Sei mesi sulla Mir - Kataweb

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MODULO DI ATTRACCO DELLO SPACE SHUTTLE KVANT 2 /- VEICOLO SOYUZ PER IL TRASPORTO DELL'EQUIPAGGIO NODO DI TRASFERIMENTO VEICOLO DI RIFORNIMENTO PROGRESS In questa immagine scomposta della Mir si vede il modo in cui sono collegati i moduli della stazione. All'interno del blocco base ci sono il posto di comando, uno dei tappeti mo- bili e il tavolo su cui l'equipaggio consuma i pasti. 68 LE SCIENZE n. 359, luglio 1998 I .'astronauta Shannon W. Lucid a bordo della stazione spaziale Mir dorante la sua missione della du- rata di sei mesi. Sei mesi sulla Mir Mentre volge al termine il programma Shuttle-Mir, una veterana della NASA ricorda la sua missione sulla stazione spaziale russa e riflette sulle implicazioni della futura stazione internazionale di Shannon W. Lucid p er sei mesi, almeno una volta al giorno, ho contemplato la Terra o le profondità dell'universo dalla grande fi- nestra d'osservazione del modulo Kvant 2 della Mir. Nonostante la maestosità della scena, ciò che mi colpiva di più era il fatto di essere lì: una figlia della guerra fredda, del- l'era pre-Sputnik, a bordo di una stazione spaziale russa per lavorare con un equipaggio russo. Solo 10 anni fa, uno scena- rio di questo genere sarebbe stato fantascienza. Nei primi anni settanta, le agenzie spaziali americana e russa iniziarono a studiare la possibilità di lunghe permanen- ze nello spazio. Ma dopo la terza missione Skylab, nel 1974, il programma americano concentrò l'attenzione sui brevi voli delle navette spaziali, mentre i russi continuarono ad allunga- re i tempi di permanenza in orbita degli astronauti, prima sul- la Salyut e poi sulla Mir. Con la fine della guerra fredda ap- parve naturale una collaborazione tra Stati Uniti e Russia per il fondamentale passo successivo nell'esplorazione spazia- le, la costruzione della stazione spaziale internazionale. Nel 1993 i russi aderirono all'intesa, a cui partecipano le agenzie spaziali europea, giapponese, canadese e brasiliana. Il primo passo di questa collaborazione fu il programma Shuttle-Mir. La NASA pianificò una serie di missioni in cui astronauti americani avrebbero dovuto rimanere per circa quattro mesi sulla stazione spaziale russa, effettuando un'am- pia gamma di esperimenti scientifici; lo shuttle avrebbe do- vuto attraccare periodicamente alla Mir per dare il cambio ai membri dell'equipaggio e per consegnare i rifornimenti. Ol- tre agli obiettivi scientifici, la NASA voleva imparare a lavo- rare con i russi, acquisire informazioni sui voli spaziali a lun- go termine e ridurre così i rischi connessi alla costruzione della stazione spaziale internazionale. Norm Thagard fu il primo astronauta americano a vivere sulla Mir. Il mio arrivo sulla stazione spaziale, otto mesi dopo il termine della mis- sione di Thagard, costituì l'inizio di una presenza americana continuativa nello spazio che è durata più di due anni. La mia partecipazione al programma iniziò nel 1994, dopo 15 anni di carriera come astronauta della NASA e quattro missioni sullo shuttle. Mi venne proposto di seguire un corso di russo e di partecipare a una missione Mir. Accettai con en- tusiamo, prima ancora di considerare la realtà dei fatti. Alla mia possibile missione mancava meno di un anno e mezzo. Avrei dovuto imparare una nuova lingua, non solo per comu- nicare con i miei compagni di equipaggio ma anche per svol- gere l'addestramento in Russia. Avrei dovuto imparare a pa- droneggiare i sistemi e le procedure della Mir e della Soyuz, il veicolo che trasporta gli equipaggi russi da e verso la sta- zione spaziale. Dato però che io avrei raggiunto la Mir con lo shuttle, dovevo mantenere la mia familiarità con il veicolo americano. E come se non bastasse, avrei dovuto anche cono- scere a fondo gli esperimenti da effettuare in orbita. Perché avrebbe dovuto interessarmi vivere e lavorare sulla Mir? E più in generale, perché un così gran numero di paesi collabora alla costruzione di una nuova stazione spaziale? Una ragione ovvia è la ricerca scientifica: su una stazione spaziale si possono effettuare ricerche di lunga durata in un ambiente in cui la gravità è pressoché assente. Inoltre l'espe- rienza che deriva dal mantenere una presenza umana costante nello spazio può servire per la programmazione di eventuali voli interplanetari con equipaggio umano. Personalmente, ve- devo nella missione con la Mir l'opportunità di combinare due delle mie passioni: volare e lavorare in laboratorio. Dopo tre mesi di studio intensivo del russo, ebbi il via per il mio addestramento a Città delle stelle, il centro di prepara- zione dei cosmonauti nei pressi di Mosca. Il mio soggiorno, iniziato nel gennaio 1995, nel pieno dell'inverno, fu este- nuante. Tutte le mattine mi alzavo alle cinque per studiare; passavo la maggior parte della giornata ad ascoltare lezioni sui sistemi della Mir e della Soyuz, tutte in russo naturalmen- te; poi, nel pomeriggio, proseguivo lo studio della lingua e lottavo con manuali tecnici scritti in russo. Finalmente, nel febbraio del 1996, dopo aver superato tutti gli esami medici e tecnici, la commissione russa per i voli spaziali mi dichiarò pronta a far parte dell'equipaggio della Mir. Mi trasferii a Baikonur, nel Kazakistan, per assistere al lancio della Soyuz che trasportava sulla Mir i miei compa- gni di equipaggio: il comandante Yuri Onufriyenko, ufficiale LE SCIENZE n. 359, luglio 1998 69

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MODULO DI ATTRACCODELLO SPACE SHUTTLE

KVANT 2

/-VEICOLO SOYUZPER IL TRASPORTODELL'EQUIPAGGIO

NODO DI TRASFERIMENTO

VEICOLODI RIFORNIMENTOPROGRESS

In questa immagine scomposta della Mir si vede il modo incui sono collegati i moduli della stazione. All'interno delblocco base ci sono il posto di comando, uno dei tappeti mo-bili e il tavolo su cui l'equipaggio consuma i pasti.

68 LE SCIENZE n. 359, luglio 1998

I .'astronauta Shannon W. Lucid abordo della stazione spaziale Mirdorante la sua missione della du-rata di sei mesi.

Sei mesi sulla MirMentre volge al termine il programma Shuttle-Mir, una veteranadella NASA ricorda la sua missione sulla stazione spaziale russae riflette sulle implicazioni della futura stazione internazionale

di Shannon W. Lucid

p

er sei mesi, almeno una volta al giorno, ho contemplatola Terra o le profondità dell'universo dalla grande fi-nestra d'osservazione del modulo Kvant 2 della Mir.

Nonostante la maestosità della scena, ciò che mi colpiva dipiù era il fatto di essere lì: una figlia della guerra fredda, del-l'era pre-Sputnik, a bordo di una stazione spaziale russa perlavorare con un equipaggio russo. Solo 10 anni fa, uno scena-rio di questo genere sarebbe stato fantascienza.

Nei primi anni settanta, le agenzie spaziali americana erussa iniziarono a studiare la possibilità di lunghe permanen-ze nello spazio. Ma dopo la terza missione Skylab, nel 1974,il programma americano concentrò l'attenzione sui brevi volidelle navette spaziali, mentre i russi continuarono ad allunga-re i tempi di permanenza in orbita degli astronauti, prima sul-la Salyut e poi sulla Mir. Con la fine della guerra fredda ap-parve naturale una collaborazione tra Stati Uniti e Russia peril fondamentale passo successivo nell'esplorazione spazia-le, la costruzione della stazione spaziale internazionale. Nel

1993 i russi aderirono all'intesa, a cui partecipano le agenziespaziali europea, giapponese, canadese e brasiliana.

Il primo passo di questa collaborazione fu il programmaShuttle-Mir. La NASA pianificò una serie di missioni in cuiastronauti americani avrebbero dovuto rimanere per circaquattro mesi sulla stazione spaziale russa, effettuando un'am-pia gamma di esperimenti scientifici; lo shuttle avrebbe do-vuto attraccare periodicamente alla Mir per dare il cambio aimembri dell'equipaggio e per consegnare i rifornimenti. Ol-tre agli obiettivi scientifici, la NASA voleva imparare a lavo-rare con i russi, acquisire informazioni sui voli spaziali a lun-go termine e ridurre così i rischi connessi alla costruzionedella stazione spaziale internazionale. Norm Thagard fu ilprimo astronauta americano a vivere sulla Mir. Il mio arrivosulla stazione spaziale, otto mesi dopo il termine della mis-sione di Thagard, costituì l'inizio di una presenza americanacontinuativa nello spazio che è durata più di due anni.

La mia partecipazione al programma iniziò nel 1994, dopo

15 anni di carriera come astronauta della NASA e quattromissioni sullo shuttle. Mi venne proposto di seguire un corsodi russo e di partecipare a una missione Mir. Accettai con en-tusiamo, prima ancora di considerare la realtà dei fatti. Allamia possibile missione mancava meno di un anno e mezzo.Avrei dovuto imparare una nuova lingua, non solo per comu-nicare con i miei compagni di equipaggio ma anche per svol-gere l'addestramento in Russia. Avrei dovuto imparare a pa-droneggiare i sistemi e le procedure della Mir e della Soyuz,il veicolo che trasporta gli equipaggi russi da e verso la sta-zione spaziale. Dato però che io avrei raggiunto la Mir con loshuttle, dovevo mantenere la mia familiarità con il veicoloamericano. E come se non bastasse, avrei dovuto anche cono-scere a fondo gli esperimenti da effettuare in orbita.

Perché avrebbe dovuto interessarmi vivere e lavorare sullaMir? E più in generale, perché un così gran numero di paesicollabora alla costruzione di una nuova stazione spaziale?Una ragione ovvia è la ricerca scientifica: su una stazionespaziale si possono effettuare ricerche di lunga durata in unambiente in cui la gravità è pressoché assente. Inoltre l'espe-

rienza che deriva dal mantenere una presenza umana costantenello spazio può servire per la programmazione di eventualivoli interplanetari con equipaggio umano. Personalmente, ve-devo nella missione con la Mir l'opportunità di combinaredue delle mie passioni: volare e lavorare in laboratorio.

Dopo tre mesi di studio intensivo del russo, ebbi il via peril mio addestramento a Città delle stelle, il centro di prepara-zione dei cosmonauti nei pressi di Mosca. Il mio soggiorno,iniziato nel gennaio 1995, nel pieno dell'inverno, fu este-nuante. Tutte le mattine mi alzavo alle cinque per studiare;passavo la maggior parte della giornata ad ascoltare lezionisui sistemi della Mir e della Soyuz, tutte in russo naturalmen-te; poi, nel pomeriggio, proseguivo lo studio della lingua elottavo con manuali tecnici scritti in russo.

Finalmente, nel febbraio del 1996, dopo aver superato tuttigli esami medici e tecnici, la commissione russa per i volispaziali mi dichiarò pronta a far parte dell'equipaggio dellaMir. Mi trasferii a Baikonur, nel Kazakistan, per assistere allancio della Soyuz che trasportava sulla Mir i miei compa-gni di equipaggio: il comandante Yuri Onufriyenko, ufficiale

LE SCIENZE n. 359, luglio 1998 69

Fiamme in caduta liberadi Howard D. Ross

Sulla Terra, la forma delle fiamme è influenzata dalla gravità. I gas riscaldati salgono, creando una corrente d'aria ascen-

sionale che fornisce ossigeno alla fiamma. Ma nello spazio nonc'è alcuna corrente ascensionale: l'ossigeno deve provenire dallalenta diffusione delle molecole nell'aria o da correnti d'aria gene-rate da ventilatori. Il Lewis Research Center della NASA ha diret-to esperimenti per determinare il modo in cui le fiamme si diffon-dono in un ambiente a microgravità. La nostra ricerca ha chiaritola fisica della combustione e ha aiutato la NASA a comprenderemeglio i rischi di eventuali incendi su un veicolo spaziale.

Uno dei primi esperimenti sulla Mir doveva rispondere a unadomanda semplice ma importante: una candela può bruciare inmicrogravità? Utilizzando una speciale camera che isolava l'e-sperimento dall'atmosfera della stazione spaziale, Shannon Lu-cid accese candele di diverse dimensioni accostando agli stop-pini un anello di cavo reso incandescente dalla corrente elettri-

ca. Subito dopo l'accensione tutte le candeleavevano una fiamma emisferica, con un nucleogiallo brillante. Dato che vi era meno ossigenodisponibile per la fiamma, la cera si consumavacirca cinque volte più lentamente che sulla Ter-ra; ma la mancanza di flusso ascensionale au-mentava la conduzione di calore verso il bassonella candela, che si fuse nel giro di due minuti.La fiamma, però, non si spense; la tensione su-perficiale manteneva ancorata allo stoppino e alportacandela la sfera turbinante di cera liquida.

Una candela che sulla Terra avrebbe bruciatoper circa 10 minuti rimaneva accesa sulla Mir fi-no a 45 minuti. Da 4 a 10 minuti dopo l'accensio-ne la fiamma virava all'azzurro e si raffreddava(a). Le fiamme erano così deboli che le videoca-mere della stazione spaziale non avevano sensi-bilità sufficiente per registrarle, anche quando sispegnevano le luci nella camera di combustione.Lucid, tuttavia, riuscì a registrare i risultati in fo-tografie e rapidi schizzi. La sorpresa più grossasi ebbe dopo lo spegnimento della fiamma.Quando Lucid accese le luci della camera, os-servò una nube sferica che circondava la som-mità della candela (b). Riteniamo che questa nu-be contenesse goccioline di cera che si conden-savano nell'aria. Questo fenomeno rivela un fat-to importante in caso di incendio su un veicolo

spaziale: anche dopo l'estinzione delle fiamme, può capitare chemateriale infiammabile continui a uscire dalla sorgente.

Gli astronauti della Mir e dello shuttle hanno studiato anche lacombustione di materiali plastici e cellulosici, misurando la rapi-dità di diffusione delle fiamme con diverse correnti d'aria. In as-senza di correnti, la maggior parte dei materiali brucia in micro-gravità più lentamente di quanto farebbe sulla Terra. Ma conuna corrente d'aria a bassa velocità - da 5 a 20 centimetri al se-condo - certi materiali, come la carta, diventano più infiammabili.Questo risultato costituisce un'altra lezione per la sicurezza nel-lo spazio: la prima difesa contro gli incendi è rendere immobilel'aria spegnendo i sistemi di ventilazione.

Queste ricerche erano solo una parte di un programma moltopiù vasto. Altri esperimenti condotti sullo shuttle hanno riguarda-to fiamme prodotte da un fornello a gas, goccioline di combusti-bile incendiate, miscele di idrogeno e aria e la fuliggine prodottada una fiamma in microgravità. La stazione spaziale internazio-nale avrà a bordo una attrezzatissima camera di combustioneche renderà possibili ulteriori studi.

HOWARD D. ROSS è ricercatore presso la MicrogravityScience Division del Lewis Research Center della NASA a Cle-veland, nell'Ohio.

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d'aviazione, e l'ingegnere aeronautico Yuri Usachev. Rien-trai poi negli Stati Uniti per tre mesi di addestramento conl'equipaggio della missione shuttle STS-76. Il 22 marzo 1996ci alzammo in volo dal Kennedy Space Center sulla navettaAtlantis. Tre giorni dopo lo shuttle agganciò la Mir e mi uniiufficialmente all'equipaggio della stazione spaziale per unamissione che avrebbe dovuto durare quattro mesi e mezzo.

primi giorni furono dedicati a conoscere Onufriyenko eUsachev - parlavamo esclusivamente in russo - e a familia-

rizzare con la stazione spaziale. La Mir è progettata in formamodulare ed è stata costruita a stadi successivi. Il primo modu-lo, il blocco base, fu lanciato nel febbraio 1986. A un'estre-mità del blocco base è collegato Kvant 1, lanciato nel 1987, eall'altra estremità si trova il nodo di trasferimento, costituitoda una sfera con sei portelli. Kvant 2, lanciato nel 1989, Kri-stall (1990) e Spektr (1995) sono collegati ciascuno a uno deiportelli. Durante il mio soggiorno sulla Mir, i russi lanciaronoPriroda, il modulo finale della stazione spaziale, e lo collega-rono al nodo di trasferimento. Priroda contiene il laboratorioin cui ho svolto molti dei miei esperimenti. Io dormivo e ave-vo tutti i miei effetti personali nello Spektr, mentre i due co-smonauti alloggiavano nel blocco base.

Al mattino la sveglia suonava alle otto (la Mir segue l'oradi Mosca, come il centro di controllo di Korolev) e, di solito,per prima cosa ci mettevamo in contatto con il controllo mis-sione. A differenza dello shuttle, che trasmette messaggi at-traverso una coppia di satelliti, la Mir non è in contatto co-stante con la Terra. I cosmonauti possono parlare con il con-trollo missione solo quando la stazione spaziale passa soprauno dei centri di comunicazione in Russia. Questi passaggiavvengono una volta ogni orbita - circa ogni 90 minuti - e ingenere durano circa 10 minuti. Il comandante Onufriyenkovoleva che tutti noi fossimo in linea ogni volta che ce n'era lapossibilità, nel caso da terra volessero parlarci.

Dopo il primo contatto radio della giornata, facevamo co-lazione. Uno degli aspetti più piacevoli del volo sulla Mir eramangiare insieme, volteggiando intorno a un tavolo nel bloc-co base. Prima della partenza, pensavo che la natura ripetitivadel menu mi avrebbe tolto l'appetito; stranamente, invece, aogni pasto mi sentivo affamata. Mangiavamo cibo russo eamericano disidratato, che ricostituivamo con acqua bollente;facevamo esperimenti di miscelazione dei prodotti, per crearenuovi gusti, e ciascuno di noi aveva le sue misture preferite.

I nostri compiti erano indicati dettagliatamente in un pro-gramma giornaliero che i russi chiamavano Modulo 24. Nellagiornata tipo, i cosmonauti si dedicavano soprattutto alla ma-nutenzione dei sistemi della Mir, mentre io effettuavo esperi-menti per la NASA. Ogni giorno, di solito prima di pranzo,facevamo esercizi per impedire l'atrofizzazione dei muscoliin assenza di gravità. Sulla Mir ci sono due tappeti mobili -uno nel blocco base e l'altro nel modulo Kristall - e una cy-dette nel blocco base. Avevamo tre programmi di esercizi,elaborati da fisiologi russi, e ogni giorno ne eseguivamo uno.Il programma - senz'altro la parte meno piacevole della vitasulla Mir - richiedeva circa 45 minuti e alternava periodi dicorsa sul tappeto mobile a esercizi con elastici.

Alla fine degli esercizi, di solito ci concedevamo un lungopranzo, per poi tornare al lavoro. Ma anche dopo che ave-vamo terminato i compiti assegnatici nel Modulo 24, rima-nevano diverse incombenze: raccogliere i rifiuti, prepararele razioni di cibo per il giorno dopo, togliere con una spu-gna l'acqua condensata sulle superfici fredde. Il disordineera un vero problema sulla Mir. Dopo aver scaricato i rifor-nimenti che arrivavano periodicamente con la navetta auto-matica Progress, potevamo sistemare i rifiuti nel veicolovuoto, che si sarebbe disintegrato rientrando nell'atmosfe-ra. Ma sulla Progress non c'era abbastanza spazio per le nu-

merose parti di apparecchiature che non ci servivano più.Dopo cena, il controllo missione ci inviava il Modulo 24

per il giorno dopo. Se c'era tempo, prendevamo il tè e un pic-colo dessert prima dell'ultimo collegamento, che di solito av-veniva tra le 10 e le 11 di sera. Poi ci ritiravamo nelle nostrearee separate e in genere io passavo un po' di tempo a legge-re o a scrivere a casa sul mio computer (usavamo un sistemaradio per inviare al controllo a terra i messaggi, che poi veni-vano inoltrati alla mia famiglia per posta elettronica). A mez-zanotte spegnevo la luce, mi infilavo nel sacco a pelo e dor-mivo sempre profondamente fino al mattino successivo.

Era molto raro che ci fossero cambiamenti nella nostra

routine sulla Mir, ma le giornate non erano monotone.Io stavo vivendo il sogno di ogni scienziato: avevo il mio la-boratorio personale e lavoravo in piena autonomia. Discutevodel mio lavoro almeno una volta al giorno con Bill Gersten-maier, il direttore di volo della NASA, o con Gaylen John-son, medico della NASA, entrambi al controllo missione rus-so, i quali coordinavano le mie attività con quelle degli scien-ziati americani e canadesi che avevano proposto e progettatogli esperimenti. Spesso, quando iniziavamo un nuovo esperi-mento, Gerstenmaier faceva in modo che le nostre conversa-zioni fossero ascoltate da questi ricercatori, che potevano ri-spondere a tutte le mie eventuali domande.

Il mio ruolo in ogni esperimento era quello di effettuare leprocedure a bordo. I dati e i campioni erano poi inviati a ter-ra con la navetta spaziale e fatti pervenire ai ricercatori perl'analisi e la pubblicazione. Ritengo che la mia esperienzasulla Mir dimostri chiaramente la validità della ricerca su sta-zioni spaziali con equipaggio. Nel corso di alcuni esperimen-ti, ho osservato fenomeni minuti che sarebbero sfuggiti a unavideocamera, e le mie conoscenze scientifiche mi hanno con-sentito a volte di esaminare sul posto i risultati e modificareopportunamente le procedure. Inoltre, se vi era un guasto nel-le apparecchiature scientifiche, io o uno dei miei compagni diequipaggio eravamo di solito in grado di ripararlo. Solo unodei 28 esperimenti programmati per la mia missione non die-de risultati a causa di un danno agli strumenti.

I controlli principali della stazione spaziale si trovano nel po-sto di comando del blocco base (qui sopra). Sotto, il cosmo-nauta Yuri Usachev ha vinto un dolce alla gelatina per averritrovato la scarpa da ginnastica persa da Shannon Lucid.

Il mio lavoro sulla Mir ebbe inizio con un esperimento dibiologia che consisteva nell'osservare lo sviluppo di embrio-ni in uova di quaglia giapponese fecondate. Le uova erano ar-rivate sulla Mir con il mio stesso volo per essere trasferite inun'incubatrice già predisposta. Nei 16 giorni successivi tolsivia via dall'incubatrice le 30 uova e le collocai in una solu-zione al 4 per cento di paraformaldeide per bloccare lo svi-luppo degli embrioni e permetterne una successiva analisi.Poi stivai i campioni a temperatura ambiente.

Questo esperimento potrebbe sembrare molto semplice,ma in condizioni di microgravità richiede molti accorgimenti.

Pannello solare danneggiato dall'urto con la Progress.

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I membri dell'equipaggio si iniettano reciprocamente vacciniper verificare le loro reazioni immunitarie e raccolgono cam-pioni di sangue (nelle foto qui sopra). Un'apparecchiaturarussa controlla il sistema cardiovascolare di Lucid creando ilvuoto intorno alla parte inferiore del suo corpo (a sinistra).

Le norme di sicurezza richiedevano tre strati di contenimentoper la soluzione fissativa; se ne fosse sfuggita una sola goc-cia, avrebbe potuto finire nell'occhio di un membro dell'e-quipaggio, producendo gravi infiammazioni. Gli ingegneridell'Ames Research Center della NASA avevano progettatoun sistema di sacchetti aperti, collegati l'uno all'altro, per in-serire le uova nel fissativo e aprirle. Inoltre l'intero esperi-mento era racchiuso in un sacco più grande, dotato di guantiper raggiungere l'interno del sacco senza aprirlo.

Al termine della missione, gli embrioni vennero esaminatiper vedere se vi erano differenze con embrioni che si eranosviluppati in un'incubatrice sulla Terra. Risultò che il tasso dianormalità nelle uova della Mir era del 13 per cento, ossia ol-tre quattro volte maggiore di quello degli embrioni di control-lo. I ricercatori ipotizzano due cause: la temperatura legger-mente più alta dell'incubatrice sulla Mir e gli elevati livelli diradiazione. Altri esperimenti hanno stabilito che l'esposizionemedia alle radiazioni sulla Mir equivale a otto radiografiegiornaliere al torace (gli scienziati della NASA, però, ritengo-no che un astronauta dovrebbe trascorrere molti anni in orbitaperché aumenti sensibilmente il rischio di cancro).

Fui impegnata anche in un esperimento di lunga durata cheprevedeva la coltivazione di frumento in una serra posta sulmodulo Kristall. L'esperimento aveva applicazioni importan-ti: la coltivazione di piante potrebbe fornire ossigeno e ciboper voli spaziali prolungati. Era stata scelta una varietà nanadi frumento a crescita rapida, e i semi erano stati piantati in unletto di zeolite. Un programma per calcolatore controllava laquantità di luce e di umidità ricevuta dalle piante. Ogni giornofotografavamo le piantine e ne controllavamo la crescita. Aintervalli prefissati, mietevamo alcune piante e le conserva-vamo in una soluzione fissativa per la successiva analisi aterra. Una sera, dopo circa 40 giorni di crescita, notai alcunespighe in cima agli steli; John Blaha, l'astronauta che mi die-de il cambio sulla Mir, raccolse le piante mature qualche me-se dopo e riportò sulla Terra più di 300 spighe. Ma gli scien-ziati della Utah State University scoprirono che erano tuttevuote. La loro ipotesi è che composti chimici nell'aria dellastazione spaziale possano aver impedito l'impollinazione del

I I 1997 è stato un anno difficile per laMir. Il 23 febbraio si sviluppò un incen-

dio incontrollabile nel generatore d'ossi-geno a combustibile solido sul Kvant 1,producendo una fiamma che raggiunseuna temperatura di 500 gradi Celsius.L'equipaggio - di cui in quel periodo face-va parte l'astronauta della NASA Jerry Li-nenger - si precipitò sulle ma-schere a ossigeno e sugli estinto-ri. La schiuma d'acqua distillatadegli estintori non riuscì a spe-gnere l'incendio, ma mantennebassa la temperatura delle paretidella stazione spaziale, finché lafiamma si estinse da sola dopo 14minuti. L'incendio non provocòdanni, ma l'equipaggio fu costret-to a indossare per diversi giornimascherine da chirurgo per timo-re di una contaminazione da fumi.

Un incidente ancora più gravesi verificò quattro mesi più tardi. Il25 giugno, mentre l'equipaggiostava provando un nuovo sistemad'attracco per la navetta di riforni-mento Progress, il comandantedella Mir commise un errore di va-lutazione nella fase di avvicina-mento. La Progress urtò un pan-nello solare (a destra) e produsseun foro nello scafo del moduloSpektr. Mentre l'aria sfuggiva dallastazione spaziale, Michael Foale -che aveva sostituito Linenger ilmese prima - raggiunse il veicolodi salvataggio Soyuz e iniziò i pre-parativi per la partenza. Per fortu-na la falla era piccola e l'equipag-gio riuscì a sigillare lo Spektr e a ripressu-rizzare il resto della stazione spaziale.

In seguito agli incidenti, il Congressodegli Stati Uniti chiese che il programmaShuttle-Mir fosse sottoposto a un'ap-profondita revisione. La NASA nominòdue commissioni con l'incarico di verifica-

frumento. Nel corso di un successivo volo sulla Mir, MichaelFoale piantò con successo una varietà di colza.

Le condizioni di microgravità della stazione spaziale eranoanche un ambiente ideale per esperimenti di fluidodinamica edi scienza dei materiali, soprattutto dopo che fu montato il Mi-crogravity Isolation Mount, un apparecchio costruito dall'A-genzia spaziale canadese per ridurre al minimo le vibrazioni.

Dopo aver sottoposto il supporto a controlli prolungati, loutilizzai per un esperimento di metallurgia. Fusi alcuni cam-pioni metallici in una fornace appositamente progettata e la-sciai che il metallo liquido fluisse in tubi sottili, per poi esserelentamente raffreddato. Gli ideatori dell'esperimento volevanostudiare la diffusione dei metalli fusi in assenza di convezione.Il risultato dell'analisi dei dati è che la velocità di diffusione èmolto inferiore a quella sulla Terra. Durante l'esperimento,una delle staffe della fornace si disallineò, mettendo in pericoloil completamento della prova; ma Usachev tolse la staffa e laraddrizzò con un martello. Ovviamente questa riparazione sa-rebbe impossibile su un veicolo spaziale senza equipaggio.

Molti dei nostri esperimenti hanno fornito dati utili per i

do brucia perclorato di litio per produrreossigeno. Gli equipaggi della Mir hannousato spesso queste apparecchiature diriserva al posto del generatore principa-le della stazione. Alcuni ingegneri dellaNASA ritengono che il generatore a com-bustibile solido potrebbe essere statodanneggiato da inceppamenti del sistemad'accensione. Esperti russi e americani

stanno valutando l'opportunità dimodificare questo sistema e di ag-giungere un'ulteriore schermatura.

Le cause della collisione con laProgress sono più chiare. Il nuovosistema d'attracco non era statosottoposto a sufficienti verifiche eprove. Il comandante Vasili Tsi-bliyev avrebbe dovuto stimare ladistanza tra la Progress e la sta-zione spaziale attraverso un'im-magine video della Mir ripresa dauna camera montata sul veicolo dirifornimento. Ma l'angolo di avvici-namento era tale per cui dietro laMir appariva sul monitor la Terra,rendendo meno chiara l'immagine.Inoltre, il radar della Mir era statospento per la prova, che si svolsein un momento in cui la stazionespaziale non era in comunicazionecon il controllo a terra.

La NASA non era al corrente diquesti inconvenienti. Per evitarecollisioni sulla stazione spazialeinternazionale - che avrà tre puntid'attracco per veicoli russi ed eu-ropei e due per lo shuttle - gli sta-tunitensi hanno insistito per averemaggiori informazioni sulle prove

d'attracco russe. Dice Frank Culbertson,direttore del programma Shuttle-Mir.nostri sforzi per la sicurezza hanno porta-to a miglioramenti decisivi. Avremo unequipaggio esperto e un gruppo a terra ingrado di far fronte a eventuali incidenti".

MARK ALPERT

progettisti della stazione spaziale internazionale, che potrannoapplicarli per costruire migliori sistemi di ventilazione e di so-pravvivenza nonché per migliorare le procedure antincendio.

Niel corso della missione, effettuai anche una serie di os-

servazioni della Terra. Numerosi scienziati avevanochiesto alla NASA di fotografare alcune zone del pianeta indiverse stagioni e con diverse condizioni di illuminazione. Ingenere scattavo le foto dalla finestra di osservazione delloKvant 2 con una Hasselblad manuale. Scoprii che duranteuna lunga missione nello spazio, a differenza dei brevi volicon lo shuttle, potevo vedere lo scorrere delle stagioni sullafaccia del pianeta. Quando arrivai sulla Mir, alla fine di mar-zo, le latitudini più alte dell'emisfero settentrionale erano co-perte di ghiaccio. In poche settimane, però, potei osservareenormi fenditure nei laghi via via che il ghiaccio iniziava afrantumarsi; in un attimo, la primavera parve accendere diverde l'emisfero settentrionale.

Documentammo anche alcuni eventi inconsueti a terra. Ungiorno, mentre passavamo sulla Mongolia, vedemmo gigan-

LE SCIENZE n. 359, luglio 1998 73

Imparare dagli incidentire le condizioni di sicurezza per l'invio diastronauti sulla Mir e in settembre decisedi proseguire con le ultime due missioni.Ma sono stati sollevati dubbi sulla prossi-ma fase del programma di cooperazione,la costruzione della stazione spaziale in-ternazionale, che dovrebbe iniziare frabreve tempo. Molti dispositivi dello stessotipo di quelli adottati per la Mir - compresi

i generatori d'ossigeno a combustibile so-lido - saranno ancora utilizzati nei modulirussi della nuova stazione spaziale.

Per ridurre i rischi di incendio o di de-pressurizzazione, la NASA ha lavoratocon i russi per individuare le cause degliincidenti. Il generatore a combustibile soli-

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durata, potrebbero essere passati anchesei mesi da quando aveva fatto praticaper quella procedura. La preparazione,quindi, dovrebbe essere pensata in mo-do che i membri dell'equipaggio padro-neggino le conoscenze necessarie nelcorso della missione invece di fare pra-tica su ogni specifica procedura. Inoltre,i membri dell'equipaggio di un volo dilunga durata devono collaborare attiva-mente alle ricerche che effettuano: gliesperimenti dovrebbero essere progetta-ti in modo che l'astronauta abbia le co-noscenze scientifiche necessarie e possagiudicare sul modo in cui procedere.

Quando ripenso ai miei sei mesi sul-la Mir, non sono mai a corto di ricordi.Ma ce n'è uno particolare che prevalesugli altri. Una sera, Onufriyenko, Usa-chev e io volteggiavamo intorno al ta-volo dopo cena, bevendo tè e mangian-do dolcetti. I cosmonauti volevano sa-pere qualcosa sulla mia infanzia tra-scorsa nel Texas e nell'Oklahoma.Onufriyenko parlava del villaggio u-craino in cui era cresciuto e Usachev ri-cordava il suo villaggio russo. Dopo unpo' ci rendemmo conto che eravamotutti cresciuti con la stessa paura: unaguerra atomica tra i nostri paesi.

Io avevo passato gli anni della scuolaelementare nel terrore dell'Unione So-vietica. Facevamo esercitazioni controi bombardamenti, accucciandoci tuttisotto il banco, senza mai chiedere per-ché. Allo stesso modo, Onufriyenko eUsachev erano cresciuti sapendo che ibombardieri o i missili degli Stati Unitiavrebbero potuto radere al suolo i lorovillaggi. Dopo aver parlato ancora unpo' della nostra infanzia, fummo mera-vigliati per lo scenario improbabile chesi era realizzato: persone di paesi chepochi anni prima erano nemici giuratisi trovavano insieme su una stazionespaziale, in armonia e in pace. E, traparentesi, divertendosi moltissimo.

teschi pennacchi di fumo, come se l'intero paese stesse bru-ciando. Stupiti, ne demmo notizia al controllo a terra. Qual-che giorno dopo ci informarono che solo allora dalla Mongo-lia stavano giungendo notizie di enormi incendi nelle foreste.

Per i voli spaziali di lunga durata, la considerazione piùimportante non è la tecnologia del veicolo, ma la composizio-ne dell'equipaggio. La ragione principale del successo dellanostra missione sulla Mir fu la grande compatibilità tra il co-mandante Onufriyenko, l'ingegnere di volo Usachev e me,nonostante le diversità di lingua, sesso e cultura.

La competenza dei miei compagni mi faceva sentire al si-curo sulla Mir. All'inizio della mia missione, la stazione spa-ziale era già in orbita da 10 anni, il doppio di quanto previstoin fase di progetto. Onufriyenko e Usachev dovevano dedica-re buona parte del loro tempo alla manutenzione, cambiandoparti deteriorate e controllando i sistemi fondamentali per lasopravvivenza. Scoprii rapidamente che erano in grado di ag-giustare quasi tutto. Sulla Mir ci sono molte parti di ricambio,e altre vengono all'occorrenza recapitate dalla Progress. Adifferenza dello shuttle, la Mir non può tornare a terra per leriparazioni, e quindi i vari equipaggi che si danno il cambiovengono addestrati a mantenere funzionante la stazione.

Gli equipaggi della Mir, inoltre, hanno molto tempo per ri-parare la maggior parte dei guasti. Un'avaria sullo shuttle ri-chiede immediata attenzione perché la navetta è l'unico mez-zo per tornare sulla Terra. La Mir, invece, ha una «scialuppadi salvataggio»: almeno una Soyuz è sempre ormeggiata allastazione spaziale. Finché la Mir rimane abitabile, quindi, i

74 LE SCIENZE n. 359, luglio 1998

Gli esperimenti ad alta sensibilità erano effettuati sul sup-porto di isolamento a microgravità (in alto a sinistra) perproteggerli dalle vibrazioni; Lucid registrava le sue osserva-zioni su un computer portatile (in alto a destra). Qui accanto,una foto di gruppo nel modulo Priroda per Lucid, Usachev eil comandante Yuri Onufriyenko.

membri dell'equipaggio possono analizzare l'accaduto, parla-re con il controllo a terra e poi riparare il guasto o studiare ilproblema. Solo due situazioni obbligherebbero l'equipaggiodella Mir ad agire immediatamente. Entrambe si verificarononel 1997, dopo che avevo lasciato la stazione (si veda la fine-stra a pagina 73), ma in tutti e due i casi i membri dell'equi-paggio riuscirono ad arginare rapidamente il danno.

La mia missione sulla stazione spaziale avrebbe dovutoterminare nell'agosto 1996, ma il ritorno a casa - missioneshuttle STS-79 - fu ritardato di sei settimane per consentireagli ingegneri di studiare le anomale bruciature prodottesi suipropulsori a combustibile solido durante un precedente volo.Quando fui informata del rinvio, il mio primo pensiero fu«Oh, no, ancora un mese e mezzo di corse sul tappeto mobi-le!». A causa del ritardo, ero ancora sulla Mir quando conuna Soyuz arrivò un nuovo equipaggio per rilevare Onu-friyenko e Usachev. Quando infine feci ritorno con lo shuttleAtlantis il 26 settembre 1996, avevo passato 188 giorni nellospazio: un record americano che ancora resiste.

Da pochi giorni è rientrato a Terra Andrew Thomas - l'ulti-mo dei sette astronauti della NASA vissuti sulla Mir negli ulti-mi tre anni - e con lui ha termine il programma Shuttle-Mir.Sulla base della mia esperienza, ritengo che ci siano molte le-zioni di cui tener conto per la stazione spaziale internazionale.Innanzitutto, l'equipaggio va scelto con grande cura, badandoalla compatibilità di carattere. In secondo luogo, la NASA de-ve riconoscere che un volo di lunga durata e un volo sulloshuttle sono diversi quanto la maratona e i cento metri piani.Su un tipico volo di due settimane dello shuttle, ogni istante èoccupato da qualche compito per l'equipaggio. I partecipanti aun volo di lunga durata, invece, dovrebbero avere un parzialecontrollo della loro programmazione giornaliera.

Quando un equipaggio si prepara per una missione scienti-fica sulla navetta spaziale, i membri si impratichiscono inogni procedura finché riescono ad attuarla senza pensarci.L'addestramento per una missione sulla stazione spaziale in-ternazionale deve essere diverso. Quando un membro dell'e-quipaggio inizia un nuovo esperimento su un volo di lunga

SHANNON W. LUCID è un'astro-nauta del Johnson Space Center dellaNASA a Houston, nel Texas. Ha parte-cipato a cinque voli spaziali, inclusa lamissione con la Mir, trascorrendo untotale di 223 giorni in orbita.

LEBEDEV VALENTIN, Diary of a Co-smonaut: 211 Days in Space, Phyto-Resource Research, 1988, e BantamBooks, 1990.

Informazioni sul programma Shuttle-Mir si trovano nel sito Internet http://shuttle-mir.nasa.gov

Informazioni sulla stazione spazialeinternazionale si trovano nel sito Inter-net http://station.nasa.gov