Sentenza n. 16740/2015 pubbl. il 29/07/2015 RG n. 18687 ... · SENTENZA nella causa civile ......

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REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Tribunale di Roma PRIMA SEZIONE CIVILE Il Tribunale, nella persona del giudice unico Dott.ssa Monica Velletti ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. 18687/2012 R.G. promossa da: DI PIETRO ANTONIO, personalmente e nella qualità di Presidente del partito Italia dei Valori, con il patrocinio dell’Avv. Raffaella Sturdà, con elezione di domicilio in Roma, via Flaminia, n.344, presso lo studio del difensore, giusta procura in atti; ATTORE contro DI DOMENICO MARIO, costituito in proprio ex art. 86 c.p.c., con elezione di domicilio nel proprio studio in Roma, Circonvallazione Nomentana n. 488; EDIZIONI SI SRL; AURORA FLORIO; ANGELICA GIUSEPPE, tutti con il patrocinio dell’Avv. Paolo Di Gravio, con elezione di domicilio in Roma via Piediluco n.9, presso lo studio del difensore, giusta procura in atti; DEIANA PIO MARIA, con il patrocinio dell’Avv. Fabio Tommarello, giusta procura in atti; CONVENUTI OGGETTO: azione di risarcimento del danno da diffamazione CONCLUSIONI Per parte attrice: “a) Accertare dichiarare non corrispondenti al vero le affermazioni dei convenuti riportate nel libro “Il colpo allo Stato” e quelle pubblicate e pubblicizzat e nella rivista quindicinale “SI” del 1 aprile 2011 e seguenti come in epigrafe riportate e Firmato Da: VELLETTI MONICA Emesso Da: POSTECOM CA3 Serial#: cbaf5 Sentenza n. 16740/2015 pubbl. il 29/07/2015 RG n. 18687/2012 Repert. n. 15940/2015 del 29/07/2015

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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Tribunale di Roma

PRIMA SEZIONE CIVILE

Il Tribunale, nella persona del giudice unico Dott.ssa Monica Velletti ha pronunciato la

seguente

SENTENZA

nella causa civile di I Grado iscritta al n. 18687/2012 R.G. promossa da:

DI PIETRO ANTONIO, personalmente e nella qualità di Presidente del partito Italia dei

Valori, con il patrocinio dell’Avv. Raffaella Sturdà, con elezione di domicilio in Roma,

via Flaminia, n.344, presso lo studio del difensore, giusta procura in atti;

ATTORE

contro

DI DOMENICO MARIO, costituito in proprio ex art. 86 c.p.c., con elezione di domicilio

nel proprio studio in Roma, Circonvallazione Nomentana n. 488;

EDIZIONI SI SRL;

AURORA FLORIO;

ANGELICA GIUSEPPE, tutti con il patrocinio dell’Avv. Paolo Di Gravio, con elezione di

domicilio in Roma via Piediluco n.9, presso lo studio del difensore, giusta procura in

atti;

DEIANA PIO MARIA, con il patrocinio dell’Avv. Fabio Tommarello, giusta procura in

atti;

CONVENUTI

OGGETTO: azione di risarcimento del danno da diffamazione

CONCLUSIONI

Per parte attrice: “a) Accertare dichiarare non corrispondenti al vero le affermazioni dei

convenuti riportate nel libro “Il colpo allo Stato” e quelle pubblicate e pubblicizzate nella

rivista quindicinale “SI” del 1 aprile 2011 e seguenti come in epigrafe riportate e

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Sentenza n. 16740/2015 pubbl. il 29/07/2015RG n. 18687/2012

Repert. n. 15940/2015 del 29/07/2015

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conseguentemente dichiarare i convenuti tutti responsabili di diffamazione aggravata ex

art. 81, 110, 595 commi 2 e 3 c.p. e art. 13 legge 47/1948;

b) conseguentemente condannare i convenuti a risarcire, in solido fra loro, all’On Antonio

Di Pietro i danni dal medesimo subiti e subendi in dipendenza e per effetto dei fatti per cui

è causa, nella misura di 500.000,00 (cinquecento) di euro ovvero in quella, maggiore o

minore somma, che sarà ritenuta più equa; nonché a corrispondere all'attore, a titolo di

riparazione, ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 12 della legge 47/1948, la somma di

20.000,00 euro ovvero quella somma, maggiore o minore, che sarà ritenuta più equa. Il

tutto con gli interessi dalla data del fatto fino all’effettivo versamento;

c) condannare i convenuti, in solido fra loro, alle spese di pubblicazione della sentenza

integrale sul quindicinale “SI”, con la stessa evidenza, lo stesso spazio e la stessa

periodicità riservati alla pubblicizzazione del libro in contestazione;

d) condannare i convenuti, in solido fra loro, alle spese di pubblicazione dell’estratto della

sentenza in almeno due quotidiani a diffusione nazionale (di cui il primo il Corriere della

Sera) ed in due periodici sempre a tiratura nazionale (di cui il primo Panorama) con gli

stessi caratteri e con lo stesso spazio con cui le false e diffamatorie notizie sono state

fornite proprio a tali organi di stampa;

e) disporre, a spese dei convenuti, il ritiro immediato del libro “Il colpo allo Stato” ed il

divieto della pubblicazione e della distribuzione di ulteriori copie;

f) disporre, a spese dei convenuti, la cancellazione da ogni sito internet dei fatti pubblicati

nel libro e ripresi da ogni organo di stampa e dalla rete;

g) condannare i convenuti, in solido fra loro, alle spese di mediazione, ai sensi del decreto

legislativo 28/10;

h) Con vittoria di spese, competenze ed onorari di giudizio, oltre rimborso forfettario spese

generali, rimborso IVA e CPA.

Per i convenuti:

“"1 - Nel merito, rigettare tutte le domande avanzate da esso attore, Di Pietro in proprio e

nella qualità di legale rappresentante del partito politico IDV e non dell'associazione IDV al

momento dei fatti esposti nel libro, in quanto infondate in fatto e in diritto;

2 - accogliere l'eccezione di Litisconsorzio necessario (art. 102 c.p.c.), atteso che l’oggetto

della domanda e relative eccezioni incide inscindibilmente la sfera d’interesse degli asseriti

titolari del diritto di cronaca e d’informazione che, attraverso le testate giornalistiche

divulgatrici della vicenda, sono intervenuti sulla vicenda asseritamente lesiva dal Di Pietro,

avendo condiviso responsabilmente l’informazione e trattato l’argomento esercitando il

corrispondente diritto di cronaca e di critica:

a. il dr. Felice Cavallaro e della relativa testata "Corriere della Sera",

b. il dr. Gianluigi Nuzzi e della testata di "Libero",

c. il dr. Gian Marco Chiocci e della relativa è stata de "Il Giornale";

d. il dr. Maurizio Paragone della testata “l’ultima parola” RAI 2;

e. Maurizio Tortorella, Panorama, del Gruppo Mondadori;

f. Alberigo Giostra, de “Il Tribuno”;

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Repert. n. 15940/2015 del 29/07/2015

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3 - in via subordinata accogliere l'eccezione di chiamata coatta in causa su istanza di parte,

ovvero per ordine del giudice (art, 106, 107 c.p.c.) degli stessi soggetti sopra evidenziati,

atteso il fatto che l’oggetto dell'asserita domanda diffamatoria, dipendono notevolmente

dall’oggetto della libera informazione e dal quale corretto esercizio il convenuto vuole

essere garantito, rilevando la connessione del rapporto controverso in linea principale e

quello del terzo ed il principio di economia processuale con l’integrazione del

contradditorio e la garanzia dell’uniformità e l’unicità delle decisioni.

4 - il tutto con vittoria di spese, diritti ed onorari come per legge".

Ragioni di fatto e di diritto della decisione

Con atto di citazione ritualmente notificato ai convenuti – previo esperimento del

tentativo obbligatorio di mediazione – Antonio Di Pietro ha esposto che nel mese di

gennaio 2011 la casa editrice “Edizioni SI s.r.l.” pubblicava il libro dal titolo “IL

“COLPO” ALLO STATO – DA MANI PULITE A MANI LIBERE” dell’autore Mario Di

Domenico, avviandone la distribuzione almeno dal 7 febbraio 2011, e che nella stessa

data, il periodico on line Panorama.it pubblicava un’intervista giornalistica al Di

Domenico nella quale quest’ultimo rendeva dichiarazioni asseritamente lesive della

reputazione de Di Pietro, inducendo l’attore a proporre citazione in giudizio del Di

Domenico per diffamazione. L’attore ha affermato che anche il contenuto del libro, in

alcune sue parti, risultava fortemente lesivo del suo onore, decoro, immagine e

reputazione. L’editrice “Edizioni SI s.r.l.”, alla quale l’attore inviava, prima della

pubblicazione, segnalazioni e documentazione giudiziaria finalizzate a provare la

falsità delle ricostruzioni contenute nel libro, nonché formale diffida (cfr. allegati

documenti nn. 5 e 6 dell’atto di citazione) pubblicava il testo di causa, allegandolo – in

data 1 aprile 2011 – alla rivista quindicinale “SI”, con conseguente diffusione nelle

edicole e pubblicizzandolo ripetutamente nel corpo del suddetto quindicinale. Tanto

premesso ritenendo i contenuti del libro lesivi del proprio decoro e della propria

reputazione, e non rispettosi del corretto esercizio del diritto di cronaca e di critica,

l’attore ha concluso nei termini sopra riportati chiedendo la condanna al risarcimento

del danno del Di Domenico quale autore del testo, della società Edizioni SI s.r.l., quale

editrice della pubblicazione, di Angelica Giuseppe e Florio Aurora in quanto legali

rappresentanti pro tempore della casa Editrice “Edizioni SI s.r.l.” e di Pio Maria Deiana

per l’intervista rilasciata al Di Domenico, riportata nel testo del libro, stante l’asserita

falsità delle affermazioni nella stessa contenute.

Si cono costituiti in giudizio i convenuti, chiedendo, in via preliminare che venisse

integrato il contraddittorio nei confronti di alcuni giornalisti che avrebbero diffuso

alcune delle notizie, contestate dall’attore, riportate nel testo, in via subordinata che

venisse integrato il contraddittorio, autorizzando le parti convenute a chiamare in

causa i giornalisti indicati ovvero fosse integrato il contradditorio per ordine del

giudice. Nel merito i convenuti hanno chiesto il rigetto della domanda della

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Repert. n. 15940/2015 del 29/07/2015

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controparte stante il pieno rispetto dei limiti per il corretto esercizio del diritto di

cronaca e di critica politica dovendosi ravvisare l’interesse pubblico alla divulgazione

delle notizie e delle opinioni dell’autore riportate nel testo.

Acquisite le produzioni documentali delle parti, esperito l’interrogatorio formale

dell’attore, i testi per i quali era stata ammessa l’audizione non sono stati escussi in

quanto il convenuto Di Domenico ha rinunciato all’escussione di uno dei testi ammessi

ed è decaduto dalla prova per l’altro teste non avendo provveduto alla sua citazione

nei termini di legge ed avendo parte attrice eccepito la decadenza. All’udienza del

19.3.2015 la causa è stata trattenuta in decisione con termini di legge ex art. 190

c.p.c. per il deposito di comparse conclusionali e memorie di replica.

1. Questioni preliminari

I convenuti hanno chiesto l’integrazione del contraddittorio nei confronti di giornalisti

che avrebbero divulgato notizie riportate nel libro di causa e ritenute dall’attore

diffamatorie. In merito deve rilevarsi come Antonio di Pietro non ha proposto nel

presente giudizio alcuna domanda nei confronti dei giornalisti che secondo le

prospettazioni dei convenuti avrebbero divulgato le notizie poi riprese dal Di Domenico

nel libro “Il Colpo alla Stato”. Inoltre, per consolidata giurisprudenza anche se in caso

di fatto illecito diffamatorio, seppure commesso con condotte autonome diverse tra

loro, tutti gli agenti sono obbligati in solido al risarcimento del danno, tuttavia non

sussiste ipotesi di litisconsorsio necessario, potendo il danneggiato agire solo nei

confronti di uno degli agenti in quanto “il delitto di diffamazione è unisoggettivo e non

a concorso plurisoggettivo necessario” (Cass. n.11952/2010). La tardiva costituzione

dei convenuti avvenuta all’udienza dell’11.10.2012, e dunque spirati i termini di cui agli

artt. 167 e 269 c.p.c., non ha consentito di accogliere l’istanza di chiamata in causa dei

terzi, mentre deve condividersi quanto statuito nell’ordinanza emessa all’esito della

prima udienza in merito all’inopportunità di una chiamata in causa, ex art. 107 c.p.c.,

dei giornalisti indicati nelle memorie di costituzione dei convenuti.

Quanto alla produzione della sentenza n.11105/2013 emessa dal Tribunale di Roma,

depositata da parte attrice, in data successiva rispetto allo spirare dei termini per il

deposito della memorie ex art. 183, comma VI c.p.c., ne deve essere ammessa la

produzione in considerazione della formazione del documento in data successiva

rispetto ai termini assegnati e trattandosi di decisioni giudiziaria non soggetta ai

termini di deposito.

Sull’eccezione di inammissibilità, formulata dall’attore, di parte dei contenuti presenti

della memoria ex art. 183, VI comma , n.2, prodotta dal convenuto Di Domenico la

stessa deve essere accolta. La memoria ex art. 183, VI comma, n.2, depositata dal

convenuto Di Domenico, infatti, oltre a contenere le istanze istruttorie, contiene difese

in merito alle domande presenti nell’atto di citazione dell’attore. L’art. 183, VI comma,

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c.p.c. dispone che la seconda memoria debba contenere le repliche alle domande ed

alle eccezioni nuove, o modificate dall'altra parte. Parte dei contenuti della memoria

contestata sono relative a repliche alle domande inizialmente formulate dall’attore,

repliche che dovevano essere articolare nella memoria di costituzione ovvero nella

memoria ex art. 183, VI comma, n.1 c.p.c.; pertanto, le parti della memoria che

esulano dai contenuti normativamente indicati, devono essere considerate

inammissibili.

Il convenuto Di Domenico nella comparsa conclusionale ha lamentato la mancanza nel

proprio fascicolo di parte di alcuni documenti, chiedendo che la causa sia rimessa sul

ruolo per la “ricostruzione del fascicolo”. La richiesta del convenuto non può essere

accolta in quanto l’allegata mancanza di documenti per causa non nota, non può aver

un oggettivo riscontro avendo il Di Domenico, nell’udienza di precisazione delle

conclusioni, ritirato il proprio fascicolo senza formulare alcuna riserva

sull’incompletezza del suo contenuto. Dal momento del suo ritiro, il fascicolo è rimasto

nella disponibilità della parte sino al suo successivo deposito, con impossibilità di

verificare il momento in cui si sarebbe realizzato l’allegato smarrimento dei

documenti. Pertanto l’istanza di rimessione della causa sul ruolo per ricostruzione del

fascicolo di parte non può essere accolta.

2. Premesse

Prima di valutare nel merito le singole contestazioni mosse dall’attore ai contenuti del

libro “Il Colpo allo Stato”, occorre compiere alcune premesse di ordine generale in

merito al corretto esercizio del diritto di cronaca e di critica.

Il reato di diffamazione previsto dall’art. 595 c.p. si consuma nel momento in cui una

persona comunica con più persone, offendendo l’altrui reputazione, ed è aggravato se

l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato e/o sia recata col mezzo della

stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità. La valutazione dell’efficacia

diffamatoria di dichiarazioni o opinioni diffuse a mezzo della stampa deve riferirsi al

momento nel quale tali dichiarazioni hanno avuto diffusione.

Il diritto di cronaca in virtù della diretta tutela che riceve dall’art.21 Cost. e del

necessario bilanciamento con i diritti individuali della persona riconosciuti dall’art.2

Cost., soggiace a tutti i limiti individuati nei principi consolidati della giurisprudenza di

legittimità, a partire dalla pronuncia delle Sez.U. Penali della Cassazione del 23 ottobre

1984, più volte ribaditi anche in pronunce più recenti, secondo cui il diritto di stampa,

ossia la libertà di diffondere attraverso la stampa notizie e commenti, sancito in linea

di principio dall’art.21 Cost. e regolato fondamentalmente nella legge 8.2.1948 n.47,

trova i suoi presupposti legittimanti nell’utilità sociale dell’informazione, nella verità

(oggettiva, o anche soltanto putativa, purché, in tal caso, frutto di un serio e diligente

lavoro di ricerca) e nella forma civile dell’esposizione dei fatti e della loro valutazione,

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ovvero in una forma non eccedente rispetto allo scopo informativo da conseguire e

tale da escludere un deliberato intento denigratorio.

Diversi e più ampi sono i limiti che la giurisprudenza riconosce all’esercizio di critica; il

diritto di cronaca e quello di critica sono tra loro non coincidenti, in quanto il diritto di

critica non si concreta, come quello di cronaca, nella narrazione veritiera di fatti, ma si

esprime in un giudizio che, come tale, non può che essere soggettivo rispetto ai fatti

narrati. Ferma tale premessa è comunque necessario che il fatto presupposto ed

oggetto della critica corrisponda a verità, sia pure non assoluta, ma ragionevolmente

putativa per le fonti da cui proviene o per altre circostanze oggettive, così come accade

per il diritto di cronaca (Cass. n 7847/2011). Il diritto di critica, in quanto

manifestazione della opinione personale dell’autore, non può essere, per sua

intrinseca caratteristica, totalmente obiettivo e può manifestarsi anche con l'uso di un

linguaggio colorito e pungente ( Cass. n. 10125/2011; Cass. n. 17180/2007). Anche il

diritto di critica, però, non diversamente da quello di cronaca, è condizionato, quanto

alla legittimità del suo esercizio, dal limite della continenza, sia sotto l'aspetto della

correttezza formale dell'esposizione, sia sotto quello sostanziale della non eccedenza

dei limiti di quanto strettamente necessario per il pubblico interesse, e deve essere

accompagnato da congrua motivazione del giudizio di disvalore incidente sull'onore o

la reputazione (Cass. n. 379/2005), non potendosi invocare l’esimente quando l’autore

della pubblicazione abbia utilizzato affermazioni ingiuriose e denigratorie o comunque

formulato attacchi puramente offensivi della persona oggetto della critica ( Cass. n.

20138/2005, Cass. n. 80/2012). Nella valutazione del limite della continenza deve

aversi riguardo al complesso del pezzo contestato, considerando possibili collegamenti

ed allusioni, che anche se non espliciti possano comunque ingenerare nel lettore

medio conclusioni diffamatorie.

In merito ad una specifica difesa del convenuto Di Domenico secondo il quale l’utilizzo

nel libro di riferimenti al “giudice Tonino”, senza esplicita indicazione del nome e del

cognome dell’attore, impedirebbe che le parti contestate del libro possano essere

ricondotte dal lettore ad Antonio di Pietro, mancando, come si legge nella comparsa di

costituzione quella “relatio ad hominen”, che consenta al soggetto di sentirsi offeso

nella propria reputazione, tale difesa non può essere condivisa. Per costante

giurisprudenza: “L'obbligo di risarcire il danno non patrimoniale causato da una

diffamazione commessa col mezzo della stampa sorge non solo quando la persona

diffamata sia nominata nello scritto, ma anche quando - pur non essendo nominata -

sia chiaramente ed univocamente identificabile.” (Cass. 16543/2012). Dalla lettura

delle parti contestate del libro emerge inequivocabilmente che l’autore si è riferito ad

Antonio Di Pietro, in quanto l’utilizzo della locuzione “giudice Tonino” nel contesto

della narrazione di fatti relativi alla nota inchiesta “mani pulite” ovvero di vicende

relative alla famiglia dell’attore o della attività politica svolta dal Di Pietro, consentono

al lettore medio di identificare, agevolmente, con l’odierno attore la persona a cui i

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fatti narrati si riferiscono. L’elevatissima notorietà dell’attore, che prima ha svolto

funzioni di Pubblico Ministero nelle inchieste denominate “Mani pulite” e

successivamente ha svolto attività politica a livello nazionale, ed è stato eletto

deputato nonché nominato Ministro della Repubblica, rende infatti inequivocabile

l’identificazione tra il c.d, “giudice Tonino”, ed Antonio di Pietro.

3.Esame delle singole contestazioni

Il libro “Il “colpo” allo Stato” (depositato in atti dal convenuto Di Domenico) di cui

Mario Di Domenico è autore e l’Edizioni Sisrl la società editrice, di cui i convenuti

Angelica Giuseppe e Aurora Florio erano al momento della proposizione della

domanda rappresentati legali, è composto da 414 pagine. L’attore ha contesto i

contenuti di alcune parti del libro, occorre esaminare le singole contestazioni per

valutare la fondatezza delle domande dell’attore, premettendo che tutti i fatti

contestati presentato il requisito dell’interesse pubblico avendo ad oggetto vicende

giudiziarie o politiche relative ad un noto uomo politico.

Quanto alla posizione del convenuto Pio Maria Deiana le contestazioni a questi mosse

dall’attore sono limitate all’intervista dallo stesso rilasciata al Di Domenico e trasporta

nel libro, restando il Deiana estraneo ai contenuti delle altri parti del testo.

3.1 Il caso Pazienza

Nel capitolo 9, dalle pagine 30 a 39, del libro “Il Colpo allo Stato” Mario Di Domenico

nel riportare vicende collegate a Francesco Pazienza “accusato di aver creato insieme

ad alcuni boss dell’intelligence, una sorta di servizio segreto parallelo. Colpito da

mandato di cattura , si era perciò rifugiato alla Seychelles”, afferma che Di Pietro si

sarebbe recato nel 1984 nell’arcipelago dell’Oceano indiano “sulle tracce di Pazienza

all’insaputa del Procuratore capo dell’Ufficio di Bergamo” e rientrato avrebbe redatto

un rapporto informativo, in data 15 gennaio 1985,consegnato al Procuratore Capo

della Procura di Bergamo. Secondo l’autore del libro tale condotta sarebbe indice del

coinvolgimento dell’odierno attore nei servizi segreti militari (“qualcuno ha adombrato

la testi che l’allora capo del Sismi… sapesse e che quindi …Di Pietro lavorasse anche per

il ministero degli interni”). L’autore del testo ha riportato tale frase affermando di

averla ripresa da un articolo pubblicato sul giornale del 17 gennaio 2010.

Nel testo si legge: “Il viaggio del giudice Tonino alle Seychelles è episodio degno di

nota, surreale e divertente, che merita di essere raccontato , anche perché è quello più

inquietante e più difficilmente collocabile fra le tessere di questo mosaico teatrale sulla

ragion di Stato . Se non altro perché la sua lettura si rivela edificante, sul ruolo del

“giudice deviato top secret”: una macchietta di spione, con tanto di macchina

fotografica a tracolla alla ricerca del Pazienza perduto”. L’attore oltre a rilevare alcune

inesattezze di quanto riportato, ha evidenziato di essersi recato alle Seychelles per un

viaggio di turismo, insieme con la moglie, e avendo appreso che lì si trovava il latitante

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Pazienza avrebbe inviato un rapporto al suo Capo dell’ufficio, da questi trasmesso per

competenza alla Procura di Roma. Inoltre, Di Pietro ha rilevato come, con la sentenza

n. 688/96 emessa dal GIP del Tribunale di Milano, l’allora Senatore Boiso è stato

condannato a 5 mesi di reclusione per aver sostenuto in un’intervista il collegamento

del Di Pietro con i servizi segreti.

Nella parte del libro contestata l’autore pur riportando circostanza vere (viaggio del Di

Pietro alle Seychelles, informativa da questi redatta sulla presenza di un latitante al

Procuratore Capo della Procura di Bergamo) ha utilizzato espedienti narrativi tali da

indurre il lettore a desumere da tali circostanza collegamenti tra Antonio Di Pietro e i

servizi segreti, collegamenti che non solo i convenuti nel corso del giudizio non hanno

provato essere esistenti, ma che risultano smentiti da una sentenza emessa dal

Tribunale di Milano, della quale l’autore del libro era a conoscenza per averla citata in

una nota nel capitolo in esame (nota n. 36 di pagina 33). Né può ritenersi che quanto

riportato sia espressione di corretto esercizio del diritto di critica perché malgrado i

toni dubitativi utilizzati in alcune delle pagine richiamate (cfr. pag. 34) viene riportata

la circostanza che l’odierno attore avrebbe avuto diretti contatti con i Servizi Segreti

(“Il giudice Tonino ha riferito direttamente al capo del Sismi, Fulvio Martini e questi al

giudice Domenico Sica… Il dubbio è pesante . Occorre però ancora del tempo per avere

una risposta degna sulla sofferente prigionia della sua torbida personalità, piena di

ombre e che non l’abbandonerà mai più.”).

Quanto riportato nel capitolo oltre a violare il corretto esercizio del diritto di critica per

mancanza del requisito di verità del presupposto del fatto narrato (non avendo i

convenuti provato che Di Pietro avesse contatti con i servizi segreti, circostanza che

risulta smentita nella richiamata sentenza), è stato espresso con toni non rispettosi del

limite della continenza in quanto le parole utilizzate devono considerarsi

intrinsecamente offensive e denigratore dell’onore e della reputazione dell’attore

(“ruolo del giudice deviato top Secret, macchietta di spione, torbida personalità piena

di ombre”).

In merito deve essere evidenziato come in una recente pronuncia della Suprema Corte

è stato affermato: “In tema di diffamazione a mezzo stampa, l'esercizio del diritto di

critica, che, quale manifestazione della propria opinione, non può essere totalmente

obiettivo e può manifestarsi anche con l'uso di un linguaggio colorito e pungente, è

condizionato, al pari del diritto di cronaca, dal limite della continenza, sia sotto

l'aspetto della correttezza formale dell'esposizione, sia sotto quello sostanziale della

non eccedenza dei limiti di quanto strettamente necessario per il pubblico interesse,

sicché deve essere accompagnato da congrua motivazione del giudizio di disvalore

incidente sull'onore o la reputazione, e non può mai trascendere in affermazioni

ingiuriose e denigratorie o in attacchi puramente offensivi della persona presa di mira.

(Nella specie, la S.C. ha riconosciuto carattere diffamatorio all'uso del termine "spia"

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riferito ad un uomo politico, avuto riguardo anche al fatto che gli artt. 257 e 258 cod.

pen. puniscono espressamente, fra i delitti contro la personalità dello Stato, condotte di

spionaggio politico o militare o relativo a notizie di cui sia stata vietata la

divulgazione).” (Cass. n. 1434/2015).

Nel caso di specie aver affermato, in un libro, contrariamente al vero, stante l’assoluta

mancanza di fonti e riscontri credibili, e utilizzando tono denigratori e offensivi, che un

magistrato abbaia avuto collegamenti con i servizi segreti e abbia compiuto azioni di

spionaggio, è condotta gravemente lesiva dell’onore e della reputazione dell’attore.

3.2. La vicenda Contrada

Nelle pagine da 100 a 115, da 126 a 129 e da 347 a 353 del libro, l’autore narra della

partecipazione di Antonio Di Pietro ad una cena natalizia organizzata la sera del 15

dicembre 1992 presso la Caserma dei Carabinieri – reparto Operativo di Roma, alla

quale parteciparono l’ex Questore Bruno Contrada, che qualche giorno dopo venne

arrestato per concorso esterno in associazione mafiosa e Rocco Mediati, qualificato

come agente segreto americano, “rappresentate del U.S. Secret Service a Roma”. Nel

romanzo descrivendo la cena si legge (pag. 100) “Non un quartierino , sia ben chiaro,

ma ospiti studiati per una mangiata blindata e finalizzata sia agli auguri natalizi che

alla consegna di un riconoscimento , un encomio… anzi di un ciondolo o “fermacarte

internazionale” con dedica. Insomma un ninnolo, d’accordo ma è solo per il giudice

Tonino, adatto a uno del suo rango. Lo Stemma è dorato con lo stemma blu e rosso

della bandiera americana …E allora questa non è solo una mangiata natalizia, questa è

una cosa seria . Perché un riconoscimento al giudice Tonino? Perché non anche agli

altri colleghi del pool…. E poi perché non raccontare tutto e subito ai colleghi del pool

anziché nascondere, mistificare, cercare di distruggere le prove dell’imbarazzo, dopo

che nei quattro giorni a seguire venne arrestato don Vito Ciancimino e il giorno dopo

ancora “u dutturi” Contrada, entrambi per mafia?”. Nelle parti contestate del testo

l’autore allude ad una pregressa conoscenza tra Contrada, qualificato come “il numero

tre del servizio segreto” e l’odierno attore, oltre a riferire della consegna del gadget al

Di Pietro da parte di Rocco Mediati, agente dei servizi americani, lasciando intendere al

lettore che ciò sia avvenuto come riconoscimento del ruolo asseritamente svolto dal Di

Pietro nei servizi Segreti.

L’attore ha dato atto della partecipazione alla cena natalizia evidenziando che si trattò

di un invito formalizzato, in occasione di una sua presenza a Roma per motivi d’ufficio ,

da parte dal Comandante del Reparto Operativo dei Carabinieri che collaborava nelle

indagini con l’allora Pubblico Ministero, e di aver ricevuto un crest natalizio privo di

valore, come usualmente accade nelle cene natalizie, negando ogni coinvolgimento

con i servizi segreti, e di non aver riferito della cena all’allora Procuratore della

Repubblica di Milano, essendo evento irrilevante ai fini dello svolgimento dell’attività

dell’ufficio.

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Repert. n. 15940/2015 del 29/07/2015

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Il Di Domenico, sul quale gravava l’onere della prova, non ha fornito alcun riscontro

alle allusioni presenti nel libro, e partendo da circostanze vere (la presenza del Di

Pietro ad una cena natalizia organizzata da alto responsabile dei Carabinieri, alla

presenza di Bruno Contrada, allora non inquisito e Questore della Polizia di Stato, e di

un funzionario dell’Ambasciata americana nonché della consegna di gadget natalizi al

Di Pietro) ha riportato i fatti inducendo il lettore a ritenere che la cena fosse finalizzata

a conferire al Di Pietro un riconoscimento, un encomio consegnato da rappresentanti

dei servizi segreti. Le affermazioni rimaste prive di riscontri oggettivi, suffragandosi le

affermazioni presenti nel testo nelle personali ricostruzioni dell’autore sono

gravemente lesive dell’onore e della reputazione del Di Pietro. Infatti, richiamando

quanto sopra detto, alludere ad un coinvolgimento di un magistrato della Repubblica

nei servizi segreti ( nel libro si legge “La legge è chiara e prescrive che in nessun caso i

servizi possono annoverare, tra le loro fila, in modo organico o saltuario, magistrati

della Repubblica ….Ma allora il giudice Tonino quella sera lì cosa ci stava a fare? cfr.

pag. 127) , costituisce offesa dell’onore e del decoro della persona, esulando dai limiti

del corretto esercizio del diritto di critica.

3.3 L'agente segreto numero 30P1S103- Il maggiore D'Agostino e la documentazione

occultata - Il caso Pacini Battaglia

Quanto ai fatti riportati nelle pagine 115 e seg. del libro, l’autore riferendo di aver

appreso delle notizie riservate da un non meglio identificato agente segreto numero

30P1S103, afferma che Di Pietro in qualità di Pubblico Ministero non avrebbe inquisito

Francesco Pacini Battaglia, pur avendo appreso fatti costituenti reato. La circostanza

riportata nel libro è falsa, poiché smentita dagli atti in quanto Di Pietro chiese in data

17.2.1993 l’emissione di una misura di custodia cautelare in carcere a carico di Pacini

Battaglia (cfr. allegato n. 36 di parte attrice). La falsa circostanza inserita in un contesto

nel quale viene evidenziata la presunta corruzione ad opera del Pacini Battaglia di

D’Agostino, collaboratore del Di Pietro allora PM, insinua nel lettore il dubbio di una

collusione tra l’odierno attore e il D’Agostino che avrebbe ricevuto “diverse centinaia

di milioni proprio da Pacini Battaglia che Di Pietro poi neppure inquisì “ (cfr. pag. 118).

Questo fatto falso, inserito nel contesto riportato integra una condotta violativa dei

limiti del corretto esercizio del diritto di critica.

Sui medesimi fatti, presunti favoritismi dell’allora PM Di Pietro nei confronti

dell’imputato Pacini Battaglia vennero mosse accuse di rilevanza penale nei confronti

dell’odierno attore, per corruzione in atti giudiziari; con sentenza n.105/99, del 18

febbraio 1999, venne dichiarato non luogo a procedere dal GIP di Brescia perché il

fatto non sussiste (cfr. allegato 39), decisione confermata dalla Corte di Cassazione

(Allegato 40 di parte attrice). L’autore del libro non compiendo approfondita analisi

delle fonti, non ha considerato tali decisioni. Inoltre, non ha considerato i contenuti di

altra sentenza di condanna per diffamazione, pronunciata nei confronti del giornalista

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Repert. n. 15940/2015 del 29/07/2015

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Luigi Moncalvo che aveva sostenuto tesi analoghe a quelle presenti nel libro di causa

(sentenza n. 317/97).

Poiché in numerose sentenza emesse su vicende analoghe a quelle descritte nel libro

in merito ai presunti favoritismi che il Di Pietro avrebbe riservato a Pacini Battaglia nel

corso delle indagini, è stata accertata la falsità di tali notizie, la condotta del Di

Domenico e dei convenuti Edizioni SI srl, Angelica Giuseppe e Aurora Florio, che pur

resi edotti dal Di Pietro di tali circostanza con le diffide inviate, hanno pubblicato le

notizie dei presunti rapporti illeciti tra Di Pietro e Pacini Battaglia, non consente di

ritenere operante la scriminate del diritto di critica, fondandosi le affermazioni

contenute nel libro di causa su fatti accertati come non veri da sentenza passate in

giudicato. Deve pertanto essere accertato il contenuto diffamatorio di quanto

riportato nel libro in merito ai rapporti tra Di Pietro e Pacini Battaglia.

Il presunto agente segreto indentificato con il numero sopra riportato avrebbe, inoltre,

riferito all’autore del libro, parlando delle indagini su Pacini Battaglia e delle presunte

collusioni del maggiore Francesco D’Agostino, ufficiale della polizia giudiziaria

incaricato da seguire in Roma le indagini del pool mani pulite: “Ma fece di più

dimenticando dentro un paio di scatoloni nella soffitta della Caserma di via Dei Selci

parte di quelle carte ed anche due agende di Ferdinando Mac Palmenstein”; ed alla

domanda dell’autore su cosa ci facevano quei documenti nella soffitta di una Caserma

dei Carabinieri l’agente segreto avrebbe risposto : “Questo lo sa il D’Agostini e chi dei

suoi superiori , fra cui Di Pietro , semmai glielo ha consentito”.

Quanto riportato non è suffragato da alcun riscontro non avendo i convenuti fornito

alcun elemento da cui possa desumersi che i documenti, lasciati nella soffitta di via Dei

Selci, fossero collegati alle indagini di cui era titolare Di Pietro, e che fosse stato

l’odierno attore a “dimenticare” i documenti indicati.

3.4 Il deposito di una valigia alla banca di Hong Kong

Nel libro nelle pagine da 167 a 179 l’autore riporta episodi asseritamente accaduti

quando Di Pietro era in Hong Kong, corredati da documentazione fotografica riportata

alla pag. 362. Il Di Domenico riporta letteralmente l’intervista a Pio Maria Deiana nella

quale questi dopo essersi qualificato come imprenditore che ha operato molto

all’estero ed aver riferito che nella Hong Kong Shangai Bank in Hong Kong c’era una

lunga scala mobile da dove si accedeva ai locali della banca, e di aver visto numerosi

connazionali salire quella scala per accedere alla salette della banca “dove si contano i

soldi , si vagliano i documenti, si registrano gli uni e gli altri per il deposito o per il conto

cifrato”, ha dichiarato di aver visto l’odierno attore (pag. 172) al piano terra della

banca “prima che prendesse le scale mobili per salire alla hall della banca HSBC

…accadeva esattamente fra la primavera e l’estate del 1993 credo a maggio … Non

solo sono assolutamente certo ma l’ho anche salutato, non capita mica tutti i giorni di

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vedere un giudice, poi così importante su quella scalinata. Era lui. Gli ho anche stretto

la mano, e lui per farlo ha passato la pesante valigia sull’altra mano…Era

assolutamente solo e portava una valigia di una certa pesantezza. Quell’immagine mi è

rimasta impressa perché il polso era tirato. Si vedeva che era tirato dalla sforzo. La

valigia pesava e la carta pesa di più dei vestiti” Alla domanda dell’intervistatore “Ha

potuto vedere il contenuto della valigia” l’intervistato Deiana ha risposto: “No ma ne

ho viste tante di persone entrare con valige pesanti ed uscire poi a mani vuote. Io non

so . Cosa porta un giudice. Atti giudiziari, documenti, soldi … Non l’ho pensato ma poi

ripensandoci uno in banca o porta documenti o porta soldi . E siccome io ho visto un

certo Prandini che è stato Ministro ecc. ..fare la stessa cosa. E siccome in quella banca

era notorio che accadessero certe cose, mi son fermato ad osservare Di Pietro fare le

stesse cose. Quando poi ho visto che portava la valigia , a ripensarci dopo mi sono

detto quello era Pacini Battaglia … quello che poi disse mi hanno sbancato”

L’intervistato nel suo racconto ha aggiunto “E chi gli aveva dato quella valigetta era

uno che evidentemente non poteva mandare documenti per posta , né soldi banca

banca. Ci voleva il cash che non lascia traccia … Certo che l’ho visto uscire e la valigia

non l’aveva più con sé . E vederlo uscire così mi ha fatto venire in mente le lavatrici

cinesi….Siccome io ho portato in Cina sia i soldi che le camice so bene cosa vuol dire e

come si fa. Quando arrivi lì c’è il direttore che ti riceve in una saletta: dipende

naturalmente anche dalle potenzialità del deposito. Prendono, aprono , li contano,

paghi il conteggio , vai in cassa ti assegnano una cifra, ti danno la ricevuta e ciao…Fino

al ritiro della biancheria”.

L’attore ha allegato la portata diffamatoria dei contenuti dell’intervista, dichiarando di

non essersi mai recato in Hong Kong nel 1993 ma di esservi stato l’anno successivo

debitamente autorizzato, al fine di seguire l’esito di rogatorie internazionali svolte

dall’autorità giudiziaria locale, e di aver in quell’occasione ricevuto inviti ufficiali da

parte della comunità italiana residente in loco. Di Pietro, anche nel corso

dell’interrogatorio formale, ha negato di essersi mai recato nella Banca HSBC, e tanto

meno di avervi portato una valigia.

Il convenuto Deiana nella comparsa di costituzione ha confermato di aver reso

l’intervista esattamente nei termini riportati dall’autore del libro, precisando di non

aver mai sostenuto di aver visto Di Pietro portare i soldi nella sede dell’istituto

bancario di Hong Kong, ma di aver detto di aver visto l’attore entrare nella sede della

banca con una pesante valigia di cui non conosceva il contenuto. Nella comparsa di

riposta si legge “Confermo integralmente il testo dell’intervista rilasciata nel libro “Il

colpo di stato”.

In merito alle contestazioni dell’attore mosse alle dichiarazioni del Deiana, anche a

voler prescindere dalla presenza o meno dell’attore dinanzi alla sede della banca, nella

primavera del 1993, circostanza di per sé neutra, e la cui dimostrazione comunque

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grava sui convenuti, i quali si sono limitati a riportare le affermazioni del Deiana,

tuttavia i contenuti dell’intervista superano il limite della continenza. Dal contesto

dell’intervista , infatti si desume che il Di Pietro si sarebbe recato nella sede

dell’istituto di credito asiatico con una pesante valigia, e anche se l’intervistato non

riferisce apertamente che la valigia conteneva denaro, afferma che doveva trattarsi di

“carta” e dunque di “soldi o documenti” accostando tale evento al pregresso incontro

nel medesimo luogo di un Ministro notoriamente condannato del fatti corruttivi. Il

riferimento poi alle “lavanderie cinesi” e alla necessità che quello che era contenuto

nelle valigia non potesse essere trasferito “banca banca”, ma “cash” costituisce

accostamento suggestivo, tale da indurre il lettore medio a ritenere che l’odierno

attore si fosse recato nella banca asiatica per depositare denaro o documenti non

diversamente trasportabili. Si tratta di gravi illazioni fondate su congetture e prive di

riscontri concreti che travalicano i limiti del corretto esercizio del diritto di critica e

devono considerarsi diffamatori. Pertanto le dichiarazioni rese dal Deiana

nell’intervista trasfusa nel libro di causa sono diffamatorie.

Per costante giurisprudenza, in materia di diffamazione a mezzo della stampa, la

pubblicazione anche fedele delle dichiarazioni di terzi, lesive dell'altrui reputazione,

costituisce veicolo tipico di diffusione delle stesse.L’autore, pertanto, partecipa alla

diffamazione con il proprio contributo causale e ne risponde secondo lo schema del

concorso di persone nel reato, ove il fatto non sia giustificato dallo "ius narrandi"

collegato al limite della verità della notizia, che egli ha il dovere di controllare, per

evitare che la stampa diventi "cassa di risonanza" delle contumelie e delle malevoli

critiche di terzi. (Cass pen. n. 5313/1999). Nel caso di specie, avendo il convenuto

Deiana confermato che i contenuti dell’intervista riportati nel libro sono

perfettamente rispondenti a quanto riferito al Di Domenico, e non potendo questi

avere elementi per dubitare delle affermazioni dell’intervistato, deve ritenersi che il Di

Domenico non abbai concorso nella commissione dell’illecito posto in essere dal

Deiana. In merito il provvedimento allegato da parte attrice, decreto n.787/97 con il

quale il GIP di Monza aveva rinviato a giudizio Bettino Craxi e Vittorio Feltri, per un

articolo pubblicato su “Il Giornale” (doc. 54 ) si riferisce a fatti diversi da quelli narrati

dal Deiana nell’intervista (riferendosi a quanto si legge nel capo di imputazione a

generiche illazioni circa la presenza di amici di Di Pietro con recapito ad Hong Kong).

Dunque il Di Domenico raccogliendo l’intervista non avrebbe potuto ritenerne i

contenuti diffamatori acquisendo tale provvedimento.

In particolare, in relazione alla specifica ipotesi di espressioni diffamatorie contenute in

un'intervista, si è precisato che, "ove il giornalista si sia limitato a riportare senza

modifiche o commenti le parole effettivamente dette dall’intervistato, presupposti per

l'applicabilità dell'esimente del diritto di cronaca sono: a) la verità... del fatto che

l'intervistato abbia effettivamente formulato, nelle circostanze di tempo e di luogo

indicate dal giornalista, le espressioni riportate, che è da escludersi quando, pur

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essendo vere le affermazioni riferite, ne siano dolosamente o colposamente taciute

altre, idonee ad alterarne sostanzialmente il significato, ovvero quando, mediante

accostamenti suggestivi di singole affermazioni dell'intervistato capziosamente scelte o

a mutamenti dell'ordine di esposizione delle medesime, l'intervista venga a risultare

presentata in termini oggettivamente idonei a creare nel lettore o nell'ascoltatore una

(in tutto o in - rilevante - parte) falsa rappresentazione della realtà dalla medesima

emergente; b) sussistenza, in relazione alla qualità dei soggetti coinvolti, alla materia in

discussione o ad altri caratteri dell'intervista, di indiscutibili profili di interesse pubblico

all'informazione" (Cass. n. 23366/2004; cfr. anche Cass. n. 2733/2002, Cass. n.

10686/2008 e Cass. n. 16917/2010). Anche nel caso di intervista perché possa ricorrere

la c.d. esimente putativa è necessaria la dimostrazione dell'involontarietà dell'errore,

dell'avvenuto controllo - con ogni cura professionale, da rapportare alla gravità della

notizia e all'urgenza di informare il pubblico della fonte e della attendibilità di essa -,

onde vincere dubbi e incertezze in ordine alla verità dei fatti narrati (Cass. n. 2271/05).

In estrema sintesi, occorre che colui che ha divulgato la notizia abbia effettuato un

doveroso controllo delle fonti da cui l'ha appresa, soprattutto quando, come nella

specie, la stessa presenta una sua intrinseca gravità (Cass. n. 9391/97).

Nel caso di specie il Di Domenico a fronte delle dichiarazioni del Deiana non aveva a

disposizione riscontri che potessero far ritenere false le affermazioni dell’intervistato ,

ed essendosi astenuto dal formulare commenti sui contenuti dell’intervista ma limitato

a riportare le frasi pronunciate dal Deiana, deve ritenersi che egli e gli altri convenuti

editori del libro, non abbaino concorso nella diffamazione posta in essere dal Deiana,

quanto alle dichiarazioni da questi rese nel corso dell’intervista.

3.5 La figura di Agostino Ruju

Quanto alle parti del libro che si riferiscono ai rapporti tra Di Pietro e Agostino Ruju

delle contestazioni mosse dall’attore ai convenuti, devono ritenersi lesive del diritto

dell’onore e della reputazione del Di Pietro le frasi riportate a pag. 176 del libro dove

si legge che l’odierno attore si sarebbe recato nel 1994 in Hong Kong “per sostenere

probabilmente le ragioni della rogatoria, verificare l’efficacia del sistema di protezione

Ruju- Troielli ed eventualmente smantellare il tesoro di Craxi . Ma c’è andato davvero

solo per questo o per ritirare la biancheria dimenticata l’anno prima?”. In questa frase

è chiaro il riferimento ad un presunto trasporto di denaro o di documenti di

provenienza illecita che il Di Pietro avrebbe lasciato nell’istituto di credito del

protettorato britannico l’anno precedente. La frase fondata su circostanze non

accertate come vere, supera inoltre i limiti della continenza inducendo con suggestioni

e allusioni il lettore e ritenere che l’odierno attore abbia posto in essere attività illecite

(deposito di contanti ovvero di documenti inerenti un’inchiesta in un istituto di credito

estero) contestualmente allo svolgimento di attività proprie dell’ufficio (rogatorie

internazionali)

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3.6 Il caso Li Pera

A pag. 95-96 del libro l’autore, riportando stralci della deposizione del Di Pietro nel

processo Borsellino ter, nella quale l’odierno attore richiamava la deposizione di Li

Pera, ha affermato che il Di Pietro avrebbe dimenticato “le precise rivelazioni di Li Pera

sulle tangenti al nord . Tant’è che non se ne è saputo più nulla . Così come dimentica in

fretta di approfondire tutti i legami in materia di mafia e appalti.”

La circostanza che il Di Pietro avrebbe “dimenticato “ le importanti rivelazioni del Li

Pera in materia di mafia e appalti è smentita dai contenuti di una sentenza disciplinare

del CSM n.2/98, testualmente riportata nell’atto di citazione dell’attore e non

contestata dai convenuti, nella quale si legge “negli anni 1992-1993 il dr. Antonio Di

Pietro …ebbe a raccogliere numerosi interrogatori dai quali emergeva la responsabilità

del dr. Filippo Salamone nel sistema degli appalti e delle tangenti in Sicilia, … tale

attività di indagine..era costruita in particolare dagli interrogatori di Giuseppe Li Pera”.

Anche in questa circostanza la frase contenuta nel libro, è da ritenere lesiva dell’onore

e della reputazione professionale del Di Pietro, nella parte in cui si afferma un

volontario “insabbiamento” di un filone di indagine ,mentre da atti ufficiali (decisioni

del CSM) anteriori rispetto alla pubblicazione del libro il dato riportato come vero è

pienamente smentito. Un serio lavoro di ricerca delle fonti, che si richiede affinché

possa operare la scriminante dell’esercizio del diritto di cronaca e di critica, avrebbe

consentito all’autore del libro di non incorrere in lacune tanto grossolane, tradottesi in

pubblicazioni lesive della reputazione dell’odierno attore, in quanto sono stati riportati

fatti difformi dal vero in forma non rispettosa del limite della continenza .

3.7 Il caso Vito Ciancimino - I rapporti con Romano Tronci - L'inchiesta mafia-appalti

Non risultano conformi al vero altre affermazioni presenti nel libro.

A pag. 96 si fa riferimento ad un presunto colloquio tra Vito Ciancimino e Antonio Di

Pietro, colloquio informale che l’odierno attore nega essersi verificato, negando di aver

interrogato il politico siciliano, coinvolto in inchieste per mafia. Il Di Domenico, autore

del libro, e gli editori, sui quali gravava l’onere della prova della verificazione del

colloquio non hanno fornito alcun elemento in merito. La portata diffamatoria di

quanto indicato si rileva nella circostanza di attribuire ad un magistrato contatti con un

inquisito realizzati al di fuori del contesto processuale e delle regole che

sovraintendono il corretto svolgimento delle indagini, con grave nocumento per

l’onore e la reputazione professionale dell’attore.

Il Di Domenico in merito ai rapporti tra mafia e appalti ha scritto che Di Pietro non

avrebbe ricordato di avere interrogato personalmente l’ingegnere Romano Tronci,

senza indicare da dove avesse tratto tale fatto, mentre ha riportato subito dopo i

contenuti del verbale dell’interrogatorio svolto dal “giudice Tonino”. L’aver riferito del

mancato ricordo del Di Pietro oltre a non essere suffragato da alcun riscontro (l’autore

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non indica in base a quali circostanza avrebbe desunto tale mancanza di ricordo) è

smentito dal richiamo a verbali che dimostrano la verificazione di quell’interrogatorio.

Parimenti denigratoria è la parte del libro nel quale il Di Domenico riferisce che il Di

Pietro avrebbe dato “in diretta televisiva la pagella di mediocrità al suo Capo Borrelli

ed alla dr.ssa Del Ponte del Ministero Grazia e Giustizia”. Giudizio di mediocrità

secondo l’attore mai formulato. Anche con riferimento a tale contestazione i convenuti

sui quali gravava il relativo onere della prova hanno non hanno fornito le necessarie

indicazioni per sostenere la verità di quanto affermato.

3.8 Eleuterio Rea e le bische milanesi

L’attore ha contestato i contenuti diffamatori delle parti del libro nelle quali sono

riportate le seguenti circostanze:

- Di Pietro senza il preventivo assenso del CSM avrebbe partecipato alla

Commissione per il concorso a Comandante dei Vigili Urbani di Milano

“confezionando la vincita addosso al suo amico Stefano Eleuterio rea (pag. 109)”;

- - Di Pietro e il suo amico Eleuterio Rea avrebbero frequentato ippodromi e bische

(pag. 150-151)

- Di Pietro si adoperava personalmente “a recuperare ogni sera il suo amico

Eleuterio Rea dalla perdizione delle scommesse” pag. 323.

Le frasi riportate devono considerarsi lesive dell’onore e della reputazione dell’attore

in quanto alludono a irregolarità che Di Pietro avrebbe posto in essere in un concorso

pubblico al fine di favorire un amico e alla frequentazione da parte di un magistrato

della Repubblica di bische e locali per scommesse: tali affermazioni sono rimaste prive

di riscontri. I convenuti sui quali gravava il relativo onere della prova non hanno fornito

alcun elemento a sostegno della verità di quanto riportato nel libro.

Al contrario la falsità di alcuni dei fatti contestati (aver favorito Eleuterio Rea nella

nomina a Comandate dei Vigili Urbani del Comune di Milano) emerge dalla lettura

della sentenza di proscioglimento di Di Pietro perché il fatto non sussiste n.189/96

emessa dal GUP di Brescia (doc. 95 di parte attrice), sentenza confermata in appello

con la sentenza n.829/97 (allegato 96 di parte attrice).

La pubblicazione di notizie contrarie rispetto alle risultanze di sentenze passate in

giudicato emesse prima della pubblicazione del libro, fa ritenere non conformi a vero i

fatti riportati e dunque integrato il reato della diffamazione a mezzo stampa, non

potendo essere invocata la scriminante del corretto esercizio del diritto, stante la

falsità del fatto posto a fondamento della critica.

3.9 La laurea di Di Pietro ed il concorso in Magistratura

Le frasi del testo nelle quali l’autore riporta illazioni in merito presunte irregolarità

verificatesi nello svolgimento del concorso per l’accesso in magistratura del Di Pietro,

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Repert. n. 15940/2015 del 29/07/2015

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nelle quali si riproducono dichiarazioni dell’allora presidente della Commissione

esaminatrice dr. Carnevale e del segretario della commissione dr. Folocamo che

riferirono di esami non brillanti sostenuti dal candidato Di Pietro il quale “non avrebbe

meritato il voto minimo concesso”, seppure si limitano a riportare le dichiarazioni rese

dai membri della commissione esaminatrice per l’accesso in magistratura, devono

comunque ritenersi non conformi al corretto esercizio del diritto di cronaca-critica in

quanto l’autore, tenuto (come sopra detto cfr. punto 3.4.) ad un serio riscontro delle

affermazioni riportate, non ha segnalato la presenza di provvedimenti emessi

dell’autorità giudiziaria dopo la diffusione di tali dichiarazioni e prima della

pubblicazione del libro, dai quali poteva desumersi la non rispondenza a vero di queste

affermazioni (cfr. in particolare rinvio a giudizio per diffamazione a carico di Bettino

Craxi del 10.6.1997, cfr. 98 bis).

3.10 Il diploma di Cristiano e le sue proprietà

Nel libro a pag. 78 si riferisce che il figlio di Di Pietro Cristiano avrebbe conseguito il

diploma di scuola superiore in un esame “a porte chiuse” in Abruzzo “dove c’è Anita

Zinni” un’insegnate amica d’infanzia del giudice Tonino, nonché dell’acquisto da parte

di Cristiano Di Pietro di una casa in Vasto.

Le circostanze rappresentate non possono considerarsi lesive dell’onore dell’attore in

quanto riferite ad altri soggetti il figlio Cristiano e la prof.ssa Zinni.

3.11 Le donazioni Borletti e De Leonardis

A pagina 257-258 del libro, l’autore riferisce le vicende collegate ad alcune donazioni

assertitamente ricevute da Antonio Di Pietro.

In particolare, riferendosi ad “una donazione modale di alcuni miliardi delle vecchie lire

ricevuti dalla contessa Maria Virginia Borletti detta Malvina e con la quale donazione

modale aveva inteso finanziare l’attività politica congiunta del giudice Tonino con

Romani Prodi. Per chi non la ricorda la Malvina aveva donato 3,5 miliardi cadauno allo

scopo di sostenere il leader Prodi”, l’autore ha evidenziato che mentre Prodi avrebbe

destinato tale importo all’attività politica, Di Pietro l’avrebbe trattenuto per sé.

L’attore ha evidenziato come la donazione non fosse modale, e come egli non avesse

alcun onere o modo da rispettare, non essendo tenuto a destinare l’importo ricevuto,

pari a lire 300 milioni all’attività politica.

Le affermazioni contenute nel testo, delle quali i convenuti non hanno dimostrato la

rispondenza al vero devono ritenersi denigratorie in quanto lasciano intendere che

l’attore avrebbe trattenuto per sé denaro destinato al partito (“nelle casse dell’IDV non

entrò una lira e tenne tutto per sé”) contravvenendo a quanto previsto nell’atto di

donazione senza che sia stata dimostrata l’esistenza di una condizione modale nella

donazione non rispettata.

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Repert. n. 15940/2015 del 29/07/2015

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Non possono invece ritenersi denigratorie le parti del testo riferite alla diposizione

testamentaria proveniente da Remigio Leonardis in quanto, nel libro, non si afferma

che tale disposizione testamentaria venne eseguita ovvero quali ne fossero i

contenuti, mentre si rende edotto il lettore che il Leonardis era persona “stravagante”.

3.12 Il contributo di 50 milioni di lire e la gestione finanziaria di IDV

Le affermazioni contenute nel libro (pagine da 307 a 309 ) relative alla presunta

appropriazione indebita compiuta dal Di Pietro a danno del Di Domenico con

riferimento all’incasso di un assegno di 50 milioni di lire, risultano gravemente

offensive dell’onore dell’attore e contrarie al vero. Il Di Domenico, infatti, afferma di

aver consegnato a Di Pietro l’assegno, asseritamente proveniente dal Vaticano , e che

l’attore l’avrebbe incassato realizzando “un furto..un imbroglio bello e buono …un

furto con destrezza”.

I medesimi fatti erano stati oggetto di denuncia presentata dallo stesso Di Domenico

nei confronti dell’odierno attore, denuncia archiviata con conseguente opposizione del

Di Domenico all’archiviazione. Dalla lettura del provvedimento di rigetto

dell’opposizione all’archiviazione emessa dal GIP del Tribunale di Roma in data 14

marzo 2008 (doc. 103 di parte attrice) si evince - punto 12 della motivazione - che

l’assegno venne regolarmente incassato dal Di Pietro, sottoscrivendo una dichiarazione

nella quale affermava che tale somma gli era pervenuta quale contributo per la

compagna elettorale per le elezioni politiche del 2001, apponendo sulla sottoscrizione

un’ autocertificazione come richiesto dall’art. 4 della l.n. 659/1981. Non avendo il Di

Domenico contestato l’utilizzo di questi fondi nella campagna elettorale, l’operazione è

risultata perfettamente conforme alle disposizioni normative vigenti.

I fatti riportati nel libro, con ricostruzione degli eventi totalmente contraria rispetto a

quanto accertato in provvedimenti giudiziari noti al Di Domenico, parte dei

procedimenti penali, in quanto denunciante, rendono diffamatorio il contenuto del

testo in contestazione, avendo l’autore sostenuto che l’attore avrebbe commesso

reati, contrariamente al vero, affermazione particolarmente grave a fronte

dell’archiviazione della denuncia proposta per i medesimi fatti dallo stesso autore del

libro.

Quanto riportato nel libro è pertanto difforme dal vero. Parimenti non risulta

rispettato il parametro della continenza poiché l’uso degli epiteti riprodotti esula dalla

legittima critica degli altrui comportamenti.

Deve pertanto ritenersi accertato il contenuto diffamatorio delle frasi contestate.

3.13 L'asta pubblica SCIP a Bergamo

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Repert. n. 15940/2015 del 29/07/2015

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Nelle pagine 311-324 del testo e 377-378 l’autore ricostruisce le vicende relative

all’acquisto da parte di Antonio Di Pietro di un immobile sito in Bergamo, nell’ambito

di un’asta pubblica realizzata nelle procedure di dismissione dei beni di proprietà

dell’INAIL. Il Di Domenico ha affermato l’illegittimità della procedura posta in essere

dal Di Pietro, laddove l’odierno attore avrebbe nominato Claudio Belotti come

contraente “coccio di legno”, e ha definito tale accordo come patto sceleris , e accordo

“mafioso”.

Le frasi utilizzate dal Di Domenico sono da considerare lesive della reputazione e del

decoro dell’attore (“Sveglia popolo: la fiera degli immobili c’è e si chiama metodo Di

Pietro. Il metodo del Ministro Tonino che ha comprato un immobile dello Stato al

centro di Bergamo tramite un “ciocco di legno”. L’ha pagato meno della metà del suo

valore commerciale, in un unico atto, e lo può rivendere al doppio….Gli invalidi del

lavoro ai quali ha scippato, consentite il gioco di parole, la casa dal loro patrimonio

previdenziale …”. )

Le contestazioni mosse nel testo contestato all’attore sono prive di riscontri. Lo stesso

Di Domenico parla dell’acquisto per persona da nominare, modalità di acquisto lecita

e disciplinata dalle norme del codice civile, come di un patto sceleris ovvero mafioso,

ledendo gravemente il decoro e la reputazione dell’attore, il quale si è limitato ad

avvalersi di una modalità consentita. Quanto alle modalità di vendita del patrimonio

pubblico avendo il Di Pietro partecipato ad un’asta pubblica, affermare che abbia

“scippato” un immobile, offende la sua reputazione non avendo il Di Domenico, e gli

altri convenuti, sui quale gravava il relativo onere probatorio, dimostrato la violazione

delle regole fissate per l’asta nel bando pubblico.

3.14 I rapporti con Giovanni Bianchini

L’attore lamenta il contenuto diffamatorio di quanto riportato nelle pagine da 326 a

332 e da 355 a 362, nelle quali il Di Domenico descrive vicende relative ad un viaggio,

nell’autunno del 2000, negli Stati Uniti di Di Pietro e dello stesso Di Domenico, durante

il quale sarebbe stato consegnato a Di Domenico da Giovanni Bianchini un assegno di $

50.000 con scadenza 13 maggio 2001 per “elezioni politiche 2001”. L’autore allega di

aver ricevuto l’assegno e di non averlo posto all’incasso mentre l’odierno attore

sarebbe stato favorevole all’incasso, e avrebbe successivamente “giustificato” la

dazione dell’assegno riferendosi alla necessità di far fronte ad una fideiussione, mentre

il Bianchini secondo Di Domenico non sarebbe stato tra i fideiussori.

In merito ai contenuti contestati, deve rilevarsi come i fatti riportati si riferiscano a

vicende politiche che hanno visto contrapposi Di Domenico e Di Pietro, in merito alla

opportunità di ricevere finanziamenti da cittadini degli Stati Uniti. I contenuti delle frasi

oggetto della domanda risarcitoria devono ritenersi conformi ai parametri

dell’esercizio del diritto di critica politica, non avendo il Di Domenico contestato a Di

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Pietro alcuna attività illecita ma una diversa valutazione politica sulle modalità di

finanziamento del partito.

3.15 L'immobilizzazione di 1 milione di euro

Nelle pagine da 394 a 396 del libro di causa, Di Domenico allega la “scomparsa” dai

bilanci dell’IDV di € 1.100.000 presenti nel bilancio 2003 sotto il capitolo “Stato

patrimoniale attivo” sottovoce “Immobilizzazioni finanziarie”. Nel libro di legge

“Ebbene, nel bilancio dell’anno successivo 2004, sotto lo stesso

capitolo…..l’investimento speculativo di € 1.100.000 di “titoli a reddito fisso” si è

inspiegabilmente inabissato nei meandri oscuri del sottosuolo legale lasciando un

residuo di disinvestimento di € 52.251. …E’ allora il caso di tenere sotto controllo questo

fenomeno in attesa che come un fiume carsico il “valore” di € 1.100.000 ricompaia da

qualche altra parte.” ; l’autore afferma che questo “ fiume carsico” sarebbe riapparso

nei bilanci della società AN. TO . CRI. s.r.l. nella forma di finanziamento del socio unico

“il giudice Tonino”.

Quanto affermato nel libro è contrario alle risultanze emerse in alcuni procedimenti

penali instaurati a seguito di denuncie dello stesso Di Domenico e conclusisi con

l’archiviazione (decreto n. 7739/2009 allegato 105 di parte attrice; decreto n.81/07

allegato 103 di parte attrice) ). Nei decreti, si evidenzia la mancanza di riscontri alle

allegazioni del querelante e l’accertamento che i finanziamenti effettuati da Di Pietro

quale socio della An.To.cri. s.r.l. risultavano pienamente giustificati.

Anche con riferimento alle parti del libro contestate deve ritenersi che i convenuti

abbiano posto in essere condotte diffamatorie, avendo pubblicato allusioni offensive

del decoro e della reputazione di Antonio Di Pietro essendo a conoscenza delle

risultanze emerse nei procedimenti penali all’esito dei quali erano state archiviate le

denuncie del Di Domenico nelle quali le presunte condotte illecite erano state

contestate.

La difformità di quanto riportato nel libro rispetto alla verità dei fatti, e l’utilizzo di

termini offensivi, fanno ritenere integrata la condotta della diffamazione a mezzo

stampa.

4. Domanda di risarcimento del danno nei confronti dei convenuti Di Domenico

Edizioni Si s.r.l., Angelica Giuseppe e Florio Aurora

Il mancato rispetto dei principi della verità del fatto e della continenza fa ritenere che i

contenuti del libro con riferimento ai punti indicati nel paragrafo precedente siano

diffamatori.

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Responsabili in solido delle condotte illecite descritte (con esclusione delle parti del

libro ritenute non offensive e di quanto riportato nel punto 3.4. della motivazione

dichiarazioni offensive imputabili al solo convenuto Deiana) sono Di Domenico Mario,

autore del libro, la società Edizioni Si s.r.l. quale editore del testo nonché Angelica

Giuseppe e Florio Aurora nella qualità di legali rappresentanti pro tempore della

società editrice al momento della pubblicazione e distribuzione del testo.

Per quanto esposto i convenuti indicati devono essere condannati a risarcire in solido il

danno subito dall’attore a causa dei contenuti diffamatori del libro.

Quanto al danno causalmente correlabile allo scritto diffamatorio, i principi affermati

dalla sentenza delle SS.UU. della Corte di Cassazione 11 novembre 2008, n.26972, che

ha ricondotto sotto la categoria dei danni non patrimoniali tutti i danni risarcibili non

aventi contenuto economico, in base al combinato disposto degli artt.2043 e 2059 c.c.,

riconoscendo il diritto al risarcimento qualora il fatto illecito abbia violato in modo

grave diritti inviolabili della persona, in quanto tali oggetto di tutela costituzionale. Il

danno non patrimoniale deve essere sempre allegato e provato da chi ne pretende il

risarcimento e la prova può essere data con ogni mezzo. Al riguardo va chiarito che

attenendo il pregiudizio non patrimoniale alla sfera immateriale, “il ricorso alla prova

presuntiva potrebbe essere destinato ad assumere particolare rilievo ed anche

costituire l’unica fonte su cui basare il convincimento del giudice, a condizione tuttavia

che il danneggiato alleghi tutti gli elementi che nella concreta fattispecie siano idonei a

fornire la serie concatenata dei fatti noti che secondo il principio di regolarità causale,

consentano di dedurre le conseguenze derivatene” (cfr. Cass. n.26972/2008 citata e da

ultimo Cass. 11059/2009).

Alla luce di tale interpretazione giurisprudenziale dei principi in tema di onere della

prova, nel caso concreto parte attrice ha allegato una serie di voci di danno non

patrimoniale, qualificate come danno materiale e morale subito per la perdita di

immagine, di reputazione di credibilità a livello nazionale per l’attore ex magistrato e

uomo politico

Premesso che, come affermato dalle più recenti pronunce della Corte Suprema a

decorrere dalla sent. n.26972/2008 pronunciata dalle Sezioni Unite, il danno non

patrimoniale, determinato dalla lesione di interessi inerenti alla persona non connotati

da rilevanza economica, costituisce una categoria unitaria, non suscettibile di divisione

in sottocategorie, laddove il riferimento ai vari aspetti del pregiudizio diversamente

qualificati (danno morale, danno biologico, danno esistenziale, da perdita del rapporto

parentale, etc.) risponde ad esigenze meramente descrittive delle possibili

configurazioni che il pregiudizio può assumere senza minarne l’essenza

ontologicamente unitaria, costituisce compito del giudice accertare l’effettiva

consistenza del pregiudizio dedotto sul piano non patrimoniale individuando, sulla

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Repert. n. 15940/2015 del 29/07/2015

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base delle allegazioni svolte, quali ripercussioni negative si siano in concreto verificate

sulla persona che assume la lesione, a prescindere dal nome loro attribuito. Su questo

assunto si fonda l’affermazione resa dalla citata sentenza a Sezioni Unite secondo cui il

danno non patrimoniale, sia che consegua a fattispecie di reato, sia che sia

determinato dalla lesione di diritti inviolabili della persona, costituisce “danno-

conseguenza” che come tale deve essere allegato e provato. Non basta, precisa la

Corte, invocare il danno morale tout-court, dovendosi consentire all’interprete di

valutare se si tratti di un mero turbamento dell’animo secondo l’accezione originaria

elaborata a suo tempo dalla giurisprudenza, ovvero contempli ulteriori degenerazioni

patologiche della sofferenza che vadano ad incidere su altri aspetti esistenziali

sussumibili in un’ampia gamma di possibili ripercussioni, che vanno dall’alterazione

della vita di relazione, alla compromissione della dimensione esistenziale, dalla perdita

di qualità della vita alla privazione di chances.

Affermazione questa che consente di rilevare come nella fattispecie le allegazioni

indicate nell’atto di citazione (danno materiale con perdita di immagine, di reputazione

di credibilità), non essendo accompagnate da specifici elementi di valutazione che

consentano di valutare le ripercussioni nell’ambiente di lavoro e nelle relazioni sociali,

permettono di valutare le lesioni effettivamente subite secondo l’id quod plerumque

accidit.

Per quanto esposto deve essere ritenuto che le circostanze di fatto allegate dalla parte

attrice, siano argomenti di prova sufficienti a far presumere che il comportamento,

giudicato illecito, sia stato lesivo del diritto fondamentale dell’attore alla reputazione,

e abbia cagionato un danno non patrimoniale.

In merito alla quantificazione e alla conseguente liquidazione del danno sofferto, da

intendersi esclusivamente come danno non patrimoniale, per la sussistenza nei fatti

accertati degli elementi costitutivi del reato di diffamazione mediante attribuzione di

un fatto determinato commesso a mezzo stampa, vanno fatte le seguenti precisazioni.

Occorre, in primo luogo, tenere conto della presumibile limitata diffusione del libro in

considerazione del suo oggetto (sul punto non risultano provate le allegazioni del

convenuto Di Domenico per il quale il libro non sarebbe stato distribuito) , e della

presenza nel testo di contenuti diffamatori che seppure particolarmente gravi sono

limitati ad alcune porzioni dell’ampio testo (dettagliatamente indicate al punto 3 della

motivazione) composto da 414 pagine.

Tenuto conto della gravità del fatto, dell’elemento soggettivo avendo i convenuti

proceduto alla pubblicazione del testo malgrado le puntuali diffide inviate dall’attore,

e quanto al Di Domenico malgrado la conoscenza degli esiti di procedimenti penali che

escludevano che alcuni dei fatti riportati si fossero verificati secondo quanto poi

indicato nel libro, della diffusione del testo, si stima equo liquidare il danno non

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Repert. n. 15940/2015 del 29/07/2015

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patrimoniale in misura pari ad E. 50.000,00 alla data attuale; su tale importo decorrono

interessi nella misura legale dalla decisione al saldo.

Ai sensi dell’articolo 12 della legge 47 del 1948 il convenuto Di Domenico Mario deve

essere condannato a versare all’attore una somma da determinarsi in euro 10.000,00,

in considerazione della particolare gravità dell’offesa. Si tratta di una sanzione civile

accessoria e pecuniaria che può essere irrogata, una volta accertata in via incidentale

la ricorrenza del reato di diffamazione, a carico dell’autore materiale dell’illecito e che

non può estendersi, considerata la sua natura personale, né all’editore né al direttore

responsabile; la natura personale della sanzione esclude anche il vincolo di solidarietà

tipico dell’illecito civile.

5. Domanda di risarcimento del danno nei confronti del convenuto Deiana Pio Maria

Richiamando quanto riportato al punto 4 in merito ai presupposti per il risarcimento

del danno subito dall’attore con riferimento alla posizione del Deiana, deve rilevarsi

come lo stesso deve essere condannato a risarcire il danno subito dal Di Pietro

limitatamente alle frasi contenute nella intervista rilasciata al Di Domenico (cfr. punto

3.4 della motivazione), non potendosi ravvisare alcuna efficacia causale nella condotta

posta in essere dal Deiana con riferimento alle altri parti del testo contenenti frasi

offensive e denigratorie. Tale danno in considerazione della limitatezza delle frasi

contestate rispetto all’intero contenuto dell’opera deve essere quantificato in € 8.000

alla data attuale; su tale importo decorrono interessi nella misura legale dalla

decisione al saldo.

6.Ulteriori domande

Quanto alla pubblicazione della sentenza, l’art. 9 della n.47/48 dispone l’obbligo per il

giudice di ordinare in ogni caso la pubblicazione della sentenza qualora sia pronunciata

condanna penale per il reato di diffamazione (cfr. sent. Cass. civ. 20 dicembre 2001

n.16078). Nel presente procedimento, tale disposizione non può essere applicata

dovendosi applicare l’art. 120 c.p.c. che attribuisce al giudice un potere discrezionale di

ordinare la pubblicazione della sentenza quando ciò possa contribuire a riparare il

danno. Nel caso di specie deve essere accolta la domanda di condanna alla

pubblicazione del dispositivo della sentenza a spese dei convenuti, Di Domenico

Edizioni Si s.r.l., Angelica Giuseppe e Florio Aurora, in solido nel quindicinale “SI”, in

uno spazio pari a metà della pagina del giornale per tre numeri consecutivi, come

forma di risarcimento, considerando la diffusione con il medesimo quindicinale del

libro quale allegato della rivista. La pubblicazione della sentenza sul quindicinale “Si”,

deve ritenersi, insieme con la condanna al risarcimento del danno completamente

satisfattiva delle richieste dell’attore, non potendosi accogliere la domanda di

pubblicazione della sentenza in altri giornali.

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Quanto alla domanda di disporre il ritiro immediato del libro “Il colpo allo Stato” ed il

divieto di pubblicazione e di distribuzione, la stessa non deve essere accolta in quanto i

contenuti diffamatori sono relativi ad una porzione minima del testo complessivo, e la

misura della condanna al risarcimento del danno e della pubblicazione della sentenza

è sufficiente a risarcire l’attore della lesione del diritto all’onore ed alla reputazione.

La domanda di “disporre a spese dei convenuti la cancellazione da ogni sito internet dei

fatti pubblicati nel libro e ripresi da ogni organo di stampa e della rete” deve essere

dichiarata inammissibile in quanto affetta da nullità perché generica ed indeterminata

non avendo l’attore indicato elementi sufficienti ad identificare l’oggetto della

domanda sia quanto a petitum (“fatti pubblicati nel libro”) sia quanto a destinatari

dell’eventuale ordine di cancellazione, essendo la locuzione “ogni organo di stampa” e

“rete” eccessivamente generica.

6. Spese

In considerazioni delle ragioni della decisione i convenuti devono essere condannati in

solido a rifondere le spese legali, come quantificate in dispositivo, nei confronti

dell’attore, oltre ad essere condannati alla rifusione delle spese per la procedura di

mediazione.

P.Q.M.

il Tribunale, definitivamente pronunciando, così provvede:

accoglie la domanda proposta dall’attore nei confronti di Di Domenico Mario, Angelica

Giuseppe, Florio Aurora, Edizioni Si s.r.l., in persona del legale rappresentante pro

tempore, che per l’effetto condanna in solido al risarcimento dei danni non

patrimoniali in favore di Antonio Di Pietro, che si liquidano in euro 50.000,00 oltre

interessi al tasso legale dalla data della presente pronuncia fino a quella dell’effettivo

soddisfo;

condanna Di Domenico Mario al pagamento, ai sensi dell’art. 12 della legge n.

47/1948, della sanzione pecuniaria di euro 10.000,00 in favore di Antonio Di Pietro in

ragione della pubblicazione del libro;

accoglie la domanda proposta dall’attore nei confronti di Deiana Pio Maria, che per

l’effetto condanna al risarcimento dei danni non patrimoniali in favore di Antonio Di

Pietro, che si liquidano in euro 8.000,00 oltre interessi al tasso legale dalla data della

presente pronuncia fino a quella dell’effettivo soddisfo;

dispone l’immediata pubblicazione del dispositivo della presente sentenza, per tre

volte, la prima entro trenta giorni dalla pubblicazione della sentenza, sulla rivista “Si” a

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Sentenza n. 16740/2015 pubbl. il 29/07/2015RG n. 18687/2012

Repert. n. 15940/2015 del 29/07/2015

Page 25: Sentenza n. 16740/2015 pubbl. il 29/07/2015 RG n. 18687 ... · SENTENZA nella causa civile ... nella qualità di legale rappresentante del partito politico IDV e non dell'associazione

cura e spese dei convenuti, in solido, Di Domenico Mario, Angelica Giuseppe, Florio

Aurora, Edizioni Si s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore;

rigetta la domanda di disporre il ritiro del libro;

condanna, i convenuti in solido alla rifusione delle spese di lite in favore di Antonio Di

Pietro, liquidate in complessivi euro 12.000,00, oltre accessori di legge, oltre alla loro

condanna in solido alla rifusione delle spese sostenute dall’attore per il procedimento

di mediazione.

Così deciso in Roma, in data 6 luglio 2015.

Il Giudice

Dr.ssa Monica Velletti

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Sentenza n. 16740/2015 pubbl. il 29/07/2015RG n. 18687/2012

Repert. n. 15940/2015 del 29/07/2015