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- Sequenza T --->Latino-->Italiano 1 Tempo libero è quello dedicato alla lettura vera, non a quella ipotetica. Quel tempo è l’unico bene solo nostro – come scrive Seneca nelle battute iniziali cupe e gravi , delle Lettere a Lucilio. Tempo che viene eroso da occupazioni molteplici e da quello che con impavido eufemismo chiamiamo secondo lavoro, mentre è il terzo o il quarto. Tempo che ci viene sottratto dai ladri di tempo i disturbatori effigiati da Orazio nella IX Satira. E ai quali Kraus riserva un desolato aforisma: Molti desiderano ammazzarmi. Molti desiderano fare un’oretta di chiacchiere con me. Dai primi mi difende la legge”. Tempo libero per il libro, significa liberare la lettura da ambizioni fuorvianti. La prima è di identificarla con il “Possesso” intellettuale di un testo. Bisognerebbe emanciparsi dal desidero di “possedere” dico idealmente, un libro. Leggere è un processo senza fine, che solo una immaginazione debole può limitare alla lettura di un’opera. Allo stesso modo il linguaggio erotico ci illude quando al verbo possedere fa seguire, come complemento oggetto, una persona. Niente è più fugace che quel modo di possedere. Però il delirio paranoico di onnipotenza ci fa scegliere, tra i verbi, il meno adeguato. Meglio esporre quello che ci dà un libro alle mutazioni che trasformano lui e noi. Non illudersi di cristallizzarlo per una breve eternità, come nel forziere di una banca trasformato in cripta. Un’altra eredità patologica, trasmessa dalla scuola, è il culto della completezza. Ideale impossibile, ci fornisce l’alibi più r igoroso e insieme più diffuso per non leggere. Né si può dimenticare quel personaggio del cimitero di Lee Masters, che diceva di avere immaginato qualcosa di grandioso decidendo, da ragazzo, di leggere tutta l’Enciclopedia Britannica. Gli ideali che a nostra insaputa ci orientano nei sotterranei della mente e ci tolgono libertà di movimento hanno una relazione arcana con progetti simili. Eppure il significato di un libro non è mai in ciò che è, ma in ciò che siamo noi dopo averlo letto. Il libro vive perché ci modifica. Questo tendiamo a dimenticarlo, io naturalmente per primo. Ma resta il suo significato essenziale. La follia in greco mania della completezza persegue una

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Tempo libero è quello dedicato alla lettura vera, non a quella ipotetica. Quel tempo è l’unico bene solo nostro – come scrive Seneca nelle battute iniziali cupe e gravi , delle Lettere a Lucilio. Tempo che viene eroso da occupazioni molteplici e da quello che con impavido eufemismo chiamiamo secondo lavoro, mentre è il terzo o il quarto. Tempo che ci viene sottratto dai ladri di tempo i disturbatori effigiati da Orazio nella IX Satira.

E ai quali Kraus riserva un desolato

aforisma: “Molti desiderano ammazzarmi. Molti desiderano fare un’oretta di chiacchiere con me. Dai primi mi difende la legge”.

Tempo libero per il libro, significa liberare la lettura da ambizioni fuorvianti. La prima è di identificarla con il “Possesso” intellettuale di un testo. Bisognerebbe emanciparsi dal desidero di “possedere” dico idealmente, un libro. Leggere è un processo senza fine, che solo una immaginazione debole può limitare alla lettura di un’opera. Allo stesso modo il linguaggio erotico ci illude quando al verbo possedere fa seguire, come complemento oggetto, una persona. Niente è più fugace che quel modo di possedere. Però il delirio paranoico di onnipotenza ci fa scegliere, tra i verbi, il meno adeguato. Meglio esporre quello che ci dà un libro alle mutazioni che trasformano lui e noi. Non illudersi di cristallizzarlo per una breve eternità, come nel forziere di una banca trasformato in cripta.

Un’altra eredità patologica, trasmessa dalla scuola, è il culto della completezza. Ideale impossibile, ci fornisce l’alibi più rigoroso e insieme più diffuso per non leggere. Né si può dimenticare quel personaggio del cimitero di Lee Masters, che diceva di avere immaginato qualcosa di grandioso decidendo, da ragazzo, di leggere tutta l’Enciclopedia Britannica. Gli ideali che a nostra insaputa ci orientano nei sotterranei della mente e ci tolgono libertà di movimento hanno una relazione arcana con progetti simili. Eppure il significato di un libro non è mai in ciò che è, ma in ciò che siamo noi dopo averlo letto. Il libro vive perché ci modifica. Questo tendiamo a dimenticarlo, io naturalmente per primo. Ma resta il suo significato essenziale. La follia – in greco mania – della completezza persegue una

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totalità irreale per inibirci l’unico spazio aperto a noi, quello della parzialità. Non ho ancora visitato parti della Grecia in attesa di leggere libri che

non leggerò mai. Non visiterò mai quelle parti della Grecia. Ma il ricordo di una valle sconosciuta a

Creta, sorvolata dai corvi, è più emozionante per me che le rovine del palazzo di Cnosso.

Alle aberrazioni della completezza concorre un imperativo brutale che definirei da economia dell’indigenza, tipica dei periodi di guerra: non lasciare nulla nel piatto. Che sarebbe come imporre a un commensale di mai desistere, anche se scopre un errore nella scelta. Sembra che l’ingestione completa sia indispensabile per esprimere un giudizio, mentre si sa che, ad esempio, per il vino, può bastare un assaggio.

Inoltre i libri non vanno letti per essere giudicati, ma per essere goduti. Longanesi paragonava i critici letterari, quando giudicano un testo, ai commissari di polizia quando interrogano un indiziato.

Contiguo al culto della completezza è il culto della “Introduzione”. Leggere un libro prima di leggerne un altro. La scuola ci abitua a differire la lettura di un genio per una mediocrità che lo spieghi. Il risultato è di smettere la lettura del primo e di non passare mai al secondo. La noia della traversata spinge molte volte a cambiare rotta. E Groucho Marx, chiesta una guida per addentrarsi nell’Ulysses di Joyce, aveva poi ricusato il volume di Gilbert, dicendo che il commento esigeva più spiegazioni che il testo. Un’altra immagine penitenziale e burocratica del libro è quella dello “strumento di lavoro”.

Esistono i modi professionali di leggere. Li conosciamo tutti, altrimenti non avremmo letto tutti i libri che non abbiamo letto.

Procedere per sondaggi, per scorci, per segmenti. Per sequenze, per attacchi e conclusioni. Non è escluso che anche il tempo libero vi faccia ricorso. Io sono convinto, senza essere affiliato a nessuna setta spiritica, che la sola presenza fisica dei libri, in una biblioteca, agisca su chi li possiede. Si legge anche per osmosi.

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Leggere è un’arte che si acquisisce non meno che quella di scrivere. Cerco di insegnarla, ma nel senso del francese apprendre, che significa contemporaneamente di impararla. E’ un’arte che non si finisce mai di imparare. Riacquistare il senso della lettura come felicità, non come costruzione: ecco l’infanzia che bisogna ritrovare da adulti. Cercare i libri come piaceri, non come strumenti. Piaceri golosi, furtivi, inesauribili. Amare la voracità, non la continenza. Altrimenti si leggono – fino in fondo – pochi libri all’anno e non sempre i migliori. Acquistare più libri in una volta per leggerli parallelamente. Scoprire la poligamia. Certo la monogamia riserva gioie inenarrabili, ma forse per questo di solito non si raccontano e si preferiscono le sue infrazioni.

A volte un contatto fugace è più desiderabile della convivenza. Un libro può offrire il meglio solo in certe parti. Tentare di trovarle e indugiare su quelle. Non voglio suggerire la volubilità, ma la mobilità. Tempo libero per il libro significa lettura sottratta a ogni finalità. Significa leggere nel presente. Parlo di una esperienza che mi è quasi sempre preclusa.

Per avvicinarla bisogna dimenticare la lettura professionale e anche quella del bibliofilo. Credo che la bibliofilia sia contenuta in un gene che trasmette la brama di conoscere attraverso l’alfabeto. Nei casi più gravi, in cui temo di rientrare, è la voluttà di inghiottire l’universo attraverso i libri.

Ma qui una finalità, anche se irresponsabile, permane. La stanchezza evocata da Mallarmé per avere letto tutti i libri diventa nel bibliofilo la disperazione per non esserci riuscito. Donde il suo sogno di svegliarsi nella mattina descritta da Nietzsche e scoprire la felicità di camminare lasciando i libri alle spalle.

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Non leggere per (per imparare, per divertirsi, per scrivere, per parlare, per pensare, per evadere, per ricordare). Leggere senza per, anche se l’uomo progetta di continuo il proprio senso. Leggere nel presente per leggere il presente. Il sapere delle tradizioni di Oriente e di Occidente ha sempre affermato la centralità del presente, la porta che schiude l’accesso al tempo.

Nella civiltà della tecnica – ha scritto Heschel - noi consumiamo il tempo per guadagnare lo spazio. Ma il tempo – aggiungeva – è il cuore dell’esistenza. Penso che questo fosse il senso della frase rivolta da Diogene ad Alessandro, che sostava davanti a lui accovacciato: “Scostati, che mi togli il sole”.

Frase che è stata interpretata come volontà di circoscrivere la gloria di Alessandro. Ma io dubito che Diogene, paragonandolo al sole, volesse ridimensionarlo. Semmai il contrario. L’accento batte piuttosto sul senso totale ed eterno del presente. L’accento batte piuttosto sul senso totale ed eterno del presente. La figura di Alessandro oscura il sole e toglie a Diogene il bene della luce.

Leggere nel presente, aderire a ciò che accade. Leggere come ascolto dell’interiorità, come dialogo con l’autore e con se stessi.

Un grande collezionista di quadri mi diceva che il piacere di possederli era soprattutto di poterli contemplare in silenzio, a lungo, quando voleva. Non si proponeva scopi ulteriori. Come un monaco potrebbe pregare, se non per ottenere, ma per ringraziare di pregare. Leggere nel presente scoprirebbe il senso più importante del tempo e della lettura. Uso il condizionale perché è una meta ardua. Però ho cominciato a perseguirla. Forse, quando avrò duecentoquarantadue anni, la raggiungerò ogni giorno. Per ora constato che leggere nel presente vede finalmente la convergenza tra felicità e salvezza.

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Traduzione in Latino – Lidia Massari

Otium tempus est in legendo sumptum sincero, haud incerto. Tempus illud unum totum nostrum est, ut Seneca in primis de epistulis ad Lucilium scribit. Tempus quod variis negotiis estur, quod alterum munus, lenitate verbi rei tristitiam mitigantes, vocamus -munus quod re vera tertium vel quartum est. Tempus quod a temporis furibus aufertur, quos Horatius in IX Satira verbis exprimit. Quibus Kraus maerore confectam sententiam dicat: 'Multi me interficere volunt. Multi mecum per horam nugari cupiunt. A me illos lex defendit'.

Otium, liberum tempus libro, hoc est legere a laudis studio declinanti liberare. Primum est legere idem iudicare penitus animo libro possidendo. Nos ipsos a studio libri possidendo -mente et cogitatione dico- vindicare debemus. Legere quiddam infinitum est, quod tantum infirma mens opere legendo finire possit. Sic verba amatoria, cum 'possidere' nomen hominis in accusativo casu sequitur, spem nostram fallunt. Nihil fugacius est quam haec possidendi ratio. Tamen insania summae potestatis habendae poscit nos e verbis indignius deligere. Melius est quod liber nobis donat mutationibus quae nos et eum vertunt exponere. Nobis fallendum non est: ut in crystallum densemur, ut in argentaria arca in cryptam mutata. Morbosa hereditas a scholis tradita perfectionem colere est. Specimen quod nemo consequi potest, nobis praebet non vanum absentiae argumentum, et hoc pervulgatum, ne legamus. Obliviscenda non est persona quaedam sepulcreti a Lee Master narrati, quae se aliquid magnifici mente finxisse cum, puer, totam Britannicam Encyclopaediam legere instituisset. Specimina quae, nobis insciis, faciunt ut in mentis cuniculis perspiciamus et libertatem movendi amittamus, arcanam convenientiam cum similibus propositis habent. Quod liber significat non est in eo quod est, sed in eo quod nos sumus postquam legimus. Liber vivit quoniam nos alios facit. Proclives sumus ad hoc obliviscendum -ego scilicet primus. Manet quidem praecipuum quod liber significat.

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Perfectionis insania -Graece mania- summam quam nemo consequitur insectatur ut nos a spatio partium studii prohibeat, solum quod nobis patens sit. Nondum visi Graecas regiones libros quos numquam legam lecturus. Numquam illas Graecas regiones visam. Tamen memoria ignotae illius vallis Cretensis, quam corvi praetervolabant, animum meum movet magis quam regia Gnosia diruta. [fine pag 1] [...] Perfectionis delirationi accedit immane imperativum quod parsimoniam, quae bellicis temporibus propria, dixerim: nihil in patina linquendum. Id est conviva iuberi numquam desinere, etiamsi in eligendo errorem detexit. Cuncta devorari necessarium videtur ut iudicetur; tamen notum est ad vinum, exempli gratia, degustandum haustus sufficit. Libri legendi non ut iudicentur sunt, sed ut gaudio nos afficiant. Similes esse scriptorum iudices, Longanesius dicebat, cum opera iudicant, quaestoribus qui reum interrogant. Proximum perfectioni colendae est praefationem colere. Librum legere priusquam alterum legatur. Schola nos exercet ut opera magni scriptoris legenda differamus pro mediocri quodam qui illum explicet. Consequitur ut primi legendi finem faciamus neque umquam ad alterum veniamus. Transeundi taedium saepe inducit ut alium cursum petamus. Groucho Marx, cum ducem ut in Joyce Ulixem penetraret quaesisset, Gilbert volumen recusavit, dictitans commentario pluribus explicationibus quam verbis opus esse. Penitentiae et scribarum auctoritatis est librum effingere ut artis

instrumenta. […] Rationes sunt quae propria artis sunt. Cuncta novimus, aliter omnes libros quos numquam legimus legissemus. Procedendum per experimenta, specimina, segmenta. Per ordines, per incipienda et claudenda. Non negatur otium quoque hoc adhibere. Mihi persuasum habeo, nec socius gregi spectrali sum, quod libri in bibliotheca solidi sint, consecutionem in iis qui possideant efficere.

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Legitur pervadendo quoque. Legere ars est quae nobis comparamus non minus quam scribere. Conor eam docere, sed ut 'apprendre' Franca lingua valet, id est eodem tempore eam discere. Ars est cuius finis discendi non datur. Hoc recipiendum est, legere portendere felices esse, non artificium possidere: ecce pueritia quae, nobis adultis, recuperanda est. Libri insectandi sunt ut voluptates, non instrumenta. Delicatae, furtivae, ineaxhaustae voluptates. [fine pag 2] Aviditas, non continentia laudanda. Aliter libri pauci perleguntur quotannis, nec optimi. Semel plures libri emendi, ut uno tempore legantur. Quaerenda polygamia. Monogamia quidem gaudium praebet quod exprimi non possit, sed ideo, ut fieri solet, potius violatur quam narratur.

Se volucriter contingere optabilius est quam una vivere. Liber optima praebet tantum locis quibusdam: conandum est ea invenire et ibi morari. Nolo volubilitatem, sed mobilitatem suadere. Otium libro dicatum, id est legere sine ullo consilio. Id est in praesenti tempore legere. Hoc experiri mihi prope praeclusum est. Ut eam comparemus obliviscendum est quid legere docte, et quomodo librorum amatur legat. Bibliophilia in ea animi parte inest quae libido per litteras cognoscendi infundit. Si morbus iste inciderit -vereor ne haec condicio mea sit- fit voluptas universum per libros absorbere. Sed tamen propositum superest nobis, quamquam mentis non compotibus. Mallarmé profitetur se labore fractus quod omnes libros legerit; bibliophilus quod desperet se hoc gerere posse. Inde somnium illud, ut somno expergiscatur in matutino tempore quod Nietzsche describit, et eat, gaudens quod omnes libri retro sint. Legendum non est ad (ad discendum, ad delectandum, ad scribendum, ad loquendum, ad cogitandum, ad evadendum, ad monendum). Legendum est sine 'ad', quamquam homo assidue sibi proponit quid valeat.

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In praesenti tempore legendum est ut praesens tempus legamus. Doctrina quam Oriens et Occidens tradiderunt hoc affirmat, praesens tempus medium esse, claustra quae portam temporis patefacit. In artis cultu -scribit Heschel- tempus consumimus ut spatium quaeramus. Sed tempus -ait ille- sinus vivendi est. Hoc puto verba significare quae a Diogene ad Alexandrum dicta sunt, qui contra eum iacentem stabat: 'Paulum a sole, ne in umbra maneam'. Alexandri corpus solem obscurat: Diogeni subducit lucis bonum. In praesenti tempore legendum est, iis quae fiunt adhaerendum. Legere aures est paebere intimis: scriptoris sermo secum. Quidam, qui tabulas pictas colligere studebat, mihi narrabat habendi libidinem esse contemplari posse cum vellet, tacite, diu. Nihil ultra propositum habebat. Sic monachus fortasse precetur non ut poscat,

sed ut gratias agat quod precetur. Legere in praesenti tempore detegat quid tempus legendi valeat. Potentiali modo utor: arduum propositum. Sed id petere incepi. Forsitan, anno aetatis CCILIII, cotidie id petam. Nunc animadverto in praesenti tempore legere hoc esse: eodem vergere beatitudinem salutemque.

@Traduzione in Latino di Lidia Massari – 18.04.2014

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Traduzione in Italiano – Debora Serrentino

Il tempo dell’ozio che viene dedicato alla lettura è genuino ma incerto. Soltanto quel tempo è del tutto nostro, come ha scritto Seneca nella sua prima lettera a Lucilio. Il tempo che viene consumato da vari impegni, o come li definiamo per mitigare la parola con la dolcezza, dalla seconda occupazione e che a dire il vero è la terza o anche la quarta occupazione.

Il tempo che viene portato via dai ladri di tempo come è stato spiegato da Orazio nella nona Satira. A cui Kraus ha dedicato mestamente la citazione: “Molti mi vogliono uccidere. Molti desiderano scherzare con me per un’ora. Dai primi mi difende la

legge.” L’ozio, tempo libero per un libro, è quello che viene rubato al

valore dello studio. In primo luogo leggere è la stessa cosa che giudicare con animo profondo il libro che possiedo. Noi stessi dobbiamo pretendere di giudicare lo studio del libro con la mente e la ragione. Leggere è un qualcosa di infinito che la mente debole può finire per le opere da leggere. Così come per il verbo amare che con “possedere” ha in comune la reggenza al caso accusativo della parola uomo, le nostre speranze crollano. Niente è fugace quanto questa idea del possedere. Tuttavia questa grande pazzia di poter possedere ha il potere di farci scegliere il verbo più indegno. Per noi sarebbe meglio esporre in bella vista i cambiamenti che il libro provoca in noi e in lui.Non ci deve trarre in inganno: per come il cristallo si addensa, così come la cassa d’argento si trasforma in una cripta.

Un’eredità morbosa tramandata dalla scuola è la cura per la perfezione. Una prova che non può essere conseguita da nessuno e che ci fornisce un argomento sterile per non leggere. Non si può dimenticare il personaggio del cimitero raccontato da Lee Master che ebbe la brillante idea da ragazzo di intraprendere la lettura dell’intera Enciclopedia Britannica. Gli ideali di cui noi siamo inconsapevoli, provocano nei meandri della mente quando rinunciamo alla libertà di movimento e hanno una oscura simmetria con simili propositi simili. Quel che significa un libro non è in quello che è ma in quello che siamo

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noi dopo averlo letto. Il libro è vivo poiché ci cambia. Siamo inclini a dimenticare questo, naturalmente io per primo. Rimane quello che il libro significa di importante.

La pazzia della perfezione, la pazzia per la lingua greca, persegue con insistenza una perfezione che nessuno raggiungerà per allontanarci dal corso degli studi che soltanto per noi non sia stata scoperta. Non ho ancora visto alcune regioni della Grecia perché non ho mai letto libri su quelle. Non vedrò mai quelle regioni della Grecia. Ciononostante la memoria di una sconosciuta valle Cretese, dove i corvi passavano volando, muove di più il mio animo della reggia distrutta di Cnosso.

L’imperativo che l’economia ha raggiunto nel suo enorme delirio di perfezione tipico dei tempi di guerra stabilisce: non si deve lasciare nulla nel piatto. E’ come il commensale cui viene ordinato di non mangiare mai, come se avesse scoperto l’errore nella scelta. Sembra utile che tutto il necessario venga divorato per essere giudicato; tuttavia è noto che è sufficiente un sorso di vino per degustarlo. I libri non devono essere letti per giudicarli, ma affinché il nostro piacere ne sia suggestionato. I giudici degli scrittori con le opere che giudicano sono simili, diceva Longanesi, , ai questori che interrogano i colpevoli. Vicino alla perfezione da coltivare c’è la prefazione da purificare. Leggere un libro prima che un altro sia assegnato. La scuola ci addestra affinché l’opera di un grande scrittore venga letta in un secondo momento a favore di uno scrittore davvero mediocre che lo appiattisce. Ne consegue che non termineremo mai la prima lettura e non arriveremo alla seconda. Spesso cercare di superare la noia porta ad un altro corso. Quando Groucho Marx chiese ad un conducente di comprendere l’Ulisse di Joyce, Gilbert respinse il volume dicendo che

conteneva più spiegazioni che parole. Copiare un libro è la penitenza e l’autorità dello scrittore come

strumento dell’arte. Ci sono ragioni che sono proprie dell’arte. Le conosciamo tutte,

diversamente non avremmo letto tutti i i libri che abbiamo letto. Bisogna procedere per tentativi, modelli, pezzi. In ordine, dall’inizio

e dalla fine. Non si può negare di utilizzare anche il tempo libero. Mi

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sono convinto, benché non sia membro di un gruppo [spettrale], che i libri di una biblioteca sono genuini e che causano un effetto in coloro che li possiedono.

Anche la lettura si diffonde. Leggere è un arte che noi acquisiamo non meno che lo scrivere. Sto cercando di insegnarla, ma come il significato di “apprendre” in francese, esso è allo stesso tempo imparare. E’ un arte che non si finisce di imparare.

Bisogna accettare che leggere porta ad essere felici e non a

possedere una scienza: ecco l’infanzia che da adulti dobbiamo recuperare. I libri devono essere perseguiti come piacere, non come strumenti. Come piaceri delicati, furtivi e inesauribili.

La cupidigia, non la moderazione, è da lodare. Noi leggiamo per intero pochi libri, e non i migliori.

Bisogna comperare più libri contemporaneamente per poterli leggere tutti insieme. Bisogna aspirare alla poligamia. La monogamia offre senza dubbio un piacere che non si può esprimere, ma come succede di solito, è preferibile trasgredire che narrare. Talvolta è più desiderabile essere in contatto velocemente piuttosto che vivere insieme. Il libro fornisce il meglio soltanto in certi punti: bisogna sforzarsi di trovarli e soffermarsi lì. Non voglio invitare all’incostanza ma alla mobilità. Il tempo libero dedicato ad un libro è questo, leggere senza alcuna intenzione. Questo è ai giorni nostri leggere. L’esperienza di questo mi è quasi preclusa.

Affinché noi la raggiungiamo, dobbiamo dimenticare di leggere saggiamente, e leggere i libri che amiamo.

La bibliofilia si trova in quella parte dell’animo che diffonde il desiderio per la conoscenza delle lettere dell’alfabeto. Se questo male colpisce, temo che questa sia la mia condizione, il piacere inizia ad assorbire l’universo attraverso i libri.

Tuttavia per noi rimane l’intenzione anche se alienata. Mallarmè si confessa scoraggiato nel leggere tutti i libri; un bibliofilo che dispera di essere in grado di portare a termine l’impresa. Poi l’illusione, descritta da Nietzsche, di svegliarsi dal sogno nel tepore mattutino e andarsene felici lasciando tutti i libri dietro.

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Non bisogna leggere per uno scopo (per imparare, per divertimento, per scrivere, è per parlare, per pensare, per evadere, per ricordare). Leggere è senza “per”, peraltro l’uomo si prefigge

continuamente di esserne capace. Bisogna leggere nel tempo presente perché leggiamo il presente.

Un insegnamento che viene tramandato tanto in oriente quanto in occidente afferma che il tempo presente è un tempo medio, un accesso che spalanca la porta del tempo. Nel modo di vivere dell’arte – scrive Heschel – consumiamo il tempo per guadagnare spazio. Ma il tempo – sostiene lui – è il cuore del vivere. Ritengo che abbiano questo significato le parole che Diogene ha detto ad Alessandro quando questi stava davanti a lui: “spostati un poco dal sole, affinché io non stia all’ombra”.

Il corpo di Alessandro oscura il sole: sottrae a Diogene il bene della luce. Bisogna leggere nel tempo presente, per essere vicino a quello che accade. Leggere è porgere le orecchie all’intimità: un discorso dello scrittore con sé stesso. Qualcuno che si occupava di collezionare quadri, mi ha raccontato di avere la passione di poterli contemplare quando voleva, in silenzio e a lungo. Non aveva alcun altro proposito. Così come forse il monaco prega non per chiedere qualcosa, ma per avere il piacere di pregare.

Leggere nel tempo presente rivela che il tempo ha il valore della lettura. Uso il genere ipotetico: è un proposito difficile. Ma l’ho intrapreso per cercare. Forse la raggiungerò all’età di 243 anni, cercandolo ogni giorno. Ora mi accorgo che leggere nel tempo presente è questo: far convergere nello stesso luogo felicità e salute.

@Traduzione da Latino – Debora Serrentino – 12.05.2014