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Verità PUBBLICAZIONE SCOUT PER EDUCATORI 2011 3 R-S Servire - Registrato il 31 luglio 1972 con il numero 14661 presso il Tribunale di Roma. dicembre 2011 Anno LXIV

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E' uscito il nuovo numero di RS Servire: tema: la verità

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Verità

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Anno LXIV

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S O M M A R I O

Verità

Editoriale Giancarlo Lombardi pag. 1

Perché veritiero Piero Gavinelli pag. 4

Il capo scout esploratore di verità Stefano Blanco pag. 7

Essere persone di verità Lullo Losana pag. 9

La verità su di me: la vocazione Davide Brasca, Ale Alacevich pag. 14

Altrimenti si sogna Davide Magatti pag. 17

Verità e carità Maurizio Millo pag. 20

La verità per la Bibbia p. Alessandro Salucci o.p. pag. 24

La verità e le verità Giuseppe Grampa pag. 27

Contro la cattiva verità Gian Maria Zanoni pag. 30

L’uomo di scienza e la verità Martino Introna, Andrea Biondi pag. 33

2 + 2 = 5 (lettera all’Aurora che attendo) Roberto Cociancich pag. 36

“Soprattutto, niente giornalisti”? Mavì Gatti pag. 40

Vero/falso, con le pinne, fucile e gli occhiali Franco La Ferla pag. 43

RECENSIONI

“Passalo a Dag” Gigi Mariani pag. 46

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uando eravamo bambini il problemadella verità non era un problema.Bisognava dire la verità; non dire bu-gie. Dì la verità: ed era chiaro ciò chevoleva dire. Anche l’articolo della Legge “La

guida e lo scout sono leali”, cioè dicono la verità, non hamai creato difficoltà di comprensione.Le difficoltà eventualmente erano nel rispettare queste re-gole, nell’evitare l’ambiguità, nell’essere coerenti, ma nonnella comprensione di ciò che le regole volevano dire.Poi siamo cresciuti e il “problema della verità” è invecediventato effettivamente un problema. La verità non eracosì univoca e certa come prima credevamo: ciò che ap-

pariva vero a me, non era considerato tale da altri, anzi siarrivava al caso limite che certe realtà o considerazioniche a qualcuno sembravano inoppugnabili, per altri eranofalse e fuorvianti.Alla base di questa situazione c’è la considerazione che tut-ti gli uomini sono fortemente influenzati dalla propriaeducazione, dalla propria cultura, dalle proprie scelte ideo-logiche e tutto questo influenza la percezione della verità.Ne deriva evidentemente la tentazione o la conclusionedi un assoluto “relativismo” della verità: non esiste una ve-rità assoluta, ma esistono tante verità e ciascuno assumecome verità quella che a lui sembra tale.Questa scelta è ulteriormente rafforzata dalla coscienzache la verità in qualche modo cresce con il tempo, è “di-

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“La perdita della memoria morale non è forse il motivo dello sfaldarsi di tutti i vincoli,

dell’amore, del matrimonio, dell’amicizia, della fedeltà? Niente resta, niente si radica.

Tutto è a breve termine, tutto ha breve respiro. Ma beni come la giustizia, la verità, la bellezza

e in generale tutte le grandi realizzazioni richiedono tempo, stabilità, ‘memoria’, altrimenti

degenerano. Chi non è disposto a portare la responsabilità di un passato e a dare forma

a un futuro, costui è uno ‘smemorato’, e io non so come si possa colpire, affrontare, far riflettere

una persona simile”. Scritte quasi settant’anni fa da Dietrich Bonhoeffer, queste parole pongono

il problema della fedeltà e della perseveranza: realtà oggi rare, parole che non sappiamo più declinare,

dimensioni a volte sentite perfino come sospette o sorpassate e di cui – si pensa – solo qualche

nostalgico dei “valori di una volta” potrebbe auspicare un ritorno.

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veniente” e muta anche con il tempo stesso a seguito del-le conquiste scientifiche e della riflessione filosofica e an-tropologica dell’uomo.Alcuni articoli di questo quaderno sottolineano partico-larmente questo aspetto del problema e mettono in evi-denza il valore della ricerca della verità e il rispetto do-vuto a chi la cerca secondo il suo cammino.In questo relativismo si fa solo eccezione, ma non sem-pre, per la “verità dei fatti”, quelli che sembrano inoppu-gnabili: io oggi sono a Milano, ho tre figli, ho mangiato ilrisotto, ho i capelli bianchi, sto parlando con te... e perqueste verità dei fatti esiste la menzogna: se tu dici che ionon ero con te mentre invece eravamo insieme dici unafalsità, se dici che non hai mangiato una mela mentre in-vece l’hai mangiata dici una bugia… Se neghi che esistela povertà nel mondo, se non riconosci che la guerra èviolenza, se neghi che esiste un problema ambientale, …neghi la verità. Ma appena il discorso passa dai fatti allaloro interpretazione si riapre il dubbio sulla “verità ogget-tiva” e si legittimano interpretazioni diverse e anche op-poste: questo vale per l’economia, per l’estetica, per i mi-gliori criteri educativi, e anche, ciò che appare più im-portante e grave, per l’etica e le scelte morali. Non sem-bra, per molti, esistere un’unica Verità cui fare riferimen-to, cui cercare di obbedire, cui confermare la propria vitama piuttosto dei valori soggettivi cui adeguare la propriacoscienza, o anche, in modo meno nobile, delle “conve-nienze personali” che possono essere legittimamente per-seguite con l’unico limite del rispetto delle leggi.La domanda che a questo punto si pone, e che è alla ba-se di questo quaderno di Servire, e che ha molto profon-damente coinvolto la redazione, è se esiste una verità as-soluta e come sia riconoscibile e se essa vale per tutti gliuomini, di ogni tempo e luogo, al di là delle differenze dieducazione e di cultura, di religione e di politica.Ci siamo interrogati anche riguardo la verità della nostra

vita, cioè il suo senso, cosa rappresenta per noi la verità equindi come e dove ricercarla, se tutto è davvero relativo.La redazione si è trovata d’accordo su alcune considera-zioni previe, non prive di importanza e di conseguenze,che non toccano il nodo del problema, ma che sono uti-li per la convivenza civile:• spesso si è abusato nel far passare come verità assolute,

affermazioni che non erano verità assolute ma opzio-ni particolari e contingenti, ancorché legittime. Ciò haovviamente contribuito a far torto alla verità, contri-buendo alla sua relativizzazione;

• esistono delle verità, soprattutto nell’ordine dei fatti,delle cose accadute, delle cose dette, dei comportamen-ti, che sono tali e non possono essere negate se non conla menzogna. L’articolo della legge “La guida e lo scoutsono leali” è in questa linea, e ogni furbizia, anche seammantata di sofismo intelligente, per negare o relati-vizzare questa verità è inaccettabile;

• esiste un dovere di ricercare la verità, quella che po-tremmo definire “oggettiva”, e di darle testimonianza.Utilizzare il relativismo per giustificare la propria pi-grizia nella ricerca del vero è un peccato contro l’one-stà. Farsi scudo delle difficoltà oggettive di molti pro-blemi e situazioni per non compromettersi cercando eaffermando ciò che è riconoscibilmente vero è com-portamento disonesto. La verità chiede rispetto. Oc-corre cercarla e testimoniarla;

• in nome della verità assoluta, o di certe verità assolute,che in molti casi si sono poi dimostrate anche erronee,sono stati compiuti gesti e misfatti di grande gravità.

Questo consiglia di muoversi sul terreno della verità as-soluta con molta precauzione e umiltà.Ritornando però al nodo centrale del problema, prima ri-chiamato, non mi sembra accettabile rinunciare a che esi-sta una verità per la vita dell’uomo che dia un sensoprofondo al suo esistere e influenzi o determini il suo

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modo di vivere e di comportarsi. Se così fosse la vita del-l’uomo e la convivenza umana sarebbero in balia di for-ze e scelte contingenti, determinate in modo rilevante,quasi esclusivo, dai rapporti di forza e di prepotenza, diegoismo e di piacere.In alcuni articoli di questo numero di Servire abbiamoapprofondito questi temi mettendo tra l’altro in eviden-za i rischi della manipolazione del vero da parte del po-tere e soprattutto dei mass media la cui diffusione oggi co-stituisce certamente una grande opportunità per cono-scere la realtà dei fatti ma un gravissimo rischio per ladeformazione interessata dai giudizi e dalle informazio-ni che rischia di allontanare le persone dalla verità e dal-la ricerca del vero.Come affrontare allora il problema di fondo superando ilimiti del relativismo e della deformazione dei fatti più omeno violenta?“Tu solo hai parole di vita eterna” disse san Pietro a Gesùche lo interrogava sui dubbi della sua fede.Noi cerchiamo “parole di vita eterna”, ragioni di vita ve-ra che tocchino il nostro cuore nel profondo, e avvertia-mo che in qualche modo la verità deve essere al serviziodell’uomo, non come una teoria assoluta che si muove so-lo nello spazio della intelligenza, ma come una rispostache coinvolge il cuore dell’uomo e ne determina e nepuò determinare l’azione.

Gesù e il suo Vangelo, sono il riferimento assoluto e certodi questa ricerca, sono la risposta all’interrogativo e alcammino. Questa è la Verità che dà un senso vero a tut-te le cose, a tutti i comportamenti, a tutte le scelte.L’articolo di don Grampa, in questo quaderno affronta inmodo più completo e profondo questo aspetto fonda-mentale del problema “verità”. Affronta anche il tema delrapporto fra “ricerca della verità”, molto richiamato invari articoli di questo numero di Servire, e verità assoluta,mettendo in evidenza che non esiste contraddizione nelsottolineare il valore e l’importanza della ricerca anchequando si presenta come un cammino non compiuto, ver-so la verità assoluta che è Cristo.La domanda che da bambini non ci ponevamo, come hodetto all’inizio, la domanda che è venuta crescendo ecomplicandosi con il crescere della nostra vita e che di-venta ancora più importante con l’avvicinarsi della nostramorte, trova qui la sua risposta ultima.In Gesù avviene la saldatura fra la Verità e l’Amore, fra laFede e la Carità (come indica san Paolo nel cap. 13 dell’e-pistola ai Corinzi) e questo apre lo spazio alla Speranza.La Verità è nell’Amore e questo illumina anche i compor-tamenti di convivenza fra gli uomini. L’Amore è la Veritàassoluta e Cristo lo ha testimoniato per sempre.

Giancarlo Lombardi

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Perché veritieroVerità, lealtà, onore: parole del vocabolario scout che possono

sembrare retoriche, ma che al contrario sono ricche di

significati profondi per la formazione della persona. È da qui

che partiamo per il percorso di questo quaderno.

vecchio e persino tocca aspetti della vitaitaliana che hanno ribaltato il suo signifi-cato profondo: “uomo d’onore”, “codiced’onore”, “lavare l’onore” sono espressio-ni che distorcono un elemento che, ri-spetto al passato, ha cambiato la prospet-tiva ma non la sostanza delle cose.Non è la caduta di popolarità di un vo-cabolo che ci allarma, perché questo ca-pita tutti i giorni, ma la caduta di popo-larità del suo primo e più profondo si-gnificato legato alla rispettabilità di cuigode chi si comporta con onestà e ret-titudine, con senso della propria dignitàche impone di comportarsi con coeren-za morale e che conduce alla stima di sé.Un tempo, quando non esistevano leggiscritte per regolare la vita sociale di unacomunità, erano taluni uomini che si fa-cevano portatori dei valori umani digiustizia, di difesa dei deboli, di rispettodei propri simili, che si proponevanoquali difensori di un diritto naturale dicoesistenza: la parola onore era a talpunto densa di significato e di impegnida essere tramandata definendo un siste-ma di vita.Ma i cavalieri sono ormai parte delleleggenda e di leggenda pare avvolto an-che il concetto di onore, quasi che la sti-ma e il rispetto di sé e degli altri sia pa-trimonio di un’epoca passata e superata.Ma noi crediamo che così non sia e chea dei ragazzi si possa chiedere l’impegnoperché il proprio onore sia parte inte-grante dell’essere della persona.

un ragazzo di non ancora 12 anni (io,ma vale per tutti i milioni di ragazziche le hanno pronunciate prima e do-po di me in cento anni di scautismo)prometteva di fare del proprio meglio,con l’aiuto di Dio, per aiutare gli altri,servire Dio e la comunità civile e os-servare una Legge che chiede di essereleali, altruisti, ottimisti e retti.In quale altro contesto, ad un giovanis-simo adolescente, si chiede di impe-gnare se stesso in azioni improntate suconcetti quali onore, verità, onestà, fi-ducia e non su un impegno, si badi, ge-nerico e vago, ma in una Promessa cheimpegna per la vita, attraverso un agirecoerente agli obblighi presi?

Ragazzo d’onoreOggi parlare di onore sa di retorico, di

10 aprile 1966, giorno della Pasqua del SignoreChe cosa chiedi? Di diventare scout.Per quanto tempo? Se Dio lo vuole persempre.Sai che cosa significa essere ragazzo d’o-nore? Si, meritare fiducia perché veri-tiero ed onesto.Posso avere dunque fiducia che tu sappiamantenere quanto hai affermato?Con l’aiuto di Dio, prometto sul mioonore di fare del mio meglio per compiereil mio dovere verso Dio e la Patria (oggi ilmio Paese), per aiutare gli altri in ogni cir-costanza e per osservare la Legge scout.

Con queste parole del cerimoniale del-la Promessa, per quanto io sappia anco-ra di larghissimo uso in Agesci, su do-mande di un giovane capo diciottenne,

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invece di attribuirne la causa sempre adaltri o al fato.Veritiero è forse un termine “vetusto”,ma è la potenza del gesto coerente econsapevole che lo può rendere attualee significativo.Di questa attualità credo che il mondoabbia bisogno e magari possiamo, a que-sto proposito, usare una bella metaforaevangelica: dobbiamo metterci e mette-re i ragazzi nelle condizioni di “bussarealla porta della verità”.I nostri gesti allora acquisteranno unaprofondità e un respiro per persone daipolmoni capaci, abituate dal sacrificioorientato e dallo sforzo possibile ededucativo: “… non si tratta del cappello odell’uniforme … di chi … ha aderito alloscautismo per qualche mese, da dilettante …ma d’averne attuato lo spirito con un allena-mento lungo e fecondo, iniziato sin dalla pri-ma giovinezza, alla pratica delle virtù natu-rali. «Lo scout è franco, si fa un onore di me-ritare la fiducia»”.

Piero Gavinelli

1 Ecateo di Mileto, (Mileto, ca 550 a.C. –ca 476 a.C.), è stato un geografo e storicogreco antico. Visse attorno al 500 a.C. e futra i primi autori di scritti di storia e geo-grafia in prosa del mondo greco. I logo-grafi erano uomini che viaggiavano mol-to e descrivevano i paesi che visitavano neiloro vari aspetti: cultura, storia, geografiadel luogo in cui vivevano, tradizioni, usi,costumi, religione.

cessario richiamarsi continuamente econ coerenza ai valori che sostengono leprospettive all’interno delle quali cimuoviamo.Io credo che i ragazzi, oggi, siano aper-ti più che mai ad ascoltare in questo sen-so adulti coerenti che sappiano dar lorouna fiducia reale, non addomesticata,mediata o paurosa del rischio: è la scom-messa tutta da giocare che ci aspetta.

Essere veritieroEcateo di Mileto1, introduceva i suoiscritti scrivendo “Io narro le cose comea me paiono vere”. Ti racconto cioè, contutta l’onestà intellettuale di cui sono ca-pace, ciò che ho capito delle cose, nonpretendendo che siano l’assoluto, perchéaltro è la Verità assoluta.In fondo è questo che noi proponiamoai ragazzi che stanno crescendo con noinello scautismo: io capo cercherò di dar-ti degli strumenti perché tu possa capi-re te stesso e le cose che ti circondanoaffinché le possa rendere efficaci attra-verso l’impegnarti da persona veritiera,cioè testimone di una verità che si con-cretizza attraverso i gesti che compirai erapporti che cercherai ed avrai. Non la Verità con la maiuscola, ma laverità feriale, della persona “semplice ediritta” che cerca di essere retta, nellospirito di quell’uomo d’onore “cavalle-resco” che pare superato: dire il vero enon il falso; dire “non so” invece di farfinta di sapere; dire “mi sono sbagliato”

Meritare fiduciaLa nostra è un’epoca di diffidenza: la siinsegna ai giovani (chi non ha sentito al-meno una volta la frase “… ricordati dinon fidarti di nessuno”?) perché non sitrovino disarmati in un mondo ritenutoostile.Sovvertire la logica del mondo che ve-de nell’opportunismo, nella furbizia, nel-l’ipocrisia le doti da possedere, è il pri-mo passo per rinnovare la società e og-gi questo vale più che mai.È il più grande sforzo educativo ed eti-co: puntare sull’uomo e sulle sue realicapacità per ridare corpo alla speranza.Cosa fare in concreto perché le ragazzee i ragazzi assimilino questo senso delladignità dell’essere “uomini di fiducia”?In altre parole cosa fare per far sì che inostri ragazzi e ragazze sappiano porre illoro onore nell’essere persone affidabili?È la Legge scout che, nella sua rigorosachiarezza, ci aiuta a declinare in sensopositivo tutte quelle risorse che abitanoin ciascuno di noi e che aspettano di es-sere sollecitate.Ho la certezza che lo scautismo, nono-stante il presente possa apparire difficilee confuso, grazie a questi valori e a que-ste virtù - così come era nell’intenzionedel suo fondatore - potrà contribuire aformare le coscienze dei giovani cittadi-ni nello spirito di una rinnovata fratel-lanza universale. È questo il “grande gio-co” dell’educare!Ma per far sì che il gioco riesca, è ne-

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Il capo scout esploratore di verità

Lo scautismo è una scuola che aiuta nella ricerca

della verità? Senza dubbio sì; la verità delle cose umane

è in costante divenire e l’arte dell’esplorare è

la necessaria qualità per una ricerca fruttuosa.

sta, ha sentito il sole che ti cuoce e al-la fine, nel tepore della tendina, hasentito la stanchezza nelle gambe co-glie di quale verità stiamo parlando. Quella che pare così tangibile e og-gettiva in una natura che non può cheessere reale, anzi più reale che mai, piùveritiera che mai. Ecco proprio lì nontrovo verità assoluta, ma solo una fan-tastica, meravigliosa verità che è in di-venire che deve essere ancora ricerca-ta domani mattina, ripartendo per unnuovo sentiero. Non mi pare certo una scelta casualequella del metodo scout. Continuaread educare alla ricerca, a non esseremai sazi, non accontentarsi perché la

La verità non esiste. O almeno così misembra, se escludo l’amore per miamoglie e i miei figli che mi pare (di-co pare) essere in qualche modo tan-gibilmente vero...per il resto chissà... Lo scautismo (lo dice la parola stessa:to scout) è di per sé una ricerca, un’e-splorazione di sé e del mondo che cicirconda. Campeggiare da scout in unbosco, come camminare sulla strada èuna continua ricerca di verità, un con-tinuo ripensare la verità, un incessan-te camminare sulla strada, sulle stradedel mondo. Chiunque di voi, come me, ha fatica-to sulla salita di una montagna, ha ar-rancato nel fango fradicio di una fore-

verità è solo nella continua ricerca enon si raggiunge mai. Non è (solo) ungioco ma una proposta di vita che loscautismo propone. In ogni suo scritto già il nostro fonda-tore Baden-Powell poneva costante-mente l’accento sulla necessità chenon ci si accontenti sia nell’esplora-zione del mondo come di noi stessi.Non possiamo definirci scout senzaesser dei veri insaziabili esploratori. L’esploratore non è certo una personache si acclimata facilmente alla veritàspacciata da tutti per tale, è chi coc-ciutamente e pazientemente non sistanca di essere sulla via. Come la cima di una montagna che èsolo il punto da dove si vede la pros-sima vetta, questa è la vita dell’esplo-ratore, dello scout mai sazio di questomondo. Perché è solo ricercando chesi progredisce, restare fermi è solo an-dare indietro. Lo scautismo deve insegnare una con-tinua ricerca che diviene modalità diapprocciare tutti i problemi della vita.Si tratta di acquisire un modus ope-randi che fa dello spirito critico difronte alla realtà una cifra ineludibileper costruire la vita professionale, fa-migliare, politica e così via. È un percorso educativo e metodolo-gico che insegna a rispettare gli altri ele verità che ognuno porta dentro disé, attraverso il rispetto per i percorsiche ogni persona compie con fatica e

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speranza nella vita. Il lupettismo el’ambiente della giungla sono forsel’esempio meno citato ma tra i piùeclatanti, dove le cacce, la vita di bran-co, la guida di Akela o Baloo sono unaripetuta scoperta alla vita e alla sua ve-rità di cui innamorarsi. Sapendone poiprendere una coscienza critica duran-te la vita di reparto, dove lo scoutinge quindi anche la ricerca della veritàvengono provate duramente e piùspesso messe in crisi. Sino ad arrivarealla vita di Clan dove si scopre, diven-tando adulti, una via alla verità checoinvolge tutto l’arco della propriaesistenza e tutti i fratelli che con noicondividono questa terra. Non avere verità in tasca, come nonaccontentarsi di ciò che viene spessospacciata per tale è il primo compitodi uno scout. Lo scouting che è il cuo-

re dell’essere scout si propone comeun continuo processo di comprensio-ne e avvicinamento alla verità cheogni volta viene in qualche modo di-svelata, compresa, capita per poi ripar-tire a coglierne una sempre più com-plessa. Lo scautismo è pieno di stru-menti che allenano a questa logica;pensate solo alla meteorologia, alla to-pografia, alla botanica e così via. Sem-pre vissute con quello spirito di mera-viglia, comprensione, applicazione. È uno stare dentro la nostra realtà checonsente di non farci trarre in ingannodalle superficiali modalità di interpre-tarla ma far sì che ci sia sempre un pro-cesso per reinterpretarla alla luce dinuovi passi. Non possedere la verità èun lusso che solo un buon scout puòpermettersi di avere, solo di chi com-prende che la realtà, noi e gli altri sono

in qualche modo sempre in camminoe in divenire, sono un modo di stare nelmondo che va compreso, non per esse-re ricompreso in una interpretazionedella verità più o meno presunta, mainvece per essere in qualche modo ognivolta interrogato ed esplorato. Educare in un mondo sempre piùcomplesso è anche e soprattutto edu-care alla capacità di vivere la com-plessità sopravvivendo ad essa concriticità ed intelligenza, senza nessu-na pretesa di comprenderla, ma solodi saperci convivere senza venire me-no ai propri valori e al rispetto delladiversità che insegna come nessun al-tra cosa il camminare con i piedi ocon la testa per le vie del mondo. Inricerca della verità.

Stefano Blanco

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Essere persone di verità Testimonianza di Lullo Losana, magistrato, professionista

della ricerca della “verità”. Non si tratta di una questione

meramente tecnica, ma di un importante confronto con

le regole della convivenza e con la civiltà di un popolo.

E poi la questione della verità si allarga a coinvolgere

tutti i tipi di rapporti sociali e personali.

Non esiste una definizione giuridica di“verità”; la legge rinvia, genericamente, al“libero convincimento del giudice” e al-l’accertamento “al di là di ogni ragione-vole dubbio”. Il codice insiste, invece, sulconcetto di “prova” della verità da accer-tare; elenca e disciplina i mezzi di prova(sono tali le testimonianze, i documenti,le conclusioni delle perizie ecc...) e dà ri-lievo agli indizi (che, se sono gravi, preci-si e concordanti, valgono come prova).La dimostrazione di un fatto si fondasu alcuni strumenti che sono:• i fatti notori (la cui verità si impo-

ne a tutti come “irresistibile” e“non contestabile”);

Come magistrato ho avuto a che faremoltissimo con la parola “verità”: “midica la verità”; “giuro di dire la verità”;il giudice ricerca “la verità dei fatti”.Ho dovuto sempre ricercare “come sta-vano davvero le cose” e poi applicare ildiritto. E mi sono reso conto che esisteuna “verità” oggettiva, che è doveroso eappassionante ricercarla; ma che non lasi può raggiungere mai completamen-te. Anche perché non esiste soltanto laverità dei fatti (delle condotte e deglieventi) ma esiste una altrettanto impor-tante verità che è quella delle intenzio-ni, delle motivazioni, dei fini dei com-portamenti umani.

• le massime di esperienza (nozionidi fatto che rientrano nella comu-ne esperienza, consolidata);

• le regole empiriche di esperienza; • le regole di giudizio (come ad

esempio: il fatto che sono più cre-dibili le dichiarazioni di testimonidisinteressati, oppure le dichiarazio-ni confessorie);

• le leggi scientifiche di più o menoalto grado di attendibilità;

• ed infine la correttezza del ragiona-mento che “mette insieme” tutti idati acquisiti.

In Italia vige la regola (a mio pareremolto civile) che ogni decisione delgiudice (e quindi in primo luogo ladecisione riguardante la ricostruzionedei fatti e delle circostanze), deve es-sere motivata. Una delle mie espe-rienze più belle e gratificanti, è stataproprio quella di “motivare” le deci-sioni; e posso dire che è stato un for-te esercizio di libertà: perché mai nes-suno mi ha detto “come era opportu-no” che un certo processo si decides-se, o “come era opportuno” che unacerta motivazione venisse scritta.

Cercare la veritàLa ricerca della verità “oggettiva” èun dovere; ma è anche difficile; è unpercorso pieno di ostacoliCi sono innanzi tutto i limiti dei sen-si e degli strumenti a nostra disposi-zione.

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È ben noto quanto sia limitata la ca-pacità di un soggetto di osservare unascena e poi ricordarla e narrarla perquello che essa è “realmente”; e quan-to sia difficile evitare interpretazioni einconsapevoli deformazioni dellarealtà. Ma sono pure limitati gli stru-menti tecnici di accertamento. Soven-te le conclusioni,”tecniche”, delle pe-rizie sono contrastate da altre conclu-sioni altrettanto “tecniche” di periziecontrarie. Inoltre nella ricerca della verità puògiocare un ruolo importante (e sub-dolo perché nascosto e inconsapevole)la soggettività di chi la deve accertaree di chi la deve enunciare. Il “vissuto”del soggetto si riflette e “colora” (odeforma) l’oggettività dell’accerta-mento. In molti casi la “soggettivitàche distorce” è legata ad una idea pre-concetta, ad un pre-giudizio.Una scena di partita di calcio, pur ri-prodotta dalla moviola, per i tifosi diuna squadra “è rigore!”, ma per quel-li dell’altra squadra “non lo è affatto!”.In sostanza si vede (anche) ciò che sidesidera vedere. È dunque ben possi-bile che i dati “veri” per me, non sia-no tali per altri: e non è detto che cisia malafede. Quella che pensiamo es-sere verità oggettiva, molto spesso nonlo è; ma abita nella nostra speranza, onel nostro malvolere, o nel nostro ti-more. Ma allora, se si può giungere, pur nel-

l’onesta ricerca di verità, a conclusio-ni diverse, si impone da un lato l’ar-gomentazione e dall’altro il confronto.L’argomentazione, la discussione, ilconfronto, sono un servizio per la ve-rità e quindi per la giustizia.

Dire la veritàDire la verità è importantissimo e ilnon dirla è sempre stato consideratoun male, una colpa. Il nostro codicepenale spesso equipara la menzognaaddirittura alla violenza o alla minac-cia. In effetti essa, quale strumento diinganno, è una sorta di violenza per-ché fa sì che altri si comportino inmodo diverso da quello che farebbe-ro se non fossero violentati o ingan-nati. La menzogna ha le sue vittime; èuna prepotenza. Purtroppo il falso co-me strumento di ingiustizia e sopru-so, oppressione, arroganza è vecchiocome il mondo (vedi la favola di Fe-dro). Ma, oggi, si vorrebbe crescere inciviltà anche sotto questo aspetto.Il non dire ciò che si sa o il riferire co-se false, assume il massimo rilievo nelprocesso. Davanti ai giudici bisognadire la verità; la falsa testimonianza è:sul piano religioso un peccato gravis-simo; sul piano civile un gravissimoreato. Oggi purtroppo sta diventandodi moda dire che Tizio ha detto la“sua” verità; come se il concetto di ve-rità fosse relativo, dipendente dall’in-teresse, dal volere, o dalla cattiva fede

di chi la enuncia. No; noi dobbiamopresupporre una verità oggettiva, cuifaticosamente dobbiamo tendere an-che se, forse, non riusciremo mai araggiungere del tutto. E troppo facil-mente ci si dimentica (o si vuole di-menticare, per addossarne la colpa sol-tanto ai Giudici “cattivi”) che giudizisbagliati si fondano molte volte su te-stimonianze false. Secondo me la re-sponsabilità del falso testimone do-vrebbe essere maggiormente “sentita”e riprovata, e assai più severamentesanzionata.Ma, anche fuori dai processi, vi sonodei soggetti che per professione sonochiamati a comunicare notizie e/o“saperi” (giornalisti, educatori, o inse-gnanti). Vale per costoro un principioetico implicito nella loro professiona-lità; dovendo comunicare un “sapere”,essi sono tenuti a trasmetterlo in mo-do corretto, quale strumento di chia-rezza e di crescita dell’altrui cono-scenza; essi quindi tradiscono la loroetica se usano il loro sapere perconfondere, per servire l’ignoranza, oper colpire. Infine tutti noi, nel quoti-diano, siamo tenuti a comunicare se-condo verità: perché anche noi pos-siamo ferire, far del male, con la falsitào con la non verità, o col cattivo usodel nostro sapere. Non dire falsa testimonianza; non di-re bugie; essere sinceri ed onesti. So-no imperativi forti di ogni percorso

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educativo. Ma a questo punto sorgo-no alcune domande. Come educarealla verità? Vi sono dei casi in cui lamenzogna o il falso, o l’inganno, pos-sono essere al servizio di una finalitàbuona? Può la menzogna essere addi-rittura doverosa? Può il silenzio sosti-tuire la verità? È giusto “dire sempretutto”? Anche ai bambini; anche aimalati gravi?La mia risposta è che il dire la verità ècertamente un valore fondamentale edeve essere la regola. Ciò non toglieperò che questo valore possa venire inconflitto con altri valori, sicché si ren-de necessario un “bilanciamento”. Enon è escluso che il dire la verità pos-sa, in via eccezionale, soccombere, ri-spetto ad altri valori ritenuti, nel con-creto, preminenti. Non ci sono forsenella stessa Bibbia esempi di falsità “approvata”, se non benedetta, comequella di Giacobbe, il quale si fece be-nedire da Isacco, con l’inganno, spac-ciandosi per Esaù?

Verità come autenticitàMa la verità è (anche) la corrispon-denza tra ciò che si dice di una cosa (odi una persona o di un evento), e ciòessi sono nella realtà; tra ciò che appa-re e la realtà sottostante. In questo sen-so il termine verità può anche indica-re la “genuinità” o “il non inquina-mento”, o l’“autenticità” di un pro-dotto o di un oggetto, o di un’opera

d’arte. Se appare come aranciata deveessere fatta con le arance (altrimentinon è genuina); se si dice: “di Cara-vaggio”, non deve essere una copia(altrimenti è un Caravaggio non au-tentico). Anche nel linguaggio comu-ne usa dirsi che un prodotto non ge-nuino non è “vero”; o che un quadropuò essere “un falso”.Ora: trasportiamo il ragionamento aproposito dell’uomo. Esiste una “veritàdell’uomo”? (cosa si vuol dire quan-do si dice che taluno è un “vero uo-mo”?). Quali sono i connotati, le di-mensioni “fondamentali” della perso-na umana, senza i quali essa non è au-tentica, non è vera?Per qualcuno la dimensione unica efondamentale sarebbe la libertà. Se-condo me una antropologia della au-tenticità deve dire qualche cosa di più.La verità dell’uomo, quale oggi vienericonosciuta anche a livello “globale”,cioè sovranazionale, comincia dallauguaglianza. Ciò che si dice dell’uomodeve riferirsi a tutti gli uomini, nessu-no escluso Al riguardo non vi sono sol-tanto le dichiarazioni “universali” deidiritti dell’uomo (importantissime per-ché ci fanno essere, anche in senso giu-ridico, “cittadini del mondo”) ma esi-ste anche una diffusa e “mondiale”consapevolezza, sempre maggiore, diquesta uguaglianza e comune umanità.Kant enunciava il diritto di ogni uomoad essere trattato da amico; il diritto di

ogni uomo ad essere considerato comefine e non come mezzo. Tutti gli uo-mini “nascono” con connotati specificie irripetibili, ma anche con una unitàdi umanità profondissima. Mi com-muove vedere le immagini dai fuggiti-vi dall’Africa, che affondano con le lo-ro barche, che stringono i bambini, cheportano con sé qualche fotografia equalche ricordo, e qualche testo sacro.Mi commuove anche perché fa capirequanto abbiamo in comune con loro:speranze, timori, affetti, paure. E miviene in mente un paragone che nonso più di chi sia, secondo cui la nostraumanità (comune a tutti) è come unmare ove vi sono migliaia di metri diprofondità d’acqua, su cui ci sono po-chi metri di onde burrascose, di movi-mento, di uragani. Tutti i nostri conflit-ti, diversità, lotte, guerre e problemi so-no pochi metri di onde su migliaia emigliaia di metri di comune umanità.Poi, naturalmente, quale caratteristicafondamentale dell’uomo autentico, viè la libertà; la possibilità di muoversi,di scegliere e di decidere, di pensare eformulare progetti, di realizzarsi in au-tonomia. E qui entra in gioco la spe-cificità del singolo, la sua irripetibilità.Senonché l’espressione della libertàpuò portare al suo venir meno. Equindi la migliore espressione della li-bertà è quella di saper scegliere ciòche le consente di mantenersi e ma-gari di ampliarsi.

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Infine l’antropologia oggi più condi-visa individua un terzo aspetto fonda-mentale: la dignità.La nostra Costituzione afferma conforza il massimo rispetto e la garanziadelle libertà fondamentali, ma al tem-po stesso ammonisce che il cittadinodeve essere “partecipe” della vita col-lettiva e deve contribuire alla crescitaanche spirituale della società; e impe-gna tutti, all’art.3, a collaborare con leistituzione nel “rimuovere gli ostacolidi natura sociale o economica che im-pediscono il pieno sviluppo, in dignità,di tutti i consociati”. L’uomo autenticoè dunque colui che sa e può esprime-re e realizzare le proprie personali, spe-cifiche potenzialità (di lavoro, di fanta-sia, di esperienze intellettuali, artistichee spirituali) e questo persegue, per sé eper gli altri; perché in questa espressio-ne sta la sua dignità.Verità dell’uomo quindi è “essere ciòche siamo, o che possiamo essere, dav-vero, in eguaglianza, libertà e dignità”. Non è su questa linea chi esclude o siautoesclude; chi distrugge o si autodi-strugge, chi pensa solo a se stesso; non

è su questa linea la prevaricazione, lastrumentalizzazione degli altri, l’arro-ganza.

La mia verità è fatta (anche) dagli altriMa se la mia verità è, anche, relaziona-le, essa è, almeno in parte, “fatta dagli al-tri”; è, anche, ciò che mi viene chiesto:dalla vita e dagli altri, o dalla Provvi-denza divina; sempreché, ovviamente,tale richiesta sia stata da me accettata:alla quale io abbia detto il mio SI.Verità dunque, come la corretta attua-zione e l’espressione di un ruolo. E al-lora la domanda “di verità” riguarda lamia fedeltà ad un ruolo; come io abbiarisposto o stia rispondendo a queste ri-chieste cui ho aderito con il mio SI.

Verso l’unificazione di verità, giustizia e libertà?La falsità e la menzogna sono, di rego-la, strumento di oppressione e violen-za; la verità, la sua ricerca e la sua cor-retta comunicazione sono, di regola,strumento di giustizia. Ciò vale amaggior ragione, quando si ricerchi e

si persegua la più profonda verità del-l’uomo. E dunque: verità e giustiziasono strettamente collegate. Inoltrequesto impegno di verità e di giusti-zia mentre da un lato tende a garanti-re (e mantenere) l’espressione della li-bertà del prossimo, d’altro lato dà sen-so e direzione alla nostra, personale, li-bertà.Mi piace allora mettere assieme i trevalori fondamentali: Verità, Giustizia,Libertà e pensare che in qualche mo-do essi si possono unificare; come fac-ce di una stessa medaglia. Un po’ co-me le tre (o quattro?) forze fonda-mentali della fisica che gli scienziaticercano di riportare ad unità.

Lullo Losana

Questo articolo riprende una chiacchieratafatta dall’autore nel maggio scorso a ungruppo di amici scout. Il testo integrale del-la chiacchierata, che tratta più compiuta-mente i contenuti dell’articolo, è scaricabiledal sito di R-S Servire. E vi invitiamo afarlo.

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La verità su di me: la vocazione

L’articolo è scritto a due mani (e due teste) e a distanza.

I caratteri grafici ne segnano la diversa origine.

Fondamentalmente unitario e condiviso dagli autori

è il contenuto. La fusione argomentativa ci sembra

ben riuscita. L’approfondimento tematico è necessario

per guardarsi dentro.

semplice che il tema della ‘verità su dime’ fa irruzione nella nostra vita:quando posso dire a me stesso con in-tima e indubitabile certezza di averevissuto ‘veramente’?

Un primo pensiero è quasi una notagrammaticale: la verità su di me si ma-nifesta come un avverbio: questa espe-rienza mi è stata ‘veramente utile’,questo incontro è stato ‘veramente si-gnificativo’, quell’amore è stato ‘vera-mente bello’, quell’impegno è stato

Ci capita nel corso delle giornate, deimesi, degli anni di vivere esperienze –incontri, lavoro, impegni, amori… -rileggendo le quali abbiamo la sensa-zione di aver ‘perso tempo’ e di aversprecato un tratto della nostra vita. Al-tre volte raggiungiamo invece l’intimaconvinzione che quell’esperienza,quell’incontro, quell’impegno sia statoveramente meritevole di essere vissu-to e che il tempo ad esso dedicato siastato un tempo ‘ben speso’.È tramite questa esperienza familiare e

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‘veramente importante’. Come l’av-verbio grammaticalmente è una parteinvariabile del discorso, così l’uso del-l’avverbio ‘veramente’ a proposito del-la vita dice di una raggiunta certezza(invariabilità) di convinzione circa laqualità ‘vera’ di essa. L’avverbio ‘vera-mente’ è poi un ‘avverbio di modo’ equesto lascia intendere che la ‘veritàdel vivere’ è una modalità, un modo diessere, una qualità dell’esistenza. Dellavita si può dire che è ‘veramente’ vis-suta o perduta non per ciò che si è fat-to in essa ma per ‘come’ lo si è fatto.E la qualità vera di ciò che si fa è l’es-sere presenti a se stessi in ciò che si fa.Si può dire: ‘ho veramente agito ma-le’; ovvero riconoscere il male fatto eavere l’intima certezza (verità) che es-so è stato ‘veramente’ fatto da me eche ‘veramente’ appartiene alla mia vi-ta. Dice san Paolo: se anche dessi tut-te le mie sostanze, ma non avessi la ca-rità nulla mi giova; ovvero persino ilbene per il modo in cui è fatto (il mo-do con cui è ‘veramente’ fatto) può di-ventare male per me.

Un secondo aspetto a riguardo della‘verità di me’ è che comprendiamo laqualità ‘vera’ dell’agire solo ‘dopo’ averagito o alla fine dell’azione. Il centu-rione del Vangelo di Marco vedendo-lo morire così esclamò: costui è vera-mente il Figlio di Dio. Solo alla fine,in quel modo di morire, si può scio-

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gliere il segreto circa la persona di Ge-sù e si può conoscere la verità della suavita. Accade così anche per ogni vita:l’intima personale convinzione che lavita che stiamo vivendo, nel ‘modo’ incui la stiamo vivendo, meriti di esserevissuta ci apparirà chiaro ‘avvicinan-dosi alla fine’ e in ultima istanza pro-prio ‘alla fine’. Come se la verità del-la vita, intuita, presagita e promessa al-l’inizio, si chiarisse solo piano pianonel vivere stesso. In fondo l’invariabi-le avverbio ‘veramente’ si può dire diun uomo solo al passato. Finché si vi-ve la verità della vita non è mai cosìsolida e certa.Detto questo bisogna a che dire che ildinamismo attraverso cui l’uomo siinterroga sulla verità della propria vi-ta cresce e si sviluppa (o si atrofizza)durante tutta la vita. All’inizio – fan-ciullezza – il carattere vero delle espe-rienze che si vivono è garantito e pro-messo da altri; poi si impara a valuta-re di persona il carattere di vera utilità,bellezza, significatività delle esperien-ze; poi si passa il tempo della tentazio-ne di separare una parte di vita – pic-cola – che ‘veramente’ merita di esse-re vissuta, da un altra – molto grande– che bisogna vivere …’purtroppo’;alla fine – assai più per Grazia che permerito – si è capaci di gettare unosguardo di verità su tutta la vita.Mantenersi nell’atteggiamento dellascoperta della verità su se stessi è un

percorso che nella vita ci tocca percor-rere molte volte, forse non ogni giornoma molto spesso, e certamente semprein occasione di ogni passaggio, di ognicambiamento importante.Come ogni percorso, e soprattutto co-me ogni percorso educativo, ci piacepensare che si sviluppi in tre fasi: il ve-dere (che ribattezzeremmo “il corag-gio della verità”, su sé stessi), il giudi-care (ovvero “il coraggio dell’umiltà”)e l’agire (ossia“il coraggio della scelta”).

Vedere = il coraggio della verità Nella mia vita, quando ho cercato di capi-re la mia vocazione, ho sempre cercato dipartire da alcuni “indizi”: ciò che mi pia-ceva fare, le cose che mi riuscivano bene, inuna parola le mie doti. Sono indizi forti,positivi, sono il bagaglio che il buon Dio, inostri genitori, i nostri educatori, la nostrastessa vita hanno saputo mettere nel nostrozaino, e sono abbastanza facili da ricono-scere, perché sono gli aspetti, di noi, che cipiacciono.Partire dai propri talenti, per imparare a co-noscere sé stessi, mi è sempre sembrato piùimportante e più divertente che non parti-re dai (nel mio caso molti) propri difetti: èil modo migliore per dirci che la vita è ungrande gioco, e – come diceva la canzone diuna Route Nazionale R/S di molti annifa - per invogliarci a ”entrare nel gioco egiocare la nostra parte”, anziché rischiaredi restare a “guardare la vita dal buco del-la serratura”.

Ma non basta: occorre anche imparare a“guardarsi con gli occhi degli altri”, a rap-portarsi con loro per scoprire che cosa siaspettano da me, da noi, che cosa si aspet-tano che io faccia per loro: la nostra voca-zione è, probabilmente, il combinato di-sposto delle nostre doti e di quello che civiene chiesto (o che ci rendiamo conto dipotere e sapere fare per gli altri).

Giudicare = il coraggio dell’umiltà“Bisogna saper perdere, non sempre sipuò vincere…”: il refrain di un vec-chio motivo ricorda che spesso occor-re anche, e freddamente, riconoscere ipropri errori, riconoscere i propri li-miti, le proprie difficoltà, i propri fal-limenti e che è onesto – con sé stessi- chiamarli per nome, cioè ricono-scerli davvero, come unico modo periniziare a correggerli, per ripartire.

Un buon metodo da seguire - siccome èsempre un po’ scomodo riconoscere i propridifetti - è ancora una volta quello di farsiaiutare dagli altri, che spesso ci sanno giu-dicare meglio di noi stessi: la vecchia tradi-zione della “correzione fraterna” – cioè tro-vare il modo, creare le condizioni e le occa-sioni per farci dire da dei veri amici, frater-namente appunto, i nostri errori - resta unesempio da imitare.Ma non è tutto qui: anche le situazioni“oggettive” che viviamo nel mondo del la-voro, e prima ancora nella scuola, e perchéno anche in famiglia, ci chiamano, spesso,

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a valutare, con umiltà, il nostro successoe/o insuccesso, le nostre vittorie e le nostresconfitte, le cose che vanno e quelle che nonvanno. Credo che, sempre, quanto primariusciamo a giudicare come stanno le cose,tanto prima riusciamo a intervenire e mi-gliorarle.

Agire = il coraggio della sceltaPerò il vedere, cioè il capire un po’ meglio lapropria vocazione, ed il giudicare, cioè il va-lutare concretamente anche i propri errori elimiti, hanno senso solo se sfociano nell’agi-re, cioè se finalmente – e sto pensando par-ticolarmente ad ogni situazione di passaggio- ne traiamo le conseguenze pratiche e cimettiamo a orientare concretamente le nostrescelte alla nostra chiamata.

La verità su stessi, la verità sulla propriachiamata, un po’ come i doni dello SpiritoSanto, esigono che, nel concreto, i nostri ta-lenti siano messi al servizio degli altri, sia-no sviluppati a favore degli altri, del loro be-ne, dal piccolo circondario, del nostro prossi-mo più vicino al più grande palcoscenico del-la nostra vita professionale, di relazioni, dicittadini, di membri della Chiesa.La nostra vita va orientata e continuamen-te ri-orientata, proprio come un bravoesploratore si orienta, e spesso si ri-orienta,durante un hyke. Questo esercizio, che inrealtà si chiama “conversione”, è sempre, di

volta in volta, sia la “fine” di un percorso(che magari ci è costato fatica) sia, contem-poraneamente, l’”inizio” di un nuovo per-corso, da sviluppare per le prossime paginedel libro della nostra vita.

Un terzo aspetto che si muove at-torno alla questione della ‘verità dellavita’ riguarda la possibilità di estende-re l’avverbio ‘veramente’ a tutta la vi-ta e poter dire: tutta la mia vita è (o èstata) ‘veramente’ meritevole di esserevissuta. Se l’esperienza attesta senzadifficoltà l’esistenza di momenti ‘vera-mente’ belli per i quali valeva la penavivere, assai più difficile è l’estensioneall’intera vita della qualifica di ‘vera-mente’ bella. Dolori, sofferenza, ango-scia, morte, senso di vuoto, peccato,errori, noia sono esperienze non me-no familiari della bellezza e della gioiae affermare che anche in essi si èespressa la nostra vita ‘in verità’ appa-re assai difficile.

Ognuno fa come può. Qualcuno pro-cede a macchia di leopardo: ci sonoparti della vita che è stato ‘veramen-te’ bello e degno vivere e altre che siè dovuto vivere ‘purtroppo’: nelle pri-me è contenuta la verità della nostraesistenza, le seconde appartengono aquella parte oscura e ineliminabile del

vivere. Altri dividono la vita in dueparti: un tempo in cui non si capiva,non si sapeva, si era nel peccato, si eratroppo inesperti, poco avvertiti, pocoprudenti,... E un tempo in cui final-mente e ‘veramente’ si è potuto vive-re. Altri ancora – ma forse meno nu-merosi – sono riusciti a gettare unosguardo di verità su tutta la loro vita.Per fare questo a nostro avviso non sipuò che avere un senso vocazionale eteologico della vita. Si tratta di pensa-re e, prima di tutto, sperimentare la vi-ta come risposta ad una chiamata: al-l’inizio una chiamata che ci raggiun-ge attraverso le nostre doti, le situa-zioni, le persone; poi piano piano siscopre che dentro la trama delle mol-te chiamate si nasconde e si rivelaun’unica chiamata, quella di Dio. Nul-la è fuori da essa e tutto ciò che è ac-caduto nella nostra vita altro non èstato che lo sforzo di capire e di ri-spondere a questa chiamata. Gli stessierrori, le stesse resistenze, lo stessopeccato appartengono anch’essi alladialettica della risposta e della chiama-ta. A ragione, l’antico inno pasqualeintegra la colpa in una Grazia piùgrande dicendo: ‘felice colpa cheportò a così grande redentore’.

Davide Brasca, Ale Alacevich

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Il tempo è la sostanza di cui sono fatto.Il tempo è un fiume che mi trascina,

ma io sono il fiume;è una tigre che mi divora,

ma io sono la tigre;è un fuoco che mi consuma,

ma io sono il fuoco.

J.L. Borges

Provo a raccogliere qualche appuntosulla ricerca di verità, intesa come ri-cerca di senso, che ogni persona com-pie per dare un significato ed una dire-zione al proprio tempo e ad ogni gior-no che inizia. Sono semplici accenni adalcuni temi che ritengo preziosi: la pro-gressione quotidiana di questa ricerca,

l’importanza di un pensiero vivo ed au-tonomo, il tempo come maestro di ve-rità, la necessità di accettare il proprio li-mite nel comprendere la vita, il valoredella testimonianza.

Approdi e partenzeLo scout è un viandante ed un esplo-ratore, una persona capace di salutareall’inizio di ogni giorno la radura chelo ha accolto per la notte ed imbocca-re il sentiero di buon passo, accettan-do le sfide ed affrontando la fatica. Questa partenza quotidiana, intesa co-me stile di vita, chiede, per avere valo-re, di interrogarsi con profonda lealtàsul senso del cammino. L’impegnoquotidiano nella comprensione dell’e-

sistenza orienta la mia vita e tracciaprogressivamente quel disegno che sicompierà pienamente solo al terminedei miei giorni.Non è facile puntare ad una meta tan-to nascosta, accettando di procederecon poche consapevolezze, resistendoalla tentazione di abbandonarsi ad unpensiero definitivo, assiomatico o me-todicamente scettico e nichilista. De-cidere di fare un passo per volta nonsignifica non approdare mai, ma rico-noscere che da ogni approdo occorreripartire.

Il pensiero e l’ascoltoCosta poco assecondare il pregiudizio,il luogo comune, il qualunquismo. Èfacile ed immediato appoggiarsi peropportunismo, o molto più spesso perinerzia, ad opinioni esterne, collezio-nare frammenti di pensiero senza pra-ticare in modo autonomo il proprio.Lo scout è carpentiere e timoniere, sacostruire e poi guidare la canoa. Os-serva e deduce, impara facendo, masoprattutto, si spera, agisce pensando. Ci sono molti modi per mantenere vi-vo il pensiero ed avvicinare la verità:osservare il mondo con occhi attenti,assimilare la saggezza di chi fa sintesidi un lungo cammino, rielaborare ilpercorso delle proprie idee affinate omodificate dagli anni, rintracciare l’o-rigine delle proprie opinioni sulle co-se, riconoscere a se stessi il giorno di

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Altrimenti si sognaAppunti sulla ricerca quotidiana di verità

La ricerca della verità è un puro esercizio filosofico

o ha importanti ricadute nella mia vita quotidiana? Farsi

interrogare dalle realtà, accettare il dubbio, cercare la verità.

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fatica e quello di felicità, dialogarelealmente con le persone, riscoprire ipropri maestri, rileggere i testi miglio-ri, non sottovalutare l’importanza del-la poesia.Fermarsi spesso davanti alla sera.

Vivere nel tempoUn atto essenziale di verità è crederedavvero nell’irreversibilità del pro-prio tempo, radicarsi nella realtà piùche nel sogno, accettare che i giornidi una vita sono contati e, da questo,trarre il mandato per un’esistenza si-gnificativa e senza finzioni. Se l’oggiè ciò di cui dispongo, il presente è al-lora il tempo delle scelte, del corag-gio e dell’impegno. Se ci si impegna ad attribuire grandevalore alla quotidianità, intendendoogni momento, non solo quellostraordinario, come l’essenza della vi-ta intera, si può sperare di seguire unapista che sia una progressiva costru-zione di senso e di consapevolezza.L’esortazione di S. Paolo pregate inces-santemente ci invita a chiedere un ac-compagnamento costante affinchéogni istante sia un istante di grazia edi conversione, di veglia e di attesa.Siate pronti.

Il silenzioConfrontarsi con la verità significaanche misurarsi con il proprio limitenel comprendere la vita. Saper con-templare il deserto, dentro e fuori disé, non è soltanto una forma di puri-ficazione e meditazione ma è unapresa di coscienza delle proprie im-possibilità.Il silenzio ed il vuoto che ci accom-pagnano nei momenti più duri, quan-do sfugge la capacità di mettere in fi-la le parole e di portare il peso degliavvenimenti è un silenzio significan-te: ci racconta la nostra incompiutez-za, ci racconta che viviamo in appros-simazione di verità.Accogliere la verità è accettare l’in-comprensibile e tollerare la fatica chequesto comporta. Riconoscere il mi-stero senza la pretesa di dominarlo èun gesto di fede, è riconoscersi piena-mente uomini di fronte a Dio.Per accogliere la verità occorre la-sciarle spazio.

L’uomo sapiente e l’uomo giustoIl libro del Siracide si apre con unversetto molto chiaro: la Sapienzaviene dal Signore, all’uomo sta dun-que riceverne il dono. Interrogarsi su

che cos’è la vita non è compito esclu-sivo di filosofi e sapienti, poiché aquesta domanda ne segue immediata-mente un’altra, fondamentale perchiunque: come vivere?La rotta verso la verità ci chiede una na-vigazione che incontra continue corre-zioni di vento, si compie lungo tutta unavita e per lunghi tratti necessita di uncompleto affidamento: ci è chiesto di vi-vere, conoscendo molto poco la vita.Dunque, l’uomo prima che essere sa-piente è chiamato ad essere giusto, co-lui che, mentre si interroga sul cam-mino delle stelle, sceglie comunque diaffidarsi e di vivere rendendo testimo-nianza a quanto di più nobile c’è inlui: la bontà gratuita ed autentica, ilgesto d’amore che sfugge alla conve-nienza.Dal vivere e dal tempo egli trarrà in-segnamento: l’interrogativo sulla vitatrova risposte nella vita stessa, mentrela ricerca alimenta il valore dato aipropri giorni. Aspettare di comprendere ogni cosa pri-ma di scegliere significa non partire mai.Agire senza lasciarsi interrogare dalla vi-ta è partire senza desiderare una meta.

Davide Magatti

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Tutti sappiamo che è l’amore il moto-re più potente della vita e della vita-lità umana. Lo sappiamo perché l’ab-biamo sperimentato quando abbiamovissuto un forte sentimento versoqualcuno e per questo abbiamo fattocose straordinarie, ma l’abbiamo capi-to anche quando abbiamo provato unavera passione per qualche impegno oqualcosa che sentivamo come unamissione da compiere. Lo sappiamopoi anche perché ci ha convinto e ciscalda il cuore in petto, come ai disce-poli di Emmaus, quanto Gesù ci ha ri-velato sulla natura di Dio e dell’uomoe sul senso della nostra vita. Tutti però

abbiamo anche sperimentato e provia-mo spesso l’incertezza nel capire e sa-per scegliere cosa è veramente amorein molte situazioni della vita quotidia-na e abbiamo sofferto la tristezza peraver sbagliato la scelta in occasioni im-portanti.Come capire, per esempio, se in uncerto momento è vero amore impe-gnarsi nel lavoro o nell’attività creati-va che ci appassiona e ci fa sentire uti-li agli altri, oppure essere vicini al co-niuge o ai figli o ai genitori che han-no bisogno di noi? E poi, è amore ve-ro accettare un figlio che sembra stiaper nascere con un handicap, che sarà

per lui molto penoso, o lo è invece ri-sparmiargli una vita di sofferenze edifficoltà? È amore vero lottare per ot-tenere un figlio a tutti i costi, con tut-ti i mezzi ed a tutte le età, perché cisentiamo chiamati ad occuparci di luie donargli tante cose buone, oppureaccettare serenamente che la Naturasembri negarcelo e dedicarci ad altriimpegni? È amore vero lasciarsi tra-sportare dall’impulso verso rapportisessuali con il fidanzato/a cui ci sen-tiamo tanto legati e che magari ce lochiede con insistenza, o è meglio at-tendere che un legame definitivo sistabilisca fra noi? È amore vero utiliz-zare per la ricerca cellule staminali diembrioni, che vengono così distrutti,per riuscire a curare malattie altri-menti forse impossibili da affrontare,che portano tante sofferenze a chi neè affetto? È amore vero rimanere conun coniuge con cui sembra non ci sicapisca proprio più e con cui sembrasi cerchino solo le occasioni per ferir-si reciprocamente o lo è invece segui-re il cuore che ci batte forte quandoincontriamo un lui o una lei con cuici sentiamo felici e capaci di appassio-narci di nuovo alla vita? È amore veroimpegnarsi e lottare per i deboli e gliemarginati senza nessun compromes-so, magari fino alla violenza, oppure loè riuscire ad amare anche gli oppres-sori e preferire comunque un clima eduna situazione di pace sociale, pur sa-

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Verità e caritàL’intervento di Maurizio Millo affronta il tema dello stretto

legame della vita quotidiana e concreta con la Vocazione

personale e con l’Amore, che ne è il fine ed il motore, purché

si sappia rimanere nella Verità. Se così non fosse, si

falserebbe l’Amore e si tradirebbe la Vocazione.

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pendo che molti ne approfitterannoper sfruttare gli altri? È amore verosopportare un tiranno, oppure, consta-tato che a causa sua non si può neppu-re sperare di realizzare la pace sociale,liberare tutti dalla sua presenza cercan-do di ucciderlo? È amore migliore as-sistere un malato terminale che soffresenza apparente speranza o lo è aiutar-lo a porre termine alle sue fatiche e sof-ferenze con serenità, come magari cichiede insistentemente di fare?

Il legame inscindibile fra amore e veritàSi può continuare a lungo elencandoi nostri dubbi più profondi e ci si puòconfrontare con altri su questi inter-rogativi fino a rimanere stremati econfusi. Si scoprirà intanto che nellavita di ciascuno le risposte profonde aproblemi come quelli accennati nonnascono tanto dalla conoscenza intel-lettuale dei problemi, ma dalla loroconoscenza esistenziale. Dal fatto diaver dovuto incontrare ed attraversarequei problemi e le sofferenze noi per-sonalmente o una persona a noi mol-to cara e vicina. E le soluzioni non sipossano trovare sul terreno tecnico.Tutte queste domande e tante altredelle più gravi che durante la vita ci sipongono, trovano la loro radice nellaricerca della verità sulla vita umana. Laricerca del senso di ogni impegno esoprattutto della sofferenza, perché il

senso della gioia è semplice da trova-re. Scoprire almeno alcune delle ri-sposte significa riuscire a collegare l’a-more con la verità. Non possiamo spe-rare di vivere un amore vero e poter es-sere felici se non riuscendo a com-prendere qual è in verità il senso piùprofondo delle cose che ci danno do-lore o gioia e come si collegano al si-gnificato della nostra vita tutta intera edalla nostra persona nella sua comple-tezza. C’è perciò un legame forte edinscindibile tra amore e verità. San Pao-lo lo ha illuminato quando, nel suo fa-moso inno all’amore, ha detto che “lacarità si rallegra (o anche si compiace)della verità” (1ª Cor 13, 6).Certo fatichiamo a trovare la rispostadi amore nella verità a tante delle do-mande che si affollano nella nostra vi-ta, ma una regola c’è per imboccare lastrada giusta ed arrivare a collegare l’a-more alla verità in modo efficace. Cela indica Marco nel suo Vangelo conun piccolo passaggio che viene pur-troppo normalmente trascurato (Mc12, 29). Quando gli viene chiesto qualè il primo comandamento ed il piùimportante, Gesù risponde non solorinviando alla famosa prescrizione delDeuteronomio (“amerai il SignoreDio tuo…”) e poi collegandola all’a-more per il prossimo, ma lo fa citandoquella prescrizione a cominciare dallasua premessa fondamentale: “AscoltaIsraele!”.

Imparare ad ascoltare è la regola fon-damentale per ricercare la verità. Riu-scire a farlo davvero e con profonditàè la risposta. Non solo udire perciò,ma ascoltare. A partire dalla vita reale.Ciò significa imparare a comprenderedavvero tutta la drammaticità delle si-tuazioni che qualcuno sta vivendo. Si-gnifica imparare a pregare sulla Parolae con la Parola per comprendere co-me mai di fronte al grido di dolore delsuo popolo Dio ha scelto la via miste-riosa di una salvezza così lunga, cosìdiversa da quella che gli uomini com-prenderebbero facilmente e così colle-gata alla vita ed interpretazione di unaistituzione così imperfetta come laChiesa. Soprattutto significa riusciread innestare ed impiantare nel nostroanimo quello che Gesù ci vuole dire,perché solo così potremo scoprire ilsenso profondo delle situazioni con-crete che viviamo e incontriamo. Allafine credo che arriveremo a compren-dere perché Gesù parlando del Regnodi Dio e della sua predicazione fa spes-so esempi collegati all’agricoltura edalla crescita delle piante. In realtà l’a-scolto profondo è un’attività che fasviluppare dentro di noi la Verità co-me fosse una pianta. In un modo chenon avremmo saputo programmare eneppure prevedere prima e di cui nonsappiamo i tempi e gli esiti finali. E dàrisposte che non sono frutto di gran-di e sapienti costruzioni intellettuali,

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anche se l’intelletto può essere moltocoinvolto. Sono frutto dello sviluppodella nostra persona tutta intera se-condo la Parola ascoltata e nella dire-zione che questa indica. E sono fruttodello sviluppo della capacità di sentir-si in comunione con gli altri, a co-minciare da Dio e dalla comunità del-la Chiesa. Così si impara a potenziaree far crescere la nostra persona com-prendendo come l’io cresce collegan-dosi con il noi. Certo tutto ciò è dav-vero andare contro corrente in unmondo in cui l’io ed il noi sembranoopporsi in modo irriducibile tra loro.

La propria vocazione e l’apertura totale agli altri Stiamo vivendo una fase di reazione allungo periodo durante il quale il noinella società e l’aiuto della Chiesa so-no stati presentati e vissuti in modoopprimente rispetto alla singolaritàdella persona e del suo destino indivi-duale, ma questa reazione rischia diamputare in modo brutale e davverotriste la persona del suo destino piùprofondo e del suo sentimento comu-nitario. Una delle cose che appaionopiù chiare nel vangelo di Gesù ed intutte le situazioni dei racconti bibliciè che, mentre tutte le vocazioni sonostrettamente individuali e nascono nelrapporto personale con Dio, rappre-sentano però sempre chiamate ad oc-cuparsi del popolo, di tutti i fratelli. Ed

anche che sono chiamate ad usciredalla propria terra e andare per vie cheil singolo non aveva prima di alloraprevisto, per riuscire a crescere e rea-lizzarsi nella propria umanità integra-le insieme agli altri.Gli scout possono comprendere e rea-lizzare al meglio un progetto del ge-nere. Perché saper ascoltare bene è unacomponente essenziale dell’osserva-zione e deduzione, uno dei fonda-menti dello scauting, e nello stessotempo perché si sono impegnati a vi-vere secondo una legge che in tutti isuoi articoli parla continuamente delrapporto tra la persona singola e gli al-tri proponendo una visione di uomoche si realizza nel vivere al meglio isuoi impegni con gli altri.

Ecco ciò che nasce da un ascoltoprofondo del Dio dei cristiani: fruttiimprevedibili di Amore integrale, fe-dele alla Verità, diverso perciò da unamore solo umano, così facilmente di-storcibile ed oscurabile. Questa è lasintesi tra la realizzazione di sé e il sa-piente riconoscimento che siamocreature e perciò siamo inseriti in unprogetto più grande di noi, nel qualegli obiettivi migliori per noi si rag-giungono seguendo strade che spessosfuggono alla nostra comprensioneimmediata, lasciata a se stessa. Adamoed Eva, per sentirsi realizzati, hannopensato fosse necessario mangiare del-

l’albero della conoscenza del bene edel male e sentirsi come Dio. Da allo-ra questa è la tentazione radicale, checi spinge a voler decidere da soli qualè il bene e come si realizza l’amore,escludendo l’ascolto di Dio. Gesù haspiegato che anche chi vuole studiaree capire la Parola di Dio, senza unascolto vero e profondo, come i fari-sei e gli scribi, finisce per produrreidee e leggi che sono solo frutto dicostruzioni umane sbagliate e portanoad esiti contrari all’amore vero. Chiinvece avrà imboccato la strada dell’a-micizia e del cammino con Gesù e laComunità che Egli ha voluto fondareper aiutarci, imparerà ad ascoltarlolungo il cammino ed a giudicare conLui delle situazioni e delle scelte da fa-re. Troverà la sintesi tra Amore e Veritànella sua vita concreta e riuscirà acomprendere cosa significa “miseri-cordia io voglio e non sacrifici” (Mt12, 7). Non verità astratte e disumane,perciò, ma neppure amore vissuto co-me passione disordinata ed egoistica,invece che indirizzato dalla verità e ri-volto verso la verità. Carità nella veritàdunque. Proprio come il titolo dellapiù recente enciclica di BenedettoXVI, pensata perché evidentementec’è davvero tanto bisogno in questomomento storico di riuscire ad inne-stare la carità nella verità.

Maurizio Millo

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Alla richiesta di Don Chisciotte diconfessare che non ci fosse donzellapiù avvenente di Dulcinea del Tobo-so, uno dei mercanti rispose che nonpoteva pronunciarsi se prima nonavesse potuto verificare di tale bellez-za. Al ché, Don Chisciotte pronta-mente rispose: «Se io ve la mostrassiqual merito sarebbe allora farsi con-fessare una verità così evidente? L’im-portante è questo, che senza, vederla,lo dovete credere, confessare, afferma-re, giurare e sostenere».1 Un dialogoche, con i dovuti adattamenti, avrebbepotuto svolgersi in epoche passate an-che riguardo la verità della Bibbia,quando sui libri dell’Antico e delNuovo Testamento aleggiava una lucedi santità intoccabile, che li rendevainaccessibili all’interpretazione comu-ne. Fu a partire dal XIII secolo che, col

sorgere delle Università, la Sacra Scrit-tura divenne oggetto oltre che di con-templazione monastica anche di stu-dio. Per porre rimedio alle tante e nonsempre conformi interpretazioni chene uscirono, il Concilio di Trento sancìche per indagare il messaggio del te-sto biblico ci si attenesse al “senso let-terale”, e a nessun altro.2 Infrangere laregola poteva costare caro, come si ac-corse Galileo.3 Il problema delle veritàdella Parola di Dio si è reso nuova-mente problematico nel Novecento, amotivo dell’applicazione ai testi bibli-ci dei metodi interpretativi impiegatiper i testi profani. Joseph Ratzinger,allora professore di Dogmatica a Tu-binga, affermava a tal proposito che trale motivazioni che avevano portato ipadri conciliari a pubblicare la Dei Ver-bum (DV), il grande documento del

Concilio Vaticano II sulla Bibbia, viera il: «problema teologico, derivantedall’applicazione dei metodi storici ecritici per l’interpretazione della Scrit-tura».4

Uso da tempo a maneggiare con cri-teri scientifici un qualsiasi testo sim-bolico o letterario, il credente di oggisi chiede con maggior frequenza di ie-ri, come debba intendere il dogmasull’“ispirazione” della Bibbia. In ef-fetti: «Sin dagli inizi la Chiesa trattò eonorò con particolare rispetto leScritture che vennero riunite sotto ununico titolo “la Bibbia”, [e] da alloraha considerato questi libri sacri, cheformano la Sacra Scrittura, come ope-re che contengono la Parola di Dio».Conseguentemente «le ritiene e leutilizza nel loro complesso quale re-gola normativa per la fede e la vita».5

Conoscerne il valore di verità è per-ciò essenziale. Prima di tentare una sortita chiarifica-trice su questo argomento è conve-niente descrivere gli aspetti relativi altema dell’ispirazione della Sacra Scrit-tura. Si tratta in pratica di capire se laBibbia è parola dell’uomo o parola diDio. Diciamo subito che professare ladottrina dell’ispirazione della Bibbia èanzitutto credere nell’origine divinadella Sacra Scrittura. Questo significache «per noi cristiani, i testi della Bib-bia sono insieme parole di autoriumani e lo strumento della Parola di

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La verità per BibbiaLa verità rivelata e l’interpretazione delle scritture:

la riflessione di padre Alessandro, domenicano,

Assistente nazionale dell’Agesci

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Dio. […]. Di conseguenza, se qualcu-no vuole veramente “comprendere” laSacra Scrittura conformemente a ciòche essa è realmente, deve fare un dop-pio sforzo di comprensione: quelloche si impone per qualsiasi testo diletteratura o di storia, e inoltre quelloche cerca di comprendere la Scritturain quanto trasmette la Parola di Dio, laRivelazione».6 Per inciso è bene quiricordare che la Parola di Dio è mol-to di più della Sacra Scrittura. Il 1943 portò con sé l’enciclica Divi-no afflante Spiritu, che fu il primo do-cumento con cui la Chiesa accettòsenza remore l’applicazione del meto-do storico-critico nello studio dellaBibbia, e impose agli esegeti il compi-to «di giungere a discernere e precisa-re quale sia il senso letterale, […] delleparole bibliche».7 L’enciclica invitava,insomma, a ricercare quello che loscrittore sacro ha voluto dire, conside-rato che questa «è la legge supremadell’interpretazione».8 Il metodo stori-co-critico si è reso utile a raggiunge-re una conoscenza obbiettiva del pas-sato, ricercando quante più testimo-nianze utili a definire una realtà uma-na vissuta in un contesto storico egeografico preciso. Tuttavia il metodostorico da solo non è sufficiente e adesso va aggiunto il metodo critico chevaglia l’attendibilità e la portata delletestimonianze raccolte. Il passaggio almetodo storico-critico ha segnato

un’epoca mettendo in sordina il pre-cedentemente metodo “dogmatico”,che si sforzava di provare del tutto a-criticamente la verità dell’assunto ini-ziale. Come si nota entrambi proce-dono alla ricerca della verità rivelata,ma, e la differenza non è di poco con-to, il primo secondo metodi “scienti-fici”, il secondo “dogmatici”.

La chiesa e l’esegesi biblicaOra, accettando il principio che: «sideve fare debita attenzione agli abi-tuali e agli originali modi di intende-re, di esprimersi e di raccontare vi-genti ai tempi dell’agiografo», il Con-cilio Vaticano II precisa che «la SacraScrittura deve essere letta nello stessoSpirito nel quale è stata scritta» (DV,12). Lo Spirito a cui ci si riferisce èovviamente lo Spirito Santo. In so-stanza, il Concilio afferma che: «se èvero che per interpretare la Bibbia bi-sogna tener conto della letteraturaprofana, non si può assolutamente di-menticare [che] anche quando si ser-ve dei modi di espressione correnti aisuoi tempi, lo scrittore sacro li utiliz-za secondo una prospettiva nuova».9

Ossia, una volta che il testo dell’auto-re è assunto nel contesto nuovo dellaSacra Scrittura, esso assume un sensonuovo. La Bibbia, che è dono di Dioalla Chiesa, va perciò interpretata nel-la Chiesa e con la Chiesa. Da questolegame tra Bibbia e Chiesa ne viene:

«che l’interpretazione autentica dellaBibbia è affidata al Magistero dellaChiesa, il quale non è sopra la Paroladi Dio, ma serve ad essa, come custo-de e interprete della verità rivelatacontenuta nella Scrittura».10 C’è poida ricordare che la Scrittura va inter-pretata tenendo conto della tradizioneviva di tutta la Chiesa, e dell’ “analo-gia della fede”, vale a dire del rappor-to che intercorre tra un’affermazionedella Scrittura e le altre verità dellaRivelazione divina (DV 12). Su queste basi è ora utile citare unpasso essenziale della Dei verbum: «Poi-ché dunque tutto ciò che gli autoriispirati o agiografi asseriscono, è da ri-tenersi asserito dallo Spirito Santo, èda professare, di conseguenza, che i li-bri della Sacra Scrittura insegnano concertezza, fedelmente e senza errore laverità che Dio, per la nostra salvezza,volle fosse consegnato nelle Sacre Let-tere» (DV, 11). La Bibbia, dice il Con-cilio, non si pronuncia sulla verità sto-ricità o scientificità di ciò che narra,ma pronuncia la verità che è essenzia-le per la nostra salvezza. La verità del-la Scrittura non è altro che la rivela-zione del disegno salvifico di Dio nel-la storia (DV, 24). Un grande teologocome Henri De Lubac riassumeva coldire che la “verità” della Bibbia puòessere compresa solo quando la Paro-la di Dio è letta nello Spirito Santo.11

L’evangelista Giovanni accenna a que-

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sto Spirito col ricordare che egli ci«insegnerà ogni cosa» (Gv, 14,26), cheè come dire che nella pazienza dellastoria Egli condurrà, tutti e ciascuno,alla verità tutta intera. È allora eviden-te che l’interpretazione della Bibbiasarà un compito senza fine. «Se laScrittura è Parola di Dio in linguaggioumano e tale è per il credente – essapartecipa in qualche misura all’inesau-ribile pienezza di Dio, del mai total-mente sondabile e dicibile Mistero diDio».12 Nonostante la Rivelazione ilDio rivelato rimane pur sempre unDeus absconditus, per dirla con Pascal,per cui la comprensione della sua pa-rola ci troverà sempre in cammino, uncammino che terminerà soltanto conla visione beatifica in Paradiso. Vorrei allora concludere col ricordodella traduzione di un antico indovi-nello eseguita da un grande criticoletterario. L’indovinello recita: «un ne-mico mi tose la vita, mi privò della suaforma, mi immerse nell’acqua, e quin-di mi ritirò fuori per pormi al sole,dove ben presto persi tutti i capelli».13

Se si pensa che i monaci preparavanole pagine dei loro libri ricorrendo apelli di pecora, la soluzione non può

essere che il libro. Si può però sup-porre nell’indovinello un rimando al-la rasatura di Sansone, descritta nel li-bro biblico dei Giudici (Gdc 16,17-22). Ecco, togliere alla Bibbia il dove-re dell’interpretazione, è come rasare icapelli di Sansone, è privarla della suaforza vitale e avviarla all’impotenzanei confronti della nostra salvezza.

p. Alessandro Salucci, op

1 Cervantes, Miguel, Don Chisciotte dellaMancia, I,4.

2 Per uno studio dettagliato sui “sensi”della Scrittura: De Lubac, Henri, Esege-si medioevale, 4 voll., Jaca Book, Milano,2006.

3 Per un approfondimento mi permettodi rinviare a: Salucci, Alessandro, La me-tafora del libro della natura in Galileo Ga-lilei, in Angelicum 83 (2006), pp. 327-375, in particolare pp. 342-350.

4 Ratzinger, Joseph, Dogmatische Konsti-tution über die göttliche Offenbarung. Ein-leitung, in: Lexicon für Theologie und Kir-che. Das zweite Vatikanische Konzil, 3voll. Herder, Freiburg im Breisgau,1967, 2 vol., pp. 498 -503, citaz. p. 499.

5 Schurr, Victor – Häring, Bernard,

Aspetti dell’odierna esegesi, Edizioni Pao-line, 1969, p. 83.

6 De la Potterie, Ignace, L’esegesi biblica.Scienza e fede, in AA.VV., L’esegesi cri-stiane oggi, Piemme, Casale Monferrato(AL), 1991, pp. 127-165, citaz. p. 132.Corsivo nel testo.

7 Divino afflante Spiritu, in: Enchiridion Bi-blicum, Documenti della Chiesa sulleSacre Scritture, EDB, Bologna, 1993, §550.

8 Divino afflante Spiritu § 557.9 De la Potterie, Ignace, L’esegesi biblica.

Scienza e fede, in AA.VV., L’esegesi cri-stiane oggi, Piemme, Casale Monferrato(AL), 1991, pp. 127-165, citaz. p. 134.

10 Martini, Carlo Maria, Il mistero dellaScrittura, in Martini, C.M. - Pacomio,L., I libri di Dio. Introduzione generale al-la Sacra Scrittura, Marietti, 1975, pp.322-333, citaz. p. 333.

11 Cfr. De Lubac, Henri, La Révelation di-vine, Cerf, Paris, 19833, p. 162.

12 Mannucci, Valerio, Bibbia come Parola diDio. Introduzione generale alla Sacra Scrit-tura, Queriniana, Brescia, 199011, p.351.

13 Frye, Northorp, Il Grande Codice. LaBibbia e la letteratura, Einaudi, Torino,1986, p. 296.

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È singolare come proprio davanti a Pi-lato Gesù si manifesti come “colui cheè nato ed è venuto nel mondo perrendere testimonianza alla verità” (Gv.18, 37). Perché dico che è ‘singolare’questa sua qualifica?Pilato infatti risulta un contraddittorioimpasto di onestà e debolezza, di luci-dità e paura. Soprattutto Luca ci offreuna immagine non del tutto negativadi Pilato. Dice infatti a coloro che glihanno consegnato Gesù: “Voi lo accu-sate di molte colpe ma io non trovo inlui alcuna colpa”. E infatti decide difarlo frustare e poi lasciarlo libero: in-somma, una piccola punizione e basta.Ancora gli Evangeli annotano che Pi-lato sapeva bene che i Capi ce l’ave-vano con Gesù per invidia non perchéfosse davvero colpevole. E per questo

propone, ingenuamente, lo scambiocon Barabba. Evidentemente nonpensava che la folla avrebbe preferitoBarabba. Non siamo di fronte ad unuomo perverso, incapace di distingue-re la colpa dall’innocenza. Eppure. Pi-lato, annota Marco, non vuole scon-tentare la folla, una folla che gridasempre più forte, che sale verso il suopalazzo e che poteva provocare tu-multo. Pilato è un pauroso: teme lafolla, teme d’essere giudicato un fun-zionario debole. Infatti i capi del po-polo lo minacciano: “Se liberi Gesùnon sei fedele all’Imperatore”. C’è unbreve dialogo tra Gesù e Pilato che il-lumina questo personaggio. A Gesùche afferma d’essere venuto nel mon-do per testimoniare la verità, Pilato re-plica “Che cos’è la verità?”. Possiamo

dire che quest’uomo è uno scettico,dubita della verità e quindi non ritie-ne che si debba prendere posizioneper la verità. Pilato è persuaso dell’in-nocenza di Gesù, dovrebbe quindibattersi per difendere l’innocente in-giustamente accusato, arriva anche adaffermarlo. Anzi è consapevole d’ave-re il potere di liberare o condannare,ma non usa questo suo potere. Teme lafolla, teme d’esser messo in cattiva lu-ce presso i suoi Capi e se ne lava lemani. Pilato ha la certezza dell’ inno-cenza di Gesù, ha di fronte a sé unavittima; dovrebbe prenderne le difesecome è compito di chi amministra lalegge. Eppure non è capace di schie-rarsi, davvero troppo rischioso per luiprendere posizione per la vittima in-nocente: meglio lavarsene le mani. Oforse è persuaso, come dice, che non èimportante stabilire la verità e quindiprendere posizione. Eppure Pilato hadavanti a sé Colui che è la verità mapur riconoscendolo non si compro-mette con la verità.

La verità è Gesù; lo Spirito della veritàNel Nuovo Testamento la verità è an-zitutto una persona, non una proposi-zione. Fin dal Prologo del suo vange-lo Giovanni afferma che la Parola fat-ta carne manifesta la gloria di Dio per-ché è pieno di grazia e di verità (1,14).E subito aggiunge che attraverso Ge-

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La verità e le veritàGesù e il suo Vangelo, sono il riferimento assoluto.

Questa è la Verità che dà un senso autentico

a tutte le cose, a tutti i comportamenti, a tutte le scelte.

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ideale, una mèta, un traguardo. Chi simette in cammino di ricerca non bi-ghellona senza mèta, senza saper doveandare. Chi cerca non può essere unoscettico. Chi cammina accanto alloSpirito cammina verso la veritàtutt’intera, va alla ricerca di un sensoper il quale valga la pena di vivere. L’e-sistenza non è quindi per chi cammi-na al passo dello Spirito un andare acasaccio, un vivere alla giornata senzascopo, senza una ragione. E ancora, fa-re strada vuol dire mettere un piededopo l’altro, avere la pazienza di rag-giungere il termine con la fatica ditanti passi. Vuol dire accettare la pa-ziente fatica che non sfrutta scorcia-toie ma rispetta ogni pur piccolo pas-so. Chi camminando ricerca con pa-zienza, impara a valorizzare ogni piùmodesto frammento di verità. Comeogni passo pur piccolo e faticoso ciporta sempre più vicini alla mèta, co-sì nella ricerca della verità sappiamoritrovare in ogni parola, un barlume diluce. Il camminatore non è fanatico,non ha l’impazienza di chi pretendetutto e subito. Nessuno di noi è giànella pienezza della verità. Dovremmoesser tutti dei ‘mendicanti’ della verità.Proprio la compagnia dello Spirito cirende consapevoli di ciò che non sia-mo, di ciò che non sappiamo. Cam-miniamo verso la pienezza della ve-rità. Che non è tanto accumulo esau-stivo di nozioni ma adesione piena a

verbo assai significativo. Dice Gesù:“Lo Spirito della verità vi condurràalla verità tutta intera”(Gv 16,13). LoSpirito vi condurrà. Altre traduzionidicono: vi guiderà. Traduzioni che nonrestituiscono adeguatamente la parolaadoperata da Gesù anzi un poco latradiscono conferendole un tono qua-si autoritario. Gesù dice invece: LoSpirito farà strada con voi. Il verboadoperato da Gesù racchiude proprioil termine strada.

Lo Spirito cammina con noiConfesso che questa parola mi incan-ta. Lo Spirito di Gesù farà strada connoi, metterà i suoi piedi accanto ai no-stri, sulla nostra stessa strada, sarà il no-stro compagno di viaggio. Lo Spiritoè un grande camminatore. Da sempre.Ha camminato alla destra di Mosè percondurre il popolo verso la terra pro-messa (Is 64, 11ss.) e in quel cammi-no non inciamparono (13b). Lo Spiri-to ha accompagnato tutti i passi diGesù, fino a Gerusalemme, il luogodel dono definitivo di sé. La presenzadello Spirito di Gesù che fa strada connoi, fa quindi di noi dei camminato-ri. È camminatore colui che cerca, chenon si considera già arrivato e quindiinstallato nelle sue sicurezze. Lo Spiri-to non è sedentario ma è principio diinsonne ricerca, di santa inquietudine.Ancora: camminare, andare in cercadi… vuol dire avere davanti a sé un

sù ci è stata data grazia e verità.Per comprendere questa identificazio-ne, per noi piuttosto insolita, tra la ve-rità e una persona, la persona di Gesù,può esser utile ricordare che veritànella lingua greca si dice aletheia.Questo termine alla lettera vuol diresvelamento, toglimento del velo, di ciòche occulta, nasconde. Sempre l’evan-gelista Giovanni scrive: “Dio nessunolo ha mai visto ma il Figlio che è nelseno del Padre ce lo ha narrato”. Nel-l’uomo Gesù è davvero tolto il veloche occulta il volto di Dio, per questoGesù è la verità, perché in lui, nella suapersona, nella sua vita e nella sua pa-rola Dio si è definitivamente rivelato,meglio svelato. Per questo Gesù potràarrivare a dire di sé: “Sono io la via laverità e la vita”(Gv 14,6). L’evange-lo ci propone un modo di guardare laverità non meramente intellettualisti-co: la verità è una persona, quella per-sona che rivela pienamente Dio. An-cora l’evangelo di Giovanni sottolineail carattere non meramente conosciti-vo e intellettuale della verità con talu-ne espressioni che legano la verità conl’agire, il fare: “Chi fa la verità vienealla luce” (Gv 3,21) e anche Paolo:“Fare la verità nella carità” (Ef 4,15).Ma non solo Gesù è la verità, anche loSpirito, lo Spirito da Lui promesso edonato ai discepoli, è Spirito di verità.E quando Gesù rivela questa presen-za dello Spirito lo fa adoperando un

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mo nei primi secoli i Simboli della fe-de, diverse formulazioni del contenu-to della fede nel tentativo di evitareriduzioni o alterazioni del contenutodella fede nella verità che è Gesù.Dalla verità che è Gesù stesso alle for-mule delle verità di fede che tentanodi fissare l’esperienza indicibile diquanti hanno riconosciuto in Gesù diNazareth la verità. È il suo Spirito afare strada con noi, passo dopo passo,fino a Colui che è la pienezza dellaverità.

Giuseppe Grampa

Una di queste formule troviamo nellaseconda lettera a Timoteo: “Ricordatidi Gesù Cristo: è risorto dai morti,della discendenza di Davide secondo ilmio evangelo”(2, 8) Formula brevissi-ma che racchiude due verità essenzia-li: la discendenza davidica di Gesù e lasua risurrezione. Ancora Giovanninella sua seconda lettera mette inguardia nei confronti di quanti nega-no che Gesù sia venuto nella carne,costoro sono seduttori e anticristi.Proprio il diffondersi di errori circa laverità di Gesù determina le prime for-mulazioni delle verità della fede. Avre-

Colui che è la verità. Lo Spirito diGesù fa strada con noi perché giun-giamo a riconoscere che “Tutto ab-biamo in Cristo, tutto è Cristo pernoi”. Questa parola evangelica ci met-te in guardia dalla pretesa fanatica didisporre già qui e ora della pienezzadella verità. E, infine, dalla verità alle verità, alleparole, alle formule che tentano diesprimere la verità. Già nella primacomunità cristiana si manifesta il biso-gno di tradurre in formule la verità in-contrata nella persona di Gesù, il biso-gno di ‘formule di verità della fede’.

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ne non può sfuggire un primo datofondamentale: il semplice meccanismodella verità è ineludibile: è una parteessenziale dell’esistenza umana, comel’aria che si respira ed il cibo che ali-menta. Il meccanismo della veritàconsente di vivere, perché la nostra vi-ta è un continuo processo di adatta-mento e la dimostrazione che siamocapaci di verità è data dal fatto cheriusciamo a sopravvivere.Per questo il bimbo ha paura del buioed ha ragione. Nel buio ci può esseredi tutto, perché il buio è l’ignoto edimpedisce il meccanismo della verità.Il bimbo sa benissimo che, se nellacantina nera come il fondo di un poz-zo c’è una voragine, un serial killer oun drago, per lui è finita, perché nonriuscirà ad evitarli o a difendersi; perquesto non vuol sentire ragioni es’impunta sulla porta della cantina. Edil padre, che insiste perché entri, ha unbel alzar la voce ed agitarsi e ripetereche i draghi non esistono, che l’allar-me perimetrale è attivo attorno allacasa e non fa passare una mosca e chesotto la cantina sono stati fatti caro-taggi geologici, che hanno dimostratoche quel terreno potrebbe sostenereun grattacielo, il bimbo non si muove.E quando il padre, completamentespazientito, entra con foga nella canti-na e finisce all’ospedale per essere in-ciampato su un sacco di patate lascia-to in terra, dimostra, sulla propria pel-

Contro la cattiva verità

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sono in ritardo”, “È vero che esistono ileoni”…. oppure ad esplodere, con ap-parizioni infuocate e tempestose, incontesti generalmente conflittuali edinconcludenti. Grazie a queste appari-zioni, una volta placate le acque e sva-niti gli “È vero!”, “Non è vero!”, atto-ri e spettatori si sono convinti semprepiù che la verità, se c’è, è equivoca epericolosa.Questa, però, è una storia recente emolto superficiale. Recente, perché ilculto del dubbio è uscito dai cenacoliintellettuali ed è diventato costume dimassa solo dall’inizio del secolo scorso,superficiale, perché si accontenta delleaffermazioni correnti e non guarda alcuore delle cose ed allo spessore delleloro manifestazioni.

Il semplice meccanismo della verità è ineludibileA chi guarda ed ascolta con attenzio-

La verità è una sola, ma in circolazionene troviamo due: una buona ed una cat-tiva. Evidentemente una delle due (lacattiva o la buona) è un impostore, unsosia che, spacciandosi proditoriamenteper l’altra, produce situazioni equivo-che, aggressioni, danni d’immagine.In molti, vista la confusione, hanno de-ciso di lasciar perdere, di girare alla lar-ga e di concludere che, buona o catti-va, la verità non è mai esistita. Bollatacome credenza infantile o ingenua (chespesso è un’espressione educata per di-re “superficiale e stupida”) la verità èstata sostituita con l’opinione, che è ap-parsa subito molto più simpatica, conminori pretese, minor superbia e, so-prattutto, incapace d’infastidire il pros-simo. Ma la verità, o il suo sosia, ben-ché pesantemente screditata, ha conti-nuato a fare alcuni lavori di bassa ma-novalanza del tipo “È vero che ti han-no dato una multa?”, “Non è vero che

La verità è buona quando rispetta la complessità ed il

divenire, perché la realtà è complessa e diveniente.

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complicazione dei suoi meccanismi, lalogica dei suoi movimenti, gli accordisociali che hanno consentito la defini-zione dei secondi, dei minuti, delle oresono racchiusi in quell’oggetto e necostituiscono la “vera” verità. Così peril fiore, anzi, molto, molto di più, per-ché il fiore, oltre alla complessità del-la sua composizione subatomica, ato-mica, molecolare, fisiologica, vegetale,ecc.…nasce, si sviluppa e muore, cioèdiviene, non diversamente dall’orolo-gio, ma in modo certamente più vi-stoso e complesso. Gli esempi si po-trebbero moltiplicare e la conclusionesarebbe sempre la stessa: la realtà ècomplessa, la realtà diviene ed il fin-gere che non sia così conduce a risul-tati paradossali, ridicoli o tragicamen-te pericolosi. Tutti sappiamo che lacarta d’identità, il curriculum vitae egli esiti del check up medico non so-no la nostra identità e nessuno sareb-be disposto a sostenere che il rappor-to esistenziale con una persona equi-vale al rapporto con l’insieme di que-sti dati, ancorché altamente scientifici.Ma in moltissimi, anzi troppi, quandoparlano della verità o difendono la ve-rità ne stravolgono la natura e costrui-scono formule che, chiuse nella loroastrattezza, incapaci di significare l’au-tentica apertura di ogni buona ve-rità, uccidono, paradossalmente, il ger-me di verità che esisteva anche inquelle enunciazioni.

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Buono e cattivo uso della veritàLa verità, lo abbiamo detto, è l’unicapremessa possibile per l’azione, ma sela verità buona è quella che parla didivenire e di complessità, non è piùpossibile, come non lo è mai stato, di-stinguere un’etica della convinzioneda un’etica della responsabilità. O laconvinzione, i principi, i “valori nonnegoziabili” sono veri, cioè indissolu-bilmente legati all’assunzione delle lo-ro premesse, dei loro effetti, di ogni lo-ro possibile ripercussione, o sono for-mule astratte, assunte per superficialità,pigrizia, interesse, paura, tradizione, mainevitabilmente avulse dalla verità.L’equivoco si è chiarito: non esiste unaverità buona ed una verità cattiva, maun cattivo uso di quelle verità, cheavrebbero potuto essere buone, mache sono state snaturate.Quando una verità non può esprime-re la propria intrinseca forza, la pro-pria naturale apertura alla comples-sità ed al divenire, quando una veritàè costretta a piegarsi ed a rinchiuder-si nell’imposizione autoritaria, nel-l’immobile dogmatismo, allora quellaverità è già morta, si è già trasformatanel suo opposto ed è divenuta men-zogna. Perché la verità, che è una eche è sempre la stessa, non è unamummia, un morto cadavere, ma è ilvivente per eccellenza.

Gian Maria Zanoni

le, che la verità è essenziale e che puòessere buona o cattiva. Perché il padre,che si attiene correttamente ad unaverità sperimentale (è entrato un mi-lione di volte nella cantina al buio ela cantina è un posto sicuro come for-te Knox), non ha considerato adegua-tamente il fatto che la verità speri-mentale è astratta, che tende a blocca-re il continuo fluire della realtà, dan-done un quadro schematico e parzia-le1. Questo non significa che i draghiabbiano un’esistenza fisica o che i sac-chi di patate camminino, che la scien-za geologica non serva o che i sistemidi allarme siano completamente inu-tili; questo significa solo che la veritàè buona quando rispetta la complessitàed il divenire, perché la realtà è com-plessa e diveniente.

Buona e cattiva veritàQuando la verità è cattiva? Quandorinuncia alla propria natura, che è ap-punto quella di presentare all’uomociò che veramente costituisce l’oggettodel suo pensiero. In pratica quando,fermandosi, finge di aver concluso.Chiunque sa distinguere un orologioda un fiore, e chiunque è nella veritàquando chiama orologio l’orologio efiore il fiore. Ma questa è una veritàbuona solo se, contemporaneamente,ricorda che la verità dell’orologio è mol-to più complessa di quanto possa su-perficialmente apparire, perché la

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Ci siamo ritrovati provocati dal titolo“Verità scientifica” con il piacere di ri-pensare ad un percorso professionale acui certamente abbiamo dedicatomolte energie della nostra vita. Forsecon un po’ di nostalgia per gli annidella gioventù e della spensieratezza,ma vecchi no, pronti per “habitus”mentale a ri-partire domani mattinaper nuove terre, nuovi laboratori, nuo-ve domande, in una parola non ci sen-tiamo due ricercatori “arrivati” e pas-sati di moda.

Ricercatori sempre! Perché così de-cidemmo 30 anni fa quando sce-gliemmo di frequentare per anni atempo pieno un laboratorio in un Isti-

tuto di ricerche subito dopo aver con-seguito la laurea in medicina e perchéquesto “imprinting” ci è rimasto den-tro e ha caratterizzato fin qui tutta lanostra attività scientifica clinica e non.Ricercatori non per spocchia o im-modestia, consapevoli di tutte le ten-tazioni che anche il “sapere” porta consé. Ricercatori che fanno ricercascientifica e pubblicano in modo con-sistente negli anni (tanti anni) sulle piùprestigiose riviste scientifiche interna-zionali e hanno prima fatto i borsisti-apprendisti, poi i borsisti più senior eindipendenti, poi a capi unità, poi i ca-pi laboratorio (sempre con posizioniprecarie) poi hanno diretto laborato-rio in Paesi diversi, poi hanno trovato

fondi per mantenere la loro ricerca eil loro personale, poi vengono invitatia parlare a congressi scientifici piccolie grandi in tutti i Paesi del mondo eche possono essere tentati dal definir-si scienziati, uomini di scienza, dellascienza per come oggi la intendiamo,la definiamo, la collochiamo nel pano-rama delle attività umane.

Ecco, questo iter ci è comune e il suosubstrato è aver imparato la metodo-logia scientifica, il metodo scientifico,che è poi qualcosa che ti resta sempredentro e che finisci con l’applicarequando ti occupi di un esperimentoin laboratorio o quando sei in unariunione di condominio, quel metodoche, appunto, viene appreso per osmo-si facendo ricerca e guardando giornodopo giorno quelli più bravi di te epoi ti assicura, si dice, si diceva, è unmetodo per conoscere la verità dellecose.Di alcune cose non parleremo, perchéaltri lo hanno fatto e lo faranno mol-to meglio di noi come, per esempio,ripercorrere la storia del pensieroscientifico, della filosofia, il metodo in-duttivo, il metodo deduttivo, il crite-rio popperiano di falsificabilità, tantebellissime riflessioni sul metodo mache non ci vedono esperti se non in-direttamente quali protagonisti testi-moni: in generale siamo stati e restia-mo convinti che il metodo scientifico

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L’uomo di scienza e la verità

All’“è scientificamente provato” bisogna aggiungere “fino a

oggi, domani non si sa”. La verità scientifica è in continua

evoluzione e occorre un metodo per continuare a (ri)cercarla.

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consistendo da una parte nella raccol-ta delle evidenze empiriche e misura-bili attraverso l’osservazione e l’espe-rimento e dall’altra nella formulazio-ne di ipotesi e teorie più generali dasottoporre al vaglio dell’esperimentoper testarne l’efficacia costituisce unprocesso rigoroso e intrinsecamentecumulativo, che la riproducibilità deirisultati ottenuti da parte di altrigruppi e sperimentatori è parte fon-damentale di questa rigorosità, che ilraggiungimento della significativitàmatematico statistica è spesso parteintegrante di queste conoscenze, eche, soprattutto, questa strada dellaconoscenza è libera e democratica,non dipende dal pensiero di autoritàesterne, vive di un costante spiritocritico sui risultati e le conoscenzeaccumulate da sottoporre sempre alvaglio sperimentale e, non ammetteragioni causali esterne alla natura del-le cose, ma le cerca all’interno dellecose stesse, ed è nato in società aper-te democratiche e critiche e paralle-lamente è spesso degenerato e mortoin società chiuse autoreferenziali esuccubi di pensieri “superiori”.

L’altro di cui non parleremo è tuttoquello che per definizione a priorinega la verità: i dati falsificati da ri-cercatori consapevoli dell’inganno, o“aggiustati” a posteriori per facilitareun interesse economico finanziario, o

deliberatamente alterati per consegui-re carriere, riconoscimenti, premi,tutto questo non fa parte della scien-za, non fa parte dell’etica giusta, nonci interessa come oggetto di discus-sione qui in merito al conseguimen-to della verità.

Metodo scientifico e verità in evoluzioneAltro ci interessa e ci appassiona: ilmetodo scientifico che abbiamo ap-preso e applicato in questi trenta an-ni ci ha permesso di giungere alla ve-rità delle cose di cui ci siamo interes-sati, che abbiamo studiato?E allora abbiamo voluto ripercorrereall’indietro una parte del film dellanostra vita scientifica e siamo tornatialla metà degli ani 80, entrambi in duesplendidi laboratori degli Stati Uniti,entrambi ai vertici della capacità tec-nologica e conoscitiva del momentoin biologia e medicina: avevamo en-trambi lavorato su alcuni geni, dettooncogeni ed eravamo (siamo ancora)molto orgogliosi di aver contribuitonella nostra piccola parte a scoprire al-cune verità degli oncogeni: geni che,se alterati nella loro sequenza a causadi mutazioni, per esempio indotte dal-la esposizione ambientale ad un agen-te carcinogenico, erano “necessari esufficienti” a trasformare una cellulanormale in una cellula tumorale. Laverità che ci siamo raccontati e che

abbiamo raccontato era fondata su da-ti che sembravano descrivere un pun-to di arrivo: un gene (un segmento diDNA) si trascrive in una molecola diRNA e questa si traduce in una pro-teina; quando in una cellula un genedi questa particolare categoria (gli on-cogeni, appunto) viene alterato nellasua struttura, anche solo mediante unamutazione puntiforme in una sola let-tera della sua sequenza, può produrreuna proteina mutata che è necessariae sufficiente, una volta espressa, a tra-sformare una cellule normale in unacellula tumorale. Questa verità ha retto alle verità suc-cessive? Ebbene no, non era la verità,era solo la verità raggiungibile allora,oggi sappiamo molto di più di fatti al-lora inimmaginabili e, pur sempre se-guendo il metodo scientifico e accu-mulandosi evidenze su evidenze, noioggi sappiamo che la verità di come fauna cellula normale a diventare tumo-rale è ancora in gran parte sconosciu-ta, ma soprattutto quella verità eratroppo riduttiva, troppo semplice.

E allora vediamole alcune di questeverità successive:1) Quando è diventato possibile deci-frare la sequenza completa del geno-ma di una cellula tumorale ci si è ac-corti che nel suo DNA ci sono mol-tissime mutazioni in molti geni diver-si e molte in geni cruciali e forse ca-

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paci di agire da oncogeni: dunque nonun gene può bastare (anche se posso-no esservi eccezioni) ma l’accumulo(forse contemporaneo? o sequenziale?lento o rapido?) di molte diverse mu-tazioni genetiche sono dentro il DNAdi ogni cellula tumorale.

2) Quando tutto il genoma umano èstato sequenziato e, per “controllo”, èstato sequenziato tutto il genoma diuno scimpanzé ci si è accorti che era-no identici per il 99.8 % per quelloche riguardava i geni veri e propricioè le regioni “codificanti”! E comepossiamo spiegare le differenze, anchequelle più banali che qualsiasi bambi-no osserva quando vede un simpaticoscimpanzé sorridergli in uno zoo macerto non lo confonde con un fratel-lino se quasi tutto il DNA è uguale tranoi? La verità “DNA diventa RNAdiventa proteine” e le proteine deter-minano quello che siamo è ancora unaverità? E qui ci sono voluti molti an-ni di studio di centinaia di laboratoriper scoprire che i geni non sono chemeno del 5% del DNA, ovvero la stra-grande maggioranza del DNA non è

fatta da geni ma da lunghissime se-quenze sul cui significato, si inizia so-lo adesso a capire di più. Una prima risposta è venuta quandoabbiamo capito che ogni gene è cir-condato da enormi tratti di DNA conattività regolatoria sul tempo e sulluogo della espressione di quel gene. Ilfascino tremendo di tutto questo è chequelle sequenze che entrambi da ra-gazzi avevamo in buona fede ritenutefacenti parti del cosiddetto DNA“spazzatura” il DNA cioè che non eraparte integrante dei geni veri e propri:quella dunque fu la verità solo (!) peruna decina di anni.

3) È solo da alcuni anni che anchequesta verità è sottoposta al vaglio cri-tico di un’altra verità ancora più nuo-va e sconvolgente, specie per noi nonpiù giovani ricercatori ma ormai uo-mini di “mezza età”: e se il codice ge-netico non fosse più il solo codicepossibile presente nel DNA?

Al momento in cui stiamo seduti at-torno al tavolo per finire questo arti-colo, noi stessi ancora non compren-

diamo bene la profondità, i dettagli, leprospettive, le criticità di queste nuo-ve osservazioni e il tutto ci dà ancheun senso di smarrimento, di apparte-nenza a un mondo vecchio, di smarri-mento per non aver saputo/potuto se-guire sempre tutto quello che vienepubblicato anche ai livelli più alti del-la comunicazione scientifica, ma cre-diamo il bello della scienza sia proprioqui, in questo stupirci che abbiamosempre avuto e sempre avremo perchéfa parte del metodo scientifico stessodi sentirci superati ogni giorno da“nuove” verità, scavalcati da nuoveipotesi: e se il vecchio codice geneti-co delle triplette con le quattro basiATCG “saltasse” e questo nuovo lin-guaggio fatto dalla competizione diRNA trascritti ma non tradotti fossepiù importante per la determinazionedi quello che una cellula, un organi-smo finale diventa?Ancora verità parziali che invitanosempre a guardare oltre! Forse un pa-radigma per non vivere di dogmatismio di verità predefinite.

Martino Introna, Andrea Biondi

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Ciao piccola Aurora,perdonami se questa lettera ti appariràincerta e un po’ confusa. Mi trovo ascriverti in uno spazio ristretto con unmozzicone di matita che avevo nasco-sto nella scarpa destra. La carta è quel-la che è... un vecchio giornale ingial-lito che ho trovato in parlatorio. Leg-go a fatica la data sul bordo: 22 no-vembre 2011. Sembra passato un se-colo (in realtà molto meno). A quel-l’epoca, ti sembrerà strano, ogni mat-tina ci si recava, prima di andare a la-vorare, ad un’edicola, dove erano im-pilate colonne di giornali dalle testatepiù fantasiose: la Gazzetta, Il Fatto, ilFoglio, il Sole, La Voce... C’era unCorriere che si chiamava “della sera”

ma usciva la mattina e nessuno si do-mandava il perché. Quella piccola stra-nezza cominciava ad abituarci al fattoche non sempre ciò che leggevamo suigiornali corrispondeva alla verità. Ri-cordo che mi piaceva sostare davantiall’edicola, guardare di soppiatto i ti-toli cubitali che davano le notizie.Quando pioveva l’edicolante stendevaun foglio di plastica trasparente perproteggere i fogli. Era un gesto com-muovente e pieno di tenerezza: sem-brava una mamma che stende la co-perta sui figli quando fanno la nanna.Mi piaceva guardare i giornali, sentirel’odore della carta, stupirmi dell’in-ventiva dei cronisti che sapevano pre-sentare fatti apparentemente insulsi

come novità straordinarie. A queltempo, non ci crederai, c’era una mol-titudine di partiti, di fazioni, di tifose-rie. Inizialmente ciascuna promuovevauna diversa idea del futuro e della so-cietà contrapponendosi all’idea deglialtri. Poi le idee sul futuro andaronosvaporandosi e rimase solo la contrap-posizione, la polemica, persino l’insul-to. I giornali che dovevano portare lenotizie divennero strumenti per ca-nalizzare esclusivamente le opinioni.Fu quello il momento in cui cambia-rono le cose: dapprima i commentidegli opinionisti servivano ad illustra-re i fatti, consentivano di compren-derli nella loro giusta prospettiva. Ilcommento era al servizio della notizia.Poi, poco a poco, avvenne un capo-volgimento: furono le notizie ad esse-re utilizzate a sostegno del commen-to. Quelle utili per dimostrare unacerta tesi venivano selezionate, enfa-tizzate, imbellettate; quelle che utilinon erano venivano scartate, nascoste,persino negate. La cosa inizialmenteappariva evidente e quasi divertente:sembrava un gioco, come il nascondi-no: mostrare, nascondere: tutto era le-cito pur di fare tana. Poi, dopo un po’,nessuno riuscì a distinguere quando sitrattava di un gioco e quando no. Lamanipolazione dei fatti divenne unapratica consueta, abituale, sistematica.La pretesa di alcuni di sostenere cheun fatto era vero e che un altro era fal-

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2 + 2 = 5(lettera all’Aurora che attendo)

Il potere, la falsità, la verità, la libertà:

sono i temi che attraversano il racconto di Roberto,

scritto con la forma della lettera

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so venne guardata con sospetto e concrescente insofferenza. Chi erano co-storo per pretendere di conoscere l’e-sattezza dei fatti? Con quale arrogan-za essi intendevano imporre la loroverità a quella degli altri?Anche i mi-gliori tra i cittadini furono presi dal fa-stidio per tutto ciò che non veniva ac-compagnato dal dubbio, dalla sospen-sione del giudizio, da una prudente re-lativizzazione. La maggior parte peròera indifferente, la verità di un princi-pio stando sempre più nella utilità pra-tica che ciascuno sperava di ricavarne. Avvenne poi che non ci furono più leparole per dirlo, perchè quelle che unavolta avevano un significato poco pervolta lo avevano perduto ed era statoloro attribuito uno diverso, imbastar-dito, a volte persino opposto. Si grida-va “giustizia giusta!” ma ciò significa-va intimidazione, si invocava “libertà”ma si intendeva “impunità”. Si diceva“pace” ma si intendeva guerra preven-tiva. Il linguaggio, la parola erano tra-diti e così la verità che essi esprimeva-no.Quando ero piccolo mi alzavo prestola mattina e andavo al mare per guar-dare sorgere il sole. La sua forza si spri-gionava inizialmente con una lungastriscia rossa all’orizzonte che spinge-va più in là la notte nel remoto uni-verso. Ho sempre temuto l’oscurità eattendevo l’apparire del disco d’orocome la manifestazione di un salvato-

re. Il sole giallo sorgeva e dissolveva lemie paure. Lo contemplavo fino aquando la sua luce diveniva così forteda dover abbassare lo sguardo. Torna-vo allora a casa tutto contento, fi-schiettando e saltando con un piede diqua e uno di là. Man mano che cre-scevo quel sole era stato sostituito daalcune parole maestre che avevo ap-preso al catechismo: “Non dire falsa te-stimonianza”. C’erano state poi le pa-role che il mio Capo Reparto ripete-va quando giocavamo a scalpo: “Loscout è leale”. Esse guidavano e indiriz-zavano i miei passi. Non pretendevo diconoscere la verità così come non riu-scivo a guardare il sole con gli occhima cercavo la sua luce. Vedi carissima Aurora, quei giorni di-vennero ad un tratto lontani. Ho giàdetto di come ciò avvenne a poco apoco, senza che forse ce ne accorges-simo. Era come se una nebbia avesseavvolto la città. La luce del sole erapersa, le figure divenute grigie e spes-so indistinte. Cominciai a svegliarmila notte di soprassalto preso da cattivipensieri. La luce si era ammalata, la ve-rità si era ammalata. Nessuno più cre-deva né all’una né all’altra. Parlavo conle persone, anche le più amate e le lo-ro parole sembravano incerte, le frasimonche, i veri pensieri altrove. La ve-rità delle nostre relazioni, dei nostrisentimenti mi sembrò ad un trattodubbia, la fiducia mal riposta, ogni

certezza infranta. Mi sembrava di cam-minare in una zona remota della città,piena di ombre minacciose, di cupeciminiere, su enormi tapis roulant pri-vi di sostegno, come dei sottili pontitibetani che affondavano e rimbalza-vano tra le sponde avvolte dalla neb-bia. La verità si è ammalata, dicevo trame e con essa si è ammalata l’amici-zia, la speranza, la rabbia, l’amore...Il Nuovo Governo non sembravapreoccupato anzi ebbi fin dall’iniziol’impressione che in qualche modoincentivasse questo sentimento di di-sorientamento. Molte iniziative ven-nero avviate per suggerire che la ve-rità scientifica fosse controvertibile,quella morale opinabile, quella fisicasubordinata all’imperfezione deglistrumenti di misurazione, quella teo-logica frutto della fantasia distorta dieremiti medievali. Ovviamente perplacare il sentimento di ansia colletti-va che si diffuse vennero escogitatimolti giochi e divertimenti. Venneroallestite discoteche sempre più grandidove ascoltare musica sincopata e bal-lare fino allo sfinimento. Piccole pasti-glie di extasy accompagnavano le not-ti insonni colorandole di immagini al-lucinate. L’attività sessuale era forte-mente incoraggiata purché promiscuae svincolata da ogni relazione senti-mentale. Dapprima essa era consentitasolo ai giovani ma poi, grazie all’in-venzione del Viagra, anche gli incanu-

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titi poterono dedicarcisi dimenticandoogni diversa cura e preoccupazione. Igiornali vennero poco a poco sostitui-ti da grandi schermi multicolori chedistillavano notizie brevi, sempre piùbrevi, a volte anche semplici righe.Tutto doveva essere semplice, elemen-tare. Ogni piazza, ogni strada, ogni ve-trina di negozio rinviava e rimbalzavale immagini di questi schermi, a voltepersino nei mezzanini delle metropo-litane. L’interesse della gente venivaconvogliato soprattutto su eventi chenon avevano alcuna importanza per laloro vita reale: spettacoli di sport, di ci-nema, le previsioni del tempo... Lagente veniva educata a vivere una vi-ta di riflesso a disinteressarsi della pro-pria esistenza e dedicarsi esclusiva-mente a quella di alcuni noti perso-naggi che in pratica vivevano al loroposto. Che poi l’esistenza di questi ul-timi fosse reale non si può sicuramen-te dire. Come le divinità greche di untempo essi vivevano in un Olimpo di-stante, passando le giornate in ozi epettegolezzi. La loro forma estetica eraperfetta, opera non certo di madre na-tura ma del bisturi, della liposuzione,del botulino e in qualche caso delphotoshop. Divinità perfette e incor-ruttibili essi si affacciavano sul mondodalle pagine dei rotocalchi e degli spottelevisivi. Nessuno li ha mai incontra-ti dal vivo: dicono che la maggior par-te di essi fosse solo un’invenzione del-

la pubblicità e del Nuovo Governoma questo noi non potremo mai conesattezza saperlo. Era forse tutto un so-gno? Ma qual è la differenza tra la vi-ta e il sogno, tra il reale e il virtuale?Tra il vero e il falso?Aurora, il tempo stringe e devo giun-gere alla conclusione che forse già sai.La luce della luna entra stretta tra lesbarre che chiudono la finestra di que-sta Prigione. Ti avranno detto di co-me alcuni di noi si ribellarono, di co-me tentammo di persuadere i nostriconcittadini dell’errore in cui stavanocadendo. Lessi su un libro questa frase“nel tempo dell’inganno universale dire laverità è un atto rivoluzionario” (la Fatto-ria degli animali, di George Orwell).Misi tutta la mia passione, la mia elo-quenza, la mia forza d’animo per di-mostrare che la realtà esiste, che la ve-rità esiste, che la vita esiste. Ma vedi,quando la verità viene cancellata an-che la menzogna è cancellata. Ciò cheè falso diventa vero. Qualunque cosapuò essere detta, anche la più assurdae insensata e nessuno può contestareche essa sia tanto vera (o tanto falsa -perchè ormai è lo stesso) quanto le al-tre cose che conosciamo. E non ci so-no più cause giuste o ingiuste né tan-to meno ragioni per lottare, per ribel-larsi, per preparare una rivoluzione.Tutto questo il Nuovo Governo lo sa-peva e lo approvava.Fummo dapprima derisi, poi denigra-

ti. Fummo quindi arrestati e interro-gati. Vennero i dottori, gli psichiatri ealtri intellettuali che non ricordo. Ac-cesero le loro lampade frontali e ciesaminarono da vicino. Ci parlaronodella realtà e dell’illusione, ci spiegaro-no che il bianco era nero, che la guer-ra è pace, che la paura è coraggio, chela vendetta è amore... La verità è li-quida argomentarono, non c’è distin-zione tra sogno e allucinazione. So-gnate, dunque, sognate... Ci chieserosorridendo di aderire alla nuova Con-sapevolezza. La maggior parte di noi silasciò convertire, chiese perdono. Ven-ne quindi riammessa nel consorzio deiNuovi Cittadini previa pubblica de-clamazione della formula penitenzia-le di rito:

2 + 2 = 5.

Il Nuovo Governo si mostrò clemen-te e lasciò che essi circolassero libera-mente sia pure sotto la sorveglianza ditelecamere a circuito chiuso.I pochi che non si piegarono vennerorinchiusi nelle segrete della Prigione.Sono trascorsi ormai molti anni e nes-suno si ricorda di noi. Non saremodunque eroi, non saremo martiri. Delnostro sacrificio nessuno verrà mai asapere. Ad uno ad uno veniamo fattisparire per sempre. In silenzio. IlGuardiano mi ha detto che il NuovoGoverno ha deciso il mio turno perl’alba prossima che viene. Guardo fuo-

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ri dalla finestra e per l’ultima volta ve-do il sole rosso che sorge. Sento i pas-si dei secondini che mi vengono aprendere.Mia piccola Aurora, bambina che an-cora non sei nata e che forse un gior-no verrai. Figlia dei miei figli che mihanno ormai dimenticato. Lascio a tequesta lettera nascosta sotto una pietradel pavimento, come un messaggio inuna bottiglia. Sperando contro ognisperanza spero che un giorno perven-ga nelle tue mani. Aurora: viene per me la morte a passicerti nel corridoio, gira la sua chiavenella serratura della mia cella. Vieneper me la morte a scrivere la parola fi-ne e non ci sarà ancora un domani.Eppure sono grato a questi uominiche mi trascinano via nelle loro divisegrigie. Voi fratelli sconosciuti, voltianonimi che non conosco e che già

caricate il fucile. Voi mi aiutate a rista-bilire il confine: tra ciò che c’è e ciòche fra poco non sarà più. Nel sancir-ne la fine date realtà definitiva alla miaesistenza. Ancora per poco ma io og-gi sono, sono, sono! Questa è la miaverità e non potete togliermela.E tu piccola Aurora, desiderio di unnuovo sole che sorge, di una vita checontinua, sii felice ed ogni volta chepuoi sii innamorata. Non sprecare latua vita in piccole bugie, giochetti,tradimenti. Alla fin fine tradiresti, per-deresti solo te stessa. Quando puoi vaisulla riva del mare e guarda il cieloquando c’è il sole che sorge. C’è unmomento preciso quando la notte sitrasforma in giorno, è un momentoperfetto, non ha inganno, porta il tuonome: Aurora.

Roberto Cociancich

Bibliografia

Graham Green, L’ultima parola e altri rac-conti, Oscar MondadoriAldous Huxley, Il Nuovo Mondo, OscarMondadoriGeorge Orwell, 1948, Oscar Mon-dadoriRay Bradbury, Fahrenheit 451, OscarMondadoriAnna Arendt, La menzogna in politica, ed.Marietti

Filmografia

Brasil, diretto da Terry Gilliam, UK,1985, con Robert De Niro e JonathanPryceI figli degli uomini, diretto da AlfonsoCuaron, UK, 2006, con Clive Owen, Ju-lianne Moore, Michael Caine.

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Il difficile – ma non impossibile –rapporto tra verità e mediaQuando Abramo si trovò al cospettodi Dio, che gli comandava il sacrificiodel figlio Isacco, era da solo. E quandolasciò i servi ai piedi della montagna,non fece parola con nessuno di quelche Dio gli aveva comandato. E que-sto perché, secondo il filosofo JacquesDerrida, Dio era stato chiaro nel co-mandargli il silenzio: “Soprattutto,niente giornalisti!1”, gli avrebbe detto,senza troppi giri di parole.Si tratta naturalmente di un parados-so, divertente e insieme acuto: un pre-testo per attirare l’analisi sull’uso deimedia nel campo aperto della rifles-sione filosofica e rileggere la primacon gli strumenti affilati della secon-

da, addentrandosi nel mai esauritorapporto tra la realtà e la sua rappresen-tazione mediatica: “È necessario che laprova che ci tiene uniti non diventiuna notizia. È necessario che questoevento non diventi una notizia; nébuona né cattiva”2. E perché mai? Se-condo il filosofo francese il motivo èsemplice: tutto ciò che viene detto diun fatto non è più il fatto stesso edunque, in qualche maniera, lo tradi-sce. Difficile negarlo: il racconto diuna guerra non è la guerra stessa. Nem-meno quando giornalista e camera-man si trovano sotto un – vero – bom-bardamento, nemmeno quando ci rac-contano in diretta una scossa di terre-moto. Anzi, in un certo senso proprioquesta �gpresa diretta�h sulla realtà è

ancora più falsante, proprio perché ilfiltro tra noi e lei sembra assottigliarsifino a scomparire, e invece è sempre lì,e noi rischiamo di dimenticarcene:�gLa televisione ha la pretesa di annul-larsi, fa di tutto per negare o rinnega-re la televisione, ovvero se stessa. [...]La protesta contro la tecnica è uno deisignificati principali di questa tecnicache chiamiamo televisione, e che so-stiene di restituirvi la cosa in sé, diver-samente da tutti gli altri media che ladanno in differita”3.Insomma, quello tra media e verità èsempre un rapporto a rischio, il qualesta innanzitutto nell’ambiguità tra ciòche viene detto o mostrato e la suaaderenza alla realtà. Ambiguità chenon solo i media ma gli stessi fruitorispesso alimentano, assegnando a gior-nali e tv potere assoluto sulla verità.Un maggior spirito critico dei secon-di, e un più costante esercizio di re-sponsabilità nei primi, possono contri-buire a rendere un miglior servizio al-la verità, e perciò a noi stessi che, benlontani all’imperativo derridiano, ab-biamo bisogno continuamente di no-tizie, di qualcuno che ci descriva fatti,che ci riporti opinioni. E, ben sapen-do – e sforzandoci di ricordare a noistessi – che tutte queste informazioninon costituiscono mai la verità, vo-gliamo che le si avvicinino il più pos-sibile. Serve dunque, da parte di chi leproduce, un continuo esercizio di re-

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“Soprattutto, niente giornalisti”?

“L’ha detto la televisione”, “l’ho trovato su internet”:

verità e falsificazione nel mondo dell’informazione

e dei media.

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sponsabilità su ciò che dice, sui comelo dice e su ciò che omette. Perché,più che per ragioni ideologiche o perla presenza di qualche occulto poteremanovratore, è spesso da un semplice“abbassamento della guardia” – dovu-to innanzitutto alla necessità di pro-durre molte notizie nel minor tempopossibile, e di inseguire ciò che può at-tirare più facilmente l’attenzione deifruitori – che la verità viene travisata,distorta o anche, semplicemente, igno-rata. E inseguire l’attenzione dei frui-tori significa, nella maggior parte deicasi, adeguare le proprie informazionia quelle trasmesse da quelle poche te-state che detengono il monopolio del-l’informazione, prime fra tutte le prin-cipali agenzie giornalistiche - Cnn,ADN Kronos, Reuters: ai loro “lanci”e ai loro archivi video si rifanno mol-to spesso i nostri giornali e le nostretv quando scelgono di che cosa parla-re e come4.

Ciò che non si dice“Il problema della radio e della televi-sione è che non c’è bisogno di men-tire: ci si può limitare a non rifletterela verità. Il sistema è molto semplice:omettere l’argomento […] Si tratta diun’arma fondamentale nella costru-zione dell’opinione pubblica. Se nonparliamo di un evento, esso semplice-mente non esiste”5. È quanto affermanelle Conversazioni sul buon giornalismo

un maestro di giornalismo buono:Ryszard Kapuscinski. È una criticache si può facilmente estendere allacarta stampata. Nei nostri quotidiani,ad esempio, l’estero è presente quasiesclusivamente quando le notizie chelo riguardano hanno a che fare diret-tamente con l’Italia. Altrimenti, guer-re, carestie, drammi di intere popola-zioni trovano spazi assai ridotti nellepagine dei giornali e nella scaletta deitelegiornali. Curioso: sulle catastrofinaturali veniamo aggiornati puntual-mente – penso ad Haiti – con video einterviste all’esperto di turno chespiega, a noi che non ne rischieremomai uno sulle nostre case - che cos’èuno Tsunami, come si forma, che dan-ni produce. Invece, sulle ragioni di unacarestia – ultimo esempio, la Somalia- che ci riguarda almeno come unadelle tante variabili che l’hanno pro-dotta, le informazioni si assottigliano,le immagini scarseggiano, le spiega-zioni sono da ricercare in qualche edi-toriale illuminato6.Ma non sono solo interi eventi, pic-coli o grandi, a rimanere esclusi dallinguaggio mediatico. L’omissione ri-guarda anche il modo di riportare fat-ti che arrivano alla ribalta della crona-ca. Perché alcune domande non ven-gono poste? Perché, ad esempio, permesi quasi quotidianamente viene sol-levato il tema della concentrazione diemittenti televisive nelle mani di uno

solo, che è poi anche il capo del Go-verno e poi, quando lo stesso Gover-no potrebbe vendere un certo nume-ro di frequenza televisive, per un valo-re stimato intorno ai 16 miliardi di eu-ro, e invece le “regala” (fino al 2031)ai due principali colossi – Rai e Me-diaset – quasi nessuno ne domanda leragioni? E perché ora, in un contestodi reintroduzione di tasse e imposte,quasi solo nel web si sollevano vociper dire che le regole vanno riviste?

Ciò che si dice e come: autoreferenzialità e pre-giudizioÈ il 12 maggio 2008 quando i dueprincipali quotidiani nazionali titola-no: “«Voleva rapire una bimba» Unarom rischia il linciaggio” (Corriere del-la Sera); “Napoli, rom tenta di rapireneonata salvata a stento dal linciaggio”(La Repubblica). Seguono articoli e in-terviste su tutti i giornali. La mammadella bambina rilascia anche un’inter-vista al TG 1 raccontando il presuntoaccaduto nei dettagli. Il fatto occupaper diversi giorni le pagine di crona-ca. Se ci riesce è perché i Rom – seb-bene in Italia ad oggi non esista nem-meno un caso di rapimento di bambi-ni imputabile a loro – nell’immagina-rio collettivo sono “ladri di bambini”.Così, per tre giorni nessun quotidiano,sebbene manchino i riscontri, mettein dubbio la colpevolezza della ragaz-za. Di fronte ai pesanti atti vandalici

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che colpiscono il campo Rom – e dicui qualche giorno dopo si saprà esse-re mandante la camorra – i due prin-cipali giornali nazionali parlano di“vendetta”: così il linguaggio stereoti-pato rinsalda i pregiudizi, lasciando in-tendere che il lancio di artigianali mo-lotov su baracche abitate da uomini,donne e bambini inermi altro non siache la risposta ad un’offesa. un lato, iladri dei bambini, dall’altro, onesti cit-tadini in rivolta. Elogio della tempe-stività: nelle stesse ore il sindaco di Mi-lano Letizia Moratti chiede e ottieneun “commissario straordinario per l’e-mergenza rom”. Il 16 novembre ilConsiglio di Stato lo cancellerà di-chiarandolo incostituzionale.Intanto, gli organi di informazionecontinuano il loro corso, tra autorefe-renzialità – come se le notizie diven-tassero vere non perché verificate maperché rilanciate da un’altra testata – epregiudizio. Bisogna aspettare il 15maggio perché il tono cambi “La fu-ga dei rom dai capi sotto assedio”, ti-tola il Corrier, che ospita un reportageel’articolo “Il fuoco della camorra e lagrande caccia ai rom”. E La Repubbli-ca: “Napoli, ancora roghi contro i rom.La camorra dietro agli assalti”. Qual-cuno ha iniziato a fare e farsi delle do-mande, si ricostruiscono tasselli im-portanti e finora trascurati. Falso il ra-pimento, false le dichiarazioni dellamadre. Vera la camorra, che - si scopre

- sul campo nomadi aveva altri pro-getti. Vera la ragazzina. Ma dov’è fini-ta? È tornata a casa sua? E dov’è, casasua? Domande assenti da tutti i gior-nali. La ragazzina non importa più anessuno. È una minorenne, è stata ac-cusata ingiustamente, processata in di-retta tv. Ma è rom: meglio che tornisubito nell’oblio da cui era, involonta-riamente, uscita7.

Questi - in estrema sintesi e quindi nonsenza il rischio di semplificazione - irischi principali dell’attuale giornali-smo. Ma, se il panorama mediatico at-tuale non è molto confortante, non vadimenticato che esistono giornalistiche si sforzano quotidianamente di fa-re un buon servizio alla verità. Analiz-zando, domandando, approfondendo.Alcuni, come Peppino Impastato, Mi-no Pecorelli, Ilaria Alpi, hanno pagatocon la vita la ricerca della verità. Altri,con �gsemplici avvertimenti�h, comeun proiettile nelle gambe (fu il caso, adesempio, di Indro Montanelli). I più,per fortuna, non sono e non divente-ranno degli eroi. Eppure, ogni giorno,ci aiutano ad addentrarci nel nostromondo e nelle regole che lo governa-no, ad afferrarne un pezzetto di verità.Sta a noi cercare di trattenerla e capir-la, o cambiare canale, alla ricerca del-l’ennesimo, rassicurante show.

Mavì Gatti

1 Jacques Derrida, “…Soprattutto: nientegiornalisti!” Quel che il Signore disse adAbramo, tr. It,, Alberto CastelvecchiEditore 2006, p.7.

2 Ibidem.3 Ivi, p.194 Cfr a questo proposito: Mezza, Flei-

schner, Boda, Internet: la madre di tutte letv, pp. 70-71; De Michelis, Ferrari, Ma-sto, Scalettari, L’informazione deviata. Gliinganni dei mass media nell’epoca della glo-balizzazione, Zelig editore, Milano2002, pp.26 ss.

5 Ryszard Kapuscinski, Il cinico non è adat-to a questo mestiere. Conversazioni sulbuon giornalismo, edizioni e/o, 2002,pp.62-63.

6 In Somalia L’ONU dichiara lo statondi carestia il 20 luglio scorso. La nor-tizia è quasi assente dai giornali. Solo asettembre se ne inizia a parlare, ma lospazio è sempre poco. Solo sui siti del-le ONG impegnate nella zona si trova-no continui approfondimenti sulladrammatica situazione somala (cfr, adesempio, www.cesvi.org).

7 Anche qui, informazioni si trovano so-lo sulla rete: in http://ilsecolo21.it/so-cieta/ricordate-la-rom-che-aveva-rapi-to-la-bambina-a-ponticelli/”SoccorsoLegale Napoli” racconta che cosa è av-venuto dopo.

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Sbarrare la voce Vero o Falso relativamente alle affermazioni in tabella. Le risposte sono alla pagina successiva.

Affermazione 1La Terra ruota intorno al Sole, ma anche su se stessa da Occidente verso Oriente: per questo vediamo il Sole sorgere da Est e tramontare a Ovest. (f.to Copernico) ! Vero ! FalsoAffermazione 2Gesù è nato fra il 7 e il 6 a.C. ! Vero ! FalsoAffermazione 3Franco è nato nel 1942 a Torino ! Vero ! FalsoAffermazione 4Una persona, per essere degna di questo nome, non usa violenza contro gli altri ! Vero ! FalsoAffermazione 5I cambiamenti climatici sono dovuti all’eccesso di emissioni di CO2 da parte dell’uomo ! Vero ! FalsoAffermazione 6I rapporti omosessuali sono comportamenti contro natura ! Vero ! FalsoAffermazione 7La pena di morte è un atto inumano ! Vero ! FalsoAffermazione 8Nelle fogne di New York sono stati trovati dei caimani adulti: per moda erano stati ! Vero ! Falsoacquistati appena nati e poi le persone se ne sono liberate attraverso il water.

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VERO/FALSOcon le pinne, fucile e occhialiGioco, senza premi, per dimostrare come sia difficile orientarsi

tra il vero, il falso, il verosimile, il possibile, il dubbio.

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Vero/Falso. Come si vede dalle affer-mazioni ora esaminate (ed elaboratead arte), non sempre è facile sceglierefra il vero e il falso. E non è che lascienza possa mettere la parola fine aidubbi. Copernico elaborò una teoriasui movimenti di Terra-Sole-pianetipriva di ogni evidenza sensoriale e dinuovi dati scientifici, limitandosi (!) afornire una teoria, chiara solo nella suatesta, che spiegasse in modo ben piùsemplice lo strano moto retrogradodei pianeti rispetto allo sfondo dellestelle fisse. Bisognava essere dei visio-nari per credere che fosse vera quellateoria. Ma era vera (fino a prova con-traria…).Rimando ad altre pagine di questoquaderno il ragionamento sul se esistauna verità oggettiva e sul modo di ap-propriarsene. Qui mi pare interessan-te solo sottolineare qualche elementodi prudenza nello sforzo di “esserepersone di verità”, imperativo ineludi-bile. Semplificando molto, serve capi-re quali pinne, fucili e occhiali dob-biamo acquistare per immergerci nelmare della verità.Gli occhiali sono la calma prudente nelvalutare il vero e il falso. Perché agirepoi in modo coerente nella difesa delfalso è dannoso per noi e micidiale pergli altri, se su di loro abbiamo un mi-nimo di ascendente. Ma d’altro cantonon possiamo esimerci dal cercarla, laverità, e per questo compriamo gli oc-

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VERO/FALSO RISPOSTE

Affermazione 1. È falsa. Perché è il Sole che ruota intorno alla Terra, muo-vendosi da Oriente verso Occidente (f.to Tolomeo e seguaci).

Affermazione 2. È vera.Sulla base dei riferimenti storici contenuti nei Van-geli, la nascita dovrebbe essere avvenuta in quel biennio. Una potenziale con-ferma arriva anche dagli studi di astronomia storica nell’interpretare il feno-meno della “stella” visibile a Betlemme.

Affermazione 3. È vera. Sempre che sia stata fatta correttamente la denun-cia allo stato civile; e che i relativi registri siano stati tenuti correttamente; eche ecc. … Elementare, Watson!

Affermazione 4. È vera. Perché io voglio che sia così una persona. Perchésolo così ci si pone alla sequela di Cristo. Perché ecc…

Affermazione 5. Forse. Infatti il dibattito scientifico è ancora aperto, ma lasi accetta come vera in forza del “principio precauzionale”, così da mettere inatto misure comunque opportune.

Affermazione 6. È discutibile e discussa. Entra nel dibattito il concettostesso di “natura” e la domanda se il comportamento sia indotto (e dunquecorreggibile) o innato (e dunque difficilmente rimovibile, ammesso poi chesia legittimo farlo).

Affermazione 7. È vera. Perché io voglio che sia così l’uomo, capace di di-staccarsi dalla sua innata aggressività per vivere in una comunità più evoluta,quasi contro-natura grazie alla sua cultura.

Affermazione 8. È stata vera… fino a quando non si è saputo che si trat-tava di un esperimento sulla diffusione delle “leggende metropolitane”. Nel-le fogne non ci sono caimani. Sarà vero?

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chiali. Le affermazioni sopra propostedanno un’idea della necessità di capireun tema, di intuire che qualcosa puòessere solo parzialmente vera (o falsa),o che qualcosa è ancora tuttaltro chechiara e che ci vuole intelligenza perandare più a fondo, in quel mare.Le pinne sono il mezzo per andare piùveloci, accettando però di essere sem-pre limitati dalla resistenza dell’acquache impone dei limiti. Comprare deimotorini propulsori alla James Bondsarebbe deleterio, perché la velocità cipuò portare fuori strada e poi ci fa-rebbe perdere di vista molte cose bel-le, che è necessario non perdere di vi-sta. Mi limito a ribadire che, pur nellanecessità di esplorare concretamenteciò che ci circonda, serve molto anchestare seduti in silenzio, per leggere unlibro, per ascoltare un saggio che par-la, un attore o una musica che appas-sionano, per scrivere delle affermazio-ni che ci convincono o che ci fannoancora dubitare.Il fucile (metaforico, per carità!) è la ne-cessità di scagliarci nel cuore dei pro-blemi, di catturare e portarci a casa deifastidi, delle incertezze ma anche nuo-

ve certezze; è accettare la necessità di af-fermare come vero qualcosa perchésentiamo di doverlo fare come doveremorale, anche se sappiamo di non pos-sedere ancora tutte le argomentazionilogiche a sostegno, perché quel qualco-sa chiederebbe, dal nostro punto di vi-sta, ulteriori indugi e approfondimenti.Accettare cioè di muoversi, nella ricer-ca della verità, in una condizione diconsapevole incertezza. Tutto il pescatocol nostro fucile troverà a casa nostra al-tre prede precedenti: alcune di queste lebutteremo, insieme anche ad alcunenuove, perché scopriamo solo ora, fuo-ri dal mare, che valgono poco; e tuttociò che resta costituirà un corpo viven-te accresciuto e pronto ad accrescersiancora.Tutto qui. Chiudo suggerendo dueletture importanti.La prima è Gustavo Zagrebelsky, Con-tro l’etica della verità, Roma-Bari, La-terza, 2008. Cito dal risvolto di coper-tina: “Verità e Giustizia non sono mai in-teramente conoscibili e realizzabili. Appar-tiene alla natuta umana agire con prove econtroprove, esercitando la virtù del dubbioe l’arte del dialogo per avvicinarsi alla ve-

rità e alla giustizia (con le iniziali minu-scole). Tuttavia ‘la capacità di dialogo’ equi-vale alla disponibilità all’auto-modifica-zione, in base ai buoni argomenti. Se nonè così il dialogo si trasforma in monologhitra sordi”. La seconda lettura, che rimanda al te-ma della “natura” che così spesso com-pare nella ricerca della verità, è Gian-franco Marrone, Addio alla Natura, To-rino, Einaudi, 2011, p. 7. L’Autore, nelragionare su come il termine Naturastia annullando ogni difformità diprincipio dinnanzi al comune nemico,aggiunge: “Quale nemico? Possiamochiamarlo la Cultura, il Senso, la Socialità,ma in effetti si tratta di tutti coloro che, ri-spetto a molte tematiche e molti problemid’oggi, mostrano perplessità, richiedono unsupplemento di indagine, vogliono conti-nuare a pensarci su. Non vogliono appiat-tire. Non intendono concludere. Costoro,con i quali volentieri ci schieriamo, temonodal canto loro che il ricorso alla Natura siauno schermo facile e perentorio dietro cui sinascondono interessi diversi, incapacità va-rie, poteri da consolidare”.

Franco La Ferla

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“Passalo a Dag!”A 50 anni dalla morte a Ndola, al confine tra

il Katanga e la Rodhesia del Nord.

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nazionale di cui il mondo globalizza-to ha urgentemente bisogno. Perché?Che cosa è successo a questa istituzio-ne fortemente voluta dopo la tragediadella seconda guerra mondiale? Checosa la rende così spesso lenta e im-pacciata nelle decisioni, quando nonbloccata e impotente?

Dag Hammarskjold fu eletto Segreta-rio generale dell’Onu nel 1953: lascelta fu una sorpresa, per lui e per ilmondo intero. Il perché è presto det-to: il precedente Segretario si era di-messo e l’organizzazione sorta per ga-rantire la pace mondiale stava andan-do in pezzi. Le potenze vincitrici delsecondo conflitto mondiale riuscironocon fatica a trovare un accordo sul suonome nella convinzione che avessemolte buone qualità – uomo colto,misurato, negoziatore infaticabile,buona famiglia, ottimi studi di dirittoed economia, estese relazioni interna-zionali – ma una in particolare soprale altre: si sarebbe ben guardato dal farprevalere le ragioni della sua Organiz-zazione rispetto alle regole del giocoimposte dai membri permanenti delConsiglio di Sicurezza: Usa, Russia,Cina nazionalista, Gran Bretagna,Francia.Si sbagliavano. (Qualche anno dopo sarebbe successo

tra nazioni ed etnie, focolai di guerra,dittature sanguinose e violente repres-sioni continuano. Eppure la spavento-sa crisi finanziaria ed economica chel’Occidente sta vivendo, tanto inaspet-tata e incontrollabile quanto violentanelle sue conseguenze per il futuro dimolti popoli e paesi, dovrebbe farciinvocare l’intervento lucido e deter-minante di una organizzazione politi-ca sovranazionale, capace di porre re-gole e paletti alla forza travolgentedelle transazioni finanziarie, che pos-sono sostenere la crescita e il progres-so ma diventano micidiali quando cer-cano profitti a breve termine e puni-scono incertezze e ritardi dei governi,della politica, delle autorità dei singo-li paesi. Nessuno però, e la cosa è sorprenden-te, si aspetta che l’Onu possa rappre-sentare quella autorità politica sovra-

Probabilmente vi chiederete chi sia ilDag del titolo. Temo che non vi possa aiutare moltola spiegazione che si tratta del nome –il cognome è Hammarskjold, e ilcommento dei reporter che lo incon-trarono la prima volta all’Idlewild Air-port di New York potrebbe essere an-che il nostro: “come diavolo si pro-nuncia?!” – del secondo Segretariodelle Nazioni Unite.Il fatto è che, diciamo la verità, nessu-no più parla oggi di Dag Hammar-skjold e della sua fine misteriosa neicieli africani durante l’ennesima mis-sione di pace; e neppure c’è molto in-teresse per l’Onu, per il suo ruolo, peri suoi obiettivi e la sua attività: alzi lamano chi conosce il nome dell’attua-le Segretario e chi sa da quando è incarica. Eppure. Eppure insurrezioni, conflitti

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persona nei rapporti individuali. DalGuatemala alla Corea, dalla Cina al-l’Ungheria, da Suez a Gaza, dal Liba-no a Gerusalemme al Laos fino alcontinente africano per il quale so-gnava una primavera di indipendenzae di benessere, Dag si spese personal-mente per ottenere i risultati speraticon la generosa determinazione e lanecessaria indipendenza che tutti gliinterlocutori gli riconobbero: da DeGaulle che pure non lo sopportava aEisenhower, da Ben Gurion a ChouEn Lai, da Nasser a Krushchev. La frase che trovate nel titolo: Let it toDag, lascia che sia Dag a venirne fuo-ri, dipinge bene la fiducia, da una par-te, nella sua infaticabile capacità di tro-vare soluzioni a problemi apparente-mente irrisolvibili e, dall’altra, la mal-celata insofferenza nei confronti di unuomo che non si faceva tirar la giac-chetta da nessuno, per nessuna ragio-ne di parte e per nessuna convenien-za personale.(Una riflessione dovremmo farla, dalmomento che molte voci preoccupa-te si domandano se la democrazia rap-presentativa non stia subendo una si-gnificativa involuzione, considerata laderiva leaderistica e il ruolo semprepiù invadente delle lobby finanziarie eaffaristiche nel precostituire i candida-ti alle elezioni: dovremmo valorizzaremolto di più il ruolo della società ci-vile, dei funzionari al servizio dello

roganza si trattava, ma di consapevo-lezza della posta in gioco.Sua è la costruzione ex novo dell’In-ternational Civil Servant, che non ri-sponde al paese che l’ha “prestato” masolo all’organizzazione internazionaleper cui lavora. All’apice della “guerrafredda”, nel corso di conflitti laceran-ti in ogni parte del globo – Berlino,Cuba, Vietnam, Congo, Laos, MedioOriente – Nikita Krushchev, Segreta-rio del PCUS, pur ammirandolo comeuomo e come diplmatico, lo sfideràpesantemente e pubblicamente accu-sandolo di essere al servizio dell’Occi-dente: “Non ci sono servitori interna-zionali imparziali in un mondo diviso,e il cosiddetto celibato politico delfunzionario civile è una finzione in-ternazionale.” Hammarskjold, in uncelebre e teso discorso al Palazzo diVetro, contestò questa visione che in-chiodava il mondo alla rigida e ottusadivisione in blocchi, schieramenti,ideologie, rivendicando con lucidocoraggio e visione anticipatrice com-petenze, prerogative, indipendenza eautonomia dell’Onu e del suo Segre-tario dagli interessi di parte. Questaconsapevolezza non è mai stata soloteorica: ogni atto, ogni scelta, ogniconfronto di questo riservato svedesedalla volontà d’acciaio avevano unasola cifra di lettura, quella di salvare lagiustizia e la pace nei rapporti inter-nazionali, la dignità e la libertà della

qualcosa di simile con l’elezione delcard. Roncalli a Vescovo di Roma: siaspettavano un Papa di transizione edivenne il Papa capace di parlare lalingua di chiunque lo ascoltasse e cer-casse il volto di Dio. Ma questa èun’altra storia).Hammarskjold seppe interpretare ilsuo ruolo nel rispetto assoluto delleprerogative degli stati membri dell’O-nu, ma con la fermissima convinzioneche l’Organizzazione, e le sue decisio-ni, era l’unico strumento capace di ar-monizzare le confliggenti politiched’interesse nazionale per raggiungereun ordine mondiale di equità e pace.Questa convinzione divenne il moto-re della sua attività: non solo per le ca-pacità organizzative che gli permiserodi mettere a punto una macchina ope-rativa di straordinaria efficienza. Masoprattutto perché difese la missionedell’Onu e i suoi obiettivi nel mondocon la caparbia lucidità dell’uomo chesa di essere al servizio non già del po-tente di turno, ma di una causa tantodifficile quanto giusta. Passaggio deli-cato questo: perché la consapevolezzadel propria posizione e autorità puòtramutarsi facilmente in arroganza au-toreferenziale. In più di una occasioneDag Hammarskjold dev’essere appar-so tale ad amici e avversari. Ma l’au-dacia politica e l’ampiezza di visioneche il giovane Segretario sfoderò dasubito ci confermano che non di ar-

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punto. Ha il ritmo serrato di un re-portage giornalistico, la documenta-zione precisa di una biografia attenta aogni particolare, la scrittura sciolta evivace come di chi ha assistito a fatti,incontri, discussioni, decisioni. Si leg-ge d’un fiato, anche se non è precisa-mente di poche pagine; ci si sente te-stimoni partecipi di un’avventurastraordinaria e avvincente. Dieci anniche potevano cambiare la storia delmondo e rendere possibile la pace sichiudono con una immensa tragedia.Il meglio e il peggio della politica edella diplomazia. È storia, cronaca, ri-flessione, scoperta. Meditazione.

Susanna PesentiDag Hammarskjold. La pace possibile.Prefazione di Giulio Terzi Pagine 376, euro 18,00Francesco Brioschi editore

Dag HammarskjoldTracce di camminoPagine 262, euro 15Qiqajon, Comunità di Bose

verse: “l’uomo privato deve scompari-re e il funzionario civile deve prende-re il suo posto”. Solo alla sua morte, nell’incidente ae-reo che stroncò la sua vita ma anchel’ultima speranza di un cessate il fuo-co in Congo, ridimensionando defini-tivamente le opportunità che l’Onu dalui plasmata poteva offrire per unmondo diverso e migliore, fu scoper-to e pubblicato un diario che svelò atutti la ricchezza e la profondità dellasua fede cristiana, la radicalità ella suadecisione di essere in ogni momento“alla sequela di Cristo”. Lo aveva chia-mato Markings, che potremmo tradur-re “Tracce” per il cammino: contene-va appunti, pensieri, riflessioni. Non sene separava mai e resta una testimo-nianza altissima della sua ricerca inte-riore.

Questa doveva essere una recensione:ma non ce l’ho fatta a parlare del libroche è riuscito a farmi riscoprire unpersonaggio e una storia che mai misarei aspettato. Il libro è da leggere,

stato, di una classe dirigente non elet-ta a cui stia a cuore il buon funziona-mento della cosa pubblica). C’è un motivo che spiega, forse, l’e-nergia interiore e la dirittura moraledi Hammarskjold, un motivo scono-sciuto ai suoi contemporanei, trannegli amici più cari. La fede in Dio. Giorno dopo giorno, nel corso dellasua vita, l’uomo che affrontava concalcolata freddezza situazioni difficili eal limite dell’angoscia, trovava il tem-po per la meditazione, la preghiera, lalettura delle Scritture, la traduzionedei classici, l’esplorazione dei misticimedievali, alla ricerca dell’autenticitàdel bene, per sé e per gli altri. Ci fu unsolo indizio che poteva far intenderequanto il Segretario tenesse alla di-mensione spirituale e interiore: vollecon convinzione, occupandosene inogni dettaglio, che all’ingresso del Pa-lazzo dell’Onu fosse creata una “stan-za di quiete” dedicata al silenzio e al-la ricerca dell’interiorità. Per il restorifuggì sistematicamente da ogni ma-nifestazione esteriore della propria fe-de per non generare ostacoli per in-terlocutori dalle convinzioni più di-

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SERVIREPubblicazione scout per educatori

Fondata da Andreae Vittorio Ghetti

Direttore: Giancarlo Lombardi

Condirettore: Gege Ferrario

Capo redattore: Stefano Pirovano

Registrato il 31 luglio 1972 con il numero 14661 presso ilTribunale di Roma.

Redazione: Alessandro Alacevich, Andrea Biondi,Stefano Blanco, p. Davide Brasca, Achille Cartoccio,Roberto Cociancich, Anna Cremonesi, Maurizio Crippa,Roberto D’Alessio, Federica Fasciolo, Laura Galimberti,Mavi Gatti, Piero Gavinelli, don Giuseppe Grampa,Franco La Ferla, Davide Magatti, Agostino Migone, SaulaSironi, Raoul Tiraboschi, Gian Maria Zanoni.

Collaboratori: Maria Luisa Ferrario, p. Giacomo Grassoo.p., Cristina Loglio, Giovanna Pongiglione, p. RemoSartori s.i.Grafica: Gigi Marchitelli Disegni: Fabio Bodi

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