Sentenza 23 marzo 1964; Giud. est. Harlan, Giud. dissenziente White; Banco nacional de Cuba (Avv....
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Sentenza 23 marzo 1964; Giud. est. Harlan, Giud. dissenziente White; Banco nacional de Cuba(Avv. Rabinowitz) c. Sabbatino (case n. 16)Author(s): Maddalena LombardiSource: Il Foro Italiano, Vol. 88, No. 2 (1965), pp. 27/28-37/38Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23156149 .
Accessed: 28/06/2014 15:56
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27 PARTE QUARTA 28
La corte rileva che il divieto di aumentare o istituire
ex novo dazi doganali, di cui all'art. 12, va tenuto distinto
dalle disposizioni relative alla graduale abolizione degli stessi dazi, contenute negli articoli seguenti. L'unico pro blema clie sorge è se l'istituzione di nuovi dazi doganali in materia agricola ricada sotto il divieto dell'art. 12. Manca
perciò di pertinenza la tesi dei convenuti secondo la quale, in materia agricola, la graduale abolizione dei dazi può essere effettuata unicamente in stretto rapporto con la
costituzione di un'organizzazione comune del mercato, in
luogo delle varie organizzazioni nazionali.
L'art. 12 vieta l'istituzione di nuovi ostacoli di natura
doganale allo scopo di agevolare la fusione dei mercati
nazionali e l'instaurazione di un mercato comune. Pur non
costituendo di per sè una misura di disarmo economico, detto divieto è uno dei presupposti indispensabili per la
sostituzione di un mercato comune ai vari mercati nazio
nali e di un'organizzazione comune alle singole organiz zazioni nazionali.
L'art. 12 è quindi una norma fondamentale e qualsiasi eventuale eccezione, del resto da interpretarsi restrittiva
mente, dev'essere espressamente prevista. Gli art. 39-46 del
trattato non contengono alcuna disposizione che deroghi
espressamente per il settore agricolo al divieto d'introdurre
nuovi ostacoli di natura doganale. Al contrario l'art. 44, che pure, a proposito dell'eventuale deroga alle norme sul
l'abolizione dei dazi doganali, si serve degli stessi termini
dell'art. 13 (relativo a tale abolizione), nulla contiene che
si possa interpretare come una deroga al principio posto dall'art. 12.
Il n. 2 dell'art. 44, inoltre, il quale stabilisce che i prezzi minimi non devono avere l'effetto di ridurre gli scambi
esistenti fra gli Stati membri, rivela una ratio identica a
quella dell'art. 12. Lo stesso vale per l'art. 45, il cui n. 2
prescrive che gli accordi prendano come base quantitativa il volume medio degli scambi durante gli ultimi tre anni
e prevedano un adeguato incremento degli stessi. Gli art.
39-46 non contengono perciò alcuna deroga all'art. 12.
I convenuti sostengono cionondimeno che l'opinione testé esposta non tiene conto della natura, nè del modo in
cui funzionano dette organizzazioni di mercato nazionali.
Il diritto, attribuito agli Stati membri, di mantenere in
vita dette organizzazioni implicherebbe a loro avviso la
facoltà di servirsi non solo dei mezzi in opera all'atto
dell'entrata in vigore del trattato, ma anche di tutti quelli che si rivelino necessari onde mantenere efficienti le orga nizzazioni e adattarle alle mutate circostanze.
La corte osserva che una siffatta distinzione fra le orga nizzazioni di mercato e le provvidenze o gli strumenti giu ridici in cui esse si concretano deve ritenersi inammissibile.
Un'organizzazione di mercato consiste nel complesso di
provvidenze e strumenti giuridici di cui gli organi compe tenti si servono per controllare e normalizzare il mercato di cui trattasi. Essa non può quindi essere considerata
separatamente dagli elementi che la costituiscono nè esi
stere indipendentemente da essi. Ove non si voglia togliere alla nozione di organizzazione
nazionale qualsiasi efficacia e qualsiasi contenuto preciso, l'eventuale perdurare di un'organizzazione del genere non
può significare altro che il perdurare degli elementi di cui
è composta. È infondata la tesi secondo la quale il divieto di adottare
nuovi provvedimenti toglierebbe gradualmente efficacia
alle organizzazioni nazionali e costituirebbe quindi una
minaccia per l'agricoltura durante il periodo transitorio.
II trattato prevede infatti espressamente appositi rimedi
e procedure che consentono di ovviare alle difficoltà di
cui trattasi, sotto il controllo o previa autorizzazione delle
autorità comunitarie. L'art. 12 si applica quindi del pari ai provvedimenti adottati nell'ambito di un'organizzazione nazionale di mercato, qualora essi introducano dazi doga nali o tasse di effetto equivalente.
Diviene di conseguenza superfluo stabilire se per il
mercato di cui è causa esistano un'organizzazione belga e
una lussemburghese.
Da tutto quanto precede discende che i provvedimenti in contestazione sono stati adottati in violazione dell'art.
12 del trattato.
Il ricorso è pertanto fondato. (Omissis) La corte respinta ogni altra conclusione più ampia o
contraria, dichiara ricevibili i ricorsi e statuisce :
1) il governo del Regno del Belgio e il governo del
Granducato del Lussemburgo, istituendo e applicando, po steriormente al 1° gennaio 1958, Un diritto speciale da ri
scuotersi all'atto del rilascio della licenza d'importazione
per il latte in polvere scremato, zuccherato o meno ; il
latte in polvere intero, zuccherato o meno ; il latte concen
trato zuccherato in scatole ; i formaggi di pasta dura o
semidura ; i formaggi fusi ; i formaggi di pasta molle ; i
formaggi di pasta fermentata, sono venuti meno agli obbli
ghi contemplati nell'art. 12 del trattato. (Omissis)
(1-3) Non esistono precedenti in termini in ordine alla prima e terza massima. Per quanto concerne la portata dell'art. 12 cfr. segnatamente Corte giust. 5 febbraio 1963 in causa 26/62, Foro it.. 1963. I. 449. con nota di richiami.
CORTE SUPREMA DEGLI STATI UNITI DI AMERICA.
Sentenza 23 marzo 1964 ; Griuil. est. Harlan, Giud. dis
senziente White ; Banco naeional de Cuba (Avv. Ra
binowitz) c. Sabbatino (case n. 16).
Competenza e giurisdizione in materia civile — Stati
Uniti d'America — Azione intentata da Stalo
estero — Ammissibilità — Limiti.
Legge, regolamento e decreto — Stati Uniti d'America — Legge straniera di espropriazione — Fattispecie — Violazione del diritto internazionale e dell'or
dine pubblico — Sindacato di legittimità — Inam
missibilità — Limiti.
Legge, regolamento e decreto — Stati Uniti d'America — Legge straniera di espropriazione — Fatto
esauritosi all'estero — « Lex rei sitae » — Appli cabilità.
Negli Stati TJniti d'America è sempre ammissibile razione
in giudizio promossa da Stati esteri riconosciuti e non
in guerra con gli U.S. A. o da cittadini dei medesimi. (1) È precluso alle corti degli Stati Uniti d'America l'esame
della validità, formale e sostanziale, delle leggi emesse da
uno Stato estero nei limiti del suo territorio. (2) Pertanto il decreto, con cui il governo di Cuba abbia espro
priato la quota di zucchero appartenente a cittadini statu
nitensi, viene regolarmente eseguito negli U.S.A., anche
se, discriminando per motivi di rappresaglia e preve dendo un compenso illusorio, viola manifestamente il di
ritto internazionale e l'ordine pubblico. (3) Il potere giudiziario potrebbe non eseguire il decreto di espro
priazione in questione, se ne fosse ufficialmente autoriz
zato dal governo statunitense. (4)
Negli Stati Uniti ci'America, alle controversie sorte in seguito ad espropriazioni decretate ed interamente eseguite nel
territorio di Stati esteri, si applica la lex rei sitae. (5)
Il giudice Harlan ha reso nota la sentenza della corte.
La questione fondamentale che ha portato questo caso
dinanzi alia corte sta nel giudicare se il cosiddetto « act of
state doctrine » ( 1) possa servire a sostegno delle pretese dell'attore.
(1) Con l'espressione «act of state doctrine» si definisce la norma giurisprudenziale che preclude alle corti statunitensi
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GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E STRANIERA
La controversia lia avuto origine da un provvedimento di espropriazione di alcune proprietà emesso dal governo di Cuba, la cui legittimità è ora in discussione.
L'« act of state doctrine » nella sua formulazione tradi zionale vieta alle corti statunitensi di inquisire sulla validità
degli atti pubblici emessi da governi stranieri entro il proprio territorio.
I. — Fattispecie. — Nel febbraio e luglio 1960 il conve
nuto, una società di mediazione americana denominata Farr Whitlock P. Co., comprò una quantità di zucchero cubano dalla Compagnia Azucarera Vertientes-Camaguey, detta C.A.V., una società costituita a Cuba il cui capitale apparteneva quasi per intero a cittadini statunitensi. Il
pagamento avrebbe dovuto avvenire a New York, alla pre sentazione dei documenti di viaggio e del contratto.
Il 6 luglio 1960, il Congresso degli U.S.A., con un emen damento allo Sugar Act del 1948, conferì al presidente il
potere di ridurre la quota di zucchero destinata a Cuba. Il giorno seguente il presidente Eisenhower esercitò il po tere conferitogli. Contemporaneamente però il Consiglio dei ministri di Cuba promulgò la legge n. 851 che definiva la riduzione « un atto di aggressione a fini politici » da parte degli U.S.A., giustificante l'adozione di contromisure e c inferì in conseguenza al governo il potere di nazionaliz z ire proprietà ed imprese in Cuba nelle quali gli americani avessero cointeressenze.
Benché un sistema di compensazione dei beni espro priati fosse stato formalmente previsto, le possibilità di risarcimento effettivo si potevano considerare illusorie. 11 Dipartimento di Stato U.S.A. ha definito il provvedi mento cubano « una manifesta violazione delle consuetu dini internazionali accettate dai liberi Stati dell'occi
dente, nella sua essenza discriminatorio, arbitrario e con fiscatore ».
Tra il 6 e il 9 agosto, lo zucchero acquistato dalla Farr Whitlock fu caricato, con destinazione per il Marocco, sulla s/s Hornfels ancorata nel porto cubano di Jucaro. Nel frattempo fu disposta l'espropriazione forzata di beni,
proprietà ed interessi relativi, di alcune società, ivi com
presa la C.A.Y. che apparteneva quasi per intero a citta dini americani. La motivazione dell'atto esecutivo (Excu tive Power Resolution no. I) insisteva sull'ingiustizia per petrata dagli americani con la riduzione della quota di zucchero e metteva in rilievo che la decisione del go verno di Cuba doveva servire come esempio agli altri
paesi « nella lotta di liberazione dalle catene dell'imperia lismo ». In seguito a questa disposizione, si restì necessario richiedere il consenso del governo cubano, perchè una nave carica di zucchero appartenente alle compagnie incluse nella lista delle proprietà e imprese da espropriare, potesse lasciare le acque dell'isola. Per ottenere questo consenso, la Farr Whitlock concluse I'll agosto un contratto identico a quello precedentemente fatto con la C.A.Y., con banca
governativa Banco para el comercio exterior de Cuba. La s/s Hornfels salpò per il Marocco il 12 agosto. Il
Banco nazionale di Cuba (attore in questo giudizio) per in carico del Banco exterior diede mandato ad un suo agente in New York, la Societé générale, di consegnare a Farr Whitlock i documenti di sbarco facendosi rilasciare una cambiale a vista dell'ammontare di 175.250,69 dollari. Ma Farr Whitlock, che nel frattempo era venuto a conoscenza dell'azione intentata dalla C.A.V. per rivendicare la pro prietà dello zucchero, rifiutò di compiere le operazioni. In
seguito, essendosi assunta la C.A.V. la responsabilità per ogni perdita, Farr Whitlock perfezionò il contratto con il
proprio cliente in Marocco e accettò da quest'ultimo il pa gamento dello zucchero, senza però ritrasferire il denaro al Banco cubano.
Infine, il signor Sabbatino fu nominato, per ordine della Corte suprema di New York, procuratore temporaneo dei
il riesame giudiziale sulla legittimità di provvedimenti emessi da uno Stato estero riconosciuto nei limiti del proprio territo rio (n. d. r.).
beni della C.A.Y., e fu autorizzato ad esperire ogni azione
per il recupero dei beni della compagnia espropriata ; Parr Whitlock trasferì allora il denaro in questione a Sabbatino in attesa di una decisione giudiziale (2).
II. — Ammissibilità della domanda (titolo di redazione).
Si contesta in primo luogo che l'attore, una longa ma nus del governo cubano, possa agire avanti le corti ameri
cane, considerato che Cuba è una potenza ostile e che non
consente ai cittadini del nostro paese di adire le proprie corti. Anche se il convenuto nei gradi precedenti non ha
sollevato questa eccezione preliminare, riteniamo che il
punto debba essere ora esaminato. Le corti di questo paese potrebbero venire precluse al
governo di uno Stato straniero solo nel caso in cui la poli tica nazionale trascendesse gli interessi delle parti litiganti, nel qual caso la Corte suprema dovrebbe sottomettersi
spontaneamente alle esigenze della politica nazionale anche
a questo stadio della controversia. Secondo i principi di « comity » (3) nei rapporti con altri
Stati, applicati nel nostro paese, i governi stranieri possono adire le corti statunitensi (The Sapphire, 11 Wall. 164, 167 ; Guaranty Trust Co. v. United States, 304 U. S. 126,
134). Questa corte ha definito « comity » in senso giuridico « un rapporto nò assolutamente obbligatorio, nè d'altra
parte di me™a cortesia o di buona volontà » (Hilton v. Guyot, 159 U. S. 113, 163-164). Benché detto rapporto sia spesso associato con il perdurare di buone relazioni tra Stati (Bank of Augusta v. Earle, 13 Pet. 519, 589 ; Russian Republic v. Cibrario, 235 N. Y. 255, 258, 139 N. E. 259, 260) il
diritto di adire le corti americane era stato finora negato solo a governi in guerra con gli Stati Uniti (Ex parte Don
Ascanio Colonna, 314 U. S. 510, ed altri) e a governi non
riconosciuti dal nostro paese (Russian Republic v. Cibrario,
supra). Solo recentemente, con riguardo ai rapporti con lo
Stato cubano, sono state date dalle corti inferiori diverse soluzioni (4).
Il convenuto, riferendosi alla rottura delle relazioni
diplomatiche, a\Vembargo commerciale e al sequestro delle
proprietà cubane negli Stati Uniti, eccepisce che le rela
zioni tra U.S.A. e Cuba sono manifestamente ostili e che
pertanto il governo cubano non dovrebbe essere ammesso
ad agire nelle nostre corti.
Questa Suprema corte non è d'accordo. Non siamo in
grado di stabilire varie gradazioni di rapporti amichevoli
con altri Stati e, mancando nel caso in questione una pietra di paragone, siamo costretti a stabilire che ogni sorta di
relazione, al di fuori della guerra, con potenze straniere dà
il diritto di adire le corti statunitensi.
Per quanto la rottura delle relazioni diplomatiche abbia
un significato oggettivo nei rapporti tra Stati, non possiamo
giungere ad ammettere che da essa derivi inevitabilmente
l'impossibilità di agire in giudizio. Tale rottura può avve
(2) La causa fu decisa in primo grado dalla Corte distrettuale e in secondo grado dalla Corte di appello dello Stato di New York a sfavore dell'attore. Le sentenze motivavano che l'espro priazione perpetrata dal governo cubano era dettata da intento di rappresaglia, era discriminatrice nei confronti dei cittadini americani e non prevedeva un adeguato compenso. La causa fu
quindi deferita in terzo grado alla Corte suprema degli U.S.A.
(n. d. r.). (3) Il termine « comity » viene più sotto definito dalla stessa
Corte suprema come un obbligo tra Stati non rigidamente vin
colante, ma neppure di mera cortesia. Nel contesto italiano il termine verrà tradotto con « consuetudine amichevole » (n. d. r.).
(4) Nel caso P & E Shipping Corp. v. Banco Para E1 Co mercio Exterior de Cuba, 307 E. 2d 415 (C.A. 1st Cir), la corte deferì la soluzione della questione al Dipartimento di Stato rite nendo che fosse di competenza del potere esecutivo. Nel caso Dade Drydock Corp. v. The M/T Mar Caribe, 199 E. Supp. 871
(8.1). Tex.) si sospese il processo fino a quando «il governo della
Repubblica di Cuba fosse stato nuovamente riconosciuto dagli Stati Uniti d'America » (n. d. r.).
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31 PARTE QUARTA . 32
nire per molteplici ragioni politiche, la sua durata è impre vedibile e, qualunque sia il grado di ostilità che essa com
porta, non è tale da implicare una dichiarazione di guerra. È forse vero che il non riconoscimento di un governo
in alcune circostanze può riflettere una minore ostilità che non la rottura delle relazioni diplomatiche con un go verno riconosciuto, ma il non riconoscimento giuridico ha un particolare aspetto legale, significa che uno Stato ri
fiuta di accettare il governo straniero in carica come la
espressione sovrana di quel territorio (Russian Republic v. Cibrario, supra). Il riconoscimento giuridico è una fun zione spettante esclusivamente al governo. La incongruenza che esisterebbe se dessimo un cosiddetto « riconoscimento
giudiziario » ad una potenza straniera non riconosciuta, non sussiste invece quando soltanto le relazioni diploma tiche sono interrotte (5).
La tesi che gli attuali rapporti tra Cuba e gli U.S.A. non sono tali da precludere il diritto di agire in giudizio è confortata dalla circostanza che nessun atto del nostro
governo sembra essere stato diretto a questo fine. Il convenuto sostiene inoltre che la reciprocità di trat
tamento è un elemento imprescindibile nelle relazioni in
terstatali e, quindi, non si deve concedere allo Stato cubano il diritto di agire innanzi alle corti del nostro paese. Benché nella causa Hilton v. Guyot (supra) sembra che si aderi sca alla tesi del convenuto, in realtà nel caso citato il trat tamento di reciprocità riguardava soltanto alcune limitate decisioni giudiziarie.
Ugualmente nella causa Direction der Disconto-Gesell schaft v. United States Steel Corp., il giudice Learned Hand
affermava che la reciprocità si limita alla sola esecutività delle sentenze straniere e non anche alla concessione del diritto di agire.
La questione dell'ammissibilità di un'azione legale coin
volge un problema politico più delicato di quella del rie same di sentenze emesse dai tribunali esteri e, conseguente mente, la possibilità di mettere in imbarazzo gli organi esecutivi durante la negoziazione di affari internazionali diviene molto più acuta. Il riesame di una sentenza riduce di solito, ma raramente accresce le possibilità di ingiusti zia ; il rifiuto di ammettere un'azione in giudizio invece
toglie la possibilità alla corte di giudicare su una contro versia. Il sequestro dei beni cubani esemplifica la capa cità degli organi politici di assicurare attraverso una varietà di tecniche la protezione degli interessi nazionali contro uno Stato che lede gli interessi dei cittadini statunitensi.
Inoltre se è relativamente facile accertare quando uno Stato conferisce efficacia di res indicata alle sentenze statu
nitensi, è però molto più difficile determinare quale sia la condizione giuridica del governo e di cittadini americani di fronte alle corti straniere. Il potere giudiziario ha rispetto al potere politico mezzi assai circoscritti per favorire gli interessi nazionali in caso di controversie con governi stra nieri ; è quindi molto più utile seguile le regole consuetu dinarie ammettendo chiunque ad agire innanzi ai nostri tri bunali. Decidiamo pertanto per l'ammissibilità dell'azione.
III. — Luogo e oggetto dell'espropriazione (titolo di re
dazione).
Il procedimento in corso non può qualificarsi come un atto esecutivo di una legge straniera, dato che la legge sul
l'esproprio è stata interamente eseguita nel territorio di Cuba.
L'attore sostenne ne! precedente grado di giurisdizione che Cuba si era limitata ad espropriare diritti sorti da un
(5) La dottrina per la quale il non riconoscimento preclude allo Stato straniero di adire le corti di un altro paese in ogni circostanza è stata oggetto di critiche. In molte sentenze si è giudicato al contrario che anche l'atteggiamento più ostile verso uno Stato estero non pregiudica questa possibilità (n. d. r.).
contratto concluso in New York e che, pertanto, l'espropria zione era regolata dalla legge newyorkese.
La corte distrettuale ritenne infondata l'eccezione in
base al fatto che la CA.V. vantava di essere proprietaria dello zucchero nei confronti di Farr Whitlock medesimo.
Che oggetto della espropriazione fosse lo zucchero e non
diritti derivanti da contratto, è dimostrato anche dal rifiuto
di lasciare salpare la s/s Homfels fino alla firma di un
nuovo contratto.
Se il provvedimento cubano fosse stato solo un tenta
tivo di espropriare i diritti contrattuali della C.A.V., il
ritardo forzato della nave e il secondo contratto di Farr
Whitlock con il Banco exterior non avrebbero avuto si
gnificato. Le eccezioni del convenuto sono pertanto in
fondate. Il convenuto obietta anche che, se l'espropriazione aveva
per oggetto lo zucchero, il procedimento in corso si profila come l'atto esecutivo di una legge straniera e quindi non
se ne può conoscere dalle corti del nostro paese. A giusti ficazione di questa tesi si ricorda che alcune corti federali
e statali hanno stabilito in passato che non è obbligatorio dare effetto alle leggi penali e fiscali di Stati esteri.
Per quanto la questione sia tuttora aperta, non è ne
cessario decidere in questa sede in quale misura il prin
cipio riferentesi a leggi penali e fiscali si estenda ad altri
settori del diritto ; tanto più che il convenuto non ha ci
tato alcun precedente riguardante un fatto interamente
esauritosi nel territorio dello Stato estero.
Il sequestro della s/s Homfels da parte di Cuba è
stata l'effettiva espropriazione di un bene della C.A.V. e il
contratto concluso da Farr Whitlock con il Banco cubano
rappresenta un riconoscimento del diritto di Cuba sulle
proprietà espropriate. Per tutto quanto sopra riteniamo che le eccezioni del
convenuto non tocchino il problema fondamentale, se si pos sani accogliere dalle nostre corti le pretese del Banco na
zionale di Cuba ; la presente questione si fonda invece sulla
accettabilità o meno, dello « act of state doctrine » di cui
si discuterà di seguito (6).
IV. — (Riassunto dal testo ufficiale). — L'orientamento
tradizionale dello « act of state doctrine » come cominciò a pro
filarsi in Inghilterra nel 1674, nel caso Blad v. Bamfield e
seguito dalla giurisprudenza americana nel tardo settecento
primo ottocento, può sintetizzarsi con le seguenti proposizioni del giudice Fuller nella causa Underbill v. Hernandez (168 U. 8. 250) :
« Ogni Stato è obbligato a rispettare Vindipendenza delle
altre potenze sovrane e i tribunali non sono autorizzati ad
inquisire sulla legittimità degli atti e provvedimenti emessi
da un governo estero nei limiti del suo territorio. Le viola
zioni che conseguissero air applicazione di questi provvedi menti possono essere riparate solo mediante accordi tra Stati »,
Il principio qui enunciato e seguito in molte altre decisioni
delle corti statunitensi (vedi specialmente, Shapleigh v. Mier, 299 U. S. 468 ; Oetjen v. Central Leather Co., 246 V. S.
297 e Bicaud v. American Metal Co., 246 U. S. 304) non e
stato, in via eccezionale, applicato nella causa Bernstein v. N.
V. Nederlandsche-Amerikaansche Stoomvaart- Maatsehappij (173 F. 2d 71) che verteva sul ricupero dei beni confiscati ad un cittadino statunitense, di razza ebraica, dal governo nazista.
In questo caso, sulla base di una dichiarazione ufficiale
(0) Nei precedenti gradi di giurisdizione, le corti si erano astenute dal decidere se il decreto di espropriazione del governo cubano fosse conforme ai requisiti formali della legge di quel paese. Ugualmente, nel caso Hudson v. Guestier (4 Cranch 293, 204) il presidente della Corte suprema, Marshall, dichiarò che una nazione deve riconoscere gli atti di uno Stato straniero, anche se non conformi alle sue leggi interne.
Ugualmente irrilevante si è ritenuta la questione se il de creto esecutivo fosse stato o no pubblicato nella Gazzetta ufficiale di Cuba (n. d. r.).
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33 GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E STRANIERA 34
del Dipartimento di Stato americano, per cui questo go verno « cercava di opporsi agli atti di espropriazione com
piuti dalla Germania nazista nei confronti dei popoli soggetti al suo controllo e pertanto lasciava piena libertà alle corti americane di non dare effetto alle leggi tedesche », il tri bunale si oppose alla consegna dei beni confiscati.
Dall' insieme della citata giurisprudenza delle corti ameri
cane, si possono ricavare tre principi sulla insindacabilità
degli atti legislativi di governi stranieri :
a) essi sono insindacabili anche qualora violino il diritto internazionale ;
b) la loro illegittimità non pud essere invocata dal go verno straniero che sia attore nelle corti americane ;
c) possono non essere applicati dietro espressa autoriz zazione del governo statunitense.
Nel presente giudizio, il difensore del convenuto si pre murò di ottenere una dichiarazione ufficiale del Diparti mento di Stato nei confronti degli atti di espropriazione del
governo cubano ; la dichiarazione fu la seguente : « Il Dipartimento di Stato non ha finora preso alcuna mi
sura per impedire gli atti di nazionalizzazione del governo cubano. Se a questi atti si possa dare effetto entro gli Stati
Uniti, oppure no, è compito della corte decidere. Dato che il caso Sabbatino attende il giudizio della corte, ogni commento da parte del governo sarebbe ora fuori luogo. (Omissis). Le intromissioni del governo nella sfera riservata al potere giudi ziario sono suscettibili di malintesi ».
V. — (Riassunto dal testo ufficiale). — Lo « act of state
doctrine » non si fonda su un malinteso principio di sovranità della legge entro il proprio Stato. L'applicazione del diritto di uno Stato diverso da quello in cui è sorta l'obbligazione oggetto di un'eventuale controversia, non significa che si voglia spogliare il foro straniero della sua sovranità giuridica o co
munque menomarne le prerogative. Non si può neppure asserire che lo « act of state doctrine »
dipenda dal diritto internazionale, dato che la maggior parte degli Stati non ne tengono conto. Non esiste infatti alcuna sentenza sia giudiziale sia arbitrale da cui si possa dedurre che il diritto internazionale prescriva il riconoscimento della assoluta sovranità legislativa dei governi esteri. La mancata
applicazione dello « act of state doctrine » non costituisce violazione del diritto internazionale.
Lo « act of state doctrine » può invece avere degli appigli nella Costituzione degli Stati Uniti, precisamente nel sistema della separazione dei poteri, per cui la politica estera, pur essendo affidata ai poteri legislativo ed esecutivo, non è al di fuori del controllo del potere giudiziario. Si teme tuttavia che l'esercizio di tale controllo quando si tratti di sindacare la validità di atti perpetrati da Stati esteri, ottenga l'ef fetto di ostacolare, anziché contribuire, alla realizzazione degli obiettivi del governo. Il potere giudiziario preferisce pertanto non intromettersi in questioni che hanno una rilevanza extra statale.
Sulla questione della competenza delle corti federali o di strettuali nella causa sub radice, è pacifico che controversie che presuppongono una definizione dei limiti della giurisdi zione del potere giudiziario rispetto a quello esecutivo, non
possono appartenere che alle corti federali.
VI. — Applicazione dello « act of state doctrine » (titolo
di redazione).
Se lo « act of state doctrine », pur essendo coercitivo per le corti sia di Stato sia federali, non si fonda nè sul diritto
intemazionale, nè sulla Costituzione, la sua continua vita
lità dipende dal fatto che consente l'equilibrio delle fun
zioni attribuite al potere giudiziario ed esecutivo su que stioni di politica estera. Sembra evidente che quanto più un problema di diritto internazionale è codificato o non con
troverso, tanto più semplice è la decisione del giudice. La
corte infatti può limitarsi ad applicare la legge alla fatti
specie, senza ricorrere al delicatissimo compito di stabilire
se una norma contrasti con l'interesse nazionale o con
la giustizia internazionale oppur no. È altrettanto evi
dente che alcuni settori del diritto internazionale pos sono toccare molto più acutamente di altri la sensibilità
di un governo straniero ; quanto meno sono importanti
gli effetti di una sentenza nelle relazioni internazionali, tanto più deboli saranno le giustificazioni a favore del pre
potere degli organi politici. Inoltre il giudizio equitativo di una controversia può mutare qualora sia caduto il go verno che ha emanato il provvedimento sub indice, come è
avvenuto nella causa Bernstein (v. supra), dato che gli in
teressi di quello Stato possono venirne consideravolmente
alterati. Per tutto ciò, lungi dal formulare un principio in
flessibile che non lascia via d'uscita, la corte si limita a
decidere che non intende sindacare l'atto di espropriazione
disposto dal governo cubano, anche se si reclama che esso
ha violato la legge consuetudinaria internazionale, avendo
presente che il governo cubano è tuttora al potere, che è
riconosciuto dal nostro paese e che non vi sono trattati
o altre leggi inequivocabili sulla questione in esame.
Vi sono poche norme di diritto internazionale su Ciri le
opinioni siano contrastanti come sui limiti della espropria bilità di beni appartenenti a stranieri. Naturalmente, se
condo alcune sentenze giudiziarie ed arbitrali, di corti
internazionali e statali ed anche correnti dottrinali, l'atto
di espropriazione è illecito nel diritto internazionale se
non è stato compiuto per fini di utilità pubblica, se è
discriminatorio o se non è previsto un sollecito, adeguato ed effettivo compenso. Nondimeno i paesi comunisti, ben
ché dopo notevoli sforzi diplomatici abbiano talvolta sta
bilito un compenso, di solito non riconoscono alcun obbligo da parte del governo espropriante.
In alcuni paesi sottosviluppati e di recente indipendenza si è addirittura posto in dubbio che all'obbligo del risarci
mento da parte degli Stati esproprianti nei confronti degli stranieri siano tenuti anche quegli Stati che non hanno
contribuito alla formazione del principio in questione, ad
ducendo che le norme tradizionali in tema di espropria zione riflettono interessi « imperialisti » e sono inadeguate alla situazione dei paesi in via di sviluppo (8).
Il disaccordo esistente su questioni fondamentali di
diritto internazionale riflette una divergenza ancor più netta tra gli interessi delle nazioni esportatrici e quelle
importatrici di capitali, tra le ideologie degli Stati che
controllano le fonti di produzione e quelli invece ad eco
nomia liberistica. È difficile immaginare che le corti del
nostro paese siano coinvolte in una controversia che.di
penda più sensibilmente dalle ideologie politiche dei vari
membri della comunità delle nazioni.
Se noi confrontassimo quanto è stato detto finora con
le decisioni giudiziarie che hanno definito le espropriazioni verso stranieri, anche se giustificabili, invalide per il diritto
internazionale ed inefficaci agli effetti del passaggio del
titolo, il nostro punto di vista ne risulterebbe confermato.
Infatti, anche se le sentenze più importanti di questa Su
prema corte si sono basate finora su fattispecie diverse
dalla presente — il caso Underhill perchè vi era un caso
di immunità e le cause Oetjen, Ricaud e Shapleigh perchè non vi era effettiva violazione del diritto internazionale — si
può da esse dedurre incontrovertibilmente che lo « act of
state doctrine » è applicabile anche quando la legge inter
nazionale è stata violata. Nella causa Ricaud, in cui l'ille
cito era più evidente che nelle altre, non fu neppure discussa
la possibilità di un'eccezione allo « act of state doctrine » (9).
(8) In merito a questa nuova teoria che trova sempre più
largo seguito, v. Anand, in Bole of the « New » Asian-African countries in the present International Legal Order, 56 Am. J.
Int'l L. 383 (1962) ; Roy, Is the Law of Besponsability of States
for Injuries to Aliens a Part of Universal International Law Ì, 55
Am. J. Int'l L. 863 (1961) (n. d. r.\
(9) Alcuni hanno osservato che l'eccezione non era stata
sollevata dinanzi alla corte, ma la critica è infondata (n, d. r, ,
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PARTE QUARTA
Possiamo renderci conto di quali conseguenze avrebbe
una sentenza difforme dalla citata giurisprudenza, conside
rando che cosa avverrebbe se il nostro governo, mentre
è impiegato a risolvere una vertenza internazionale, fosse
ostacolato da una decisione giudiziaria. In seguito all'espro
priazione di beni appartenenti a cittadini statunitensi, il nostro governo, attraverso i canali diplomatici, tenterà
di assicurar loro un equo compenso. Rappresentando tutti
i cittadini lesi, riuscirà sovente con negoziazioni dirette o
multilaterali oppure con un reclamo alle Nazioni Unite o
anche con sanzioni economiche e politiche, ad ottenere, almeno in certa misura, il risarcimento dei danni. Invece,
poiché dipende da circostanze del tutto fortuite che i beni
espropriati vengano a trovarsi nel nostro paese, una sen
tenza dichiarante l'invalidità del provvedimento di espro
prio otterrebbe tutt'al più l'effetto di risarcire uno dei cit
tadini lesi. Ancor più, la medesima sentenza potrebbe rap
presentare un'offesa per il governo espropriante, in quanto, essendo il concetto di sovranità profondamente radicato,
ogni Stato si lamenterebbe del rifiuto di accordare vali
dità ad atti che ha emesso nei limiti del suo territorio.
In conclusione una sentenza che da un lato offre vantaggi limitati, può da un altro, se intesa come un insulto a Stato
straniero, interferire seriamente nelle trattative del go verno, impedendo o rendendo meno favorevoli i termini di
ui eventuale accordo. Anche le relazioni con terzi Stati
che avessero perpetrato simili espropriazioni non sareb
bsro immuui da influenze negative. I pericoli illustrati sono indipendenti dal fatto che il
Dipartimento di Stato ha dichiarato, come è avvenuto
in questo caso, che il provvedimento contro cui si reclama
ha violato il diritto internazionale. Se il governo nelle
trattative con lo Stato espropriante ha ritenuto opportuno non denunciare una violazione della consuetudine interna
zionale, la decisione presa da una corte di giustizia in questo senso potrebbe avere l'effetto di un insulto, mentre una de
cisione che ritenesse internazionalmente giustificabile il
provvedimento straniero rafforzerebbe la posizione del
l'altro Stato durante i negoziati, a detrimento degli inte ressi americana.
Perfino nel caso che il Dipartimento di Stato si sia pro nunciato per l'illegittimità dell'espropriazione, il marchio di
approvazione datogli dal potere giudiziario, per quanto
imparziale, potrebbe acutizzare la situazione di ostilità, senza contare che il più delle volte la sentenza emessa molto tempo dopo l'esecuzione dell'atto illegittimo po trebbe esser resa nota nel momento più inopportuno. Conse
guenze considerevolmente più gravi e pericolose potrebbero derivare da una sentenza, la quale dichiarasse che non vi
è stata violazione del diritto internazionale, soprattutto se
si trovasse faecia a faccia con una dichiarazione contraria
del Diparamento di Stato. Quando il potere esecutivo fa conoscere la propria opinione ufficiale su questioni di
politica estera, non si esprime soltanto come un interprete di regole tradizionali e generalmente accette, come farebbe
questa corte, ma anche come propugnatore di norme
tipo che ritiene adeguate all'interesse della comunità mon
diale, nonché protettive dell'interesse nazionale. In breve,
qualunque sia il modo in cui la decisione vien presa, assai difficilmente si potrà evitare un conflitto tra il potere giu diziario e quello esecutivo. Il convenuto eccepisce che, an
che se non vi è accordo sui principi determinanti la vali
dità di un'espropriazione, vi sono tuttavia condizioni quali la rappresaglia, la discriminazione e l'inadeguato compenso che provano l'atto di violazione del diritto internazionale.
Se pure questo punto di vista fosse corretto, i tribunali
che vi aderissero agirebbero ugualmente con imprudenza. Una sentenza in questo senso potrebbe infatti indirizzare la giurisprudenza per una via così irta di complicazioni che
difficilmente potrebbero essere evitati conflitti col potere esecutivo. Anche se le corti evitassero questo pericolo, pre sumendo la validità di un provvedimento straniero in ogni c iso in cui il diritto internazionale fosse ambiguo, oppure conformandosi all'opinione del Dipartimento di Stato, l'incertezza giuridica che ne deriverebbe, potrebbe mettere
in imbarazzo il governo.
Dall'accettazione della tesi del convenuto dipenderebbe anche l'incertezza dei titoli di proprietà nei traffici commer
ciali con l'estero ed insieme l'alterazione del flusso del
commercio internazionale. Nel caso di poca chiarezza del
l'atteggiamento delle corti statunitensi, l'acquirente di
merci espropriate temerebbe di poterle importare senza
pericolo in questo paese e persino se si trattasse di un atto
di espropriazione notoriamente invalido, sarebbe difficile
determinare quando le merci attraverso molteplici passaggi di proprietà siano le stesse che furono frutto di quell'atto.
(Omissis)
VII. —Limiti di applicazione dello « act of state doc
trine » (titolo di redazione).
Per ultimo dobbiamo determinare se la circostanza che l'attore di questo processo sia lo Stato cubano conduca a conclusioni diverse da quelle suesposte.
Se la corte dovesse distinguere tra i procedimenti pro mossi da Stati e quelli dei loro mandatari, la regola avrebbe scarso effetto a meno che non si accertasse in ogni caso se il privato che agisce in giudizio ha acquisito la proprietà in buona fede. Se si tien conto però che i trasferimenti dei beni espropriati si effettuano quasi invariabilmente al di fuori dei nostri confini, si comprende anche quali difficoltà
comporterebbe questo accertamento.
È vero quindi che il problema della certezza del titolo è meno grave quando l'attore è uno Stato, ma è pur vero che se le sue pretese non venissero soddisfatte facilmente
questi commercerebbe i suoi beni in altri mercati, deter minando un'alterazione del flusso commerciale. L'imba razzo del potere esecutivo sarebbe pertanto accresciuto dalla presenza di un simile attore in un processo e i riflessi di un'eventuale sentenza di condanna più acuti nelle re lazioni internazionali. Discutendo sulla regola della non
eseguibilità negli Stati Uniti di leggi penali e fiscali straniere
(v. retro), la Suprema corte mise in rilievo che la ratio di
questa norma si trova principalmente nel desiderio di evi tare di mettere in imbarazzo uno Stato, censurando le sue
leggi penali e fiscali. Sebbene questo principio faccia pre sumere l'invalidità della legge straniera, mentre lo « act of state doctrine » tende a far presumere il contrario, vi è tuttavia un elemento razionale comune alle due dottrine, che è quello di non scardinare la regola dello « act of state doctrine » quando l'attore è uno Stato, sempre che questi non agisca per ottenere l'esecuzione di un proprio provve dimento (v. retro).
Certamente la distinzione proposta dal convenuto con durrebbe a rimedi fini a sè stessi, contrastanti con la ri cerca di un ordine pacifico internazionale. Se Farr Whitlock non avesse accettato i documenti di sbarco o avesse rotto il contratto, Cuba si sarebbe difesa contro un'azione even tualmente intentata dalla C.A.V., chiedendo l'applicazione dello « act of state doctrine ». Sarebbe ingiusto che questo motivo di difesa le fosse precluso, per effetto del comporta mento unilaterale del convenuto, per quanto giustifcato esso fosse in quelle circostanze.
Il convenuto si appella ad un'altra teoria per far sì che la partecipazione di Cuba come Stato, in questo pro cesso, conduca a conclusioni diverse da quelle suddette. Si
eccepisce cioè che la legge del foro adito deve essere appli cata a tutte le cause in corso, senza distinzione. Questa teoria viene giustificata mediante l'analogia con il caso di uno Stato estero che agisca, per controversie relative a beni e persone che godono del beneficio di immunità, nelle nostre corti, caso in cui il cittadino statunitense può pro porre azioni riconvenzionali (v. National City Bank v.
Republic of China, 348 U. S. 356). Ma se l'immunità è una
prerogativa che si è voluto concedere agli Stati, si è però ritenuto equo che, quando essi stessi agiscano in giudizio, si possono opporre eccezioni e domande riconvenzionali.
Comunque sia, lo « act of state doctrine », per quanto con divida con il principio dell'immunità il rispetto per la so vranità degli Stati, serve qui a determinare i limiti di va lidità di una « rule of law » che potrebbe essere diversa
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37 GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E STRANIERA 38
mente applicata. È ovvio che se un governo riconosciuto fa causa ad un cittadino statunitense per controversie nascenti da un contratto su beni immuni, agirà nel foro in cui si trova la cosa o in cui è stato perfezionato il con
tratto, ma questo foro non applicherà il proprio diritto sostanziale. Poiché lo « act of state doctrine » si fonda su
una presunzione di validità delle leggi straniere, dalla sua
applicazione consegue il medesimo risultato ; il foro giudi cante non può applicare la propria legge nei riguardi delle
espropriazioni. Lo « act of state doctrine» si aggancia, in un certo senso,
alla validità del decreto di espropriazione cubano e quindi
ogni eccezione fondata sulla sua pretesa invalidità è de stinata a cadere.
Non restando altri punti controversi nel presente giu dizio, la sentenza della corte d'appello è cassata e la causa
rinviata alla corte distrettuale.
[Traduzione dal testo ufficiale in lingua
inglese della dott. Maddalena Lombardi]
(1-5) Questa sentenza ha suscitato molteplici e violente reazioni negli Stati Uniti, tanto da costituire uno spinoso argo mento del dibattito politico nella campagna del novembre 1964
per le elezioni presidenziali. Anche dal punto di vista più stret tamente giuridico, numerose sono le critiche che vengono mosse da studiosi di diritto internazionale di varie nazionalità.
La giurisprudenza degli Stati occidentali in processi civili
conseguiti ad atti di espropriazione e nazionalizzazione di beni
appartenenti a stranieri è in genere difforme sul punto che non "si possa compiere un esame di validità sostanziale e formale sulle leggi e provvedimenti emessi da uno Stato estero :
v. per VInghilterra, Anglo Iranian Oil Co. v. Jaffrate (The Rose Mary), 1953 Int'l L. Rep. 316 (Aden Sup. Ct) ; N. V. de
Bataafsche Petroleum Maatschappi j v. The War Damage Comm'n, 1956, Int'l L. Rep. 810 (Singapore Ct. App.)
per i Paesi Bassi, Senembah Maatschappi j N. V. v. Repu blik Indonesie Bank Indonesia, Nederlandse Jurisprudentie 1959, No. 73, pag. 218 (Amsterdam Ct. App.), estratti in Domke, In
donesian Nationalisation Measures before Foreign Courts, 54 Am. J. Int'l L. 305, 307-315
per la Germania, N. V. Verenidge Deli-Maatschapijen v. Deusch-Indonesische Tabak-Handelsgesellschaft m. b. H. (Bre men Ct. App.), estratti in Domke, supra ; Confiscation of Pro
perty of Sudeten Germans Case, 1948, Ann. Dig. 24, 25 (no. 12) (Amtsegericht of Dingolfing)
per il Giappone, Anglo Iranian Oil Co. v. Idemitsu Kosan Kabushiki Kaisha, 1953 Int'l L. Rep. 305 (Tokyo Dist. Ct.) aff'd,
1953, Int'l L. Rep. 312 (Tokyo High Ct.) per la Francia, Volatron v. Moulin (1938-1940) Ann. Dig.
24 (Ct. App. Aix) ; Société Potasas Ibericas v. Nathan Bloch,
(1938-1940) Ann. Dig. 150 (Ct. Cass.). Conformi sul punto che non si devono disconoscere leggi
straniere anche se violino il diritto internazionale : caso Ropit, Corte di Cass. di Francia, 1929, Recueil Général
des lois et des arrèts (Sirey), I, 217 ; Verenigde Deli-Maats
chapijen (Germania), supra ; Massouridis, Gli effetti della con
fisca, esproprio e requisizione da parte di autorità straniere, in
Revue Hellenique de droit international 62, 68 (1950) Anglo Ira
nian Oil Co. (Giappone), supra. Per la giurisprudenza italiana, v. App. Genova 29 gennaio
1964, Foro it., 1964, I, 1053, con nota di richiami dottrinali e
giurisprudenziali.
* * ♦
Si riassumono alcune delle critiche mosse all'annotata sen
tenza dal giudice White che ha steso la dissenting opinion :
a) critica all'interpretazione data alla giurisprudenza sta
tunitense e estera in merito ai limiti di applicazione dello « act
of state doctrine ». Il giudice White ritiene che la giurisprudenza in questo
campo sia stata unanime nel sostenere l'ineseguibilità di provve dimenti stranieri che violano il diritto internazionale, come ap
punto gli atti di esproprio nei confronti di persone di determinata
razza, religione o nazionalità. In alcuni casi, le corti statunitensi
non hanno ritenuto opportuna neppure l'applicazione di leggi straniere contrarie all'ordine pubblico o da eseguirsi senza il ri
spetto di normali regole procedurali ;
b) critica alla decisione della Corte suprema di astenersi dal giudicare sulla validità del provvedimento di esproprio cu bano in rapporto al diritto internazionale.
Il potere giudiziario ha l'obbligo di risolvere le controversie nel merito conformemente alla legge in vigore, sostiene il giudice White. L'art. Ili par. 2 della Costituzione statunitense e l'art. 1332 del Judicial Code danno alle corti giurisdizione su tutte le controversie civili tra gli Stati Uniti e gli Stati stranieri.
Il diritto internazionale è una parte del diritto americano e pertanto deve essere esaminato ed applicato ogni volta che una controversia ricada sotto la sua competenza. Esso è l'effetto del l'accordo di tutte le nazioni su determinati principi e quindi la
giustizia dovuta alle parti litiganti, la difesa dei loro interessi
legittimi e l'interesse comune alla stabilità delle relazioni giuri diche, esigono che venga rispettato ;
c) critica delle giustificazioni di natura politica date alla sentenza.
Si ritiene che, pur essendo apprezzabile la preoccupazione della Corte suprema di non mettere in imbarazzo il governo, non vi è considerazione di natura politica che valga ad esentarla
dall'obbligo di sindacare la validità dei provvedimenti stranieri.
Qualora il conflitto internazionale possa essere risolto defe rendo la questione al potere esecutivo oppure ai tribunali inter
nazionali, la corte può consigliare le parti di seguire questa strada, ma ciò non significa che essa debba incondizionata deferenza al
provvedimento straniero. Se lo « act of state doctrine », con clude il giudice White, deve diventare la regola dell'astensione
giudiziale, sarebbe più giusto che la corte rifiutasse di esaminare la controversia, oppure evitasse di emettere la sentenza fino a che il governo non prenda posizione in un senso o nell'altro o fino ad una soluzione spontanea del conflitto internazionale.
CORTE DI CASSAZIONE DI FRANCIA.
Sentenza 22 ottobre 1964 ; Pres. Zambeaux, Rei. Costa, Avv. gen. Boucheron ; Soe. Brandt Frères (Ayy.
George).
Comunità europee — C.e.e. — Hejjole di concorrenza — Questioni di interpretazione — Mancato rinvio
alla Corte di giustizia delle Comunità europee — Po
teri della Cassazione di Francia (Trattato istitutivo
della C.e.e., art. 85, 177).
Non può essere censurata dalla Corte di cassazione di Francia
la decisione di corte di merito che, avendo ritenuto irrile
vante, ai fini della pronuncia, una disposizione del trat
tato C.e.e. (nella specie art. 85, in quanto il contratto
controverso produceva i suoi effetti soltanto sul mercato
interno francese) abbia omesso di sottoporre, ai sensi del
l'art. 177 del trattato stesso, la questione di interpretazione alla Corte di giustizia. (1)
La Cour ; — Statuant sur le pourvoi formé par Nicolas
Paul, en son nom et en sa qualité de directeur général de
la société Brandt Frères, contre un arrét du 9 mai 1963
de la cour d'appel d'Amiens qui l'a condamné à 1.000 F
d'amende pour refus de vente et a déclaré la société Brandt
Frères civilement responsable ; Sur le premier moyen. (Omissis) Sur le second moyen de cassation pris de la violation
des art. 44 de la Constitution, 12, 85 et s. et 177 du traité
de Rome, des règlements n. 17 et 153 de la Communauté
économique européenne, violation par fausse application de
l'art. 37 modifié de l'ordonnance du 30 juin 1945, violation
des art. 39 bis, 59 ter et 59 quater de la mème ordonnance,
art. 7 de la loi du 20 avr. 1810, excès de pouvoir, défaut
et contradiction de motifs et manque de base légale, « en
ce que la cour pour rejeter les exceptions proposées par les demandeurs et fondées sur les dispositions des art. 85
et s. et 177 du traité de Rome et des reglèments pris pour son application a dé:;liré, en plusieurs motifs de l'arrèt
attaqué, que les dispositions de ces conventions diploma
tiques devaient ètre considérées comme « sans influence » sur
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