SED14_ATTRAZIONE SCANDALOSA

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Le più belle saghe storiche d’autore, da collezionare.

Inghilterra, 1204

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avrebbero concesso a un uomo il potere di

decidere del loro destino. Ma la vita riserva per loro

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HELEN DICKSON

Attrazione scandalosa

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Titolo originale dell'edizione in lingua inglese: Miss Cameron's Fall from Grace

Harlequin Mills & Boon Historical Romance © 2012 Helen Dickson

Traduzione di Rossana Lanfredi

Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma.

Questa edizione è pubblicata per accordo con Harlequin Enterprises II B.V. / S.à.r.l Luxembourg.

Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale.

© 2013 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

Prima edizione I Grandi Storici Seduction febbraio 2013

Questo volume è stato stampato nel gennaio 2013

presso la Rotolito Lombarda - Milano

I GRANDI STORICI SEDUCTION ISSN 2240 - 1644

Periodico mensile n. 14 del 27/02/2013 Direttore responsabile: Alessandra Bazardi

Registrazione Tribunale di Milano n. 556 del 18/11/2011 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale

Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distributore per l'Italia e per l'Estero: Press-Di Distribuzione

Stampa & Multimedia S.r.l. - 20090 Segrate (MI) Gli arretrati possono essere richiesti

contattando il Servizio Arretrati al numero: 199 162171

Harlequin Mondadori S.p.A. Via Marco D'Aviano 2 - 20131 Milano

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Londra, estate 1810 Non era certo abitudine di Delphine frequentare le case di tolleranza, ma quel giorno doveva assicurarsi che la piccola Maisie, scomparsa improvvisamente dall'orfano-trofio, fosse al sicuro con sua madre. In effetti, quello in particolare era tra i più prestigiosi locali di quel tipo che si potessero trovare in città, tuttavia non era posto per una signora. Anche se negli ultimi tempi, l'ambiente ari-stocratico della madre e delle sorelle di Delphine aveva cominciato a parerle sempre meno importante. Di solito Delphine era accompagnata da uno dei val-letti di sua madre, che guidava la carrozza, ma quel giorno il domestico aveva delle incombenze da sbrigare e così lei era andata all'orfanotrofio da sola. Due dei bambini erano a letto con la febbre e un'eruzione cuta-nea, così li aveva messi in isolamento. Stava per andar-sene, quando una delle persone che si occupavano degli orfani l'aveva informata della scomparsa di Maisie. E poiché credeva di sapere dove fosse andata la piccola, non le era rimasto che andare a cercarla.

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Era una sera calda e afosa, e nell'aria si avvertiva quel genere di pesantezza che precede sempre un temporale. La casa di Mrs. Cox era un imponente edificio di tre piani, con torce che ardevano ai lati del portone dipinto di rosso. A farla entrare fu Fergus Daley, l'uomo che Mrs. Cox aveva assunto perché mantenesse l'ordine al-l'interno del locale e tenesse all'esterno gli elementi più turbolenti del quartiere. La livrea viola che indossava sembrava fuori luogo addosso a un uomo imponente come lui, pensò Delphine. Fergus aveva lineamenti marcati e un mento così affilato che ci si sarebbe potuta tagliare la carta. Il naso storto, che aveva rotto diverse volte negli anni in cui praticava il pugilato, e gli occhi incavati sotto la fronte sporgente conferivano al suo viso un'aria sinistra. In quel momento, tuttavia, stava sorri-dendo, perché Miss Cameron andava a trovarli con una certa regolarità, sempre per cercare la piccola Maisie. «Benvenuta nella nostra casa di piacere, Miss Came-ron» la salutò giovialmente l'uomo con voce baritonale e un'espressione di caldo benvenuto sul viso. «Direi piuttosto di depravazione, Fergus» replicò lei sottovoce, posando sul tavolo dell'atrio la borsa che con-teneva bende e medicine, «ma non accennate a Mrs. Cox che mi sono espressa in questi termini, vi prego.» «Non me lo sognerei mai, signorina» replicò l'uomo, ammiccando con aria complice. «Credo di sapere perché siete qui... e non credo sia per vendere il vostro corpo in cambio di quei quattro soldi che un uomo comune po-trebbe offrirvi.»

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«Avete proprio ragione, Fergus... non lo farei nem-meno se mi volesse il re in persona. Spero soltanto che i miei genitori non debbano mai sapere che ho messo pie-de qui dentro.» «Non sarò certo io a dirglielo, Miss Cameron, e men-tre vi trovate tra queste mura, siete sotto la mia prote-zione.» «Mi rassicura saperlo, Fergus» disse Delphine, facen-do un passo indietro per permettere a un gentiluomo pa-lesemente ubriaco e con gli abiti un po' in disordine di superarla barcollando e di scomparire nel salone. «Se cercate la piccola Maisie, è arrivata circa un'ora fa.» Delphine tirò un sospiro di sollievo. «Grazie al cielo. Vorrei solo che non continuasse a fuggire così. Se sa-pesse quanti problemi ci crea... E poi è solo una bambi-na, non dovrebbe essere qui.» Quello che Delphine ave-va detto era vero. Lavorava come volontaria nella zona di Covent Garden e St. Giles da molto tempo, abbastan-za per sapere che numerosi ricchi e depravati gentiluo-mini della città avrebbero pagato profumatamente per ragazzine giovani come Maisie. Fergus indicò con un cenno del capo l'elegante scalo-ne che portava al piano di sopra. «È con Meg... o per meglio dire con la Voluttuosa Delphine, come si fa chiamare in questi giorni.» «A quanto pare le piace il mio nome» osservò lei con una risata leggera, «anche se in effetti il mese scorso era la Fantastica Louella, e quello prima ancora il Dolce

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Angelo. Trovo piuttosto bizzarro il suo gusto in fatto di nomi. E poi, li cambia ogni volta che ne trova uno che le piace di più, anche se così facendo credo che confonda i suoi clienti... Ma forse questo non fa che accrescere il suo fascino. Posso salire?» Fergus annuì. «Stanotte non ha clienti... Credo sia per via di Will Kelly. È stato qui, prima.» Delphine lo guardò allarmata. Non era un segreto che Fergus detestava sia Will Kelly sia il modo perverso e spesso brutale con cui procurava le ragazze per il bor-dello. «Le ha fatto del male?» «Lo vedrete da voi... ma vi giuro che sono pronto a ucciderlo se solo alza un dito su Miss Maisie, se mi per-mettete di parlare così, Miss Cameron. Salite ora, io va-do a dire alla padrona che siete qui.» «Allora scompaio prima che mi veda» dichiarò Del-phine, che sperava sempre di evitare la severa maitresse. Con un impressionante assortimento di prostitute tra cui scegliere, gli affari della casa d'appuntamenti pro-speravano, soprattutto grazie a clienti ricchi e aristocra-tici. Mrs. Cox – ammesso che quello fosse davvero il suo nome – indossava sempre un semplice abito nero e portava i capelli grigi raccolti in un severo nodo sulla nuca: era, insomma, il ritratto della rispettabilità. Sareb-be potuta sembrare una nonna, ma Delphine sapeva che non lo era. Mrs. Cox era il tipo che sapeva come trarre profitto dalla vita. Era molto orgogliosa del suo locale. Alcune delle ra-gazze venivano dalla campagna e a procurargliele era lo

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spietato mezzano Will Kelly, che in cambio si tratteneva una bella fetta degli immorali ricavi del bordello. Mrs. Cox sceglieva personalmente le altre nei quartieri più poveri, oppure tra le fanciulle che avevano commesso qualche grave imprudenza e che perciò erano state ban-dite dall'ambiente al quale appartenevano. Era lei stessa a insegnare loro come dare piacere ai clienti, offrendo tentazioni cui questi non potevano resistere. L'amore non aveva niente a che fare con tutto questo, ovviamen-te... anzi, ciò che accadeva nella casa di Mrs. Cox non era che la parodia dell'amore. Dall'ampio atrio – che non ci si sarebbe aspettati di vedere in un bordello, con le pareti rivestite di pannelli di quercia chiara e il pavimento a scacchi bianchi e neri – Delphine lanciò un'occhiata verso il salone principale, da dove provenivano risate e voci sguaiate, e dove gio-vani donne più o meno discinte erano adagiate pigra-mente sui sofà. Era già stata nella casa diverse volte di giorno e la cosa la lasciava indifferente. Quella sera, tuttavia, la visione di quei corpi femmini-li poco vestiti la turbò, procurandole una strana eccita-zione. Gli indumenti trasparenti aderivano alle loro figu-re, mettendo in risalto morbide curve e scorci di pelle d'alabastro che luccicava alla luce fioca delle candele. Lo spettacolo stuzzicante di quei corpi che s'indovinava-no soltanto e che si muovevano sinuosi tra profumi ine-brianti era per i gentiluomini che li toccavano più ecci-tante della nudità completa. Le ragazze bevevano qual-cosa con i clienti prima di salire al piano di sopra, ma a

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volte i gentiluomini chiedevano di riceverle nelle loro case, un servizio per cui pagavano un sostanzioso extra, e quello che succedeva dopo... ebbene, non era certo af-far suo, si disse Delphine. Il salone era elegante, con un tappeto blu scuro e lam-padari di cristallo. Tavolini e poltroncine imbottite era-no sparsi qua e là, e le finestre erano schermate da pe-santi tendaggi di velluto color porpora, bordati da frange dorate. Le pareti erano adornate da specchi veneziani e da lascivi quadri di nudi ritratti in pose eleganti. Nei portavasi c'erano felci così alte che arrivavano quasi al soffitto; su entrambi i lati della stanza, dei piedistalli so-stenevano splendide statue di marmo italiano che raffi-guravano uomini nudi ritratti a grandezza naturale, così raffinate che ci si sarebbe aspettati di trovarle nella di-mora di un nobile, non in un bordello. Sollevandosi appena la gonna, Delphine cominciò a salire la scala. Nell'aria aleggiava la fragranza delle can-dele profumate. Quando arrivò in cima, percorse uno dei due ballatoi, fermandosi davanti all'ultima porta. Bussò piano, e quando sentì una voce rispondere aprì. Entrò in un boudoir rosa dall'arredamento sorprendentemente grazioso; di fronte a lei si trovava un tavolo da toletta su cui erano posati vasetti di cosmetici, profumi, una spaz-zola con il dorso d'argento e uno specchio con il bordo dorato su cui erano incisi dei cherubini. Meg era sdraiata su un divanetto e giocherellava con i capelli di un rosso innaturale. Con i suoi grandi occhi azzurri, le labbra piene e il corpo sensuale, non c'era da

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meravigliarsi se gli uomini la trovavano irresistibile. Poiché la stava aspettando, sapendo che Delphine prima o poi sarebbe venuta a cercare la bambina, la accolse con una delle sue risate roche e si stiracchiò come un gatto, sollevando una gamba e ammirandone il profilo affusolato, mentre osservava Delphine con la coda del-l'occhio, cercando di valutare l'effetto che le sue curve voluttuose, a stento celate dalla vestaglia di seta violet-ta, producevano su quella giovane donna irreprensibile dell'alta società. Quando capì che non suscitava né stu-pore né orrore si alzò, legandosi ben stretta intorno alla vita la cintura. «Suppongo stiate cercando Maisie» disse, e con un cenno del capo indicò la bambina di dieci anni che dor-miva sul letto. «Si è addormentata quasi subito e non ho voluto svegliarla.» «No... naturalmente no. Ho dovuto venire, Meg, per assicurarmi che la piccola stesse bene. So che Mrs. Cox pensa che dovrei badare agli affari miei, ma ero preoc-cupata. Avrebbe potuto capitarle qualunque cosa.» Un sorrisetto ironico incurvò le labbra di Meg. «Mrs. Cox? Non fatevi trarre in inganno da quella donna.» «Non lo faccio.» «È una sgualdrina vecchia come il peccato, ma ha ra-gione. Dovreste badare agli affari vostri» osservò Meg, tornando a sedersi sul divanetto. «Sono venuta perché mi importa.» «E perché dovrebbe?» replicò Meg, rovesciando la te-sta all'indietro con fare altezzoso. «Voi, con il vostro bel

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nome, i vostri bei vestiti e tutte le vostre arie. Perché a qualcuno come voi dovrebbe importare di me e della mia Maisie?» «Perché sì. Mi state a cuore, altrimenti non sarei ve-nuta qui... e per quel che riguarda il mio nome, sembra che ne stiate facendo buon uso.» «Sì... forse. Mi piace, ecco perché lo uso, ma non è mio e qui sta la differenza. Questo non è posto per voi.» «Nemmeno per voi, Meg, né per le altre ragazze, e di certo non per Maisie.» Delphine guardò la bambina che dormiva rannicchiata sui cuscini. Era molto graziosa, con grandi occhi verdi e folti capelli biondi, ed era affe-zionata alla madre nonostante questa l'avesse abbando-nata. Meg scrollò le spalle. «Non posso farci niente se con-tinua a venire qui. E per quanto riguarda le altre, ormai questa è diventata la loro vita, alla quale si sono avvici-nate per colpa di questa o quella difficoltà.» «Fate che non diventi anche la vita di Maisie. Lei me-rita di meglio.» «Io devo guadagnarmi da vivere» replicò Meg con voce dura e piatta. Delphine attraversò la stanza e si inginocchiò sul pa-vimento, accanto a lei. «Non siete costretta a restare qui. Portatela via, Meg, portatela in un bel posto. Io vi aiute-rò in qualunque modo potrò.» «Non voglio la carità di nessuno, e poi non posso an-darmene. Vedete, è qui che voglio essere... è qui che ho scelto di essere.»

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«Perché? Perché vi eccita? Perché non potete lasciare Will Kelly? Per l'amor del cielo, Meg, guardatevi» sibi-lò Delphine e, prendendo un braccio della donna, le sol-levò una manica della vestaglia, svelando diversi lividi, alcuni ancora violacei, altri che cominciavano a ingial-lire. «Quell'uomo è crudele, è un bruto prepotente. Non riesco davvero a capire perché tolleriate che vi tratti co-sì.» Meg scrollò ancora una volta le spalle e liberò il brac-cio dalla stretta di Delphine, abbassandosi la manica. «Mi è capitato di peggio. Lui almeno tiene a me.» «Sciocchezze. Lui vi sta soltanto usando. Se tenesse a voi non vi avrebbe portata qui. Lo sapete bene, Meg, quell'uomo può essere tutto moine e miele quando è so-brio, ma quando comincia a bere... ebbene, allora sono io a dovervi rimettere in sesto. Troppe volte ho visto i risultati del suo comportamento. Oh Meg, vi prego, pen-sate a quello che vi ho detto.» «Io cerco di non pensare. Accetto quello che c'è.» «Non dategli la possibilità di farvi male di nuovo, vi supplico.» Il volto di Meg si contrasse come un pugno. «Non ho bisogno che mi insegniate come mi devo comportare» ribatté, lottando per controllare il tono della voce. «No, certo... ma io sono davvero preoccupata per voi.» «Risparmiate la vostra preoccupazione per qualcun altro» borbottò sgarbatamente la donna. «Sono capacis-sima di badare a me stessa.»

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«Davvero?» insistette Delphine. «Vi imploro di anda-re via... per il bene di Maisie e per il vostro. Lei è solo una bambina. Un tempo facevate l'attrice in una compa-gnia teatrale itinerante. Non potete tornare a fare quel lavoro? Sarebbe meglio di questa vita, ne sono sicura.» Il viso incantevole di Meg divenne quasi brutto men-tre fissava Delphine. «Non so davvero che cosa cer-chiate di guadagnare da tutto questo» sibilò, «ma non me ne vado da nessuna parte. So badare a me stessa, l'ho sempre fatto, e non lascerò Will. Non posso.» Distolse lo sguardo e aggiunse: «È così e basta». Incapace di comprendere la devozione e la fedeltà di Meg a un uomo come Will Kelly, Delphine si sentì do-lorosamente sconfitta. Meg aveva cominciato a subire il fascino delle parole dolci di Will e del suo bell'aspetto mentre era in tournée con una compagnia teatrale. Quando poi lui le aveva offerto di portare lei e Maisie a Londra per cominciare una vita migliore, la poveretta aveva impacchettato le sue cose e lo aveva seguito... fi-no alla casa di Mrs. Cox, per diventare una delle sue prostitute. Ora era a disposizione di qualunque libertino lascivo che avesse un po' di denaro in tasca e Maisie vi-veva nel vicino orfanotrofio. Will era il primo uomo che Meg avesse mai amato, per questo era disposta a tutto pur di tenerselo. Era anche stato il primo uomo a re-spingerla, a disprezzarla, a picchiarla, a risvegliare in lei tutta la furia che solo all'inferno può esistere, eppure non voleva lasciarlo. «E Maisie? Sapete badare anche a lei?»

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Gli occhi di Meg si socchiusero, una luce rabbiosa brillò nelle loro profondità. «So quello che state pensan-do, ma vi consiglio di non farlo» dichiarò con fierezza. «Io sono sua madre... non una buona madre, lo ammet-to, ma pur sempre sua madre. Credete che permetterei a uno qualunque di quei sudici bruti che vengono qui di toccarla? Ucciderei lei e me stessa prima di lasciare che una cosa simile accadesse... e questo dopo avere ucciso l'uomo che cercasse anche solo di sfiorarla.» Delphine annuì. «Sì, so che lo fareste, ma ci sono uo-mini, qui, che non si farebbero alcuno scrupolo ad anda-re con una ragazzina come Maisie, consenziente o meno che fosse.» «Non accadrà mai. Voi non avete capito una cosa di me. Credete che non mi preoccupi per Maisie, vero? Ma proprio per questo l'ho messa in un orfanotrofio. Così, se dovesse succedermi qualcosa...» Meg deglutì, e per un momento, in un istante di debolezza, lasciò trapelare le sue vere emozioni. «Io mi preoccupo di quello che potrebbe accaderle.» «Non vi accadrà nulla, Meg, ma se dovesse, vi assicu-ro che farei del mio meglio per occuparmi della vostra bambina.» La speranza colmò gli occhi della donna, che afferrò la mano di Delphine. «Davvero?» sussurrò. «Fareste questo per me?» «Naturalmente.» «Lo promettete?» la incalzò Meg, gli occhi cupi di angoscia.

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Per la prima volta Meg percepì un tremito nella sua voce. Si rese conto di essere in preda a impulsi contra-stanti: se da un lato non desiderava che sfogare la sua ir-ritazione di fronte a tanta cocciutaggine, dall'altro era tentata di posare una mano su quella di Meg, in un gesto di comprensione. Resistette a entrambi e si costrinse a riflettere per qualche istante sulla promessa che stava per fare. Al solo pensiero si sentiva mancare il cuore. «Sì, Meg, ve lo prometto. Farò in modo che a Maisie non accada nulla di male.» «Grazie» rispose la donna con voce tremante, poi ser-rò la mascella e distolse lo sguardo. Un momento dopo tornò a guardare Delphine con occhi asciutti e luminosi. «Ora dovreste andare. Farò tornare Maisie all'orfanotro-fio, ma siccome non ho clienti, stanotte può rimanere con me. La riporterò indietro domattina.» Delphine si alzò e restò un istante in silenzio. «Molto bene» disse infine, lanciando un'occhiata alla piccola che dormiva. «Ma pensate a ciò che vi ho detto, Meg. Portate via Maisie e lasciatevi questo posto alle spalle.» Se ne andò senza dire altro, profondamente scossa da quella conversazione. Era molto preoccupata per l'influ-enza che quel posto avrebbe potuto avere su Maisie, poiché nel profondo del proprio cuore sapeva che Meg non se ne sarebbe mai andata finché Will Kelly avesse continuato ad avere su di lei un'influenza tanto forte. In cima alle scale, sentendo un gemito, Delphine si fermò di colpo, quasi paralizzata. Qualcuno, nella fretta di accoppiarsi, aveva lasciato la porta di una camera da

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letto socchiusa. Incapace di resistere alla curiosità, Del-phine si avvicinò e guardò dalla fessura. Una delle ragazze stava facendo quello per cui era pa-gata. Delphine sussultò, fece per ritrarsi... ma scoprì che non ci riusciva. Dapprima si sentì sconvolta, poi un violento calore le pervase il corpo. All'improvviso ebbe la sensazione che la sua parte razionale si fosse separata dal corpo. Era ip-notizzata, come un coniglio davanti a un ermellino. Due corpi nudi avvinghiati si contorcevano sul letto, muo-vendosi secondo un ritmo sensuale. Involontariamente Delphine sentì il proprio corpo rispondere a ciò che ve-deva. Il cuore prese a batterle più forte, tutte le sue ter-minazioni nervose sembravano pizzicare, fremere. Trasse un lungo, tremante respiro. Che cosa le stava succedendo? Le due persone che stava guardando erano estranei, e allora come potevano i loro movimenti ap-passionati risvegliarle nel sangue desideri tanto in-quietanti? Soltanto le donne perdute provavano piacere nel fare cose simili, glielo aveva sempre detto sua ma-dre. Si ritrasse, tremante, cercando di calmare la propria mente e di riprendere il controllo delle proprie reazioni. Si sentiva come una ragazzina che sbirciava dal buco della serratura. All'improvviso una voce vicina la strappò dalle sue preoccupazioni. Era forte, brutale, e apparteneva a un uomo dalla corporatura robusta, con folti capelli biondi e lineamenti volgari. Mentre saliva le scale il suo sguar-do cupo la esaminò con beffarda impudenza. Indossava

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una camicia di tela grezza, macchiata di cibo e birra, e calzoni di velluto scuro chiusi da un'alta cintura. Era Will Kelly, un maleducato, violento bruto che be-veva, giocava e si faceva strada nella vita passando per i letti delle donne sprovvedute. Aveva occhi vicini, astuti e intelligenti, cui nulla sfuggiva, e che scrutarono Del-phine in un modo che le fece venire la pelle d'oca. Il fe-tore di strada, di povertà, che si portava addosso le fece venire la nausea. La prima volta che lo aveva visto, i suoi modi le avevano fatto capire che era un uomo astu-to, spietato e terribilmente pericoloso. A gambe larghe, gli enormi pugni sui fianchi possen-ti, Will Kelly la guardò avvicinarsi con i freddi, ostili occhi grigi. «Che cosa ci fate qui, Miss Cameron? Vi intromettete di nuovo negli affari altrui?» «Niente affatto» replicò Delphine in tono altezzoso, determinata a restare calma, anche se sotto le gonne le gambe le tremavano. «Sono stata a trovare Meg... e non occorre che alziate la voce, ci sento benissimo.» «Non starete pensando di darvi al mestiere, vero?» Avvicinandosi ancora di più, quell'uomo disgustoso le afferrò rudemente il mento con le sudice dita nodose e le girò il volto da una parte e dall'altra, spruzzandola di saliva mentre le parlava. «Siete piuttosto graziosa, devo ammetterlo... una pollastrella provocante.» Un ghigno osceno gli contorse la bocca. «Io sono un uomo ragione-vole, sapete. Potremmo arrivare a un buon accordo.» Delphine lo fissò, torva, e spinse via la sua mano.

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«Non mi toccate. Credete davvero che possa pensare di darmi a uno come voi o a quelli che frequentano questo posto? Mai.» Lui ridacchiò lascivamente. «Ho incontrato molte donne altezzose come voi Miss guardare-e-non-toccare Cameron. Una volta conoscevo una sgualdrina francese che si considerava l'oggetto del desiderio del più at-traente libertino di Parigi. Nel giro di pochi giorni tornò strisciando da me e mi supplicò di portarla a letto. Poi ci fu una bellezza del Kent. Oh sì, quella era davvero una puttana arrogante, ma le bastò poco più di una settimana della mia ospitalità per vedere la luce e convincersi che voleva stare con me» si vantò con una risata trionfante. «Intendete per caso spaventarmi con questi ripugnanti racconti delle vostre conquiste?» Will Kelly la percorse sfacciatamente con lo sguardo, e un sorriso disgustoso gli incurvò le labbra. «Se volessi davvero spaventarvi, vi trascinerei in una stanza vuota e vi ascolterei gridare. Sono un uomo forte e non posso dire che non mi piaccia una bella lotta, ma non voglio mettervi paura. Vi sto soltanto facendo capire i vantaggi che avreste dalla mia protezione se mai decideste di u-nirvi alle signore di questa bella casa. Qui dentro non vi annoiereste di certo.» «Questo non accadrà mai. Sono solo venuta a cercare Maisie.» «Ah... la piccola Maisie» osservò lui strascicando le parole, e una luce pericolosa gli brillò negli occhi. «Un giorno sarà una bellezza» continuò, socchiudendoli.

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«Proprio come sua madre. Pensate a come diventerebbe-ro famose se lavorassero insieme... madre e figlia.» Delphine si sentì raggelare; all'improvviso ebbe paura per Maisie. Era quello il destino che attendeva la picco-la? No, lei non lo avrebbe permesso. Gli occhi di Will Kelly la fissavano, penetranti, ma lei non abbassò lo sguardo, pur sapendo che quell'uomo percepiva il suo profondo, disperato desiderio di proteggere la bambina e che, senza volerlo, gli aveva dato un'arma. «Lasciate in pace Maisie, Will Kelly. Lei è solo una bambina. Meg vi ucciderebbe prima di permettervi di mettere le vostre sudice mani addosso a sua figlia.» «Meg non potrebbe dire proprio nulla. Se mai oserà opporsi a me, maledirà quel giorno. No, non illudetevi, Maisie è nelle mie mani e diventerà una brava sgualdri-na... proprio come sua madre.» «Mai, almeno finché avrò respiro in corpo.» E senza aggiungere altro Delphine lo superò. Scese le scale fu-riosa e al tempo stesso sconvolta dall'incontro con Will Kelly. Tuttavia riteneva che, almeno per il momento, Maisie fosse al sicuro. Era anche turbata da quello che aveva visto prima del-l'arrivo dell'uomo. L'aria tutto intorno a lei sembrava ri-bollire di calore, aveva l'impressione che tutto il suo corpo si fosse acceso e fosse ancora in fiamme. Non c'era alcuna traccia di Fergus nell'atrio, così Del-phine prese la borsa e si aprì da sola la porta. Sulla so-glia trovò un uomo che stava sollevando il pesante ba-tacchio di ottone.

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«Scusatemi. Mi chiamo Nicholas Oakley e cerco una signora di nome Delphine» disse con voce gradevole e ben modulata. Delphine lo guardò. Era snello, con spalle larghe e ben vestito. «Sono Delphine Cameron. Posso aiutarvi?» Non sembrava il tipo d'uomo che visita abitualmente un bordello, e non aveva un'aria malsana. A dire il vero, anzi, sembrava godere di ottima salute, era robusto e con il viso abbronzato dal sole. Dal canto suo, Mr. Oakley la stava giudicando con al-trettanta approvazione. Delphine indossava una giacca di velluto marrone aperta sul davanti e impreziosita da piccoli nastri, un abito color caffè e una cuffietta legata sotto il mento da cui sfuggivano riccioli rossi. Molto compita, pensò... in effetti non sembrava affatto la rossa sirena di cui l'oste dell'Orso Azzurro gli aveva intessuto gli elogi quando lui gli aveva chiesto una signora gra-ziosa e pulita con cui il suo padrone potesse passare le notti mentre era a Londra. Del resto le signore della not-te erano piene di sorprese. L'oste gli aveva assicurato che la casa di Mrs. Cox serviva una clientela influente ed era un gradino al di sopra degli altri bordelli, così come era eccellente la tecnica di Delphine che, a quanto pareva, sapeva fare l'amore per una notte intera senza mai stancarsi. Così Oakley rivolse a Delphine un sorriso caldo e af-fascinante che gli illuminò il grosso viso. «Credo che voi possiate aiutare il mio padrone. Anzi, ne sono sicu-ro! Sono certo che gli sarete di grande aiuto!»

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«Questo non dovrebbe dipendere da qual è il suo pro-blema?» L'altro inarcò un sopracciglio cespuglioso. «In un cer-to senso. Tutto quello che posso dirvi, tuttavia, è che si trova in uno stato di grave necessità.» «È ammalato?» «Suppongo si possa dire di sì. Il mio padrone – io so-no quello che si dice il suo attendente – è il Colonnello Lord Stephen Fitzwaring. È tornato in licenza dalla Spa-gna, dove ha combattuto contro i francesi agli ordini del generale Wellington, e temo che la battaglia lo abbia sfinito.» «Capisco» rispose Delphine, pensando in fretta. Era sicura di non avere capito bene quale fosse la situazione, ma se quel tale Fitzwaring era ferito, ebbene lei – pur non potendolo curare di persona – avrebbe valutato le sue condizioni e poi avrebbe chiesto al dottor Grey, che spesso si prendeva cura dei bambini dell'orfanotrofio, di dargli un'occhiata. «Mr. Taylor, l'oste dell'Orso Azzurro, alla fine della strada, mi ha assicurato che nessuno è più adatto di voi a lenire il... ehm...» L'uomo tossicchiò mentre cercava la parola adatta. «... disagio del mio padrone.» Nella sua totale ingenuità, Delphine gli rivolse un lar-go sorriso; quasi stentava a credere che la sua attività di beneficenza avesse attirato tanta attenzione. Conosceva l'oste dell'Orso Azzurro, un uomo gentile che faceva re-golari donazioni all'orfanotrofio, e non le parve affatto strano che avesse raccomandato lei per guarire il disagio

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che affliggeva il padrone di Mr. Oakley. Poco prima lei gli aveva rivolto un cenno di saluto dall'altra parte della strada, e dunque l'oste sapeva che era andata alla casa di Mrs. Cox. Inoltre era al corrente dell'abitudine di Maisie di scappare per andare a trovare la madre. «Se venite con me, vi porterò da lui.» Mr. Oakley ora la scrutava con interesse. «Sono sicuro che troverete un accordo. Il mio padrone è un uomo molto generoso.» Nel sentir menzionare il denaro e pensando alle ne-cessità dell'orfanotrofio, Delphine guardò l'attendente dritto negli occhi e rispose: «Lo spero davvero. Non of-fro i miei servigi per niente». Le sopracciglia di Oakley scattarono verso l'alto. «Il mio padrone non si aspetta certo che lo facciate. Povero me, proprio no! Anche se, devo dire, la maggior parte delle persone che esercitano la vostra professione sem-brano interessarsi a tutti.» «Non a tutti, Mr. Oakley, solo a coloro che credo pos-sano essere aiutati. Spero che il vostro padrone sia una persona gradevole.» «Lo è quasi sempre, ma ci sono volte in cui appare molto più feroce di quanto sia in realtà.» Un sorriso gli incurvò appena le labbra. «Ma non ditelo a nessuno, al-trimenti rovinerete la sua reputazione.» «Reputazione?» Delphine inclinò il capo da una parte, guardandolo in tralice. Il padrone di Mr. Oakley la incu-riosiva ogni secondo di più. «Ne ha una?» «E delle peggiori» ribatté l'attendente in tono piatto, scoccandole un'occhiata leggermente canzonatoria.

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«Allora risparmiatemi i sordidi dettagli, vi prego. Lo vedrò con l'unica intenzione di farlo stare meglio. Non ha una donna che si occupi di lui?» «Oh, sì» replicò Mr. Oakley. «In Spagna c'è una bel-lissima, voluttuosa señorita che è molto innamorata di Lord Fitzwaring e spesso gli tiene compagnia, ma la Pe-nisola è molto lontana, capite. Il mio padrone è uno de-gli uomini migliori che io conosca. Ha una ferrea deter-minazione e una forza di volontà che lo hanno sorretto in numerose battaglie, e visto che è così forte di rado in-contra qualcuno capace di tenergli testa, a meno che non sia il suo nemico Bonaparte! Perciò a volte vi potrà ap-parire un po'... dittatoriale.» «Capisco» disse Delphine, irrigidendosi. «Vi ringra-zio per le indicazioni che mi avete dato sul carattere del vostro padrone. Me le ricorderò. Ora dov'è?» «L'ho lasciato a letto, all'Orso Azzurro. Siete pronta a venire con me subito?» Delphine sollevò la borsa e sorrise. «Ho tutto quello che mi serve qui dentro.» Mr. Oakley inarcò di nuovo le sopracciglia, sbigottito, e la sua mente cominciò a immaginare i dilettevoli og-getti che quella borsa poteva contenere; oggetti che sen-za dubbio Miss Delphine avrebbe usato per compiacere il suo padrone. Dal canto suo, Delphine in quel momento non stava pensando con lucidità. Non le sfiorava nemmeno il cer-vello il pericolo mortale che stava correndo. Da tempo aveva preso l'abitudine di ignorare i consigli altrui e di

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lanciarsi a testa bassa nelle situazioni senza riflettere sulle conseguenze. «Fate strada, Mr. Oakley e vediamo se riusciamo a far stare meglio il vostro padrone.» L'orario era cruciale nella vita di Delphine. Se si fosse affrettata, avrebbe potuto tornare a casa in tempo per la serata musicale di sua madre; guai a lei se fosse arrivata in ritardo. La beneficenza spesso le provocava problemi con la madre. Di nobili natali, Delphine era stata coin-volta in quelle attività da sua zia Celia, che le aveva in-stillato i doveri che una signora di nobile estrazione a-veva nei confronti dei meno fortunati. L'ozio è il padre dei vizi, le aveva detto, e poi aveva aggiunto, sorridendo, o per meglio dire, c'è sempre qualcosa da fare per due mani volenterose. Così, nel tentativo di dare un senso alla sua vita vuota, Delphine si era mostrata ben più che volenterosa. Era la minore di cinque figlie e i suoi genitori, delusi che la loro ultima nata non fosse il tanto sospirato erede maschio, non a-vevano nemmeno annunciato la sua nascita. La loro indifferenza, che sconfinava nel rifiuto, aveva sempre addolorato Delphine. Per tutta la vita, il dubbio di non essere amata aveva dato duri colpi ai muri già fa-tiscenti della sua coscienza. Agli occhi dei genitori lei non sarebbe mai stata all'altezza delle sue sorelle, stu-pende creature che attiravano corteggiatori ovunque an-dassero. Non le piaceva crogiolarsi nelle sue inadeguatezze, ma quando si trovava in presenza delle sue splendide

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sorelle gemelle era dolorosamente consapevole dei pro-pri capelli rossi così poco alla moda, della bocca troppo grande e della leggera spruzzata di efelidi sugli zigomi troppo alti. Era stata addestrata sin dall'infanzia al distacco emoti-vo, a fare a meno delle più normali manifestazioni di af-fetto, ma non poteva fare a meno di pensare che la vita nella casa dei suoi genitori era crudele e così solitaria che da molto tempo, ormai, aveva deciso che sarebbe stata una donna indipendente. Avrebbe sfidato le con-venzioni vivendo come le pareva, e sarebbe stata fedele soltanto a se stessa. Così si era lanciata con passione in diverse attività benefiche, occupandosi dei senzatetto e dei bambini po-veri, e avventurandosi in posti che nessuna delle sue vi-ziatissime sorelle maggiori avrebbe mai potuto immagi-nare. Lavorava quasi sempre insieme ad altre volontarie al-l'orfanotrofio di Water Lane, che non ospitava soltanto orfani ma anche bambini che, come Maisie, erano stati abbandonati dai genitori. Quando non era lì, organizza-va eventi per raccogliere fondi, e spesso irritava la ma-dre insistendo con le sue amiche perché facessero dona-zioni. Fin dal principio la beneficenza aveva dato uno scopo alla sua vita. Finalmente aveva potuto respirare, vivere, dedicarsi con passione a qualcosa. La prima volta che era entrata all'orfanotrofio aveva visto cose che l'avevano sconvolta. Sua zia, una zitella che aveva fatto della carità la sua missione e che aveva

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lo stesso fare autoritario del fratello, il padre di Delphi-ne, le aveva detto che per fare bene beneficenza si dove-va mantenere un certo distacco, senza lasciarsi traspor-tare dalle emozioni. Se lei ci fosse riuscita, aveva ag-giunto, avrebbe avuto il controllo sugli altri... e su se stessa. Delphine aveva cercato di fare tesoro di quel consi-glio. Lavorando tra i poveri, si era sorpresa dell'intensità della compassione e dei sentimenti tanto a lungo repres-si, e si era chiesta se in realtà quel lavoro non la stesse facendo diventare un essere umano più passionale. Sentiva ancora la pelle bruciare per ciò che aveva vi-sto nella casa di Mrs. Cox e mentre seguiva quello sco-nosciuto le sembrava di avere il volto acceso di febbre. Odiava le strade di notte. C'erano fantasmi ovunque, che talvolta la facevano tremare di paura. Era un mondo lon-tanissimo da quello elegante di sua madre. A Londra la violenza era endemica, rapinatori e tagliagole circolava-no impunemente, tanto che chiunque girasse da solo di notte correva un serio pericolo. Delphine perciò decise che, dopo avere controllato le condizioni del gentiluomo, avrebbe chiesto a Mr. Oa-kley di chiamarle una carrozza che la riportasse a casa. Teneva gli occhi incollati alla strada, ma sopra e intorno a lei la notte si allungava nera e infinita, con le stelle che parevano bruciare. Raggiunto l'Orso Azzurro, entrarono da una porta sul retro. Mentre seguiva Mr. Oakley su per una stretta sca-la, Delphine notò che la locanda era piuttosto affollata.

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L'attendente si fermò davanti a una porta e la aprì, fa-cendosi da parte per farla passare. «Ecco qui» dichiarò, e senza dire altro se ne andò, chiudendosi la porta alle spalle. Delphine si fermò appena oltre la soglia. Sentiva un pesante respiro maschile, ma a parte quello, tutto era quieto nella luce fioca. Si trovava in una stanza piccola, anche se bene arredata, e sul letto c'era un uomo addor-mentato, con un braccio sugli occhi e un polso bendato. Pensando che la ferita coperta dalla fascia fosse la ra-gione per cui Mr. Oakley aveva chiesto la sua presenza alla taverna, Delphine si avvicinò alla figura immobile. Aprì la bocca per parlare, ma tutto a un tratto non riu-scì a sillabare una sola parola. Quello che aveva davanti non era un uomo come gli altri. Un lenzuolo lo copriva fino alla vita, e sotto era nudo. Era snello e muscoloso, l'ampio petto coperto da una peluria scura, le spalle for-ti. Percependo la sua presenza lui abbassò lentamente il braccio e aprì due occhi di uno straordinario blu notte. Il cuore di Delphine fece una capriola nel petto. L'uomo continuò a fissarla e lei arrossì, ma non riuscì a disto-gliere lo sguardo. Quell'uomo era di una perfezione assoluta, e il cuore di Delphine, che non aveva mai sperimentato la forza della passione, iniziò a battere forte. Lo stava fissando come una fanciullina alle prime armi, pensò, sbigottita dalle proprie emozioni. Poi un lento sorriso di apprez-zamento incurvò le labbra ferme dell'uomo. Ah, era un sorriso così meraviglioso che Delphine, povera anima

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ingenua, sentì un migliaio di emozioni esploderle nel cuore tutte insieme. Era perduta. Sorprendentemente, completamente perduta. «Molto bene» mormorò lui con voce impastata. «Guarda, guarda cos'abbiamo qui. Non mi aspettavo un simile bocconcino. Oakley ha superato se stesso. Che cosa vi ha trattenuta?» Delphine si rese conto all'improvviso che aveva trat-tenuto il respiro dal momento in cui era entrata nella stanza. Era andata lì con l'assoluta convinzione che quell'uomo fosse malato, ma ora non ne era più tanto si-cura. Quel gentiluomo, davvero attraente, aveva circa trent'anni, un'aria altezzosa e un corpo snello e scattante come una spada. Il viso dai lineamenti cesellati era ben rasato, la pelle dorata dal sole. I capelli, ondulati, neri e lucenti, appena spruzzati di grigio sulle tempie, erano arruffati e quegli occhi blu come la notte la fissavano con ardore. La sua voce, leggermente impastata dal son-no o dall'alcol – Delphine non lo aveva ancora capito, ma sospettava che la seconda ipotesi fosse la più proba-bile – era profonda e vellutata come la sua pelle. «Io... io sono venuta non appena Mr. Oakley me lo ha chiesto.» «Il buon vecchio Oakley. È sempre un uomo di paro-la, e vedo che ha fatto davvero un buon lavoro trovan-dovi.» Gettando indietro il lenzuolo ed esponendo la sua completa nudità, in un solo, rapido movimento si alzò dal letto e camminò lentamente intorno a Delphine che, come inchiodata sul pavimento, aveva la sensazione di

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sprofondare in un pozzo d'imbarazzo. Le sembrava che quegli occhi blu la toccassero, sottoponendola a un rude, sfacciato esame, valutandola da ogni angolazione. Infine l'uomo si fermò davanti a lei e le rivolse un largo sorri-so, come se fosse estremamente soddisfatto di ciò che vedeva. Un gelido terrore cominciò a crescere nel cuore di Delphine, che si strinse la borsa al petto, cercando di fissare lo sguardo su qualcosa che non fosse la nudità di quell'uomo. Iniziava a chiedersi in quale pasticcio si fosse lasciata coinvolgere. All'esterno sembrava calma, ma la tempesta emotiva che infuriava dentro di lei le prosciugava le forze. Si sentiva stanca e confusa, ed era anche furiosa con Mr. Oakley che l'aveva attirata in quella trappola. «Credevo foste malato o ferito» dichiarò con voce de-cisa. «Ma visto che non è così, vi auguro la buona notte, signore.» Lui rise piano, bloccandole la strada con il corpo nu-do. «Non ancora, tesoro. Come vi chiamate?» Delphine sollevò la testa, protendendo il mento. «Delphine. Delphine Cameron.» «Delphine.» L'uomo sospirò. «Un nome incantevole... degno di una signora. Io sono Lord Fitzwaring, ma gli amici mi chiamano Stephen. Posso offrirvi del vino?» chiese e indicò una caraffa su un tavolino. «No, grazie.» Stephen ridacchiò, le strappò la borsa dalle mani e la gettò distrattamente su una sedia accanto al letto. Poi,

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prima che Delphine potesse protestare, le tolse il cappel-lino e i fermagli che le trattenevano i capelli. Li guardò con aria avida caderle sulle spalle, folti e lucenti, i ri-flessi rosso fuoco esaltati dalla luce della lampada. Re-stò sorpreso da tanta bellezza. Lunghe onde del colore del mogano più pregiato incorniciavano un viso perfet-tamente proporzionato, dalla pelle compatta come por-cellana. Nonostante i fumi dell'alcol, Stephen concluse che la ragazza era stupenda. Aveva zigomi alti e grandi occhi a mandorla scuri, misteriosi e magnetici, con le i-ridi punteggiate di pagliuzze verdi. Il naso era piccolo e dritto, la bocca morbida, rosa e sensuale. «Bene» mormorò. «Sono molto soddisfatto della scel-ta di Oakley.» Si avvicinò, le fece scivolare un braccio intorno alla vita e con un rapido movimento l'attirò a sé. Al suo toc-co, eccitante e seducente, Delphine si sentì attrarre verso di lui come l'ago della bussola verso il nord. Lei però non aveva alcuna bussola che potesse guidarla nel terri-torio strano e sconosciuto in cui si era ciecamente fatta condurre, un luogo sconosciuto e a quanto pareva molto pericoloso. Era colpa sua, pensò con un moto di dispe-razione. Se le fosse successo qualcosa aveva soltanto se stessa da biasimare. Solo che non aveva idea di dove avesse sbagliato o che cosa avrebbe dovuto fare per evi-tare quel disastro. Coprendole la bocca con la propria, Stephen avvolse una sbigottita Delphine in un profumo inebriante, non molto diverso da quello del brandy. Troppo sconvolta e

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sorpresa per resistergli, lei rimase rigida e tremante fra le sue braccia. Si sentiva distaccata dalla realtà, come se si guardasse dall'esterno del suo stesso corpo. In quello stato quasi ipnotico, reagì con una sorta di bizzarro di-vertimento quando il bacio di Stephen diventò più pro-fondo e dalla sua scarsa consapevolezza di sé nacque una vaga sensazione di piacere a cui si abbandonò. Non era mai stata stretta così da un uomo, ed era una sensa-zione bellissima sentire il calore del suo corpo così vici-no al proprio, i muscoli del suo petto e delle sue braccia, i fianchi snelli che premevano contro di lei. In circo-stanze diverse, forse avrebbe persino apprezzato quella sensazione. Quando lui sollevò la testa, aveva il fuoco negli oc-chi. Con rapida destrezza le sfilò la giacchina, poi la prese fra le braccia e lei restò immobile, raggelata in un attonito silenzio. Di nuovo lui la baciò con un'avidità che la allarmò. Quando la lasciò andare, Delphine si re-se conto sorpresa che il vestito le scivolava ai piedi. Mentre le braccia dell'uomo la stringevano di nuovo in una morsa di ferro, si rese conto solo vagamente dell'ef-fetto devastante che il suo corpo morbido aveva su di lui. Stephen premeva la bocca contro la sua, la invade-va, pretendeva, prendeva tutto quello che voleva con lenti, sensuali movimenti, divorato dal desiderio di gu-stare fino in fondo quella donna. La passione inebriante di quel bacio, il profumo virile dello sconosciuto – un misto di sandalo, alcol e odore corporeo – la sensazione della pelle sulla pelle, confon-

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devano la mente di Delphine. Un tremito incontrollabile rendeva malferme le sue gambe. Era davvero una situa-zione bizzarra, pensò, la mente intorpidita dallo stupore, e lui un uomo strano. Dopo la scena cui aveva assistito al bordello, si sentiva in uno stato d'animo alquanto in-solito: si rendeva conto che il cuore le batteva più forte del solito – per il nervosismo, ne era certa – ma proprio non capiva che cosa le rendesse le gambe tanto deboli e suscitasse in lei quella sensazione di luminoso calore nel ventre. Cominciò a riacquistare un briciolo di ragione quando sentì le mani di lui scorrere avide sul suo corpo. Allora lottò e si divincolò, poiché con improvvisa chiarezza comprese quello che lui aveva in mente. Ben presto si rese conto di trovarsi in una situazione di svantaggio. La stretta dell'uomo non era più una morsa ferrea, bensì d'acciaio temprato, e lei si dibatteva invano poiché non sarebbe mai riuscita a liberarsi. Senza lasciarla andare, con un solo, abile movimento le slacciò la camiciola, li-berandole i seni. Ora i soli indumenti che Delphine ave-va addosso erano i mutandoni e le bianche calze di seta. Trattenendo a stento un sussulto sbigottito, finalmente riuscì a liberarsi dall'abbraccio dello sconosciuto, ad af-ferrargli entrambe le mani e a spingerlo indietro. «Signore, la vostra impazienza mi lascia attonita» dis-se ansimando, coprendosi i seni con le mani. «Io non so-no chi voi credete e ora devo proprio andare.» Un mezzo sorriso incurvò le labbra dell'uomo. «Non so dove vi chiamino i vostri doveri, dolce Delphine, ma

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di certo possono aspettare. In questo momento...» Una luce fredda gli brillò negli occhi. «... io devo avervi.» La prese in braccio e in un attimo entrambi furono sul letto. L'inebriante, dolce profumo di lei, mescolato al suo odo-re di donna, colmò la mente di Stephen, accendendogli il sangue, e il calore del desiderio gli si diffuse nei lom-bi. Delphine sussultò quando sentì la sua coscia nuda sfiorare la propria e avvertì il calore bruciante della sua pelle. D'istinto rotolò lontano e si alzò in piedi dalla par-te opposta del letto, ma lui le impedì di fuggire: rotolan-do a sua volta sul materasso, allungò un braccio e, con una risata profonda, la spinse di nuovo giù, sulla schie-na. Poi si spostò sopra di lei, schiacciandole i seni nudi con il torace e coprendole il collo di baci insistenti. In preda al panico, Delphine lo spinse via con violenza e per un momento si ritrovò libera. «Vi prego, signore» lo implorò con quieta disperazio-ne, riuscendo a non tradire la paura. «Lasciatemi andare, solo per un istante. Avremo molto tempo per questo più tardi» lo blandì con il suo tono più dolce. «Torno appe-na possibile.» «Non farti pregare.» Gli occhi dell'uomo erano cupi e grevi di desiderio mentre, con un sorriso di perfida se-duzione, le sfilava i mutandoni. «Se il tuo è un gioco, Delphine, ti chiedo di smetterla. I tuoi virginei rossori sono finti, lo so. Io ti voglio... altrimenti perché saresti qui?» Soffocando un sussulto, lei cercò ancora di rifugiarsi

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dalla parte opposta del letto, ma di nuovo lui l'afferrò per la vita, con una forza che non la sorprese. Delphine cercò di respingere le sue mani, ma non riuscì a sfuggir-gli. Lui l'attirò a sé. Inginocchiandosi sul materasso la fece sdraiare e, prima che lei potesse fare un solo mo-vimento, le sue braccia, come muscolosi pilastri, si ap-poggiarono ai lati del suo corpo, intrappolandola. Poi lo sconosciuto si abbassò su di lei e la inchiodò al materas-so con il proprio corpo. Delphine aveva l'impressione che ogni suo movimento non facesse che assecondare la determinata opera di seduzione dell'uomo. A quel punto non era più in grado di sfuggire alla lunga lama di pas-sione che le bruciava le cosce e la faceva tremare con violenza. Lui sollevò la testa, la guardò negli occhi e lentamente sorrise. «Ora ti avrò, Delphine. Ti pagherò al sorgere del sole, dunque non deludermi e vedrai che non te ne pentirai.» «Oh» sussultò lei, sentendo la sua virilità tesa che la frugava, che spingeva, sentendone tutto il calore bru-ciante. «Che cosa sto facendo?» L'uomo ridacchiò contro la sua gola. «Se non lo sai tu, dolcezza, chi sono io per dirtelo? Sei una sgualdrina, dolcezza, e stasera sei mia.» Delphine si sollevò sotto di lui, cercò di resistere alla pressione di quel petto possente, ma lui era troppo forte e la sua fu una lotta inutile. Ormai era troppo tardi, lui non poteva più tirarsi indietro, non ora, non con quel de-siderio pulsante e gonfio, che esigeva sollievo. Un dolore bruciante le esplose nel ventre, mentre l'uo-

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mo premeva più forte il viso contro il suo. Delphine si sentì colmare gli occhi di lacrime, percepì in bocca il sa-pore del sangue perché si era morsa una guancia. Poi la bocca avida dell'uomo trovò la sua e la baciò a lungo, con passione. Il dolore diminuì un poco quando comin-ciò a muoversi dentro di lei, assaporando ogni momento di piacere. Delphine giacque, immobile e passiva, gli occhi serra-ti, decisa a resistere a qualunque intrusione del piacere che quel corpo possente suscitasse in lei. Se fosse rima-sta ferma, lui non avrebbe potuto raggiungerla. La pas-sione famelica dell'uomo aumentò, e poi lui non riuscì più a controllarsi. Delphine non avrebbe saputo dire quanto fosse durato, ma quando lui si ritrasse si voltò e si tirò le coperte fino al mento, nascondendo il proprio corpo violato allo sguardo dello sconosciuto.

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MARGUERITE KAYE

INGHILTERRA, 1824 - Quando soccorre una sconosciuta e la accoglie nella propria casa, Rafe St Alban non immagina che la sua vita cambierà drasticamente. Lui, infatti, che dopo il fallimento del precedente matrimonio è diventato freddo e scostante con le rappresentanti del gentil sesso, rimane travol-to dal fascino genuino e dalla innocente sensualità della gio-vane, al punto che decide di aiutarla a scoprire chi l'ha aggre-dita. Così, più la loro conoscenza si approfondisce, i loro sguardi si incrociano e la loro pelle si sfiora, più Rafe capisce di essere rimasto invischiato in una ragnatela molto insidiosa.

L'amante del libertino

Attrazione scandalosa HELEN DICKSON

INGHILTERRA, 1810 - 1812 - A causa della propria genero-sità d'animo Miss Delphine Cameron si ritrova per caso in una casa di tolleranza. E qui, turbata dall’atmosfera sensuale che permea il locale e che suscita in lei una torbida eccitazione, finisce, senza quasi sapere come, tra le braccia del tenebroso e attraente Lord Stephen Fitzwaring. L'indimenticabile notte di passione che condividono apre a Delphine le porte di un mon-do sconvolgente, ma l'alba del nuovo giorno squarcia il velo dell'incantesimo, lasciandola di fronte a una drammatica real-tà: ormai è una donna rovinata...

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AMANDA MCCABE

INGHILTERRA, 1564 - Celia non può rifiutare l'offerta della Regina Elisabetta I di fare parte della delegazione in partenza per la Scozia, ma è molto turbata per la presenza di John Brandon. L'incontro tra loro riapre vecchie ferite e riporta Ce-lia indietro di tre anni, a quando coltivava speranze e sogni d'amore. Durante il viaggio, tuttavia, l'astio si trasforma in una bruciante attrazione che la porta a dividere con il genti-luomo momenti di passione infuocata. E così, tra accesi litigi e baci incandescenti, tra parole rabbiose e fremiti della pelle, una debole luce si riaccende nel cuore di Celia. Ma...

Carezze selvagge

Giochi di seduzione STEPHANIE LAURENS

INGHILTERRA, 1816 - Gervase Tregarth, Conte di Cro-whurst, è tornato in Cornovaglia per cercare moglie, come ha promesso alle sorelle, ma se non avrà successo entro tre mesi sarà libero di tornare a Londra. Decide di fingersi interessato alla loro vicina di casa, Madeline, della quale è certo che non si innamorerà mai. Lei però si rivela una donna affascinante e Gervase capisce ben presto di esserne inesorabilmente attrat-to. Così una sera, complici la luna e le stelle, cede alla passio-ne e la bacia. Da quel momento un'unica idea gli occupa la mente: sedurla e iniziarla al piacere dei sensi. Prima però...

Dal 10 aprile

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MICHELLE WILLINGHAM SCOZIA, 1305 - Marguerite è figlia di un duca, Callum uno scozzese ribelle che ha perduto la voce. Il sentimento che li unisce basterà a sfidare un destino che pare già segnato?

Il silenzio del guerriero

Vendetta per amore MARGARET MCPHEE

LONDRA, 1810 - Quando Marianne scopre che dietro la ma-schera del brigante che l'ha rapita si nasconde l'attraente Sir Rafe, non lo denuncia. Anzi, decide addirittura di sposarlo!

Il ritorno di Lord Montague CAROLE MORTIMER

INGILTERRA, 1816 - Tra Giles, l'arrogante primogenito dei Montague, e Lily, umile trovatella, scoccano scintille. Ma sotto le braci del risentimento, cova in realtà la passione...

LONDRA, 1589 - Affascinante e scanzonato, Robert è un ma-scalzone dallo spirito indomabile. Ed è colpa sua se la vita di Anna si trova in pericolo... così come il suo cuore!

AMANDA MCCABE Misteri a teatro

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Elaine Knighton

Inghilterra, 1237 - In un momento di rabbia Fulk ha tolto la vita al fratello e, da allora, si è ripromesso di non uccidere mai più. Quando però il suo nemico giurato, Grimald, ottiene con l'inganno la vittoria in un torneo e pretende che in cam-bio della libertà lui conquisti Windermere e ne sposi la castel-lana, Fulk non può esimersi dal prendere le armi. Dopo set-timane di assedio Lady Jehanne, detta la Vergine di Ferro perché sotto gli abiti da donna indossa un'armatura, è co-stretta ad arrendersi. Fulk le propone di allearsi per sconfig-gere il comune nemico. E Jehanne, sorprendentemente, accet-ta di sposarlo...

L'amazzone e il cavaliere

Il capitano Miranda Jarrett

Inghilterra, 1803 - Lord George Claremont, capitano di lungo corso della Marina di Sua Maestà, è alla ricerca di una tenuta in cui ritirarsi a vivere, e Feversham Hall, un'antica dimora e-lisabettiana che ha visto tempi migliori, fa proprio al caso su-o. Tanto più che la governante, Fan Winslow, è una giovane assai attraente che fin dal primo istante ha colpito la sua immaginazione. Attratto dalla brillante intelligenza della fan-ciulla non meno che dalla sua avvenenza, il capitano cerca di conquistarne anche la fiducia, ma ben presto si rende conto che Fan gli nasconde qualcosa...

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