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Avventure nel mondo 1 | 2017 - 117 Testo e foto di Barbara Bettelli RACCONTI DI VIAGGIO | Cuba O re 11.00 in punto del 9 agosto. Aeroporto Linate, Banco check-in Iberia, cerco l’incaricato di Avventure che deve consegnarmi biglietti aerei e tarjetes del turismo de Cuba. C’è un tizio che distribuisce fogli a gente in fila, è lui di certo, sfodero il sorrisone delle vacanze, mi avvicino sicura e gli faccio: “Ciao, sono Barbara, sei quello di Avventure nel mondo vero? Ritiro io tutti i biglietti”. E lui: “ No guarda, quelli di Avventure li riconosci, sono molto più spartani” e se ne va. Eccoci. Se il buongiorno si vede dal mattino …. Subito dopo arriva il ragazzo giusto, molto più giovane e molto più carino, sia benedetta Sparta … avviene la consegna, distribuisco il malloppo ai miei 7 compagni milanesi, una ha il sacco a pelo attaccato allo zaino, dev’esserci stato un serio problema nelle comunicazioni, non avrò mica mandato per sbaglio la lista del viaggio in Perù che spero di fare prima o poi … vabbè, pazienza, lo prendo e glielo butto, non se ne accorgeranno nemmeno, sono tutti così impegnati a conoscersi e così ansiosi di partire per la nostra avventura nei luoghi della revolucion … In aeroporto a Madrid, troviamo i romani al Burger king che si ingozzano di panini e patatine unte, devono avere preso alla lettera la storia dell’embargo e si stanno procurando gli strati di grasso necessari per tutto il viaggio. Volo tranquillo, ci spariamo tutti almeno 2 film spazzatura a testa, guardiamo con sospetto gli strani tortellini serviti per cena e senza nemmeno rendercene conto, alla sera siamo ad Havana. Lo capiamo più che altro dalla temperatura, abbiamo lasciato un paese caldo, ne troviamo uno letteralmente infuocato, e spunta in mezzo al fuoco la nostra guida, già sul pezzo, perfettamente organizzata, ci ha tenuto un posto in fila al cambio dinero, ci asciuga il sudore dalla fronte, mi aspetto che verrà anche a rimboccarci le coperte ogni sera. Come per ogni viaggio, il primo impatto con la città è complesso, vedo tra i miei compagni faccette un po’ spaventate, ma so che la notte porterà consiglio … e speriamo anche un coniglio, visto che è ormai mezzanotte e tra frizzi e lazzi abbiamo saltato la cena ... CUBA L’ISOLA CHE ASPETTA LA PROSSIMA REVOLUCION Cuba Discovery gruppo Bettelli

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Avventure nel mondo 1 | 2017 - 117

RACCONTI DI VIAGGIO | Iran

Testo e foto di Barbara Bettelli

RACCONTI DI VIAGGIO | Cuba

Ore 11.00 in punto del 9 agosto.Aeroporto Linate, Banco check-in Iberia,

cerco l’incaricato di Avventure che deve consegnarmi biglietti aerei e tarjetes del turismo de Cuba.C’è un tizio che distribuisce fogli a gente in fila, è lui di certo, sfodero il sorrisone delle vacanze, mi avvicino sicura e gli faccio: “Ciao, sono Barbara, sei quello di Avventure nel mondo vero? Ritiro io tutti i biglietti”.E lui: “ No guarda, quelli di Avventure li riconosci, sono molto più spartani” e se ne va.Eccoci. Se il buongiorno si vede dal mattino ….Subito dopo arriva il ragazzo giusto, molto più giovane e molto più carino, sia benedetta Sparta … avviene la consegna, distribuisco il malloppo ai miei 7 compagni milanesi, una ha il sacco a pelo attaccato allo zaino, dev’esserci stato un serio problema nelle comunicazioni, non avrò mica mandato per sbaglio la lista del viaggio in Perù che spero di fare prima o poi … vabbè, pazienza, lo prendo e glielo butto, non se ne accorgeranno nemmeno, sono tutti così impegnati a conoscersi e così ansiosi di partire per la nostra avventura nei luoghi della

revolucion …In aeroporto a Madrid, troviamo i romani al Burger king che si ingozzano di panini e patatine unte, devono avere preso alla lettera la storia dell’embargo e si stanno procurando gli strati di grasso necessari per tutto il viaggio.Volo tranquillo, ci spariamo tutti almeno 2 film spazzatura a testa, guardiamo con sospetto gli strani tortellini serviti per cena e senza nemmeno rendercene conto, alla sera siamo ad Havana.Lo capiamo più che altro dalla temperatura, abbiamo lasciato un paese caldo, ne troviamo uno letteralmente infuocato, e spunta in mezzo al fuoco la nostra guida, già sul pezzo, perfettamente organizzata, ci ha tenuto un posto in fila al cambio dinero, ci asciuga il sudore dalla fronte, mi aspetto che verrà anche a rimboccarci le coperte ogni sera.Come per ogni viaggio, il primo impatto con la città è complesso, vedo tra i miei compagni faccette un po’ spaventate, ma so che la notte porterà consiglio … e speriamo anche un coniglio, visto che è ormai mezzanotte e tra frizzi e lazzi abbiamo saltato la cena ...

CUBA L’ISOLA CHE ASPETTA LA PROSSIMA REVOLUCION

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Il primo giorno della nostra avventura cubana ci accoglie con un sole splendente, tutti ora hanno facce riposate e il tipico abbigliamento da mucho calor, infradito e braghette, per esplorare una delle città più affascinanti e decadenti del mondo; non abbiamo ancora preso confidenza con il caldo, ma l’abbiamo preso alla grande con le sacrosante ferie, e il city tour nella città vecchia viene spesso intervallato da soste in baretti, col caffè che c’è qui e quelle bevande a base di canna da zucchero che non si capisce come, riescono sempre a dissetarti.Habana non è la stessa cosa, se te la giri da solo, senza guide lì a spiegarti questo e quello, a percorrere le strade che tutti percorrono, quasi ci fossero i binari per i viaggiatori che non si fermano nelle stesse stazioni degli abitanti, come ogni città, nasconde la sua verità al di là delle strade battute, la scopriremo più avanti, oggi dobbiamo solo annusarla.La Bodeguita del Medio è come di consueto quell’anonimo bugigattolo strapieno di persone che guardano per aria, impossibile entrarci, chissà come faceva Hemingway con tutto quel caos … ma poco male, ho in serbo il Floridita.Ed è qui, nella “Cradle of the Daiquiri” che il disgelo si compie inesorabile, complici cocktail spettacolari ed un gruppo musicale senza impianto, ma con una cantante che sembra avere l’amplificatore installato in gola, il tasso alcolico sale, la timidezza scende, ed ecco il gruppo, che da quell’istante non si separerà più.Il secondo giorno inizia il nostro vero viaggio, scorta di acqua e rum, i primi siparietti sul nostro confortevole bus privato con frigorifero, necessario almeno quanto l’aria condizionata, e il nostro primo obiettivo: Che Guevara.Arriviamo a Santa Clara e ci fiondiamo nel mausoleo, doveva esserci fila e invece entriamo subito, arde la fiamma eterna in una sorta di cripta a temperatura costante in cui sono conservate le tombe di alcuni rivoluzionari che hanno pagato la libertà con la vita, è un luogo suggestivo che porta a riflettere, così come il bellissimo museo che narra, con splendide fotografie in bianco e nero e cimeli storici, tutta la vita di un personaggio tanto mitico quanto controverso, di certo molto ma molto affascinante, e non c’è femmina che non sosti più del necessario davanti alla foto che lo ritrae con uno dei sorrisi più belli della storia.Abbiamo riflettuto anche troppo però, è ora del selfone.Si rivela complesso ritrarci tutti e 16 insieme alla statua gigante del Che ed alla scritta “hasta la victoria siempre” che chiunque di noi, da studente, ha scritto almeno una volta sul diario, ma noi ce la faremo.Ed eccola la foto: 16 sorrisi ed il mitico Che Guevara.Senza testa ….Ripartiamo ovviamente soddisfatti della nostra opera d’arte, e dopo un breve pit stop nella città di Santa Clara e nella strada dei murales, sfrecciamo via veloci verso la città di Cienfuegos.Che ci regala, oltre alla sua architettura in stile

coloniale francese, con alcuni palazzi che sembrano torte alla panna, anche il primo “carnival cubano”, una sorta di sagra di paese sotto la canicola del pomeriggio, con danze, musica e alcol che scorre a

fiumi.Ce ne andiamo a malincuore dal frastuono, rinunciando a capire perché qui il carnival non ha nulla a che fare con quello che intendiamo noi e riprendiamo il nostro cammino verso la tanto desiderata costa.Trinidad ci accoglie, splendida, con le sue strade acciottolate e le case in colori pastello, il clop clop dei

carretti trainati da cavalli e le cadillac rigorosamente anni 50 dai colori davvero improbabili; e solo i turisti che camminano a frotte per le strade ci risvegliano dalla sensazione di essere tornati indietro nel tempo.Veniamo accolti nelle nostre casas particulares in cui si sta già preparando, in un bellissimo patio in mezzo al verde, la nostra abbondante cena a base di aragosta, accompagnata dalla voce di una cubana color cioccolato che cattura immediatamente l’attenzione dei nostri pochi ma attenti maschietti, che da quel momento perderanno l’uso della parola; recupereranno però l’uso delle gambe, anchilosate dalle molte ore di bus, alla Casa de la Musica, sulla grande piazza in cima alla scalinata, scatenandosi nella salsa, sulla quale varrebbe la pena scrivere un racconto a parte …L’indomani, complici le ore piccole e una voglia di mare che sanguina, decidiamo che la cavalcata in mezzo alle piantagioni non fa proprio per noi e ci dirigiamo decisi a Playa Ancon.Mare, finalmente, con una minacciata tempesta in arrivo, che si trasformerà in 15 minuti di pioggerella innocente e un’intera giornata di sole e bagni, con qualcuno che decide di iniziare la dieta liquida, a base di mojito e pina colada, che hanno letto da qualche parte fare davvero molto bene alla linea.Rientriamo prima del tramonto, l’ora giusta per una passeggiata nei sobborghi che ci mostrano la Trinidad più autentica, con i suoi abitanti seduti fuori dalle case alla ricerca di aria fresca, bambini che giocano a pallone, massaie con i bigodini che stendono i panni ad asciugare, un temporale in arrivo che ci offre la luce più bella di tutto il viaggio.Cena spettacolare in un ristorante che rimaniamo ad invadere fino alla chiusura, cantando a squarciagola Guantanamera con i chitarristi, poi di nuovo alla Casa della Musica a ballare e sbirciare i progressi fatti nella salsa, che sono ovviamente irrilevanti se non addirittura nulli; i più irriducibili finiranno la notte alla Cueva, la discoteca di Trinidad sotterranea e scavata nella roccia, nella quale tuttora nessuno sa cosa sia accaduto …Ci rimettiamo in marcia, la mattina dopo, per visitare la Valle de Los Ingenios, territorio di piantagioni di canna da zucchero, verdissime, e sostiamo alla Manaca Iznaga, una grande casa padronale con annessa torre per l’avvistamento degli schiavi in fuga; e da lassù si abbraccia davvero tutto ciò che c’è intorno, nessuno poteva scappare (e te pareva …).

Lezioncina sulla procedure di estrazione dello zucchero e ripartiamo con direzione Sancti Spiritu, deliziosa minuscola cittadina tutta tirata a lucido e ristrutturata di recente, con il viale dello “struscio”, i palazzi in colori fluo e il mercato alimentare.Qui e nei negozi intorno iniziamo a renderci conto dell’effettiva scarsità di cibo a disposizione dei cubani; pochi pezzi di carne sui tavoli dei macellai, solo 2 galline dal pollivendolo, qualche frutto e gli scaffali pressoché vuoti, con le persone che fanno la fila, con una tesserina in mano, per acquistare il poco che c’è.Iniziano anche le riflessioni sul bus, su questo tipo di governo, una sorta di dittatura travestita da pagliaccio per rallegrare il turista, che ha però, senza dubbio, disatteso le aspettative del popolo e tradito lo spirito della rivoluzione.Ma, si sa, troppe riflessioni fanno venire il mal di testa, e allora il nostro mezzo, che ancora per diversi giorni sarà un po’ la nostra casa, diventa il palcoscenico per farci qualche ciotolina di fatti altrui, qui cominceranno i racconti delle nostre vite, delle storie d’amore naufragate, dei viaggi sognati, delle aspettative disattese, il gruppo di Cuba Discovery diventa gruppo di sostegno e allora tutti pronti a dare consigli sulla vita sentimentale di qualcun altro, interpretazioni originali sulle motivazioni della fine di una grande storia d’amore, ma anche suggerimenti per la preparazione della carbonara, istruzioni per il ricamo al tombolo, lezioni di vita, di psicologia, di manutenzione del motorino, cose così.I molti chilometri che ci separavano dal traguardo passano quindi in un battibaleno, e al tramonto ci ritroviamo a Camaguey, al centro dell’isola; ancora una volta accoglienza splendida in una grandissima casa con le nostre enormi stanze, e per la prima volta una cena di quelle proprio vere, con le portate, la zuppa, l’antipasto, i contorni e il dolce.Caffè e cocktail ci vengono serviti in terrazzo e con la musica dei Led Zeppelin (ho scoperto che Peppe il barista è un rockettaro e mi sembra giusto approfittare dell’occasione unica di ascoltare qualcosa di diverso dalla solita zuppa …. Pardon …. salsa); finiamo la serata alla ricerca di un locale che non troveremo mai, come accade ogni volta che si guarda una mappa al contrario, e bevendo il mojito rivisitato con l’erba buena, che è tutta un’altra cosa ma è ottimo, in piacevoli chiacchiere che spaziano

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Avventure nel mondo 1 | 2017 - 119

RACCONTI DI VIAGGIO | Cuba

dai massimi sistemi all’ultimo intervento estetico di Renee Zellweger, come da tradizione di ogni gruppo di viaggio, in cui è un attimo passare dall’astrofisica ai rimedi per le macchie sul tappeto.E il mattino dopo la famigerata bicitaxi … si perché, da un lato pare brutto davvero, farsi trasportare comodamente seduti in carrozza, da un povero cubano che pedala come un forsennato sotto il sole, dall’altro è questo il solo modo che conosce per comprare le scarpe ai suoi figli … Per fortuna i tratti che percorriamo sono piuttosto brevi e tutti i nostri bicitaxisti fanno un po’ gli scemi, si rincorrono, fanno sorpassi degni di Ayrton Senna, preghiamo che non si stacchino le ruote tra un cordolo e una buca e così, tra la competizioni e il tentativo vano di fare una foto a fuoco che sia una, percorriamo le piazze e i vicoli di questa città – labirinto, che ci offre angoli splendidi e una tranquilla atmosfera paesana.Ma la Sierra Maestra ci aspetta, e finito il giro, salutati i nostri chauffeur lasciando loro laute mance, ci rimettiamo in marcia per raggiungere le montagne.A Villa Santo Domingo, dove arriviamo dopo avere abbandonato il bus ed essere saliti a bordo di moderni Suv, il paesaggio è completamente cambiato, tutto intorno a noi allevamenti di bestiame, campi coltivati e contadini a cavallo, fa addirittura quasi fresco qua in collina, prendiamo velocemente possesso delle nostre cabanas in legno in mezzo al verde, che si rivelano quasi di lusso, e ci precipitiamo al di là del fiume, dove ci aspetta un maialino arrosto indimenticabile e una bella serata al fresco sotto le stelle.L’indomani mi ritrovo un gruppo con preoccupanti effetti post sbronza sotto agli occhi ed un curioso abbigliamento marittimo … qualcuno ha la maglietta di I love Hawaii … mi chiedo cosa non sia risultano chiaro nella parola “trekking”.La Comandancia de La Plata è il clou del nostro viaggio, una bellissima passeggiata nel bosco e nei luoghi della revolucion, il Quartier Generale di Fidel per due anni, e non è difficile capire come abbiano fatto a non scovarlo mai, perché in alcuni punti sembra davvero di stare nella giungla.E’ stato proprio qui che Fidel, con soltanto 2 compagni affamati e ridotti allo stremo delle forze, si mise a dormire con il proprio fucile puntato alla gola, per potersi uccidere prima di essere catturato, e la mattina dopo si trovò invece davanti il Che con i suoi pochi uomini, e quello fu l’inizio della lenta ma inesorabile cavalcata verso la vittoria.Percorriamo i sentieri che ci portano alle cabanas che furono gli elementi fondamentali di questa rivoluzione, la capanne dei campesinos, senza i quali nulla di tutto ciò sarebbe accaduto, l’ospedale da campo, la posta ed infine la casa di Fidel, una rozza capanna in legno con soltanto un letto, un tavolo e poco più.Il caldo comincia a farsi sentire, ed il percorso di ritorno risulta molto più faticoso dell’andata, arriviamo così bagnati di sudore che potrebbero strizzarci, ma veniamo immediatamente rifocillati dai campesinos e dalle loro deliziose banane, appena in tempo perché subito dopo si scatena un acquazzone tropicale, ed era pure ora di vedere finalmente un

po’ di pioggia.Ci rimettiamo in marcia, direzione Santiago de Cuba, che mi preoccupa un po’, perché, o la ami o la odi, dicono tutti, ma non si capisce proprio il perché.E noi la amiamo.La amiamo di notte, passeggiando tra un locale e l’altro, minuscoli cortili in cui stanno strizzati ballerini perfetti o improvvisati, piccoli palcoscenici solcati da trombettisti e cantanti che sembrano avere 10.000 anni ma con una voglia di suonare da far invidia, appartamenti adibiti a club improvvisati in cui la notte si trasforma in alba.E la amiamo il giorno dopo, dalla sontuosità della Basilica de la Virgen del Cobre, il più grande santuario di Cuba, meta di pellegrinaggi continui, al meraviglioso cimitero monumentale di Ifigenia, che se non fosse per la temperatura imbarazzante, meriterebbe un intero pomeriggio tra le tombe.Assistiamo al cambio della guardia alla tomba di Marti e fingiamo la solennità che merita anche se francamente ci scappa da ridere …. Soldati belli impettiti che marciano al ritmo di una musichetta sparata a tutto volume dagli altoparlanti, tenendo le gambe dritte dritte, si romperanno da un momento all’altro, ne siamo certi, ogni mezzora il siparietto si ripete, sembra di assistere ad una scena di Aspettando Godot mandata in loop da qui all’eternità, boh, altri misteri della rivoluzione cubana.E finalmente approdiamo nella storia, alla Caserma Moncada, chiamata anche 26 luglio, in cui la magia di questa incredibile rivoluzione ci appare finalmente chiara, ed è una storia fatta non di forza ma di sotterfugi, di astuzie, di messaggi sbagliati, di supposizioni errate, di silenzi, di piccoli imbrogli, perché non c’è altro modo di comprendere come pochissimi uomini affamati e macilenti possano essere riusciti a sconfiggere un esercito.E amiamo Santiago soprattutto al pomeriggio, girovagando in lungo e in largo nel suo centro, tra negozietti che sembrano bugigattoli da rigattiere e mostre d’arte più o meno improvvisate, su ogni muro un accenno alla rivoluzione, a Che Guevara, alla guerra, cominciamo a chiederci se la stiano ancora

combattendo questa guerra, i cubani, e contro chi soprattutto, ma le risposte ci arriveranno qualche giorno dopo.Serata infinita tra la Casa de la Trova e altri mille localini che sembrano spuntare in ogni angolo del centro storico, scopriamo di essere famosi, il branco ha lasciato il segno, chi ci ha visto in giro la sera prima si ricorda di noi, cercano di trascinarci nella casa della musica dello zio, del fratello, del cugino, del nonno, iniziano gli approcci, a volte insistenti, di cubani e cubane così irrimediabilmente attratti da noi, è tutto un “te quiero”, “caliente”, “muy bonito”,

sembra di stare in una canzone di Enrique Iglesias fino a che, stremata, insieme a un piccolo gruppo di stremati quanto me, a notte fonda ci decidiamo a cercare un taxi.Alla parola taxi un poliziotto mi ride in faccia. Andiamo bene, lo sapevo, è troppo tardi per un trasporto pubblico.Macchè. La realtà è un’altra, i taxi pubblici sono probabilmente 2 o 3 in tutto, ma se si vuole arrivare a destinazione, bisogna assolutamente appropriarsi di una delle centinaia di Fiat 128 arrugginite, avvolte in nuvole di monossido di carbonio e

guidate da minorenni chiaramente sbronzi, che non hanno la più pallida idea della planimetria della città.Si arriva comunque a nanna, Cuba è improvvisazione continua, basta lasciarsi andare e “no preocupe senorita” …Il mattino dopo ho dato la sveglia presto, ci aspetta La Farola, mitica strada tagliata in mezzo alle montagne che ci porterà verso la punta estrema dell’isola, i miei compagni portano tracce tangibili di una notte complicata, rispondono praticamente a grugniti, intravedo corone di spine sulle fronti e sgnaccheri del cuscino sulle guance, nessun siparietto in bus, non ci pensano proprio a raccontare cos’è accaduto tra un long drink e un altro.Arriviamo a Baracoa che è pomeriggio inoltrato, adoro immediatamente questa cittadina sonnacchiosa, la più antica di Cuba, e mentre i miei compagni si dirigono direttamente verso un aperitivo al fine di mantenere costante il tasso alcolico ragguardevole ormai acquisito, mi perdo nei sobborghi che mi

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regalano la vita quotidiana dei suoi abitanti, è anche la città degli scacchi questa, e infatti trovo molti tavoli di giocatori tra le vie, anziane fuori dalla porta a prendere il poco fresco del tramonto, la lentezza tipica cubana, che a Santiago ci era un po’ sfuggita, lasciando il posto alla frenesia della metropoli.Ceniamo nel miglior ristorante di Baracoa, dove possiamo assaggiare le specialità del posto a base di latte di cocco, che poi scopri che non è bianco ma rosso e di cocco non sa proprio per nulla.Dopo cena la vita del paese si concentra alla Casa de la Trova, in cui veniamo immediatamente respinti dalla temperatura di 1000 gradi che la rendono inaffrontabile, ma i miei compagni non demordono, vogliono ballare e hanno trovato la “discoteca”.Maledico i 200 scalini necessari ad arrivare in cima alla collina dove dovrebbe trovarsi questo paradiso della danza, El Ranchon, e … sorpresa ! ci ritroviamo in pista con adolescenti in cappellino da baseball e canottiera, dalle casse esce nientepopodimeno che … Rihanna? Madonna ? Ebbene sì, il cubano giovane, ne ha abbastanza della musica cubana almeno quanto me. Il problema è che loro ballerebbero abbracciati anche l’heavy metal, e quando ci fiondiamo sulla pista sembriamo fenomeni da baraccone perché ci agitiamo come degli invasati senza toccarci neanche un po’, davvero assurdo, c’è pure qualcuno che vuole farsi i selfie con noi, anche qui nel profondo Oriente lasceremo il segno, è deciso.Il risveglio del mattino dopo è dolcissimo, i nonnini, ovvero gli anziani proprietari della casa particolar in cui alloggiamo, ci hanno preparato la cioccolata calda, che voi penserete sia inadatta al clima tropicale e invece no, perché a noi viene servita appena tiepida, e poiché Baracoa è la patria del cacao cubano, andava proprio assaggiata; ovviamente mi perdo in chiacchiere coi nonni e riesco ad accumulare qualche decina di minuti di elegantissimo ritardo, fare colazione in casa con i parenti ha questo rovescio della medaglia, ti sembra di avere tutta la giornata davanti per parlare del più e del meno, e invece non ce l’hai.Corriamo quindi sulla piazza centrale e veniamo caricati su un camion bestiame, ci dirigiamo verso la montagna del Yunque, e passiamo davanti alla

fabbrica del cioccolato, inaugurata proprio dal Che nel momento in cui, dimenticando di essere un rivoluzionario, era diventato Ministro dell’industria.Ci prepariamo per il trek, e ci vuole meno di un secondo per decidere che i 5 km sono senza dubbio molto ma molto più interessanti dei 16 km necessari ad arrivare in cima; a noi, del resto, basta fare il bagno alla cascata, che tutti ne parlano come se fosse il paradiso.Camminiamo in mezzo al verde, incontriamo alberi di cacao e banani, asini e casette in legno dei campesinos e finalmente, dopo avere guadato il fiume con operazioni di vestizione, svestizione e cambio calzature degne della settimana della moda di Milano, arriviamo nel nostro piccolo paradiso,

acqua fresca in una piscina naturale in cui si getta una cascata che sembra stesse aspettando soltanto noi e dove rimaniamo a mollo finchè non ci cadono le dita.Sulla via del ritorno sostiamo in una casetta di contadini che ci fanno assaggiare il frutto del pane, che sembra davvero di mangiare i cracker, forse perché è fritto, e altri 1000 frutti dal sapore dolcissimo di cui non sospettavamo neppure

l’esistenza.E poi ancora cioccolato fuso, questa volta freddo, succhi rosa densissimi, cocco, ananas altre diavolerie della natura con colori sgargianti, sembra di stare ad un banchetto di nozze e ci rimpinziamo fino a scoppiare, nonostante ci aspetti una lunga camminata per il ritorno, sotto un sole ormai fastidioso.Ed è proprio durante il tragitto che vengo letteralmente arpionata dalla nostra guida del trek, che mi spiega con estrema dovizia di dettagli, la loro vita, oggi.Ricevo così, come un pugno nello stomaco, la conferma di tutto ciò che avevamo intuito già dall’inizio del viaggio.Scopro che lo stipendio medio di un medico non supera i 40 cuc mensili (meno di 40 euro) e che quello di un militare è più del doppio, ma sempre una miseria; che questo socialismo ormai arrugginito garantisce al popolo casa, salute, istruzione, cibo, ovvero i fondamentali, ma che oltre ai fondamentali, non avranno mai il denaro necessario ad avere qualcosa in più dell’indispensabile.

Che la doppia moneta, CUC per i turisti e CUP per gli abitanti, con il CUC tarato sul dollaro, ha portato a far si che il la loro originaria moneta sia poco più di carta straccia. E tutto per compiacerci.Che in un mese, forse con le mance riesce a comprare una scarpa per suo figlio, e che il mese dopo gli comprerà l’altra.Che c’è un italiano, proprio lì a Baracoa, che si è fatto una villa galattica con circa 10.000 cuc, e che lui quella somma non la vedrà mai in tutta la sua vita. Che ogni cubano ha un buon motivo per amare Fidel, e almeno uno altrettanto buono per odiarlo.Che questa apparente ricchezza di chi lavora con i turisti è uno specchietto per le allodole, perché se ne va quasi tutta allo Stato, e che le mance sono aria pura e la speranza di potersi comprare una camicia nuova.Finisco il trek bagnata di sudore, e con la consapevolezza che quella frase: “andiamo a Cuba adesso, prima che cambi” non ha alcun senso, perché, fine dell’embargo oppure no, Cuba non cambierà mai, o forse è già cambiata abbastanza e sta cercando di non farsi l’eutanasia da sola, mantenendo intatto ciò che al viaggiatore piace, perché il viaggiatore potrà darle un aiuto per avere qualcosa di più del poco..Solo una nuova rivoluzione potrà cambiarla, e non è detto che non accada …Ma chiudiamo la parentesi socioculturale e torniamo al nostro allegro gruppetto, che, non appena sceso dal camion bestiame e tornato in città, decide di fiondarsi direttamente al mare. E come dargli torto?Playa Maguana al pomeriggio ci regala un mare turchese, l’acqua limpida e cocktail sulla spiaggia.Ci regala anche qualche migliaio di venditori della qualunque e cani con cui dobbiamo dividere il nostro panino, ma la vita del viaggiatore è dura, si sa, e alcuni sacrifici van proprio fatti.Torniamo nelle case con l’abbronzatura e pronti per una nuova serata di movida.Ed il giorno successivo, dopo ore di bus su una strada che sembra essere stata bombardata a ripetizione, arriviamo un una specie di paradiso, Cayo Saetia, riserva naturale con una spiaggia ed un mare favolosi, iguana giganti, caprioli nell’interno e poi mufloni o qualunque cosa siano, ma comunque grandi e fatti più o meno a forma di mucca.I miei compagni sono spiaggiati come delle lontre e non trovo volontari per il safari in jeep, quindi

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Avventure nel mondo 1 | 2017 - 121

mi tocca godermi mare e spiaggia, e nemmeno il barracuda che si aggira minaccioso non lontano dalla riva riesce a dissuaderci dallo stare a mollo ad oltranza.Solo attraverso qualche sotterfugio e la promessa che i due giorni successivi saranno tutti di mare in resort, riesco con non poca fatica ad issare i miei compagni ormai color nocciola sul bus, in 2 ore arriviamo ad Holguin, dove rinunciamo a cercare un taxi e ci stipiamo in 16 sul cassone di un pick-up che passava di lì per caso, ci aspetta una delle cene migliori del viaggio nel ristorante più esclusivo della città, ed anche in questo caso abbiamo l’ennesima dimostrazione del razionamento degli alimenti, il luogo è famoso per una specialità simile alla cotoletta ma loro…. oggi non hanno la farina!Fingiamo malori dopo avere appreso la notizia e riusciamo a rinvenire soltanto grazie agli spettacolari filetti di manzo altissimi che ci vengono serviti.E allora non resta, con la pancia piena, che buttarci nel carnevale, che ad Holguin è oggi, misteri delle festività, e questa volta sembra di essere in una puntata di Il mio grosso grasso matrimonio Gipsy, perché tra giostre, bancarelle, dolciumi, musica, saltimbanchi e concerti, dopo poco ne escono stremati anche i più giovani e nottambuli del gruppo.L’indomani, il percorso di avvicinamento a Cayo Coco somiglia ad una missione spaziale, ma di quelle complicate. Silenzio assoluto sul bus, l’autista non deve essere disturbato, deve guidare bene e veloce perché ci aspettano alcune delle più belle spiagge dei Caraibi per ben due giorni di seguito.Alcune compagne consigliano di fare offerte sessuali al ragazzo, che è pure giovane e belloccio, ma l’idea viene bocciata per evitare soste improvvise in camporella, e allora ci si limita a sguardi languidi con promesse future.A mezzogiorno, a meno di 2 ore dal traguardo, accade il dramma.L’autista vuole pranzare.Vengo maledetta per non avere inserito sul soggetto un sondino naso - gastrico per la nutrizione, e hai voglia a far capire che non sono un medico, questi non sentono ragione, un’ora in meno sulla playa e ne va della salute psichica di tutti.Assistiamo, in piedi ed in religioso silenzio, al pasto del ragazzo, qualcuno si offre di fargli l’aeroplanino ed imboccarlo per velocizzare un po’ le operazioni, alcuni colleghi autisti trovati nel ristorante vengono abbattuti e abbandonati agonizzanti, per impedire che il nostro uomo possa distrarsi comunicando con l’esterno.Aspettiamo con trepidazione il ruttino, e finalmente si riparte.Cayo Coco ha un mare caldo che è uno spettacolo e una spiaggia enorme, passiamo due giorni in costume, infradito e long drink sempre in mano, che sembra il festival degli assetati.

La mattina dopo riesco a convincere il gruppo a salire sul bus di nuovo, promettendo una delle più belle spiagge di Cuba, Playa Pilar, quella di Hemingway, e prima di arrivarci, passiamo in mezzo a colonie di fenicotteri rosa che se ne stanno placidi in mezzo alla laguna.Troviamo la sabbia bianchissima e fredda, come

quella dello Yucatan, il mare azzurro e calmissimo, alla faccia delle tempeste del mese di agosto, che non ne abbiamo visto manco una, mi fiondo con una compagna su un catamarano e ce ne andiamo a fare un paio d’ore di sano snorkeling che ci costa più di una cena, ma finalmente il silenzio del mare, delle migliaia di pesci colorati che nuotano tra i relitti di alcune navi affondate, un

razza appoggiata sul fondo e poi una spiaggetta che la Brooke Shield di Laguna Blu ci avrebbe fatto il seguito del film.Rientriamo, soddisfatte della nostra gita, e, orrore, troviamo i nostri compagni letteralmente brasati al sole in mezzo a centinaia di famiglie cubane che si sono portate dietro pentole a pressione piene di cibo, ognuno la sua radio, e tutte hanno una musica diversa, un inferno, del resto è domenica, e la domenica c’è la gita fuori porta a Cuba, come ad Ostia ed in ogni parte del mondo.Torniamo quindi nella nostra spiaggia quasi deserta e ci godiamo le ultime ore soli con il nostro mare personale.Il giorno dopo non ci vuole poi molto per convincermi a partire tardi per il ritorno verso l’Havana, per poter fare gli ultimi bagni, e arriviamo nella capitale al tramonto, nel momento in cui si ricopre di quella luce arancione che la fa sembrare la città più bella del mondo.So già che, essendo l’ultima serata, non potrò sottrarmi ai bagordi, e infatti dopo cena vengo trascinata in una discoteca grande come il mio salotto ed in cui muoversi richiede manovre yoga che non ho mai imparato a fare, mi rifugio quindi

nell’anticamera, una specie di privè, in cui assisto al formarsi di improbabili coppie, donne inglesi attempate e ingioiellate con ventenni cubani praticamente al guinzaglio, ragazzine olandesi mezze nude che si strusciano su chiunque respiri, vengo abbordata da un presunto produttore di caffè sbronzo, che mi dice subito che guadagna 100 euro al giorno e che farà di me una regina, beh, mi è andata bene, ho trovato il più ricco della città senza dover sculettare nemmeno un po’. …Decidiamo di tornare nelle nostre case praticamente all’alba, percorrendo un buon tratto di malecon a piedi, costeggiando la città che, con questo silenzio, non sembra più la stessa.L’ultimo giorno, che doveva essere di libertà per tutti, ci vede invece insieme, in branco, a fermare taxi o presunti tali, ormai siamo così bravi nella contrattazione che quasi ci pagano loro per poterci trasportare, dritti al Mercado di San Josè a caccia di qualche straccio di souvenir da portare in regalo a casa, che come al solito ci si riduce all’ultimo momento, lunghe ed estenuanti sedute per l’acquisto di sigari e rum, e poi ci infiliamo nei sobborghi di questo posto magico, fuori dalle rotaie turistiche, tra i vicoli in cui si possono comprare banane solo con i cup, arrotini, calzolai, corniciai sarte, frotte di bambini in mezzo alle strade come scugnizzi, ed è un piacere fingere di farne parte, di questa realtà colorata, tra i palazzi quasi fluorescenti che sembrano cadere a pezzi e i sorrisi spesso sdentati dei loro bizzarri abitanti.Pranziamo tutti insieme in un localino su una piazzetta e restiamo a mangiare e bere un sacco di tempo, incuranti della spaventosa fila di turisti che aspettano il turno, e nessuno ci manda via, perché a Cuba la lentezza spesso è un valore, e per il viaggiatore, è anche un diritto.Come da copione, rientriamo nella casas a bordo di cadillac cabrio lunghe chilometri, cadenti e dai colori sgargianti, e quei pochi minuti di tragitto valgono anche l’enfisema che si rischia respirandone i fumi degli scarichi.Il nostro viaggio finisce qui, con il saluto dei cubani che ci augurano buena suerte, con i colori di un paese meraviglioso e pieno di contraddizioni, e con la voglia di ritornarci subito.

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