Controllo a 12 mesi:paziente completamente asintomatico, alla clinica non limitazione funzionale.Riferita solo una recidiva di HS inguinale risoltasi con clindamicina topica.Indici di flogosi negativi.Alla RMN STIR total body non si evidenziavano lesioni ossee attive,presente solo minima iperintensità di segnale al passaggio ileo-ischiatico di destra, asintomatica.Discussione: Il paziente ha presentato un’eccellente risposta alla terapia con ADA e MTX, soprattutto dal punto di vista osseo, con completa risoluzione clinica e radiologica.Ad oggi,sono descritti solo 12 casi in letteratura con l’associazione SAPHO-HS,di questi,nessuno in età pediatrica. Dai casi riportati,solo due pazienti sono stati trattati con l’associazione Adalimumab-Metotrexate con ottimi risultati sul piano articolare e cutaneo.Conclusioni: Il caso clinico esposto rappresenta il primo caso di sindrome SAPHO in età pediatrica associata ad HS.La brillante risposta presentata dal paziente,sia sul versante osseo che cutaneo dimostra come la terapia di combinazione MTX/ADA possa essere un’opzione efficace nel trattamento di questa condizione. Enteropatia Proteino-Disperdente associata a Lupus Eritematoso Sistemico in età pediatrica: case report e review della letteratura R. Naddei, F. Orlando, C. Porfito, T. Lastella, M. Amico, M. Alessio U.O.S Reumatologia Pediatrica, D.A.I. Materno-Infantile, A.O.U. Federico II di Napoli, Napoli INTRODUZIONE: L’enteropatia proteino-disperdente (Protein Losing Enteropathy, PLE), rara espressione di patologie intestinali, è caratterizzata da perdita proteica nel lume intestinale e raramente è riportata come manifestazione clinica del Lupus Eritematoso Sistemico (Systemic Lupus Erythematosus, SLE) in età pediatrica. OBIETTIVI: Descrivere un caso pediatrico di PLE associata a SLE (Lupus Protein Losing Enteropathy, LUPLE) e fornire una descrizione delle principali caratteristiche del LUPLE. METODI: Case report di un paziente con episodi ricorrenti di ipoalbuminemia e revisione della letteratura. RISULTATI: Un bambino di 10 anni, di origine vietnamita, giungeva alla nostra Unità di Reumatologia Pediatrica per il terzo episodio di anasarca. Aveva presentato due precedenti episodi di edemi associati ad ipoalbuminemia, con buona risposta alla terapia steroidea, ascritti a nefropatia, pur in assenza di proteinuria in range nefrosico. All’ingresso, il paziente non presentava ulteriori segni o sintomi ad eccezione dell’edema diffuso; l’albumina sierica era indosabile e si riscontrava aumento degli indici di flogosi (VES 75 mm/h; PCR 3,85 mg/dl). La funzionalità epatorenale era nella norma e la proteinuria delle 24 ore negativa. Si evidenziava aumento dell’α-1-antitripsina (7,21 mg/g con range 0,38-0,5) e si effettuava scintigrafia con albumina sierica marcata con 99mTc, che confermava severa PLE, derivante dall’area duodeno-digiunale. Alle biopsie intestinali, si riscontravano linfangectasie gastriche e duodenali e infiammazione cronica mucosale a livello del colon. Gli esami immunologici mostravano ANA positività con pattern speckled e aumento degli anticorpi anti-SSA/SSB (146 U e 70 U con valore normale <20). Pertanto, nel sospetto di LUPLE, si avviava terapia con steroide endovenoso prima, orale poi, associato a azatioprina, con progressivo miglioramento clinico e dei valori sierici di albumina. Circa due anni dopo, il paziente ha sviluppato altre caratteristiche cliniche che soddisfacevano i criteri SLICC per la diagnosi di SLE. La revisione sistematica della letteratura ha identificato altri 7 casi di LUPLE in pazienti con meno di 16 anni. Il LUPLE prevale nel sesso femminile (6/8) e nei pazienti asiatici (3/8) e può rappresentare sia la prima

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manifestazione di connettivite (4/8) che una complicanza successiva. Solo un paziente presentava sintomi gastrointestinali. Alle biopsie intestinali, il reperto più frequente è un’infiammazione non specifica localizzata ad almeno uno dei segmenti intestinali tra duodeno e colon. Gli ANA sono positivi in tutti i pazienti mentre la positività degli anti-DNA e degli anti-SSA/SSB è descritta in 4 casi su 8. CONCLUSIONI: La diagnosi di LUPLE va sospettata in ogni bambino con ipoalbuminemia senza evidenza di patologia renale o epatica, anche in assenza di sintomatologia gastrointestinale. Può presentarsi infatti sia nel bambino già affetto da SLE sia come esordio di SLE in un bambino precedentemente sano. UN TRIGGER, DUE FRATELLI, DUE KAWASAKI ATIPICHE, UN FARMACO BIOLOGICO: REPORT DI UN SUCCESSO TERAPEUTICO Maria Cristina Maggio, A. Alaimo^, R. Cimaz*, C. Comparato^, D. Di Lisi^, C. Alizzi, S. Spoto^, M.A. Garofalo^, G. Corsello Dipartimento Universitario Pro.Sa.M.I. “G. D’Alessandro”, Università degli Studi di Palermo * NEUROFARBA Dipartimento Universitario di Firenze, AOU Meyer, Firenze ^ U.O. di Cardiologia Pediatrica, Ospedale dei Bambini “G. Di Cristina”, ARNAS, Palermo La descrizione di Malattia di Kawasaki (MK) in fratelli o familiari è aneddotica, ma -se presente- è necessario escludere un trigger infettivo. Descriviamo il caso di due fratelli affetti da MK esordita contemporaneamente in seguito ad un’infezione da Parvovirus. La sorellina di 9 mesi ha presentato febbre, vomito, esantema, congiuntivite non purulenta bilaterale, linfoadenite. All’anamnesi, emergeva un episodio febbrile 12 giorni prima, con risoluzione spontanea in 5 giorni. Gli esami ematochimici documentavano: leucocitosi neutrofila; anemia; transaminasi, Na, albumina, creatinina e urine nella norma. PCR: 2,31 mg/dl; VES: 120. ECG ed ecocardio erano nella norma, con Z-score coronarici normali. Le IgM anti-Parvovirus erano positive in più determinazioni; la bimba è sfebbrata spontaneamente dopo 5 giorni. Tuttavia, è stata effettuata una rivalutazione ecocardiografica per escludere una pericardite da parvovirus che ha documentato, 26 giorni dopo la prima giornata di febbre, aneurismi coronarici multipli, anche con aspetto sacciforme, del tronco comune, delle coronarie destra e sinistra che, dopo la prima dose di IGEV (associata ad ASA a dose anti-aggregante) sono ulteriormente progrediti. Pertanto, pur in apiressia e con segni di flogosi negativi, è stata trattata con 3 boli di metilprednisolone (30 mg/kg/die) in seguito ai quali non si è avuta regressione del quadro coronarico. E’ stato iniziato un farmaco biologico anti-IL1 (anakinra: 4 mg/kg/die s.c.) con progressiva regressione delle lesioni aneurismatiche e normalizzazione dello Z-score coronarico. Il fratello di 7 anni ha presentato, contemporaneamente alla sorella, con febbre, vomito, dolore addominale e spontanea risoluzione dopo 4 giorni. E’ stato ricoverato in un’altra UO per un nuovo episodio febbrile con dolore addominale, tachipnea, tachicardia, pallore, ipotensione, ritmo di galoppo, stasi alle basi polmonari, anuria secondaria a shock cardiogeno. Gli esami ematochimici evidenziavano: leucocitosi neutrofila, incremento di PCR, VES, BUN, creatinina, enzimi di necrosi miocardica (troponina-c, BNP). Le IgM anti-Parvovirus erano positive anche nel fratello. All’ecocardiografia si evidenziava ipocinesia miocardica, severa riduzione della frazione di eiezione (20%). E’ stato trattato con dopamina, dobutamina, furosemide, prednisone, con lento e progressivo miglioramento della clinica e dei parametri ematochimici. La diagnosi iniziale del fratello è stata di miocardite post-Parvovirus. Alla luce del quadro della sorella, è verosimile la diagnosi di “Kawasaki shock syndrome”, pur in un quadro di MK incompleta. L’infezione da Parvovirus è il trigger della MK nei due fratelli; particolare è la contemporaneità della MK, peraltro con differente espressività. Il successo terapeutico dell’anakinra nella bambina ne sottolinea il ruolo quale terapia target nella MK e l’efficacia nell’indurre la regressione degli aneurismi coronarici. Efficacia della terapia con infiltrazioni intra-articolari di corticosteroidi e methotrexate in un caso di poliartrite associata a Ittiosi Arlecchino. Simone Carbogno, Minoia F, Agostoni C, Filocamo G, Guez S., Torreggiani S., Baldo F., Di Landro G., Lanni S., Torcoletti M., Corona F., Petaccia A. Università degli Studi di Milano Fondazione IRCCS Cà Granda Ospedale Maggiore Policlinico

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Introduzione L’ittiosi arlecchino (IA) è la più grave tra le forme di ittiosi congenite ed è dovuta a mutazioni del gene ABCA12. L’IA è caratterizzata alla nascita dalla presenza di placche ipercheratosiche diffuse, ectropion, eclabium, anomalie auricolari e contratture di mani e piedi. L’associazione tra IA e poliartrite è estremamente rara e ad oggi è stata descritta in soli altri 3 casi al mondo. Il trattamento della poliartrite in questi pazienti è molto difficile considerato il delicato equilibrio tra aumentato rischio infettivo e progressione della malattia. Obiettivo e Metodi Descriviamo il caso di un bambino con IA che all’età di 4 anni ha sviluppato una poliartrite trattata con successo con infiltrazioni intra-articolari di corticosteroidi (IIAC) e MTX. Risultati Un bambino di 6 anni con IA (mutazione in omozigosi del gene ABCA12) è giunto presso il nostro centro di reumatologia con un quadro di poliartrite. Nato a termine con le caratteristiche tipiche dell’IA, durante i primi anni di vita è stato spesso ricoverato per gravi episodi infettivi. A 4 anni ha sviluppato artrite alle ginocchia, inizialmente trattata con antibiotico nel sospetto di una forma settica, senza beneficio. Due anni dopo il quadro è evoluto in una grave poliartrite simmetrica con impossibilità a deambulare. Gli esami di laboratorio mostravano lieve aumento degli indici di flogosi, negatività di anticorpi anti nucleo, peptide ciclico citrullinato e fattore reumatoide. Non vi era evidenza di uveite. Il bambino è stato trattato con IIAC ed è stato avviato MTX per via orale (preferita alla somministrazione sottocutanea per la malattia di base). A distanza di un mese si è osservato un netto successo terapeutico con iniziale recupero della deambulazione. Alla luce dell’efficacia terapeutica, l’IIAC è stata completata con seduta ecoguidata per le articolazioni meno accessibili. Dopo 4 mesi non abbiamo osservato alcun evento avverso né infettivo riconducibile alla terapia. Conclusioni Alla luce delle nostre conoscenze questo è il primo bambino con IA e poliartrite sottoposto a IIAC finora descritto. Il rischio infettivo e il ritardo di crescita già correlati alla patologia di base riducono la possibilità di utilizzare la terapia steroidea sistemica in questi bambini. L’IIAC consente di evitare la maggior parte degli effetti collaterali della terapia sistemica raggiungendo un risultato efficace rapidamente. Nel nostro bambino la combinazione di IIAC e MTX è stata efficace a controllare i sintomi e a migliorare la sua qualità di vita. Bibliografia 1) Raghuvanshi S, et al. Harlequin Ichthyosis and Inflammatory Arthritis: Case Reports of a very Rare Combination. Rheumatology 2015; 54, S1,i55 2) Clement S A et al. Harlequin ichthyosis and juvenile idiopathic arthritis: a rare combination. Clin Rheumatol 2007; 26: 460–462. 3) Chan YC, et al. Harlequin Ichthyosis in Association with Hypothyroidism and Juvenile Rheumatoid Arthritis. Pediatr Dermatol 2003; 20: 421–426. LA PORPORA DI SCHONLEIN-HENOCH VA DAL CHIRURGO Simone Carbogno Università degli Studi di Milano C. Agostoni, S. Torreggiani, F. Baldo, G. Filocamo, F. Minoia, G. Di Landro, S. Lanni, M. Torcoletti, F. Corona, A. Petaccia. Fondazione IRCCS Cà Granda Ospedale Maggiore Policlinico, Università degli Studi di Milano Introduzione La Porpora di Schonlein-Henoch (PSH) è la vasculite più frequente in età pediatrica. La malattia presenta un decorso acuto autorisolutivo e soltanto l’1-2% dei bambini sviluppa una nefrite cronica. Pochissimi reports descrivono la stenosi intestinale come esito di questa vasculite. Obiettivi e metodi Descriviamo un’ormai rara complicanza della PSH: una stenosi intestinale post-infiammatoria Risultati Un bimbo di 3 anni giunge presso il nostro reparto per un quadro di subocclusione intestinale. Due mesi prima ha presentato una PSH con porpora, dolore addominale (non sangue nelle feci né invaginazione), artralgie ed edema scrotale bilaterale, trattata con breve ciclo di glucocorticoidi. Qualche giorno dopo la dimissione presentava recidiva con porpora e dolore addominale. L’ecografia evidenziava immagini riferibili a invaginazioni ileo-ileali, regredite spontaneamente. All’ingresso in reparto ha iniziato digiuno, avviato infusione gluco-elettrolitica, terapia con procinetici ed enteroclismi con parziale beneficio. Nonostante la negatività degli indici di flogosi, considerata l’anamnesi, la presenza di sangue occulto fecale e l’aumento della calprotectina fecale ha ripreso terapia con glucocorticoidi prima endovena, poi per bocca. Persistendo dolore e distensione addominale post prandiale ha eseguito TC-addome con mdc con evidenza di ansa ileale distale dilatata con pareti lievemente ispessite e tratto distale stenotico con calcificazioni intraparietali. L’endoscopia del tratto digerente, compresi gli ultimi 25 cm di ileo, non ha mostrato alterazioni infiammatorie delle mucosa esplorata. Per la persistenza del quadro clinico, nonostante l’alvo canalizzato e l’assenza di vomito, ha necessitato di resezione di tale tratto (circa 8 cm di lunghezza e 1.5 cm di diametro), caratterizzato

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da mucosa edematosa congesta ed emorragica con flogosi linfoplasmacellulare aspecifica e focale area ulcerata. L’intervento, eseguito in laparoscopia e seguito da anastomosi dei segmenti prossimale e distale, esitava in una completa risoluzione dei sintomi. Attualmente il bambino gode di ottima salute. Conclusioni L’interessamento vasculitico intestinale è comune nella fase acuta della PSH e può complicare il quadro con perforazione intestinale, emorragia gastro-intestinale o occlusione intestinale. La guarigione con stenosi di un’ansa è, invece, assai più rara e in letteratura sono descritti soltanto altri tre casi. Come nel nostro bambino, si manifesta clinicamente dopo qualche mese dalla PSH; l’intervento chirurgico è risolutivo. Bibliografia 1) S. P. Ardoin et al. Henoch-Schonlein Purpura. Nelson Textbook of Pediatrics 19th edition. 2) J. Lipsett et al. Small Bowel Stricture Due to Vascular Compromise: A Late Complication of Henoch-Schönlein Purpura, Pediatric Pathology & Laboratory Medicine 1995; 15:2, 333-340. 3) K. A. Lombard et al. lleal Stricture as a Late Complication of Henoch-Schonlein Purpura Pediatrics 1986; 77; 396. Sindromi autoinfiammatorie: identificate due varianti del gene NLRC4 E. Del Giudice 1 1 Dipartimento di Pediatria, Sapienza Università di Roma, Roma, Italia A. Di Coste 1, E. Romeo 1 , C. Passarelli 2 , F. De Benedetti 3 , M. Duse 1 2 Unità Operativa Complessa Laboratorio di Genetica Medica, Ospedale Pediatrico Bambino Gesù-IRCCS 3 Dipartimento Pediatrie Specialistiche-Reumatologia, Ospedale Pediatrico Bambino Gesù-IRCCS Introduzione Le sindromi autoinfiammatorie sono un gruppo di disordini caratterizzati da disregolazione infiammatoria sistemica. Obbiettivi Segnalare due casi di mutazione in eterozigosi del gene NLRC4 corrispondenti a diversi fenotipi clinici. Risultati: G., maschio, 8 anni. Giunge alla nostra osservazione per febbri ricorrenti , di durata 3-10 giorni, con intervalli di apiressia di 3 giorni, non sempre responsivi al corticosteroide orale. Si associano rinite, tosse, rash non pruriginoso su volto e tronco, talvolta edema palpebrale e congiuntivite. Negli ultimi due anni comparsa di artralgie delle piccole articolazioni delle mani e gonalgia bilaterale, talvolta associati a tumefazione articolare. Riferisce anche cefalea, vomito e dolori addominali ricorrenti, spesso evacuazioni di feci diarroiche senza sangue nè muco. Gli esami ematochimici mostrano persistente incremento degli indici di flogosi e della sieroamiloide, calprotectina fecale negativa. L'ecografia addominale ha mostrato un'ansa ileale con pareti ispessite per un tratto di circa 30 mm con a monte distensione intestinale con materiale fluido-corpuscolato , in assenza di epatosplenomegalia. A completamento diagnostico viene eseguita genetica per sindromi autoinfiammatorie con riscontro della variante genomica c.2785G>T in condizione di eterozigosi del gene NLRC4. Il bambino è attualmente in terapia con colchicina con buon controllo dei sintomi. A., femmina, 17 anni. Ad 11 anni ricovero per febbre associata a faringodinia, rash localizzato a livello delle palpebre superiori, edema del volto e delle estremità e artralgia disabilitante con sviluppo di Sindrome da Attivazione Macrofagica (MAS). All'età di 15 anni ulteriore episodio di MAS, verosimilmente scatenata da infezione da EBV. A 16 anni comparsa di poliartrite evoluta in MAS in assenza di episodi febbrili/infettivi pregressi. In tale occasione viene posta diagnosi di AIG poliarticolare in paziente con MAS ricorrenti e iniziata terapia con Methotrexate ed Etanercept con buon controllo della sintomatologia. L'analisi estesa per sindromi autoinfiammatorie ha rilevato la presenza della variante genomica c.2357G>T in condizione di eterozigosi nel gene NLRC4. La valutazione del pannello genetico familiare è in corso in entrambi i casi. Conclusioni: Mutazioni in eterozigosi del gene NLRC4, seppur definite non causative, sembrano associate con svariati quadri clinici nell'ambito delle sindromi autoinfiammatorie, oltre che ad una elevata suscettibilità a sviluppare MAS. Nel nostro primo caso si associa alla Sindrome Autoinfiammatoria con Enterocolite (SCAN4), mentre nel secondo, in accordo a quanto riportato in letteratura, corrisponde ad una variante ad incerto significato. La genetica può esserci di aiuto nella gestione degli episodi infettivi, che vanno trattati tempestivamente ed adeguatamente al fine di prevenire l'insorgenza di complicanze, focalizzando l’ attenzione sulla sintomatologia gastrointestinale Non solo cardite reumatica... un caso di difficile diagnosi differenziale M. Capponi 1 1 Dipartimento di Pediatria, Sapienza Università di Roma, Roma, Italia E. Del Giudice1 , A. Di Coste1 , M. Iacobini1 , F. Ventriglia1 , C. Passarelli 2, F. De Benedetti2 , M. Duse1

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2 Unità Operativa Complessa Laboratorio di Genetica Medica, Ospedale Pediatrico Bambino Gesù-IRCCS 3 Dipartimento Pediatrie Specialistiche-Reumatologia, Ospedale Pediatrico Bambino Gesù-IRCCS Introduzione Le sindromi autoinfiammatorie sono un gruppo di disordini caratterizzati da infiammazione in assenza di screzi infettivi o autoimmuni Scopo: Segnalare un caso di cardite reumatica severa che in un paziente geneticamente predisposto slatentizza una sindrome autoinfiammatoria. Risultati: M, maschio, 11 anni, origine caucasica. Benessere clinico fino a 10 anni quando è stata formulata diagnosi di Malattia Reumatica in presenza di febbre, artralgie migranti, VES>60 mm/h, PCR>3 mg/dl, TAS 1700, PR allungato e riscontro ecocardiografico di insufficienza mitro-aortica severa. Ha iniziato pertanto terapia corticosteroidea, cardiologica anti-scompenso e profilassi con Benzatin Penicillina (ogni 21 giorni). Dopo due mesi, alla sospensione dei glucocorticoidi, episodi ricorrenti di febbre (2 al mese, ad intervalli irregolari), associata a dolori addominali, vomito o diarrea, e aumento degli indici di flogosi. Ad ogni episodio, dopo aver escluso eziologie infettive e recidive reumatiche nonchè un interessamento valvolare in corso di malattia sistemica autoimmune, pur in assenza di vegetazioni endocarditiche, sono stati somministrati antibiotici endovena con risoluzione temporanea del quadro clinico/laboratoristico ma sostanziale stabilità del quadro cardiologico. Si rendeva pertanto necessario intervento di plastica mitralica e sostituzone valvolare aortica con protesi meccanica. A tre giorni dall'intervento, compariva iperpiressia nonostante la copertura antibiotica, riprendeva quindi terapia corticosteroidea assunta nei tre mesi successivi con complessivo controllo degli episodi febbrili. Alla sospensione dei glucocorticoidi quattro nuovi episodi di febbre (ad intervalli di 20-40 giorni), di durata variabile (4-7 giorni), associata a rapido aumento degli indici infiammatori, dolori addominali e sierositi pleuro/pericardiche. Negative le indagini infettivologiche, immunologiche ed autoimmuni. Sono state escluse eventuali patologie neoplastiche. La sieroamiloide A negli intervalli di benessere clinico e apiressia è risultata elevata con indici di fase acuta normalizzati. Per le pericarditi ricorrenti, nel sospetto di sindrome autoinfiammatoria, vista la dipendenza da corticosteroide, ha iniziato terapia con antagonista del recettore dell'interleuchina 1 ed eseguito l'analisi genetica per autoinfiammatorie che ha rilevato la presenza della variante genomica c.1129G>A in eterozigosi nel gene MVK (Mevalonato Kinasi) a segregazione materna. A due mesi dall'inizio della terapia due riacutizzazioni cliniche (solo febbre) e laboratoristiche di durata e severità ridotte. Conclusioni: La variante identificata è descritta come associata al deficit della MVK (MKD) se presente in omozigosi o eterozigosi composta. Nonostante la mutazione sia in eterozigosi, l'espressione fenotipica è compatibile con la sindrome, confermando l'eterogeneità caratteristica della malattia che solo in parte si spiega con l'attività enzimatica residua della MVK. Sindrome autoinfiammatoria da mutazioni del gene TRNT1: efficacia della terapia con Etanercept Francesca Orlando Università degli Studi di Napoli Federico II-Dipartimento Materno-Infantile C.M. Gallinoro, R. Naddei, M. Amico, C. Porfito, T. Lastella, M. Alessio Università degli Studi di Napoli Federico II-Dipartimento Materno-Infantile Introduzione: TRNT1 è un gene che codifica per un enzima ubiquitario (CCA-adding tRNA nucleotidyl transferase enzyme) che catalizza l'aggiunta della tripletta nucleotidica CCA al 3' terminale dei tRNA di nuova sintesi. Le mutazioni di TRNT1 sono state descritte in 34 pazienti e sono associate ad un fenotipo eterogeneo che va dall’esordio precoce di anemia sideroblastica congenita associata a immunodeficit, febbre e ritardo dello sviluppo (SIFD), fino alla retinite pigmentosa ad esordio tardivo. Obiettivi: descrivere due pazienti con sindrome autoinfiammatoria dovuta a mutazioni del gene TRNT1 e responsive alla terapia con Etanercept. Materiali e metodi: Riportiamo 2 pazienti (P1 e P2), di sesso femminile, non consanguinee, giunte alla nostra attenzione, a distanza di diversi anni, per febbre ricorrente sin dai primi mesi di vita, associata a lesioni cutanee, aumento degli indici di flogosi ed anemia tale da richiedere una trasfusione in P1. Con la crescita, si è evidenziato un ampio corollario di manifestazioni cliniche: dismorfismi facciali, capelli radi, microcefalia, distrofia, ritardo nell’acquisizione delle tappe dello sviluppo psicomotorio, sordità neurosensoriale, cataratta bilaterale, deficit di GH. Entrambe le pazienti hanno presentato artrite, rispettivamente di caviglia e di ginocchia. Ipogammaglobulinemia è stata riscontrata in entrambe le pazienti, ma in P1 si è risolta all’età di due mesi, mentre in P2 persiste deficit di IgA con ridotti livelli di linfociti B. Sono state effettuate numerose indagini di approfondimento, tra le quali l'analisi molecolare per le principali sindromi autoinfiammatorie,

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che non hanno condotto ad una diagnosi. Alla luce della complessità fenotipica, è stata richiesta la whole exome sequencing (WES). Risultati: Nell’ipotesi di una sindrome autoinfiammatoria, è stata inizialmente avviata terapia con farmaco anti-IL1 (Anakinra) all’età di 9 anni (P1) e 2 anni (P2). Per la parziale risposta in entrambe le pazienti, il farmaco è stato sostituito con una terapia anti-TNFα (Etanercept) dopo 2 anni per P1 e dopo 4 mesi per P2. La WES ha evidenziato due mutazioni del gene TNRT1: P1 c.608G>A (p.Arg203Lys), c.1246A>G (p.Lys416Glu); P2 c.938delT (p.Leu313fs), c.1246A>G (p.Lys416Glu). È stato effettuato un monitoraggio clinico, laboratoristico e strumentale per un totale di 9 anni con risoluzione della sintomatologia infiammatoria e normalità degli indici di flogosi. Conclusioni: Attualmente le due pazienti hanno rispettivamente 20 e 11 anni. Tra le mutazioni riscontrate la p.Leu313fs non è segnalata in letteratura. La terapia con Etanercept si è dimostrata efficace e non sono stati registrati eventi avversi di rilievo a distanza di 9 anni dall’inizio del trattamento. In letteratura sono stati recentemente descritti altri 3 casi trattati con lo stesso farmaco, con un follow-up di 3 anni. Pertanto, riportiamo il periodo di osservazione più lungo per la terapia con Etanercept in pazienti con mutazioni di TRNT1. Resistenza terapeutica in un caso di Corea reumatica Maria Cirillo U.O. Pediatria, Azienda Ospedaliera “Pugliese-Ciaccio” di Catanzaro V. Talarico1, P. Chiarello1, L. Muraca1, C. Caglioti1, R. Bianchi1, MC Galati2, G. Raiola1 1)U.O. Pediatria, Azienda Ospedaliera “Pugliese-Ciaccio” di Catanzaro. 2) U.O. Oncoematologia pediatrica, Azienda Ospedaliera “Pugliese-Ciaccio” di Catanzaro Bimba di 8 anni giunge alla nostra osservazione in quanto da circa 3 giorni presenta movimenti involontari de afinalistici agli arti e al volto, disturbo dell’equilibrio con frequenti cadute; inoltre mostra disgrafia e disartria con stato di intensa agitazione. Anamnesi familiare e patologica remota non contributorie. Non vengono descritti recenti episodi febbrili, nè infezioni alte vie respiratorie. All’esame obiettivo si evidenzia ipereccitabilità dei riflessi osteotendinei, specie patellari, difficoltà a deambulare, movimenti a scatto dei quattro arti, ipersalivazione e discinesie lingua, labbra e palpebre. Gli esami ematochimici di primo livello, EEG, rachicentesi ed RMN encefalo risultano negativi e/o nella norma; mentre all’ecocardiogramma si evidenzia lieve “prolasso della valvola mitralica”. Le indagini virologiche ed autoimmunitare nella norma; particolarmente elevati i valori delle ADnasi B (3140 U/L) con normalità del TAS (180 UI/L). Tampone faringeo negativo. Nel sospetto di corea reumatica inizia terapia antibiotica con amoxicillina (80 mg/kg), cortisonica (prednisone, 2 mg/kg/die) e risperidone. Dopo circa 5 giorni dall’inizio della terapia non si registra alcun miglioramento della sintomatologia con particolare difficoltà nel riposo notturno a causa dei movimenti involontari. Pertanto si intraprende terapia aggiuntiva con IgVena (2 gr/kg in 2 giorni). A 48 h dal termine dell’infusione evidente miglioramento clinico, con rapida riduzione dei movimenti involontari e delle discinesie. Ad un mese, la piccola non presenta più sintomi. DISCUSSIONE: La corea reumatica (CR), o corea di Sydenham, è la forma più comune acquisita di corea dell’infanzia, con maggior interesse per il sesso femminile e l’età infantile (5-14 anni). La diagnosi è prevalentemente clinica, supportata dal riscontro di pregressa infezione streptococcica evidenziata dalla positività delle ADnasi e/o TAS. Ancora dibattuto è il trattamento e non esistono linee guida codificate. La terapia sintomatica permette il contenimento dei sintomi, ma non modifica l’evoluzione della malattia. La terapia cortisonica si è dimostrata efficace in tutte le fasi e nei diversi gradi della malattia, riducendo i sintomi ed accelerando la guarigione. Tuttavia, come nel nostro caso, alcune forme più severe non rispondono pienamente a tale terapia e richiedono la somministrazione di alte dosi di IVIG. L’esatto meccanismo delle IVIG nel trattamento della CR rimane incerto, ma s’ipotizza che inattivino gli anticorpi anti-neuronali tipici di tale patologia. Al momento, in letteratura sono presenti solo singoli case report, per cui risultano necessari studi randomizzati e controllati per poter chiaramente valutare la loro efficacia a breve e lungo termine. Variabile espressione fenotipica della sindrome orticaria vasculitica ipocomplementemica (HUVS) Marco Ranalli Dipartimento Pediatrico Universitario Ospedaliero Policlinico Umberto I - Università La Sapienza Roma Giulia Marucci, Manuela Pardeo, Rebecca Nicolai, Antonella Insalaco, Fabrizio De Benedetti, Claudia Bracaglia Unità Operativa di Reumatologia, IRCCS Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, Roma Italia

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Introduzione. La sindrome orticaria vasculitica ipocomplementemica (HUVS) è una rara sindrome caratterizzata da lesioni orticarioidi e vasculitiche croniche ed ipocomplementemia associate ad un coinvolgimento sistemico principalmente dell’apparato muscoloscheletrico ed oculare ma anche renale, gastrointestinale e polmonare. In letteratura sono riportati solo pochi casi pediatrici e tutti associati a coinvolgimento renale con diversi gradi di severità. Obiettivi e metodi. Descriviamo cinque bambini con diagnosi di HUVS con due diverse espressioni fenotipiche della malattia. Risultati. Tutti e 5 i pazienti soddisfacevano i criteri diagnostici per la HUVS secondo Schwartz. Tre hanno presentato un coinvolgimento sistemico più marcato con vasculite, artrite e interessamento renale (dalla microematuria persistente alla sindrome nefrosica). Due di questi hanno presentato anche una vasculite polmonare[1]. Gli altri due pazienti, invece, hanno sviluppato un coinvolgimento sistemico più moderato, ma con un quadro cutaneo più marcato di vasculite orticarioide con lesioni purpuriche ed edema di mani e piedi, dolori articolari e addominali, senza coinvolgimento renale. Questi due pazienti hanno inoltre sviluppato un quadro di colecistite, finora non riportato in letteratura nei casi di HUVS. Tutti e cinque i pazienti sono stati trattati inizialmente con glucocorticoidi e antistaminico. I tre con il coinvolgimento renale hanno necessitato di terapia immunosoppressiva (CYC, AZA, MMF) sistemica, mentre gli altri due sono stati trattati con dapsone con beneficio. Nessuno dei 5 pazienti ha sviluppato un Lupus Eritematoso Sistemico (LES), solo uno di questi ha presentato, 4 anni dall’esordio della malattia, una positivizzazione degli Ab anti-dsDNA, tuttavia non ha mai soddisfatto i criteri diagnostici del LES[1]. Conclusioni. La HUVS è una condizione rara in età pediatrica e sembra essere associata ad un coinvolgimento renale più grave rispetto all’adulto. Il fenotipo clinico può essere variabile e il riscontro di una colecistite non è mai stato riportato prima. Gli anticorpi anti-C1q sono praticamente sempre positivi, anche se nelle casistiche di pazienti adulti viene riportato che quasi il 50% dei pazienti non presenta tali anticorpi ma ha comunque livelli ridotti di C1q. Il dosaggio di C3 e C4 va sempre eseguito in pazienti con orticaria cronica e coinvolgimento renale e/o gastrointestinale. E’ infine evidente la necessità di uno stretto monitoraggio clinico e laboratoristico dei pazienti con HUVS vista la possibilità di un coinvolgimento renale tardivo e la possibile evoluzione di tale patologia in un LES in circa il 50% dei pazienti. Bibliografia 1. Pasini A. Rheumatology 2014; 53:1409-1413 L’APPARENZA INGANNA: DUE CASI DI DIAGNOSTICA DIFFERENZIALE TRA REUMATOLOGIA E ONCOEMATOLOGIA Teresa Lastella UOS Reumatologia Pediatrica, Dipartimento Materno Infantile, Università di Napoli Federico II Francesca Orlando, Roberta Naddei, Marina Amico, Carolina Porfito, Maria Alessio UOS Reumatologia Pediatrica, Dipartimento Materno Infantile, Università di Napoli Federico II INTRODUZIONE: Riportiamo due casi giunti all’osservazione per sospetto di patologia reumatologica, con successiva diagnosi di linfoma. OBIETTIVI: Valorizzare l’importanza della diagnostica differenziale in reumatologia. METODI: Report di due casi clinici. RISULTATI: Il primo caso riguarda G., femmina, 15 anni, che presentava pallore cutaneo e astenia da tre mesi. Ricoverata presso un ospedale territoriale, si rilevava: Hb 7,4 g/dl, VES 120 mm, PCR 143 mg/, non trombocitopenia, né leucopenia. Venivano escluse cause infettive e malattie infiammatorie intestinali. Fra gli autoanticorpi, Anticorpi anti nucleo (ANA) e Lupus Anti-Coagulant (LAC) risultavano debolmente positivi. Nel sospetto di esordio di Lupus Eritematoso Sistemico (LES), giungeva presso l’ambulatorio di Reumatologia Pediatrica. Gli esami ematochimici confermavano anemia non emolitica e ipergammaglobulinemia; risultavano debolmente positivi: Test di Coombs diretto, anticorpi anti Istoni, ANA. All’esame obiettivo non si evidenziavano lesioni cutanee, tuttavia si rilevava una tumefazione palpabile sovraclaveare ed epatosplenomegalia. L’ecografia mostrava linfonodi con aspetti disomogeneamente ipoecogeni e ricca vascolarizzazione; la PET-TC evidenziava numerose aree linfonodali ipercaptanti sovradiaframmatiche. La biopsia linfonodale deponeva per Linfoma di Hodgkin, sottotipo sclerosi nodulare. Praticava chemioterapia e radioterapia, con buona risposta; attualmente è in remissione clinica. Il secondo caso riguarda B., maschio, 8 anni, da circa un mese presentava noduli sottocutanei multipli agli arti inferiori, esorditi dopo trauma. La biopsia cutanea, deponeva per panniculite e si avviava terapia con steroide a basse dosi. Dopo sei mesi, compariva febbre, malessere e aumento del numero di lesioni. Gli esami ematochimici mostravano anemia, aumento degli indici di flogosi, ipertransaminasemia, ipoabuminemia ed

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iperferritinemia. Si escludevano cause infettivologiche e, dopo rivalutazione della precedente istologia, praticava nuova biopsia delle lesioni che mostrava un quadro compatibile con Subcutaneous Panniculitis T-cell lymphoma (SPTCL). Ad una settimana dalla diagnosi, il piccolo, presentava sindrome sistemica emofagocitica con Coagulazione Intravascolare Disseminata (CID). Praticava chemioterapia e radioterapia locale agli arti inferiori, seguita da trapianto autologo di midollo osseo. Attualmente B. è in remissione clinica. CONCLUSIONI: Il riscontro isolato di elementi clinico-laboratoristici potenzialmente patognomonici di patologia reumatologica (come la debole autoimmunità del primo caso e la sospetta panniculite del secondo), non esime il pediatra dalla ricerca di elementi di diagnostica differenziale, soprattutto in ambito oncoematologico, se il quadro clinico e/o la risposta terapeutica hanno decorso atipico. Inoltre è indispensabile astenersi da condotte terapeutiche confondenti, come la somministrazione di steroidi, fino ad una definitiva esclusione di patologie neoplastiche. Una bambina con valgismo ingravescente delle ginocchia e zoppia Debora Mariarita d'Angelo 1 Servizio Regionale di Reumatologia Pediatrica, Clinica Pediatrica, Ospedale Policlinico, Chieti Lapergola G1, Di Battista C1, Marsili M1 , Troiani R1, Mohn A2, Breda L1 2 Clinica Pediatrica, Ospedale Policlinico, Chieti Alice, 15 mesi, è giunta alla nostra osservazione per valgismo bilaterale progressivo delle ginocchia negli ultimi 3 mesi, dopo l’acquisizione della postura eretta e della deambulazione. All'età di 7 mesi si segnalava piede piatto pronato bilateralmente. Eseguita per tale motivo una visita fisiatrica che, nel sospetto di una displasia dell'anca, ha consigliato Rx del bacino, risultato negativo. Riferita alimentazione libera e bilanciata; supplementazione con vitamina D dalla nascita. Anamnesi familiare silente. All’esame obiettivo la piccola presentava ritardo di crescita ed irritabilità associate a difficoltà nella deambulazione; presentava inoltre grave valgismo delle ginocchia ed instabilità di 2 denti dell’arcata superiore. L’Rx arti inferiori documentava: “valgismo bilaterale maggiore a sinistra e presenza di aeree osteolitiche a margini sclerotici a carico della testa peroneale e metaepifisi prossimale tibiale bilateralmente, in assenza di interruzioni della corticale adiacente”. L’Rx arti superiori evidenziava: “aspetto disomogeneo a carattere misto della regione metafisaria distale dell'ulna sinistra”. Esami di laboratorio: indici di flogosi, funzionalità tiroidea, screening celiachia, PTH e vitamina D nella norma. Alterati risultavano fosfatasi alcalina (prima determinazione 20 U/L, seconda determinazione A-p(glu191Lys) nell’esone 6 e c.963delG-p(Lys322Argfs*44) nell’esone 9]. La valutazione genetica nei genitori ha evidenziato la presenza della mutazione missense (esone 6) nella madre e della delezione (esone 9) nel padre, in assenza di segni clinico-laboratoristici di malattia. Posta diagnosi di HPP ad esordio giovanile, si iniziava trattamento sostitutivo con asfotase alfa. Al controllo, dopo 3 mesi di trattamento l’Rx arti inferiori documentava “risoluzione delle aree di osteo-rarefazione descritte in precedenza, con comparsa dei nuclei di ossificazione peroneali. Diffusa osteopenia”. Discussione L’HPP è una rara patologia metabolica conseguente ad una mutazione del gene codificante per la fosfatasi alcalina non tessuto specifica, con conseguente alterata mineralizzazione ossea e dentale fino ad un potenziale coinvolgimento sistemico. Sono attualmente note più di 350 mutazioni ma non vi è chiara correlazione genotipo-fenotipo. Ad oggi, secondo le nostre conoscenze, questo è il primo caso che descriva l’associazione in eterozigosi di tali 2 mutazioni del gene ALP. Sindrome di Blau: descrizione di un caso Francesca Orlando Università degli Studi di Napoli Federico II-Dipartimento Materno-Infantile R. Naddei, M. Amico, C. Porfito, T. Lastella, M. Alessio Università degli Studi di Napoli Federico II-Dipartimento Materno-Infantile Introduzione: La sindrome di Blau (BS) si caratterizza per la triade artrite poliarticolare, uveite e rash. È determinata da mutazioni del gene NOD2/CARD15 e segue un pattern di trasmissione autosomica dominante. Obiettivi: Descrivere la presentazione clinica, il trattamento ed il follow-up di una paziente affetta da BS. Materiali e metodi: Riportiamo il caso di una paziente giunta all’ambulatorio di Reumatologia pediatrica dell’Università di Napoli Federico II all’età di 2 anni per coxalgia ricorrente. All’anamnesi familiare,

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madre affetta da artrite reumatoide e panuveite con perdita del visus. All’anamnesi personale, due episodi, all’età di 12 e 15 mesi, di rash maculopapulare diffuso a risoluzione spontanea nell’arco di due settimane. Dall’età di 18 mesi storia di coxalgia ricorrente, responsiva al trattamento con farmaci antinfiammatori non-steroidei (FANS), ma ripresa alla sospensione della terapia. All’esame obiettivo si evidenziava artrite poliarticolare simmetrica di polsi, gomiti, ginocchia ed interfalangee prossimali. Gli esami mostravano indici di flogosi elevati e negatività dell’autoimmunità. Veniva posta diagnosi di Artrite Idiopatica Giovanile (AIG) poliarticolare ed avviato trattamento con FANS e Methotrexate (MTX). Veniva eseguita valutazione oculistica risultata nella norma e ripetuta a cadenza semestrale. Per il peggioramento della sintomatologia dopo 3 mesi di terapia, con interessamento dell’articolazione coxofemorale e del rachide cervicale, si associava Etanercept. Dopo 7 mesi di terapia combinata con MTX ed Etanercept, persisteva tumefazione e limitazione del polso destro. Veniva sottoposta ad infiltrazione intrarticolare di corticosteroide, con parziale beneficio. All’età di 4 anni, per insorgenza di chiazze eritematose, infiltrate, sfumate e confluenti in placche, eseguiva biopsia cutanea che mostrava: “il derma è sede di alcuni piccoli granulomi non necrotizzanti a cellule epiteliodi che focalmente coinvolgono l’ipoderma, associate a lieve fibrosi ed iperplasia dei fascetti nervosi. Reperto di malattia granulomatosa sarcoid-like”. Nel sospetto di BS veniva richiesta analisi del gene NOD2. All’età di 5 anni, per riduzione del visus, anticipava valutazione oculistica che evidenziava uveite anteriore e sinechie posteriori bilateralmente. Avviava terapia steroidea sistemica e sostituiva Etanercept con Adalimumab con miglioramento del quadro oculare ed articolare. Risultati: L’analisi del gene NOD2/CARD15 evidenziava la mutazione p.Arg334Trp (R334W) in eterozigosi nel dominio NACHT. Attualmente la paziente ha 6 anni, non presenta segni di artrite in fase attiva ed il quadro oculare è caratterizzato da sinechie iridolenticolari e cheratopatia a bandelletta. Conclusioni: Le manifestazioni cliniche, l’esordio precoce, la biopsia cutanea, la mutazione del gene NOD2 e la presenza del medesimo quadro clinico nella madre, in attesa dell’esito della genetica, consentono di porre diagnosi di BS. DIVERGENT RESPONSE OF REFRACTORY RECURRENT PERICARDITIS (RP) TO TWO DIFFERENT IL1 BLOCKING AGENTS: DOES IL-1Α HAVE A CRUCIAL ROLE IN THE PATHOGENESIS OF RP? Sara Signa Clinica Pediatrica e Reumatologia, IRCCS Istituto G.Gaslini, 2DINOGMI, Università di Genova, Genova C.Matucci Cerinic 1,2; M. D'Alessandro1, 2, M. Bustaffa1, 2, R. Consolini3, A. Miniaci4, M. Bizzi3, A. Pession4, L. Oliveira Mendonça1, R. Caorsi1, A. Ravelli1, 2, M. Gattorno1 1Clinica Pediatrica e Reumatologia, IRCCS Istituto G.Gaslini, 2DINOGMI, Università di Genova, Genova, 3Clinica pediatrica, Università di Pisa, Pisa, 4Pediatric Unit, Department of Medical and Surgical Sciences, S. Orsola - Malpighi Hospital, University Introduction:Recurrent pericarditis (RP) is a common complication of acute pericarditis (15–30%). Treatment regimen consists of a combination of NSAIDs with colchicine, with the addition of corticosteroids in resistant or intolerant cases. Anakinra is a therapeutic option as steroid-sparing agent which neutralises the biologic activity of IL-1α and IL-1β by inhibiting their binding to IL-1 type I receptor, while Canakinumab is a monoclonal antibody against IL-1β only. Objectives:To describe two cases of refractory RP with a divergent response to two different IL-1 blockers. Methods: The first patient is a 9-years old girl with RP started in April 2015 after surgical correction of an atrial septal defect. NSAIDs and oral steroids were started and then gradually tapered, with prompt relapse after the steroid suspension.The child showed a steroid-dependent RP, with several relapses if tapering attempted and no benefit from colchicine and NSAIDs. After 5 relapses Anakinra was started with a fast and complete clinical response, but discontinued after 2 weeks for severe local injection reactions. In July 2016 therapy with canakinumab 4 mg/kg every 4 weeks was started, together with steroids (then gradually tapered) and NSAIDs. The second patient is a 10-years-old girl with a history of idiopathic RP, started in April 2017 with typical clinical picture and initial benefit from NSAIDs and colchicine. However, 10 days after the first episode a relapse occurred and therapy with anakinra was started with complete clinical response. Two months later, while being in complete remission, anakinra was replaced with canakinumab (2.5 mg/kg/dose) due to poor compliance to daily injections. Results: Patient 1: She experienced 4 relapses during Canakinumab therapy despite the modification of the schedule (4 mg/kg every three weeks) associated with the reintroduction of colchicine and continuous steroid treatment, with repeated flares at every attempt of tapering. In January 2018 a procedure of desensitization from anakinra

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was performed with success. Anakinra therapy is currently ongoing with low-dose colchicine. An almost complete withdrawn of steroid is undergoing with no signs of flare. Patient 2:Ten days after the first Canakinumab injection she experienced a relapse requiring oral steroids. Anakinra (2 mg/kg/day) was subsequently re-started allowing steroid tapering in few days. The patient showed complete remission in anakinra as monotherapy with a good tolerance and after further 8 months follow-up she does not show any sign of relapse. Conclusion: We describe two cases of failure of the treatment with anti-IL-1b monoclonal antibodies in steroid- dependent idiopathic RP. In both case a good response was achieved with recombinant IL-1 receptor antagonist. These anecdotal and preliminary observations suggest a different efficacy of the two IL-1 blockers in the management of RP and support a possible pivotal role of IL-1α in the pathogenesis of this condition UN CASO DI ARTRITE IDIOPATICA GIOVANILE AD ESORDIO ATIPICO Michela Cappella SSD Reumatologia Pediatrica AO IRCCS SMN Reggio Emilia Silvia Ciancia, Claudia Ferrari, Alessandro De Fanti Scuola di Specializzazione Università di Modena e Reggio Emilia;SSD Reumatologia Pediatrica AO IRCCS SMN Reggio Emilia L., 14 anni giunge alla nostra attenzione per febbre persistente, artromialgie diffuse, faringodinia e sintomi gastrointestinali. Già avviata amoxicillina per os senza beneficio (non eseguito tampone faringeo per SBEGA). Obiettivamente paziente astenico, disidratato, iperemia faringotonsillare con adenite reattiva, polo splenico palpabile, non segni di flogosi articolare. Agli esami ematici leucocitosi neutrofila (GB 16.140, N 84 %), incremento degli indici di flogosi (PCR 39.58 mg/dl, VES 80 mmh) ed elevazione delle CPK (476 U/l). All'ECG presenza di alterazioni diffuse della ripolarizzazione, Rx torace negativo, epatosplenomegalia all'ecografia addome. Impostata terapia reidratante ev ed antibiotica ad ampio spettro. Nelle successive 24 h comparsa di dolore toraco/epigastrico, astenia marcata e lieve bradicardia con PA e Sa02 nella norma. Dosati gli enzimi cardiaci: consistente rialzo della troponina (28.36 ng/ml) e delle CK-MB; evidenza di sopraslivellamento diffuso del tratto ST all’ECG di controllo. Ecocardiogramma indicativo di minimo versamento pericardico e lieve ipocinesia segmentale postero-basale con frazione di eiezione (FE) conservata. Nei giorni successivi quadro cardiaco stabile ma persistenza di febbre (> 15 gg) con spikes serotini, artromialgie migranti ed invalidanti e rash maculo-papuloso evanescente in puntata febbrile. Negative le indagini infettivologiche unitamente allo screening autoimmune (ANA, ENA , AntiDNA , ANCA , ASCA, LAC). Nella norma la funzionalità epato-renale, iperferritinemia (2853 ng/ml) e aumento della sieroamiloide A (438 mg/dl). Aspirato midollare negativo. Posta diagnosi di artrite idiopatica giovanile (AIG) sistemica ad esordio atipico (mio-pericardite). Impostata terapia steroidea ev con metilprednisolone (1 gr per 3 gg) seguito da prednisone per os (60 mg/die) in progressivo decalage. Completa negativizzazione degli indici di flogosi sistemica, degli enzimi cardiaci e stabile apiressia dopo introduzione di anti-IL-1 (Anakinra, 2 mg/kg/die). Rapida normalizzazione delle alterazioni ECGgrafiche e scomparsa del versamento pericardico. A distanza di 3 mesi dall'esordio effettuata RM cardiaca con mdc con evidenza di lieve ipocinesia della parete laterale media del ventricolo sn (Vsn) presenza di minute areole intramurali di iperintensità di segnale come esiti fibrotico cicatriziali post-miocarditici. Attualmente ottimo controllo clinico-bioumorale con Anakinra; alla RM cardiaca miglioramento della contrattilità segmentaria del Vsn, FE > 60 %; esiti fibrotici stabilizzati. ECG da sforzo ed holter ECG nella norma. L'interessamento miopericardico è una rara e inusuale esordio di AIG sistemica in età pediatrica. La letteratura in merito è esigua e il coinvolgimento cardiaco è descritto più frequentemente come complicanza in forme gravi di artrite. Ad oggi è riportato un solo caso pediatrico di AIG sistemica esordita con scompenso cardiaco in corso miocardite. MYOTONIA CONGENITA PRESENTING AS GROWING PAINS IN TWO CHILDREN Riccardo Papa IRCCS Istituto Giannina Gaslini Emanuele Giacheri, Chiara Fiorillo, Giacomo Brisca, Roberta Caorsi, Pia Bernasconi, Marco Gattorno, Paolo Picco IRCCS Istituto Giannina Gaslini, IRCCS Istituto Neurologico "Carlo Besta"

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Introduction. Myotonia congenita is a rare skeletal muscle channelopathy caused by CLCN1 gene sequence variants and characterized by delayed muscle relaxation after contraction . Growing pains are the commonest episodic pain syndrome during childhood. Objectives. To describe two patients with myotonia congenita who were referred to our Rheumatology Unit for growing pains. Patients and Methods. Patient 1 displayed nocturnal episodes of knee pain and daily muscle stiffness following a period of rest. Patient 2 presented nocturnal lower limbs pain attacks associated to tremors and sweats. Physical examination showed no signs of arthritis in the two patients, but mild muscle hypertrophy. Routine laboratory tests were negative. Knees radiography of patient 1 was normal but electromyography showed myotonic pattern type II. Molecular analysis of CLCN1 gene revealed heterozygous sequence variants in both patients. Regular muscle stretch exercise were started with benefit. The intronic mutation c.1167-10T>C of patient 1 has never been described and the intronic mutation c.2364+2T>A of patient 2 has never been associated with a dominant inheritance pattern. Conclusions. In our experience congenital myotonia seems to be a misdiagnosed cause of recurrent lower limb pain syndrome in children: popliteal muscle hypertrophy in non-athletic children and muscle stiffness may be its heralding symptoms. SAPHO SYNDROME IN ADOLESCENCE: A CASE SERIES Ilaria Maccora Rheumatology Unit, University of Florence, A. Meyer Children's Hospital, NEUROFARBA Department, Florence, Italy Francesca Tirelli, Edoardo Marrani, Teresa Giani, Gabriele Simonini , Rolando Cimaz1 Introduction: SAPHO (Synovitis, Acne, Pustulosis, Hyperostosis and Osteitis) syndrome is a rare disease and sufficient data on its prevalence are unavailable. Mean age of patients is 40 years, with only few cases in adolescents. Due to subtle presentation, it is still underdiagnosed. Objectives: To assess clinical features, laboratory and radiological findings in our patients affected by SAPHO syndrome and to evaluate response to treatments. Methods: clinical, laboratory, radiological data, and treatments were collected from all patients presenting to Meyer Children's Hospital of Florence from 2015 to March 2018 diagnosed with SAPHO syndrome. Results: Four patients (2 female and 2 male) with a mean age of 14.9 y (range 140-179 mo) were collected. The median time between disease onset and diagnosis was 9,5 mo (range 3-22 mo). All four patients had osteoarticular symptoms and skin involvement. Two patients had already been diagnosed with Inflammatory Bowel diseases and under infliximab treatment at the time of SAPHO diagnosis. Skin involvement was characterized by severe acne (2 patients), psoriasis vulgaris and palmoplantar pustulosis psoriasis. All patients suffered from back pain, 3 of them complained with pain at sternoclavicular joints, 2 at coxofemoral joints, 1 at shoulders and 1 in the costal, tibial and mandibular bones. Two patients displayed a persistent, low-grade fever. Three patients showed increased ESR and two CRP. Whole body MRI was performed in three patients and it showed signs of osteitis and synovitis, while bone scintigraphy was performed only in one patient and exhibited an increased uptake in affected bone with the typical ‘‘bull’s head’’ appearance in the sternoclavicular region. All patients received NSAID and successively corticosteroid without clinical and radiological response; one was treated with cyclosporine with partial response. All patients finally received an anti-TNFα treatment (3 Adalimumab and 1 Etanercept) with a complete clinical and laboratory recovery in three of them, while one only had a partial improvement because of the brief follow-up. Moreover, two of them received intravenous bisphosphonate (Pamidronate 1mg/kg/day for 3 days) in consideration of a serious involvement of vertebral bodies, but in one of them it was discontinued for side effects. Conclusion: SAPHO syndrome, as we observed in our patients, has a high impact on general health and quality of life. In two cases we evaluated the association with IBDs, and we observed the disease onset under treatment with anti-TNFα. While in the others two cases the disease onset was under isotretinoin. There is a lively debate if these drugs may be considered triggers or cure. Whole body MRI and bone scintigraphy have been useful tools to define the diagnosis, while no patients needed bone biopsy. Anti-TNFα agents have proven to be effective in our patients, and they could be considered as a standard treatment to control the disease.

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Trattamento con Canakinumab in un caso di Sindrome di Sweet in età pediatrica Lucrezia Sarti Unità di Reumatologia Pediatrica, AOU A.Meyer, Firenze Ilaria Maccora, Francesca Tirelli, Edoardo Marrani, Teresa Giani, Gabriele Simonini, Rolando Cimaz Unità di Reumatologia Pediatrica, AOU A.Meyer, Firenze Introduzione: La Sindrome di Sweet (dermatosi neutrofila febbrile acuta) è una malattia rara, in particolar modo in età pediatrica, dove rappresenta il 5%-8% di tutti i casi. Il sospetto clinico è solitamente confermato dal riscontro all’esame istologico di un diffuso infiltrato di neutrofili maturi nella porzione superiore del derma. Visto il ruolo dell’aberrante produzione di interleuchina-1 (IL1) nella patogenesi di questa dermatosi, in alcuni adulti si è dimostrato efficace l’utilizzo del farmaco antagonista del recettore dell’IL1 umana (Anakinra). Obiettivo: riportiamo la nostra esperienza con l’utilizzo di Canakinumab (anticorpo monoclonale umano anti-IL-1β) in un caso pediatrico di Sindrome di Sweet. Materiali e metodi: a Novembre 2016 un bambino di cinque anni è stato ricoverato d'urgenza nel nostro ospedale per insorgenza improvvisa di febbre e multiple papule iperemiche, dolorose e dure al tatto associate al riscontro agli esami ematici di neutrofilia e aumento degli indici di flogosi (PCR e VES). All'esame istopatologico sono stati riscontrati nel derma superficiale e medio infiltrati neutrofili e linfoistioidi associati a edema. Risultati: in considerazione dei dati anamnestici, clinici, ematochimici e istopatologici è stata posta diagnosi di Sindrome di Sweet e avviata terapia con prednisone. Nonostante un netto miglioramento dell’interessamento cutaneo in corso di trattamento, a ogni tentativo di riduzione della terapia steroidea, le lesioni sono andate incontro a importante ricaduta. Pertanto è stato avviato trattamento con Anakinra con graduale risposta positiva; tuttavia, tre mesi dopo, a causa della scarsa compliance del bambino legata alle iniezioni quotidiane, Anakinra è stato sostituito con Canakinumab (1 iniezione sottocute ogni 28 giorni). Alla visita di controllo a 4 mesi di distanza dall’avvio del trattamento le lesioni sono risultate in netto miglioramento fino alla quasi totale risoluzione. Conclusioni: a nostra conoscenza questo è il primo caso di Sindrome di Sweet trattata con anticorpo monoclonale anti-IL-1β. Nella nostra esperienza, inoltre, Canakinumab si è dimostrato sicuro ed efficace in età pediatrica. Un caso di malattia di Kawasaki trattato con Anakinra. Angela Mauro Ambulatorio di Reumatologia, UOC Pediatria Ospedale "Santa Maria Della Pietà", Nola (NA). Antonio Mellos, Roberto Rega, Luigi Martemucci, Rita Sottile Antonio Mellos: Ambulatorio di Reumatologia, UOC Pediatria Ospedale "Santa Maria Della Pietà", Nola (NA). Roberto Rega, Luigi Martemucci, Rita Sottile: Ambulatorio di Reumatologia, Dipartimento di Pediatria, A.O.R.N. Santobono-Pausilipon, Napoli Introduzione: La Malattia di Kawasaki (MK) è una vasculite sistemica che interessa i vasi di piccolo e medio calibro. Dopo l’introduzione in terapia delle immunoglobuline (IVIg) la mortalità si è notevolmente ridotta dal 3 allo 0.2%; Il 10% dei pazienti tuttavia non risponde alla terapia. Nelle forme severe e resistenti è stato studiato l’utilizzo di farmaci anti-TNF (Infliximab) ed anti- IL1 (Anakinra). Obiettivo: Descriviamo un caso di MK severa trattato con Anakinra. Materiali e metodi: M,1 anno d’età, giunto alla nostra osservazione per febbre persistente da circa 6 giorni, irritabilità, rash, linfadenopatia, congiuntivite bilaterale, cheilite, edema delle mani e dei piedi. Al ricovero gli esami ematici mostravano un aumento degli indici di flogosi (PCR 100.80mg/L, VES 80mm/1h), piastrinosi (PLT 532,000/mm3), leucositosi neutrofila (GB 15.000 di cui N 79.80%); ipoalbuminemia (Alb: 2.9g/dl) ed iposodiemia (130mEq/L). Eseguiva emocoltura e sierologia per le più comuni malattie infettive che risultarono negative eccetto che per Parvovirus B19. Nel sospetto di MK eseguiva una ecocardiografia che mostrava la presenza di dilatazioni coronariche (coronaria di destra 3.9mm, coronaria di sinistra 3.6mm; circonflessa 3.1mm, interventricolare anteriore (IVA) prossimale 3.1mm). Si faceva diagnosi di MK ed iniziava terapia con IVIg (2g/Kg) e ASA (80mg/Kg). Nonostante la terapia persisteva la febbre; per tale motivo si decideva di somministrare una seconda dose di IVIg associata a tre boli di metilprednisolone (30mg/kg) in 3 giorni. All’ecocardiografia non si evinceva alcun cambiamento. Dopo 3 giorni iniziava terapia steroidea orale con prednisone (0.5mg/kg/die). All’esame obiettivo il paziente era apiretico. Dopo circa 10 giorni ricompariva la febbre e nuovamente rash, congiuntivite bilaterale e

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desquamazione a carico delle mani e dei piedi. Gli esami ematici mostravano un incremento degli indici di flogosi (PCR 65.30mg/L, VES 50mm/h); lieve anemia (Hb 10.4 g/dL)e piastrinosi (566.000). L’ecocardiografia mostrava un peggioramento del diametro delle coronarie con la comparsa di aneurismi (coronaria destra 6 mm, coronaria sinistra 6mm, IVA prossimale 5.7mm, branca diagonale della coronaria discendente anteriore di sinistra 7.2mm con all’interno un trombo). Eseguiva ulteriori 3 boli Metilprednisolone. Dopo 3 giorni la febbre persisteva nonostante la terapia. Visto il quadro clinico si intraprendeva terapia con Anakinra (2 mg/kg/die sc per 2 settimane) associata a prednisone (0.5 mg/kg/die). Il giorno seguente il paziente era apiretico e progressivamente gli indici di flogosi ritornarono nella norma. Successivamente si somministrava ASA a dosaggio antiaggregante e si aggiungeva terapia con Clopidogrel (5mg). Conclusioni: Dopo 2 settimane il paziente era in buone condizioni generali; all’esame obiettivo non mostrava segni/sintomi di riattivazione di malattia ed all’ecocardiografia si evidenziava un miglioramento delle dilatazioni coronariche. La Granulomatosi con poliangioite: una possibile causa di nodularità polmonare anche in età pediatrica. E.Casalini Clinica Pediatria e Reumatologia, Istituto Giannina Gaslini, Genova, Italia. .F. Mallamaci 1, E.Giacheri 1, R.Papa 1, A.R. Sementa 2, R.Caorsi 1, P.P. Picco 1, S. Volpi 1, A.Ravelli 1. 1 Clinica Pediatria e Reumatologia, Istituto Giannina Gaslini, Genova, Italia. 2 Anatomia Patologica, Istituto Giannina Gaslini, Genova, Italia. Introduzione: La Granulomatosi con poliangioite (GPA) è una vasculite sistemica dei piccoli vasi associata a presenza di anticorpi anti-citoplasma dei neutrofili (ANCA) con bassa incidenza in età pediatrica. Obiettivi: Presentiamo un caso di GPA in una ragazza di 15 anni con esclusivo coinvolgimento polmonare e ANCA-negatività. Materiali e metodi: Da settembre 2017, la ragazza presentava febbre non responsiva a terapia antibiotica. La Rx torace evidenziava addensamento flogistico e nodularità nel campo polmonare superiore destro con aumento degli indici di flogosi (PCR 11 mg/dL) agli esami ematici. Nel sospetto di una forma infettiva (IgM positive per Mycoplasma) si avviava terapia antibiotica, senza beneficio clinico; un ciclo di terapia steroidea (Prednisone 25 mg/die) determinava transitoria remissione del quadro. La TC Torace evidenziava addensamento nodulare (2 cm) in sede subpleurica anteriore sinistra; si avviava nuovo ciclo di steroide e antibiotico con iniziale beneficio. A marzo 2018 prima valutazione presso il nostro Centro: la TC torace mostrava la comparsa di nodulo in sede latero-basale (diametro 6 mm) e riduzione delle dimensioni del nodulo in sede subpleurica anteriore sinistra (diametro 6 mm). Gli esami ematici mostravano un aumento degli indici di flogosi (PCR 3,6 mg/dL) associato a leucocitosi, con ANCA negativi. Alla valutazione ORL e TC dei seni paranasali evidenza di modesti segni flogistici. Viste le ridotte dimensioni dei noduli polmonari e le buone condizioni generali della paziente si programmava follow-up clinico-radiologico. Dopo un mese di benessere, la paziente ha presentato dolore toracico con tosse e febbricola serotina, pertanto è stata nuovamente ricoverata presso la nostra U.O: gli esami ematici mostravano leucocitosi neutrofila con aumento degli indici di flogosi (PCR 12 mg/dL) ed esami colturali negativi; la RX Torace rilevava addensamento parenchimale destro, confermato alla TC torace (diametro 80 mm con porzione centrale colliquata di 50 mm). Alla luce del quadro clinico veniva eseguita biopsia polmonare, che evidenziava un quadro flogistico granulomatoso con segni di vasculite dei vasi di piccolo calibro, compatibile con GPA. Si avviava terapia steroidea endovena (40 mg 2 volte al giorno), con defervescenza e progressiva riduzione delle dimensioni del nodulo (33 mm all’ultima RX torace). Veniva quindi associata terapia immunosoppressiva con Ciclofosfamide (100 mg/die per os), con graduale tapering dello steroide. Gli esami ematochimici pre-dimissione mostravano indici di flogosi e ANCA negativi. Conclusioni. La presenza di un infiltrato flogistico granulomatoso a carico del polmone richiede un attento work-up infettivo logico. Il quadro clinico descritto è evidenza che la GPA localizzata, per quanto condizione rara in pediatria, va considerata nella diagnostica differenziale di tali condizioni, specie nei casi non responsivi alla terapia antibiotica, anche in caso di negatività dei titoli autoanticorpali

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Malattia di Camurati-Engelmann: quando il dolore osseo ha una causa genetica. Martina Bizzi Clinica Pediatrica, Università di Pisa Giorgio Costagliola, Giuseppe Maiorino, Rita Consolini Clinica Pediatrica, Università di Pisa Introduzione: la malattia di Camurati-Engelmann (CED) o displasia diafisaria progressiva è una rara osteodistrofia congenita caratterizzata da iperostosi multiple delle ossa lunghe. È causata da una mutazione nella regione codificante del peptide associato alla latenza (LAP) del gene TGFB1 (transforming growth factor beta 1) che ne determina un’aumentata funzione con conseguente alterazione nella composizione ossea (aumento del riassorbimento e formazione di aree sclerotiche). I pazienti con CED presentano intensi dolori ossei, andatura ondeggiante, debolezza muscolare, facile stancabilità ed eccessiva magrezza. Caso clinico: R. è un bambino di 6 anni che giunge alla nostra osservazione perché dall’età di 3 anni lamenta dolori ossei soprattutto a carico degli arti inferiori e astenia. Tale sintomatologia ha presentato un progressivo peggioramento nel tempo e attualmente ne limita la vita di relazione ed il riposo notturno. Di origine albanese, è nato a termine, da gravidanza normodecorsa. Dopo l’acquisizione della deambulazione autonoma, a 15 mesi il bambino ha cominciato a presentare andatura ondeggiante e impacciata con necessità di appoggio sulle mani per assumere la posizione seduta. Clinicamente presenta habitus marfanoide, notevole magrezza, difficoltà alla deambulazione, iperlordosi compensatoria e ipotrofia generalizzata. All’esame obiettivo articolare non si rilevano tumefazioni ma dolore e limitazione funzionale in più di 10 articolazioni, soprattutto a livello degli arti inferiori. Vengono effettuati esami ematochimici che mostrano importante elevazione degli indici di flogosi, incremento delle immunoglobuline sieriche e anemia sideropenica; ecografia dell’addome, visita oculistica e visita ORL risultano negative; la radiografia degli arti inferiori evidenzia displasia ossea perostosante e displasia delle anche con nuclei cefalici femorali sublussati. A completamento diagnostico viene eseguita rx dello scheletro in toto che evidenzia displasia a livello della teca cranica e agli arti superiori. Nel sospetto di displasia diafisaria progressiva viene richiesta l’analisi del gene TGFB1 che mostra una mutazione già presente in letteratura. Il bambino viene sottoposto a terapia con bifosfonati e indometacina che successivamente viene scalata grazie all’introduzione di inibitore del recettore di tipo 1 dell’angiotensina II con notevole miglioramento della sintomatologia e della qualità di vita. Conclusioni: la malattia di Camurati-Engelmann deve essere sospettata in un paziente con intensi dolori ossei diffusi di lunga durata, associati a stanchezza muscolare, andatura ondeggiante e facile stancabilità. In questi casi è consigliabile effettuare rx delle ossa lunghe per evidenziare l’eventuale presenza di displasia della corticale ossea. È inoltre necessario impostare tempestivamente un trattamento antidolorifico e con farmaci che interferiscano con l’azione del TGFB1 in modo da assicurare al paziente una buona qualità di vita. La dermatomiosite con Ab anti-MDA5: una rara forma di dermatomiosite amiopatica con coinvolgimento polmonare Marianna Genisio (1), Fabiana Di Sabatino (1), Francesco Licciardi (2), Marta Dellepiane (1), Davide Montin (2), Silvana Martino (2), 1: Medico Specializzando in Pediatria; Ospedale Infantile Regina Margherita, AOU Città della Salute e della Scienza, Torino 2: Immunologia e Reumatologia, Pediatria ad indirizzo infettivologico U; Ospedale Infantile Regina Margherita, AOU Città della Salute e della Scienza, Torino Introduzione La dermatomiosite giovanile (JDM) è la forma più comune di miopatia infiammatoria dell’infanzia ed è caratterizzata da un decorso clinico estremamente eterogeneo. Negli ultimi anni la scoperta di pattern anticorpali specifici ha permesso di identificare subset di pazienti omogenei per presentazione clinica e decorso. In particolare, la presenza di anticorpi anti-MDA5 è stata descritta in circa il 5% dei pazienti con JDM (con maggiore prevalenza nella popolazione asiatica) ed è associata ad un interessamento cutaneo severo, miosite amiopatica e interstiziopatia polmonare.

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Caso clinico E., 9 anni, giunge alla nostra osservazione, per un quadro ingravescente di astenia, eruzione cutanea (inizialmente diagnosticata come psoriasi) e artrite polidistrettuale, associato nell’ultimo periodo a febbre intermittente e ulcere cutanee. All’esame obiettivo la paziente presentava livedo reticularis agli arti inferiori, papule di Gottron, lesioni a livello di gomiti e ginocchia, rash eliotropo, lesioni ulcerate a livello dei polpastrelli e tumefazione articolare a carico di caviglie, ginocchia e interfalangee prossimali; apparentemente non era presente deficit muscolare. Agli esami ematici si evidenziava lieve aumento della VES, con enzimi muscolari di norma. Il quadro clinico era indicativo per JDM la cui diagnosi veniva confermata dalla biopsia cutanea. Una biopsia muscolare dimostrava l’assenza di pattern infiammatorio, il quadro era pertanto suggestivo per JDM amiopatica. Nell’iter diagnostico venivano dosati anticorpi miosite specifici che dimostravano positività degli Ab anti-MDA5. Veniva intrapresa quindi terapia steroidea con prednisone (2 mg/kg/die) e infusione di immunoglobuline endovena (2 g/kg/mese) associate, allo scalo dello steroide, con mofetil micofenolato, con parziale miglioramento delle lesioni cutanee. Durante il follow-up, 6 mesi dopo l’esordio, veniva riscontrato versamento pleurico bilaterale isolato, in assenza di sintomatologia respiratoria. Alla spirometria veniva evidenziato un quadro misto ostruttivo/restrittivo e lieve riduzione della DLCO. Alla TC del torace veniva riscontrato un quadro di fibrosi interstiziale bi-basale. In considerazione del quadro clinico veniva sospeso il micofenolato e veniva avviata terapia con boli di metilprednisolone e ciclofosfamide, con marcato miglioramento del quadro clinico cutaneo ed articolare e lieve miglioramento del reperto spirometrico. Discussione e conclusioni La dermatomiosite anti-MDA5 è una grave forma di dermatomiosite caratterizzata da importante interessamento vasculitico cutaneo con ulcere multiple, miosite amiopatica e modeste alterazioni istologiche alla biopsia muscolare. Il coinvolgimento polmonare è stato descritto nei pazienti adulti ed è associato ad una prognosi negativa, questo caso dimostra come l’interstiziopatia possa esordire già in età pediatrica e sia all’esordio asintomatica; il monitoraggio costante delle prove spirometriche è pertanto consigliabile in tutti i pazienti con questo pattern anticorpale. In conclusione questo caso evidenzia come il dosaggio degli Ab miosite specifici abbia ripercussioni importanti sulla gestione diagnostico terapeutica dei pazienti affetti da JDM; la sua esecuzione è pertanto consigliabile in tutti i pazienti alla diagnosi. BIBLIOGRAFIA Ilaria Pagnini, Antonio Vitale et Al. Idiopathic Inflammatory Myopathies: an Update on Classification and Treatment with Special Focus on Juvenile Forms. Clinic Rev Allerg Immunol (2017) Sarah L Tansley, Zoe E betteridge et al. Anti-MDA5 autoantibodies in Juvenile dermatomyositis identify a distinct clinical phenotype: a prospective cohort study. Arthritis Research & Therapy 2014. Encefalopatia infiammatoria di natura da determinare con IFN score elevato Raffaele Pecoraro1, Gian Marco Moneta2, Alessia Arduini1, Camilla Celani2, Virginia Messia2, Manuela Pardeo2, Antonella Insalaco2, Fabrizio De Benedetti2, Claudia Bracaglia2 1Dipartimento di Pediatria Policlinico Umberto I, “La Sapienza” Università di Roma

2Unità operativa di Reumatologia, IRCCS Ospedale Bambino Gesù, Roma

Introduzione Le interferonopatie (IFNpatie) sono un insieme di malattie monogeniche autoinfiammatorie caratterizzate da una abnorme attivazione della pathway dell’interferone (IFN) di tipo 1 e presentano caratteristiche simili al Lupus. Obiettivi Descriviamo 3 pazienti con quadro clinico e laboratoristico suggestivo per un’IFNpatia, non confermata dall’indagine genetica, che hanno presentato un’ottima risposta alla terapia immunosoppressiva. Metodi L’IFN score di tipo 1 è stato definito dai livelli di espressione dei 6 geni IFN-relati e analizzati su sangue periferico mediante real time PCR. Le caratteristiche di laboratorio dei pazienti sono riportate in tabella 1. Risultati Pz. 1. Maschio con ritardo psicomotorio ed epilessia esordita a 15 mesi di vita. A 4 anni comparsa di febbre persistente, rash eritemato-maculare al tronco e al volto, edema palpebrale e labiale ed artralgie. Agli esami aumento degli indici di flogosi, riduzione del complemento e presenza di autoanticorpi; IFN-signature positiva. Genetica per sindrome di Aicardi-Goutieres negativa. Alla luce però del quadro clinico e degli accertamenti inizia terapia con glucocorticoidi e micofenolato (MMF) con miglioramento clinico e laboratoristico, ma persistenza di un IFNscore elevato.

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Pz. 2. Femmina con ritardo psicomotorio ed epilessia secondari ad emorragia intraventricolare e cortico-sottocorticale, da sofferenza perinatale. A 6 anni comparsa di orticaria ed artromialgie, seguite da artrite franca. Agli esami ematici incremento degli indici di flogosi, complemento nella norma, ANA e anti-dsDNA presenti e IFN score elevato. Non evidenziate varianti a carico dei geni associati alle IFNpatie. Inizia terapia con glucocorticoidi e MMF con netto miglioramento della sintomatologia e negativizzazione degli autoanticorpi e dell’IFN score. Pz. 3. Maschio, dall’età di 3 anni inizia a presentare emiparesi progressiva e atrofia cerebrale. Gli esami risultano nella norma con ANA e anti-dsDNA assenti. Nel sospetto di encefalite infiammatoria, tipo s. di Rasmussen, viene iniziata terapia con glucocorticoidi con iniziale beneficio ma peggioramento alla riduzione della dose. Nel sospetto di IFNpatia si esegue l’IFN score, risultato positivo, ma l’analisi genetica non evidenzia alcuna variante. Ripresa la terapia con glucocorticoidi, MMF e RTX con iniziale beneficio e riduzione dello score. Per un ulteriore peggioramento del quadro alla riduzione del cortisone si decide di iniziare plasmaferesi e ciclofosfammide con graduale miglioramento clinico e progressivo recupero funzionale. Conclusioni I tre casi riportati presentano caratteristiche fortemente suggestive per una IFNpatia sebbene l’analisi molecolare sia risultata negativa. La risposta al trattamento suggerisce che ci siano patologie di questa famiglia, strettamente correlate al Lupus per la risposta alla terapia, ma di cui ancora non si conoscono i geni causativi. Tabella 1. Caratteristiche di laboratorio dei pazienti

Paziente 1 Paziente 2 Paziente 3

Esordio

Dopo 7 mesi di terapia

Esordio Dopo 11 mesi di terapia

Esordio Dopo 2 mesi di terapia

Globuli bianchi (/µL) 9.780 8.500 4.380 5.250 11.970 13.520

Neutrofili (/µL) 7.930 6.770 1.880 1.340 5.300 10.480

Linfociti (/µL) 1.360 1.210 2.190 2.750 5.390 2.030

Hb(g/dL) 12.9 12.8 12 12 14.1 13.3

Piastrine(/µL) 194.000 181.000 381.000 418.000 318.000 466.000

C3(mg/dL) 79 92 115 96 138 205

C4 (mg/dL) 6 8 24 14 26 38

ANA (IFA) 1:10240 +++ 1:2560 ++ Assenti Assenti

Anti-dsDNA (IFA) 1:1280 1:320 1:320 Assenti Assenti Assenti

ENA Index (< 0,7) 11.8 2.1 0.9 NA 0.4 NA

Anti-fosfolipidi (<10 MPLU/mL)

- IgG - IgM

4.2 13.2

1.7 7

3.9 25

2.3 20.5

1.7 1.8

NA NA

Anti-cardiolipina (<10 MPLU/mL)

- IgG - IgM

3.1 14

1.1 4.3

2.4 15.5

0.9 18.4

1.3 0.3

NA NA

Anti-ß2-Glicoproteina(<10 U/mL)

- IgG - IgM

2.2 5.9

0.3 4.4

1.1 25.3

1 22.2

0.3 0

NA

LAC(ratio) 1.72 1.45 1.46 1.18 NA NA

IFN-score 54.74 64.62 171.51 13.12 40.61 3.32

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Cosa può nascondere una corea Carmela Gerarda Luana Raffaele1, Camilla Celani2, Giulia Marucci2, Virginia Messia2, Manuela Pardeo2, Rebecca Nicolai2, Claudia Bracaglia2, Fabrizio De Benedetti2

1Dipartimento di Pediatria Policlinico Umberto I, “La Sapienza” Università di Roma

2Unità operativa di Reumatologia, IRCCS Ospedale Bambino Gesù, Roma

Introduzione La corea è una manifestazione neurologica caratterizzata da movimenti involontari, afinalistici. La forma più comune in età pediatrica è la corea di Sydenham, causata da un’infezione streptococcica, ma può manifestarsi anche in caso di coinvolgimento neurologico in alcune patologie autoimmuni. Obiettivi e metodi Descriviamo due casi di corea recidivante interpretata inizialmente come corea reumatica (CR) ma in realtà espressione di una Sindrome da Anticorpi antifosfolipidi (APS). Risultati Pz 1. Femmina, a nove anni (luglio 2011) comparsa di movimenti coreici. Gli esami ematochimici risultano negativi così come la RMN encefalo, mentre l’ecocardiogramma evidenzia una lieve insufficienza mitralica. Nell’ipotesi di CR con cardite inizia terapia con glucocorticoidi (Gc) e profilassi con benzilpenicillina (BP) con beneficio. Successivamente la bambina presenta due recidive della sintomatologia coreica, a distanza di un anno l’una dall’altra (agosto 2012 e luglio 2013). In occasione del secondo episodio emergeva positività delle IgM anti-cardiolipina (20,9 MPLU/mL). A Marzo 2018, a 17 anni, presenta un episodio critico con trisma, scialorrea, scosse tonico-cloniche generalizzate e perdita del controllo sfinteriale della durata di alcuni minuti. La RMN encefalo mostra aree iperintense nella sostanza bianca sottocorticale, di significato gliotico aspecifico. L'ecocardiogramma un peggioramento dell’insufficienza valvolare mitralica con lieve dilatazione atriale sinistra. Emerge una positività significativa degli anti-fosfolipidi e del LAC (Tab.1). Viene quindi posta diagnosi di APS, iniziata adeguata terapia e sospesa la profilassi. Pz 2. Femmina, all’età di 10 anni presenta difficoltà nella concentrazione, movimenti involontari afinalistici degli arti, disgrafia e dislalia. Esami ematici nella norma, la RMN encefalo evidenzia piccole aree iperintense della sostanza bianca sottocorticale, come focolai gliotici di significato aspecifico. All'ecocardiogramma lieve insufficienza mitralica. Nel sospetto di CR inizia terapia con Gc e profilassi con BP. Per il riscontro di proteinuria esegue biopsia renale che mostra microangiopatia trombotica di lieve entità. A distanza di un anno presenta lievi movimenti afinalistici di mani e piedi, più accentuati a destra e disgrafia lieve. Viene evidenziata una positività del LAC e degli anti-fosfolipidi (Tab.). Riprende quindi terapia con GC, inizia anticoagulante e immunosoppressore e sospende la profilassi. Conclusioni La APS è una patologia autoimmune caratterizzata da eventi trombotici. In età pediatrica la forma primitiva è estremamente rara, mentre circa il 50% di casi è associato ad una patologia autoimmune sottostante. La corea è una delle manifestazioni neurologiche “non-stroke” più frequenti nella popolazione pediatrica. Pertanto, ogni volta che ci troviamo di fronte ad un paziente con corea, prima di iniziare qualsiasi trattamento è indispensabile dosare gli Ab anti-fosfolipidi. Tabella 1. Pannello autoanticorpale delle due pazienti alla diagnosi

Paziente 1 Paziente 2

ANA 1:40 omogeneo Assenti

ENA Assenti Assenti

Anti-dsDNA 1:40 Assenti

Ab anti-cardiolipina (<10) - IgG GPLU/mL - IgM MPLU/mL

35,4 32,8

72,5 1,7

Ab anti-fosfolipidi (<10) - IgG GPLU/mL - IgM MPLU/mL

53 6,6

74 2,3

Ab anti-beta2 glicoproteina (<10) - IgG U/mL - IgM U/mL

19 6,2

77,7 0,6

LAC (0,80-1,20) 1,38 ratio 2,2 ratio

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Un caso di limitazione funzionale del ginocchio: quando sospettare cause non reumatologiche Andrea Uva1, Rebecca Nicolai2, Claudia Bracaglia2, Michele Salata2, Fabrizio De Benedetti2, Silvia Magni-Manzoni2

1Scuola di Specializzazione in Pediatria, Sapienza-Roma; 2UOC di Reumatologia, IRCCS Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, Roma Introduzione. L’artrite idiopatica giovanile (AIG) oligoarticolare rappresenta circa il 50-80% di tutte le artriti croniche. Il ginocchio è l’articolazione colpita con maggior frequenza [1]. In presenza di sintomatologia atipica (dolore eccessivo,“blocco” articolare, rubor, sintomi sistemici) bisogna pensare a cause non reumatologiche. Nelle diagnosi differenziali rientrano le affezioni primarie a carico delle strutture articolari. Obbiettivi e metodi. Descrivere un caso di limitazione funzionale del ginocchio dovuta a menisco discoide. Risultati. Bambina di 6 anni caucasica giunta alla nostra osservazione per una storia di gonalgia sinistra da tre anni associata negli ultimi mesi a limitazione funzionale in estensione e lieve tumefazione articolare. Portava in visione accertamenti ematochimici di routine, ANA, Rx-ginocchio sx negativi; in ecografia articolare segnalata piccola falda di versamento di 3 mm con sinovia modicamente ispessita. Ad una precedente valutazione reumatologica: diagnosi di artrite idiopatica giovanile oligoarticolare ANA-, indicato trattamento con infiltrazione intraarticolare di glucocorticoidi. All’E.O: limitazione all’estensione del ginocchio sinistro con flessione conservata (Fig.1-2), lieve tumefazione, dolore alla palpazione del condilo femorale laterale; zoppia; restante esame articolare nei limiti. Per la prevalente sintomatologia dolorosa e il “blocco” in estensione del ginocchio sx, si effettuava RM con riscontro di malformazione a tipo discoide del menisco esterno, rigonfio a livello del corno anteriore per degenerazione mucoido-cistica della porzione interna, fissurazione e fuoriuscita di piccole quote di materiale mucoide; sinovia modicamente ispessita, piccola falda di versamento di 6 mm, come per sinovite secondaria reattiva (Fig.3-4). Consulenza ortopedica: indicazione a intervento di meniscectomia laterale selettiva in artroscopia. Dopo l’intervento, l’articolazione riprendeva la piena funzionalità. Conclusioni. Il menisco discoide è una variante congenita molto comune in età pediatrica: si presenta con una forma circolare (anziché della classica forma a “C”), è maggiormente ispessito e può esuberare dal piatto tibiale. Dotato di un numero ridotto di fibre collagene con pattern più disorganizzato rispetto alla variante normale, può andare incontro a rottura meniscale e degenerazione mucoide. Asintomatico nella maggior parte dei casi, nei bambini con meno di 10 aa di età si presenta tipicamente con sintomatologia dolorosa (anche intermittente), scroscio articolare e incapacità a raggiungere i massimi gradi di estensione. La diagnosi è prettamente radiologica e la RM è l’indagine di scelta. La terapia delle forme sintomatiche è rappresentata dalla meniscectomia per via artroscopica, con buon recupero funzionale dell’articolazione [2]. Bibliografia 1. Ravelli, A. Lancet, 2007. 369(9563) 2. Kocher, M.S. Discoid Lateral Meniscus in Children: Diagnosis, Management, and Outcomes. J Am Acad

Orthop Surg, 2017. 25(11) Fig.1

Fig.2

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Fig.3

Fig.4

Interessamento cranico in una coorte italiana di pazienti con osteomielite cronica non-batterica Andrea Taddio 1. Università di Trieste, Trieste, Italia 2. Istituto Materno infantile - IRCCS “Burlo Garofolo” – Trieste, Italia Giovanna Ferrara1, Manuela Pardeo3, Marco Cattalini4, Francesco La Torre5, Martina Finetti6, Antonella Meini4, Clotilde Alizzi7, Barbara Teruzzi8, Gabriele Simonini9, Virginia Messia3, Serena Pastore2, Alberto Tommasini2, Rolando Cimaz9, Antonella Insalac 3. Dipartimento di Medicina Pediatrica, Divisione di Reumatologia, Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, Roma, Italia. 4. Clinica Pediatrica, Università di Brescia e Spedali Civili di Brescia, Brescia, Italia. 5. Centro Regionale di Reumatologia Pediatrica, Introduzione. L’osteomielite cronica non-batterica (CNO) è una patologia infiammatoria non infettiva caratterizzata da lesioni litica ossee uni- o multifocali. I sintomi includono principalmente dolore e tumefazione locale. La CNO colpisce prevalentemente le metafisi delle ossa lunghe, la pelvi, le ossa della spalla e, meno frequentemente, la colonna vertebrale e la mandibola, Solo quattro casi di CNO con interessamento del cranio sono stati riportati fino ad ora. Obiettivi. Descrivere la prevalenza e le manifestazioni cliniche dei pazienti con interessamento del cranio in una coorte di pazienti italiani affetti da

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CNO. Metodi. Si tratta di uno studio retrospettivo. Tutte le cartelle cliniche di pazienti con CNO seguiti in 8 centri di reumatologia pediatrica sono state valutate. I dati raccolti includevano l’anamnesi familiare, l’età alla diagnosi, il sesso, il numero e le localizzazioni di lesioni ossee all’esordio, le immagini radiologiche all’esordio, i dati di laboratorio all’esordio ed all’ultimo follow-up, le caratteristiche di eventuali biopsie, eventuali comorbidità e la risposta al trattamento. Risultati. Ottantasei pazienti sono stati arruolati nello studio. 31 erano maschi e 55 femmine. L’età media alla diagnosi era di 9.4 anni (SD 3.3). Solo 11 pazienti presentavano un interessamento monofocale mentre 75 pazienti presentavano un interessamento multifocale all’esordio. 3 degli 86 pazienti (3.5%) presentavano un interessamento cranico all’esordio. Questi tre pazienti erano femmine; l’età dell’esordio era 2 anni per una paziente e 12 per le altre due, tutte presentavano lesioni multifocali all’esordio (12, 20 e 13 lesioni rispettivamente), ma nessuna di loro lamentavano sintomi clinici compatibili all’interessamento cranico (mal di testa, vomito, alterazione dell’acuità visiva, interessamento neurologico focale, ecc). L’interessamento cranico è stato individuato solamente con una scintigrafia ossea e poi confermata da una risonanza magnetica e/o da una TC. 2 pazienti presentavano febbre e due manifestazioni cutanee, gli indici di infiammazione erano aumentati in due pazienti. Tutti sono stati sottoposti ad una biopsia ossea in un altro sito confermando così la diagnosi. Tutti i pazienti hanno ricevuto un trattamento anti-infiammatorio senza risposta; due pazienti hanno ricevuto una terapia corticosteroidea e poi methotrexate raggiungendo la remissione clinica. Un paziente ha ricevuto il pamidronato senza beneficio e presenta ancora una malattia attiva alla fine del follow-up. Conclusioni. Questo è il primo lavoro che valuta l’interessamento cranico in una coorte di pazienti affetti da CNO. Lo studio conferma che l’interessamento cranico è raro e sembra essere associato ad un interessamento multifocale, Nella nostra coorte, in contrasto con i 4 pazienti riportati in letteratura, tutti i pazienti erano asintomatici. In caso di coinvolgimento cranico un controllo radiologico può essere necessario durante il follow-up. Predittori di risposta per il raggiungimento della remissione in bambini con Artrite Idiopatica Giovanile in trattamento con Infiltrazione intra-articolare di steroidi in monoterapia o in associazione a Methotrexate. FEDERICA FILOSCO 1- Università degli Studi di Catania Azienda Ospedaliero-Universitaria “Policlinico-Vittorio Emanuele” Catania, U.O.C. Broncopneumologia, Allergologia, Fibrosi Cistica e Centro di riferimento Regionale per la Prevenzione Diagnosi e Cura delle Malatt Pennisi F. (1), Marletta A. (1), Leonardi S. (1), Barone P. (1) Background: L'Artrite idiopatica giovanile (AIG) è l’affezione cronica più frequente in età pediatrica, interessa un gruppo di malattie articolari infiammatorie infantili ad eziologia sconosciuta, a esordio antecedente i 16 anni, con durata complessiva superiore a 6 settimane. Obiettivi: L’obiettivo è quello d’individuare i predittori di risposta per il raggiungimento della remissione, in bambini in trattamento con infiltrazione intrarticolare (IAC) di steroidi in monoterapia o in associazione a Methotrexate (MTX). Materiali e metodi: includiamo tutti i pazienti (PZ) affetti da AIG nelle forme Poliarticolare, Oligoarticolare, Psoriasica e Artrite Entesite seguiti presso il reparto di Reumatologia Pediatrica dell’AOU Policlinico-OVE di Catania dal 2000 al 2014 e trattati con IAC in monoterapia o IAC e MTX in associazione sin dall’esordio o successivamente. Esclusi tutti i PZ che hanno praticato terapia con MTX in monoterapia o con farmaco biotecnologico. Gli steroidi utilizzati sono il triamcinolone-esacetonide per le grandi articolazioni e il metilprednisolone acetato per le piccole articolazioni. I 43 PZ vengono distinti in 2 gruppi: uno comprende i PZ che sono andati incontro a remissione solo con IAC e l’altro include i PZ che hanno necessitato dell’IAC ed MTX. Di questi è stata valutata la remissione e i tempi di mantenimento di questa. Abbiamo eseguito l’ analisi descrittiva, bivariata e gli incroci tra le variabili, risultati significativi con p-value <0,05 all’analisi bivariata hanno permesso di individuare le variabili da includere nell’analisi multivariata. Risultati: Il tempo medio trascorso fra l’esordio e la I IAC sui 43 pazienti è di 16,9 mesi ± 34,7(DS). È stata valutata la durata della malattia nei pazienti che hanno raggiunto la remissione. La remissione, espressa come durata temporale della malattia, è stata associata nell’analisi bivariata all’età, al tempo tra l’esordio e la prima IAC, al tempo tra l’esordio e l’inizio del trattamento con MTX ed al tempo tra la prima IAC e la seconda IAC che sono tutti risultati significativi p-value <0,05, ma alla regressione lineare multipla l’unico risultato ad avere una significatività è stato il tempo tra l’esordio e la prima IAC.

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Conclusioni In questo studio retrospettivo abbiamo elaborato e validato i predittori di remissione della malattia nei bambini affetti da AIG in trattamento con IAC in monoterapia o in associazione con MTX. Uno studio condotto da Ravelli nel 2017, inerente al trattamento con IAC o IAC più MTX nei pazienti affetti da AIG oligoarticolare, ha dimostrato che la somministrazione concomitante di MTX non ha aumentato l'efficacia della terapia corticosteroidea intra-articolare. Nel nostro studio la remissione, espressa come durata temporale della malattia, è stata associata nell’analisi bivariata all’età, al tempo tra l’esordio e la prima IAC, al tempo tra l’esordio e l’inizio del trattamento con MTX e al tempo tra la I IAC e la II IAC he sono tutti risultati significativi, ma alla regressione lineare multipla l’unico risultato ad avere una significatività è stato il tempo tra l’esordio e la prima IAC. Il modello predittivo di remissione, raggiunta nell’86% dei nostri pazienti analizzati, è pertanto da identificare nel trattamento precoce con IAC. Artrite Idiopatica Giovanile Monoarticolare: entità clinica a sé stante? Francesco Zulian UOSD di Reumatologia Pediatrica, Dipartimento di Salute della Donna e del Bambino Caterina Politi, Vanessa Cecchin, Alessandra Meneghel, Giorgia Martini UOSD di Reumatologia Pediatrica, Dipartimento di Salute della Donna e del Bambino, Azienda Ospedaliera-Università di Padova Introduzione Attualmente, l'Artrite Idiopatica Giovanile Monoarticolare (monoJIA) è inclusa nel sottogruppo delle Oligoarticolari (oligoJIA) anche se alcuni studi, in passato, ne avevano evidenziato alcune caratteristiche distintive. Obiettivo Valutare se pazienti con monoJIA isolata persistente presentano caratteristiche cliniche e prognosi peculiari e distinte rispetto a quelli con oligoJIA. Metodi Da una coorte di pazienti con oligJIA, seguiti per almeno 5 anni dall'esordio della malattia, abbiamo selezionato un gruppo di pazienti con monoJIA definita in base al coinvolgimento esclusivo e persistente di una singola articolazione durante il corso della malattia. Ogni paziente è stato seguito con visite reumatologiche e valutazioni oftalmologiche ogni 3-4 mesi. Sono stati considerati i seguenti parametri: sesso, età all'esordio, presenza e storia familiare di ipermobilità articolare (JH), ANA, presenza e sede di artrite e uveite attive, trattamento e prognosi. Il trattamento è stato riassunto in quattro categorie: infiltrazione di corticosteroidi intraarticolari (IAC), farmaci antinfiammatori non steroidei e/o corticosteroidi orali (AID), farmaci anti-reumatici di fondo (DMARD) e agenti biologici (BA). Lo stato clinico di malattia all’ultima visita è stato definito secondo i criteri di Wallace come: remissione clinica (CR), remissione clinica in trattamento (CRM) e malattia attiva (A). Risultati 236 pazienti con oligoJIA, seguiti per 9.6 anni (5-22.6) sono entrati nello studio. 172 (72,9%) presentavano oligoJIA e 64 (27,1%) monoJIA. In seno alle forme monoarticolari, il ginocchio è risultata essere l’articolazione più frequentemente interessata (79,9%) seguito da caviglia (10,9%). Le forme MonoJIA sono risultate significativamente diverse dalle oligoJIA per minore frequenza di ANA + (75,0 vs 85,5%, p = 0,05) e uveite (18,8 vs 37,2%, p = 0,007) e più alta frequenza di JH (85,9 vs 70,3%, p = 0,015) e storia familiare per JH (60,0% vs 31,3%; p = 0,010). Per quanto riguarda il trattamento, nelle oligoJIA è stato registrato un maggior uso di farmaci sistemici rispetto alle monoJIA (P = 0.000) mentre il trattamento con IACS era comparabile tra i due gruppi (93,0% vs 89,1%). Al follow-up a 5 anni, 79,9% di monoJIA era in CR e solo il 10,9% era ancora in fase attiva. Al contrario, solo il 24,4% delle oligoJIA era in CR e il 52,3% era ancora in fase attiva “Uveite Benigna” associata ad Artrite Idiopatica Giovanile Maria Elisabetta Zannin Servizio di Oftalmologia Pediatrica, Dipartimento di Salute della Donna e del Bambino, Azienda Ospedaliera-Università di Padova Alessandro Poletto, Giorgia Martini2, Alessandra Meneghel2, Fabio Vittadello2, Francesco Zulian2 2UOSD di Reumatologia Pediatrica, Dipartimento di Salute della Donna e del Bambino, Azienda Ospedaliera-Università di Padova

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Introduzione Ad oggi, poche sono le conoscenze sulla storia naturale dell'uveite associata all'Artrite Idiopatica Giovanile (JIA-U) ed è pertanto difficile stabilire in modo mirato l'approccio terapeutico sin dalle prime manifestazioni della malattia. Obiettivi Identificare le caratteristiche cliniche dei pazienti con decorso benigno di JIA-U al fine di poter selezionare precocemente il trattamento più appropriato e predire la prognosi a distanza. Metodi Sono entrati nello studio pazienti con JIA-U, definita secondo i criteri SUN, e follow-up di almeno 3 anni. Le informazioni raccolte includevano: sesso, età all'esordio di artrite e uveite, intervallo tra esordio artrite e riscontro della prima uveite; lateralità dell’uveite, numero e distribuzione annuale delle ricadute e complicanze oculari strutturali. La ricaduta di uveite è stata definita come un aumento delle cellule nella camera anteriore > 2+ più rispetto alla valutazione basale. Sono stati esclusi i pazienti con JIA-U in cui sono stati utilizzati DMARD o agenti biologici per il controllo dell'artrite. Risultati Una coorte di 75 pazienti con JIA-U e follow-up mediano di 12,2 anni (range 3-23,6), è entrata nello studio. In 21 (28%) l'uveite è stata trattata trattato solo farmaci topici (gruppo A), i restanti 54 (72%) con trattamenti sistemici (DMARD o agenti biologici ecc.) (Gruppo B). Nessuna differenza rilevante è stata trovata tra i due gruppi per quanto riguarda la distribuzione del sesso, sottotipo JIA, frequenza di ANA o lateralità dell’uveite. L'età all’esordio dell'uveite era significativamente più alta nel gruppo A (5,4 anni) rispetto al gruppo B (4,3 anni). Anche l’intervallo di tempo tra esordio dell'artrite e riscontro della prima uveite è stato maggiore nel gruppo A (18,7 mese) rispetto al gruppo B (10,2 mesi). Nessun paziente nel gruppo A ha riportato complicanze oculari mentre nel gruppo B queste sono state riscontrate in 0,61/paziente. Il numero medio di recidive di uveite durante il periodo di osservazione è stato significativamente minore nel gruppo A rispetto al gruppo B (1,57 contro 6,96, p <0,001). Lo stesso è stato osservato considerando il numero medio di recidive/anno. È interessante notare che nessun paziente del gruppo A ha presentato recidive durante il secondo anno di follow-up e che tutti hanno avuto una completa remissione dell’uveite, solo con trattamento topico, in media dopo 2,6 anni dall'esordio cioè significativamente più precocemente rispetto alle forme severe (gruppo B) (7,37 anni, p <0,001). Conclusioni Le JIA-U a decorso benigno sono condizioni autolimitantesi, con un basso numero di ricadute e assenza di complicanze strutturali. Pazienti con JIA ed insorgenza di uveite dopo i cinque anni di età, intervallo tra esordio di artrite e primo riscontro di uveite superiore a un anno e nessuna recidiva durante il secondo anno di follow-up hanno un’alta probabilità di avere un’uveite a decorso benigno. I POTENZIALI EVOCATI UDITIVI E VISIVI IN PAZIENTI CON MALATTIA DI KAWASAKI: CASISTICA DELLA CLINICA PEDIATRICA DI PALERMO Giuseppe Salvo M.C. Maggio, R. Cimaz*, G. Puma^, M.C. Ministeri°, G. Corsello Dipartimento Universitario Pro.Sa.M.I. “G. D’Alessandro”, Università degli studi di Palermo * NEUROFARBA Dipartimento Universitario di Firenze, AOU Meyer, Firenze ^ UOC di Neuropsichiatria Infantile, Ospedale dei Bambini “G. Di Cristina”, ARNA INTRODUZIONE: La Malattia di Kawasaki (MK), una vasculite sistemica con elettivo interessamento coronarico, può esser causa di complicanze a carico di organi quali fegato, polmoni, reni, intestino, cute, occhi, SNC. La sordità neurosensoriale è descritta in casi sporadici e può esser persistente. OBIETTIVI: Lo studio dei potenziali evocati uditivi (ABR) e visivi (PEV) è metodica efficace per identificare, in assenza di sintomi uditivi e/o visivi, alterazioni degli stessi. MATERIALI E METODI: Abbiamo studiato 55 pazienti (34 M; 21 F; età: 2,3 ± 2,4 anni; range: 3 mesi-10 anni) con MK mediante PEV e ABR, sia in fase acuta di malattia che durante il follow-up ed abbiamo correlato i risultati dei potenziali con i parametri clinici, la forma della MK (tipica: 39 pz; atipica: 2 pz; incompleta: 14 pz), i parametri ematochimici, eventuale coinvolgimento cardiaco, col giorno di malattia in cui è stata somministrata la prima dose di IVIG e/o altre terapie non convenzionali. RISULTATI: I PEV erano patologici in 13 pazienti (23,6%): 1 paziente con coronarite aveva alterazioni dei PEV monolaterali; 2 pazienti avevano in associazione anche alterazioni degli ABR. Gli ABR erano patologici in 30 pazienti (57,6%; 20 M; 10 F): 2 pazienti senza lesioni coronariche avevano alterazioni monolaterali. 4 pazienti avevano ABR e PEV patologici. 5/30 (17%) avevano anche lesioni coronariche; 7/30 avevano una diagnosi di Kawasaki incompleta, 1/30 di forma atipica; nei restanti 22 casi era stata fatta diagnosi di MK tipica. Solamente in un caso la terapia era stata tardiva, oltre il 10 giorno. In un paziente è stata documentata una

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sordità neurosensoriale. Fra questi pazienti, non sono state trovate differenze significative in età, timing della diagnosi, giorni di febbre al momento della prima dose di IVIG, parametri ematochimici (leucociti, neutrofili%, Hb, albumina, Na, D-Dimero, PCR, AST, ALT, gamma-GT) vs. i pazienti con MK senza alterazioni dei potenziali durante il follow-up. PEV e ABR sono rimasti patologici nell’80% dei casi, alle successive valutazioni in follow-up. Le alterazioni più frequenti degli ABR erano riconducibili alla V onda e all’intervallo I-V, entrambe espressioni di alterazione delle strutture vascolari mesencefaliche. CONCLUSIONI: E’ pertanto un’utile integrazione diagnostica nei pazienti con MK che può indirizzare la diagnosi in forme atipiche e rilevare un coinvolgimento dei vasa nervorum. Lo studio dei potenziali potrebbe esser esteso a tutti i pazienti con MK, sia in pazienti senza sia con lesioni coronariche o complicanze d’organo. L’utilizzo dei farmaci biologici nell’AIG: valutazione degli eventi avversi Amico Marinabiondina Dipartimento di Scienze Mediche Traslazionali, Sezione di Pediatria, Università degli Studi di Napoli “Federico II” F. Orlando, R. Naddei, C. Porfito, T. La Stella, M. Alessio Dipartimento di Scienze Mediche Traslazionali, Sezione di Pediatria, Università degli Studi di Napoli “Federico II” Introduzione: L’artrite idiopatica giovanile (AIG) è la più comune patologia reumatica cronica dell’età pediatrica. La terapia prevede un trattamento prevalentemente sintomatico e farmaci di fondo (DMARDs); da cica 20 anni sono disponibili anche in pediatria i farmaci biotecnologici. Oggetto: valutare la comparsa di reazioni avverse (AdverseDrugReaction,ADR) in corso di trattamento dell’AIG. Metodi: sono stati valutati 200 pazienti con diagnosi di AIG secondo i criteri ILAR, divisi in CASI (pazienti che hanno ricevuto almeno un farmaco biologico) e CONTROLLI (pazienti mai sottoposti a terapia biologica). Il primo gruppo comprende 70 pazienti, di cui 57 femmine (81.4%) e 13 maschi (18.6%), con età media di 4 anni e 10/12: di questi 63 hanno assunto un antagonista del TNF-α; 8 un inibitore dell’IL-1; 9 l’inibitore dell’IL-6; 4 l’inibitore dell’attivazione dei T- linfociti. Il gruppo di controllo comprende 130 pazienti, 32 maschi (24,6%) e 98 femmine (75,4%), età media 4 anni e 11/12: 57 sottoposti a terapia con un FANS e MTX; 55 trattati solo con FANS; 12 con FANS, MTX e steroidi; 6 con FANS e steroidi. Le ADR sono state distinte in reazioni di tipo A (dose-dipendente e prevedibili) e reazioni di tipo B (dose-indipendenti e imprevedibili). Risultati: Dei 130 controlli, 39 hanno avuto almeno una ADR (30%), di cui 38 di tipo A (97.5%) e 1 di tipo B (2.5%). Dei 70 casi, 12 hanno avuto ADR (17.1%), di cui 3 di tipo A (25%), 10 di tipo B (83.3%). Tra i 12 casi con ADR, il 58.3% non ha richiesto alcun tipo di trattamento, il 25% riduzione del farmaco, nei restanti casisi è resa necessaria la sospensione e/o la somministrazione di un antidoto. Conclusioni: Dall’analisi dei dati è emerso che nel gruppo in terapia non biologica (FANS, MTX, steroidi) si è presentata una maggiore percentuale di ADR rispetto al numero dei pazienti trattati. Nel gruppo dei controlli, gli ADR sono stati prevalentemente di tipo A e quindi gestibili con variazione della dose del farmaco, mentre nel gruppo dei casi gli ADR sono risultati prevalentemente di tipo B.Tuttavia tra le reazioni di tipo B solo in un caso si è resa necessaria la sospensione del farmaco ed un trattamento di supporto, rimarcando quanto gli eventi avversi di entità grave in corso di terapia biologica non siano frequenti. Iniezione intra-articolare di corticosteroide a livello dell’articolazione coxo-femorale in pazienti affetti da AIG: qual è l’efficacia di questo trattamento? Marta Mazzoni Clinica Pediatrica e Reumatologia, Istituto Giannina Gaslini, Genova, Italia. Università degli Studi di Genova. Carlo Gandolfo3, Stefania Viola1, Alessandro Consolaro1,2, Angelo Ravelli1,2, Clara Malattia1,2 1 Clinica Pediatrica e Reumatologia, Istituto Giannina Gaslini, Genova, Italia. 2 Università degli Studi di Genova, Italia. 3 Radiologia e Neuroradiologia Interventistica, Istituto Giannina Gaslini, Genova, Italia. Introduzione: il coinvolgimento dell’articolazione coxofemorale si manifesta nel 35-63% dei pazienti affetti da Artrite Idiopatica Giovanile (AIG) e rappresenta un fattore prognostico sfavorevole per il decorso della patologia, richiedendo quindi una terapia più aggressiva. Obiettivi: valutare l’efficacia dell’infiltrazione intra-articolare di corticosteroidi (IAC) a livello della coxofemorale in termini di riduzione della sinovite e di prevenzione della progressione del danno osteocartilagineo in pazienti con AIG. Metodi: sono stati inclusi

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pazienti con AIG sottoposti a IAC della coxofemorale sotto guida ecografica, presso il nostro Centro tra il 2013 e il 2018. Prima della procedura e dopo un anno sono stati valutati mediante radiografia convenzionale (RC) e risonanza magnetica (RM) del bacino. La progressione del danno è stata valutata in accordo con Childhood Arthritis Radiographic Score of the Hip (CARSH). La RM è stata interpretata utilizzando lo score di sinovite proposto dal gruppo OMERACT (Outcome Measure in Arthritis Clinical Trials) RAMRIS (Rheumatoid Arthritis Scoring System). Risultati: 14 pazienti (11 F, 3 M; 6 con AIG sistemica, 4 poliarticolare, 4 oligoarticolare; età mediana al momento dell’IAC 16,2 anni; durata mediana di malattia 8,8 anni) sono stati sottoposti a IAC a livello di 19 coxofemorali. Nove pazienti presentavano una coxite unilaterale; 5 pazienti una coxite bilaterale. In 15/19 (78.9%) coxofemorali infiltrate si è verificato un immediato beneficio clinico. Alla visita dopo 3 mesi dall’IAC 11/19 (57.9%) coxofemorali non presentavano ne’ dolore ne’ limitazione funzionale. La RM di follow-up mostrava un miglioramento della sinovite in 4/19 (21%) coxofemorali e una completa risoluzione della sinovite in 5/19 (26.3%) coxofemorali. Nelle rimanenti 10 (52.6%) coxofemorali la sinovite persisteva invariata alla RM. La progressione del danno è stata valutata in 14 delle 19 coxofemorali. Un deterioramento strutturale si è verificato in 5/14 (35.7%) coxofemorali. Quattro delle 9 (44.4%) coxofemorali con sinovite persistente alla RM hanno presentato una progressione del danno versus 1 delle 5 (20%) coxofemorali con miglioramento o completa risoluzione della flogosi sinoviale (p=0,58). Nessuna delle anche con completa risoluzione della sinovite ha presentato una progressione del danno. Tutti i casi di deterioramento strutturale si sono verificati in pazienti con AIG sistemica. Non si sono verificati casi di necrosi avascolare della testa del femore o altre complicanze peri-post procedurali. Conclusioni: l’IAC a livello della coxofemorale in pazienti con AIG è una procedura sicura ed efficace nell’indurre uno stato di remissione clinica nella maggior parte dei pazienti. Nei casi in cui la RM ha mostrato una persistente sinovite si è verificata con maggior frequenza una progressione del danno osteocartilagineo. Nessuno dei pazienti con completa risoluzione della sinovite sono andati incontro a deterioramento strutturale. L’Artrite idiopatica giovanile: la marcia silenziosa dell’articolazione temporomandibolare Maddalena Maschio UOC Pediatria, Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata Verona Pieropan S, Aiello G., Melotti G., Martinis F., D’Agostino A., Trevisiol L., Favero V., Piacentini G. UOC Pediatria, UOC Reumatologia, UOC Chirurgia Maxillo Facciale , Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata Verona INTRODUZIONE La prevalenza del coinvolgimento dell’articolazione temporomandibolare (ATM) nei pazienti affetti da artrite idiopatica giovanile (AIG) varia dal 17% all’87% in base alla popolazione e al sottotipo di AIG considerate, e dal metodo diagnostico utilizzato. In tutte le forme di AIG l’interessamento dell’ATM non di rado rappresenta la prima e la sola articolazione coinvolta. L’entità della sintomatologia e della clinica è molto variabile nel tempo e differente da individuo ad individuo..Per tale motivo l’interessamento dell’articolazione temporomandibolare è spesso misconosciuto al momento della diagnosi di AIG ed il ritardo diagnostico che ne consegue ha un impatto clinico negativo che comporta una distorsione del processo di accrescimento mandibolare. SCOPO DELLO STUDIO formulare un protocollo di screening che ci permettesse di identificare il più precocemente possibile il coinvolgimento della componente ossea delle ATM nel processo infiammatorio, per prevenire le conseguenti alterazioni morfologiche e funzionali correlate a tale patologia. MATERIALI E METODI: Lo studio di tipo si è articolato in due fasi: nella prima fase sono stati arruolati 15 pazienti affetti da AIG che durante il periodo di follow- up, hanno sviluppato segni e sintomi clinici di un coinvolgimento dell’articolazione temporomandibolare e sono stati sottoposti a risonanza magnetica. Alla luce della positività’indagine imaging, veniva quindi rivisto l’approccio terapeutico. Nella seconda fase, sono stati considerati 7 pazienti con nuova diagnosi di AIG. Tale gruppo di pazienti è stato indirizzato verso il nuovo ambulatorio integrato di Reumatologia e Chirurgia Maxillo facciale in cui il Chirurgo ha eseguito una valutazione focalizzata sulle ATM. A completamento dell’iter clinico-gnatologico veniva eseguita TC a raggio conico (CBCT). Successivamente i pazienti venivano rivalutati in un incontro multidisciplinare tra Reumatologo Pediatra e Chirurgo Maxillo- facciale per programmare eventuali interventi terapeutici (inizio terapia sistemica, utilizzo di apparecchi gnatologici, interventi chirurgici). In un secondo momento ai pazienti arruolati nella fase 1 è stata offerta la possibilità di seguire lo stesso percorso diagnostico. CONCLUSIONI La CBCT ha consentito di affinare il percorso diagnostico offrendo la possibilità di evidenziare un danno grave

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delle componenti ossee nel 25% dei pazienti della fase 1 e nel 40% nei pazienti di fase 2 già all’esordio di malattia, mettendo in discussione il trattamento impostato, in particolare modo per le forme oligoarticolari. Questo sottotipo potrebbe infatti beneficiare di una terapia sistemica precoce evitando lo sviluppo di sequele invalidanti che compromettono il paziente nel difficile passaggio all’età adulta, momento di per sè ancor più delicato poiché il paziente viene affidato ad un reumatologo dell’adulto che conosce meno la patologia del bambino. STILI FAMILIARI IN PAZIENTI PEDIATRICI CON MALATTIA REUMATICA CRONICA Claudia Traverso Università degli Studi di Napoli Federico II Dipartimento di Scienze mediche Traslazionali F. Orlando, C. Porfito, R. Naddeo, M. Amico, Maria Alessio Università degli Studi di Napoli Federico II Dipartimento di Scienze mediche Traslazionali Introduzione: le patologie reumatiche croniche, in particolare in età pediatrica, hanno un forte impatto sulla qualità di vita del paziente e dell’intero nucleo familiare. È richiesta una ristrutturazione dei compiti e dei ruoli e un’adeguata elaborazione per permettere una sufficiente qualità di vita. Obiettivi: valutare gli stili familiari e le configurazioni peculiari delle famiglie dei pazienti con patologia reumatica cronica diagnosticata da almeno 1 anno. Pazienti: 59 genitori (M=20, F=39), età media 40,5 aa, a cui è stato somministrato il questionario. Metodi: FACES IV valuta la funzionalità del nucleo familiare e ne individua gli aspetti problematici, dando informazioni sulla qualità della comunicazione e la soddisfazione verso il proprio funzionamento; comprende 6 scale, 2 riguardano le dimensioni della coesione bilanciata e della flessibilità bilanciata, intese come dimensioni curvi lineari con distribuzione gaussiana (valori indicanti una maggiore funzionalità al centro della curva), 4 scale descrivono i valori estremi della distribuzione e indicano comportamenti disfunzionali e sbilanciati. Si aggiungono 2 indicatori della qualità percepita della comunicazione all’interno della famiglia e la soddisfazione generale. Vi è inoltre un indicatore globale (ratio) che valuta il grado di equilibrio tra scale bilanciate e sbilanciate. Risultati: 2/3 del campione presenta un funzionamento familiare equilibrato (ratio >1), sovrapponibile alla popolazione normale. La coesione familiare ha l’aspetto sbilanciato dell’ipercoinvolgimento, con riduzione degli spazi personali e poca cura per le differenze individuali. La flessibilità, intesa come qualità ed espressione della leadership, dei ruoli e delle regole, risulta bassa e sbilanciata verso la disorganizzazione. E’ presente uno stile familiare rigido. Le differenze nelle diverse scale sono tutte statisticamente significative (indice t di Student) tranne per la scala dell’ipercoinvolgimento e della rigidità. Conclusioni solo 1/3 del campione testato ha evidenziato aspetti sbilanciati, mentre per gli altri soggetti la distribuzione tra assetti funzionali e disfunzionali era sovrapponibile alla popolazione non clinica. Nella configurazione sbilanciata sono presenti valori alti nelle scale dell’ipercoinvolgimento e della rigidità, specie per i padri. Questo andamento è costante sia per i genitori con profilo medio bilanciato, sia per quelli con profilo medio sbilanciato. In particolare per i padri, il mantenimento dello status quo è sentito come la regola fondamentale e la capacità di variare risposte comportamentali a fronte dei diversi eventi, è limitata. In questo scenario per il paziente pediatrico potrebbe essere difficoltoso intraprendere il necessario percorso di autonomia e responsabilizzazione e essere riconosciuto nelle sue peculiarità individuali in via di sviluppo, in misura crescente durante l’adolescenza. Aspetti clinici e terapeutici delle manifestazioni reumatologiche in una coorte di pazienti pediatrici con Malattie Infiammatorie Croniche Intestinali E. Del Giudice 1 1 Dipartimento di Pediatria, Sapienza Università di Roma, Roma, Italia I. Battagliere 1 , A. Dilillo 1 , F. Viola 1 , G. La Torre 2 , S. Cucchiara 1 , F. De Benedetti 3 , M. Duse 1 2 Dipartimento di Igiene Pubblica e Malattie Infettive, Sapienza Università di Roma, Roma, Italia 3 Divisione di Reumatologia, Ospedale Pediatrico Bambino Gesù-IRCCS, Roma, Italia. Introduzione L' associazione tra malattie infiammatorie croniche intestinali (MICI) e il coinvolgimento articolare è ben nota, ma le correlazioni cliniche e terapeutiche sono state scarsamente studiate, soprattutto nella popolazione pediatrica. Obbiettivi Valutazione clinica e prognostica delle complicanze reumatologiche in bambini con MICI Materiali e Metodi Una corte retrospettiva di 83 pazienti affetti da MICI e manifestazioni

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articolari (56 malattia di Crohn, MC e 27 colite ulcerosa RCU) sono stati arruolati in due centri a Roma e valutati alla comparsa della prima manifestazione reumatologica e in follow up ai tempi 6,12 e 24 mesi. Le MICI sono state diagnosticate secondo i criteri di Porto, l' attività di malattia valutata secondo gli score PCDAI e PUCAI per la MC e la RCU. Sono state valutate le correlazioni tra coinvolgimento articolare e vari parametri: il tipo di malattia intestinale, localizzazione intestinale, strategie terapeutiche (step up e top down) e la remissione delle manifestazioni reumatologiche. Il coinvolgimento articolare è stato categorizzato in sacroileite, artrite periferica e artralgia. Risultati Per quanto riguarda i differenti tipi di manifestazioni reumatologiche nei bambini con MICI, è emerso che l 'artrite presenta un esordio significativamente più precoce rispetto all' artralgia (p=0.031). Degli 83 pazienti,44(53%) presentano artralgia e 39(47%) artrite, di cui 23 con artrite periferica e 16 con sacroileite. La differente prevalenza di artrite o artralgia non risulta essere statisticamente significativa nei sue gruppi rispettivamente:MC (48%-52%) e RCU (44%-56%) p=0.930. 16/83 pazienti arruolati presentano sacroilite, di cui 11(69%) con MC e 5(31%) RCU. La frequenza dell' interessamento delle piccole articolazioni, delle articolazioni coxofemorali e sacroiliache è maggiore nei pazienti con artrite rispetto ai pazienti con artralgia (p=0.006,p=0.001, p=0.001 rispettivamente). I pazienti con MC, in entrambi i gruppi della manifestazioni reumatologiche (artrite e artralgia), mostrano una più alta prevalenza dell' interessamento ileo colon (L3)(63%vs52%), rispetto a quello ileale (L1)(15%vs27.6%) e a quello del colon (L2) (22%vs20.7%). Anche nel sottogruppo delle sacroileiti nella MC, il coinvolgimento di L3 risulta maggiore (73%) rispetto a L1 (18%) e L2 (9%). La remissione delle manifestazioni articolari nei pazienti con artrite in terapia top down rispetto a quelli in step up mostra differenze significative già al follow up a 6 (p=0.043) e 12 mesi (p=0.036). Conclusioni L' artrite è una manifestazione extraintestinale più precoce rispetto all' artralgia nei pz con MICI, sebbene senza differenze di prevalenza artrite o artralgia nei due gruppi MC e RCU. Nella MC la localizzazione L3 potrebbe essere maggiormente legata allo sviluppo di manifestazioni articolari, anche nel sottogruppo delle sacroileiti. L' approccio terapeutico top down ha mostrato una più alta frequenza di remissione articolare ATTIVITA’ MOTORIA E ARTRITE IDIOPATICA GIOVANILE: VALUTAZIONE DELLA FITNESS E DELLE PROVE POSTURALI Maria Cristina Maggio Dipartimento Universitario Pro.Sa.M.I. “G. D’Alessandro”, Università degli Studi di Palermo Giuseppe Messina*, Antonio Palma*, Jessica Brusa*, Angelo Iovane*, Saveria Sabrina Ragusa, Livia Cimino, Giovanni Corsello *Dipartimento di Scienze Psicologiche, Pedagogiche e Educazionali, Università degli studi di Palermo INTRODUZIONE: I pazienti affetti da Artrite Idiopatica Giovanile (AIG) presentano capacità funzionali articolari e muscolari, tolleranza all’esercizio aerobico e anaerobico ridotti con una limitazione della fitness rispetto ai loro coetanei. In periodi di remissione, l’attività motoria è una strategia di follow-up sicura, con risvolti terapeutici positivi, in grado di migliorare non solo la fitness, ma anche l’escursione articolare, la forza muscolare, la qualità di vita. E’ stato recentemente dimostrato che lo svolgimento regolare di attività motoria riduce il dolore e l’uso di FANS. OBIETTIVI: L’obiettivo dello studio è stato di valutare i deficit di equilibrio e di postura e la fitness di bambini e adolescenti affetti da AIG, utilizzando test specifici. MATERIALI E METODI: Abbiamo valutato 30 pazienti con AIG (13 M; 17 F; età: 8-18 anni); tra questi pazienti, 7 sono stati valutati longitudinalmente negli anni 2016-2018, applicando i test in fasi diverse della patologia. Il test di posturografia è stato somministrato utilizzando il “FreeMed posturography system” (la piattaforma baropodometrica FreeMed ed il software FreeStep v.1.0.3). E’ stata utilizzata una batteria specifica per valutare la fitness dei pazienti (Abalakov test, backsaver sit and reach, the toe touch test, sit-up test, hand grip test). RISULTATI: La AIG era in fase acuta in 7 pazienti (2 M; 5 F), dei quali 1 con AIG Sistemica; 5 con AIG poliarticolare; 1 con AIG psoriasica). La valutazione posturale ha evidenziato una distribuzione patologica del carico fra piede destro e sinistro in 15 pazienti (4 con AIG sistemica; 9 con AIG poliarticolare; 2 con AIG oligoarticolare).

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La distribuzione del carico fra avampiede e retropiede è risultata patologica in tutti i pazienti, con un maggior ipercarico nei pazienti con AIG poliarticolare. Il test “hand grip” era <3° Centile in 8 pazienti; in 11 pazienti presentava comunque valori <20° Centile. I pazienti che svolgevano attività fisica regolare avevano test di valutazione della fitness nella norma; la fitness non era correlata né con il tipo di AIG né con la terapia effettuata. I pazienti valutati in follow-up hanno presentato un andamento bimodale: 5 pazienti (2 M con AIG sistemica e 3 F con AIG poliarticolare) hanno normalizzato i parametri della distribuzione del carico fra piede sinistro e destro e la fitness; 2 pazienti (1 M con AIG sistemica e 1 con AIG poliarticolare) hanno mantenuto un’asimmetria destro/sinistro e una fitness ridotta. La persistenza dell’asimmetria del carico fra piede destro/sinistro e avampiede/retropiede erà più frequente fra i pazienti con AIG poliarticolare. La persistenza dell’asimmetria del carico non sembra correlata alla forma dell’artrite. CONCLUSIONI: I dati ottenuti sottolineano l’importanza di svolgere attività motoria regolare dopo la risoluzione della fase acuta dell’artrite, al fine di prevenire asimmetrie posturali e deficit funzionali. Fattori di rischio cardiometabolici in bambini prepuberi con artrite idiopatica giovanile Francesca Vezzani1 1 Servizio Regionale di Reumatologia Pediatrica, Clinica Pediatrica, Chieti Di Battista C1, d’Angelo DM1, Lapergola G1, Marsili M1, Graziosi A2, Mohn A2, Breda L1 2 Clinica Pediatrica, Università degli Studi di Chieti, Chieti L'artrite idiopatica giovanile (AIG) è la più comune patologia reumatologica dell’età pediatrica ed una delle più comuni cause di disabilità a breve o lungo termine. Lo stato infiammatorio cronico costituisce un fattore di rischio per patologie cardiovascolari. Alcuni studi hanno riportato il legame tra AIG e sindrome metabolica (SM) [1]. L’obiettivo principale di questo studio è di stabilire l’eventuale correlazione tra AIG e fattori di rischio cardiometabolici. Obiettivo secondario è di relazionare il rischio cardiometabolico e la sindrome metabolica con la terapia in atto, la positività o meno degli ANA, la durata di malattia e l’attività di malattia stabilita dal JADAS-27. Sono stati arruolati 32 bambini prepuberi con diagnosi di AIG (9 con AIG oligoarticolare ANA negativa, 21 con AIG oligoarticolare ANA positiva, 1 con AIG poliarticolare e 1 con AIG) in terapia con methotrexate (n=9), farmaco biologico (n=8), con terapia combinata methotrexate e biologico (n=9); 6 pazienti non effettuavano alcuna terapia. Come gruppo di controllo sono stati arruolati 20 bambini prepuberi sani. Sono stati esclusi bambini con storia familiare o personale di malattie cardiovascolari o metaboliche, terapia steroidea, dislipidemie, malattie infettive in atto ed AIG sistemiche. Sono stati valutati: peso, altezza, BMI, circonferenza vita, rapporto circonferenza vita/altezza cm), profilo lipidico (HDL, LDL, TG, colesterolo totale), rapporto TG/HDL, VES, PCR, glicemia a digiuno, vitamina D, pressione arteriosa ed attività di malattia (JADAS ≤1 = malattia inattiva, >1 = malattia attiva). I pazienti con AIG, rispetto al gruppo di controllo, hanno mostrato BMI (p<0.01), livelli di vitamina D (p=0.032) e di glicemia (p=0.03) inferiori. Stratificando la popolazione in base alla positività degli ANA o secondo la terapia effettuata, non si sono rilevate differenze. Nei pazienti con durata di malattia ≤3 anni le HDL si sono mostrate inferiori (p-value=0.014). Infine, non si sono rilevate differenze significative tra i pazienti con malattia attiva ed inattiva. I nostri pazienti con AIG non sembrano presentare un maggior rischio cardio-metabolico, sebbene un gruppo di pazienti con minore durata di malattia presentino ridotti valori di HDL. Dal nostro studio emerge inoltre che i bambini con AIG presentano un BMI più basso, probabilmente legato a riduzione dell’attività fisica, deficit nutrizionali e stato infiammatorio. Nei nostri pazienti abbiamo trovato ridotti livelli glicemici rispetto ai controlli. Questo dato è già stato descritto in letteratura in pazienti adulti con artrite reumatoide: sembra che il TNF-alfa interagisca con l’attività insulinica, inibendo il trasportatore del glucosio GLUT4. Studi longitudinali con campione più numeroso sono necessari per valutare il reale rischio metabolico nell’AIG. C. De Almeida Zanette, S.H. Machado, J.C. Travales Brenol,R.Machado Xavier: Metabolic Syndrome and Juvenile Idiopathic Arthritis. Reumatology 2010; 50 (2): 190-204

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SPESSORE MEDIO INTIMALE CAROTIDEO E ATEROSCLEROSI SUBCLINICA: UNO STUDIO PRELIMINARE IN PAZIENTI CON LES AD ESORDIO PEDIATRICO F.Baldo IRCCS OSPEDALE POLICLINICO CÀ GRANDA, MILANO, Milano, Italia F. Annoni , M. Carini , V. De Cosmi , A. Petaccia, F. Corona, M. Torcoletti, S.Carbogno, G. Dilandro, S.Lanni, C. V. Agostoni , F. Minoia , G. Filocamo IRCCS OSPEDALE POLICLINICO CÀ GRANDA, MILANO, Milano, Italia Introduzione. L’associazione tra Lupus Eritematoso Sistemico (LES) e aterosclerosi precoce è ampiamente riconosciuta, tanto che nel 2006, il LES è stato incluso dall'American Heart Association e dall'American Academy of Pediatrics tra le patologie che comportano un aumento del rischio cardiovascolare. Lo spessore medio intimale carotideo (carotid intima-media thickness, cIMT) è un indicatore universalmente accettato per l’identificazione precoce dell'aterosclerosi in fase subclinica e quindi dei pazienti a rischio cardiovascolare. Obiettivi. Valutare tramite la misura del cIMT la presenza di aterosclerosi subclinica nei pazienti pediatrici affetti da LES, analizzando la possibile correlazione tra cIMT e indicatori di attività di malattia. Metodi. Sono stati inclusi i pazienti seguiti presso il nostro centro con diagnosi di LES secondo i criteri ACR ed età all’esordio 75°centile. Nessun fattore di rischio tradizionale, variabile correlata a malattia o trattamento eseguito è risultato essere significativamente associato alla cIMT nel nostro campione. Nei pazienti con cIMT > 75°centile è stata rilevata una minor durata di malattia e uno SLEDAI più elevato all'esordio. Conclusione. La cIMT carotidea rappresenta un importante indicatore non invasivo per l'identificazione dell’aterosclerosi subclinica, che deve essere preso in considerazione nel follow up anche dei pazienti pediatrici con LES. La cIMT più elevata nei pazienti con breve durata di malattia potrebbe essere dovuta ad uno stato infiammatorio più marcato, ma tali risultati dovranno essere confermati in un campione più ampio. L'arruolamento è tutt'ora in corso. Nefrite lupica e remissione della proteinuria: studio monocentrico in una coorte di pazienti affetti da Lupus Eritematoso Sistemico giovanile Sofia Torreggiani Fondazione IRCCS Ca' Granda Ospedale Maggiore Policlinico - Milano M. Giani, A. Mastrangelo, A. Petaccia, D. Pires Marafon, G. Di Landro, F. Baldo, S. Carbogno, S. Lanni, E. Bison, M. Torcoletti, F. Corona, G. Montini, G. Filocamo, F. Minoia Fondazione IRCCS Ca' Granda Ospedale Maggiore Policlinico - Milano Introduzione: La maggior parte dei pazienti affetti da Lupus Eritematoso Sistemico giovanile (jSLE) sviluppa nefrite lupica (LN), causa maggiore di morbidità e mortalità. Studi recenti in pazienti adulti con SLE suggeriscono che una rapida remissione della proteinuria si associ a migliore outcome renale. I dati sul tempo di remissione della proteinuria nel jSLE sono tuttavia ancora limitati. Obiettivi: Analizzare le caratteristiche cliniche, di laboratorio e istologiche associate con il tempo di remissione della proteinuria in pazienti con jSLE. Metodi: Le cartelle dei pazienti con jSLE seguiti nel nostro centro negli ultimi 30 anni sono state esaminate retrospettivamente. Sono stati inclusi pazienti con diagnosi di SLE secondo criteri ACR ed età all’esordio 5 anni. La proteinuria è stata considerata significativa se >0,5 g/die o se il rapporto proteinuria/creatininuria era >0,5. La proteinuria è stata definita in remissione se sotto il cut-off in due visite consecutive. Le caratteristiche dei pazienti con e senza proteinuria significativa a 1 anno sono state confrontate mediante test di Fisher o di Mann-Whitney. Il tempo di remissione della proteinuria è stato correlato con le variabili continue mediante test di Spearman, per le variabili categoriche è stato confrontato tramite test di Mann Whitney. Risultati: Ventisei pazienti sono stati inclusi nello studio, di cui 22 femmine. L'età mediana all'esordio di jSLE era 12,9 anni e della LN 13,6 anni. Nel 73% dei casi la LN era già presente alla diagnosi di jSLE. Il 69,2% dei pazienti presentava una LN di classe III e IV. Tutti i pazienti hanno ricevuto steroidi ad alte dosi come terapia di induzione, 7 hanno ricevuto anche boli di ciclofosfamide e.v.. Nel 46% dei casi sono stati usati ACE inibitori (ACEI) o bloccanti del recettore dell'angiotensina II (ARB). La remissione della proteinuria è stata ottenuta nel 73,9% e nell'82,6% dei pazienti a 1 e 5 anni dall'esordio. Il tempo mediano di remissione della proteinuria è stato di 5,4 mesi. Sebbene non sia stata raggiunta significatività

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statistica, i pazienti con proteinuria persistente a 1 anno presentavano minore età e più frequente proteinuria nefrosica all’esordio della LN. Nessun paziente con LN di classe II ha sviluppato proteinuria persistente. I pazienti trattati con ACEI/ARB avevano una mediana del tempo di remissione di proteinuria minore (2.5 vs 8.4 mesi, p=0,03). Conclusioni: I pazienti con esordio più precoce e proteinuria nefrosica all’esordio potrebbero avere un rischio più elevato di proteinuria prolungata necessitando pertanto di un attento monitoraggio. Il trattamento con ACEI/ARB sembra accelerare la remissione della proteinuria. Per le dimensioni ridotte della popolazione, questi risultati necessitano di conferma in studi più ampi. Inoltre, un follow-up più lungo permetterà di valutare il ruolo del tempo di remissione della proteinuria sull’outcome renale a lungo termine nel jSLE. SVILUPPO DI AUTOIMMUNITA’ E PATOLOGIE REUMATOLOGICHE IN UNA COORTE DI PAZIENTI CHEMIO-RADIOTRATTATI O SOTTOPOSTI A TRAPIANTO DI CELLULE STAMINALI EMOPOIETICHE IN ETA’ PEDIATRICA. Annalisa Arlotta Alessandra Meneghel 2, Giuseppe Basso 3, Giorgia Martini 2, Francesco Zulian2Alessandra Meneghel 2, Giuseppe Basso 3, Giorgia Martini 2, Francesco Zulian2 1 UOC Pediatria, Azienda Ospedaliero-Universitaria di Parma, 2 UOSD Reumatologia Pediatrica, 3 UOC Oncoematologia Pediatrica, Dipartimento di Salute della Donna e del Bambino, Azienda Ospedaliera-Università di Padova, Padova INTRODUZIONE. Il progresso nella cura di neoplasie e malattie ematologiche dell’età infantile ha portato a un miglioramento della sopravvivenza ma, specie in età adulta, vengono talvolta riportate malattie reumatologiche conseguenti a terapia antineoplastica o trapianto di cellule staminali ematopoietiche (TCSE). In età pediatrica, rare sono le segnalazioni finora riportate in letteratura. SCOPO DELLO STUDIO. Descrivere l’insorgenza di patologie reumatologiche in una coorte di pazienti (pz) sottoposti a chemio-radioterapia (CT-RT) o a TCSE per patologie emato-oncologiche, esordite in età pediatrica, giunti all’osservazione del nostro Centro negli ultimi 5 anni. MATERIALI E METODI. Analisi retrospettiva di 5 casi clinici. RISULTATI. 5 pz (2 maschi e 3 femmine) con diagnosi di Drepanocitosi, Linfoma di Hodgkin, Leucemia Mieloide Acuta, Anemia refrattaria con eccesso di blasti in trasformazione, Istiocitosi a cellule di Langherans. In 3/5 TCSE allogenico da donatore, dopo condizionamento secondo protocolli definiti in base alla patologia. In 2/5 pazienti solo CT, in 1 caso associato a RT. Esordio delle manifestazioni reumatologiche in media 40 mesi (range 10-108) dopo sospensione delle cure/esecuzione del TCSE: 2 Artriti Idiopatiche Giovanili oligoarticolari ANA+, 1 Artrite Psoriasica, 1 Lupus Eritematoso Cutaneo Cronico ANA+ ed ENA+ (anti-SSa e antiU1RNP), 1 Connettivite Indifferenziata. In 3/5 pazienti familiarità per patologie autoimmuni, 2 di questi sottoposti a TCSE allogenico (1 donatore consanguineo, 1 donatore non consanguineo). Nessun paziente presentava sintomi reumatologici all’esordio della malattia emato-oncologica e nessuno aveva eseguito un’ analisi del profilo autoanticorpale prima del trattamento. DISCUSSIONE E CONCLUSIONI. La presente è la più numerosa coorte di pazienti pediatrici con malattie reumatologiche insorte dopo CT-RT e/o TCSE per patologie emato-oncologiche. La maggior parte dei farmaci con cui sono stati trattati i nostri pazienti comprendeva ciclofosfamide, busulfano, melphalan, fludarabina e metotrexate, per i quali in letteratura è riportata precoce comparsa di manifestazioni autoimmuni. L’intervallo di tempo tra la sospensione delle cure/esecuzione del TCSE e la comparsa dei quadri reumatologici nella nostra casistica si è rivelata più precoce di quanto descritto in letteratura. Nel nostro studio nessun donatore presentava malattie autoimmuni e 2 pz presentavano familiarità per patologie autoimmuni. In conclusione, i nostri risultati preliminari dimostrano che le malattie reumatologiche vadano considerate come nuove espressioni di autoimmunità dopo CT-RT, di prolungare il follow up oncoematologico e valutare attentamente la storia familiare, il profilo immunologico e la predisposizione a patologie autoimmuni dei potenziali donatori. Ulteriori studi sono necessari per identificare eventuali cluster di pazienti più a rischio meritevoli di follow up specifico a lungo termine.

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Coinvolgimento articolare in pazienti pediatrici affetti da Malattie Infiammatorie Croniche Intestinali (MICI): analisi della casistica e risultati Carolina Porfito Dipartimento Materno-Infantile, Università degli Studi di Napoli Federico II, Napoli, Italia Francesca Orlando, Carmen Laurenza, Marina Amico, Roberta Naddei, Teresa Lastella, Maria Alessio Dipartimento Materno-Infantile, Università degli Studi di Napoli Federico II, Napoli, Italia Introduzione: Il coinvolgimento articolare è la manifestazione extraintestinale più frequente nei pazienti con MICI (5-20%). Obiettivi: Valutare i dati epidemiologici, clinici e di laboratorio di pazienti affetti da MICI con manifestazioni articolari. Materiali e Metodi: Analisi retrospettiva di 104 pazienti, età 4-18 anni, affetti da MICI (diagnosi secondo Criteri di Porto 2014). Valutati sesso, età alla diagnosi, indici di flogosi (VES, PCR, Calprotectina), attività di malattia (PCDAI o PUCAI), localizzazione ed istologia delle lesioni (criteri di Paris), presenza di manifestazioni extraintestinali (EIMs) e terapia. I pazienti con manifestazioni articolari sono stati divisi in 2 gruppi: artropatia periferica di tipo 1 (pauciarticolare, durata 10 settimane). Risultati: Dei 104 pazienti, 51 femmine (49%) e 53 maschi (51%), 40 erano affetti da Morbo di Crohn (MC), 61 da Rettocolite Ulcerosa (RCU) e 3 da Colite Indeterminata. L’età media all’esordio era 12 anni per MC e 11,8 anni per RCU. Tra i pazienti con MC, 52,5% aveva coinvolgimento ileocolico, 20% cecale, 12,5% colico, 15% duodeno-gastro-esofageo. Tra i pazienti con RCU, 32,7% presentava colite estesa, 37,7% pancolite, 14,7% proctite ulcerativa, 13% colite sinistra,1,6% iperplasia linfoide ileale. Il 15,3% dei pazienti presentava EIMs: eritema nodoso 0,6%, colangite sclerosante 2,84%, segni/sintomi articolari 11,5%. Il 75% dei pazienti con EIMs aveva artralgia. Tra i pazienti con coinvolgimento articolare (67% femmine, 33% maschi) il 50% era affetto da MC e il 50% da RCU; nel 17% dei casi le manifestazioni comparivano all’esordio della MICI, nel 42% in associazione a riattivazioni. L’indice di attività di malattia all’esordio dei sintomi articolari era patologico in 8 pazienti (67%). Le articolazioni coinvolte erano: ginocchio (25%), coxofemorale (42%), sacroiliaca (16,5%,) tibiotarsica (16,5%). Il coinvolgimento era monolaterale nell’84%, bilaterale nel 16%. Solo in un caso vi era coinvolgimento monolaterale del ginocchio e artralgia bilaterale alle sacroiliache. In 11 casi (91,6%) i sintomi articolari sono stati transitori, in un caso (8.4%) è stata posta diagnosi di artrite poliarticolare. Le manifestazioni articolari sono state trattate con paracetamolo (33,3%), ibuprofene 25%, naprossene 8,3%, terapia steroidea rettale 16,6%, fisiokinesiterapia 8,3%. Il paziente con artrite poliarticolare è in trattamento con Adalimumab e Metotrexate. Conclusioni: Nella nostra coorte le manifestazioni articolari sono più frequentemente associate a MC (14%) rispetto a RCU (10%). La maggioranza dei pazienti (91,6%) aveva artropatia periferica di tipo 1 (100% dei pazienti con MC, 83,3% di quelli con RCU). Tra i pazienti affetti da MC la localizzazione prevalente intestinale è ileocecale. Tutti i pazienti hanno risposto al trattamento con farmaci antinfiammatori, in un solo caso è stata necessaria FKT, in un caso è stata impostata terapia di fondo. THE INTERFERON-GAMMA PATHWAY IS ACTIVATED IN THE LIVER AND IN THE BLOOD OF PATIENTS WITH ACTIVE SECONDARY HEMOPHAGOCYTIC LYMPHOHISTIOCYTOSIS Giusi Prencipe 1Unita' Operativa di Reumatologia, IRCCS Ospedale Pediatrico Bambino Gesu' Claudia Bracaglia1 , Antonia Pascarella1 , Ivan Caiello1 , Paola Francalanci2 , Manuela Pardeo1 , Alessandra Meneghel3 , Giorgia Martini3 , Antonella Insalaco1 , Giulia Marucci1 , Francesco Zulian3 , Fabrizio De Benedetti1 2Divisione di Anatomia Patologica, IRCCS Ospedale Pediatrico Bambino Gesu', 3Università di Padova, Dipartimento di salute materno infantile, Padova Introduction. An increasing body of evidence obtained both in patients and experimental models of secondary hemophagocytic lymphohistiocytosis (sHLH), including macrophage activation syndrome (MAS), supports the pathogenic role of Interferon-gamma (IFNγ). Nevertheless, to date, few data demonstrating the activation of the IFNγ pathway in target tissues of patients with sHLH during the active phase of the disease are available. Objectives. In this study, in order to further clarify the involvement of IFNγ in the pathogenesis of sHLH, we investigated the activation of the IFNγ pathway in the affected liver of patients with active sHLH. In addition, we evaluated the circulating levels of IFNγ inducible chemokines CXCL9 and CXCL10 and assessed the activation of the IFNγ pathway in peripheral blood mononuclear cells (PBMCs) of patients collected during

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the course of the disease. Methods. We analysed by real-time PCR the mRNA expression levels of IFNγ and IFNγ-inducible genes in the liver and in peripheral blood mononuclear cells (PBMCs) from two patients with active sHLH and one patient with active MAS, in which the disease was limited to the liver, without systemic involvement. Moreover, both in liver and PBMCs protein lysates, we evaluated by Western Blot analyses the levels of total and Tyrosine (701)-phosphorylated Signal transducer and activator of transcription 1 (STAT1), the transcription factor mainly involved in the activation of the IFNγ signaling pathways. Circulating CXCL9 and CXCL10 have been measured by ELISA. Results. The expression levels of IFNγ and IFNγ-inducible genes were markedly up-regulated in livers from all three patients, compared to control livers. Conversely, slight differences in the expression levels of Type I IFN-inducible genes and other classical pro and anti-inflammatory cytokines were found. Further supporting the activation of the IFNγ pathway, higher protein levels of phosphorylated and total STAT1 were detected in patient livers. Accordingly, we found that mRNA levels of IFNγ-regulated genes and phosphorylated STAT1 protein levels were markedly increased in patient PBMCs collected during the active phase of the disease. Finally, circulating levels of IFNγ-inducible CXCL9 and CXCL10 were markedly increased during the active phase of the disease, paralleling the ferritin’s trend. Conclusion. Our data provide evidence of selective and marked up-regulation of the IFNγ pathway in liver tissue as well as in PBMCs and blood of patients with active sHLH, further supporting the key role of IFNγ in the pathogenesis of the disease, and provide the rationale for the therapeutic use of an anti-IFNγ antibody in sHLH. Psoriasi e Osteomielite Cronica Non Batterica (CNO): peggioramento del quadro cutaneo in corso di terapia con Etanercept Manuela Pardeo Unità Operativa Complessa di Reumatologia, IRCCS Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, Roma, Italia V. Messia1, C. Celani1, C. Bracaglia1, R. Nicolai1, G. Marucci1, F. De Benedetti1, A. Insalaco1 Unità Operativa Complessa di Reumatologia, IRCCS Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, Roma, Italia Introduzione: nella casistica di Eurofever di 486 pazienti affetti da Osteomielite Cronica Non Batterica (CNO), è stata descritta l’associazione con psoriasi nel 4%. Noto è l’utilizzo di farmaci che inibiscono il Tumor Necrosis Factor-alpha (TNF-α) nel trattamento della psoriasi. Nel Consensus Treatment Plans per la CNO gli anti-TNF-α sono un’opzione terapeutica per i pazienti con CNO refrattaria. Sulla base di questi dati abbiamo trattato 3 pazienti con CNO e psoriasi con etanercept, ma abbiamo osservato un peggioramento della psoriasi. Obiettivi: Riportare il peggioramento della psoriasi nei pazienti con CNO trattati con etanercept. Materiali e Metodi: Incluse 3 pazienti con diagnosi di CNO e Psoriasi trattate con Etanercept e valutata la risposta terapeutica. Risultati: Pt 1. Diagnosi a 10 anni di CNO (ossa lunghe e vertebre) e psoriasi (cuoio capelluto e piede sinistro). Per il peggioramento clinico e radiologico del coinvolgimento osseo dopo terapia con FANS e 2 cicli di pamidronato, abbiamo iniziato etanercept. Dopo 3 mesi di terapia la psoriasi è notevolmente peggiorata, per cui il farmaco è stato sospeso con iniziale miglioramento delle lesioni cutanee. Pt 2. Diagnosi a 17 anni di CNO (ossa lunghe, vertebre, bacino) e psoriasi (cuoio capelluto e arti inferiori), trattata all’esordio della malattia con 4 cicli di pamidronato e sulfasalazina. Nonostante un iniziale beneficio, dopo 2 anni di terapia con sulfasalazina la paziente ha perso risposta. Abbiamo iniziato etanercept con miglioramento clinico e radiologico del coinvolgimento osseo, ma peggioramento della psoriasi dopo 3 mesi di terapia. La paziente ha rifiutato di interrompere l’etanercept. Dopo 6 mesi di terapia ha ottenuto remissione persistente della CNO con stabilità delle lesioni cutanee. Pt 3. Diagnosi a 8 anni di CNO (ossa lunghe, vertebre e bacino) e psoriasi (cuoio capelluto, sede preauricolare). Alla luce delle lesioni vertebrali D6 e D9 la paziente è stata trattata con glucocorticoidi e pamidronato. Dopo 3 mesi si evidenziavano artralgie persistenti associate ad aumento del numero di lesioni ossee. Abbiamo iniziato etanercept completando i cicli di pamidronato (4 cicli totali), con buona risposta clinica, senza dolore o limitazione funzionale e riduzione del numero di lesioni ossee. Dopo l’inizio di etanercept abbiamo osservato un importante peggioramento della psoriasi con aumento delle lesioni (cuoio capelluto, arti inferiori e unghie). Dopo 6 mesi di terapia abbiamo deciso di sospendere l’etanercept. Al controllo di follow-up dopo 2 mesi le lesioni ossee e quelle psoriasiche erano stabili. Conclusioni: Riportiamo 3 casi di CNO e psoriasi trattati con etanercept con peggioramento delle lesioni cutanee. Non è chiaro il meccanismo che conduce all’esacerbazione della preesistente psoriasi

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durante la terapia con etanercept. Sono necessari ulteriori studi con una casistica più ampia per chiarire tale correlazione e il management di questi pazienti EMAPALUMAB, ANTICORPO MONOCLONALE ANTI-INTERFERONE GAMMA (IFN ), IN DUE PAZIENTI CON MALATTIA AUTOINFIAMMATORIA CORRELATA A MUTAZIONE DEL GENE NLRC4 E GRAVE LINFOISTIOCITOSI EMOFAGOCITICA (HLH) Claudia Bracaglia Unità Operativa di Reumatologia, IRCCS Ospedale Pediatrico Bambino Gesù G. Prencipe1, A. Insalaco1, I. Caiello1, G. Marucci1, R. Pecoraro1, M. Pardeo1, P. Dolezalova2, S. Fingerhutova2, M. Ballabio3, C. de Min3, F. De Benedetti 1Unità Operativa di Reumatologia, IRCCS Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, Roma Italia 2Paediatric Rheumatology and Autoinflammatory Diseases Unit, Charles University Praga, Repubblica Ceca 3Novimmune SA, Ginevra, Svizzera Introduzione L’IFNγ ha un ruolo patogenetico nelle HLH primarie e secondarie. I risultati preliminari con emapalumab nelle pHLH sono incoraggianti, è in corso un trial pilota anche nelle MAS in AIGs. Mutazioni gain-of-function di NLRC4 sono associate ad una malattia autoinfiammatoria con HLH recidivanti. Obiettivi Descrivere l’efficacia e la sicurezza della terapia con emapalumab in due pz con mutazione missense de novo di NLRC4, con esordio precoce e grave di HLH. Metodi I livelli delle citochine sono stati misurati con multiplex ed ELISA, l’espressione di IFNγ su PBMCs con citometria. Risultati Pz 1.Maschio Caucasico, a 20 giorni di vita, febbre e rash, progressivo sviluppo di caratteristiche cliniche e laboratoristiche di HLH con evoluzione in insufficienza multi-organo. Identificata una mutazione missense de novo di NLRC4(T337N). Iniziata terapia con glucocorticoidi e ciclosporina-A(CyA) con parziale beneficio. Una sepsi ha determinato una riattivazione dell’HLH. Pertanto è stata iniziata terapia con emapalumab in aggiunta alla terapia in atto. Dopo 3 mesi di tale terapia è stato dimesso in buone condizioni generali. Dopo 7 mesi di emapalumab, tutte le terapie, emapalumab compreso, sono state sospese senza segni di riattivazione clinica ed ematochimica di HLH. Pz 2.Maschio Caucasico,16 mesi, con episodi recidivanti di HLH e lesioni vasculitiche da un mese di vita, secondarie a mutazione missense de novo di NLRC4(I343N). Scarso controllo di malattia nonostante glucocorticoide giornaliero, CyA e anakinra. Sospeso l’anakinra, prima di iniziare emapalumab, comparsa immediata di febbre, rash vasculitico e diarrea, e alterazioni ematochimiche da HLH. L’emapalumab è stato iniziato in aggiunta a metilprednisolone e CyA con defervescenza e progressivo miglioramento ematochimico. L’episodio iniziale di HLH si è risolto, il bambino ha presentato altri due episodi di media intensità, scatenati da infezioni sistemiche da patogeni traslocati dall'intestino, risoltisi con un minimo incremento della dose di glucocorticoidi. La diarrea persisteva con una lieve infiammazione; l’emapalumab è stato sospeso dopo 3 mesi di terapia. Successivamente il bambino ha presentato ulteriori episodi lievi di HLH. In entrambi i pz l'aumentata produzione di IFNγ è stata dimostrata da alti livelli di CXCL9(pz.1: 5670, pz.2: 3310pg/ml), chemochina indotta direttamente da IFNγ, dall'aumentata espressione di IFNγ nelle cellule NK e CD8, e dalla presenza di alti livelli di IFNγ totale legato all'emapalumab circolante. Conclusioni In entrambi i pz, emapalumab è stato sicuro e ben tollerato, con normalizzazione di tutte le alterazioni cliniche ed ematochimiche di HLH. Il pz.1 non ha presentato riattivazione di malattia anche in assenza di alcun trattamento. Nel pz.2 la neutralizzazione di IFNγ ha permesso il controllo dell’HLH, ma la sua malattia di base e, in particolare, l'infiammazione intestinale e la colonizzazione dell'intestino da parte di patogeni MDR sono rimaste invariate. Long-term TRAPS: a series of 175 cases from the Eurofever registry Riccardo Papa Autoinflammatory Diseases and Immunodeficiencies Centre, Paediatric and Reumatology Clinic, IRCCS Giannina Gaslini Institute, Genoa, Italy Lane T1, Youngstein T1 , Rezk T1 , Papadopoulou C21, Gerhold K3, Obici L4, Touitou I5, Cantarini L6, Frenkel J7, Anton J8, Kone-Paut I9, Cattalini M10, Bader-Meunier B11, Insalaco A12, Hentgen V13, Merino R14, Modesto C15, Toplak N16, Berendes R17, Ozen S

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1National Amyloidosis Centre, Royal Free Campus, University College Medical School, London, UK.2Autoinflammatory Diseases and Immunodeficiencies Centre, Paediatric and Reumatology Clinic, IRCCS Giannina Gaslini Institute, Genoa, Italy.3Pediatric Pneumolog Objectives. To define best treatment approach in patients with Tumour necrosis factor Receptor-Associated Periodic Syndrome (TRAPS) and effect on long-term outcomes. Methods. We reviewed all data on patients with TNFRSF1A variants and inflammatory symptoms. The Auto Inflammatory Diseases Activity Index (AIDAI) estimated the long-life disease severity. Results. Data on 175 patients were available. The median disease duration was 14 years. Patients with intronic variants displayed milder disease than 147 patients with mutations affecting coding regions, with an AIDAI score FATTORI PREDITTIVI DI RISPOSTA AGLI INIBITORI DELL'INTERLEUCHINA-1 ANAKINRA E CANAKINUMAB IN PAZIENTI AFFETTI DA MALATTIA DI BEHÇET Carla Gaggiano1, Claudia Fabiani2, Antonio Vitale3, Donato Rigante4, Giacomo Emmi5, Giuseppe Lopalco6, Jurgen Sota3, Salvatore Grosso1, Gian Marco Tosi2, Luca Cantarini3 1 – Clinica Pediatrica, Dipartimento di Medicina Molecolare e dello Sviluppo , Università di Siena, Siena, Italia; 2 – Unità Operativa di Oftalmologia, Dipartimento di Scienze Mediche, Chirurgiche e Neuroscienze, Università di Siena, Siena, Italia; 3 – Centro di Ricerca delle Malattie Autoinfiammatorie Sistemiche, della Malattia di Behçet e Centro collaborativo Oculistico – Reumatologico per la cura delle uveiti, Dipartimento di Scienze Mediche, Chirurgiche e Neuroscienze, Università di Siena, Siena, Italia; 4 – Istituto di pediatria, Università Cattolica Sacro Cuore, Fondazione Policlinico Universitario “A. Gemelli”, Roma, Italia; 5 – Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale, Università di Firenze, Firenze, Italia; 6 – Dipartimento Interdisciplinare di Medicina, Unità di Reumatologia, Università di Bari, Bari, Italia. Scopo dello studio: obiettivo principale dello studio era identificare gli eventuali fattori demografici, clinici o terapeutici associati ad una prolungata risposta agli anti-interleuchina(IL)-1 in pazienti con malattia di Behçet (MB). Obiettivo secondario dello studio era la descrizione del tasso di sopravvivenza (retention rate) cumulativo della terapia anti-IL-1 durante un periodo di follow-up di 4 anni. Materiali e Metodi: erano arruolati i pazienti trattati con anakinra o canakinumab in quanto affetti da MB sulla base dei criteri diagnostici internazionalmente riconosciuti. I dati demografici, clinici e terapeutici erano raccolti in maniera retrospettiva per essere successivamente sottoposti ad analisi statistica. I pazienti erano divisi in due gruppi sulla base della risposta clinica: nel “gruppo 1” figuravano i pazienti trattati con anti-IL-1 da almeno 52 settimane in assenza di perdita di efficacia durante il primo anno di follow-up; al contrario, erano inclusi nel “gruppo 2” quei pazienti che sperimentavano mancata efficacia o perdita di efficacia durante le prime 52 settimane di terapia, in assenza di recupero della risposta clinica in seguito ad aggiustamenti terapeutici. Risultati: 18 pazienti erano inclusi nel gruppo 1 e 18 pazienti nel gruppo 2. In entrambi i gruppi i pazienti trattati con anakinra erano 13/18 (72.2%), mentre quelli trattati con canakinumab erano 5/18 (27.78%). Una risposta completa entro il terzo mese di follow-up era ottenuta in 18/18 (100%) pazienti nel gruppo 1 e in 7/18 (38.9%) pazienti nel gruppo 2 (p<0.0001). Nel gruppo 1, durante il follow-up si osservava una perdita di efficacia in 6/18 casi. Nel gruppo 2, in 9/18 casi si riscontrava una mancata efficacia, mentre nei restanti 9/18 casi si descriveva una perdita di efficacia. Il tempo medio alla recidiva era di 79.7±62.4 settimane nel gruppo 1 and 18.8±14.2 settimane nel gruppo 2; nel gruppo 1 la percentuale di pazienti liberi da recidiva era del 53.5% a 24 mesi e del 44.6% a 48 mesi (Figura 1). All’ultima visita di follow-up i pazienti che ancora continuavano il trattamento nel gruppo 1 erano 11/18 (61.1%); questi pazienti avevano iniziato la terapia 32.3±14.7 mesi prima. All’analisi statistica, una migliore risposta agli inibitori dell’IL-1 era significativamente più comune tra i pazienti con uveite (p=0.006) e tra i pazienti con una durata sistemica di malattia maggiore (p=0.03). Non altre variabili erano statisticamente associate ad una buona o cattiva risposta agli anti-IL-1 (Tabella 1). Conclusioni: inibire l’IL-1 rappresenta un approccio terapeutico efficace nei pazienti affetti da MB, soprattutto all’aumentare della durata di malattia e in chi presenta un coinvolgimento oculare.

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Il registro Eurofever dopo 10 anni di arruolamento Martina Finetti Pediatria II – Reumatologia, Istituto Giannina Gaslini, Genoa, Italy on behalf of Centers affiliated to Eurofever project S. Federici, J. Frenkel, S. Ozen, H. Lachmann, L. Cantarini, P. Dolezalova, F. De Benedetti, A Jansson, I. Koné-Paut, P. Brogan, G Amaryan, J Anton Lopez, J Swart, M Hofer,T Herlin, E Papadopoulou-Alataki, R. Gallizzi, M. Cattalini, C. Modesto, Y Butbul Pediatria II – Reumatologia, Istituto Giannina Gaslini, Genoa, Italy on behalf of Centers affiliated to Eurofever project Introduzione: Nel 2008 la Società Europea di Reumatologia Pediatrica (PReS) ha promosso un Progetto Internazionale per lo studio delle Malattie Autoinfiammatorie (AIDs), chiamato Eurofever, il cui scopo principale era di creare un registro per la raccolta di informazioni dei pazienti affetti da tali patologie. Obiettivi: Implementare il Registro con le nuove malattie autoinfiammatorie e aumentare la collezione dei dati longitudinali. Metodi: I dati analizzati nello studio sono estratti dal Registro di Eurofever. A partire a febbraio 2015 è stata avviata la raccolta dei dati longitudinali con un particolare interesse verso la terapia, le modifiche del quadro clinico e la comparsa di eventi avversi/complicanze. Risultati: Ad oggi sono stati arruolati nel Registro 4046 pazienti provenienti da 62 Paesi (3773 con complete informazioni demografiche al baseline). La maggior parte dei pazienti risiede nell’Europa Occidentale (2618; 69%), 489 (13%) nell’Europa Centro-Orientale, 452 (12%) nei Paesi del bacino del Mediterrano meridionale e orientale (Turchia, Israele, Nord Africa), 127 in Asia, 76 in Sud America e 11 in Australia. In confronto con il primo studio su Eurofever (Toplak et al 2012), abbiamo osservato un aumento dell’arruolamento nell’Europa Centro-Orientale (dal 6 al 13% del totale). 3444 (91%) pazienti hanno presentato esordio di malattia in età pediatrica BODY MASS INDEX AND JUVENILE IDIOPATHIC ARTHRITIS: IS THERE A CORRELATION WITH SEVERITY, PROGNOSIS AND TREATMENT RESPONSE? Ilaria Maccora Rheumatology Unit, University of Florence, A. Meyer Children's Hospital, NEUROFARBA Department, Florence, Italy Francesca Tirelli, Edoardo Marrani, Teresa Giani, Gabriele Simonini , Rolando Cimaz1 Rheumatology Unit, University of Florence, A. Meyer Children's Hospital, NEUROFARBA Department, Florence, Italy Introduction: There is evidence that obesity could be a risk of factor for the development of RA due both to the mechanical effect of overweight and to the potential pro-inflammatory effects of cytokines produced by adipose tissue. Objectives: To evaluate the role of overweight and obesity in a cohort of JIA patients, in terms of incidence, disease activity, outcome and response to treatments. Methods: This single-center retrospective cohort study evaluated 125 children affected by JIA under treatment with anti-rheumatic agents (NSAIDs/IAS, DMARDs, biologic agents). Change from baseline in ERS, CRP, number of active joints (with distinction between upper and lower limb joints), and BMI was analysed under each treatment until last visit. BMI categories of 5-84th (normal weight), 85-94th (overweight), and ≥ 95th (obese) percentile were used. Patients with systemic JIA or chronic comorbidity under potentially confounding systemic treatments were excluded. Informed consent was obtained by the patients and their family. Results: One hundred twenty-five JIA patients (36% oligoarticular JIA, 42,4% RF-negative polyarticular JIA, 0,8% RF-positive polyarticular JIA, 8% enthesitis related arthritis, 11,2% psoriatic JIA, and 1,6% undifferentiated unclassified arthritis) were enrolled in the study, 76,8% girls, 23,3 boys. The mean age was 5,9 years (± 3,8). Baseline BMI was ≤ 84th percentile in 73,22% of patients, 85-94th in 19,64%, and ≥ 95th in 7,14%. We did not observe a significative association between BMI and ERS (p=0,29), CRP (p=0,24), or number of active joints (p=0,45) at baseline, while the involvement of the joints of lower limb was significantly greater (p=0,025) in overweight/obese patients. We also demonstrated a substantial equality in remission and relapse rates in subjects with different BMI. Conclusion: This study focuses on the complex relationship between overweight/obesity and JIA. A significant correlation between obesity and a greater involvement of the joints of the lower limbs was observed at baseline. Furthermore, we observed that obesity does not influence the

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course of the disease nor treatment response. These data seem to suggest a prevalent mechanical effect of ponderal excess on JIA, rather than a biochemical influence due to pro-inflammatory cytokines released by adipocytes. Predictors of effectiveness of anakinra in systemic juvenile idiopathic arthritis Jessica Tibaldi Università degli Studi di Genova, Genoa, Italy Benedetta Saccomanno, Francesca Minoia, Francesca Bagnasco, Angela Pistorio, Andressa Guariento, Roberta Caorsi, Alessandro Consolaro, Marco Gattorno, Angelo Ravelli Università degli Studi di Genova, Genoa, Italy; 2Fondazione IRCCS Ca’ Granda, Ospedale Maggiore Policlinico, Milan, Italy; Istituto Giannina Gaslini, Genoa, Italy; Instituto de Criança – FMUSP, São Paulo, Brazil Introduction. Systemic juvenile idiopathic arthritis (sJIA) is the most severe and a rather distinct subtype of JIA. It is common view that sJIA is the most severe form of childhood arthritis and the most difficult to treat. Recently the use of interleukin(IL)-1 antagonists has led to a significant improvement of the disease’s longterm evolution and has confirmed this cytochin’s key-role in the pathogenesis of sJIA. A number of potential predictors of the therapeutic effectiveness of IL-1 inhibitors have been reported, which include less severe joint disease and increased white blood cell count, shorter disease duration, older age at disease onset and use of IL-1 blockade as first-line therapy. However, because the experience gained so far is still limited, there is a need of further data to better characterize the profile of sJIA patients who are more susceptible to respond to IL-1 blockade. Objective. To seek for predictors of therapeutic response to the interleukin (IL)-1 inhibitor anakinra in children with systemic juvenile idiopathic arthritis (sJIA). Methods. The clinical charts of all patients with sJIA who were newly treated with anakinra at our center between 2004 and 2017 were reviewed retrospectively. Predictors included baseline demographic, clinical and laboratory variables as well as previous or concomitant therapies. The effectiveness of anakinra was assessed at 1 year after treatment start. Complete clinical response (CCR) was defined as absence of fever, physician’s global assessment ≤ 1, count of active joints ≤ 1, negative C-reactive protein (CRP), and ≥ 75% reduction of corticosteroid dose. According to the intention-to-treat principle, patients who had anakinra discontinued before 1 year for any reasons other than disease remission were classified as non responders. Statistics included univariate and multivariable analyses. Results. Of the 62 patients included in the study, 24 (39%) met the criteria for CCR at 1 year, whereas 38 (61%) did not. On multivariable analysis, independent correlations with achievement of CCR were identified for shorter disease duration, lower active joint count, higher ferritin level, and greater activity of systemic manifestations. The area under the curve (AUC) of the model was 0.83. Conclusion. Our findings help to delineate the clinical profile of sJIA patients who are more likely to benefit from IL-1 blockade. They also underscore the need of studies aimed to explore the therapeutic role of early IL-1 inhibition and to identify biomarkers predicting response to either IL-1 or IL-6 antagonists. MALATTIA DI KAWASAKI NEI BAMBINI SOTTO UN ANNO D’ETA’: UNA COORTE ITALIANA Greta Mastrangelo Scuola di Specializzazione in Pediatria , Univeristà degli studi di Firenze S. Trapani2, D. Lasagni2, G. Calabri3, M. Resti2, R. Cimaz4 2 Dipartimento di pediatria internistica, AOU Meyer , Firenze 3 Servizio di Cardiologia pediatrica , AOU Meyer , Firenze 4 Servizio di Reumatologia pediatrica, Univeristà degli studi di Firenze Background: La malattia di Kawasaki (MK) è una vasculite dei medi vasi, che mostra una specifica predilezione per le arterie coronarie. Nel lattante è spesso caratterizzata da forme atipiche ed incomplete e, in questa popolazione, si stima che l’incidenza di anomalie coronariche sia intorno al 40-50% (contro 15-25% dei soggetti di età superiore ai 12 mesi). Pochi studi sono stati tuttavia condotti sui pazienti affetti da MK nel lattante e di questi un numero ancor più limitato sulla popolazione caucasica. Obiettivi: Questo studio si propone quindi di valutare le caratteristiche epidemiologiche, cliniche ed ematochimiche dei pazienti con MK sotto l’anno di età nella popolazione caucasica e di confermare se esista un maggior rischio di coinvolgimento cardiaco in questa fascia di età. Materiali e Metodi: Revisione retrospettiva delle cartelle cliniche dei pazienti con diagnosi di MK sotto i 12 mesi d’età afferiti presso l’azienda Ospedaliera Universitaria

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Anna Meyer tra Gennaio 2008 e Dicembre 2017. I dati sono stati analizzati con Epi Info Statistical Software versione 7.1.5.2. Conclusioni: Di 113 pazienti con Malattia di Kawasaki, 32 (28,3%) avevano meno di un anno d’età (M:F= 20:12). L’età media era 5,7 ± 2,7 mesi. 19 pazienti (59,4%) avevano meno di 6 mesi. L’eritema delle labbra e delle mucose era presente in 13 pazienti (40,6%); anomalie delle estremità in 18 (56,2 %); rash in 25 (78,1 %); iperemia congiuntivale in 26 (81,2%) e linfoadenopatia cervicale in 7 (21,8 %). 22 pazienti (68,7%) avevano una malattia di Kawasaki incompleta. Il coinvolgimento cardiaco era presente in 19 (59,4%) pazienti di cui 13 (59,0%) avevano una forma incompleta. Un paziente ha presentato una complicanza severa con tamponamento cardiaco. Il tempo medio impiegato per la diagnosi era di 7 giorni (range 3-22) ed era maggiore nelle forme incomplete (7,6 vs 5,8). I valori di VES, PCR e piastrine sono risultati più elevati nelle forme complete, sebbene non sia stata raggiunta una significatività statistica. Tutti i pazienti sono stati trattati con immunoglobuline endovena. Nella nostra coorte di pazienti la forma incompleta di MK è risultata frequente, condizione che giustifica il maggior ritardo diagnostico. Inoltre i pazienti con forma incompleta presentavano un quadro più severo, con maggior frequenza di coinvolgimento cardiaco. Per le nostre conoscenze attuali, questo studio è il primo che coinvolge esclusivamente una coorte italiana di pazienti sotto l’anno di età con malattia di Kawasaki. Sintomaticità e decorso clinico delle uveiti non infettive in una coorte di pazienti di un centro pediatrico di terzo livello Achille Marino S.C. Pediatria, Ospedale di Desio, ASST Monza; PhD student, University of Florence, Italy Stefanie Davidson, Pamela Weiss, Melissa A. Lerman Attending Physician, Division of Rheumatology, The Children’s Hospital of Philadelphia, Philadelphia, Pennsylvania; Assistant Professor of Clinical Pediatrics, University of Pennsylvania Perelman School of Medicine, Philadelphia, Pennsylvania Introduzione L'uveite è una condizione infiammatoria delle membrane uveali che può portare a significative complicanze a lungo termine. Le uveiti non infettive (NIU) possono essere idiopatiche o associate ad una malattia sistemica, la più comune delle quali è l'Artrite Idiopatica Giovanile (AIG). L’uveite può presentarsi in maniera asintomatica o sintomatica. Obiettivi Riportare la prevalenza delle NIU sintomatiche in una coorte di pazienti pediatrici con particolare riguardo ai fattori di rischio, al decorso dell'infiammazione oculare e agli outcome. Materiali e Metodi Studio retrospettivo di coorte, nel quale sono stati arruolati i pazienti con NIU seguiti presso il Children's Hospital di Filadelfia (CHOP), Pennsylvania, USA. La presenza di sintomi (dolore e/o iperemia oculare, fotosensibilità) è stata raccolta al primo episodio ed a ogni riattivazione della malattia oculare. La regressione logistica è stata utilizzata per la valutazione dei fattori indipendentemente associati con lo sviluppo di uveite sintomatica. Risultati Sono stati inclusi nel presente studio 118 pazienti. La maggior parte dei soggetti era di sesso femminile (66%) mentre l'età media alla diagnosi di NIU era di 7.4 anni. L'AIG è risultata essere la diagnosi più comune (57%) seguita dall'uveite idiopatica (33%); il 55% dei pazienti con AIG facevano parte della categoria oligoarticolare. L'82% dei pazienti ha presentato un’uveite anteriore (AU), sebbene i soggetti con uveite idiopatica avevano minori probabilità di avere un AU. Circa la metà dei pazienti (49%) ha presentato sintomi durante il primo episodio di uveite. La probabilità di avere un’uveite sintomatica all'esordio è risultata essere significativamente più alta nei pazienti non-AIG (OR 4.18, 95% CI 1.92, 9.1) e significativamente più bassa nei pazienti ANA positivi (OR 0.4, 95% CI: 0.19, 0.86) e nei bambini con età minore di 7 anni all'esordio di uveite. Centocinque soggetti hanno presentato almeno una riattivazione di malattia dopo un periodo di quiescenza. La sintomaticità alla riattivazione dell’uveite non è risultata significativamente associata con la presenza di sintomi all’esordio dell’infiammazione oculare (Or 0.93, 95%, CI 0.63, 1.37); più del 30% dei soggetti con sintomi al primo episodio di uveite ha presentato una o più riattivazioni di malattia senza sintomi. La presenza di complicanze oculari è risultata simile tra i pazienti con uveite sintomatica e asintomatica all’esordio della malattia oculare (49% vs 51%). Conclusioni Una diagnosi diversa dall’AIG, un’età maggiore all’esordio e l’assenza degli ANA sono risultati fattori associati alla presenza di sintomi all’esordio dell’uveite. Le caratteristiche cliniche dell’infiammazione oculare possono cambiare durante il corso della malattia, passando da un’uveite sintomatica ad una asintomatica anche nei pazienti con AIG. Lo screening oculistico nei pazienti con AIG dovrebbe tenere conto di questa possibilità.

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Kawasaki ed aspirina: è tempo di un uso a dosaggio anti-aggregante? Una revisione delle recenti evidenze. Lorenzo Mambelli U.O.C. di Pediatria e Neonatologia, Servizio di Reumatologia, Ospedale S. Maria delle Croci- AUSL Romagna, Ravenna Sara Pusceddu, Federico Marchetti U.O.C. di Pediatria e Neonatologia, Servizio di Reumatologia, Ospedale S. Maria delle Croci- AUSL Romagna, Ravenna Le ultime linee guida (LG) italiane (2008) sulla malattia di Kawasaki (KD) riportano che “l’Acido acetilsalicilico (ASA) debba essere somministrato a 80-100 mg/kg/die fino ad apiressia per 48-72 ore o fino a 14 giorni”(1). In letteratura sono stati confrontati dosaggi “medi” (30-50 mg/kg/die) o solo antiaggreganti (3-5 mg/kg/die) dell’ASA nella KD in acuto, ma le LG American Heart Association (AHA) del 2017 non prendono di fatto posizione affermando che “non ci siano dati che suggeriscano che una dose di ASA sia superiore all’altra”(2). La revisione delle evidenze degli ultimi anni sull’uso dell’ASA nella KD tuttavia mostra a dosaggi medio-bassi una minore tossicità (sanguinamento gastrointestinale, epatotossicità, anemia) senza che varino incidenza di anomalie coronariche, durata della febbre, responsività alle IVIG e tempi di degenza. Inoltre per dosi antinfiammatorie dell’ASA si segnalano una maggiore incidenza di anemia e una più lenta riduzione della PCR ematica da possibile incrementata espressione del TNF-⍺ (3) e un possibile “impatto negativo”, con una ridotta efficacia delle IVIG (4) e una presunta aumentata incidenza di aneurismi coronarici (5). Questi studi non hanno considerato l’uso concomitante della terapia steroidea, di cui le LG AHA (2) non definiscono un uso standardizzato per l’attuale assenza di strumenti di valutazione dei pazienti “occidentali” ad alto rischio in cui indicare tale trattamento in I istanza. In conclusione, come affermano Dallaire et al (6), è ormai chiaro che “l’ASA a dosi superiori a 3-5 mg/kg/die non appare più indicata nella fase acuta della KD”. Aggiungiamo che tale scelta ha ancora più significato in caso di concomitante terapia steroidea. Riteniamo che sia arrivato il tempo di riconsiderare e aggiornare le LG italiane sulla KD. BIBLIOGRAFIA 1. Marchesi et al.Malattia di Kawasaki:linee guida italiane.Prospettive in Pediatria.2008;38(152): 266-283 2. McCrindle et al.AHA Scientific statement.Diagnosis,Treatment,and Long-Term Management of Kawasaki Disease.Circulation. 2017; 135:00–00 3. Kuo et al.High-dose aspirin is associated with anemia and does not confer benefit to disease outcomes in Kawasaki disease. Plos One 2015;10:e0144603 4. Nakada et al.Effects of antinflammatory drugs in intravenous immunoglobulin therapy in the acute phase of Kawasaki disease. Pediatric Cardiol 2015;36:335-9 5. Kim et al.Medium or higher-dose acetylsalicylic acid for acute Kawasaki disease and patient outcomes. J Pediatr 2017;184: 125-9 6. Dallaire et al. Aspirin dose and prevention of coronary abnormalities in Kawasaki disease. Pediatrics 2017;139(6). pii: e20170098 Uso dell’aspirina e del cortisone nella malattia di Kawasaki: un’esperienza pilota di cambio di prospettiva. Lorenzo Mambelli U.O.C. di Pediatria e Neonatologia, Servizio di Reumatologia, Ospedale S. Maria delle Croci- AUSL Romagna, Ravenna Federico Marchetti U.O.C. di Pediatria e Neonatologia, Servizio di Reumatologia, Ospedale S. Maria delle Croci- AUSL Romagna, Ravenna Le novità terapeutiche di rilievo rispetto alle linee Guida (LG) italiane del 2008 sulla malattia di Kawasaki (KD) (1) riguardano: a) la possibile scelta di un dosaggio inferiore di ASA (3-5 mg/kg/die) già in fase acuta di malattia (così come già raccomandato nelle LG giapponesi e australiane); b) l’utilizzo della terapia steroidea in associazione a quella con IVIG. Un RCT ha chiaramente definito il beneficio dello steroide in aggiunta alle IVIG nel ridurre il rischio di danno coronarico(2). Nella pratica clinica i comportamenti tra i Centri risultano essere ancora molto eterogenei. Dal 2016 abbiamo trattato nella nostra U.O. 9 casi di KD, tutti in acuto con IVIG 2 g/kg. Nei 3 più recenti la terapia con ASA è stata intrapresa subito a dose antiaggregante (3-5mg/kg/die) e in un caso a dose “media”(30mg/kg/die); in 7 casi alle IVIG è stata associata la terapia steroidea (metilprednsolone 2mg/kg/die in 2dosi) considerandone la severità valutata su markers laboratoristici e/o sull’evidente gravità clinica. In nessun caso è insorto danno coronarico e in tutti la risposta alle IVIG è stata ottimale, con sfebbramento entro 24 ore. La durata media della degenza è stata di 7giorni nei pazienti trattati

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con ASA antinfiammatorio,di 6 nei pazienti con ASA antiaggregante. Per quanto limitata nel numero la nostra preliminare esperienza non sembra evidenziare differenze nel decorso dei trattati anche in fase acuta con ASA antiaggregante, in particolare per quanto riguarda tempi di sfebbramento, degenza ospedaliera e IVIG resistenza. Nei nostri casi è stato inoltre impiegato frequentemente lo steroide sistemico. Le recenti LG AHA (3) non ne definiscono un utilizzo standardizzato nella KD (pur confermando la riduzione nella prevalenza delle alterazioni coronariche, nella durata della febbre e nell’incidenza della resistenza alle IVIG) riportando l’assenza di un affidabile strumento per la valutazione nella popolazione occidentale delle categorie ad alto rischio in cui sia indicato in I istanza. In conclusione, l’utilizzo dell’ASA a dose antiaggregante nella KD in fase acuta appare applicabile anche nelle popolazioni occidentali ed ha ancora più significato in caso di concomitante terapia steroidea(4). Futuri studi clinici prospettici si rendono necessari in merito ad entrambe le strategie che prevedono l’uso dell’ASA e dello steroide secondo indicazioni diverse da quelle delle LG italiane 2008 BIBLIOGRAFIA 1.Marchesi et al. Malattia di Kawasaki:linee guida italiane.Prospettive in Pediatria.2008;38(152):266-283 2.Kobayashi et al.Efficacy of IG plus prednisolon for prevention of coronary artery abnomalies in severe Kawasaki disease(RAISE study):a randomised,open-label,blinded-endpoints trial.Lancet 2012;28;379:1613-20 3.McCrindle et al.AHA Diagnosis, Treatment and Long-Term Managment of Kawasaki Disease.Circulation.2017;135 4.Marchetti et al.Ha ancora un ruolo l’uso dell’aspirina nella malattia di Kawasaki e se si a quale dosaggio?MedicoeBambino.2014.33(10):667-8 Sindrome da febbre periodica con stomatite aftosa, faringite e adenite (PFAPA): eterogeneità nella gestione clinica e impatto economico della patologia Giorgio Costagliola Università di Pisa, Pediatria Giuseppe Maiorino (1), Martina Bizzi (1), Rita Consolini (1). Università di Pisa, Pediatria Introduzione: La diagnosi della sindrome da febbre periodica con stomatite aftosa, faringite e adenite (PFAPA) è spesso tardiva, e la gestione della patologia risulta complessa e gravata da costi economici considerevoli. Obiettivo: evidenziare l’eterogeneità nella gestione dei pazienti con sospetta sindrome PFAPA e quantificare il costo economico di una sindrome PFAPA non diagnosticata. Materiali e metodi: analisi retrospettiva condotta su 40 pazienti consecutivi affetti da PFAPA, diagnosticata secondo i criteri di Marshall. Per ogni paziente sono stati valutati: durata degli episodi febbrili, intervallo tra di essi, utilizzo di antibiotici, ricorso a visite specialistiche, esami di secondo livello, accessi in pronto soccorso e ricoveri ospedalieri. I costi diretti sono stati valutati facendo riferimento al sistema DRG e al nomenclatore tariffario per prestazioni specialistiche ambulatoriali pubblicato dal Ministero della salute. Il costo indiretto di ogni giornata di lavoro persa dai genitori è stato stimato in 95€ (reddito medio/220 giorni di lavoro) Risultati: Sono inclusi 40 pazienti (25M, 15F) con età media all’esordio di 2,56 ± 1,9 anni e latenza diagnostica media di 22 ± 18,2 mesi, durata media del singolo episodio di 4,8 ± 1,2 giorni e intervallo medio tra gli episodi di 28,7 ± 7,7 giorni. Al 75% dei pazienti sono stati prescritti esami ematici dal pediatra curante (media di 1,6 ± 1,9 esami/pz/anno), il 43% ha eseguito tamponi per SBEGA durante gli episodi (media di 2,2 ± 2,3/pz/anno), e il 40% ha ricevuto più di 5 cicli di antibiotico/anno. Il 45% ha effettuato accessi in PS (1,5 ± 1,3 accessi/anno/pz) e il 38% ha necessitato di ricovero ospedaliero (media di 6,3 ± 4,8 giorni/pz). Il 33% dei pazienti è stato indirizzato a consulenza ORL prima della valutazione reumatologica. Prima della diagnosi sono stati eseguiti esami di funzionalità immunologica nel 75% pazienti, sierologie per malattie infettive nel 13% ed esami di imaging nel 18%, mentre nel 20% è stata necessaria l’esecuzione di indagini genetiche per geni MEFV, MVK e TNFRSF1A. In base a tali elementi il costo diretto medio per l’assistenza ospedaliera di un singolo caso di PFAPA prima della diagnosi è risultato 1393 €/anno, mentre il costo indiretto è risultato 470 €/anno per ogni genitore. Il costo per l’assistenza territoriale è estremamente variabile: il massimo teorico è di 235 € di costi diretti (calcolando 1 visita per ogni episodio), e di 5567 € per genitore di costi indiretti (calcolando una media di 58 giorni febbrili a domicilio/anno). Conclusioni: La gestione degli episodi febbrili in pazienti con PFAPA è eterogenea, ed il ricorso a visite mediche, ricoveri e accessi in PS, conduce ad un notevole impatto economico della patologia in termini di costi diretti e indiretti. Lo studio sottolinea pertanto l’importanza, anche in termini economici, di una diagnosi precoce di sindrome PFAPA, e la necessità di nuovi criteri diagnostici maggiormente sensibili e specifici.

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Un IFN score elevato può identificare pazienti che svilupperanno un Lupus Eritematoso Sistemico (LES)? Alessandra Boni1, Gian Marco Moneta2, Emiliano Marasco2, Virginia Messia2, Giulia Marucci2, Camilla Celani2, Manuela Pardeo2, Antonella Insalaco2, Fabrizio De Benedetti2, Claudia Bracaglia2 1Dipartimento di Pediatria Policlinico Umberto I, “La Sapienza” Università di Roma 2Unità operativa di Reumatologia, IRCCS Ospedale Bambino Gesù, Roma Introduzione Il LES è una malattia sistemica la cui prognosi è strettamente correlata ad un precoce inizio della terapia e alla prevenzione del danno d’organo. L’attività dell’IFN di tipo 1 è associato alla patogenesi del LES e correla con la positività di ANA e anti-dsDNAegli auto-anticorpi(1). Obiettivi Descriviamo due pazienti con LES che un anno prima dell'esordio avevano iniziato a presentare alterazioni di laboratorio tipiche della patologia. Metodi L’IFN score di tipo I è stato definito dai livelli di espressione dei 6 geni IFN-relati e analizzati su sangue periferico mediante real time PCR. Risultati Pz 1. Femmina, a 10 anni comparsa di PLTpenia e anemia emolitica autoimmune per cui iniziava terapia con Ig vena e glucocorticoidi con rapida risoluzione dell’anemia ma persistenza della PLTpenia. Due anni dopo comparsa di ipocomplementemia, ANA debolmente positivi, anti-dsDNA assenti. Esame obiettivo negativo. Iniziava terapia con idrossiclorochina e stretto follow-up. A 19 anni ricomparsa di anemia (test di Coombs positivo) e PLTpenia, positivizzazione degli anti-dsDNA (Tab.1). Comparsa di astenia, rash malare, ulcere del cavo orale e artrite. Posta diagnosi di LES iniziava terapia specifica. L’IFN score elevato alla diagnosi, risultava elevato già un anno prima (Tab.1). Pz 2. Femmina, a 12 anni riscontro isolato di piastrinopenia (PLTpenia) trattata inizialmente con Ig endovena (3 cicli in 1 mese) con parziale e transitorio beneficio. Iniziava quindi terapia con glucocorticoidi per un mese ma senza completa normalizzazione delle PLT. Pertanto veniva avviata terapia con eltrombopag con temporanea risalita delle PLT. Ad un anno dall’esordio, dato lo scarso controllo della PLTpenia, venivano eseguiti ulteriori accertament che mostravano marcata riduzione del complemento, incremento delle Ig e positività di ANA e anti-dsDNA. (Tab.1). La pz. sviluppava inoltre rash e poliartrite. Veniva pertanto posta diagnosi di LES ed iniziata terapia specifica. L’IFN score effettuato prima dell’inizio del trattamento evidenziava una positività dello score (Tab.1). Conclusioni Le alterazioni laboratoristiche del LES possono precedere di anni la diagnosi. Pertanto in pz, in particolare se femmine adolescenti, con alterazioni di laboratorio tipiche del LES, è importante monitorizzare gli autoanticorpi per porre una diagnosi precoce. L’IFN score, elevato in entrambe le pz. alla diagnosi e negativizzatosi dopo due mesi di terapia, nella pz.1 era già elevato un anno prima. Questo dato suggerisce che le anomalie immunologiche precedono l’esordio della malattia. Pertanto si potrebbe utilizzare l’IFN score nei pz con alterazioni suggestive di LES per una diagnosi precoce. Bibliografia Munroe ME et al. Ann Rheum Dis. 2016 Nov;75(11):2014-2021. Tabella 1. Caratteristiche di laboratorio delle pazienti

Paziente 1 Paziente 2

Esordio 12/04/17

Diagnosi 04/04/18

Esordio 16/08/17

Diagnosi 17/04/18

Globuli bianchi (10^3 /uL)

4.040 5.300 5.640 6.210

Neutrofili (10^3 /uL)

2.050 3.870 2.760 4.170

Linfociti (10^3 /uL)

1.530 980 2.040 1.610

Piastrine (10^3 /uL)

184.000 85.000 4.000 34.000

Emoglobina (g/dL)

11.7 11.3 14.3 11.9

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C3 (mg/dL ) 66 50 NA 70

C4 (mg/dL) 8 4 NA 7

IgG (mg/dL) 1.601 1.883 NA 1549

ANA (IFA) 1:2560 1:2560 NA 1:10240

Anti-dsDNA (IFA) Assenti 1:320 NA 1:1280

IFN score 74,24 115,83 NA 57,32

SCORE DI RISCHIO DI SINDROME DI ATTIVAZIONE MACROFAGICA (MAS) IN PAZIENTI CON ARTRITE IDIOPATICA GIOVANILE SISTEMICA (AIGs)

S. Carbogno* 1, D. Pires Marafon2, G. Marucci3, M. Pardeo3, A. Insalaco3, V. Messia3, R. Nicolai3, F. De

Benedetti3, C. Bracaglia3 1Clinica Pediatrica, Università di Milano, 2Clinica Pediatrica, Fondazione IRCCS Ca' Grande Ospedale Maggiore Policlinico, Milano, 3Reumatologia Pediatrica, IRCCS Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, Roma, Italia Introduzione.La MAS è una complicanza grave e potenzialmente fatale di diverse malattie reumatologiche, in particolare dell’AIGs in cui si presenta in circa il 25% dei casi. La mortalità della MAS è ancora significativamente alta. Nella pratica clinica sarebbe utile uno score che identificasse i pazienti con AIGs ad alto rischio di sviluppare la MAS. Obiettivi.Valutare se i parametri di laboratorio di routine all’esordio della malattia possano predire lo sviluppo di MAS in pazienti con AIGs attiva. Creare, con questi parametri, uno score di rischio di sviluppare la MAS nei pazienti con AIGs. Metodi.Abbiamo analizzato retrospettivamente i parametri di laboratorio di attività e gravità di malattia (GB, N, PLT, Hb, ferritina, AST, ALT, gGT, LDH, TGL, fibrinogeno, D-dimero and PCR) di 56 pazienti con AIGs trattati presso il nostro reparto di Reumatologia dal 1998 al 2016 che avessero un follow-up di almeno un anno. Abbiamo analizzato i parametri di laboratorio durante un episodio di AIGs attiva, senza MAS, al momento del ricovero (T1) e prima di iniziare o modificare il trattamento per l’AIGs (T2). Abbiamo diviso i pazienti in due gruppi: gruppo 1 (pazienti senza storia di MAS), gruppo 2 (pazienti che hanno presentato almeno un episodio di MAS durante il decorso della malattia). Per calcolare uno score di rischio di MAS abbiamo selezionato i parametri di laboratorio che, al tempo T2, mostravano una differenza statisticamente significativa tra i due gruppi. Risultati.Abbiamo escluso dall’analisi quattordici pazienti che, al momento del prelievo, già soddisfacevano i criteri classificativi del 2016 per la MAS. Abbiamo quindi analizzato i parametri di laboratorio di 42 pazienti con AIGs, di cui 27 senza storia di MAS (gruppo 1) e 15 con almeno un episodio di MAS durante il decorso della malattia (gruppo 2). I livelli ematici di ferritina, AST, LDH, gGT e TGL, raccolti al tempo T2, sono risultati significativamente più elevati nei pazienti del gruppo 2 rispetto ai pazienti del gruppo 1. Per ognuno di questi parametri abbiamo definito un cut-off arbitrario. Ad ogni parametro abbiamo inoltre attribuito un punteggio arbitrario in modo da definire il punteggio finale. Per scegliere il miglior sistema di punteggio abbiamo calcolato sensibilità (Se), specificità (Sp), valore predittivo positivo (VPP) e valore predittivo negativo (VPN) di ogni sistema creato e abbiamo scelto quello con la migliore sensibilità (Tabella 1). Un punteggio > 3 ha identificato 14 su 15 pazienti con AIGs che hanno presentato almeno un episodio di MAS durante il decorso della loro malattia e 3 su 27 di quelli che non hanno mai sviluppato MAS. Tabella 1. Parametri di laboratorio e relativi cut-off utilizzati per creare il punteggio di rischio di MAS i pazienti con AIGs.

Parametri di laboratorio Cut-off Rate

Ferritina (ng/ml) >900 1 AST (UI/L) >35 1 LDH (UI/l) >550 1 gammaGT (UI/L) >30 2

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Triglycerides (mg/dl) >150 2

Sensibilità (Se) 0.933 CI95% 0.680-0.998 Specificità (Sp) 0.889 CI95% 0.708-0.977 Valore predittivo positivo (VPP) 0.824 CI95% 0.566-0.962 Valore predittivo negativo (VPN) 0.96 CI95% 0.797-0.999 *Pazienti con score >3 sono ad alto rischio di sviluppare la for MAS

Conclusioni. Abbiamo creato uno score di rischio di sviluppare la MAS, basato su parametri di laboratorio disponibili in qualsiasi ospedale e che può aiutare i clinici ad identificare precocemente questi pazienti. I nostri risultati sono preliminari e debbono essere validati su una popolazione più ampia. IL PROGETTO ABIRISK: ANTICORPI ANTI-BIOLOGICI NELL’ARTRITE IDIOPATICA GIOVANILE (AIG)- RISULTATI PRELIMINARI M. Finetti Clinica Pediatrica e Reumatologia - PRINTO, Istituto Giannina Gaslini, GENOA, Italy G. Giancane, F. Bagnasco, P. Dolezalova, E. Tsitsami, M. Trachana, I. Koné-Paut, D. Maritsi, E. Demirkaya, G. Filocamo, P. Quartier, O. Vougiouka, R. Cimaz, R. Nicolai, H. Sanner, A. L. Boteanu, A. N. Olivieri, E. Smolewska, E. Solau Gervais, M. C. Maggio, V. Stanevicha, S. Ozen, M. Hofer, M. Spirchez, M. G. Magnolia, V. Vargova, D. Mulleman, F. Deisenhammer, M. Pallardy, X. Mariette, L. Carenini, M. Rinaldi, A. Martini, N. Ruperto per PRINTO (Paediatric Rheumatology International Trials Organisation) Clinica Pediatrica e Reumatologia - PRINTO, Istituto Giannina Gaslini, GENOA, Italy Introduzione: ABIRISK è un progetto nato con lo scopo di valutare la formazione di anticorpi anti-farmaco (ADA) nel trattamento con biologici (BPs) dei pazienti affetti da Artrite Idiopatica Giovanile (AIG). Il principale limite nell’uso dei biologici risulta infatti lo sviluppo di ADA che possono ridurre l’efficacia del farmaco. Obiettivi: Lo scopo di questo progetto è di migliorare la capacità predittiva sulla comparsa di immunogenicità nei pazienti affetti da AIG in corso di terapia con biologici. Metodi: Pazienti affetti da AIG (criteri ILAR) seguiti da 24 Centri in 12 Paesi sono stati arruolati prospettivamente e trattati con Etanercept, Adalimumab o Tocilizumab. I dati dei pazienti sono stati ottenuti da Pharmachild, registro di farmacovigilanza dei pazienti affetti da AIG. Per ciascun paziente sono stati raccolti dati demografici e clinici; campioni biologici sono stati raccolti per PK e ADA prima di avviare la terapia e ad ogni visita dello studio fino a 18 mesi di follow-up. L’attività di malattia è stata valutata mediante il JADAS-10 (Juvenile Arthritis Disease Activity Score-10) e mediante i criteri dell’ American College of Rheumatology (JIA ACR). Risultati: 148 pazienti sono stati inclusi nell’analisi. Cinque pazienti sono stati considerati due volte perchè sono stati trattati con due differenti biologici. I dati clinici e demografici sono rappresentati nella tabella. L’attività di malattia ha mostrato un pattern di generale miglioramento globalmente e per ogni farmaco. Anticorpi anti-Adalimumab e anti-Tocilizumab sono stati riscontrati in 14 e 3 pazienti, mentre nessun paziente ha sviluppato anticorpi anti-Etanercept. Conclusioni: I dati preliminari mostrano un generale miglioramento dell’attività di malattia nel corso del follow-up- L’analisi della correlazione tra concentrazione del farmaco/sviluppo di ADA/informazioni cliniche potrà aiutare a stabilire la scelta del farmaco biologico più appropriato per ogni paziente. Tabella 1: Caratteristiche cliniche e demografiche dei pazienti AIG. Mediane (1° - 3° quartile) o frequenze

Adalimumab n=80 (54%)

Etanercept n=36 (24%)

Tocilizumab n=32 (22%)

Totale n=148

Età all’esordio, anni 6.1 (3.1-10.4) 4.9 (1.9-9.7) 6.1 (3.8-9.1) 5.8 (2.7-10.1) Età alla diagnosi, anni 6.8 (3.3-11.9) 5.5 (2.1-10.6) 6.4 (4.1-9.2) 6.4 (3.2-11.0)

Durata malattia, anni 2.4 (0.9-4.8) 2.2 (1.1-5.5) 4.1 (1.4-6.5) 2.6 (1.1-5.8) Femmine 60 (75.0) 26 (72.2) 23 (71.9) 109 (73.6) Anticorpi anti-farmaco* 14 (18%) - 3 (9%) 17 (11%) Anticorpi anti-farmaco** 5 (6%) - 2 (6%) 7 (5%)

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Adalimumab n=80 (54%)

Etanercept n=36 (24%)

Tocilizumab n=32 (22%)

Totale n=148

JADAS 10 M0 12.6 (7–17) 15.6 (10–18.5) 15.6 (11.6–23.2) 13.5 (8.5–18.3) M1 4 (1.5–6.5) 5.7 (3.4–12.7) 5.5 (3–11.4) 4.5 (2–8) M3 2.7 (1–5.9) 2.2 (0–7.7) 2.5 (0.7–6) 2.5 (0.5–5.9) M6 1.5 (0–5) 1 (0–8) 2 (0.5–7.5) 1.7 (0–5.8) M12 0.5 (0–5) 0.5 (0–4.2) 2 (0.5–4.5) 0.5 (0–4.7) ACR 70 M1 30 (46.2) 8 (33.3) 5 (31.3) 43 (41.0) M3 40 (62.5) 17 (63.0) 10 (62.5) 67 (62.6) M6 41 (67.2) 18 (62.1) 13 (76.5) 72 (67.3) M12 42 (71.2) 19 (76.0) 13 (76.5) 74 (73.3)

*in almeno 1 determinazione ** in almeno 2 determinazioni Tabella 1: terapie ricevute prima della valutazione (pregresse) ed in atto nei 20 pazienti con AIG

$ 5 mg/die di prednisone *tra questi, 6 pazienti hanno ricevuto più di un tipo di farmaco **6 adalimumab, 3 etanercept, 1 infliximab Microangiopatia trombotica: una temibile complicanza poco conosciuta della sindrome da attivazione macrofagica F Minoia* 1,2, J Tibaldi2,3, V Muratore4, R Gallizzi5, C Micalizzi2 and A Ravelli2,3

1Fondazione IRCCS Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico, Milan, Italy 2Istituto G. Gaslini, Genoa, Italy;, 3

Università degli Studi di Genova, Genoa, Italy; 4 IRCCS Policlinico San Matteo, Pavia, Italy; 5 Università degli Studi di Messina, Messina, Italy. Introduzione. La sindrome da attivazione macrofagica (MAS) è tra le forme secondarie di linfoistiocitosi emofagocitica (HLH) ed è una delle più severe complicanze in reumatologia pediatrica. Il termine microangiopatia trombotica (TMA) identifica un gruppo eterogeneo di patologie potenzialmente fatali caratterizzate da anemia emolitica microangiopatica, trombocitopenia e danno d’organo. Ad oggi l’associazione tra TMA e HLH è stata descritta solo in singoli report di adulti trapiantati renali e in due casi pediatrici di HLH virus correlata. Finora non sono stati mai descritti casi di TMA in corso di MAS. Obiettivo. Descrivere i dati clinici e di laboratorio, il trattamento e l’outcome di una coorte di pazienti con MAS complicata da TMA. Metodi. Le cartelle dei pazienti con diagnosi di MAS, ricoverati presso 3 centri di reumatologia pediatrica di terzo livello, sono state retrospettivamente valutate, selezionando i casi con TMA. Per ciascun paziente sono stati raccolti i dati demografici, clinici e di laboratorio alla diagnosi di MAS e di TMA, così come il trattamento effettuato e il decorso. Risultati. Sono stati identificati 5 pazienti con MAS e TMA; un paziente è stato poi escluso per insufficienza di dati. Tutti avevano ricevuto una diagnosi di artrite idiopatica giovanile sistemica (sJIA) o di patologia sJIA-like.

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La mediana dell’intervallo tra l’esordio di MAS e di TMA è risultata di 13.5 giorni. L’insorgenza di TMA è stata caratterizzata in tutti da insufficienza renale, ematuria e schistociti allo striscio periferico. Tre pazienti su 4 hanno presentato un severo coinvolgimento neurologico. I dati di laboratorio all’esordio di TMA sono riportati nella Tabella 1. Tutti i pazienti hanno ricevuto steroidi ad alte dosi e ciclosporina come terapia della MAS; in 3 casi è stato associato anakinra. Tutti gli episodi di TMA sono stati trattati con plasmaferesi; in 2 pazienti è stata utilizzata terapia biologica (rituximab e eculizumab) con beneficio. In tutti l’insorgenza di TMA ha richiesto un’aggressiva terapia di supporto in Terapia Intensiva. Nessun paziente è deceduto. Conclusione. La TMA può essere una temibile complicanza della MAS, anche se probabilmente ancora poco riconosciuta. Se non diagnosticata in tempo e trattata, la TMA può aggravare il decorso della MAS fino a esito fatale. In caso di MAS gli elementi più indicativi di possibile TMA sono un marcato incremento di LDH associato a rapido calo di piastrine e emoglobina, sproporzionati rispetto al resto dei dati di laboratorio, schistociti allo striscio ed ematuria. I farmaci biologici (rituximab e eculizumab), possono rappresentare una valida opzione terapeutica nei casi più refrattari. Tabella 1

Caso 1 Caso 2 Caso 3 Caso 4

Hb, g/dl 6.5 11.1 6.9 9.5

PLT, x 109/l 32 63 10 90

AST, U/l 77 1015 119 322

LDH, U/l 4,852 5,358 4,877 4,683

Fibrinogeno, mg/dl 296 < 70 N/A 259

Ferritina, ng/ml 7,122 138,360 3,3250 > 15,000

Azotemia, mg/dl 86 161 69 157

Creatinina, mg/dl 0.49 2.32 0.9 1.12

Aptoglobina, mg/dl < 2 <2 < 5 3

L’impatto della valutazione poliarticolare nella gestione terapeutica dei pazienti affetti da AIG, uno studio prospettico Autori: Francesco Licciardi (1), Carlotta Cirone, Marco Petraz (2), Marta Dellepiane (3), Marianna Genisio (3), Fabiana Di Sabatino (3), Viviana Ravagnani (4), Davide Montin (2), Silvana Martino (2) 1: Immunologia e Reumatologia, Pediatria ad indirizzo infettivologico U; Ospedale Infantile Regina Margherita, AOU Città della Salute e della Scienza, Torino 2: Radiologia pediatrica, Ospedale Infantile Regina Margherita, AOU Città della Salute e della Scienza, Torino 3: Medico Specializzando in Pediatria; Ospedale Infantile Regina Margherita, AOU Città della Salute e della Scienza, Torino 4: Medicina Interna, Ospedale C. Poma, ASST Mantova, Mantova Introduzione: nell’ultimo decennio l’ecografia articolare (MSUS) si è dimostrata uno strumento estremamente promettente per la valutazione dei pazienti affetti da AIG. L’uso sistematico dell’ecografia ha dimostrato come la MSUS sia più sensibile rispetto all’esame obiettivo (EO) nell’identificare la sinovite, è stato infatti stimato che circa il 40% delle articolazioni MSUS+ siano negative all’EO (sinoviti subcliniche). Il significato prognostico e in termini di gestione terapeutica delle sinoviti subcliniche nella AIG è dibattuto benché un recente lavoro di DeLucia1 et al. abbia dimostrato che il riscontro di anomalie ecografiche sia un forte predittore di recidiva nei pazienti. Alcuni autori pertanto ipotizzano che l’MSUS poli-articolare possa portare ad una migliore stima del carico di malattia e quindi possa portare a decisioni terapeutiche (soprattutto in termini di introduzione di terapia con DMARDs) più adeguate rispetto a quelle prese basandosi esclusivamente sull’EO. Materiali e metodi: per valutare come l’uso dell’ecografia sistematica poli-articolare modifichi la gestione quotidiana dei pazienti affetti da AIG è stato condotto uno studio prospettico. Sono stati reclutati 35 pazienti consecutivi con AIG attiva (all’esordio o alla recidiva) afferenti alla Reumatologia dell’OIRM di Torino; tutti i pazienti al t0 sono stati valutati con ecografia poli-articolare, eseguita da un radiologo esperto, nelle sedi

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indicate da Collado et al.2: polsi, gomiti, articolazioni tibiotarsica e sotto-astragalica, ginocchia e II MCF. L’esito della valutazione ecografica non è stata comunicata ai reumatologi curanti che hanno deciso la terapia (infiltrativa, con DMARDs o entrambe) basandosi esclusivamente sull’EO. I pazienti sono stati quindi seguiti per 9 mesi prospetticamente. Alla fine dello studio sono stati proposti ai reumatologi curanti dei questionari cartacei con le caratteristiche cliniche dei pazienti al reclutamento associate alle anomalie ecografiche riscontrate alla valutazione poli-articolare contestuale, per evitare bias, tali questionari non recavano il nome del paziente e sono stati somministrati con questionari analoghi basati su dati clinici inventati in rapporto di 1:3. È stata quindi valutata la percentuale di pazienti nei quali la conoscenza del referto ecografico avrebbe modificato la gestione clinica in termini di step-up (inserimento o aumento di terapia con DMARDS) o step-down (non inserimento di terapia fondo in un paziente nel quale era stata inserita basandosi sulla valutazione dell’EO). Inoltre è stato valutato il numero di pazienti con flare di malattia tra quelli nei quali l’ecografia avrebbe portato ad uno step-up. Risultati: nello studio sono stati reclutati 35 pazienti di cui 16 all’esordio, 8 in recidiva off-therapy e 11 recidive in corso di terapia con MTX da più di 3 mesi. La maggior parte dei pazienti avevano una AIG oligoarticolare (60%) o poliarticolare (26%); il JADAS-27 medio al reclutamento era di 11,6 (sd 6,4). A livello obiettivo sono state identificate 92 articolazioni patologiche, di queste 54 erano a livello delle sedi valutate ecograficamente; a livello ecografico nelle sedi esplorate sono state identificate 88 sinoviti (54,3% di queste erano subcliniche). La concordanza globale sulle sedi analizzate è stata moderata (k=0,49). In 10 pazienti i curanti hanno introdotto o modificato terapia con DMARDs dopo la valutazione clinica, in 25 hanno eseguito solo una terapia infiltrativa locale. Dalla rivalutazione dei casi alla fine dello studio è emerso come la conoscenza dell’esito dell’ecografia avrebbe portato ad uno step-up terapeutico in 9 pazienti e ad uno step-down in 1 paziente. Di questi 9 pazienti il 55,6% ha presentato un flare a livello di almeno 1 delle articolazioni subcliniche al t0 nel follow-up, in 3 di questi pazienti la terapia con DMARDs è stata introdotta nei 9 mesi seguenti il reclutamento. Conclusioni: un approccio ecografico poli-articolare modifica in modo sostanziale la gestione terapeutica dell’AIG, in particolare nella nostra coorte avrebbe portato ad una terapia più aggressiva in 9 pazienti (25,7%). L’alto tasso di flare sulle articolazioni subcliniche sembra suggerire che almeno una quota di questi pazienti si sarebbe giovato di un trattamento con DMARDs più tempestivo. Ulteriori studi saranno necessari per identificare i subset di AIG nei quali la valutazione poli-articolare sistematica risulti più vantaggiosa e per valutare se il significato clinico delle sinoviti subcliniche sia diverso in base alle sedi interessate. Baseline ultrasound examination as possible predictor of relapse in patients affected by juvenile idiopathic arthritis (JIA), Ann Rheum Disease, 2018; De Lucia O, Ravagnani V, Pregnolato F, Hila A, Pontikaki I, Gattinara M, Romano M, Gerloni V, Pieropan S, Murgo A, Rossini M, Cimaz R, Meroni PL Reduced joint assessment vs comprehensive assessment for ultrasound detection of synovitis in juvenile idiopathic arthritis, Rheumatol. Oxf. Engl, 2013. Collado P, Naredo E, Calvo C, Gámir M, Garrido J. DATI PRELIMINARI IN REAL-LIFE SU EFFICACIA E SICUREZZA DEL CANAKINUMAB DAL REGISTO ITALIANO DI PAZIENTI CON ARTRITE IDIOPATICA GIOVANILE SISTEMICA (AIGs) M. Pardeo1, C. Bracaglia1, A.L. Piscitelli1, J. Tibaldi2, A. Marino3, G. Conti4, M.C.Maggio5, C. Alizzi5, F. Licciardi6, A. Olivieri7, G. Filocamo8, S. Martino6, R. Cimaz3, A. Ravelli2, F. De Benedetti1 1Unità Operativa di Reumatologia, Dipartimento delle Pediatrie Specialistiche, IRCCS Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, Roma, Italia. 2Unità Operativa di Reumatologia, Università degli studi di Genova ed Istituto Giannini Gaslini, Genova, Italia. 3Unità di Reumatologia, Dipartimento di Neuroscienze, Area del Farmaco e Salute del Bambino, Ospedale Pediatrico Meyer, Università di Firenze, Italia. 4Unità Operativa di Nefrologia e Reumatologia Pediatrica con Dialisi, A.O.U. Policlinico “G Martino”, Messina, Italia. 5Dipartimento Universitario “Pro S.A.M.I.”, Ospedale dei Bambini, Palermo, Italia. 6Clinica Pediatrica, Dipartimento di Pediatria, Università di Torino, Tornio, Italia. 7Unità Operativa Complessa di Pediatria 2, A.O.U. Università degli studi della Campania “Luigi Vanvitelli”, Napoli, Italia. 8Clinica Pediatrica II De Marchi, Fondazione IRCCS Ca' Grande-Ospedale Maggiore Policlinico, Milano, Italia.

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Introduzione: l’AIGs è oggi considerata una patologia autoinfiammatoria poligenica nella cui eziopatogenesi riveste un ruolo cruciale l’immunità innata attraverso l’aumentata produzione di citochine infiammatorie. L’efficacia e la sicurezza del Canakinumab, inibitore selettivo di IL-1β, in pazienti affetti da AIGs sono state dimostrate in due trials clinici randomizzati, ma non sono disponibili in letteratura dati in real-life. Obiettivo: descrivere l’efficacia e la sicurezza del Canakinumab in real-life nei pazienti italiani affetti da AIGs. Metodi: sono stati raccolti retrospettivamente dati di pazienti affetti da AIGs in terapia con Canakinumab afferenti a 8 centri italiani. L’efficacia è stata valutata calcolando il numero di pazienti in clinical inactive disease (CID) a 6 mesi secondo i criteri di Wallace. Le variabili considerate al baseline e dopo 6 mesi di terapia sono state: presenza di sintomi sistemici e numero di articolazioni attive, alterazione dei parametri di laboratorio (Proteina C Reattiva [PCR], Velocità di Eritrosedimentazione [VES]) e valore del physician’s global assessment of disease activity. Risultati: sono stati inclusi 30 pazienti (16 F). L’età media dei pazienti alla diagnosi e prima di iniziare il trattamento con canakinumab era rispettivamente di 7.5 anni (range 1-13.7) e 10.5 anni (range 2.4-22.2). Venti pazienti (66.6%) erano stati trattati in precedenza con inibitori di IL-1 o IL-6 (18 con anakinra, 5 con tocilizumab e 4 con entrambi in successione), sospesi per inefficacia in 12/20 (60%). Diciannove pazienti (63.3%) erano in trattamento con glucocorticoidi all’inizio del canakinumab alla dose media di 0.82 mg/kg/die (range 0.06-2.75). Ventiquattro/30 pazienti (80%) hanno raggiunto un follow up di 6 mesi e tutti erano ancora in trattamento con canakinumab; di questi 24 pazienti, 15 (62%) erano in CID (di cui 1/15 ancora in terapia con glucocorticoidi). Dei 19 pazienti che ricevevano glucocorticoidi al baseline 15 hanno raggiunto un follow up di 6 mesi e di questi 9 (47.4%) hanno sospeso tale terapia. In 5/30 pazienti (16.6%) sono stati riportati eventi avversi minori: in 4 pazienti infezioni delle prime vie aeree ed in 1 paziente reazione locale transitoria. In nessun paziente si sono registrati eventi avversi gravi con necessità di sospendere il trattamento. Non sono stati riportati casi di sindrome d’attivazione macrofagica. Conclusioni: i nostri dati preliminari in real-life confermano l’efficacia del trattamento con Canakinumab nei pazienti affetti da AIGs. La percentuale di pazienti che nel nostro studio ha raggiunto a 6 mesi i criteri di CID è sovrapponibile (62%) a quella riportata al termine (da 3 mesi ad un anno) dei 2 trials (60%). Nella nostra popolazione non sono stati registrati eventi avversi gravi. NLRP12 autoinflammatory disease (NLRP12-AD): descrizione di una casistica monocentrica italiana e revisione della letteratura. Micol Romano 1, Maurizio Gattinara1, Valeria Gerloni 2. 1 ASST ISTITUTO ORTOPEDICO GAETANO PINI-CTO, Milano 2 Casa di cura "La Madonnina" Milano, ISTITUTO AUXOLOGICO ITALIANO Milano. INTRODUZIONE: La sindrome autoinfiammatoria correlata al NLRP12 (NLRP12-AD) anche chiamata febbre familiare da freddo di tipo 2 è una rara malattia autosomica dominante che si caratterizza per episodi febbrili ricorrenti associati ad una sintomatologia muscoloscheletrica. OBIETTIVO: Descrivere lo spettro di manifestazioni cliniche e la risposta alla terapia in una casistica monocentrica italiana di pazienti affetti da NLRP12-AD. METODI: Sono stati inclusi nello studio 9 pazienti (pz) afferenti all’ambulatorio di Reumatologia dell’Età Evolutiva e dei Giovani Adulti dell’ASST-PINI-CTO di Milano, portatori di una mutazione NLRP12 e affetti da NLRP12-AD. Il loro genotipo e fenotipo è stato attentamente studiato. Sono state analizzate le caratteristiche genotipiche e fenotipiche delle casistiche di pz affetti da NLRP12-AD riportate in letteratura. RISULTATI: Il genotipo di 9 pazienti (9 F) incluse nello studio è stato valutato: 7 delle 9 pazienti presentavano una mutazione in eterozigosi p.Phe402Leu e 2 una mutazione in eterozigosi p.His304Tyr. L’età media d’esordio della malattia è stata di circa 20.6 anni (range 5-58). Le principali manifestazioni cliniche riscontrate nella nostra coorte sono riportate nella figura 1. L’impegno muscoloscheletrico come artromialgie è stato riportato nella quasi totalità dei casi (8 su 9 pz). L’astenia/fatigue caratterizzava il quadro clinico di 7 pz. In 6 casi è stato riscontrato il rash e venivano descritti episodi di cefalea invalidante. Solo 5 pz presentavano episodi febbrili e in 4 pz è stato osservato un incremento degli indici di flogosi. In 2 casi è stata riscontrata una sordità neurosensoriale. 7 pz sono state trattate con inibitori di IL-1 con miglioramento del quadro clinico

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(figura 2). Tuttavia, in 4 casi si è osservata una perdita d’efficacia. I dati della nostra coorte sono stati confrontati con le casistiche presenti in letteratura (Tabelle 1,2,3,4). CONCLUSIONI: La diagnosi di NLRP12-AD può essere complessa per l’estrema eterogeneità delle manifestazioni cliniche. Molti di questi pz possono giungere all’osservazione del reumatologo pediatra o dell’adulto per l’impegno muscoloschetrico che spesso si associa a sintomi aspecifici come la fatigue e la cefalea. L’assenza di elevazione degli indici di flogosi in alcuni casi può condurre ad un’alterata diagnosi di sindrome fibromialgica. Tuttavia alcune manifestazioni cliniche possono fortemente supportare l’ipotesi di NLRP12-AD (rash, sordità neurosensoriale, febbre ricorrente, trigger dell’esposizione al freddo, risposta ex adiuvantibus allo steroide e/o all’inibizione dell’IL-1). La presenza di tali mutazioni anche nella popolazione sana suggerisce l’ipotesi che si tratti di varianti a bassa penetranza e che nella genesi della malattia possano concorrere anche altri fattori. La resistenza alla terapia con anti-IL1 osservata in alcuni pz potrebbe essere correlata all’ampia alterazione del network citochinico regolato da NF-kB.

Figura 1. Manifestazioni cliniche della coorte in esame.

Figura 2.Trattamenti effettuati nella coorte in esame.

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Tabella 1. Revisione della letteratura.

Tabella 2. Revisione della letteratura.

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Tabella 3. Revisione della letteratura.

Tabella 4. Revisione della letteratura. ANALISI DELLA FREQUENZA E DEI FATTORI DI RISCHIO DELLE RICADUTE NEI PAZIENTI CON ARTRITE IDIOPATICA GIOVANILE Gabriella Giancane1, Elisa Trucco1, Alessandra Alongi1, Francesca Gicchino1, Emanuela Sacco1, Valentina Muratore1, Valentina Marzetti1, Massimo Abate1, Serena Calandra1, Alessandro Consolaro1, Francesca Bagnasco2, Angelo Ravelli1 1 Istituto Giannina Gaslini, Genova, Italia 2Istituto Giannina Gaslini, Servizio di Epidemiologia e Biostatistica, Genova, Italia

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Introduzione: I recenti progressi terapeutici nell’artrite idiopatica giovanile (AIG) hanno consentito di raggiungere con più facilità la remissione clinica. Vi è tuttavia un elevato rischio di ricaduta dopo la riduzione/sospensione delle terapie utilizzate. Obiettivi: Il presente studio si propone di determinare la frequenza e le caratteristiche delle ricadute nell’AIG e identificare i fattori predittivi del rischio di ricaduta. Metodi: Abbiamo effettuato un’analisi retrospettiva di pazienti affetti da AIG, secondo la classificazione ILAR, seguiti presso l’IRCCS Gaslini di Genova tra Dicembre 2002 e Novembre 2016, con prima visita a meno di 6 mesi dall’esordio. Sono stati esclusi dall’arruolamento tutti i pazienti con un follow-up (FU) inferiore a 1 anno dopo la prima osservazione. La malattia inattiva è stata definita secondo i criteri di Wallace1, la ricaduta come qualsiasi manifestazione di malattia tale da richiedere un intervento terapeutico dopo il raggiungimento della malattia inattiva (ID). I dati qualitativi sono stati espressi mediante frequenze assolute e percentuali, i dati quantitativi con mediane e range interquartile. Attraverso una regressione multipla abbiamo identificato le caratteristiche associate al rischio di ricaduta. Risultati: Sono stati reclutati 158 pazienti, dai quali ne sono stati esclusi 29 (FU<1 anno, raggiungimento dell’ID all’ultima visita, mancata ID). I rimanenti 129 pazienti sono stati inclusi nell’analisi, con una mediana di FU di 6 anni. La maggior parte (101/129, 78.3%) presentava una AIG oligoarticolare, ANA positiva (88.4%), sottoposta nel 62.8% dei casi a infiltrazione intra-articolare di steroide. Il 40.3% aveva utilizzato Disease Modifying Anti Rheumatic Drugs (DMARDs) sintetici per indurre l’ID, il 10.8% steroidi sistemici, mentre solo il 7.8% biologici. Dei 129 pazienti, 87 (67.4%) hanno presentato almeno 1 ricaduta, caratterizzata da una bassa conta articolare (n=2) e MD-global di 2. La probabilità di ricaduta a 1 anno è risultata pari al 35%. La ricaduta dopo sospensione della terapia si è verificata in 40/87 (46%) pazienti. L’analisi multivariata ha mostrato che un’età alla diagnosi > 6 anni, l’ANA positività, un coinvolgimento oligoarticolare e l’utilizzo di DMARDs prima dell’ID sono associati a un aumentato rischio di ricaduta. (Tabella) Conclusioni: Attualmente i pazienti con AIG continuano a presentare a 1 anno dall’ID un 35% di rischio di ricaduta, che tuttavia è solitamente di scarsa entità e gestibile quindi anche solo con terapia infiltrativa. L’identificazione di fattori predittivi dello sviluppo di ricaduta permetterà di individuare precocemente pazienti maggiormente a rischio di recidiva e quindi meritevoli di terapie più aggressive o prolungate. 1Wallace et al. Arthritis Care Res (Hoboken). 2011;63:929-36. Tabella. Modello di Cox per l’analisi dell’effetto dei fattori di rischio sulla funzione azzardo. (p<0.05 statisticamente significativo; DMARDs: Disease Modifying Anti Rheumatic Drugs; ANA: anticorpi anti-nucleo; ID: malattia inattiva)

HR 95% CI P-value

Età alla diagnosi >6 anni 2.1 1.2-3.6 0.008

(vs. <6 anni alla diagosi)

ANA positivi 2.7 1.2-6.3 0.019

(vs. ANA negativo)

Numero di articolazioni attive pre-ID >3 0.5 0.3-0.9 0.024

(vs. ≤3 articolazioni attive)

DMARDs sintetici pre-ID 1.9 1.1-3.3 0.015

(vs. no DMARDs)