Sdeng! · Li cerca più o meno tutti della stessa misura e li accatasta con pre-cisione. E fin qui...

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Sdeng! Numero 1 nuova serie Novembre 2mila9 sdeng.it

Transcript of Sdeng! · Li cerca più o meno tutti della stessa misura e li accatasta con pre-cisione. E fin qui...

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Sdeng!

Numero 1 nuova serie Novembre 2mila9 sdeng.it

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© Sdeng!

Per iodico b imest ra le - Ot tobre 2009

Immagine d i coper t ina: Vio la Cangi .

www.sdeng.it conta t tasdeng@libero . i t

A cura d i : Lorenzo Alunni , Giovanni Bet tacchio l i , Serena Facchin ,

Giu l ia Tonel l i ( s i to) , Marcel lo Volpi .

Per tu t t i i contenut i d i Sdeng! : Some r ights reserved (creat ivecommons .org)

S D E N G ! è u n s u p p l e me n t o o n - l i n e a “L ’ Al t r a p a g i n a ” , D i r e t to r e

R e s p o n s a b i l e : E n z o R o s s i , Au t o r i z z a z i o n e d e l T r ib u n a l e d i P e r u g i a n ° 6 8 4 d e l

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EDITORIALE “ ”SANTINO” la redazione

di Sdeng!

ARTICOLO ”SINE SOLE SILEO” di Francesco

Rosi

FUMETTO ”WAITING FOR THE SUN” di Alessandro

Bacchetta

RACCONTO “ ”IN MEZZO A” di Marco

Mencarelli

PORTFOLIO “ ”CORPO” di Viola

Cangi PUBBLICITA’’ ”FORNITURE CULTURALI” di Marcello Volpi

Sdeng! Numero1 nuova serie Ottobre 2mila9

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_________________________EDITORIALE: “Santino e la battaglia dell’attenzione” ________________dalla redazione di Sdeng!______________

C iò che stiamo per scrivere è tutto vero. Per verificare basta digitare qualcosa come

“santino zoo svezia” in Google.

Furuvik è una piccola città svedese dotata di zoo. È lì che abita il mentore del nuovo

corso di Sdeng!. Signore e signori: Santino! Segni particolari: scimpanzè.

Ogni giorno il vecchio Santino si sveglia e, con una minuzia d’altri tempi, si mette a raccogliere

sassi nella sua porzione di zoo. Li cerca più o meno tutti della stessa misura e li accatasta con pre-

cisione. E fin qui tutto bene, un passatempo da scimpanzè come un altro.

Ad un certo punto della mattinata però lo zoo apre le porte ai visitatori, che cominciano a sfilare di

fronte alla gabbia degli scimpanzè. E Santino cosa fa? Comincia a lanciargli contro le pietre che

aveva preparato! Metodicamente e con decisione. Le pietre volano come le palle di cannone delle

navi di sua maestà, i turisti cercano di evitarle e passano frettolosamente (spesso imprecando)

all’animale successivo. Grandioso.

Ci sarebbero tutti gli elementi concettuali per eleggere il ribelle e romantico Santino a guida spiri-

tuale di quello che vorremmo fosse il nuovo Sdeng!: nel nostro piccolo, vogliamo lanciare ai nostri

visitatori sassate di Bellezza, nelle forme più impensate o in quelle più positivamente tradizionali.

E ci auguriamo di sentire, al contatto fra i sassi e i nostri lettori, un bel... “sdeng!”, dolce rumore

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del bersaglio emotivo centrato."D'accordo, Bellezza è un parolone, ma per intenderci..."

Eccoci dunque ad inaugurare il nuovo corso della nostra dolce rivista artigianale. Come vedete,

passiamo in internet, con i numeri che saranno di volta in volta scaricabili in un comodo formato

pdf stampabile. Non stiamo ad annoiarvi con le ragioni, ma ce ne sono eccome.

Rispetto alla prima serie – che già ricordiamo con sospiri di nostalgia – troverete anche saggi, re-

portage, recensioni di eventi valtiberini, lavori dei nostri artisti locali preferiti, interviste e, certa-

mente, dei succulenti nuovi episodi del tipo d’invenzioni sbilenche che trovavate nei vecchi nume-

ri. Proveremo ad uscire ogni due mesi e, al pari della frutta e della verdura fresca davvero, saremo

una rivista a chilometro zero, ovvero attenta alle cosiddette risorse e dinamiche locali (era l’ultima

espressione così formale, promesso).

Per cercare di tenere fede a tutto ciò, drizzeremo piuttosto le orecchie ad ogni rumore culturale

che dovesse attraversare l’aria di queste parti, ovvero a qualsiasi espressione artistica che si attiri

giudizi di casino, scarabocchi, vandalismo, giovanilismo ecc.. Fraintendimenti, cerchiamo frain-

tendimenti. “Gesti epicamente insensati”, “genio o stupidità: qualsiasi cosa di smodato”, scrisse un

grande critico musicale. Proveremo ad essere sensibili ad ogni avvisaglia di fenomeni o movimenti

che non si meritino di vivere solo per loro stessi (odiamo la parola “hobby”). Le regole del “buon

vicinato” sembrano assopire, nelle piccole realtà come la nostra, il senso critico come le capacità

espressive, e per questo cercheremo le pur minuscole rotture locali, il cui crepitio dovrà far vibrare

il nostro bastone da rabdomanti.

Certo, è anche possibile che ci saranno due o tre numeri della rivista poi la finiremo lì. È possibile,

perché no. Ma vale la pena provare, quantomeno perché non riusciamo a toglierci dalla testa che

c’è qualcosa che non va, e che stiamo perdendo un sacco di occasioni per, semplicemente, sentirsi

giusto un pò meglio dalle nostre parti.

È una battaglia dell’Attenzione, Signore e Signori. Lo sappiamo e in piccola scala lo abbiamo già

sperimentato. Ma sappiamo anche che la nostra venerabile guida ci condurrà per mano attraverso

gli insegnamenti che c’impartisce dallo zoo di quella sperduta cittadina svedese. Lunga vita a San-

tino.

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_________________________ARTICOLO: “Sine Sole Sileo”

________________di Francesco Rosi______________

“Se la bellezza degli strumenti astronomici

deriva dall’utilità dei risultati che si possono

ottenere con essi, allora le linee meridiane pos-

sono essere annoverate tra gli oggetti più belli” Giornale de’ letterati d’Italia 1711

PREMESSA

Come Alberto Burri era un dato di fatto della mia infanzia

tifernate, lo era anche la bella meridiana della scuola A-

graria; dal mondo adulto venivano, in entrambi i casi, solo

risposte evasive, sommarie e insoddisfacenti alle mie do-

mande. Crescendo ho trovato vano cercare spiegazioni

razionali alle opere del Maestro mentre ho voluto carpire

il “segreto” nascosto nelle scale graduate, negli indici

numerici, nel cavo teso e nel disco forato del cronometro

solare del prof. Luigi Mori.

Il testo che segue riguarda gli orologio solari, le meridiane

e le modalità con cui l’uomo, con il suo ingegno, ha cattu-

rato il moto apparente del cosmo traendone significato; in

conclusione, illustrerò quanto realizzato, in Alta Valle del

Tevere, dal prof. Mori.

Ci si potrebbe chiedere: “perché, nel XXI secolo, era in

cui la scienza ha inventato strumenti in grado di rilevare

intervalli della durata di 100 attosecondi, ci si può ancora

interessare del tempo misurato attraverso il sole?”; rispon-

do dichiarando che trovo impossibile sottrarmi al fascino

del continuo mutare della volta celeste che scandisce il

ritmo atavico del succedersi dei giorni, delle stagioni, de-

gli anni; indagare questo movimento presuppone nozioni

di geometria, matematica, astronomia, arte applicata che

fanno parte della mia formazione di architetto e, dal loro

uso combinato, il mio intelletto trae piacere.

La traduzione del palpito del cosmo in numeri e teorie

rende l’universo un tassello della mia attività di progetti-

sta, restituendo alla mia professione quel tocco di esoteri-

co che lo stupido groviglio di burocrazia e normative ha

cancellato.

Una innegabile differenza fra il genere umano e gli anima-

li è sicuramente ravvisabile nella percezione del ritmo e

cioè nel riuscire cogliere la regolarità di alcuni fenomeni

naturali; contare i giorni, gli anni, cogliere il ciclo delle

stagioni e delle fasi lunari ha impegnato l’uomo per mil-

lenni e, a tal fine, strumenti sempre più sofisticati sono

stati elaborati.

Riesco ad immaginare il nostro più remoto antenato se-

gnare con dei sassolini la posizione dell’ombra di una

roccia e, in un attimo, diventare il sacerdote che conosce il

segreto per orientare le primitive architetture megalitiche

attraverso le quali profetizzare “magicamente”

l’inversione del terribile accorciarsi delle giornate e la

speranza di una nuova primavera.

La determinazione dei punti cardinali, appannaggio di una

classe di eletti, era alla base della fondazione delle città e i

trattatisti latini codificano vari metodi.

L’uso consapevole dei raggi solari attraverso l’opportuno

orientamento dei fabbricati e delle aperture era strumento

tipico del bagaglio culturale degli architetti medievali,

veri maestri nella creazione di effetti ierofanici.

In epoca rinascimentale si capì che le cattedrali, con le

loro maestose dimensioni, potevano essere i migliori edi-

fici per compiere misure astronomiche e, per assurdo, la

stessa Chiesa che condanna

Galilei, dà forte impulso all’astronomia con la necessità di

determinare univocamente la data della Pasqua, funzione

dell’equinozio di primavera. Il Duomo di Firenze, San

Petronio a Bologna, S. Maria degli Angeli a Roma, le

cattedrali di Palermo e Milano permettono, funzionando

da enormi meridiane a camera oscura, di correggere gli

errori del calendario giuliano, di calcolare con esattezza

l’inclinazione dell’asse terrestre trasformando

l’astronomia in una scienza certa, basata sulla matematica

applicata.

L’avvento degli strumenti ottici per l’osservazione del

cielo e di orologi sempre più precisi relega le meridiane a

semplici curiosità ma conoscerle e capirle conduce il pen-

siero in sentieri che collegano scienza e arte, in un eserci-

zio mai vano; il fine del presente articolo è quello di forni-

re le basi per poter apprezzare appieno le opere consegna-

teci dall’ingegno di Luigi Mori che, nel XX secolo, ha

sentito il bisogno di percorrere questi sentieri.

Le difficoltà che l'uomo contemporaneo incontra di fronte

agli strumenti solari discendono dalla non conoscenza del

loro metodo di lettura e dal fatto che la suddivisione del

giorno e le modalità di computo del tempo che oggi adot-

tiamo sono, in realtà, acquisizioni piuttosto recenti.

L'ora sulla quale normalmente basiamo le nostre azioni è

frutto di convenzioni, di decisioni politiche e di scoperte

scientifiche; specifici enti hanno l'incarico di attuare la

misurazione del tempo e mantenerne il rigore; lo strumen-

to di misurazione chiamato orologio è un sofisticato og-

getto di cui pochi eletti conoscono realmente le modalità

di funzionamento; la lettura dell'ora e la misurazione del

tempo si apprendono, non senza difficoltà, nei primi anni

di scuola.

Ciò nonostante basta un colpo d'occhio per conoscere l'ora

esatta e la stessa cosa avveniva nel passato, quando ancora

gli orologi meccanici dovevano essere inventati ed era il

sole, con i suoi moti quotidiani, a far funzionare le meri-

diane.

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È quindi importante fermarsi a riflettere sugli effetti pro-

dotti dall’ombra proiettata da uno stilo verticale infitto nel

terreno (gnomone) (fig. 1) che è di per sé sufficiente a

individuare un ciclo che si ripete annualmente ed alcuni

fenomeni quotidiani e stagionali:

esiste un momento della giornata in cui il sole ha la

massima altezza sull'orizzonte e la lunghezza dell'ombra

proiettata è minima; questo è il mezzogiorno.

questa altezza varia, nell'anno, fra due estremi; quan-

do l'altezza è massima si ha il solstizio estivo, al minimo

corrisponde il solstizio invernale.

L'ombra del punto gnomonico descrive quotidianamente

delle iperboli ma in due giorni ogni anno essa si muove

lungo una linea retta; questi sono gli equinozi primaverile

ed autunnale.

Questi fenomeni possono essere rappresentati nel piano

dall’analemma vitruviano che, attraverso le regole della

geometria descrittiva, permette di calcolare graficamente

la posizione del sole nella volta celeste ed è, forse, il più

antico metodo teorico per il disegno del quadrante di un

orologio solare

É antichissima la necessità di mi-

surare e quindi suddividere in

ulteriori intervalli il giorno e già

in epoca egizia il nittemero

(sinonimo di giorno inteso come

intero ciclo diurno e notturno) era

di 24 ore di cui 12 ore compone-

vano l'intervallo tra l'alba ed il

tramonto ed altrettante scandiva-

no la notte (fig. 2); poiché la du-

rata del periodo di luce varia con le stagioni, le ore non

avevano misura costante e variavano da circa 45 minuti in

periodo invernale

a circa 75 in

quello estivo alle

nostre latitudini.

Gli orologi solari

recanti questo

tipo di suddivi-

sione delle ore,

riportati in auge

dai Benedettini nel VI secolo

ed in uso ancora nel XVI se-

colo, sono detti meridiane ad

ore canoniche o temporarie

(fig. 4);

l'ombra proiettata sul quadrante

scandiva la giornata nei con-

venti ed era il riferimento per i

momenti della prassi liturgica

(fig. 3) nella regola di San Be-

nedetto.

Intorno al XIII secolo, a segui-

to anche dell'influenza della cultura araba, viene

introdotto in occidente il sistema equinoziale

basato su due importanti

novità: in primo luogo, la

costruzione di orologi mec-

canici consente la divisione

del giorno in 24 ore di u-

guale durata (fig. 5) (da cui

il nome di equinoziale; la durata co-

stante delle ore canoniche infatti, si

riscontrava solamente nei giorni de-

gli equinozi). La seconda novità consiste nel misurare il

tempo dal tramonto, come era in uso in oriente.

Una meridiana a

ore italiche per-

mette di determi-

nare, in base alla

posizione della

punta dello stilo,

le ore mancanti

al tramonto, ven-

tiquattresima ed

ultima ora della

giornata.

Questo metodo di conteggio era funzionale alla vita dei

borghi che si andavano formando e popolando nel medio-

evo e le cui porte di accesso si chiudevano al calar del

sole; la vita dei campi terminava alla ventitreesima ora.

Uno dei principali svantaggi della suddivisione del tempo

in ore italiche era però quello dell'estrema variabilità del

concetto di tramonto che, a seconda dell'orizzonte del

luogo, poteva differire sensibilmente anche a distanza di

pochi chilometri: il sole tramon-

ta prima per una località di fon-

dovalle piuttosto che in un luo-

go di crinale.

Prende piede allora, contempo-

raneamente ai progressi della

cartografia, il sistema detto ad

ore francesi (fig. 7) che intro-

duce il mezzogiorno e quindi la

mezzanotte come riferimento.

Il momento in cui il sole passa esattamente sul meridiano

locale ed è alla massima altezza nel cielo (la dodicesima

ora) è certamente di più difficile percezione e deve essere

misurato ma è un fenomeno astronomico univoco e svin-

colato dall'orizzonte locale.

Questo sistema, che ancor oggi usiamo, viene introdotto

tra la fine del XVIII e gli inizi del XIX secolo in Italia (a

Roma, il colpo di cannone che da Castel Sant'Angelo indi-

cava il tramonto fu spostato a mezzogiorno nel 1846).

Merita a questo punto sottolineare che, fino a questo mo-

mento, si è parlato di ora locale cioè ricavata da fenomeni

astronomici percepibili nella luogo ove ci si trova; il fatto

che il mezzogiorno astronomico di Trieste precedesse di

alcuni minuti il mezzogiorno a Roma era del tutto ininflu-

ente.

Il progresso tecnologico però, con il crescente sviluppo

delle reti ferroviarie e telegrafiche, crea la necessità di

istituire un orario comune a tutta la nazione.

Nel 1866 l’Italia estende a tutto il territorio della nazione

l’ora del meridiano passante per Roma; nel 1884 il siste-

Notte

Giorno

Alba Tramonto

Mezzanotte

24 ore

Mezzogiorno

Notte

Giorno

Alba Tramonto

Mezzanotte

24 ore

Mezzogiorno

Fig.1 la meridiana orizzontale

Fig.2 Le ore canoniche

Fig.4 Meridiana verticale ad

ore canoniche (i cerchietti

segnano il numero di rintocchi

delle campane alle varie ore)

Fig.3 Orari delle preghiere

Fig.5 Le ore italiche

Fig.6 Meridiana verticale ad ore italiche

Fig.7

7

ma dei fusi orari viene recepito ufficialmente da molte

nazioni europee ma solo nel 1893 l’Italia adotta l’ora me-

dia dell’Europa centrale, riferita al meridiano Etneo

(15°).

Le ripercussioni di queste convenzioni sono notevoli nel

mondo degli orologi solari; l'esigenza di visualizzare un'o-

ra non più funzione di eventi astronomici locali introduce

la necessità di correggere opportunamente l'orario segnato

dall'ombra tramite due variabili; la prima considera la

differenza di longitudine del sito dell’orologio solare dal

meridiano di riferimento del fuso e la seconda tiene conto

della velocità di rivoluzione non costante della terra, nella

sua orbita ellittica attorno al sole.

Alcune meridiane riportano una curva a forma di otto,

generalmente in corrispondenza del mezzogiorno, detta

lemniscata che, nel momento dell'intersezione con il punto

gnomonico, fornisce l'ora media senza bisogno di applica-

re le precedenti correzioni.

L'introduzione dell'ora media complica la lettura degli

orologi solari che diventano strumenti scientifici di non

immediata comprensione.

Notevoli esempi di meridiane di questo tipo sono stati

calcolati, disegnati e realizzati dal Professor Luigi Mori

(1899,1955) nella prima metà del XX secolo, nell’Alta

Valle del Tevere.

Il primo di questi orologi solari di cui ho conoscenza è

ubicato presso la Pieve di Micciano (fig. 15), non lontano

da Anghiari e risale al 1925. Il quadrante, inciso da As-

sunto Innocenti, realizzato in marmo e sostenuto da una

struttura metallica è orientato esattamente a sud e riporta

indicazione dell'ora locale, dell'ora media dell'Europa cen-

trale, del mezzogiorno nelle principali capitali mondiali

oltre alle linee stagionali degli equinozi e dei solstizi; lo

stilo polare, costruito con un'asta interrotta dal disco re-

cante il foro gnomonico, è oggi strappato ed il braccio che

lo sosteneva piegato.

Successiva di pochi anni è la meridiana della Verna

(fig. 9); realizzata nel 1930 ed analoga alla precedente per

orientamento e grafico; è oggi sostituita con un'altra rea-

lizzata nel 1972 dal prof. Guido Baracchi (fig. 10) basan-

dosi sui disegni ed i calcoli di Mori. Nel 1934 Frate Ago-

stino Gemelli, rettore dell'Università Cattolica di Milano,

scrive a Mori chiedendogli di ricostruire le linee mancanti

della "antica e molto solenne" meridiana posta nel cortile

dell'Ateneo. Nella missiva egli dice: "mi sono rivolto ad

astronomi, ma mi hanno detto che occorrono calcoli trop-

po lunghi per completare i segni che non esistono più".

Una fotografia proveniente dall'archivio del fratelli Baroni

rappresenta la lapide (fig. 8) in marmo di Candoglia situa

ta oggi nella Sala dello Zodiaco della Università Cattoli-

ca, ovvero l'atrio dell'aula Pio XI.

Nell'iscrizione si legge: "Linea meridiana horizo-

verticalis studiosis rite constructa Anno Domini

MDCCLVI".

Si tratta di una linea meridiana che indicava il mezzogior-

no completata con i segni zodiacali; il foro gnomonico che

permetteva il passaggio dei raggi solari era posto, proba-

bilmente, sul fabbricato. In corrispondenza dell'estremo

della linea e cioè al solstizio invernale, nella parte più alta

della lapide, le cifre indicate sono le 4 e 16 e le 19 e 44: la

prima corrisponde alla “semiluce diurna” e cioè la quanti-

tà di ore e minuti che separano il Mezzodì dall'alba in un

senso e dal tramonto nell'altro mentre la seconda è l’orario

italico corrispondente al mezzogiorno.

Tutta la corrispondenza fra Padre Gemelli e il prof. Mori è

andata distrutta nell’agosto del 1943, con i bombardamen-

ti su Milano che hanno anche irrimediabilmente danneg-

giato il fabbricato e la linea meridiana.

Al 1941 risale l'orologio solare apposto sul fabbricato di

Santa Maria della Pace in località Sigliano, vicino a Pieve

Santo Stefano; a differenza dei precedenti, esso è colloca-

to direttamente sulla parete declinante in direzione sud

ovest con conseguente asimmetria del grafico delle stagio-

ni ed a dimostrazione dell'abilità acquisita nel calco-

lo.L'anno successivo, nel 1942, Mori realizza il

"Cronometro Solare" a Città di Castello (fig 12) presso

l'Istituto Professionale di Stato per l’Agricoltura e

l’Ambiente U. Patrizi; il suo quadrante è costituito da una

lastra in pietra di 2.3 x 1.6 ml, lo stilo polare è realizzato

con un filo metallico teso ed un disco forato che proietta

la propria ombra sulla tavola; una tabella sottostante ripor-

ta il fattore di correzione giornaliero derivato dall'equazio-

ne del tempo.

Figura 8 - La lapide della linea meridiana

dell'Università Cattolica di Milano in una

foto d'epoca (proprietà Baroni)

8

La realizzazione è stata accompagnata da una pubblicazio-

ne esplicativa che contiene indicazioni preziose sul proce-

dimento matematico utilizzato da Mori per tracciare i gra-

fici e sulle modalità di lettura delle ore; l’opuscolo è stato

riprodotto, in ristampa anastatica, in occasione del restau-

ro dell’orologio solare, che ho condotto nella primavera

del 2009."Il lavoro matematico ha richiesto l'uso di oltre

diecimila operazioni logaritmiche a 5 ed a 7 decimali per

la soluzione di alcune migliaia di formule di trigonometri-

a sferica e piana".

L'orologio reca indicazioni relativamente all'ora vera loca-

le, all'ora vera dell’Europa Centrale, al mezzogiorno me-

dio legale, ai fusi orari dell’Europa e delle Colonie italia-

ne, ai solstizi, equinozi e segni zodiacali.

Rispetto alle precedenti meridiane Mori introduce il

"meraviglioso grafico", probabilmente ispirandosi alla

linea meridiana di Milano, che permette la lettura dell'ora

esatta della nascita ed del tramonto del sole sull’orizzonte

delineato dalle colline e dai monti locali, indicata dallo

gnomone alle ore 11.15 di ogni giorno; i dati utilizzati per

tracciare questo grafico sono desunti da misure goniome-

triche dirette dell'orizzonte, effettuate dalla torre dell'Os-

servatorio Meteorologico di Palazzo Bini a Città di Ca-

stello, attuale sede dei laboratori dell'Istituto Professionale

di Stato per l'Industria e l'Artigianato.

Musicista e matematico, Luigi Mori vive un’esistenza

connotata da eventi forti, che ne segnano profondamente il

carattere senza però oscurarne la genialità ma questa è

un’altra storia che forse, un giorno, qualcuno si prenderà

la briga di raccontare.

Figura 9 - La meridiana della Verna di Luigi Mori in una foto d'epoca (foto

proprietà Baroni)

Figura 11 - La meridiana della Pieve

di Micciano (AR)

Figura 10 - L'attuale meridiana della Verna

di Guido Baracchi

Figura 12 - La meridiana dell'Agraria in

una foto d'epoca (proprietà Baroni)

9

A conclusione, un bel sonetto sulla divisione del tempo:

Non pago l’uom con publico rigore

aver l’empio uccisor di sua salute,

con rote penosissime ed acute

squarciato in giorni e lacerato in ore,

acceso ancor di novo sdegno il core,

lingue di ferro ora loquaci or mute

vibra contro il fellone e in più minute

parti il divide, e pur quel reo non more.

Non more ei no, moriam ben noi. Diviso

Ei non è già, ma noi da noi divide

E si ride di noi, da noi deriso.

È mago il tempo e con nov’arti infide

Lacerato da l’uom, da l’uomo ucciso,

lacera lacerato, ucciso uccide.

Giovan Leone Sempronio (1660 circa)

Tratto da Le parole e le ore, Sellerio

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"Waiting for the Sun” Storia e disegni: Alessandro Bacchetta

Acquerelli: Andrea Fantechi"

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_________________________RACCONTO: “In mezzo a”

________________di Marco Mencarelli______________

________________illustrazione di Francesca Bernuzzi______________

Aujourd'hui

Un bel giorno, oggi.

Dove andiamo?

Casa mia.

Duecentocinquanta chilometri ma, stranamente, sembreranno venti.

Qualcosa di speciale oggi.

La meta? Nota.

La compagnia? Forse.

Deve essere la vicinanza, il movimento, lo stupore.

Come ti senti?

Meravigliosamente.

Deve essere qualcosa che è nell’aria.

Tutto sembra nuovo, intatto, incontaminato.

Tutto sembra immobile, ecco.

Siamo partiti.

Sei sicura?

Certo, che domande.

Eppure tutto sembra ancora immobile.

L’inerzia, la sento.

E’ vero, ci muoviamo.

Sicuro di sentirti bene?

Mai stato meglio.

Sembri strano.

Sono strano, lo sai.

Intendo “strano”.

Sensazioni strane.

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Ho l’impressione di muovermi in maniera diversa, o meglio, è come se tutto si muovesse con me, con noi.

Non so che dire, alle tue stranezze ormai sono abituata.

Forse ti emoziona l’idea di visitare le mie terre.

Forse.

Tutto fuori comincia a miscelarsi.

Tutto muta e cambia forma.

Pur rendendomi conto di come ogni cosa rimanga al suo posto, permane con forza la sensazione che l’indiviso si dire-

zioni arbitrariamente e senza far rumore.

Tutto muta e cambia forma.

E’ come se le cose, nel momento in cui mi allontano da loro, decidano scientemente di avvicinarsi a me.

Tutto muta e cambia forma.

Ancora stranezze?

Più che stranezze li definirei “sguardi che mi tradiscono”, manifestazioni, come sempre del resto, di un più ampio e

forse malato modo di carpire senza mordere.

Se fai così diventa difficile comunicare.

Forse, però diventa più facile capirsi.

Forse, forse, forse. Una certezza?

Magari.

Basta poco.

Forse basta ancora meno, è quello il problema.

Non so se rinunciare o se provare a prenderti sul serio.

Sii paziente.

Le cose si comportano come mai prima d’ora.

Ho l’impressione che tutto si stia movimentando, che tutto sia in uno stato di forte eccitazione.

Lente defibrillazioni.

Piccole pause e poi vita.

La direzione, quella si qualifica con certezza ma il resto.

Il resto lo devo immaginare.

L’immaginazione.

L’immaginazione è un arrendersi al tentativo di conoscere, di creare.

L’immaginazione è l’assassina della fantasia.

La fantasia.

La fantasia sì che aiuta.

La conclusione ai miei pensieri, comunque, è sempre un nulla di fatto, una sospensione che da estemporanea diventa

definitiva e certa.

Ecco, una certezza.

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La certezza di essere sospesi, come i pensieri.

La certezza di essere interamente contenuti nelle menti altrui o nella propria.

Poca è la differenza.

Tutto muta e cambia forma.

Il tentativo di conoscere, di saper nominare correttamente intendo, quello è il fine che annienta l’immaginario.

Lo sforzo di comprendere uccide, annulla, sfinisce.

Uccide l’immaginazione.

Annulla l’immaginazione.

Sfinisce l’immaginazione.

Tutto muta e cambia forma.

Demain

Entra, chiudi la porta e fai silenzio.

Buongiorno.

Buongiorno.

Le mani? Ci sono ancora?

Ancora.

I piedi?

Ci sono.

Labbra, orecchie, bocca?

Tutto al proprio posto.

Molto bene, andiamo.

In piedi, allora.

La strada da fare era davvero lunga, soprattutto per l’assenza di una meta precisa.

Ci incamminammo al mattino, il sole doveva ancora manifestarsi.

Tutto era in ombra, tutto era ombra.

L’oscurità stessa era ombra, in ombra.

Così, il moto può sembrare meno faticoso ma al contempo risulta più appagante, se lo si comprende.

Durante tutta la notte avevo dormito un sonno leggero, ricco di eventi allucinati ma al contempo, come ovvio, super-

fluamente privo di veglia.

La cosa strana, questa volta, era la viva e pesante presenza del ricordo.

La facilità con cui riportavo alla mente gli accadimenti onirici era davvero stupefacente, inusuale.

Non mi era mai capitato prima di allora.

Solitamente al risveglio tutto era nebuloso, offuscato dalla tenue luce della coscienza.

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Questa volta, a dispetto di altre, tutto era stranamente presente, vivo.

La cosa ancor più strana che i miei pensieri sottolineavano era la vigorosa presenza della componente emozionale,

sentita, lucida, ingombrante.

Nonostante la strada da fare fosse lunga, almeno credo, per un breve lasso di tempo rimasi concentrato sugli accadi-

menti verificatisi durante la mia lunga serrata degli occhi.

Tutto era necessario, me ne rendevo conto.

Non avrei potuto intraprendere il viaggio senza l’ausilio della notte ma allo stesso tempo avrei preferito non essermi

addormentato, anche se non ne comprendevo bene il motivo.

Tutto bene?

Deve essere l’assenza.

E’ sempre l’assenza.

Questo dovrebbe consolarmi? Non credo.

Cerca piuttosto di guardare avanti.

Prova a stupirti dei tuoi passi, disegnali, contali.

Il fatto di essere consapevole della direzione da prendere non mi premetterà comunque di stare tranquillo.

Forse non c’è bisogno che tu sia tranquillo.

Forse è la tempesta ciò che ti serve ora.

Non credo di essere in grado di affrontare contemporaneamente il viaggio e la tempesta.

Non sono così avventuriero.

Tu non hai la più pallida idea di chi o cosa tu sia, come non ce l’ho io e come nessuno l’avrà mai.

Credi?

Ovviamente ne sono certa, l’incertezza è qualcosa che preferisco lasciare in luoghi molto lontani.

Non so se riuscirò mai a vivere di certezze.

La fatica cominciava a farsi pesante ma ancor più pesante era la distanza che ci separava dal punto di partenza,

dall’origine.

Il sole si esibiva in cromie eccedenti le normali potenzialità degli occhi.

Nel movimento, e nel piacere procuratoci dall’assassinio della distanza, trovavamo la forza di armare i nostri piedi.

Tutto scorreva pedissequamente anche se le nostre energie cominciavano a venir meno.

E il mare?

Cosa c’entra ora il mare?

Il mare c’entra sempre.

Non riesco a fidarmi del mare.

Non riesco a galleggiare senza chiedermi come sia possibile non affondare.

Metafore, metafore e ancora metafore.

Non riesco a lasciarmi andare, in mare.

Forse, molto semplicemente, perché significherebbe morire.

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Hier

Buongiorno.

Buongiorno.

E’ ora di alzarsi.

Di già?

Dobbiamo andare.

Il viaggio.

Quella mattina tutto si mosse lentamente fino alla porta scorrevole.

Solo di fronte al metallo della carrozza, nel momento in cui mi apprestavo a salire, solo e soltanto allora tutto riprese a

fluire in modo naturale.

Un viaggio, il primo.

Avevo sei anni.

Il mondo era un luogo più infinito che gigante e la distanza che mi separava dalla meta sembrava al contempo incol-

mabile ed insignificante.

Un salto, due, tre e mi trovai in carrozza.

Entrai in punta di piedi con un forte e tangibile senso di rispetto e di timore.

Le pareti erano altissime, i sedili erano dei sofà comodissimi ed il soffitto era ciò che di più distante si possa immagi-

nare dal pavimento.

Tutto era grande, sovradimensionato.

Mio nonno si trovava al mio fianco.

Siediti.

Vicino al finestrino.

Continuavo a guardarmi intorno con fare intimidito.

La testa in mezzo alle spalle e gli occhi al cielo.

Non sapevo cosa aspettarmi.

Immaginavo di poter prendere il volo da un momento all’altro.

Immaginavo di poter viaggiare così velocemente da non poter più distinguere ciò che fuori tentava di mostrarsi.

Immaginavo scie di colori.

Immaginavo.

Un istante dopo, la stazione cominciò a muoversi mentre io restavo inspiegabilmente fermo.

Anche il prato si muoveva, gli alberi, le case, il cielo mentre io restavo stranamente fermo.

Tutto si muoveva mentre io restavo inspiegabilmente fermo.

Mio nonno con me.

Vedi, ci stiamo muovendo, siamo partiti.

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A me non pareva affatto.

Restavo stranamente fermo.

Il mondo, lui sì che si era messo in movimento.

Fuori tutto sembrava s-correre, tutto contribuiva a colmare la distanza ma noi restavamo inspiegabilmente fermi.

Io, il sofà, il soffitto, mio nonno e il suo giornale.

Tutti stranamente fermi.

Venti chilometri, la distanza da percorrere.

Il mondo si mosse per venti chilometri.

Sembravano duecentocinquanta, anche se non sapevo di preciso che differenza ci fosse tra venti chilometri e duecen-

tocinquanta.

Lo avrei scoperto solo molto tempo dopo.

Siamo arrivati.

Noi?

E chi altro?

Il mondo di certo.

Il sofà, il soffitto, mio nonno e il suo giornale, non saprei.

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Portfolio fotografie

di

Viola Cangi

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Gli autori:

Alessandro Bacchetta: nato il 12 dicembre 1986, vive a Città di Castello. Diplomato alla Scuola Internazionale di

Comics di Firenze nel 2009, studente di Lettere Moderne all'Università di Arezzo, scrive per Multiplayer.it,

Unseen64 e, sporadicamente, per Lo Spazio Bianco.

www.alessandrobacchetta.com

Francesca Bernuzzi: nata a Carrara il 12 ottobre 1984, vive per ora a Città di Castello e lavora per ora ad Arezzo.

E' socia dell'agenzia di booking Indie-Gestione Promotions.

Viola Cangi: studentessa diplomata all'Istituto d'arte di Sansepolcro dopo 5 anni di numerosi tentativi in campo

artistico. Frequenta ad oggi la facoltà di Moda e Design all’Università di Urbino. Gioca con la fotografia fin dai

primi anni delle superiori.

www.flickr.com/photos/violetberry/

Andrea Fantechi: amante dei pinguini, nasce a Firenze nel 1988, dove vive tuttora.

Diplomatosi alla Scuola Internazionale di Comics di Firenze nel 2009, è iscritto alla Facoltà di Architettura e ha

praticato sport (adatti a un disegnatore!) come judo e rugby.

www.pingupingue.blogspot.com

Marco Mencarelli: nato a Città di Castello il 12 dicembre 1977, impiegato pubblico, vive e lavora per ora a Città

di Castello. Laureato in Lettere e Filosofia all'Università degli studi di Perugia

è membro del gruppo indie-rock Moleskin.

www.moleskin.it

Francesco Rosi: architetto libero professionista, vive e lavora a Città di Castello. Ha progettato e diretto il restauro

della Meridiana del Prof. Mori alla scuola Agraria.

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