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SCUOLA PERMANENTE PER L’AGGIORNAMENTO DEGLI INSEGNANTI DI SCIENZE SPERIMENTALI A cura di: Michele A. Floriano Giovanni Magliarditi Claudio Fazio Quaderni di Ricerca in Didattica (Science), numero speciale 10 University of Palermo, Italy

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SCUOLA PERMANENTE PER L’AGGIORNAMENTO DEGLI INSEGNANTI DI SCIENZE SPERIMENTALI

A cura di:

Michele A. Floriano Giovanni Magliarditi

Claudio Fazio

Quaderni di Ricerca in Didattica (Science), numero speciale 10

University of Palermo, Italy

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SCUOLA PERMANENTE PER L’AGGIORNAMENTO

DEGLI INSEGNANTI DI SCIENZE SPERIMENTALI

Il Sole.

La nostra stella e/è la nostra

risorsa

I.I.S. "O. M. Corbino", Siracusa

21 - 26 Luglio 2015

A cura di:

Michele A. Floriano Giovanni Magliarditi Claudio Fazio

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Quaderni di Ricerca in Didattica (Science), numero speciale 10

Editor in Chief: Claudio Fazio – University of Palermo, Italy

Editorial Director: Benedetto di Paola - University of Palermo, Italy

ISBN: 978-88-941026-1-1

First edition, 1st August 2016,

© SPAIS, Palermo

Contributi alla

Scuola Permanente per l’Aggiornamento degli Insegnanti di Scienze Sperimentali

IX edizione: “Il Sole. La nostra stella e/è la nostra risorsa ”

I.I.S. "O. M. Corbino",

Siracusa, 21 – 26 LUGLIO 2015

Coordinamento scientifico-didattico:

Presidente: Michele A. Floriano

Anna Caronia Mario Gottuso Delia Chillura Martino Giovanni Magliarditi

Maria Concetta Consentino Roberta Maniaci Claudio Fazio Daniela Tomasino

Patrizia Gasparro Margherita Venturi

Comitato organizzatore: Claudia Caligiore Carmela Fronte

Anna Caronia Damiela Tomasino

Emanuela Tringali

[email protected] - www.unipa.it/flor/spais.htm

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Indice

Prefazione

Michele Antonio Floriano e Anna Caronia

Nanodispositivi e macchine molecolari. Dai materiali alle scienze della vita

1

Giuseppe Calogero

Solare 3.0: l'energia del sole ecosostenibile con i colori della natura e le nano-

tecnologie

4

Fabio Caradonna

Le razze umane non esistono, lo dimostra… il colore della pelle!

23

Fabio Caradonna

Radiazione solare e variabilità genetica: cosa ci regala il sole sulla spiaggia

(oltre la tintarella)

28

Guido De Guidi and Alfio Catalfo

Photosensitization, lights and shadows 34

Pierantonio Garlini

Esperimenti di Fisica con la calcolatrice CASIO fx CG 20 e una centralina

CLAB

68

Stefania Gilardoni Garlini

La chimica dell'atmosfera e il clima del nostro pianeta

80

Danilo Giulietti

Energia, potenza, intensità e brillanza di una sorgente luminosa: dagli Specchi

Ustori di Archimede ai laser super-intensi

88

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Salvatore Antonino Lombardo

Tecnologie per l’ENERGia e l’Efficienza energETICa (ENERGETIC)

103

Claudio Oleari

Esperienze visive a colori, psicofisica e fisiologia della visione a colori - Intro-

duzione alla colorimetria

107

Fabio Reale

Il Sole che cambia

137

Mariano Venanzi

Astrochimica: un percorso affascinante per l'insegnamento delle scienze inte-

grate

146

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“Il Sole. La nostra stella e/è la nostra risorsa”, I.I.S. "O. M. Corbino", Siracusa, 21-26 luglio 2015

Quaderni di Ricerca in Didattica (Science), n. speciale 10, 2016

1

Prefazione

Il Sole. La nostra stella e/è la nostra risorsa

Michele A. Floriano1,2

e Anna Caronia3

1 Divisione Didattica della Società Chimica Italiana

2 Dipartimento di Scienze e Tecnologie Biologiche, Chimiche e Far-

maceutiche, Università di Palermo 3 I.S. “Ettore Majorana”, Palermo

e-mail: [email protected]; [email protected]

Sito web: www.unipa.it/flor/spais.htm

Il Sole è la stella più vicina a noi ed è la fonte di energia da cui dipende la vita

sulla Terra. La nostra Stella è in grado di convertire 600 milioni di tonnellate di

idrogeno in 596 milioni di tonnellate di elio producendo in un solo giorno, per

conversione del difetto di massa, l’energia utilizzata dall’intero nostro pianeta in

un anno. A questo tasso di fusione nucleare, il carburante si esaurirà in circa 5 mi-

liardi di anni, periodo che, rispetto ai tempi antropici, può essere considerato infi-

nito. In altre parole, dal punto di vista umano la durata del Sole può essere consi-

derata infinita.

Ad eccezione dell'energia geotermica e di quella nucleare tutte le forme di e-

nergia, derivano da processi di trasformazione, più o meno, complessi

dell’energia solare. Ciò è vero anche per il petrolio, prodotto della mineralizza-

zione nei millenni della biomateria da resti di organismi accumulata negli strati li-

tosferici.

L’energia solare è la regina delle rinnovabili, è gratuita, non altera l’equilibrio

ambientale e giunge sulla Terra sottoforma di un ampio spettro di radiazioni elet-

tromagnetiche, fra le quali anche la radiazione infrarossa (calore). Il processo di

trasformazione di tipo termodinamico è il più diffuso dopo quello elettromagneti-

co ed oggi la ricerca scientifica ha raggiunto livelli tali di sviluppo da consentire

la messa a punto di dispositivi efficienti ed efficaci.

Uno dei campi di maggior interesse in cui la ricerca oggi risulta essere molto

promettente è quello mirato ad imitare la fotosintesi clorofilliana. L’energia pro-

ducibile tramite il processo di fotosintesi è immensa, pari a circa sei volte l’attuale

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2 Floriano & Caronia – Il Sole. La nostra stella e/è la nostra risorsa

consumo energetico mondiale. Questo ha indotto gli scienziati a interrogarsi sulle

possibilità attuali di finalizzazione tecnologica nel campo del suo sfruttamento a

scopi pratici.

La IX edizione di SPAIS, in occasione dell'Anno Internazionale della Luce in-

detto dall'UNESCO, si è focalizzata su aspetti multidisciplinari riguardanti l'effet-

to della radiazione solare sull'ecosistema terrestre oltre sui risultati più attuali nel

campo della sua utilizzazione a fini pratici.

Il programma si è articolato in 15 ore di lezioni frontali, un confronto dibattito

sulla evoluzione del Sole nei millenni e gli effetti di tali cambiamenti

sull’ecosistema terrestre, un laboratorio con dimostrazioni sulle proprietà della ra-

diazione elettromagnetica con semplici strumentazioni utilizzabili anche in classe

e un laboratorio con dimostrazione di sorgenti luminose innovative quali i LED.

Inoltre è stata realizzata, fuori dal programma scientifico, un'affascinante conver-

sazione serale “Sul mito della caverna” di Platone. Il programma scientifico, di

elevato livello qualitativo, è stato particolarmente apprezzato per la competenza

dimostrata da tutti i relatori, ma anche per la loro disponibilità a confrontarsi sulle

ricadute didattiche delle diverse tematiche di ricerca nonché per l'evidente entu-

siasmo con cui hanno partecipato alla Scuola.

Il quadro complessivo dei contributi ha consentito di evidenziare gli aspetti più

importanti legati allo sfruttamento dell’energia solare, dalle applicazioni tecnolo-

giche più innovative, alla delucidazione dei meccanismi naturali indotti dalla ra-

diazione, fino agli aspetti di carattere economico e sociale legati allo sfruttamento

di tale risorsa. Inoltre, la provenienza multidisciplinare dei relatori ha consentito

efficacemente di mettere in luce punti di vista diversi nello studio della stessa te-

matica.

Siamo grati al Distretto Tecnologico Sicilia Micro e Nano Sistemi nelle perso-

ne Dr. Corrado Spinella, Presidente, e dell'Ing. Filippo D'Arpa, Amministratore

Delegato, per il supporto e per la condivisione della filosofia di SPAIS

nell’ambito di un accordo di collaborazione triennale.

Si ringraziano l’Ufficio Scolastico Regionale per la Sicilia, le Università di Ca-

tania, Messina e Palermo e il Piano Lauree Scientifiche, aree Chimica e Fisica

delle stesse sedi, per il continuo supporto. Si ringrazia la Zanichelli Editore s.p.a.

agenzia Cannata srl di Siracusa e la Casio per avere messo a disposizione materia-

le di supporto e strumentazione didattica.

La presente edizione della Scuola è parte del progetto PRIN (Progetti di Ricer-

ca di Interesse Nazionale) 2010-11 dal titolo "Tecnolo-

gie supramolecolari integrate per il trattamento dell'informazione chimica: dispo-

sitivi e materiali molecolari avanzati (Infochem)" di cui si ringrazia il supporto.

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Floriano & Caronia – Nanodispositivi e macchine molecolari ... 3

Un particolare ringraziamento è rivolto alla Prof.ssa Carmela Fronte, Dirigente

Scolastico dell’I.S.S.S. "O.M. Corbino" di Siracusa, per avere messo a disposi-

zione i locali dell’Istituto per la corrente edizione di SPAIS ed al personale docen-

te, tecnico e ausiliare per la collaborazione. Infine, siamo grati a quei Relatori che

hanno consentito di rendere permanente il proprio contributo con la realizzazione

di questi Atti.

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Solare 3.0: l’energia del sole ecosostenibile con

i colori della natura e le nanotecnologie.

Giuseppe Calogero*

CNR-IPCF, Istituto per i Processi Chimico-Fisici, Via F. Stagno

D’Alcontres 37,98158 Messina, Italy.

*Corresponding author email: [email protected]

Riassunto. Nel lavoro verranno descritti i metodi di preparazio-

ne ed i processi di fabbricazione di dispositivi fotovoltaici di ter-

za generazione a base di coloranti naturali. Tra i vegetali che si

possono utilizzare per estrarre pigmenti naturali si annoverano il

fico d’india, l’arancia moro, l’uva, le more, il gelso, la melanza-

na, il radicchio ecc.., tutti abbondanti nel territorio siciliano, privi

di tossicità, biodegradabili, non inquinanti e facilmente reperibili.

Le celle solari descritte, conosciute come celle solari di Grätzel,

sfruttano la capacità di assorbire la luce visibile che possiedono

alcune molecole organiche presenti in natura come le “antociani-

ne”, e/o betalaine, clorofilla, carotenoidi, ecc.., per catturare

l’energia solare e convertirla in elettricità. Per una migliore com-

prensione verranno mostrati e descritti tutti i componenti neces-

sari per la preparazione dei materiali che compongono il disposi-

tivo fotovoltaico finale. Inoltre verrà spiegato il processo chimico

–fisico che sta alla base del funzionamento delle celle di Gratzel.

Verrà illustrata anche l’opportunità di sfruttare coloranti vegetali

provenienti da scarti alimentari vegetali insieme con l’impiego di

nanomateriali tecnologici altamente innovativi, come ad esempio

il grafene e suoi precursori come la grafite. Verrà mostrata

l’interdisciplinarietà dell’argomento trattato che è capace di su-

scitare interesse ed entusiasmo combinando insieme tra loro varie

discipline quali la biologia, la chimica, la fisica, la fotochimica,

l’architettura, l’elettronica, la matematica,la tecnologia, la nano-

tecnologia, l’agricoltura, l’informatica, il computazionale ecc..

Questo lavoro dal punto di vista didattico e divulgativo può dare

spunto a molti approfondimenti delle varie discipline coinvolte

nella tematica sia a livello scolastico che accademico.

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1. Introduzione

Come è noto l’energia viene definita come la capacità di compiere lavoro, tuttavia

esistono altri modi per definirla: alcuni di questi furono introdotti dalla meccanica

quantistica e dalla teoria della relatività speciale con il contributo di un giovane

scienziato tedesco (A. Einstein, 1879-1955). Egli insieme con altri scienziati

dell’epoca (M. Planck 1958-1947) aiutò a comprendere che sia la luce ( E = h )

che la materia ( E = m c2 ) non sono altro che forme di energia che si manifesta in

modo diverso nello spazio-tempo, dove rispettivamente h è la costante di Planck e

c il valore della velocità della luce nel vuoto. Noi forse non ci rendiamo conto

quanto è importante per noi l’energia ed in particolare quella solare. Il fatto è che

l’energia ci circonda, essa è ovunque, e non ne possiamo fare a meno. Basti ricor-

dare che la sola energia contenuta nella luce UV-visibile insieme con l’energia e-

lettrostatica dei fulmini ha permesso la nascita e lo sviluppo della vita sulla terra

partendo dal brodo primordiale [1] ed in seguito attraverso la fotosintesi clorofil-

liana abbia favorito la formazione dell’attuale atmosfera terrestre, che ci consente

di respirare. La Terra riceve dal sole in un ora la quantità di energia che l’umanità

consuma in un intero anno solare. Parte di quest’energia viene riflessa direttamen-

te, parte viene assorbita dagli oceani e dall’atmosfera contribuendo ai venti ed alle

correnti, parte viene assorbita dal terreno e poi in parte riflessa, una piccola quan-

tità serve per la fotosintesi. Dall’energia solare dipende quindi quasi tutta

l’energia che è presente sul nostro pianeta ( ad esclusione dei fenomeni geotermi-

ci, di quelli nucleari e quelli dovuti alla forza di gravità ed ai moti lunari, ecc..).

La potenza emessa dal Sole si calcola dalla famosa equazione di Stefan-Boltzman

P= T4 dove è la costante di Stefan-Boltzman e T è la temperatura superficiale

della nostra stella. Ma come si calcola la quantità di energia solare che arriva sulla

Terra? Semplice, bisogna calcolare la costante solare della Terra: So che è il rap-

porto tra la Potenza totale emessa dal sole e l’area della sfera su cui orbita la Ter-

ra. So= P/ (4 r2) dove r è la distanza Terra-Sole. Ogni pianeta ha dunque la sua

costante solare, per la terra è circa 1370 W/m2, esso è un parametro fondamentale

per il calcolo della potenza solare incidente per unità di superficie in qualunque

punto della Terra. Considerando l’effetto dell’atmosfera essa si riduce a circa 947

W/m2, che diventano 1042 W/m

2 se si tiene anche conto della componente di luce

diffusa dall’atmosfera. La potenza incidente è però influenzata da un altro fattore

fondamentale: la declinazione del Sole, ossia l’angolo che forma con la verticale.

L’effetto della declinazione si manifesta in due modi. Innanzitutto, maggiore la

declinazione, maggiore lo spessore dello strato di aria attraversato dalla luce pri-

ma di giungere a terra. Questo effetto si schematizza con un parametro denomina-

to Air Mass (AM), che quantifica questo spessore in numero di atmosfere equiva-

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lenti. Lo spettro solare AM 0 è quello che si ha al di fuori dell’atmosfera, lo spet-

tro AM 1 quello per il Sole allo zenith. In tutte le altre situazioni si trova: AM =

1/cos dove è l’angolo di declinazione (es. AM 1.5 è 48.2°). L’intensità di

luce alla superficie, su un pianoperpendicolare alla direzione dei raggi del Sole,

dipende quindi dall’angolo di declinazione (Fig.1):

Figura 1. Schema di come varia l’angolo di declinazione rispetto allo Zenith.

Questa è la potenza solare incidente diretta? Per tenere conto dell’effetto della ra-

diazione diffusa nell’atmosfera bisogna maggiorare questo valore del 10%. Se poi

vogliamo considerare un valore della potenza incidente sulla superficie orizzonta-

le, bisogna considerare l’effetto puramente geometrico della declinazione del So-

le, moltiplicando ulteriormente il valore ottenuto per il coseno dell’angolo

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Figura 2. Le dimensioni del nanomondo.

Per esempio con una stazione meteo collocata sul tetto dell’istituto dei Processi

Chimico Fisici del CNR ho stimato che sulla nostra isola piovono circa 5475,288

MJ/m2 annuo cioè circa 15 MJ/m

2 al giorno. Per sfruttare questa manna solare è

indispensabile utilizzare delle nuove tecnologie, in grado di convertire efficace-

mente i raggi del sole in energia elettrica. Ma non bastano le comuni tecnologie,

servono tecnologie più avanzate, quelle che oggi si stanno afferendo in moltissimi

campi: le nanotecnologie. Ma cosa sono le nanotecnologie? Cominciamo dal pre-

fisso nano (10-9

), indica che questa tecnologia riguarda oggetti di dimensioni pic-

colissime mille volte più piccoli dell’occhio di una zanzara , il nanometro (nm)

appunto. Per prendere confidenza con le nanotecnologie e il nanomondo è utile ri-

cordare che lo spessore di un capello e di circa 75000 nm , mentre l’E. Coli ha le

dimensioni di circa 2000 nm, il diffusissimo processore i7 ( Intel) ha dimensioni

dell’ordine dei 45 nm, il DNA ha solo 2 nm di diametro, il grafene ha uno spesso-

re di soli 0.3 nm mentre il piccolissimo atomo d’idrogeno ha un diametro di circa

0.1 nm (Fig. 2). Ripercorrendo all’indietro un po’ la storia dello sviluppo tecnolo-

gico ci accorgiamo che la possibilità di sfruttare lo spazio del mondo microscopi-

co che esiste intorno a noi nasce nel 1959. Infatti proprio in quell’anno al Caltech,

Richard Feynman in un ormai famosissimo discorso dal titolo “ C’è un sacco di

spazio là in fondo”, considerava la possibilità di una diretta manipolazione di sin-

goli atomi come una forma più rilevante di chimica sintetica rispetto a quelle in

uso ai suoi tempi. Da questa visione alcuni anni dopo nel 1974 Norio Taniguchi in

un articolo dava la definizione di nanotecnologia e per la prima volta usava questo

termine [2]. Nel 1981 Heinrich Roher & Gerd Binnig con un famoso esperimento

dimostrarono che era possibile manipolare gli atomi e costruire oggetti piccolis-

simi, nasce il Microscopio a scansione con effetto tunnel [3]. Il nanomondo pre-

senta proprietà bizzarre dovute alle piccolissime dimensioni degli oggetti, per e-

sempio le particelle metalliche mostrano proprietà ottiche che sono dipendenti

dalle loro dimensioni. Tornando alla nostra domanda dunque : la nanotecnologia è

un ramo della scienza applicata e della tecnologia che si occupa della progettazio-

ne e realizzazione di oggetti di dimensioni non superiori ad un micrometro. Per

realizzare nano strutture si possono avere due approcci dall’alto (top down) o dal

basso (bottom up) (Fig. 3).

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Figura 3. Costruire nanostrutture : top-down e bottom-up.

Nel primo caso si scavano gli oggetti con acidi o fasci di particelle cariche e si

scolpiscono le nano strutture, nel secondo caso si assemblano uno ad uno i singoli

componenti fino ad ottenere un assemblato che è la nano struttura.

2. Celle solari di terza generazione ibrido organiche : costruzione e principi

di funzionamento

Per catturare la luce del sole occorre che la luce e la materia interagiscano.

Dalla loro interazione possono scaturire fenomeni come la visione o la conversio-

ne di energia luminosa in elettrica.

Se consideriamo una specie chimica A (Fig.4) essa può interagire con la luce

assorbendola e portandosi in uno stato eccitato A* che può disattivarsi in diversi

modi.

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Figura 4. Destino di uno stato eccitato.

Uno di questo comporta la cessione di una carica elettrica negativa ad un'altra

molecola o composto (Q) , avremo quindi A* + Q A+ + Q

- .

Questo cammino di disattivazione è sfruttato nelle celle solari di terza genera-

zione comunemente note anche come celle di Gratzel ( dal nome del suo invento-

re). Come è composta una cella solare di terza generazione ibrida organica? La

prima descrizione di una cella di Grätzel, o DSSC basata su nano cristalli di TiO2

si trova in una pubblicazione del 1991 [4].

La cella solare a sensibilizzatore (come illustrata nello schema di Fig.5) è co-

stituita da tre principali componenti: il fotoanodo, l’elettrolita e il contro-

elettrodo.

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Figura 5. Schema di una cella solare di Gratzel vista in sezione trasversale.

L’insieme dei componenti è assemblato e tenuto insieme da sigillanti come po-

limeri e/o resine o prodotti ceramici. Il fotoanodo generalmente è costituito a sua

volta da un supporto rigido o flessibile trasparente (vetro o plastica) reso opportu-

namente conduttore mediante deposizione di un film sottile di un ossido traspa-

rente come SnO2:F (FTO), o In2O3:SnO2 (ITO); su questo supporto viene deposi-

tato un film di nanoparticelle di biossido di titanio (anatasio) sul quale viene fatto

assorbire il colorante sensibilizzatore. L’elettrolita è preparato sciogliendo un sale

di ioduro insieme a dello iodio in solventi poco volatili che possono essere mesco-

lati con altri materiali come i liquidi ionici o con materiali polimerici per fare dei

gel elettrolitici. Il contro-elettrodo più comune o catodo comunemente più impie-

gato è a base di platino [5] o carbonio [6,7]. La sigillatura della cella viene fatta

grazie ad una guarnizione di materiale plastico (Surlyn®) comunemente utilizzato

nell’industria della conservazione degli alimenti.

Il funzionamento è il seguente: l’energia solare è assorbita dal colorante (sen-

sibilizzatore) che eccitandone gli elettroni li mette in movimento verso le nano-

particelle e da queste la spinta energetica è sufficiente per giungere fino al vetro

conduttore e quindi al filo elettrico ad esso collegato. Quasi contemporaneamente

l’elettrolita, costituito come già detto dalla coppia iodio-ioduro (I2/I-), riattiva il

colorante restituendogli gli elettroni persi ed assicura il trasporto di carica mi-

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Calogero - Solare 3.0: l'energia del sole ecosostenibile ... 11

grando verso il contro-elettrodo di Platino dove trova gli elettroni persi dal colo-

rante che erano fluiti nel filo elettrico esterno chiudendo il circuito.

Il funzionamento della cella si può descrivere dettagliatamente in cinque pro-

cessi:

1) il colorante (S) adsorbito sull’anodo assorbe un fotone, e un elettrone vie-

ne promosso dall’HOMO (High Occupied Molecular Orbital) al LUMO (Low

Unoccupied Molecular Orbital); la sua energia passa da EHOMO a ELUMO

2) l’elettrone viene iniettato nella banda di conduzione del semiconduttore

(ECB), che si trova ad un’energia più bassa; passa così da ELUMO a ECB

3) dal semiconduttore passa al vetro conduttore e dopo aver attraversato il

circuito esterno, ed alimentato un eventuale carico, l’elettrone arriva al catodo con

un’energia più bassa, Ecat.

4) Grazie all’azione catalizzatrice di quest’ultimo esso può andare a ridurre

lo ione ossidato della coppia redox. Il salto di potenziale in questo caso è da Ecat

ad Eredox

5) lo ione diffonde attraverso il solvente fino a raggiungere l’anodo; e qui

cede l’elettrone al colorante ossidato, che è quindi pronto a ricominciare un nuovo

processo.

Il ciclo si chiude senza che il sistema abbia subito modifiche permanenti. In li-

nea teorica, come si può vedere, questo ciclo è perfettamente reversibile e funzio-

na grazie all’energia solare. La tensione massima disponibile ai capi della cella

(Voc) dipende dalla differenza di potenziale tra la banda di valenza del semicon-

duttore (Ecb) e il potenziale di riduzione della coppia redox impiegata (Eredox). Per

quanto riguarda l’iniezione elettronica, si deve tener conto del fatto che il percor-

so che si vuole far compiere all’elettrone è solo uno dei molti possibili. In effetti,

può verificarsi anche uno qualunque dei seguenti processi alternativi che influi-

scono negativamente sul funzionamento della cella:

1b) Disattivazione: l’elettrone, una volta eccitato, ricade nel suo stato fonda-

mentale senza essere iniettato nel semiconduttore. Può essere radiativa, se accom-

pagnata da emissione di un fotone, o non radiativa, se l’energia viene invece libe-

rata sotto forma di energia termica.

2b) Retro‐iniezione: l’elettrone, dopo essere stato iniettato nel semiconduttore,

torna a combinarsi con una molecola di colorante ossidata.

3b) Ricombinazione: l’elettrone nella banda di conduzione del semiconduttore

riduce uno ione ossidato della coppia redox presente nell’elettrolita; ad esempio,

se la coppia impiegata è I2/I‐, riduce una molecola di iodio. Come si è già detto,

l’elemento fondamentale che consente ad un materiale semiconduttore ad ampio

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12 Calogero - Solare 3.0: l'energia del sole ecosostenibile ...

gap come l’ossido di titanio di assorbire luce visibile è il sensibilizzante, o colo-

rante. Fin dall’inizio dello studio delle DSSC l’attenzione dei ricercatori, incluso

lo stesso Grätzel, è stata concentrata soprattutto sull’impiego e lo sviluppo dei co-

loranti dalle migliori proprietà. Questi si sono rivelati essere soprattutto alcuni

complessi organometallici del rutenio, un metallo nobile ed estremamente raro, al

punto che si stima ne esistano solo 5000 tonnellate su tutta la Terra.

I primi coloranti impiegati nelle DSSC sono stati composti di derivazione sin-

tetica, in particolare complessi organometallici del Rutenio [8,9] (dal latino “Ru-

thenia”, ovvero Russia, luogo dove venne inizialmente scoperto). Appartenente al

gruppo VIIIB, periodo 5, della tavola periodica, il Rutenio è un metallo duro,

bianco-argentato e puro; risulta estremamente difficile da lavorare, essendo carat-

terizzato da un’ottima resistenza: non reagisce, infatti, con aria, acqua ed alcuni

acidi come nitrico e cloridrico; tuttavia si scioglie se trattato con acqua regia, ipo-

cloriti alcalini, soluzioni concentrate di perossidi o idrato di sodio. La sua sensibi-

lità all’ossidazione aumenta all’aumentare della temperatura, nonostante rimanga

duro e fragile anche oltre i 1500° C. Gli stati di ossidazione più comuni tra gli otto

che può avere sono: +2, +3 e +4 ed in particolare il primo è lo stato di ossidazione

che troviamo nei complessi di Rutenio utilizzati per la realizzazione delle celle ti-

po Grätzel. I coloranti capaci di fornire le migliori prestazioni sono il cis‐bis (iso-

tiocianato) bis(2,2’‐bipiridil‐4,4’‐dicarbossilato) ‐ rutenio (II) bis-

tetrabutilammonio, nome commerciale N719, il cis‐bis (isotiocianato)

bis(2,2’‐bipiridil‐ 4,4’‐dicarbossilato) ‐rutenio (II), nome commerciale N3, e il tris

(isotiocianato) ‐rutenio(II) ‐ 2,2’:6’, 2”‐terpiridine ‐ 4,4’,4”‐acido tricarbossilico

tris‐tetrabutilammonio, nome commerciale Black Dye. Questi coloranti, però, al

di là delle loro innegabili qualità che consentono rese di conversione di energia

solare in elettricità elevate, presentano due grossi svantaggi: il primo è il prezzo

molto alto, dovuto alla rarità del rutenio e soprattutto alla complessità della sintesi

di queste molecole; il secondo svantaggio è la tossicità del rutenio. Questo pone

un problema relativo alla preparazione e allo smaltimento delle celle giunte a fine

vita, che può diventare complesso e costoso. Una risposta alternativa ci viene

dall’osservazione della natura. Come abbiamo detto all’inizio esiste un processo

chimico che ha molti punti in comune con quello che garantisce il funzionamento

delle celle di Grätzel, ed è la fotosintesi clorofilliana. Grazie ad essa le piante ver-

di convertono continuamente anidride carbonica e acqua in ossigeno e sostanze

nutritive, quali il glucosio, grazie all’assorbimento di luce solare, con

un’efficienza di circa il 2%, con casi limite (canna da zucchero) che raggiungono

l’8%. La clorofilla, la molecola che catalizza questo processo assorbendo la luce,

ha una struttura simile a quella dei coloranti visti in precedenza, e opera in modo

analogo. E non solo: diverse altre molecole, presenti in fiori, foglie e frutti di mol-

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Calogero - Solare 3.0: l'energia del sole ecosostenibile ... 13

ti vegetali e responsabili dei loro colori più vivaci, hanno proprietà simili. Si tratta

principalmente delle antocianine, molecole appartenenti al genere dei flavonoidi

che conferiscono il colore rosso a molti frutti e fiori, così come quello gial-

lo‐aranciato alle foglie secche, e delle betalaine, presenti ad esempio nel fico

d’india, le cui tonalità virano dal violetto al rosso e al giallo. L’impiego di colo-

ranti naturali basati su antocianine e betalaine, pur esibendo basse efficienze di

conversione di energia solare in energia elettrica, presenta innegabili vantaggi e-

cologici ed economici. In una cella di Grätzel il colorante svolge la fondamentale

funzione di sensibilizzare il semiconduttore, consentendogli di interagire con una

porzione di spettro solare più ampia. Esso si lega allo strato di semiconduttore

mediante un processo di adsorbimento che avviene grazie all’immersione diretta

dell’elettrodo nella miscela colorata, sfruttando l’effetto chelante, l’effetto di

complessazione semplice o self-assembly molecolare. Affinché sia possibile la

formazione del legame fra TiO2 e colorante, è necessario, però, che quest’ultimo

sia dotato di alcuni requisiti fondamentali. In primo luogo, occorre che in esso

siano presenti dei gruppi funzionali capaci di formare legami chimici con il semi-

conduttore. I principali gruppi che svolgono questa funzione sono gli ossidrilici

ed i carbossilici, non troppo stericamente ingombrati, capaci di legarsi al Ti4+

po-

sto nei siti superficiali del film, formando nuovi legami Ti-O. E’ fondamentale

l’utilizzo di nano particelle del semiconduttore, infatti quando la dimensione delle

nanoparticelle TiO2 diventa minore di 20 nm, la superficie degli atomi di Ti cam-

bia la struttura di coordinazione da ottaedrica a tetragonale con forma piramidale

ed il Ti diventa penta coordinate, con la conseguente deformazione lunghezza di

legame Ti- O a seconda della curvatura nanoparticelle . In questa nuova geometria

strutturale a piramide a base quadrata, le piccolissime particelle di TiO2 espongo-

no in superficie un gran numero di sotto-coordinati "difetti angolari " ( atomi di

Ti ai quali manca un ossigeno), che sono la fonte di nuovi siti ai quali si possono

attaccare i gruppi funzionali dei coloranti formando legami più forti e stabili.

Altri elementi determinanti sono l’ampiezza e la posizione del gap di energia

tra HOMO e LUMO del colorante: da essi dipende non solo l’energia minima dei

fotoni assorbiti, fondamentale per l’efficienza di conversione dello spettro solare,

ma anche il dislivello energetico tra il potenziale della coppia redox e lo stato

fondamentale del colorante, dislivello che costituisce la “driving force” per il pro-

cesso di rigenerazione del colorante stesso, che deve essere il più veloce possibile

per evitare la retro-iniezione e la ricombinazione degli elettroni. In generale la

condizione fondamentale nella scelta del colorante è la capacità dello stesso di ef-

fettuare un totale assorbimento nel visibile e almeno parziale nell’infrarosso e

nell’ultravioletto. Queste richieste vengono soddisfatte da una vasta gamma di so-

stanze sia di origine naturale (es. clorofilla, antocianine, betalaine), sia di deriva-

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14 Calogero - Solare 3.0: l'energia del sole ecosostenibile ...

zione sintetica (complessi del rutenio) che biomimetici (Clorofilline [10], Sali di

flavilio [11]). In particolare l’attenzione è rivolta a composti che assorbano nella

regione spettrale estesa dal blu al verde. Ci si può spiegare così la ragione per la

quale la scelta dei coloranti venga rivolta preferenzialmente verso sostanze rosse

o viola, quali antocianine, betanine e complessi di Ru(II). Tra tutti i coloranti con-

tenenti complessi organometallici di Ru(II), approfonditamente studiati a partire

dagli anni ’70, quelli che hanno fornito i migliori risultati, sono stati: N719, N3 e

Black Dye, precedentemente descritti. Il risultato più significativo raggiunto con i

composti di Rutenio è stato un valore di efficienza di conversione del 11.8% [12].

La presenza in questi composti dei gruppi carbossilici (sostituenti sugli anelli pi-

ridinici), li rende la scelta ottimale come coloranti nei dispositivi DSC:

l’adsorbimento sul semiconduttore avviene tramite cessione di un protone da parte

del carbossile al TiO2. Inoltre, la distribuzione degli orbitali di frontiera gioca un

ruolo fondamentale riguardo l’adempimento della funzione fotosensibilizzatrice.

Poiché l’HOMO coincide con uno degli orbitali d del metallo ed il LUMO è loca-

lizzato sugli anelli piridinici recanti i carbossili, la velocità del processo di disatti-

vazione subisce un abbassamento, a vantaggio dell’iniezione elettronica. Infatti, le

transizioni MLCT (Metal to Ligand Charge Transfer) [13] a cui va incontro que-

sto tipo di molecole a seguito dell’irradiazione, portando l’elettrone eccitato verso

il legante, ne favoriscono l’iniezione nel semiconduttore. Nonostante tali coloranti

abbiano determinato buone prestazioni, il loro impiego comporta degli svantaggi

a causa dei loro elevati costi nonché della rarità del rutenio [14,15].

3. Uso coloranti naturali come sensibilizzatori

Una delle sfide raccolte dai ricercatori di tutto il mondo per sviluppare le poten-

zialità della tecnologia delle celle DSSC e le sue caratteristiche di economicità,

disponibilità dei materiali e, soprattutto, di eco-compatibilità, riguarda lo studio di

fotosensibilizzatori di origine naturale, generalmente estratti da frutti e foglie

(Fig.6). Si possono estrarre sensibilizzatori anche da alghe marine ricche di cloro-

filla c [16]. Il loro uso come colorante sensibilizzatore per celle DSSC può rap-

presentare una valida ed interessante soluzione alternativa per la produzione di

celle a costo ancor più contenuto. I pigmenti naturali presenti negli alimenti pre-

sentano strutture complesse più differenziate [Errore. Il segnalibro non è defini-

to.].

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Calogero - Solare 3.0: l'energia del sole ecosostenibile ... 15

Figura 6. Pigmenti naturali di origine vegetale.

Fra i pigmenti naturali si distinguono:

1) Flavonoidi;

2) Betalaine;

3) Carotenoidi;

4) Tannini;

5) Clorofille;

6) Altri pigmenti (chinoni, curcumina ecc.).

Tra i vari coloranti naturali, quelli utilizzati con successo per le DSC senza alcuna

purificazione appartengono principalmente a due grandi categorie: antocianine e

betalaine.

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16 Calogero - Solare 3.0: l'energia del sole ecosostenibile ...

Figura 7. Formula struttura generale delle antocianidine nella forma di catione flavilio dove Rn ( n=1-7) possono essere gruppi OH o H.

Gli antociani o antocianine, (dal greco anthos = fiore, kyáneos = blu), sono una

classe di pigmenti, presenti in quasi tutte le piante superiori ed in molti frutti e

fiori, cui danno colorazioni rosse, blu o violette. La produzione e la quantità di

questi pigmenti dipendono dal tipo di pianta e da altre condizioni esterne quali la

natura del suolo, la temperatura e la luce. Alimenti ricchi di queste sostanze sono

il ribes, la ciliegia, il cavolo rosso, l'uva, la fragola, il sambuco, le bacche e le a-

rance rosse. Questi pigmenti idrosolubili appartengono alla famiglia dei flavonoi-

di, composti polifenolici a 15 atomi di carbonio: 2 anelli benzenici uniti da una

catena lineare a 3 atomi di carbonio. Una delle classi principali di flavonoidi è co-

stituita dalle antocianidine, che rappresentano la forma aglicona delle suddette an-

tocianine, costituite, infatti, da antocianidine combinate con molecole glucidiche

(ad es. glucosio, galattosio, ramnosio, genziobiosio). Le antocianidine presentano

una struttura di base composta da una molecola di benzene fusa con un anello pi-

ranico (anello eterociclico contenente ossigeno), a sua volta sostituito con un

gruppo fenilico: questa complessa molecola, che rappresenta la struttura di base di

tutte le antocianine, prende il nome di catione flavilio, ed è stabilizzata per riso-

nanza come si osserva in Fig. 7.

Le antocianine, essendo acidi deboli le cui forme dissociate ed indissociate

hanno diverso colore, possono essere usate come indicatori di pH, virando dal

rosso al violetto o al blu con l’aumentare dell’alcalinità dell’ambiente. Per com-

prendere in che modo l’acidità incida sul colore è importante considerare le modi-

fiche prodotte sulla struttura del colorante, ed in particolare sul sistema di doppi

legami coniugati. All’aumentare del pH, per le antocianine si osserva il viraggio

dal rosso al blu, passando per uno stadio intermedio che caratterizzato da una co-

lorazione viola. Responsabile di tale variazione cromatica è la deprotonazione di

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Calogero - Solare 3.0: l'energia del sole ecosostenibile ... 17

due gruppi ossidrili, che comporta la rottura di un doppio legame del catione fla-

vilio (cromoforo) e la formazione della struttura chinoidale. La ragione del virag-

gio può essere spiegata considerando che, al diminuire della coniugazione presen-

te nel sistema, diminuisce l’energia necessaria per la formazione dello stato

eccitato. Risulta quindi evidente l’importanza del pH nel modulare l’energia as-

sorbita da questi coloranti naturali: infatti, in ambiente alcalino, in seguito

all’abbassamento della coniugazione, si osserva un aumento dell’energia di ecci-

tazione e lo spostamento dell’assorbimento verso l’UV; in ambiente acido invece,

per via del ripristino dei doppi legami e dell’abbassamento dell’energia di eccita-

zione, l’assorbimento si evidenzia nel visibile. L’assorbimento di questi pigmenti

naturali può, inoltre, dipendere dalla presenza di ioni metallici (come alluminio,

ferro, stagno o titanio), con i quali possano dar luogo alla formazione di comples-

si. Un esempio di tale comportamento si evidenzia per il complesso antocianina-

TiO2 che, caratterizzato prevalentemente dalla forma chinoidale del legante, as-

sorbe a valori più alti di energia rispetto alla sola antocianina. L’adsorbimento e la

conseguente formazione del complesso si ottiene a seguito di una rapida conden-

sazione fra il gruppo ossidrilico dell’antocianina in posizione 4’ e quello legato al

titanio sulla superficie dell’ossido semiconduttore, processo favorito dall’effetto

chelante esercitato dai due ossidrili del colorante rivolti verso il Ti4+

. Per com-

prendere il processo di iniezione si considerano gli orbitali di frontiera

dell’antocianina: la densità elettronica del LUMO è posizionata vicino al gruppo

carbonilico che consente il legame con il titanio, invece l’HOMO è localizzato

all’estremità opposta, in una configurazione favorevole all’iniezione degli elettro-

ni dal LUMO del dye, appunto, alla banda di conduzione del TiO2. Di contro, la

presenza di più siti capaci di legare chimicamente il TiO2 ma non posizionati nella

regione occupata dall’orbitale LUMO, comporta un decremento dell’efficienza

del meccanismo di iniezione. Al fine di limitare il più possibile tale inconvenien-

te, si predilige l’uso di coloranti dotati di una struttura che minimizzi la capacità

legante dei gruppi ‘’interferenti’’, mediante sostituenti ad elevato ingombro steri-

co situati ad hoc.

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18 Calogero - Solare 3.0: l'energia del sole ecosostenibile ...

Figura 8. Formula struttura generale delle betalaine.

Le piante appartenenti all’ordine Centrospermae (famiglie: Amarantaceae,

Aizoaeae, Basellaceae, Chenopodiaceae, Cactaceae, Didieraceae, Nyctaginaceae,

Phytolaccaceae, Portulacaceae e Stegnospermaceae) producono pigmenti azotati

idrosolubili rossi e gialli chiamati rispettivamente betaciani e betaxantine (il ter-

mine betalaine indica collettivamente entrambi i tipi). Le betalaine sono idrosolu-

bili e sono localizzati nei vacuoli cellulari. L’unità betalamica è legata ad un ami-

noacido proteico nelle betaxantine, mentre nei betaciani essa è legata all’acido

5,6‐diidrossi‐2,3‐diidroindol ‐2‐carbossilico (cyclodopa), dando così origine alla

betanidina. Il Fico d’india e molte varietà ad esso riconducibili sono ricchissime

di betalaine. Le betalaine si divididono in betaxantine e betanine (Fig. 8) le prime

assorbono principalmente nella regione blu del visibile mentre le seconde nella

regione rossa, entrambe hanno un alto coefficiente di estinzione molare [17].

I vantaggi dei pannelli biologici con le arance rosse, le melanzane, il fico

d’india e la rapa rispetto al fotovoltaico inorganico tradizionale sono:

basso costo sia energetico che finanziario.

funzionamento anche in condizioni di scarsa illuminazione per appli-

cazioni dentro le mura domestiche.

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Calogero - Solare 3.0: l'energia del sole ecosostenibile ... 19

possibilità utilizzare più coloranti aumentando la sensibilità del film

dove il silicio non è sensibile.

costi d’istallazione trascurabili.

integrazione architettonica e bellezza artistica ( possibilità di arredare

vetri a mosaico, facciate di palazzi.

basso impatto ambientale (si impiegano quasi esclusivamente materiali

di uso comune e non tossici : vetro, ossido di stagno, biossido di Tita-

nio, carbonio e suoi derivati, acqua, coloranti naturali, ioduro, ecc..

Riciclabilità dei materiali impiegati.

Sensibilizzatore Jsc (mA/cm2)

Voc

(mV) FF %

Opuntia vulgaris 7.854 382 0.62 1.87

Rubus ulmifolius 5.849 320 0.57 1.07

Citrus sinensis 5.133 329 0.59 1.01

Morus alba 4.455 340.75 0.64 0.99

Cichorium intybus 5.054 322 0.55 0.90

Solanum melongena 3.479 346.37 0.533 0.64

Vitis vinifera 3.058 333.39 0.56 0.57

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20 Calogero - Solare 3.0: l'energia del sole ecosostenibile ...

I dati riportati in Tab. I hanno mostrato valori di densità di corrente e di tensio-

ne molto alti per le betalaine, che a mio avviso risultano essere tra i migliori sen-

sibilizzatori naturali di origine vegetale [18].

4. Conclusioni

I “chip biologici” o pannelli solari naturali qui presentati mostrano alcuni

svantaggi come scarso rendimento e modesta stabilità. Infatti, il rendimento ener-

getico di queste celle solari, cioè il rapporto tra potenza elettrica erogata dalla cel-

la e potenza solare ricevuta, è circa il 2% che è molto più basso rispetto sia ai tra-

dizionali pannelli solari al silicio che alle DSSC che impiegano coloranti

artificiali a base di rutenio. Per quanto riguarda la stabilità , anche se essi resisto-

no termicamente fino a circa 120°C prima di decomporsi (nel caso delle antocia-

nine acilate), le celle solari contenenti questi pigmenti soffrono delle stesse pro-

blematiche di quelli organici prodotti per via sintetica. Tuttavia, i naturali, sono

comunque promettenti sensibilizzatori in quanto tutti i processi che potrebbero

degradare il colorante naturale si trovano a competere con il processo di iniezione

di carica dell’elettrone nel semiconduttore (trasferimento elettronico), che avviene

in tempi molto più veloci (picosecondi), sono di fatto sfavoriti. Il problema prin-

cipale per l’utilizzo su larga scala di DSSC basate su coloranti naturali di origine

vegetale è la loro scarsa efficienza, tuttavia se si riuscisse a migliorare il trasporto

elettronico tra una nanoparticella e l’altra aumentando il tempo di vita

dell’elettrone all’interno del fotoanodo, si potrebbe realizzare quello che è il so-

gno di molti ricercatori che lavorano sulle fonti di energia rinnovabili. Per adesso

lo sfruttamento dei sensibilizzatori naturali è importante per scopi sia didattici che

divulgativi. Inoltre dal loro studio si possono ricavare utili informazioni per pro-

gettare nuovi coloranti simili ai naturali che abbiano le opportune proprietà sensi-

bilizzanti.

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Quaderni di Ricerca in Didattica (Science), n. speciale 10, 2016

22 Calogero - Solare 3.0: l'energia del sole ecosostenibile ...

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Le razze umane non esistono, lo dimostra…il

colore della pelle!

Fabio Caradonna

Dipartimento di Scienze e Tecnologie Biologiche Chimiche

e Farmaceutiche (STEBICEF) - Sezione di Biologia Cellu-

lare - Università di Palermo

E-mail: [email protected]

Sommario. Alcune manifestazioni fenotipiche della specie umana sono

tramandate di generazione in generazione secondo delle regole che ap-

parentemente non seguono le classiche leggi di Mendel: sono i caratteri

continui, un tipo particolare di ereditarietà in cui ha molta influenza

l’ambiente ed anche le sue interazioni con il genoma. Solo per questi ti-

pi particolari di caratteri è possibile definire due grandezze,

l’ereditabilità e la varianza, che danno una misura di quanta sia la com-

ponente genetica e di quanto quella ambientale nella loro definizione.

Studi di correlazione fra persone non imparentate e gemelli monozigoti

hanno dimostrato che il carattere continuo umano “creste digitali” ha un

alto valore di ereditabilità, cioè la loro ereditarietà è molto dipendente

dalle informazioni genetiche mentre l’ambiente influisce pochissimo. Al

contrario, invece, studi simili hanno anche dimostrato che il carattere

umano “colore della pelle” ha una bassa ereditabilità, cioè viene tra-

mandato con una bassa influenza dell’ereditarietà genetica ed una alta

influenza dell’ambiente ed in particolare della radiazione solare. Stessi

concetti valgono per altri caratteri distintivi delle varie popolazioni u-

mane, quasi tutti caratteri continui, come la facies, la grandezza delle

narici, delle rime palpebrali, della distanza interoculare, la forma degli

occhi ed altri. Se possiamo, fra viventi superiori, definire una razza co-

me un gruppo di individui che condivide una certa costanza di informa-

zioni genetiche possiamo anche affermare che, almeno per il carattere

colore della pelle, le razze nella specie umana non esistono. Ricordia-

mocelo, quando ne sentiamo parlare……”a sproposito”!

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24 Caradonna – Le razze umane non esistono ...

Nella specie umana, e non solo, caratteri come l’altezza, il peso ed altre condi-

zioni misurabili, sono ereditate secondo uno schema genetico che apparentemente

non segue le leggi di Mendel: sono i caratteri continui, così detti perché si manife-

stano con una gamma di fenotipi che copre in maniera continua, un range di va-

riazione. Forti sono infatti le differenze fra questi caratteri e quelli derivanti da

una ereditarietà strettamente mendeliana (chiamata qui, per differenza, disconti-

nua) in cui, al massimo delle eccezioni, si ammettono 3 fenotipi a causa di un ge-

notipo semplice (uno o al massimo 2 geni) e di un semplice rapporto genotipo-

fenotipo: dominanza, completa o incompleta, e recessività (Fig. 1).

Figura 1. Confronto fra distribuzione di fenotipi per caratteri mendeliani (discontinui, a

sinistra) e continui (a destra).

I svariati fenotipi in cui si presentano, invece, i caratteri continui, sono ordina-

bili in istogrammi di frequenza unendo i quali è possibile ottenere una curva

“gaussiana” con un punto di media, di mediana e di moda. Così li descrisse, stori-

camente, Johansen, il primo genetista che ai primi del 900 pubblicò una descri-

zione di questi caratteri pesando semi di fagiolo. La teoria poligenica, oggi asso-

data, dei caratteri continui sostiene che questi caratteri sono specificati da molti

geni, sicuramente più di 4, e che nella determinazione del fenotipo possono con-

correre altri fattori, interni ed esterni all’organismo che li porta: per questo questi

caratteri vengono anche chiamati multifattoriali. Se per un genotipo semplice a

due geni ci si aspetta di avere fino a 5 fenotipi, un carattere espresso da 4 geni ne

esprimerà 9: l’azione coordinata di parecchi diversi contributi allelici, formano, a

seconda della combinazione fra funzionali e non funzionali, una gamma continua

di svariati fenotipi poco differenti fra loro ma che nell’insieme coprono una vasta

variazione di quel carattere. Al pari di come in uno stadio l’azione coordinata di

vari tifosi può creare l’onda messicana, meglio nota come «OLA»: ripetendo più

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Caradonna – Le razze umane non esistono ... 25

volte l’OLA non potrà mai venire uguale ad una precedente: ne consegue una

gamma infinita di OLA (Fig. 2).

Figura 2. Il paragone fra i fenotipi associati a caratteri continui e l’onda messicana, detta

OLA, fatta da tifosi in uno stadio

Per questi caratteri, e solo per questi, è di interesse misurare come i vari fenoti-

pi si distribuiscono attorno a quello più frequente, cioè è interessante calcolare la

varianza, fenotipica o genotipica, con tutte le rispettive componenti, compresa

quella ambientale e di interazione genotipo-ambiente. L’ambiente, infatti, deter-

mina in maniera numericamente calcolabile il fenotipo di caratteri continui, agen-

do sia attraverso il genotipo, sia indipendentemente da questo evidenziando che in

questo caso, rispetto a quello mendeliano, sussiste un rapporto complesso fra ge-

notipo e fenotipo. Quanto “pesa” ogni singolo fattore nel determinare il fenotipo

finale? Per misurare questo rapporto si calcola l’ereditabilità che stabilisce, in fin

dei conti, quanto il fenotipo è determinato da fattori genetici e quanto da fattori

ambientali (Fig. 3).

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26 Caradonna – Le razze umane non esistono ...

Figura 3. l’Ereditabilità: variabile fondamentale e peculiare dei caratteri continui

Per poter meglio comprendere questi caratteri si potrebbe esprimere la Varian-

za fenotipica nelle sue componenti e simulare di porre come nulla qualcuna di es-

se. Se azzerassimo la varianza genotipica, come nel caso di gemelli monozigoti, la

varianza fenotipica è tutta a carico dell’ambiente; se azzerassimo la varianza am-

bientale quale quella di due piante da serra, allora un’eventuale varianza fenotipi-

ca è tutta a carico di differenze genetiche. Osservare come sono variati statura e

peso di ragazzi e ragazze italiani negli ultimi 80 anni dimostra come l’ambiente

(la guerra del 1945) ha determinato una diminuzione di questi 2 caratteri, pur non

variando alcun genotipo (Fig. 4).

Figura 4. L’ambiente influenza l’espressione dei caratteri continui. Per questo vengono

anche chiamati “multifattoriali”.

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Caradonna – Le razze umane non esistono ... 27

Stabilito che per i caratteri continui può essere determinata l’ereditabilità, pos-

siamo considerare alcuni esempi di caratteri di questo tipo nella specie umana: le

creste digitali (alta ereditabilità), colore degli occhi (media ereditabilità) e colore

della pelle (bassa ereditabilità). Il colore della pelle, dunque, ha molte influenze

ambientali e poche genetiche e, solo per questo, è già chiaro che suddividere il

genere umano in razze attraverso le differenze del colore della pelle non è scienti-

ficamente corretto. Inoltre, analizzando meglio il carattere si scopre che la produ-

zione della melanina è determinata da almeno 39 geni: in un sistema gaussiano di

fenotipi potrebbero essere predetti centinaia di fenotipi tutti poco diversi fra loro

ma che insieme coprono un ampio range di variazione di colore. In più, il sequen-

ziamento del genoma umano ha detto che le differenze genomiche fra i soggetti

con diverso colore della pelle sono infinitesime. Inoltre, studi di correlazione fra

parenti e non parenti hanno decretato che questo carattere non ha un andamento

molto ordinato. Infine, sorprendenti scoperte influenze ambientali, per questo ca-

rattere, hanno recentemente riportato che una dieta ricca di carotenoidi ha l’effetto

di variare in maniera significativa il colore della pelle di chi li consuma in manie-

ra regolare.

Se ne deduce che le razze nella specie umana non esistono.

Il carattere colore della pelle dà l’occasione di correlare evidenze scientifiche a

conclusioni etiche: è ampiamente noto, infatti, quanti e quali conseguenze si sono

avute per l’umanità quando una parte di questa ha deciso di considerare su base

valoriale la divisione in razze. Il consiglio è quello di amministrare scienza sem-

pre eticamente tenendo conto di ciò che è già successo (storia) e di quello che po-

trebbe accadere (prospettiva).

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Radiazione solare e variabilità genetica: cosa ci

regala il sole sulla spiaggia (oltre la tintarella)

Fabio Caradonna

Dipartimento di Scienze e Tecnologie Biologiche Chimiche e Far-

maceutiche (STEBICEF) - Sezione di Biologia Cellulare - Università

di Palermo

E-mail: [email protected]

Sommario. La radiazione solare ha una componente UV ed è ormai abba-

stanza noto che questi raggi, essendo radiazioni ionizzanti, procurano danni

al DNA. Più in particolare, l’energia conferita da queste radiazioni a due o

più basi azotate pirimidiniche adiacenti su una stessa emielica di DNA,

forma i “dimeri di pirimidina”, tipico addotto che renderebbe il DNA lo-

calmente illeggibile e non replicabile se non eliminato dai sistemi endogeni

di riparazione. Ma per fortuna, in una cellula umana ci sono molti complessi

enzimatici deputati alla rimozione dei dimeri di pirimidina e, considerando

che ogni enzima è sempre codificato da un gene e che per ogni gene, per va-

riabilità genetica, possono esistere tante varianti alleliche in una popolazio-

ne, ogni appartenente alla specie umana ha teoricamente una capacità diver-

sa di riparare questi danni: dalla più prestante alla meno efficiente, entro

certi ovvi limiti di compatibilità con la vita. Se si considera che non riparare

questi danni equivale a conferire alla cellula tagli al DNA con formazione di

estremità fusigeniche prone a produrre aberrazioni cromosomiche strutturali

ed in ultima analisi instabilità genomica e probabile trasformazione neopla-

stica, possiamo ben comprendere come questo fenomeno, spesso sottovalu-

tato da tutti noi, ci espone a grandi rischi, specialmente quando, ignari del

nostro genotipo specifico, cerchiamo in estate, a mare o in montagna, di

prendere più sole possibile. Come sapere di che genotipi specifici si è dota-

ti? Quali altri genotipi e fenotipi aiutano a ridurre o aumentare questo ri-

schio? Quali le forme di prevenzione e i limiti da non valicare? Parliamo-

ne……ma all’ombra, per sicurezza!

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Quaderni di Ricerca in Didattica (Science), n. speciale 10, 2016

Caradonna - Radiazione solare e variabilità ... 29

La radiazione luminosa che ci viene regalata dal sole spazia in varie lunghezze

d’onda: dall’infrarosso all’ultravioletto, passando, ovviamente, per il visibile. So-

no abbastanza noti gli effetti benefici di una vita in ambienti con illuminazione

naturale, quali quelli legati all’innesco di alcune reazioni metaboliche che avven-

gono nella pelle superficiale (sintesi della vitamina D, della serotonina, del corti-

solo) che regolano la crescita ossea, l’umore e i ritmi circadiani: queste reazioni

sono avviate soprattutto dalla componente UV che potrebbe risultare quindi bene-

fica. Vivere in ambienti angusti e non luminosi, infatti, è anche nell’immaginario

collettivo, legato al rachitismo, al cattivo umore ed, in generale, ad una vita non

salubre.

Ma la componente UV della radiazione solare è anche mutagena cioè procura

danni al DNA. Più in particolare, energizza l’anello pirimidinico delle timine e

delle pirimidine in genere, causando una dimerizzazione fra due pirimidine adia-

centi sulla stessa emielica di DNA.

Il prodotto finale è un “dimero di pirimidina” (DdP) (Fig. 1) una struttura mo-

lecolare che procura una distorsione nell’elica del DNA ma soprattutto, non aven-

do più la stessa proprietà di legame con la base complementare, risulta illeggibile

ad una qualunque polimerasi: è intuitivo che un dimero del genere, se presente in

un DNA in replicazione, può far bloccare la sintesi e creare pericolose estremità

libere di DNA.

Figura 1. Schema di formazione di un dimero di pirimidina dopo irradiazione UV di un

DNA.

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30 Caradonna - Radiazione solare e variabilità ... Del cittadino

La cellula eucariotica ha sviluppato una serie di meccanismi e strutture cellulari

per evitare di avere estremità libere di DNA: queste, infatti, nel disordine moleco-

lare di un nucleo in interfase, potrebbero pericolosamente trovarsi spazialmente

vicine ad altre non omologhe generando, dopo saldatura ad opera di ligasi, delle

traslocazioni cromosomiche o altre aberrazioni, anticamera della trasformazione

neoplastica della cellula. Ma l’evoluzione ha dotato, per fortuna, la cellula euca-

riote, e quella umana in particolare, di efficienti geni check-control e di riparazio-

ne del DNA. I primi, innescati da proteine “sensori” di danni al DNA codificano

prodotti proteici che regolano negativamente il ciclo cellulare per non far replica-

re il DNA ed evitare maggiori problemi; nel frattempo i geni riparatori codificano

enzimi deputati a risolvere quanto cagionato dalla luce UV: un sistema, in certe

condizioni, quasi infallibile. I batteri, dotati di DNA “nudo”, possiedono geni per

l’enzima fotoliasi; questo, assorbendo un quanto di luce, è in grado di scindere il

DdP e risolvere facilmente il problema creatosi.

Gli eucarioti, che invece possiedono DNA complessato a proteine (la cromati-

na) non possono risolvere così facilmente il problema e possiedono batterie di en-

zimi che sono in grado di escindere la parte dell’emielica che contiene il DdP e

poi avviare sintesi locale di DNA; oppure sono in grado di avviare processi di ri-

combinazione per limitare i danni creati dall’arresto locale della sintesi di DNA

(Fig. 2).

Figura 2. Esempi di riparazione dei dimeri di pirimidina indotti dalla luce UV. A sinistra

la fotoriattivazione applicata dai batteri ed a destra la riparazione per excisione

utilizzata dalle cellule eucariotiche.

Sono già descritte un certo numero di patologie genetiche umane da fotosensi-

bilità, cioè presenti in soggetti che possiedono alleli mutati per alcuni geni della

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Caradonna - Radiazione solare e variabilità ... 31

riparazione del DNA e che per questo motivo mal tollerano insulti che per altre

persone potrebbero essere innocui, quali la normale esposizione alla luce del sole.

Potrebbe sembrare dunque che tutto si “riduca” ad una netta distinzione fra

condizioni patologiche legate ad alleli mutati presenti e tramandati in alcune fa-

miglie e la luce solare; potrebbe quindi concludersi che la questione non riguardi

l’intero genere umano, ma solo una parte “sfortunata” di esso.

E’ importante ricordare, a questo punto, che la variabilità genetica, anche nella

specie umana, distribuisce diversità fenotipica proprio perché la diversità di ogni

soggetto, piuttosto che l’uguaglianza, è la chiave evoluzionistica di successo di

una popolazione che vive in un ambiente, per definizione, mutevole. Alcuni e-

sempi di diversità fenotipiche sono ampiamente studiate e riguardano aspetti visi-

bili del nostro corpo (peso, altezza, etc) o anche gusti e stili di vita (sensibilità al

gusto amaro, fumo, alcool etc). Ma la variabilità fenotipica deriva da quella geno-

tipica e cioè ad ogni diversità visibile corrisponde una diversità in alleli posseduti

per quel carattere: la mutazione che ricorre inesorabilmente e costantemente nel

corso delle generazioni, tenuta a bada dai meccanismi di mantenimento

dell’integrità genomica di una cellula, agisce secondo un equilibrio e diversifica i

soggetti di una popolazione. Questa possibilità è cogente per ogni tratto di DNA

di qualunque genoma, dunque nessun gene può sottrarsi facendo scaturire il con-

cetto che possiamo anche essere variabili per i geni della riparazione del DNA.

Per qualche gene della riparazione, potremmo cioè essere inconsapevolmente

omozigoti per due alleli funzionali o anche eterozigoti e possedere cioè un solo al-

lele funzionale: questi geni agiscono in maniera mendeliana dove, è noto, che

l’eterozigote e l’omozigote dominante hanno lo stesso fenotipo.

Se fossimo eterozigoti, e se ci esponessimo alla luce solare in maniera limitata,

non avremmo conseguenze; ma quando l’irradiazione è massiva, quale quella cui

volontariamente ci esponiamo durante il bagno di sole estivo sulle spiaggie, po-

tremmo avere pericolose conseguenze (Fig. 3).

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32 Caradonna - Radiazione solare e variabilità ... Del cittadino

Figura 3. Percorso concettuale di conseguenze di esposizione a dosi massicce di radiazio-

ne solare a seconda del genotipo posseduto per i geni della riparazione.

Quindi, ogni soggetto di una popolazione dotata di grande variabilità genetica,

come quella umana, è una combinazione unica ed irripetibile di caratteristiche che

ha per sé e che può trasmettere alle generazioni future ma, vedendo la cosa da un

altro punto di vista, per la variabilità genetica, ogni soggetto ha reazioni diverse

nei confronti di insulti uguali rispetto ad altri soggetti, cioè, ogni soggetto ha una

capacità differenziata di reagire, quasi personalizzata, nei confronti di uguali sol-

lecitazioni ambientali. In queste condizioni, conoscere l’assetto allelico di ciascu-

no di noi, per tutti i geni, ma soprattutto, per quelli della riparazione del DNA e

per quelli controllori del ciclo cellulare, è un goal di notevole interesse per

l’umanità, anche in considerazione del fatto che la manifestazione fenotipica di

danni al DNA potrebbe essere molto postuma rispetto all’insulto iniziale ed anche

legata alla concomitanza con altri insulti. Effetti ben diversi, infatti, possono esse-

re predetti, se ciascuno di noi fosse eterozigote o omozigote dominante per cia-

scuno dei geni controllori del ciclo cellulare: un eterozigote, più facilmente

dell’omozigote dominante, può avere, in alcune cellule, effetti seri dopo esposi-

zioni ripetute a certi insulti ambientali.

Non potendo sapere ciascuno di noi quale genotipo possediamo per questi geni

(Fig. 4), dobbiamo applicare il principio di prudenza in base al quale non ci si de-

ve esporre a fonti mutagene conosciute ed anche, evitare con corretti stili di vita,

di accumulare insulti genotossici che, alla fine, potrebbero rendere manifesto un

fenotipo patologico in sé latente.

Figura 4. I geni controllori della crescita cellulare agiscono secondo regole mendeliane:

un omozigote dominante ed un eterozigote hanno lo stesso fenotipo. Rimane

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Caradonna - Radiazione solare e variabilità ... 33

dunque ignoto per ciascuno di noi sapere quale genotipo si possiede fra questi

due.

A chi dice che l’argomento “Variabilità genetica e radiazione solare” è un ar-

gomento “da spiaggia” risponderei che ha ragione: vorrei, però, affrontarlo sotto

l’ombrellone……per prudenza.

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“Il Sole. La nostra stella e/è la nostra risorsa”, I.I.S. "O. M. Corbino", Siracusa, 21-26 luglio 2015

Quaderni di Ricerca in Didattica (Science), n. speciale 10, 2016

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Photosensitization, lights and shadows

Guido De Guidia,b

and Alfio Catalfoa

a Dipartimento di Scienze Chimiche, Viale A. Doria 6,Università di Ca-

tania b

CRAM3RA, Centro di ricerca per l'analisi, il monitoraggio e le meto-

dologie di minimizzazione del rischio ambientale, Viale A. Doria

6,Università di Catania

E-mail: [email protected]

Abstract. I processi della fotosensibilizzazione, in particolare

quelli indotti da farmaci, sono studiati da decenni. In questo arti-

colo solo i principi e un breve compendio sono dati. La maggior

parte di questo lavoro è dedicata alla descrizione di alcune pub-

blicazioni che trattano la sensibilizzazione foto indotta da farmaci

su modelli di target biologici.

Abstract. Photosensitization processes, in particular those medi-

ated by drugs, are studied since decades. In this paper only the

principle and a short overview will be given. The main part of the

paper is dedicated to describe some works about drug mediated

photosensitization on biological target models.

1. Introduction

UVA radiation (320-400 nm), which represents about 90% of the environmen-

tally relevant solar UV radiation reaching earth’s surface (Figure 1), has been es-

tablished as one of the factors responsible for the photoactivation of various

classes of compounds, generating adverse side-effects (Quintero & Miranda 2000;

de Gruijl 2002; Cadet et al. 2005; Kielbassa et al. 1997). UVC (200–280 nm) is

blocked by the ozone layer and UVB (280–320 nm), which is highly mutagenic

due to direct absorption by DNA, is quickly attenuated by the upper layers of the

epidermis. On the other hand, UVA penetrates more efficiently to basal layers of

epidermis and to dermis and can generate photosensitization reaction in the pres-

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ence of components from endogenous or exogenous origin present in tissues. In-

deed, UVA photons reach dermal blood vessels where potential photosensitizers

can absorb light and, subsequently, the photogenerated species can be carried to

other compartments. The importance of photosensitization reactions can be easily

understood taking into account the increasing number of reports dealing with pho-

totoxic effects induced by chemicals and pharmaceutical compounds. Meanwhile,

knowledge of photosensitization pathways may be used to design photoprotective

devices and suitable sunscreens as well as to develop therapeutic strategies to-

wards several diseases, such as skin tumours.

Figure 1. The almost visible part of the electromagnetic spectrum

2. Photosensitization

Photosensitization is the process by which a photochemical or photophysical

alteration occurs in a compound (substrate, target) as a result of initial absorption

of radiation by another (xenobiotic) compound called a photosensitizer. In

mechanistic photochemistry the term is limited to cases in which the photosensi-

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tizer is not consumed in the reaction. However, in most reactions the xenobiotic

is often degraded. In humans, skin inflammation trigged by drug mediated photo-

sensitization is a frequently observed drug side effect (Figure 2).

Photosensitizer (xenobiotic) alone No Effect Light alone No Effect

Photosensitizer and Light Change in Organism

Figure 2.

2.1. Basics of photosensitization

Thus, in order to understand the photosensitization process, we should know

the main definitions.

A xenobiotic is a foreign chemical substance found within a system (organism,

organ, cell, and organelle) that is not normally naturally produced by the system

or expected to be present within that system. For example, drugs such as antibiot-

ics are xenobiotics in humans because the human body does not produce them it-

self, nor are they part of a normal food. In simple words, all manmade compounds

can be xenobiotics. Natural compounds can also become xenobiotics if they are

taken up by another organism, such as the uptake of drugs (antibacterial quin-

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olones, natural human hormones, etc.) by fish found downstream of sewage

treatment plant outfalls. The term xenobiotic is very often used in the context of

pollutants such as poly aromatic hydrocarbons (PAHs) and polychlorinated bi-

phenyls (PCBs) and their effect on the organism. Thus, antioxidants, carcinogens,

drugs, environmental pollutants, food additives, hydrocarbons, and pesticides are

frequently defined as classes of xenobiotics.

A photosensitizer (often a xenobiotic, Figure 3) is a molecule that produces a

chemical change in another molecule in a photochemical process (Calvert & Pitts

1966). Photosensitizers are commonly used in polymer chemistry in reactions

such as photopolymerization, photocrosslinking, and photodegradation (Calvert &

Pitts 1966; Wayne & Wayne 2005). Photosensitizers generally act by absorbing

energy electromagnetic radiation in the form of ultraviolet or visible light and by

transferring energy or radical species to adjacent molecules.

Figure 3. Examples of known photosensitizers produced by the organisms themselves

2.2. Electromagnetic radiation and photochemistry

Photochemistry is the branch of chemistry concerned with the chemical effects of

light. It is chemical reaction caused by energy transfer of ultraviolet C, B and A

light (wavelength from 100 to 400 nm), of visible light (400 – 750 nm) or of in-

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frared radiation (750 – 2500 nm; near IR – far IR, Figure 4) (Calvert & Pitts

1966).

Figure 4. Electromagnetic radiation (EMR) is the radiant energy released by certain

electromagnetic processes. Visible light is one type of electromagnetic radiation; other

familiar forms are invisible electromagnetic radiations such as radio waves, infrared light

and X rays

Photochemical reactions (Figure 5) are important in chemistry, because they

proceed differently than thermal reactions. Many heat mediated reactions have

their photochemical equivalents. Photochemical paths offer the advantage over

thermal methods of forming thermodynamically disfavored products, overcoming

large activation barriers in a short period of time, and allowing reactivity other-

wise inaccessible by thermal processes. Reactions examples that are based on

light promoted energy transfer in organisms are photosynthesis and formation of

vitamin D with sunlight.

Energy transfer is a process by which a compound in ground state (S0) ab-

sorbs light and originates a molecular excited state (S1, S2, S3,...). In mechanistic

photochemistry energy transfer is a photophysical process in which an excited

state of S1 (the donor) is deactivated to a lower-lying state by transferring energy

to S0 (the acceptor) which is thereby raised to a higher energy state. The excita-

tion may be electronic, vibrational, rotational or translational. The donor and ac-

ceptor may be two parts of the same compound, in which case the process is

called intramolecular energy transfer.

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Figure 5. Jablonski diagram. Radiative paths (Fluorescence, Phosphorescence) are rep-

resented by straight arrows and non-radiative paths (IC, ISC) by twisted lines

2.3. Basics of photochemistry

Photoexcitation is the first step in a photochemical process where the reactant

is elevated to a state of higher energy, an excited state. In a photochemical reac-

tion light must be absorbed by a chemical substance (first law of photochemistry,

i.e. the Grotthuss–Draper law). As defined by the quantum yield (Φ), for each

photon of light absorbed by a chemical system, no more than one molecule is ac-

tivated for a reaction (Wayne & Wayne 2005).

molecules degraded

photons assorbed

The quantum yield (Φ) of a radiation-induced process is the number of times

a specific event occurs per number of photon absorbed by the system. The quan-

tum yield for the degradation of a sensitizer in a light driven process, called

photodegradation, is defined as above.

Moreover, according to spin selection rule, a molecule in S0 that absorbs light

transfer one electron to a excited higher orbital level. This electron maintains its

spin, given that other transitions violate the law of conservation of angular mo-

mentum.

This excitation of S0 to a higher singlet state can be from HOMO (Highest Oc-

cupied Molecular Orbital) to LUMO (Lowest Unoccupied Molecular Orbital) or

to a higher orbital, thus being possible different singlet excitation states S1, S2,

S3… depending on its energy (Figure 6).

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Figure 6. Photoexcitation process and HOMO to LUMO electron transition

Kasha's rule says that a higher singlet states decay quickly by radiationless de-

cay or internal conversion (IC) to S1. Thus, S1 is usually, but not always, the only

relevant singlet excited state. This excited state S1 can further relax to S0 by IC,

but also by an allowed radiative transition from S1 to S0 that emits a photon; a

process called fluorescence (Figure 5).

Alternatively, it is possible for the excited state S1 to undergo spin inversion

and to generate a different excited state with the two unpaired electrons with the

same spin. This excited state has a triplet multiplicity and is therefore called tri-

plet (T1). This violation of the spin selection rule is only possible by intersystem

crossing (ISC) of vibration and electronic levels of the interactive states. Hund's

rule of maximum multiplicity stated that this T1 state would be more stable than

S1.

T1 can relax to ground state S0 by radiationless IC or by phosphorescence, a

radiative process. Phosphorescence implies a change on electronic spin (from T1

to S0) that is forbidden by the spin selection rule. Moreover, phosphorescence

(from T1 to S0) is much slower than fluorescence (from S1 to S0). Thus, as a result

triplet states have commonly longer lifetimes than singlet states.

S1 or T1, have a half empty low and a half empty high energy orbital, conse-

quently they are able to oxidize or reduce, i.e. excited species are prone to partici-

pate in electron transfer processes (Wayne & Wayne 2005).

3. Photosensitization mechanisms

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41 De Guidi & Catalfo - Photosensitization, lights ...

In general, almost every compound able to absorb the incident radiation can act

as photosensitizer: drugs, dies, vitamins, plant pigments, chlorophylls, porphyrins,

etc. Additionally, all compounds of the surroundings may become photosensitiza-

tion target. The processes in photosensitization are almost the same as described

for photochemistry (see sections above). However, the mechanism includes gen-

erally the participation of oxygen and the photodegradation of the target (sub-

strate), as well as the degradation of the photosensitizer (Figure 7, 8). There are

three different main reaction pathways: Type I, Type II and T-T energy transfer

(Pouyet & Chapelon 1987).

The Type I pathway results from the formation of radicals originated from the

photoexcited singlet sensitizer (Sen*) and the substrate, possibly by a heterolytic

breaks. Further oxidized products may be formed by reaction of the radicals (R)

with oxygen (Figure 7, 8a). Thus, the formation of reactive oxygen species

(ROS), such as hydroxyl radicals, superoxide anion, hydrogen peroxide if often

observed. Unlike as in mechanistic photochemistry, the photosensitizer is con-

sumed in the reaction.

In the Type II pathway (Figure 7, 8b) is also oxygen e (3O2) involved and sin-

glet oxygen (1O2) is formed.

This step consists of a spin inversion and of the sensitizer triplet T1 generation

by ISC. Then, the T1 sensitizer undergoes energy transfer to oxygen (Figure 5, 7,

8b).

Figure 8c shows the third main reaction pathway, a direct interaction of the

photoactivated molecule with the substrate via efficient triplet energy transfer.

Figure 7. Simplified photosensitization mechanism in the presence of oxygen. Sen,

sensitizer; hv, light; 3O2, molecular oxygen;

1O2, singlet oxygen;

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a)

b)

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c)

Figure 8. Photosensitization mechanism: a) Type I (Radical); b) Type II (Singlet Oxy-

gen); c) Energy transfer (T-T Transfer); hv, light; 3O2, molecular oxygen;

1O2, singlet ox-

ygen; R, radical

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3.1. Reactive oxygen species (ROS)

Reactive oxygen species (ROS) are chemically reactive molecules containing

oxygen (Figure 9). ROS comprise peroxides, superoxide, hydroxyl radical, and

singlet oxygen. ROS are also formed as a natural byproduct of the normal metab-

olism of oxygen, in particular of mitochondrial origin, and are part of the signal-

ing and homeostasis cell machinery (Tp et al. 2015). When exposed to environ-

mental stress (UVA, burning, chemicals, etc.), ROS levels in cells can increase

dramatically (Tp et al. 2015). This may result in significant damage to cell struc-

tures. A long-term cell exposure to high ROS doses is known as oxidative stress.

Also ionizing radiation is able to produce ROS (Turrens 2003).

Formation and decomposition

The reduction of molecular oxygen (O2) produces superoxide (·O2−) and is the

precursor of most other reactive oxygen species (Turrens 2003):

O2 + e− → ·O2

Dismutation of superoxide produces hydrogen peroxide (H2O2):

2H+ + ·O2

− + ·O2

− → H2O2 + O2

Hydrogen peroxide in turn may be partially reduced to hydroxyl radical (·OH)

or fully reduced to water:

H2O2 → HO · + ·OH

H2O2 + H2O2 → H2O + H2O + O2

Figure 9. ROS ionization

Exogenous ROS Exogenous ROS can be produced from xenobiotics and pollutants such as to-

bacco, smoke and drugs, as well as from radiation. Ionizing radiation can generate

damaging intermediates through the interaction with water, a process termed radi-

olysis. Since water comprises 55–60% of the human body, the probability of radi-

olysis is quite high under the presence of ionizing radiation. In the process, water

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loses an electron and becomes highly reactive. Then through a three-step chain

reaction, water is sequentially converted to hydroxyl radical (·OH), hydrogen per-

oxide (H2O2), superoxide radical (·O2−) and ultimately oxygen (O2).

Endogenous ROS As described above, ROS are normally produced intracellularly through multi-

ple mechanisms and depending on the cell and tissue types. The major producers

of ROS are oxidase complexes in cell membranes, mitochondria, peroxisomes,

and endoplasmic reticulum (Turrens 2003). Mitochondria convert energy for the

cell in a process in which ATP is produced, oxidative phosphorylation. The

transport of protons across the inner mitochondrial membrane by means of the

electron transport chain is involved in the ADP phosphorylation to ATP. In the

electron transport chain, electrons are passed through a series of proteins/enzymes

via oxidation-reduction reactions, with each acceptor protein along the chain hav-

ing a greater reduction potential than the previous. The last destination for an

electron along this chain is an oxygen molecule. In normal conditions, the oxygen

is reduced to produce water; however, in about 1% of electrons passing through

the chain oxygen is instead prematurely and incompletely reduced to give the O2−

(Turrens 2003). This latter is not particularly reactive by itself, but can inactivate

specific enzymes or initiate lipid peroxidation in its protonated form HO2. The

pKa of HO2. is 4.8. Thus, at physiological pH, the majority will exist as superox-

ide anion. When the mitochondria are excessively damaged, the cell undergoes

apoptosis, i.e. programmed cell death.

Singlet oxygen

Singlet oxygen is a high energy form of oxygen (Figure 10). A gas with the

formula O2, its physical properties differ only slightly from those of the more

prevalent triplet form of O2. In terms of its chemical reactivity, however, singlet

oxygen is far more reactive toward organic compounds. It is responsible for the

photooxidation of many materials and is also use in chemical synthesis and in

medicine. Trace amounts of singlet oxygen are found in the upper atmosphere and

also in polluted urban atmospheres where it contributes to the formation of toxic

nitrogen dioxide (Tp et al. 2015).

In spectroscopic notation, the singlet and triplet forms of O2 are labeled 1Δg and

3Σg

−, respectively. The terms singlet and triplet refer to the quantum state of the

molecules. Molecular oxygen is in the singlet state with a total quantum spin of 0. 1O2 is also a product of photosynthesis in plants. In the presence light, photo-

sensitizers such as chlorophyll may convert molecular oxygen (3O2) to singlet ox-

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ygen (Figure 8b) (Laloi & Havaux 2015). Singlet oxygen is highly reactive, espe-

cially with organic compounds that contain double bonds. The resulting damage

caused by singlet oxygen reduces the photosynthetic efficiency of chloroplasts. In

plants exposed to excess light, the increased production of singlet oxygen can re-

sult in cell death (Laloi & Havaux 2015). Various plant substances such as cellu-

lar pigments contained in chloroplasts quench singlet oxygen as antioxidant, and

therefore protect against singlet oxygen toxic effects (Figure 11).

Figure 10. Singlet oxygen

Figure 11. antioxidant mechanism

The singlet states of oxygen are 158 and 95 kilojoules per mole higher in ener-

gy than the triplet ground state of oxygen (Figure 12). Under most common la-

boratory conditions, the higher energy 1Σg

+ singlet state rapidly converts to the

more stable, lower energy 1Δg singlet state (Wayne 1969; Frimer 1985); it is this,

the more stable of the two excited states, the one with its electrons remaining in

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separate degenerate orbital but no longer with like spin, that is referred to by the

title term, singlet oxygen, commonly abbreviated 1O2, to distinguish it from the

triplet ground state molecule, 3O2 (Frimer 1985).

Figure 12. MO diagram, triplet ground state and two singlet excited states of molecular

dioxygen.

Shown are three electronic configurations of the molecular orbitals (MOs) of

molecular oxygen, O2. From left to right, the MOs are for: 1Δg singlet oxygen,

1Σg

+ singlet oxygen, and

3Σg

– triplet oxygen. The lowest energy 1s molecular or-

bital uniformly filled in all three is omitted for simplicity. The broad horizontal

line with the π and π* labels represent two molecular orbitals (for filling by up to

4 electrons in total). Critically, note that the three states only differ in the occu-

pancy and spin states of electrons in the two degenerate π* antibonding orbitals

(Schweitzer & Schmidt 2003).

4. Photosensitization on bio-targets

Light is able to penetrate skin and therefore to interact with cells (Figure 13).

Given that potentially every compound able to absorb the incident radiation can

act as photosensitizer, the cell components may also become photosensitization

target. The processes in cell photosensitization are of course more intricate as

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those described until now (see sections above). However, the mechanism is al-

most based on main reaction pathways: Type I, Type II and T-T energy transfer

(Figure 14).

Figure 13. Breakthrough capacity of waves into skin

5. Photoaging A tissue process induced by chronic UVA and UVB exposure, that causes

characteristic changes to skin (Figure 13) (Rapini et al. 2007). The major conse-

quences of the aging process are the deterioration of biological functions and abil-

ity to manage metabolic stress, for example ROS containment (see above). Aging

is a complex, progressive process that leads to functional and esthetic changes in

the skin. This process can result from both intrinsic and extrinsic processes (ge-

netically and environmental determined, respectively). Photoaging is attributed to

continuous, long-term exposure to UVA radiation, either natural or synthetic.

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49 De Guidi & Catalfo - Photosensitization, lights ...

Figure 14. Biotargets of cell photosensitization

6. Photosensitization in models with increasing complexity: proteins

A photosensitization study in models of increasing complexity must take into ac-

count of several key factors, such as, light absorption in scattering environments,

photosensitizer concentration, duration of contact between cell and photosensitiz-

er, transport and uptake, as well as sub-cellular localization.

6.1. Aminoacids

The aromatic amino acid tryptophan is the most susceptible protein residue in-

volved in various photosensitized adverse effects. Between these processes, the

tryptophan photosensitization induced by methylene blue (MB) has been well

studied (Catalfo et al. 2009). A predominant type II photosensitizing activity, me-

diated by singlet oxygen, has been already demonstrated on various models. It is

possible to compare this photosensitization system with that induced by naproxen

(NAP), belonging to the class of non-steroidal anti-inflammatory drugs. For this

compound, a type I (radical) and type II (singlet oxygen) cooperative mechanism

of photoinduced damage was previously proposed. This represents an example of

testing drugs on the simple experimental model of amino acid residues in pro-

teins. In particular, modifications caused by the formation of drug photomediated

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De Guidi & Catalfo - Photosensitization, lights ... 50

toxic species, such as ROS can be achieved following the kinetics of

photodegradation of the sensitizers and of the amino acid, as well as the formation

of their photoproducts and by evaluation of quantum yields of the various pro-

cesses. Tryptophan photoproducts represent biomarkers of oxidative damage in-

dicative for protein photooxidation and for the molecular mechanism of photosen-

sitization (Figure 15).

The results are in agreement with both type I and II pathways. These observations

support extending the investigation to systems of increasing molecular complexi-

ty, that is Trp in isolated proteins and in cells and represent an effort to provide a

simplified rationale of the complex picture coming out from literature data and

our experimental results.

Figure 15. Biomarkers of oxidative damage

6.2. Proteins

UVA photosensitization of MB or naproxen NAP can be extended towards bovine

serum albumin (BSA) using also time resolved singlet oxygen measurements

(Bracchitta et al. 2012). The most stable drug-protein adducts stoichiometry of

MB-BSA (1:1) and NAP-BSA (9:1) can be verified by means of binding constant

determination. UVA photosensitization of MB or NAP on BSA was studied by

monitoring tryptophan (Trp) residues integrity. Also in this case, the sensitized

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51 De Guidi & Catalfo - Photosensitization, lights ...

photodegradation of the BSA results in different degrees of Trp damage. Protein

damage is evaluated by quantitative measurements of the different Trp (photo)-

products that are diagnostic for the photosensitization mechanism. The analysis of

quantum yields of photoproducts distribution allows to weight up the type I/II

contribution on UVA photosensitization mechanism. Experiments in deuterated

solvent results in an increase of the photodegradation quantum yields for those

species where a singlet oxygen mechanism is involved. The UVA mediated gen-

eration of these Trp derivatives is consistent with the occurrence of singlet oxygen

formation (almost dominant in MB), and photoionization (significant in NAP)

within the protein matrix. Additional experiments with human serum albumin

(which differs for Trp content and, partially, localization), support further the mo-

lecular mechanism of photosensitization proposed. (Figure 16) (Yuan et al.

2006). The results obtained in the case of this more complex system are in agree-

ment with in the free Trp model, even if in almost all cases the Trp photoproduct

formation quantum yields are lower, due to the higher number of sensitization

targets in proteins.

Figure 16. Albumin

6.3. Yeasts

A further step in increasing complexity is represented by UVA photosensitization

by MB or by NAP towards cell proteins in yeast Saccharomyces cerevisiae

(Bracchitta et al. 2012). Finally, it is possible to compare this system with the two

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simpler models free Trp in solution and as a component of bovine and human se-

rum albumin. The analysis of quantum yields of photoproduct distribution allows

to weight up the type I/II contribution on UVA photosensitization mechanism.

The UVA mediated generation of these Trp derivatives confirms the occurrence

of singlet oxygen formation (almost dominant in MB), and photoionization (sig-

nificant in NAP) within the protein matrix (Figure 17) (Schafer & Hocker 1997).

The results obtained in the case of this more complex system (cell) are in agree-

ment with the two simpler models. The quantum yields of Trp photoinduced deg-

radation, as well as of its photoproducts formation, decrease with increasing the

complexity of the investigated target. (Figure 18).

In conclusion, the comparison of these three models suggests some endpoints:

1 The mechanism is reproducible on moving to systems with increasing

molecular complexity, with a decrease of the processes efficiency

2 In the case of NAP, Trp photoproducts, markers for a type I process, are

obtained with higher quantum yields compared to Type II diagnostic products.

3 NAP acts via a cooperative Type I/II mechanism, whereas BM operates

prevalently via a Type II mechanism

4 MB induced photosensitization leads to higher cytotoxicity, due to the of

intracellular targets multiplicity

5 “In vitro” simulation must take into account to possible changes at the en-

vironmental compartments outside the cell, as well as the extracellular matrix

6 The relative weigth of the photoinduced damage is strongly influenced by

the distance between the bound photosensitizer and the molecular target.

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53 De Guidi & Catalfo - Photosensitization, lights ...

Figure 17. UVA mediated generation of these Trp derivatives

Trp

4-OH-c

hinolin

e

trypta

min

e

3-OH-k

ynurenin

e

kynurenin

e

N-form

ylkyn.

xanthure

nic a

c.

0,000

0,025

0,050

0,075

0,2

0,4

0,6

0,8

1,0

qu

an

tum

yie

ld x

10

2

Trp-NAP

Trp-MB

BSA-NAP

BSA-MB

Cell-NAP

Cell-BM

Figure 18. Quantum yields of Trp photoinduced degradation and photoproduct for-

mation

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De Guidi & Catalfo - Photosensitization, lights ... 54

7. Photosensitization in models with increasing complexity: DNA

Different models can be employed to study DNA photodamage mediated by

xenobiotic agents (organisms, cells, isolated biomolecules and super molecules).

In this case, the Fluoroquinolones (FQ) is the chosen xenobiotic class. Being the

effect of environment (polarity of the medium, ions, pH, binding with bio-

molecules, etc) crucial in FQ photochemistry, photobiological reactions can be

consequently dramatically influenced. Thus, also in this case the photosensitiza-

tion processes induced by FQs must take into account that such extensive and

cross-targeted pathological implications covers photosensitization in systems of

increasing molecular complexity. This can explain in vivo and in vitro evidences

for photoallergy, phototoxicity, photomutagenesis and photocarcinogenesis.

7.1. DNA bases

An extensive review can provide information about this aspect of biomodel pho-

tosensitization induced by FQs (De Guidi et al. 2011). Guanine is the most sus-

ceptible DNA target with regard to oxidation induced by ROS (Figure 19).

Commonly, different dGuo products come from FQs photoexcitation. These de-

rivatives are diagnostic for the photosensitization mechanism, which is an attack

of dGuo via a type I (oxazolone derivative) (Ravanat et al. 2003) or via a type II

(dSp, Spiroiminodihydantoin) pathway (Adam et al. 2002). A type II photosensi-

tizing mechanism was assigned in the oxidation of free dGuo in the presence of

OFL (Cuquerella et al. 2003) and RUF (Cuquerella et al. 2003; Belvedere et al.

2002). In RUF photomediated process, Cu2+

inhibits formation of type II prod-

ucts. The reduction of type II products, dSp, is higher than the copper (II) concen-

tration used, pointing to a catalytic pathway. The significant decrease of dSp

counteracts the almost negligible increase of type I derivatives, caused by an elec-

tron extraction from dGuo from the radical cation of RUF (Cuquerella et al.

2010).

Figure 19. DNA dGuo derivatives diagnostic for the photosensitization mechanism; RFX,

rufloxacin; dGuo, deoxiguanosine; dSp, diimminospirihydantoins isomers; 8-OH-dGuo,

oxidized dGuo

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7.2. Plasmids

FQs induce base damage in form of bulk oxidations in purines and pyrimidines of

plasmids (circular supercoiled double strand DNA) as well as DNA strand cleav-

age (Catalfo et al. 2005). This latter is generated from alterations such as single

strand breaks (SSB) and double strand breaks (DSB). For photocleavage experi-

ments plasmid containing FQs are subjected to sensitization and the induced

structural DNA changes are detected by agarose gel electrophoresis. This tech-

nique is very sensitive, because only one SSB is enough to convert the super-

coiled circular form (Form I) into the nicked relaxed form (Form II) by means of

SSB, whereas DSB lead to the formation of linear DNA (Form III). These three

forms exhibit different electrophoretic mobilities (Figure 20).

Figure 20. Plasmid analysis on a electrophoretic gel; I, II and III are the different plasmid

forms

7.3. Cellular DNA

Comet assay (i.e. SCGE, single cell gel electrophoresis) is a rapid, simple, and

sensitive technique for measuring DNA damage in individual eukaryotic cells.

(Figure 21) It has been used for in vivo and in vitro studies in the evaluation of

the (photo-)toxic potential of FQs. It can be used to quantify the presence of a

wide variety of DNA lesions including DSB and SSB. Comet assay allows verify-

ing cellular DNA repair ability by measuring the decrease of the DNA damage

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when cells are incubated after FQs photosensitization (Catalfo et al. 2005; Catalfo

et al. 2007). The data of Comet assay of FQs photosensitized cells are comple-

mentary to those obtained by plasmid photosensitization. Indeed, a structural cor-

relation to genomic DNA seems to be a reasonable way in order to give further

details about photodamaged cell DNA revealed by unwinding in electrophoresis.

Comet assay allows verifying yeasts cellular DNA repair ability in RUF

photodamage (Serrentino et al. 2010).

Figure 21. Comet assay results

7.4. DNA in wild type microorganisms

FQ photocytoxicity can be studied also in a more complex cellular model, a wild-

type eukaryotic fast-growing microorganism whose cultivation is cheap and easily

managed, Saccharomyces cerevisiae. (Figure 22). Particular emphasis must be

given to DNA modifications caused in yeast by the formation of FQ

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57 De Guidi & Catalfo - Photosensitization, lights ...

photomediated toxic species, such as hydrogen peroxide and formaldehyde. The

results confirm the phototoxicity of FQ on yeast cell and are in agreement with

those previously obtained with human fibroblast and with the simpler models

(Figure 23), and provide a clear link between DNA photosensitization and overall

phototoxicity(Catalfo et al. 2007).

Figure 22. Yeast cells in sporulation (right), Yeast CFU (left)

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De Guidi & Catalfo - Photosensitization, lights ... 58

Figure 23. Phototoxicity results of FQ on different models

8. Mutagenesis in yeast induced by photosensitization

Panel of yeast (Saccharomyces cerevisiae) mutants affected in different DNA re-

pair pathways are very useful to study the phototoxic and photomutagenic po-

tency of xenobiotics (Serrentino et al. 2010). Indeed, yeast mutants provide a sen-

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59 De Guidi & Catalfo - Photosensitization, lights ...

sitive tool to identify the photodamage and the DNA repair pathways that cope

with it (Figure 24). Cell viability test at increasing dose of UVA shows that both

the DNA repair deficient and wild type cells are equally sensitive to FQ induced

photosensitization, demonstrating that phototoxic effect is not due to DNA injury.

Photomutagenicity is evaluated by measuring the frequency of forward CanR mu-

tations. The mutation induction is low in wild type cells. A high increase in muta-

tion frequency is observed in strains affected in Ogg1 gene, compared to wild

type and other base excision repair deficient strain. The photomediated mutation

spectrum in wild type cells reveals a bias in favour of GC > TA transversions. At-

tention must be directed also to the role played by DNA mismatch repair,

translesion synthesis and post replication repair in the prevention of mutagenic ef-

fects due to FQ exposure. These investigations point out possible unwanted side-

effects in skin under sunlight and xenobiotics.

Figure 24. Mutagenesis results in yeast induced by FQ photosensitization

9. Photoprotection and Phototherapy

Considering what reported above, it is clear that more efforts directed to clarify

xenobiotics-mediated photosensitizing mechanisms on bio-targets are needed,

since this could allow the design of suitable bio-compatible devices, which may

control or modulate photosensitizer photodegradation and, as a consequence, ex-

ert a photoprotective action toward photoinduced damage. Meanwhile, knowledge

of photosensitization pathways may be used to design suitable sunscreens or to

develop therapeutic strategies towards several diseases, such as skin tumours.

9.1. Metal ions

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De Guidi & Catalfo - Photosensitization, lights ... 60

Thus in this context, taking into account that photogenerated unstable species

comes both from photoionization and singlet oxygen generation, the choice of

copper(II) ion as a scavenging agent seems reasonable. Indeed, this ion, free or

complexed, acts at very low concentrations as efficient catalyst of cellular dismu-

tation processes against membrane oxidative damage and DNA cleavage; for this

reason, it represents a valid tool in inhibiting toxic effects photoinduced by xeno-

biotics, by influencing their photodegradation (Cuquerella et al. 2010) (Figure

25). Copper(II) represents also a potential strategy for modulating the photo-

chemical pathways involved in drug photodegradation(Sortino et al. 1999). Tran-

sition metals are present in very low concentration in vivo (in the nM-µM range,

depending on the metal ion and compartment). Human body contains some mi-

crograms of these trace elements, and their interactions with the biological sub-

strates can be considerably altered when a therapeutically effective dose of drug is

administered. This change in the relative ratio between the metal ion and the bio-

ligands may have a profound effect upon the activity of the drug against poten-

tially susceptible bacteria. Indeed, formation of the complexes may increase the

bioavailability of the metal ion or of the drug, or both.

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61 De Guidi & Catalfo - Photosensitization, lights ...

Figure 25. Copper(II) modulation on the photochemical pathways involved in drug

photodegradation

9.2. Sunscreens

Choosing sunscreen can be confusing. There are organic and inorganic types, and

jargon like UV, SPF and broad-spectrum to sift through. Probably the most com-

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De Guidi & Catalfo - Photosensitization, lights ... 62

monly used sunscreens are "chemical absorbers." They contain carbon com-

pounds made in a laboratory. Some 22 chemicals have become available in the

U.S. to shield the skin from the sun's harmful rays since the first compound

PABA was developed in the 1940s. Physical blockers come in two types: zinc ox-

ide and titanium dioxide—natural minerals ground down to fine powders. They

are active broadband sunscreens that screen both UVB (290–320nm) and UVA

(320–400nm) sunlight radiation and as high SPF makers. These used to leave

white residue on the skin but modern processing techniques have largely done

away with that. The benefit of physical blockers is that they do not decompose

through sun exposure, so they theoretically have a longer life on your skin. When

sunlight hits the skin, chemical absorbers absorb the active UV rays and release

their energy in harmless ways. When UV rays hit skin coated in physical block-

ers, they are reflected and cannot penetrate the skin. FDA certified safety of phys-

ical blockers, also if the debate is still open due to their ability to catalyze reac-

tions involving free radicals (Figure 26). Indeed, these metal oxides are known to

generate highly oxidizing radicals (hydroxyl radical and superoxide anion) and

other reactive oxygen species (ROS) such as H2O2 and singlet oxygen, 1O2, which

are known to be cytotoxic and/or genotoxic (Serpone et al. 2007).

Figure 26. FDA certified chemical and physical blockers

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63 De Guidi & Catalfo - Photosensitization, lights ...

9.3. Photodynamic therapy

Photodynamic therapy (PDT) is a treatment that uses a drug, called a photosensi-

tizer or photosensitizing agent, and a particular type of light (Savoia et al. 2015),

(Figure 27). When photosensitizers are exposed to a specific wavelength of light,

they produce a form of oxygen that kills nearby cells (Figure 28). Each photosen-

sitizer is activated by light of a specific wavelength. This wavelength determines

how far the light can travel into the body. Thus, doctors use specific photosensi-

tizers and wavelengths of light to treat different areas of the body with PDT. In

the first step of PDT for cancer treatment, a photosensitizing agent is injected into

the bloodstream. The agent is absorbed by cells all over the body but stays in can-

cer cells longer than it does in normal cells. Approximately 24 to 72 hours af-

ter injection, when most of the agent has left normal cells but remains in cancer

cells, the tumor is exposed to light. The photosensitizer in the tumor absorbs the

light and produces an active form of oxygen that destroys nearby cancer cells. The

light used for PDT can come from a laser or other sources. Laser light can be di-

rected through fiber optic cables (thin fibers that transmit light) to deliver light to

areas inside the body.

Figure 27. RA-301, a Rasiris triad incorporating the central porphyrin PDT agent (RA-

105), a pegylated near-IR imaging agent (indodicarbocyanine, left-hand side), and an

octreotate cyclic SST2 targeting moiety (right-hand side). http://spie.org/x26485.xml

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De Guidi & Catalfo - Photosensitization, lights ... 64

Figure 28. PDT principle

Acknowledgements

Thanks to MIUR “Piano Nazionale Lauree Scientifiche for the financial support

References

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photooxidation of 2’-deoxyguanosine by the triplet states and oxyl radicals

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Quaderni di Ricerca in Didattica (Science), n. speciale 10, 2016

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68

Esperimenti di Fisica con la calcolatrice

CASIO fx CG 20 e una centralina CLAB

Pierantonio Garlini – Docente Miur – Formatore Nazionale Casio

E-mail: [email protected]

Abstract. Vari esperimenti sono stati condotti, tra cui molti sulla

luce- polarizzazione, albedo. Qui ho sintetizzato lo psicrometro

di Assman. La caratteristica essenziale di tali esperimenti di fisi-

ca è quella che utilizzano materiali poveri, reperibili a basso co-

sto, tra cui una calcolatrice Casio fx CG 20- grafica. Il confort

percepito in un ambiente è strettamente legato alla temperatura

dell’aria ed alla sua umidità relativa ϕ . Quest’ultima, ad una data

temperatura ed a pressione atmosferica, è espressa dal rapporto

tra la densità del vapor d’acqua alla temperatura ambiente e la

densità che avrebbe lo stesso in condizioni di saturazione.

L’umidità relativa di un ambiente può essere determinata con lo

psicrometro di Assman.

Lo psicrometro di Assman

Lo strumento è costituito da un condotto ad Y nei cui due rami confluenti so-

no posizionati due termometri, uno dei quali con il bulbo contornato da

una garza inumidita con acqua distillata.

Forzando l’aria, con una ventolina, ad attraversare lo strumento i termometri regi-

streranno:

la temperatura di bulbo secco Tbs dell’aria ambiente;

la temperatura di bulbo umido Tbu in prossimità della garza dove l’acqua, evapo-

rando, determina l’abbassamento locale della temperatura per sottrazione di calore

durante evaporazione (calore latente: r = 2501 KJ/kgas).

Note le temperature tbs e tbu, l’umidità relativa è data dalla seguente relazione:

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69 Garlini – Esperimenti di fisica con la calcolatrice …

Obiettivo

Determinare l’umidità relativa in un ambiente mediante la misura di temperatura;

Osservare l’abbassamento di temperatura che si determina a causa dell’ evapora-

zione dell’acqua.

Materiale occorrente

Psicrometro (condotto a Y con ventolina elettrica e due vani per termometri di cui

uno dotato di garza);

acqua distillata;

calcolatrice fx-CG20;

interfaccia C-LAB;

due sonde di temperatura inox − 50 ÷ +130 °C

N. B. lo psicrometro è stato realizzato con materiali di fortuna:

n.1 raccordo a Y per impianti idraulici DN 32;

n.2 retine per tasselli chimici;

n.1 ventolina per microprocessore di recupero.

L’esperimento

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Garlini – Esperimenti di fisica con la calcolatrice ... 70

Per questo l’esperimento occorre esegui le seguenti operazioni:

attiva la ventola (collocata in modo da aspirare l’aria dopo che abbia lambito le

sonde per evitare di alterarne la misura);

inumidisci la garza con acqua distillata (avendo cura di strizzarla bene poiché Il

formarsi di un velo d’acqua sulla sonda influirebbe negativamente sulle condizioni di

scambio termico;

collega le sonde: quella di bulbo asciutto alla porta n. 1 della C- LAB, quella di

bulbo umido alla porta n.2;

accendi le apparecchiature;

Associa le sonde ai canali - Setup

Passaggio #1

Dal MAIN MENU accedi

a E- CON2 con l.

Passaggio #2

Premi q (SET) per at-tivare il menù di Setup.

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71 Garlini – Esperimenti di fisica con la calcolatrice …

Passaggio #3

Premi w (ADVANCE)

per attivare il menù di

Setup avanzato.

Premi 1 (Channel) per attivare il setup dei canali.

Passaggio #4

Premi q (CASIO) per

scegliere il sensore da

associare a CH1.

Passaggio #5

Spostandoti con le frecce

N seleziona temperature e conferma con l.

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Passaggio #6

Premi l per scegliere l’unità di misura [°C].

La prima sonda di tem-

peratura risulta, ora associa-

ta la canale CH1.

Passaggio #7

Spostati con la freccia N

su CH2 e ripeti i passaggi

dal 4 al 6 per associare la

seconda sonda al canale

CH2.

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Passaggio #8

Premi d per tornare al menù precedente.

Definisci le modalità di prova

Passaggio #9

Premi 2 (Sample) per de-

finire le modalità di prova

(Sample Setup).

Passaggio #10

Premi q (R-Time) per

impostare la modalità di

prova Real Time.

Questa modalità è parti-

colarmente indicata per le

prove di breve durata.

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Garlini – Esperimenti di fisica con la calcolatrice ... 74

Passaggio #11

Spostati con N su Interval.

Premi q (NUMBER)

Passaggio #12

Digita 1 per Impostare

l’intervallo di campionamen-

to di [1 sec].

Conferma con l.

Passaggio #13

Spostati con N su Number.

Premi q (NUMBER)

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75 Garlini – Esperimenti di fisica con la calcolatrice …

Passaggio #14

Digita 301 per impostare il nume-

ro di scansioni.

Conferma con l.

Passaggio #15

Con i parametri scelti il

tempo totale di prova risulta

di 5 minuti ed è tale da con-

sentire alla sonda umida di

raggiungere una condizione

di equilibrio nello scambio

termico.

Passaggio #16

Premi d per tornare al menù precedente.

Avvia la prova

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Garlini – Esperimenti di fisica con la calcolatrice ... 76

Passaggio #17

Premi q (START) per avviare la prova.

Passaggio #18

Conferma con l.

Sul display viene vi-

sualizzato l’andamento

grafico della prova.

Un bip segnala il termine.

Analizza i risultati

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77 Garlini – Esperimenti di fisica con la calcolatrice …

Passaggio #19

Osserva il grafico di

CH2, noterai che ha un

andamento asintotico.

Premi q (Trace) e

sposta, con le frecce, il

puntatore sulla destra.

All’istante 291[sec]

leggerai tbu = 22,18[°C ]

Passaggio #20

Premi d per annullare Trace.

Premi B (freccia su) per

passare al grafico del canale

CH1.

Passaggio #21

Premi r (Sketch) e scorri il

menù con u.

Seleziona w (Horizontal) e

posizionati con le frecce nel-

la parte bassa del grafico

CH1 quindi premi l.

Avrai creato una linea orizzontale di demarcazione.

Spostati con le frecce nella parte alta del grafico e pigia nuovamente l per ottene-re un’altra linea orizzontale di demarcazione.

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Garlini – Esperimenti di fisica con la calcolatrice ... 78

Le linee ti consentiranno di leggere meglio i grafici e capire che Tbs oscilla

nell’intervallo 29,45 ≤ Tbs ≤ 29,85.

Conclusioni

Dall’analisi dei risultati hai rilevato che:

la temperatura di bulbo umido tende a stabilizzarsi al valore Tbu = 22,18

°C dopo che il sistema ha raggiunto l’equilibrio;

la temperatura di bulbo secco oscilla tra i valori 29,45°C ≤ Tbs ≤

29,85°C , tra l’alto molto vicini tra loro;

Puoi, dunque, calcolare la temperatura media di bulbo secco:

29,45 29,8529,65

2bs

C CT C

e l'umidità relativa:

0,45 22,18 0,45 29,650,508

0,5867 0,5867 29,85

bu bs

bs

T T C C

T C

Il risultato ottenuto ben si accorda con quello che avresti ottenuto usando il terri-

bile diagramma psicrometrico, presentato qui sotto

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79 Garlini – Esperimenti di fisica con la calcolatrice …

Referenze

Casio Italia - Milano

Pierantonio Garlini – Matematica saper fare 5 volumi – Temi Bolo-

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Online document

www.casio.it

Web site

www.dimensioneducativa.org

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La chimica dell’atmosfera e il clima del nostro

pianeta.

Stefania Gilardoni

Istituto di Scienze dell’Atmosfera e del Clima, Consiglio Nazio-

nale delle Ricerche (ISAC-CNR)

E-mail: [email protected]

Abstract. L’interazione della radiazione solare con le componen-

ti dell’atmosfera definisce il clima del nostro pianeta. La radia-

zione solare (radiazione UV e visibile) che raggiunge la superfi-

cie della terra viene riemessa dal pianeta come radiazione

infrarossa. La radiazione UV-visibile e la radiazione infrarossa

interagiscono con i gas e le particelle presenti in atmosfera, de-

terminando il clima, cioè la meteorologia su larga scala tempora-

le. Alcuni gas presenti in atmosfera, come l’anidride carbonica, il

vapore acqueo, l’ozono, ed il metano, contribuiscono al riscalda-

mento del pianeta (gas serra), mentre le polveri sottili possono

portare ad un aumento o ad una diminuzione della temperatura.

L’effetto delle polveri sottili dipende dai meccanismi di intera-

zione delle stesse polveri con la radiazione e con gli altri compo-

nenti dell’atmosfera.

Il clima e le variabili climatiche

Il tempo atmosferico è l’insieme dei fenomeni atmosferici che avvengono in un

determinato momento, mentre il clima è lo stato medio del tempo atmosferico os-

servato su scala temporale di 20-30 anni. Le variabili climatiche più comunemen-

te analizzate sono la temperatura superficiale globale media, la frequenza delle

precipitazioni, e la quantità di pioggia. Il cambiamento del clima implica, non so-

lo la variazione del valor medio di queste variabili, ma anche il cambiamento del-

la loro varianza, ovvero della deviazione standard.

Il clima del pianeta è governato da due fattori: l’energia proveniente dal sole e la

redistribuzione di questa energia tramite l’atmosfera e gli oceani. La radiazione

solare raggiunge la superficie della terra in direzione tangenzialmente ai poli ed in

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81 Gilardoni – La chimica dell’atmosfera e ...

modo quasi perpendicolare all’equatore, creando un gradiente termico, con tem-

perature maggiori all’equatore rispetto ai poli. Tale gradiente genera una circola-

zione di masse d’aria calda che si muovono dai tropici verso i poli. La circolazio-

ne si suddivide in tre percorsi corrispondenti alle celle di Hadley, alle celle di

Ferrel, e alle celle polari (circolazione generale). All’equatore le masse d’aria cal-

de e umide salgono ad alta quota e si spostano verso i tropici, dove ridiscendono a

basse quote dopo che la loro temperatura è diminuita. Ai poli le masse d’aria

fredda in alta quota scendono verso il basso e si spostano verso le medie latitudini

dove, con l’aumento della loro temperatura, salgono nuovamente a quote superio-

ri. Alle medie latitudini si genera una circolazione complementare alle celle polari

e tropicali, come rappresentato in figura 1. Alla circolazione generale si sommano

i venti locali generati dalla rotazione della terra e dall’attrito delle masse d’aria in

movimento con le asperità della superficie del pianeta. Infine, in corrispondenza

delle regioni dove si generano basse pressioni per l’ascensione di masse d’aria

calde e umide, ovvero all’equatore e nelle zone temperate, si osservano le precipi-

tazioni più frequenti. La circolazione generale, i venti superficiali, e le precipita-

zioni controllano il tempo meteorologico e influenzano il clima attraverso la redi-

stribuzione dell’energia proveniente dal sole.

Figura 1. Circolazione generale atmosferica (da

http://www.seas.harvard.edu/climate/eli/research/equable/hadley.html).

La temperatura del pianeta ha subito numerose variazioni nel passato. Misure ac-

curate della temperatura alla superficie sono iniziate solo nella seconda metà del

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Gilardoni – La chimica dell’atmosfera e ... 82

diciannovesimo secolo. La ricostruzione della temperatura nei secoli e nelle ere

geologiche precedenti si basa quindi su misure indirette, come lo spessore degli

anelli degli alberi, la sviluppo dei coralli, e la concentrazione di specifici isotopi

nei sedimenti e nei ghiacciai. La temperatura geologica è ricostruita dalle misure

isotopiche dell’ossigeno nelle carote di ghiaccio raccolte nelle regioni polari. La

figura 2 mostra l’andamento della temperatura negli ultimi 350.000 anni. Questo

intervallo di tempo è stato caratterizzato da periodi in cui la temperatura era 5-

10°C inferiore alle temperature attuali (periodi glaciali) e periodi più brevi carat-

terizzati da temperature simili alla temperatura odierna (periodi interglaciali)

(Petit et al., 1999). Le temperature più elevate sono sempre state riscontrate nei

periodi caratterizzati da alte concentrazioni di anidride carbonica. A partire dalla

rivoluzione industriale, cioè dalla seconda metà del diciottesimo secolo, la tempe-

ratura superficiale del pianeta è aumentata in modo continuo, fino ad un aumento

medio di 0.85°C. Tale aumento di temperatura però non è omogeneo su tutta la

superficie del pianeta, ma presenta aree caratterizzate da valori superiori a 2°C,

come il nord America, il sud America, ed il continente euroasiatico (IPCC, 2013).

Anche in Italia l’aumento di temperatura medio è stato superiore ai 2°C (Brunetti

et al., 2006).

Figura 2. Andamento delle temperatura (blu) e della concentrazione di anidride carbonica

(verde) negli ultimi 350.000 anni derivanti dall’analisi della carota di ghiaccio di Vostok.

L’andamento della CO2 in epoca industriale dal report dell’IPCC (2011) è riportata in ros-

so (adattato da http://www.pik-

potsdam.de/~stefan/Publications/Journals/rahmstorf_etal_eos_2004.html)

Gli effetti dell’aumento delle temperature sono evidenti in tutto il pianeta, ed in-

cludono i) il ritiro dei ghiacciai, ii) lo scioglimento di parte delle calotte polari,

con conseguente alterazione della salinità degli oceani, delle correnti oceaniche, e

Migliaiadianni

ConcentrazionediCO2(ppm)

AumentodellaCO2inepocaindustriale

Variazio

nedellatem

peratu

ra(K)

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83 Gilardoni – La chimica dell’atmosfera e ...

dell’albedo del pianeta, iii) l’innalzamento del livello del mare (dal 1990 al 2100

si aspetta un incremento di 28-34 cm), e iv) l’aumento della frequenza di eventi

meteorologici estremi, quali le ondate di calore, le inondazioni, e le siccità, con

implicazioni rilevanti per la salute umata, la produzione di cibo, e l’economia

(IPCC, 2013).

Il clima e l’atmosfera

La radiazione ultravioletta e visibile proveniente dal sole raggiunge l’atmosfera. I

gas che costituiscono l’atmosfera sono trasparenti a gran parte della radiazione

proveniente dal sole, Questa radiazione, dopo aver attraversato l’atmosfera, è as-

sorbita dalla Terra e viene poi riemessa dal pianeta come radiazione infrarossa,

ovvero calore. Alcuni gas presenti in atmosfera, quali l’acqua e l’anidride carbo-

nica, assorbono la radiazione infrarossa in uscita, portando ad un aumento delle

temperature. Questo effetto è definito effetto serra. In assenza dell’effetto serra la

temperatura del pianeta sarebbe pari a 15°C sotto lo zero, quindi la presenza

dell’effetto serra è fondamentale per la vita. I gas che controllano l’effetto serra

sono l’anidride carbonica (CO2), il metano (CH4), il protossido di azoto (N2O), e

gli alogeno-carburi.

Le prime misure a lungo termine di un gas serra sono state eseguite dal professor

David Keeling presso l’osservatorio di Manua Loa (Hawaii) a partire dal 1958

(Keeling et al., 1976). Le misure di anidride carbonica di Manua Loa hanno subito

evidenziato l’oscillazione annuale delle concentrazioni di questo gas dovuti al ci-

clo di vita delle piante, accompagnate da un continuo aumento dei valori minimi e

massimi anno dopo anno. Nel 1958 la concentrazione annuale media di anidride

carbonica era pari a 310 parti per milione (ppm), mentre la concentrazione media

nel 2014 era 398 ppm. Rispetto all’epoca preindustriale, la concentrazione di ani-

dride carbonica è aumentata del 55%. Oltre all’anidride carbonica, anche le con-

centrazioni degli altri gas serra sono aumentate. La concentrazione atmosferica di

metano è inferiore rispetto all’anidride carbonica e corrisponde a 1770 parti per

bilione (ppb, equivalenti a 1.77 ppm), mentre la concentrazione in epoca pre-

industriale era 600 ppb, pari ad un incremento del 180%. La concentrazione atmo-

sferica attuale del protossido di azoto attuale è 320 ppb, corrispondente ad un au-

mento rispetto al valore preindustriale del 20%. Gli alogeno-carburi sono una

classe vasta di composti, che includono i fluoro carburi (FC), gli idrofluorocarburi

(HFC), e gli idroclorofluorocarburi (HCFC). Benché la concentrazione di queste

specie in atmosfera sia molto bassa (tipicamente in parti per trilione), la loro ca-

pacità di assorbire la radiazione infrarossa e il tempo di vita in atmosfera sono

molto elevati, e per questi motivi sono definiti High Global Warming Potential

gas (HGWP, gas ad alto potenziale di riscaldamento globale). L’aumento signifi-

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Gilardoni – La chimica dell’atmosfera e ... 84

cativo e rapido dei gas serra dovute alle attività antropiche in epoca industriale ha

condotto all’aumento della temperatura superficiale del pianeta (IPCC, 2013,

IPCC, 2007).

Le sorgenti, i processi di rimozioni atmosferici, e il tempo di permanenza dei gas

serra sono riportati in Tabella 1.

Tabella 1. Gas serra.

Sorgenti Processi di

rimozione

Tempo di vita

CO2 Combustione di

combustibili fossi-

li, produzione di

cemento, e defore-

stazione

Dissoluzione negli

oceani, respirazione

delle piante

5-200 anni

CH4 Decomposizione

anaerobica di ma-

teriale organico,

industria petrolife-

ra

Ossidazione in tropo-

sfera, adsorbimento

nel suolo, ossidazione

in stratosfera

12 anni

N2O Uso di fertilizzan-

ti, combustione di

biomasse, e uso di

combustibili fossi-

li.

Ossidazione in tropo-

sfera e stratosfera

114 anni

Alogeno-

carburi

Refrigeranti, mate-

riali ignifughi, in-

dustria elettronica

Ossidazione in atmo-

sfera

1.4 – 270 anni per HFC e

HCFC, 1000-50000 per

FC e SF6.

I gas serra sono caratterizzati da tempi di permanenza in atmosfera dell’ordine di

anni, quindi possono influenzare le proprietà dell’atmosfera anche lontano dalle

regioni in cui sono emesse. Oltre ai gas serra, esiste una classe di composti pre-

senti in atmosfera e in grado di influenzare il clima, ma caratterizzati da tempi di

vita atmosferici dell’ordine di pochi giorni e quindi responsabili di alterare il cli-

ma in prossimità delle loro sorgenti. Tali composti sono indicati con il nome di

“short lived climate forcers” (SLCF), ovvero forzanti climatiche a tempi di vita

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85 Gilardoni – La chimica dell’atmosfera e ...

brevi. I più importanti SLCF sono il black carbon e l’ozono. Il black carbon è uno

dei componenti delle polveri sottili, e contribuisce al riscaldamento in modo diret-

to, assorbendo la radiazione solare, e indiretto, modificando l’albedo superficiale

e alterando il ciclo di vita delle nubi. Il black carbon è emesso durante la combu-

stione di combustibili fossili e delle biomasse, ed è caratterizzato da un tempo di

permanenza in atmosfera di pochi giorni. L’ozono troposferico è un gas prodotto

dalla reazione di fotolisi degli ossidi di azoto in atmosfera, promossa

dall’ossidazione atmosferica del metano e degli idrocarburi non metanici. Il suo

tempo di vita atmosferico varia da 4 a 18 giorni.

Un recente studio promosso dal programma ambientale delle nazioni unite

(UNEP) ha evidenziato che la riduzione delle emissioni di black carbon e metano

(come principale sorgente di ozono) ha un effetto immediato di rallentamento del

riscaldamento su scala locale e globale. Inoltre tale riduzione avrebbe effetti bene-

fici per la salute umana e la produzione agricola, attraverso la riduzione delle

morti premature dovuta a esposizione degli inquinanti, e l’aumento della produ-

zione agricola di colture (UNEP/WHO, 2011).

Figura 3. Stime del radiative forcing per i diversi costituenti dell’atmosfera nel 2011 rela-

tivi al 1750 (report dell’IPCC, 2013).

Il radiative forcing

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Gilardoni – La chimica dell’atmosfera e ... 86

La capacità di una singola specie chimica di alterare il clima è quantificato attra-

verso il radiative forcing. Il radiative forcing è la differenza tra l’energia solare

che entra in atmosfera e l’energia riflessa verso lo spazio attribuibile ad ogni sin-

golo componente dell’atmosfera. Il radiative forcing è misurato in Watt al metro

quadro (W m2).

La figura 3 mostra il radiative forcing dei gas serra, dei precursori dell’ozono

(monossido di carbonio CO, idrocarburi non metanici NMVOC, e ossidi di azoto

NOx), e del materiale particellare incluso il black carbon. Un valore di radiative

forcing positivo caratterizza la specie responsabili del riscaldamento atmosferico.

Le barre di errore indicano l’incertezza del dato quantitativo. Benché l’incertezza

del radiative forcing del black carbon sia ampia, il black carbon è una delle specie

maggiormente responsabili del riscaldamento atmosferico, insieme ad anidride

carbonica e al metano.

Conclusioni

Molti aspetti dei cambiamenti climatici persisteranno per diversi secoli, anche se

le emissioni di gas serra venissero oggi istantaneamente azzerate, quindi interve-

nire con azioni di contrasto al cambiamento climatico rappresenta un impegno per

diversi secoli a venire. L’ulteriore incremento delle emissioni nel presente implica

la necessità di intervenire con riduzione più stringenti nel futuro, con maggiori

costi economici e sociali. Oggi abbiamo comunque gli strumenti tecnologici e le

conoscenze per intervenire efficacemente nel presente sulle emissioni di gas serra,

perché i costi dell’inazione sono senz’altro maggiori di quelli per le necessarie a-

zioni di mitigazione nel futuro.

References

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88

Energia, potenza, intensità e brillanza di una

sorgente luminosa: dagli Specchi Ustori di Ar-

chimede ai laser super-intensi.

Danilo Giulietti

Dipartimento di Fisica dell’Università e INFN, Pisa

E-mail: [email protected]

Riassunto. Una rivisitazione critica, su basi scientifiche,

dell’episodio storico secondo cui Archimede avrebbe bruciato

con degli specchi alcune navi Romane durante l’assedio di Sira-

cusa nel 212 a.c., offre l’occasione per prendere in esame le prin-

cipali sorgenti di luce ed i limiti imposti dall’Ottica nella sua

concentrazione.

Abstract. A critical review, science-based, of the historical epi-

sode that Archimedes would burn with mirrors some Roman

ships during the siege of Syracuse in 212 BC, provides an oppor-

tunity to consider the main sources of light and the limits im-

posed by the Optics in its concentration.

PACS: 42.15Eq; 42.79Ek; 52.57-z; 41.75.Jv

1. Introduzione.

Il Sole rappresenta la sorgente di radiazione che consente la vita sulla Terra. Per

questo motivo esso è stato fin dalle origini della Storia dell’Uomo venerato come

una divinità. La radiazione solare intercettata dalla Terra corrisponde ad una po-

tenza di circa 100PW. Essa ha la caratteristica di essere diffusa, cosa che la rende

di difficile utilizzazione per le molte attività umane che richiedono elevate con-

centrazioni di radiazione (Intensità, W/m2). Archimede è stato fra i primi che ha

cercato di concentrare la radiazione solare per fini bellici: i famosi Specchi Ustori

mediante i quali avrebbe bruciato le navi Romane che assediavano la città di Sira-

cusa. In realtà, come si può facilmente capire sulla base dell’Ottica, Archimede

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89 Giulietti – Energia, Potenza, intensità e brillanza ...

poteva al massimo arrivare a disturbare (forse accecare) i soldati Romani, non

certo bruciare le navi su cui essi si trovavano. In questo articolo si mostrerà come

l’intensità di radiazione che si riesce a concentrare con un sistema ottico dipenda

dal rapporto (diametro /lunghezza focale) dell’ottica di focalizzazione e dalla bril-

lanza della sorgente, cioè l’intensità che investe il sistema ottico di focalizzazione

diviso l’angolo solido sotto cui è vista la sorgente. I laser sono le sorgenti di luce

più brillanti a nostra disposizione. Le intensità che attualmente si possono ottene-

re concentrando la loro radiazione superano quella del Sole sulla superfice terre-

stre di un fattore 1023

!! Le applicazioni che i laser possono consentire sono innu-

merevoli ed includono, solo per citarne alcune, la diagnostica e terapia medica,

l’accelerazione di particelle, la fusione termonucleare controllata.

2. Archeologia sperimentale.

Gli storici antichi ci riferiscono talvolta di imprese od eventi che tutt’oggi ci sem-

brano impossibili, tanto che siamo portati a ritenerli frutto della loro fantasia. Tut-

tavia i moderni studiosi di storia ed archeologia hanno cominciato negli ultimi de-

cenni a tentare di verificare sperimentalmente la veridicità di alcune di queste

impresse, come ad esempio quella riportata dallo stesso Cesare, nel “De Bello

Gallico”, secondo cui nel 55 a.c. i suoi soldati avrebbero costruito un ponte sul

fiume Reno in soli 10 giorni (Figura 1).

Figura 1. Verifica sperimentale di quanto affermato da Cesare nel “De Bello Gallico”, se-

condo cui nel 55 a.c. i suoi soldati avrebbero costruito un ponte sul fiume Reno in soli 10

giorni.

Una vicenda ancora più nota fin dall’antichità è quella relativa all’assedio di Sira-

cusa da parte dei Romani, nel 212 a.c., secondo cui Archimede, mettendo a profit-

to le sue grandi capacità di matematico, fisico ed ingegnere, avrebbe bruciato al-

cune delle navi Romane che si avvicinavano alle strutture difensive della città

(Figura 2). In effetti gli storici Greci e Romani riportano di alcune macchine da

guerra appositamente progettate da Archimede in quella occasione, ma non men-

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Giulietti – Energia, Potenza, intensità e brillanza ... 90

zionano gli Specchi Ustori in particolare. L’unica testimonianza al riguardo c’è

giunta attraverso compendi e sintesi della “Storia Romana” di Dione Cassio (155-

235 d.c.), attuate nel Medioevo (XII secolo) da Giovanni Tzetzes e Giovanni Zo-

nara.

Non risulta che siano stati fatti tentativi sperimentali per verificare la ve-

ridicità di questa testimonianza, anche se molte sono le dimostrazioni didattiche

nelle quali la concentrazione della radiazione solare (od altra sorgente di luce)

viene impiegata per bruciare un pezzo di carta o accendere un fiammifero. Ben

altra impresa sarebbe quella di mostrare di poter bruciare un pezzo di legno posto

ad alcune decine di metri da uno specchio parabolico che concentri su di esso la

radiazione solare. In effetti, per convincerci che Archimede non poteva bruciare le

navi Romane, ma solamente disturbare o al massimo accecare i marinai su quelle

navi, è sufficiente fare alcune considerazioni sulla capacità di un sistema ottico di

concentrare la radiazione di una sorgente luminosa e, naturalmente, sulla sorgente

luminosa da lui utilizzata: il Sole.

Figura 2. E’ realistico pensare che Archimede durante l’assedio di Siracusa (212 a.c.) sia

riuscito a bruciare le navi Romane con gli Specchi Ustori ?

3. Il Sole.

Il Sole, visto dalla Terra, ci appare come una sfera luminosa di apertura angolare

di circa

≈0.5 gradi. Lo spettro di radiazione che esso emette corrisponde a

quello di un Corpo Nero alla temperatura di circa T≈5800°K ( temperatura super-

ficiale ) (Figura 3). Sulla base di questi soli due dati sperimentali è quindi possi-

bile determinare sia il valore della Costante Solare (I

≈1400W/m2), cioè

l’intensità di radiazione che arriva sulla Terra, che la potenza complessivamente

intercettata dal nostro pianeta (W

≈100PW).

Infatti, indicando:

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91 Giulietti – Energia, Potenza, intensità e brillanza ...

rS = raggio Sole

rT = raggio Terra

dTS = distanza Terra- Sole

s = 5.67´10-8Wm-2K -4  Stefan- Boltzmann constant

T = Temperatura superficiale del  Sole

si ha:

da cui

e quindi

Il fatto che il Sole è visto dalla Terra sotto un angolo

fa sì che l’ombra dei cor-

pi che intercettano la sua radiazione non sia netta, ma appaia una zona così detta

di penombra.

Figura 3. Il Sole, visto dalla Terra, ci appare come una sfera luminosa di apertura angola-

re di circa

≈ 0.5 gradi, con temperatura superficiale di T≈5800°K.

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Giulietti – Energia, Potenza, intensità e brillanza ... 92

Intercettando con un cartoncino i raggi del Sole davanti ad una parete dipinta di

bianco si osserva che l’ombra non è netta, ma vi è una regione di penombra (Fi-

gura 4); misurandone l’estensione si può risalire all’angolo

sotto cui vediamo

il Sole.

h » d ×J    estensione penombra

per  d =1 m    q = 0.5gradi » 0.01 rad  Þ    h » 1 cm

Figura 4. Penombra prodotta da una sorgente estesa.

4. Concentrazione della radiazione luminosa.Un fascio di radiazione sostan-

zialmente parallelo che incide su una lente convergente o su su uno specchio pa-

rabolico (privi di aberrazioni) non viene concentrato su un punto geometrico, co-

me prevederebbe l’Ottica Geometrica, ma su una macchia focale le cui

dimensioni sono determinate dalla diffrazione:

f » 2.44l

Df

dove è il diametro della macchia focale, la lunghezza d’onda della radiazione,

D il diametro dell’ottica di focalizzazione ed f la sua lunghezza focale. Nel caso

del Sole tuttavia l’angolo sotto cui lo vediamo dalla Terra risulta generalmente

hh

dd

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93 Giulietti – Energia, Potenza, intensità e brillanza ...

molto maggiore dell’angolo di diffrazione relativo all’ottica di focalizzazione, per

cui la sua radiazione risulta concentrata in un disco il cui diametro vale:

dove

è l’angolo sotto cui vediamo il Sole.

L’intensità della radiazione solare sul fuoco dell’ottica di focalizzazione risulta

dunque:

I f =D2

f 2I 0 =

D2

f 2a0

2I 0 =

I 0

WF2=

B

F2

dove

F =f

D;  Numero F

a0  = angolo sotto cui  è visto il  Sole

essendo a0 <<1,  W »a0

2  ;   angolo solido 

I 0 = costante Solare

B =I

W;  Brillanza del  Sole 

Come si vede l’intensità che si raggiunge sul fuoco dipende solamente da due fat-

tori. Il numero F, cioè il rapporto lunghezza focale/diametro dell’ottica di focaliz-

zazione e la brillanza del Sole, cioè la sua intensità (costante Solare) diviso

l’angolo solido sotto cui vediamo il Sole, che per piccoli angoli d’apertura è ap-

prossimativamente uguale al quadrato dell’angolo stesso.

A questo punto siamo in grado di valutare l’intensità della radiazione So-

lare una volta che proviamo a concentrarla mediante una lente convergente o uno

specchio parabolico. Chi di noi da ragazzo non ha provato a bruciare con una len-

te un foglio di carta o un mucchietto di paglia secca? (Figura 5). Una comune

lente che si trova in genere nelle nostre case è una lente positiva usata come lente

d’ ingrandimento. In questo caso tipicamente le dimensioni sono di circa 10cm di

diametro e la lunghezza focale è di circa 20cm, cioè F=2. Si ha dunque:

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Giulietti – Energia, Potenza, intensità e brillanza ... 94

con BS »103 W

cm2strad  e  F =

f

D= 2

I f =BS

F 2» 250 

W

cm2

I f = 2500 ´ IS

Osserviamo che in queste condizioni riusciamo ad aumentare di un fattore 2500

l’intensità della radiazione Solare e, non senza una qualche difficoltà, a bruciare

carta e paglia secca. Certamente, non un pezzo di legno !

Figura 5. Nel fuoco di una lente (F=2) l’intensità d’irraggiamento solare aumenta di

2500 volte.

5. Archimede e le navi Romane.

Le navi Romane che assediavano Siracusa dovevano trovarsi a non meno di 50

metri dalle mura della città, dove Archimede avrà presumibilmente collocato i

famosi specchi. Quindi, supponendo che Archimede sia stato capace di costruire

uno specchio di 5metri di diametro (di buona qualità) con una focale di circa 50

metri, l’intensità solare concentrata sulle navi romane non sarebbe stata sufficien-

te a bruciare le vele, né tantomeno il fasciame, ma abbastanza per abbagliare i ma-

rinai, impedendo loro di manovrare efficacemente, mentre dalle mura lungo la co-

sta i Siracusani li bersagliavano mediante il lancio di frecce e proiettili

incendiari. Si ottiene infatti un’intensità sul fuoco dello specchio largamente in-

feriore a quella (come mostrato nel paragrafo precedente) necessaria per bruciare

un foglio di carta!

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95 Giulietti – Energia, Potenza, intensità e brillanza ...

con BS »103 W

cm2strad  e  F =

f

D=

50

5=10

si  ha  I f =BS

F 2»10 

W

cm2=100 ´ IS

mentre servirebbe almeno 104 × IS

6. Brillanza di una sorgente di luce.

Come abbiamo appena visto, nella concentrazione della radiazione luminosa con-

ta non solo l’intensità della sorgente (I=W/m2), ma anche l’angolo di divergenza

della radiazione (), cioè la sua Brillanza ( B= I/ ≈I/2). E’ interessante osser-

vare che la brillanza di una sorgente di luce è una sua caratteristica intrinseca e

non cambia se ci avviciniamo ulteriormente ad essa ovvero se ce ne allontaniamo.

Ritornando infatti al modo in cui abbiamo calcolato la brillanza del Sole, osser-

viamo che, sia l’intensità che riceviamo, sia l’angolo solido sotteso dal Sole dimi-

nuiscono come l’inverso del quadrato della distanza che ci separa da lui; quindi il

loro rapporto, cioè la brillanza del Sole è indipendente dalla sua distanza. Quindi,

durante il movimento di rivoluzione della Terra attorno al Sole, pur variando la

costante solare (è massima quando la terra si trova in condizioni di perielio),

l’intensità sul fuoco di una stessa lente non cambia. Ma cosa succede se ci allon-

tanassimo dal nostro Sole quanto lo siamo dalle altre stelle che vediamo in cielo ?

Chiaramente in questo caso l’intensità sul fuoco della stessa lente sarebbe dram-

maticamente più bassa. Questo non contraddice quanto sopra osservato. Infatti in

questo caso l’angolo sotto cui vedremmo il nostro Sole sarebbe talmente piccolo

da risultare inferiore all’angolo di diffrazione dovuto al passaggio della sua radia-

zione attraverso la lente. In queste condizioni allontanandoci dal Sole diminuireb-

be la sua intensità sulla lente (costante Solare), mentre l’angolo di divergenza del-

la radiazione che attraversa la lente rimane costante, essendo dovuto alla sola

diffrazione.

Prendiamo in esame ora alcune sorgenti di luce alla portata della nostra vita quo-

tidiana: il Sole, una lampada da 100W ed un laserino da 1mW. Come sistema ot-

tico di focalizzazione consideriamo il cristallino del nostro occhio e vediamo di

valutare l’intensità luminosa sul suo fuoco, cioè sulla retina. Il cristallino ha un

diametro circa uguale alla sua lunghezza focale, cioè F≈1. Come si può osservare,

mentre una lampada da 100W può abbagliarci se guardata fissamente, ma nulla di

più, il Sole ed un laserino da solo 1mW possono danneggiarci permanentemente

la retina, in quanto l’intensità che si raggiunge su di essa supera quella sul fuoco

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Giulietti – Energia, Potenza, intensità e brillanza ... 96

di una lente utilizzata per bruciare un foglio di carta, mentre vi concentra la radia-

zione solare. Se non sorprende la pericolosità per i nostri occhi della radiazione

Solare, risulta invece a prima vista stupefacente che lo sia quella di una sorgente

di solo 1mW.

F »1 per  il  cristallino dell 'occhio

Lampada da 100W   BLamp » 0.1 W

cm2strad    ®  I f =

BS

F 2» 0.1 

W

cm2       ® I f = IS

Sole                            BSole »103 W

cm2strad     ®  I f =

BS

F 2»103  

W

cm2       ®  I f =104 ´ IS

Laserino da 1mW     BLaser » 7 ×104 W

cm2strad  ® I f =

BS

F 2» 7 ×104  

W

cm2  ® I f = 7 ×105 ´ IS

La straordinaria brillanza del laser da soli 1mW ci spinge a fare alcune considera-

zioni sulla radiazione laser e su un fenomeno fisico di primaria importanza

nell’Ottica: la diffrazione della luce. In effetti la radiazione laser essendo caratte-

rizzata dalla produzione di un flusso di fotoni identici (emissione stimolata) pre-

senta una divergenza che è semplicemente legata agli effetti diffrattivi prodotti

dalle dimensioni trasversali del mezzo attivo in cui il processo laser si sviluppa.

Nel caso del piccolo laser da 1mW possiamo supporre una dimensione trasversa

del mezzo attivo dell’ordine di 1mm, cui corrisponde un angolo di diffrazione e

relativo angolo solido:

qdiff = 2.44l

2.44´5 ×10-5

0.1»1.2 ×10-3rad

W »qdiff

2 »1.5 ×10-6

e quindi una brillanza

B=I laser

W» 7 ×104 W

cm2sterad

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97 Giulietti – Energia, Potenza, intensità e brillanza ...

Il laserino da 1mW emette indubbiamente una piccolissima potenza, ma la sua di-

vergenza è talmente bassa da produrre una brillanza superiore a quella del Sole.

Ed è la brillanza a determinare l’intensità sul fuoco !

7. LASER.

Come si è visto nel paragrafo precedente i laser, grazie alla loro estrema direzio-

nalità, sono caratterizzati da altissimi valori di brillanza e quindi sono fra le sor-

genti di luce quelle che consentono i più alti valori di intensità, una volta focaliz-

zati.

Esiste una grande varietà di sistemi laser, che lavorano su frequenze che

vanno dall’infrarosso all’ultravioletto. Essi si raggruppano in due grandi famiglie:

i laser in continua, che emettono un flusso di radiazione continuo nel tempo e

quelli impulsati. I primi possono trasportare importanti quantità di energia e ven-

gono utilizzati, una volta focalizzati, per tagliare con grande precisione i più sva-

riati tipi di materiali. Le loro massime potenze sono dell’ordine di decine di KW. I

laser impulsati al contrario emettono impulsi di radiazione da pochi Joules, fino a

106

Joules, con durate d’impulso che vanno da poche decine di fs (10-15

s) fino ad

alcuni ns(10-9

s). Le potenze emesse sono anch’esse molto variabili e vanno da po-

chi Watts fino ad una decina di PW (1PW=1015

W). La potenza dei sistemi laser è

andata progressivamente aumentando a partire dalla loro scoperta nel lontano

1960, grazie alle sempre nuove tecniche di amplificazione accompagnate ad una

progressiva riduzione della durata degli impulsi (Figura 6).

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Giulietti – Energia, Potenza, intensità e brillanza ... 98

Figura 6. Intensità massima dei sistemi laser dalla loro nascita ad oggi e corrispondente

energia di oscillazione di un elettrone sotto l'azione del campo elettrico dell'onda elettro-

magnetica. L'energia è espressa in eV (1eV=1.6x10-19

J).

Fra le applicazioni più importanti che i laser di grande potenza consentono ve ne

sono due che si impongono su tutte le altre: la Fusione Termonucleare Controllata

via Laser (ICF) e l’accelerazione di elettroni nei plasmi prodotti da laser. I laser

impiegati negli esperimenti collegati all’ICF (Figura 7) hanno la durata tipica del

ns, in quanto essi hanno il compito di comprimere e riscaldare il combustibile nu-

NL Optics

INFN - PLASMONX

Isole

=0.1Wcm-2

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99 Giulietti – Energia, Potenza, intensità e brillanza ...

cleare (tipicamente D-T) al fine di rendere possibile un adeguato numero di pro-

cessi di fusione dei nuclei di D e T, che ha come conseguenza la creazione di nu-

clei di 4He, accompagnata dall'emissione di un neutrone, ed il rilascio di una co-

spicua quantità di energia sotto forma di energia cinetica dei prodotti di reazione:

n (14.1 MeV) ed 4He (3.5 MeV) (Figura 8).

Figura 7. Il laser ABC del Centro Ricerche ENEA di Frascati. Laser a Nd che emette,

a ≈1µm, due fasci da 100J della durata di circa 3ns.

La durata del ns è in questo caso necessaria giacché il processo idrodinamico di

compressione, sostenuto dall’irraggiamento laser, si sviluppa su tempi tipici di

centinaia di ps (1ps=10-12

s).

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Giulietti – Energia, Potenza, intensità e brillanza ... 100

Figura 8. Tipico esperimento di ICF. Capsula di D-T irraggiata indirettamente dalla ra-

diazione X prodotta inviando numerosi fasci laser su un involucro cilindrico di Oro.

Nel caso dell’accelerazione di elettroni nei plasmi i laser impiegati hanno caratte-

ristiche completamente differenti da quelli usati per l’ICF. Per l’accelerazione la-

ser-plasma l’energia per impulso è di soli pochi Joules, ma la durata dell'impulso

è estremamente corta, poche decine di fs (1fs=10-15

s). In questo modo le potenze

impulsive liberate sono enormi, fino ad alcuni PW (Figura 9).

Figura 9. Laboratori Nazionali di Frascati Amplificatore finale del LASER del Pro-

getto Strategico dell’INFN “PLASMONX”. Il laser Ti:Sapphire (≈1µm) libera 6J in

20fs (300TW) per impulso, con frequenza di ripetizione di10Hz.

La brevità dell’impulso e le elevatissime intensità che si raggiungono focalizzan-

dolo sul plasma consentono di eccitare onde elettroniche di plasma di grande am-

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101 Giulietti – Energia, Potenza, intensità e brillanza ...

piezza, il cui enorme campo elettrico longitudinale permette di portare elettroni ad

energie di qualche GeV su distanze di pochi centimetri (Figura 10). Le applica-

zioni che queste nuove tecniche di accelerazione consentono sono innumerevoli.

Infatti le ridotte dimensioni degli apparati, paragonati a quelle gigantesche degli

acceleratori convenzionali (CERN), rendono fattibile nel campo della diagnostica

e della terapia medica l'impiego di fasci di particelle energetiche. A loro volta

queste particelle cariche di grande energia permettono di realizzare sorgenti se-

condarie di radiazione X-gamma, anch'esse utilizzabili per gli scopi appena men-

zionati ed altri ancora.

Figura 10. Un impulso laser super-intenso ed ultra-corto genera in un plasma onde e-

lettroniche il cui enorme campo elettrico longitudinale accelera un pacchetto di elettroni

ad energie dell’ordine del GeV su distanze di pochi centimetri.

8. Conclusioni.

Il Sole rappresenta la più importante sorgente di energia di cui possiamo disporre

sulla Terra.

Tuttavia questa forma di energia è diffusa, anche se con intensità diversa, su tutta

la superficie Terrestre; la sua concentrazione ha rappresentato da sempre un ob-

biettivo ambizioso per l’Uomo. Archimede è stato fra i primi (212 a.c.) ad ottene-

re dei risultati sorprendenti, concentrando la radiazione Solare mediante specchi

di grandi dimensioni, tecnologicamente assai avanzati per i suoi tempi. Ora con

l’avvento dei LASER le concentrazioni di radiazione luminosa possono raggiun-

gere valori sorprendentemente elevati (oltre 1022

volte la Costante Solare !!), che

consentono numerose applicazioni: dalla Fusione Termonucleare Controllata,

all’accelerazione di particelle mediante apparati dalle ridotte dimensioni, alla dia-

gnostica e terapia medica dei tumori.

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Giulietti – Energia, Potenza, intensità e brillanza ... 102

Bibliografia.

1) D. Giulietti (2004). Shaped pre-formed plasmas for laser wake-field accelera-

tion experiments, in “Atoms and Plasmas in Super-Intense Laser Fields”, edited

by Italian Physical Society, pp.119-139.

2) D. Giulietti and A. Macchi (2007). Laser Superintensi per tutti, Il Nuovo Sag-

giatore, 23, 76-84.

3) D. Giulietti and L. Labate (2009). Laser plasma acceleration and related elec-

tromagnetic sources, Progress in Ultrafast Intense Laser Science V, Springer Se-

ries in Chemical Physics , 165-185.

4) D. Giulietti (2014). The particle laser-plasma acceleration in Italy, Journal of

Physics: Conference Series 508 (2014) 012001 doi:10.1088/1742-

6596/508/1/012001

5) A. Curcio and D. Giulietti (2015), Innovative X- ray sources based on laser-

produced plasmas, NIM B, DOI:10.1016/j.nimb.2015.03.023

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103

Tecnologie per l’ENERGia e l’Efficienza ener-

gETICa (ENERGETIC)

Salvatore Antonino Lombardo

Istituto per la Microelettronica e Microsistemi (IMM) - Consiglio

Nazionale delle Ricerche (CNR), Z.I., VIII Strada, 5, 95121 Catania

Sommario. Il progetto dal titolo "Tecnologie per l’ENERGia e l’Efficienza

energETICa", acronimo ENERGETIC, è un progetto di Ricerca e di Forma-

zione del Programma PON Ricerca e Competitività 2007-2013. Il Soggetto

Attuatore è il Distretto Tecnologico Sicilia Micro e Nano Sistemi. I Soci

coinvolti sono l'Istituto per le Tecnologie Avanzate, la società Engineering

– Ingegneria Informatica S.p.A., l'Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF),

la Italtel S.p.A., la STMicroelectronics S.r.l., l'Università degli Studi di

Messina, l'Università degli Studi di Palermo, il Consiglio Nazionale delle

Ricerche (CNR), con due Istituti (l'IPCF e l'IMM), e l'Università degli Studi

di Catania.

Il Progetto studia tecnologie per sistemi fotovoltaici e per l’efficienza energetica su a-

spetti concernenti materiali, dispositivi, e ICT. Ci si focalizza su quattro ambiti:

Fotovoltaico II e III gen.

Transistor di potenza (settore industriale, motori elettrici, automobili ibri-

de ed elettriche, illuminazione, etc.)

Hardware: reti di sensori wireless alimentati da fotovoltaico; sistemi foto-

voltaici per uso domestico

Software per l’efficienza energetica per home, building e campus

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Lombardo –Tecnologie per l’ENERGia e ... 104

Figura 1. Cella e Mini-Modulo Fotovoltaico di Silicio Amorfo Idrogenato su Substrato

Flessibile

Il progetto è impostato su settori strategici nel campo delle rinnovabili e dell’efficienza

energetica, con particolare attenzione alle realtà industriali presenti nel territorio e cercan-

do di sfruttare le ottime competenze scientifiche e di ricerca delle Università e degli Istitu-

ti del CNR presenti in Sicilia. Nel settore delle rinnovabili e dell’efficienza energetica il

progetto segue l’intero percorso tecnologico che va dai materiali e dispositivi elementari,

all’hardware e al software per l’efficienza energetica, focalizzandosi su alcune enablingte-

chnologies e su aspetti rilevanti.

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105 Lombardo –Tecnologie per l’ENERGia e ...

Figura 2. Modulo MPPT per Mini-Modulo Fotovoltaico e Antenna per Nodo di Rete di

Sensori Wireless

Nell’ambito del fotovoltaico il progetto studia alcune tecnologie e materiali per realiz-

zare celle fotovoltaiche di II e III generazione. Abbiamo studiato nuovi ossidi trasparenti

conduttivi che consentono migliore intrappolamento della luce per celle solari a film sotti-

le. La tecnologia è stata provata con successo su celle e moduli fotovoltaici micromorfe.

Sono stati realizzati prototipi di moduli fotovoltaici a film sottile di silicio amorfo su sup-

porto flessibile (Fig. 1), adatti a energizzare sensori wireless per il controllo ambientale.

Sono stati realizzati prototipi di celle solari di III generazione a colorante di alta perfor-

mance e ideate nuove tecnologie di condizionamento elettrico per estenderne la durata. Il

fotovoltaico è una fonte rinnovabile di enorme potenzialità ma è limitata dal fatto che

l’energia è disponibile solo in presenza di illuminazione solare. Da ciò l’importanza

dell’immagazzinamento dell’energia, ad es. batterie e stoccaggio di idrogeno. In

ENERGETIC sono studiati nuovi materiali per lo stoccaggio a stato solido dell’idrogeno

con primi risultati interessanti. Riguardo ai dispositivi discreti per l’efficienza energetica,

sono stati realizzati vari prototipi di transistor di potenza con nuove architetture che con-

sentono di migliorare il compromesso tra Ron e tensione di breakdown, permettendo di ri-

durre la prima e aumentare la seconda molto significativamente. Le tecnologie studiate

(Multi-Drain, OFT, e IGBT) sono basate su architetture innovative, ad esempio a canale

verticale, o con elettrodi sepolti, o fanno uso di tecniche di processing non convenzionale

quali fette di silicio ultra-sottili o laser annealing per ‘attivazione dei droganti. Un caso a

parte è quello dei diodi in SiC ad altissima tensione di breakdown. In tal caso il semicon-

duttore stesso utilizzato per realizzare il componente, invece del classico silicio, è un nuo-

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Lombardo –Tecnologie per l’ENERGia e ... 106

vo materiale, il Carburo di Silicio, politipo 4H (4H SiC), che ha il vantaggio di possedere

una gap molto grande, ideale per realizzare giunzioni con alta tensione di breakdown. Pas-

sando dai componenti elementari (celle solari, diodi e transistor), all’hardware, in

ENERGETIC si sta realizzando un prototipo di sensore wireless per il controllo ambienta-

le, con modulo solare a film sottile, MPPT e DC-DC converter (Fig. 2), batteria a film sot-

tile, board con i sensori, microcontroller, e tranceiver. Si stanno inoltre studiando nuovi

Inverter e sistemi di controllo per impianti fotovoltaici domestici. Infine, per quanto con-

cerne i sistemi software, stiamo realizzando dei prototipi di software per la gestione

dell’efficienza energetica in building o campus, e per l’educazione all’uso efficiente delle

risorse energetiche. In conclusione, il progetto segue un grosso ventaglio di nuove tecno-

logie per il fotovoltaico e l’efficienza energetica, con buone prospettive di innovazioni di

interesse industriale. Ulteriori informazioni sono disponibili su:

http://www.distrettomicronano.it/drupal/it/content/progetto-energetic

Desidero ringraziare l'Ing. Filippo Darpa, la Prof.ssa Maria Grazia Grimaldi, l'Ing. Sal-

vatore Frisella, l'Ing. Leoluca Liggio, la Dott.ssa Giovanna Leanza, e il Dott. Corrado

Spinella per il grande aiuto e supporto per l'organizzazione e gestione di ENERGETIC.

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Esperienze visive a colori, psicofisica e fisiolo-

gia della visione a colori - Introduzione alla co-

lorimetria

Claudio Oleari

Dipartimento di Fisica e Scienze della Terra, Università degli

Studi di Parma

[email protected]

Riassunto. Questo articolo propone una rassegna degli standard

psicofisici e psicometrici per la colorimetria della “Commission

International de l’Éclarage” (CIE), dandone succintamente le ra-

gioni fenomenologiche.

1. Introduzione

Il colore come sensazione è incomunicabile ed i nomi con cui li richiamiamo sono

solo parole convenute per la comunicazione. Il fisiologo Arne Valberg scrive [1]:

“… how brain activity gives rise to conscious experience remains an

enigma, as enigmatic is the process behind colour qualities, e.g., the

redness of red.”

Ciononostante è possibile costruire una corrispondenza tra sensazioni di colore e

radiazioni luminose e così costruire la colorimetria.

La colorimetria è il capitolo dell’ottica che, come dice la parola, si occupa

della misurazione del colore. La sua importanza pratica è grande ed evidente, ba-

sta pensare alla riproduzione del colore, dalla fotografia, alla stampa, alla televi-

sione. È una disciplina antica che si è evoluta attraverso una successione di fasi

strettamente legate alla fisiologia, alla fisica e alla psicologia. Tutt’oggi non è ri-

tenuta chiusa e probabilmente la sua chiusura coinciderà con la comprensione to-

tale del fenomeno della visione a colori. Le varie fasi storiche della colorimetria,

caratterizzate dal tipico nome inglese, sono tre:

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108 Oleari – Esperienze visive a colori, psicofisica e fisiologia...

1. La fase del colour matching è la fase psicofisica, iniziata con Isaac Newton

(1671) e terminata con James C. Maxwell (1860), che per primo misurò le

funzioni colorimetriche (“colour-matching functions”);

2. La fase della colour difference è la fase psicometrica, riguarda le scale di co-

lore ed è iniziata con Hermann von Helmholtz (1891-92) ed Ervin Schrödin-

ger (1920), che posero e discussero il problema della metrica nello spazio del

tristimolo;

3. La fase della colour appearance riguarda la percezione; in senso psicofisico

la “colour appearance” studia il colore percepito sotto l’influenza di due fatto-

ri apparentemente contraddittori:

- da una parte il fenomeno della costanza del colore, secondo il quale il co-

lore percepito di un oggetto illuminato sembra non mutare al cambiare

dell’illuminazione;

- dall’altra parte la mutevolezza del colore percepito in relazione al campo

prossimale, al contorno, allo sfondo e al livello d’illuminazione.

Le grandezze definite nella fase del “colour matching” sono dette psicofisiche,

quelle della “colour difference” sono dette psicometriche e, infine, quelle della

“colour appearance” percepite.

La distinzione tra queste fasi può essere meglio compresa dopo avere dato po-

chi rudimenti sulla fisiologia dell’occhio.

La pratica colorimetrica si basa su norme e raccomandazioni della “Commis-

sion International de l’Éclarage” (CIE) [2], alle quali si riferisce quanto esposto in

questo articolo. In bibliografia [2-16] sono raccolte le pubblicazioni ritenute più

significative e tra queste si indica il “Wyszecky and Stiles, Color Science, 1982”

[3] quale riferimento primo per autorevolezza e completezza. Gli altri testi in bi-

bliografia [17-20] riguardano classiche applicazioni della colorimetria.

In questo articolo non si considera la colorimetria attuata mediante atlanti di

colori. Questa è sotto molti aspetti alternativa e complementare alla colorimetria

qui considerata. Essa si è sviluppata sulla base di specifici sistemi di ordinamento

dei colori, che richiederebbero una trattazione a parte. Citiamo solo i nomi dei si-

stemi colorimetricamente più significativi: il sistema Munsell, il sistema NCS

(“Natural Colour System”), il sistema DIN (“Deutsche Institut für Normung”) e il

sistema OSA-UCS (“Optical Society of America - Uniform Color Scales”). La

concretezza dei campioni fisici offerti da tali sistemi li rende utili strumenti prati-

ci, nonostante che i campioni di colore debbano essere osservati sotto

l’illuminazione di definite sorgenti. Esistono atlanti molto usati in ambiente indu-

striale che non sono qui citati, e ciò è dovuto al fatto che questi non si basano su

propri e significativi sistemi di ordinamento dei colori.

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Oleari – Esperienze visive a colori, psicofisica e fisiologia ... 109

2. Fisiologia dell’occhio [4]

In colorimetria l’occhio è considerabile come una camera ottica sferica (Fig. 1).

La radiazione luminosa è fisicamente misurata fuori dall’occhio e l’intervallo

di lunghezze d’onda della luce visibile è ~ 360760 nm. La luce che entra

nell’occhio è detta stimolo di colore e questo è fisicamente rappresentato dalla ra-

dianza spettrale Le,λ [W/(sr m2 nm)].

I fotorecettori si suddividono secondo la loro forma in bastoncelli e coni e so-

no operativi in presenza di diversi flussi luminosi:

1) i bastoncelli sono attivi a basso flusso luminoso, tipico del crepuscolo, e la vi-

sione, detta scotopica, è acromatica;

2) i coni sono operativi ad alto flusso luminoso, tipico della luce diurna, e la vi-

sione, detta fotopica, è a colori perché i coni sono di tre tipi caratterizzati da

tre differenti fotopigmenti (Fig. 5);

3) esiste una regione intermedia, detta mesopica, in cui operano sia i bastoncelli

che i coni; questa è tipica della visiva che si ha durante la guida automobili-

stica notturna.

Noi siamo interessati alla visione a colori, quindi consideriamo solo i coni.

L’assorbimento della luce da parte dei coni è il primo atto del processo della vi-

sione a colori. I coni dotati di fotopigmento con maggiore assorbimento di luce al-

le corte lunghezza d’onda sono detti coni S, quelli con maggiore assorbimento alle

medie lunghezza d’onda coni M e quelli con maggiore assorbimento alle lunghe

coni L (Fig. 5).

Il numero di fotoni assorbiti dai tre tipi di coni nell’unità di tempo è detto atti-

vazione dei coni. Questa è una grandezza definita sulla base sul principio

dell’univarianza di Rushton, il quale afferma che l’effetto visivo di una radiazione

dipende solo dal numero di fotoni assorbito nell’unità di tempo ed è indipendente

dalla loro energia. Ciò comporta che un fotone, una volta assorbito dal pigmento

di un cono attiva un processo nervoso il quale è indipendente dall’energia del fo-

tone. Fotoni dotati di diversa energia hanno loro proprie probabilità di essere as-

sorbiti e quindi producono differenti effetti visivi. Le attivazioni dei tre tipi di co-

ni costituiscono una terna di numeri sufficiente a specificare il colore della luce,

perché in ogni definita situazione visiva la corrispondenza tra attivazioni dei coni

e sensazioni di colore è biunivoca.

La luce che entra nell’occhio attraversa mezzi con differenti indici di rifrazio-

ne e si focalizza sul fondo dell’occhio, il quale è ricoperto da una membrana sen-

sibile alla luce, detta retina. In questo percorso la distribuzione spettrale di poten-

za della luce è alterata dalla lente dell’occhio (cristallino), la quale assorbe

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110 Oleari – Esperienze visive a colori, psicofisica e fisiologia...

fortemente la luce nella regione delle corte lunghezze d’onda al di sotto di 450 nm

(Fig. 2).

Figura 1. Sezione dell’occhio e sezione ingrandita della retina

Figura 2. Densità ottica del cristallino nell’essere umano adulto giovane.

La retina è una membrana non uniforme costituita da vari strati di cellule di

diverso tipo e con ruoli specifici nel processo della visione a colori. Lo strato di

cellule più esterno è costituito dai fotorecettori (Fig. 1).

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Oleari – Esperienze visive a colori, psicofisica e fisiologia ... 111

La radiazione efficace per la visione è quella che ha attraversato tutto l’occhio,

retina compresa. In particolare la parte centrale della retina, detta macula lutea,

contiene un pigmento inerte che, assorbendo selettivamente la radiazione lumino-

sa, ne modifica la distribuzione spettrale di potenza (Fig. 3, 4). Ciò comporta che

la luce che colpisce i fotorecettori nella regione maculare sia spettralmente modi-

ficata rispetto alla regione extramaculare.

Figura 3. Fondo dell’occhio umano visto attraverso la pupilla con evidenziata la zona della

macula lutea.

Figura 4. Densità ottica del pigmento della macula lutea m(λ).

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112 Oleari – Esperienze visive a colori, psicofisica e fisiologia...

Figura 5. Densità ottiche relative dei fotopigmenti dei tre tipi di coni S(),M(λ) e L(λ).

Figura 6. Soglia di discriminazione λ tra radiazioni monocromatiche equiluminose.

Tale differenza porta a definire due diversi sistemi colorimetrici, uno per la regio-

ne maculare e l’altro per la regione periferica. Il campo visivo relativo alla visione

maculare ha per convenzione un angolo solido la cui sezione è inferiore a 4°,

mentre la visione periferica riguarda un angolo solido con sezione di 10°.

I segnali generati localmente dai coni vengono confrontati ed elaborati dalle

cellule degli strati prossimi della retina. Il risultato di questo confronto è condi-

zionato dagli analoghi segnali generati nella retina in corrispondenza del campo

prossimale e del contorno. Il risultato è che la sensazione di colore in ogni punto

dipende dalla situazione visiva globale. Tale elaborazione, che costituisce il se-

condo atto nel fenomeno della visione a colori, non è ancora pienamente cono-

sciuta.

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Oleari – Esperienze visive a colori, psicofisica e fisiologia ... 113

Il terzo atto avviene nel cervello ed è meno conosciuto.

Questo sistema di tre fotorecettori è molto efficiente e consente una discrimi-

nazione tra radiazioni luminose monocromatiche con differenza in lunghezza

d’onda compresa tra 1 e 3 nm in un’ampia parte dell’intervallo visibile (Fig. 6).

Ciò impone che la strumentazione colorimetrica sia tarata con una incertezza non

superiore a 1 nm.

Tavola 1. Fasi storiche della colorimetria, stadi della visione, campi visivi e sistemi

standard CIE.

Fasi storiche / zone / sistemi

1a fase storica

“colour matching”

2a fase storica

“colour difference”

3a fase storica

“colour ap-

pearance”

1a stadio della vi-

sione:

trasduzione

2o stadio della visione:

adattamento

3o stadio della

visione

sistema psicofisico sistema psicometrico ...

c

a

m

p

o

visione

foveale

(campo visi-

vo <4°)

Osservatore Stan-

dard

CIE 1931

(X, Y, Z)

-

Osservatore di Vos

-

Osservatore Fon-

damentale CIE 2°

sistema CIELUV

(L*, u*, v*)

-

sistema CIELAB

(L*, a*, b*)

CIECAM97

CIECAM02

Retinex

v

i

s

i

v

o

visione ex-

tra-foveale

(campo vi-

sivo 10°)

Osservatore Stan-

dard Supplementare

CIE 1964

(X10, Y10, Z10)

-

Osservatore Fon-

damentale CIE 10°

sistema CIELUV

(L*10, u*10, v*10)

-

sistema CIELAB

(L*10, a*10, b*10)

...

La descrizione fin qui data della retina è sufficiente a definire i vari sistemi co-

lorimetrici in funzione della regione della retina e in funzione dello stadio del

processo visivo (Tavola 1). Gli standard colorimetrici presentati in tabella 1 sono

della CIE ad esclusione dell’osservatore di Vos e del sistema Retinex.

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114 Oleari – Esperienze visive a colori, psicofisica e fisiologia...

3. Colorimetria psicofisica

Si inizia considerando la visione nella regione maculare a cui è associato

l’Osservatore Standard CIE 1931.

Le attivazioni dei coni sono specificate da una terna di numeri che soddisfano

alle regole dell’addizione (leggi di Grassmann) e sono ben rappresentate da punti

in uno spazio vettoriale lineare tridimensionale, noto come spazio del tristimolo.

In questo caso il sistema di riferimento è detto fondamentale. Sono possibili molti

sistemi di riferimento e tra questi consideriamo

- il sistema di riferimento fondamentale LMS,

- il sistema di riferimento strumentale RGB,

- il sistema di riferimento XYZ del sistema colorimetrico standard CIE 1931.

Per ragioni didattiche introduciamo prima il sistema di riferimento fondamen-

tale e poi, partendo da questo, definiremo l’RGB e infine il riferimento più usato,

l’XYZ.

3.1 Spazio del tristimolo e sistema di riferimento fondamentale

Le attivazioni dei coni prodotte da uno stimolo di colore di radianza spettrale Le,

sono proporzionali a tre numeri (L, M, S), rispettivamente per i coni L, M ed S,

detti valori del tristimolo, e così definibili

780 780 780

e, e, e,

380 380 380

( ) d , ( ) d , ( ) dL L l M L m S L s

dove le funzioni )(l , )(m e )(s (Fig. 7), dette funzioni colorimetriche (in

inglese “colour-matching functions”), sono rispettivamente le sensibilità spettrali

dei coni L, M e S, e tengono conto anche dell’assorbimento di luce nel cristallino

e nella macula lutea. Le funzioni colorimetriche sono normalizzate in modo che S

= M = L = 1 per lo stimolo equienergetico Le, = 1. Ciò comporta che le

)( ),( ),( sml rappresentano le componenti del vettore tristimolo associato

alle radianze unitarie e monocromatiche di lunghezza d’onda λ (Fig. 8). Le pro-

prietà matematiche dello spazio del tristimolo furono definite per la prima volta

dalle leggi di Grassmann (1853), ma l’idea originale fu di Newton (1704) ed è no-

ta come regola del centro di gravità.

L’addizione dei colori, intesa come addizione di luci e di sensazioni, è rappre-

sentata nello spazio del tristimolo dall’addizione dei corrispondenti vettori.

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Oleari – Esperienze visive a colori, psicofisica e fisiologia ... 115

Figura 7. Funzioni colorimetriche nel sistema di riferimento fondamentale per visione foveale

)( ),( ),( sml .

Figura 8. Visione prospettica dello spazio del tristimolo nel sistema di riferimento fondamen-

tale con gli stimoli monocromatici di radianza unitaria, il piano del diagramma di cromaticità,

la linea spettrale, e gli assi dei sistemi di riferimento RGB e XYZ.

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116 Oleari – Esperienze visive a colori, psicofisica e fisiologia...

Figura 9. Diagramma di cromaticità nel sistema di riferimento fondamentale. Le aree dei

triangoli SMQ, LSQ e MLQ sono proporzionali alle corrispondenti coordinate baricentriche (l,

m, s).

La definizione dei vettori (L, M, S) comporta che la corrispondenza tra stimoli

di colore e vettori tristimolo è univoca, cioè molti ad uno, infatti esistono radianze

differenti a cui corrispondono uguali attivazioni (L, M, S) e che, quindi, produco-

no uguali sensazioni di colore. Questo fenomeno è detto metamerismo e gli stimo-

li di colore che producono uguali sensazioni di colore sono detti stimoli metame-

rici o metameri.

La lunghezza dei vettori è relativa all’entità dello stimolo di colore e la dire-

zione è relativa alla sensazione cromatica. Poiché le direzioni dei vettori sono in

corrispondenza biunivoca con i punti intersezione tra le linee su cui giacciono i

vettori e un piano, si suole classificare le sensazioni cromatiche mediante questi

punti. Questi punti rappresentano la cromaticità e costituiscono una figura detta

diagramma di cromaticità (Fig. 8 e 9), il cui ruolo pratico è molto importante. Nel

diagramma di cromaticità le luci monocromatiche sono rappresentate da punti che

costituiscono il luogo spettrale, il segmento che unisce le regioni estreme delle

corte e delle lunghe lunghezze d’onda riguarda le tinte porpora e la regione cen-

trale del diagramma riguarda i colori acromatici. Sul diagramma di cromaticità gli

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Oleari – Esperienze visive a colori, psicofisica e fisiologia ... 117

stimoli di colore sono rappresentati da coordinate baricentriche o areolari (l, m,

s)

1,,,

smlSML

Ss

SML

Mm

SML

Ll .

Le proprietà di queste coordinate sono molto utili nel trattare l’addizione di

stimoli di colore (sintesi additiva). Ogni luce ottenuta dalla somma di altre due

luci ha la cromaticità che si trova sul segmento che unisce le cromaticità di que-

ste. È su questa proprietà che si basano le definizioni dei colori complementari,

della lunghezza d’onda dominante e della purezza:

1) complementari sono le coppie di colori che, se miscelati in rapporto opportuno

desumibile dal diagramma di cromaticità, producono un colore acromatico;

2) data una luce metamericamente uguale alla somma di una luce monocromatica

e una bianca, si definisce sua lunghezza d’onda dominante la lunghezza

d’onda della radiazione monocromatica;

3) data una luce metamericamente uguale alla somma di una luce monocromatica

e una bianca, la sua purezza d’eccitazione (definita nell’intervallo 0 ÷ 1) è de-

finita dal rapporto tra la distanza tra la sua cromaticità e la cromaticità della

luce bianca e la distanza tra la cromaticità della luce monocromatica e della

bianca (poiché la purezza d’eccitazione dipende dal diagramma di cromaticità

scelto, si preferisce usare la purezza colorimetrica definita dal rapporto tra le

luminanze della luce monocromatica e la luminanza della luce stessa).

3.2 Spazio del tristimolo e sistema di riferimento strumentale RGB

Il riferimento RGB assume importanza pratica nell’utilizzo di apparati tricromati-

ci (televisione, telecamere, fotocamere digitali, …), ma ha avuto il suo primo ruo-

lo nella misurazione delle funzioni colorimetriche, le quali furono misurate indi-

rettamente tramite l’uguagliamento metamerico dei colori. Due sono le tecniche

usate: 1) la tecnica nota come “maximum saturation technique” e 2) la tecnica

della minima saturazione di Maxwell. Qui ci limitiamo a considerare solo la pri-

ma tecnica a cui si riferiscono gli standard CIE. Questa tecnica richiede la scelta

di tre luci monocromatiche come luci di riferimento, generalmente una rossa, una

verde e una blu, alle quali corrispondono tre vettori che definiscono il sistema di

riferimento. Sono le tinte di tali luci di riferimento, “Red”, “Green” e “Blue”, a

generare l’acronimo RGB. Nell’uguagliamento metamerico dei colori due miscele

di luci sono proposte all’osservatore in un campo bipartito (Fig. 10 e 11). Le luci

che entrano in queste due miscele sono le luci di riferimento e una luce monocro-

matica di radianza unitaria Le(λ e lunghezza d’onda L’osservatore può modi-

ficare le radianze LR, LG e LB delle tre luci di riferimento fino a che si raggiunge

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118 Oleari – Esperienze visive a colori, psicofisica e fisiologia...

l’uguagliamento delle due miscele di luci. Il caso di Fig. 11 considera la lunghez-

za d’onda λ della luce monocromatica compresa tra le lunghezze d’onda della lu-

ce verde e della luce blu, supponendo monocromatiche anche le luci di riferimen-

to. Nel riferimento RGB le funzioni colorimetriche alla lunghezza d’onda λ sono

proporzionali alle radianze delle luci di riferimento RR Lkr )( , GG Lkg )(

e BB Lkb )( , in cui le costanti di proporzionalità sono costanti di normalizza-

zione definite in modo che allo stimolo equienergetico corrispondano valori del

tristimolo uguali. In questo riferimento i valori del tristimolo sono definiti dagli

integrali

780 780 780

e, e, e,

380 380 380

( ) d , ( ) d , ( ) dR L r G L g B L b

e le coordinate di cromaticità da

.1,,,

bgrBGR

Bb

BGR

Gg

BGR

Rr

Una trasformazione lineare attua il passaggio tra i valori del tristimolo (L, M,

S) e (R, G, B) come pure tra le funzioni colorimetriche )( ),( ),( sml e

)( ),( ),( bgr . Questa trasformazione lineare viene costruita conoscendo nel

riferimento RGB gli assi L, M e S, i quali sono desunti da uguagliamenti metame-

rici di luci fatte dai dicromati, individui dotati di due soli tipi di coni.

Il riferimento RGB qui considerato è relativo all’osservatore standard CIE

1931. Ogni dispositivo o sistema tricromatico (monitor, scanner, videocamera, …,

sistema televisivo NTSC, PAL, HDTV,…, sRGB, Adobe RGB, Adobe wide ga-

mut, …) ha un suo proprio riferimento RGB e si passa dall’un riferimento all’altro

mediante trasformazione lineare. Confondere riferimenti RGB diversi è errore. Si

osserva anche che esistono sistemi RGB in cui le terne (R, G, B) subiscono eleva-

zioni a potenza, come per esempio nel sistema sRGB, usato in WEB e nel sistema

operativo Windows, distruggendo la linearità dello spazio.

3.3 Spazio del tristimolo e sistema di riferimento XYZ nel sistema CIE 1931

Il sistema colorimetrico CIE 1931 ingloba la fotometria nella colorimetria e ciò è

evidenziato dal riferimento XYZ. La fotometria mette in relazione la brillanza del-

le luci alla loro radianza Le,λ, mediante la seguente definizione di luminanza 780

e,

380

( ) dv mL K L V cd/m2

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Oleari – Esperienze visive a colori, psicofisica e fisiologia ... 119

con

- V(λ) = funzione di efficienza luminosa fotopica relativa, che definisce

l’Osservatore Fotometrico Standard CIE 1924 (Fig. 12),

- Km = 683 lumen / watt.

Questa equazione che definisce la luminanza è simile alle equazioni che defini-

scono i valori del tristimolo (L, M, S). Basta sostituire le funzioni colorimetriche

)( ),( ),( sml con la V(λ) e ciò porterebbe a ipotizzare un fotorecettore speci-

fico, tipico della luminanza. La fisiologia indusse ad ipotizzare la luminanza come

prodotta dagli stessi coni L, M e S, rappresentandola con una combinazione linea-

re dei valori del tristimolo

BLGLRLSLMLLLL BGRSMLv .

Tale ipotesi comporta che la luminanza dello stimolo di colore risultante dalla

somma di più stimoli di colore è uguale alla somma delle corrispondenti luminan-

ze (legge di Abney). Questa scelta indusse a definire il sistema di riferimento XYZ

con le seguenti proprietà:

- la componente Y del vettore tristimolo è proporzionale alla luminanza Lv (fat-

to importante nella pratica illuminotecnica), cioè

Lv = Km Y cd/m2

e di conseguenza

)()( Vy ,

- dove )( ),( ),( zyx sono le funzioni colorimetriche nel sistema di riferi-

mento XYZ (Fig. 13),

- gli assi X, Y e Z sono mutuamente ortogonali,

- gli assi X e Z appartengono al piano a luminanza nulla Y = 0,

- i vettori tristimolo con significato fisico hanno tutte le componenti positive,

- i piani X = 0 e Z = 0 sono rispettivamente tangenti al luogo spettrale nelle re-

gioni delle lunghezze d’onda medio-corte e lunghe.

I valori del tristimolo sono

-

780 780 780

e, e, e,

380 380 380

( )d , ( )d , ( )dv

m

LX L x Y L y Z L z

K

e le coordinate di cromaticità sono

.1,,,

zyxZYX

Zz

ZYX

Yy

ZYX

Xx

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120 Oleari – Esperienze visive a colori, psicofisica e fisiologia...

Questo è il sistema di riferimento XYZ dell’Osservatore Colorimetrico Standard

CIE 1931.

L’usuale diagramma di cromaticità (x, y) CIE 1931 (Fig. 14) è ottenuto proiet-

tando dall’infinito sul piano Z = 0 il diagramma costruito sul piano

1 ZYX . Grazie a questa proiezione le coordinate di cromaticità (x, y) ri-

sultano ortogonali e relativamente al triangolo XYZ sono coordinate baricentriche.

Una trasformazione lineare attua il passaggio tra i valori del tristimolo (R, G,

B) e (X, Y, Z), e tra le funzioni colorimetriche )( ),( ),( bgr e

)( ),( ),( zyx .

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Oleari – Esperienze visive a colori, psicofisica e fisiologia ... 121

Figura 10. Esempio di apparato per l’uguagliamento metamerico dei colori. Esso consiste in

un contenitore cubico con un foro attraverso cui guardare dentro. All’osservatore si presenta

un campo bipartito come proposto in Fig.11. Il contenitore è diviso in due parti in modo che le

luci presenti in una parte non entrino nell’altra. Il fondo osservato del contenitore deve essere

un buon diffusore non selettivo in lunghezza d’onda in modo che, illuminato nelle due parti

con radiazioni diverse, proponga all’osservatore due colori da uguagliare. Compito

dell’osservatore è modificare le emissioni delle quattro sorgenti in modo da attuare

l’uguagliamento metamerico dei colori.

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122 Oleari – Esperienze visive a colori, psicofisica e fisiologia...

Figura 11. Campo bipartito per l’uguagliamento metamerico dei colori come proposto

dall’apparato di Fig. 10. Nel caso particolare considerato, la somma (LG + LB) delle luci di

riferimento blu e verde uguaglia la somma (Le,(λ)+ LR) di una luce monocromatica di lun-

ghezza d’onda λ con la luce di riferimento rossa.

Figura 12. Funzione di efficienza luminosa fotopica relativa dell’Osservatore Fotometrico

Standard CIE 1924 V(λ).

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Oleari – Esperienze visive a colori, psicofisica e fisiologia ... 123

3.4 Spazio del tristimolo in fisiologia

Per completezza si fa cenno che in fisiologia si suole considerare per la visione

foveale

a) uno spazio definito su funzioni colorimetriche derivate da Vos correggendo

un errore sistematico presente nelle CIE 1931 ed evidenziato da Judd (Fig.

15);

b) un diagramma di cromaticità, detto diagramma di cromaticità equiluminoso

delle eccitazioni dei coni, definito sul piano a luminanza costante L + M = 1 (i

coni S non contribuiscono alla luminanza) e con coordinate di cromaticità

,,,ML

Ss

ML

Mm

ML

Ll

con 1ml

(coordinate di cromaticità che non vanno confuse con le omonime definite nel

precedente riferimento fondamentale). Questo diagramma è dovuto a MacLeod e

Boynton (Fig. 16).

Figura 13. Funzioni colorimetriche CIE 1931 )( ),( ),( zyx (linea nera) e CIE 1964

)( ),( ),( 101010 zyx (linea rossa).

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124 Oleari – Esperienze visive a colori, psicofisica e fisiologia...

Figura 14. Diagramma di cromaticità CIE 1931 (x, y). Le aree dei triangoli YZQ, ZXQ e XYQ

sono proporzionali alle corrispondenti coordinate baricentriche x, y, z = 1 ‒ x ‒ y.

Figura 15. – Funzioni colorimetriche di Vos )(' ),(' ),(' zyx (linea rossa) a confronto

con le CIE 1931 )( ),( ),( zyx (linea nera). Si osserva che lo scarto tra le due terne di

funzioni colorimetriche è nella regione delle corte lunghezze d’onda.

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“Il Sole. La nostra stella e/è la nostra risorsa”, I.I.S. "O. M. Corbino", Siracusa, 21-26 luglio 2015

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3.5 Osservatore Standard Supplementare CIE 1964

Per la visione esterna alla macula (campo visivo di 10°) vale una trattazione

analoga a quella relativa al sistema CIE 1931 e ciò porta all’Osservatore Standard

Supplementare CIE 1964. In questo caso le varie grandezze sono distinte dal pe-

dice “10”, che si riferisce alla sezione del campo visivo di 10°, cioè i valori del

tristimolo sono (X10, Y10, Z10) e le funzioni colorimetriche sono

)( ),( ),( 101010 zyx . Il confronto tra le funzioni colorimetriche dei due osser-

vatori CIE è proposto in Fig. 13 e tra i diagrammi di cromaticità in Fig. 17. Lo

spostamento delle cromaticità delle radiazioni monocromatiche è evidente, anche

se i due diagrammi appaiono quasi uguali. L’osservatore standard supplementare

CIE 1964 è oggi il più usato in ambito industriale.

3.6 Specificazione strumentale del colore di oggetti non auto-luminosi

Qui si considerano oggetti opachi e una trattazione analoga vale per corpi tra-

sparenti e traslucidi. In colorimetria il colore di oggetti non auto-luminosi è speci-

ficato in modo relativo a un riferimento, che, per convenzione, è costituito dal

perfetto diffusore riflettente. Il perfetto diffusore riflettente è un corpo ideale che

non assorbe e non trasmette e dal quale emerge una radianza riflessa uguale in tut-

te le direzioni, indipendente dalla geometria d’irradiamento. Tale comportamento

del perfetto diffusore è detto lambertiano.

L’apparenza di un oggetto e quindi anche il colore dell’oggetto dipendono

dall’illuminazione, sia come geometria e sia come distribuzione spettrale, e dal

punto di osservazione. Per la specificazione del colore di un corpo non autolumi-

noso, occorre scegliere un illuminante e definire le geometrie d’illuminazione e di

visione. La geometria opera nella misurazione del fattore di riflessione spettrale

R(). Occorre anche scegliere tra visione foveale e visione extra foveale.

Per ragioni pratiche gli illuminanti sono standardizzati e considerati dalla CIE,

che ne definisce le distribuzioni spettrali di potenza. Gli illuminanti standard più

importanti sono:

- l’illuminante A, associato alla lampadina con filamento di tungsteno avente

un potere emissivo spettrale uguale a quello del corpo nero con temperatura

di 2856 K;

- gli illuminanti del tipo “daylight” associati a teoriche luci del giorno indicate

rispettivamente con D50, D55, D65, D75 … in corrispondenza a temperature

di colore di 5000 K, 5500 K, 6500 K, 7500 K … ;

- le lampade fluorescenti F2 del tipo “coolwhite”, F7 del tipo “daylight fluore-

scent” e F11 del tipo “white fluorescent”.

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Figura 16. Visione prospettica dello spazio del tristimolo nel riferimento LMS di MacLeod-

Boynton con piano equiluminante L + M = 1, diagramma di cromaticità equiluminoso delle ec-

citazioni dei coni e asse Y.

Il fattore di riflessione spettrale è definito come rapporto tra i flussi di luce

monocromatica riflessa in un punto del campione di colore e in un punto del per-

fetto diffusore riflettente illuminati in modo uguale e secondo la stessa geometria.

Le geometrie più usate per la misurazione del fattore di riflessione standardiz-

zate dalla CIE sono:

1) geometria “45/8”, in cui il campione è illuminato da un fascio di luce parallela

con angolo di incidenza di 45° e allo spettrometro è inviata la luce che emerge

con un angolo di 8° rispetto alla superficie del campione;

2) geometria “de/8”, in cui il campione è illuminato in modo diffuso (mediante

sfera d’integrazione) con componente speculare esclusa e allo spettrometro è

inviata la luce che emerge dal campione con un angolo di 8° rispetto alla nor-

male;

3) geometria “di/8”, in cui il campione è illuminato in modo diffuso (mediante

sfera d’integrazione) con componente speculare inclusa e allo spettrometro è

inviata la luce che emerge dal campione con un angolo di 8° rispetto alla nor-

male.

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Figura 17. Diagrammi di cromaticità CIE 1931 (linea nera) e CIE 1964 (linea rossa). Lo spo-

stamento delle cromaticità degli stimoli monocromatici è notevole, pur essendo i due diagram-

mi quasi uguali in forma.

Una volta scelto un osservatore standard, per esempio l’osservatore CIE 1931,

scelto un illuminante con distribuzione spettrale di potenza S e scelta una geome-

tria per la misurazione del fattore di riflessione R(), il colore risulta specificato

da 780 780 780

380 380 380

780

380

( ) ( )d , ( ) ( )d , ( ) ( )d

100con

( ) d

X K S R x Y K S R y Z K S R z

K

S y

.

La costante di normalizzazione K rende la specificazione del colore relativa e

indipendente dal livello di illuminazione e ciò induce a considerare il colore misu-

rato come proprietà degli oggetti. La componente Y, detta fattore di luminanza

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percentuale, è rappresentata su scala percentuale e vale 100 per il diffusore riflet-

tente ideale. La terna (X, Y, Z) qui definita non va confusa con la omonima terna

definita in precedenza.

Il fattore di riflessione spettrale è una grandezza fisica dipendente dalla tempe-

ratura e di conseguenza anche il colore dipende dalla temperatura. Il fenomeno è

detto termocromismo.

Da quanto detto segue che ogni specificazione di colore di oggetti non auto-

luminosi è relativa alla scelta dell’osservatore standard, alla scelta

dell’illuminante, alla scelta della geometria di misurazione e alla temperatura in

cui si è operato.

4. Colorimetria psicometrica

Nella seconda zona del sistema visivo si ha che il segnale nervoso, generato

dall’attivazione dei coni, viene elaborato, compresso e codificato. Ciò porta a de-

finire una nuova terna di segnali: il primo è acromatico e riguarda la sensazione

luminosa, gli altri due riguardano la sensazione cromatica. In tale processo la li-

nearità che caratterizzava l’attivazione dei coni è persa. Pertanto nello spazio del

tristimolo le variazioni dei vettori tristimolo, corrispondenti a differenze appena

distinguibili di cromaticità e di chiarezza, non sono uguali per tutti i vettori, cioè

lo spazio del tristimolo ha scale non uniformi di cromaticità e di chiarezza. Tali

differenze sono indicate con jnd, dall’inglese “just noticeable difference”.

4.1 Sensazione luminosa

Per definire le scale della sensazione luminosa si attua un esperimento in visione

maculare con campo bipartito. L’esperimento inizia proponendo nelle due parti

del campo bipartito la stessa radiazione a uguale luminanza Lv. Si procede varian-

do l’entità della luminanza Lv + Lv di un semicampo fino a che i due semicampi

risultano distinti e così si valuta il Lv relativo alla soglia di discriminazione.

L’incremento di luminanza corrispondente a tale soglia soddisfa con buona ap-

prossimazione all’equazione

v

v

0.01L

L

nota come legge di Weber-Fechner. Questa equazione porta a definire una nuova

grandezza rappresentativa della sensazione luminosa

vS

v,0

logL

S kL

con Lv,0 2 103

cd/m2 e

S

1

0.01k

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tale che S = kS Lv / Lv = 1. La proprietà principale di questa legge è di definire

la sensazione luminosa S dotata di scala uniforme.

Altri esperimenti indussero gli scienziati a preferire al logaritmo della lumi-

nanza la radice cubica della luminanza come grandezza rappresentativa della sen-

sazione luminosa dotata di scala uniforme (legge di Stevens). Lo scarto tra la fun-

zione logaritmica e la radice cubica nell’intervallo delle luminanze usate in

colorimetria è poco significativa.

4.2 Chiarezza psicometrica CIE 1976 L*

La chiarezza di un colore (X, Y, Z) è definita come la sua brillanza giudicata in re-

lazione alla brillanza del diffusore ideale, che, illuminato in modo uguale e sotto

lo stesso illuminante, appare bianco e di colore (Xn, Yn = 100, Zn). Sulla base di

questa definizione e della legge di Stevens, nel 1976 la CIE propose la seguente

definizione di chiarezza psicometrica

1/3

n n

n n

116 16 per 0.008856

*

903.3 per 0.008856

Y Y

Y YL

Y Y

Y Y

,

grandezza adimensionale e con intervallo di definizione 0 100. Questa defini-

zione vale per l’osservatore CIE 1931 e per l’osservatore CIE 1964 (distinto dal

pedice “10”) ed è specifica dell’illuminante considerato.

4.3 Sistema colorimetrico CIELAB

Nel 1976 la CIE propose due differenti sistemi colorimetrici, il CIELAB e il

CIELUV, con lo scopo principale di avere spazi del colore a scale uniformi. Qui

si considera il solo sistema CIELAB perché è diffusamente più usato per oggetti

non autoluminosi (ed oggi anche autoluminosi). Questo sistema è scandito dalle

coordinate (L*, a*, b*) o dalle (L10*, a10*, b10*) a seconda che sia relativo

all’osservatore CIE 1931 o CIE 1964. Le motivazioni e gli scopi che sono alla ba-

se di questo sistema sono ambiziosi e non completamente soddisfatti, e il successo

di questo sistema è dovuto al fatto che fino ad oggi non si sono proposti sistemi

migliori.

Qui si considera l’osservatore CIE 1931, ma quanto segue è ripetibile per il

CIE 1964. Una volta scelto un illuminante e considerato il colore del diffusore i-

deale (Xn, Yn = 100, Zn), al quale si associa per convenzione un fattore di luminan-

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za Yn = 100, gli stimoli di colore (X, Y, Z) sono rappresentati nel sistema CIELAB

dalle coordinate adimensionali (L*, a*, b*), dove L* è la chiarezza CIE 1976 e

n n

n n

* 500

* 200

X Ya f f

X Y

Y Zb f f

Y Z

,

dove

1/3

n n n

n n n

per 0.008856

167.7867 per 0.008856

116

X X Xf

X X X

X X Xf

X X X

e ugualmente per / e /n nf Y Y f Z Z . Le coordinate a* e b* rappresentano

approssimativamente i colori opponentisi dell’ipotesi di Hering: in particolare a*

rappresenta l’opponenza rosso-verde e b* l’opponenza giallo-blu.

Spesso si usano coordinate cilindriche (L*, hab, C*ab), in cui

cromabaC

tintadiangoloa

bh

ab

ab

22 ***

gradiinmisurato*

*arctan

.

Questo spazio è ottenuto dallo spazio del tristimolo mediante una trasforma-

zione non lineare e pertanto non è più uno spazio vettoriale. Ciononostante lo spa-

zio è metrico perché in esso è definita la distanza tra due colori (L*1, a*1, b*1) e

(L*2, a*2, b*2) quale distanza euclidea con lo scopo di rappresentare la differenza

di colore

2

21

2

21

2

21 ******* bbaaLLE ab

Nella pratica industriale questa formula per la differenza di colore non è com-

pletamente soddisfacente, pertanto negli anni sono state fatte molte proposte di

miglioramento, in particolare la formula CMC, la formula CIE94 e la recentissima

CIEDE2000.

4.4 Formula per la differenza di colore CIEDE2000 [21-22]

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Oleari – Esperienze visive a colori, psicofisica e fisiologia ... 131

Il grande valore pratico del calcolo delle differenze di colore ci induce a riportare

la più recente formula per piccole differenze di colore pubblicata dalla CIE col

nome CIEDE2000 e col simbolo E00. La formula è definita sulle coordinate

',',',',' hCbaL in funzione delle note coordinate **,*,*, abCbaL del sistema

CIELAB

*' LL

*)1(' aGa con

77*

7*

2515.0

ab

ab

C

CG

*' bb

22 ''' baC

'

'tan' 1

a

bh

in cui *

abC è la media aritmetica dei valori *

abC relativi alla coppia di campioni di

colore in esame. La formula è

HHCC

T

HHCCLL Sk

H

Sk

CR

Sk

H

Sk

C

Sk

LE

'''''222

00

in cui

2

2

)50'(20

)50'(015.01

L

LSL , '045.01 CSC , TCSH '015.01

)63'4cos(20.0)6'3cos(32.0)'2cos(24.0)30'cos(17.01 hhhhT

CT RR )2sen( con 225/275'exp30 h e con

77

7

25'

'2

C

CRC

sb LLL ''' , sb CCC ''' ,

2

'sen''2'

hCCH sb con

sb hhh '''

dove

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- il pedice s distingue lo standard dal campione b (batch),

- le grandezze ',',' hCL sono le medie aritmetiche delle corrispondenti L', C',

h' valutate per campione e standard,

- HCL kkk ,, sono fattori parametrici da scegliere in relazione alla tessitura e al-

le condizioni di visione dei campioni in esame (una scelta generalmente vali-

da è 1 HCL kkk ).

Occorre particolare attenzione nel calcolare 'h nel caso in cui si considerino

colori con angolo di tinta appartenenti a differenti quadranti, per es. se lo standard

e il campione hanno rispettivamente angoli di tinta di 90° e 300°, il valore medio

195° è diverso dal valore corretto che è 15°. Per evitare l’errore occorre valutare

la differenza assoluta tra i due angoli di tinta. Se tale differenza è inferiore di 180°

si considera la media aritmetica degli angoli di tinta, altrimenti si deve sottrarre

360° all’angolo di tinta maggiore e quindi fare la media aritmetica.

La complessità di questa formula dimostra quanto il sistema CIELAB sia ina-

deguato alla specificazione del colore e quanto si debba ancora fare per capire

compiutamente il fenomeno della visione a colori.

5. Colorimetria e colore interferenziale

In generale il colore è dovuto a disomogeneità ottiche dei corpi, le quali compor-

tano assorbimento, diffusione e rifrazione della luce. Come sopra detto, la specifi-

cazione del colore di oggetti non autoluminosi dipende dal fattore di riflessione o

trasmissione spettrale, la cui misurazione è standardizzata dalla CIE secondo par-

ticolari geometrie, significative soprattutto per i colori poco dipendenti dalle ge-

ometrie di illuminazione e di visione.

Il colore prodotto per interferenza è detto colore interferenziale (che appartie-

ne al più ampio colore strutturale) ed è tipico dei rivestimenti ottici, delle vernici

con pigmenti metallici e micacei e in natura lo troviamo per esempio sulle ali del-

le farfalle, negli insetti, nelle piume d’uccello, nelle bolle di sapone. Questo tipo

di colore è fortemente dipendente dalle geometrie di illuminazione e di visione,

pertanto le geometrie di misurazione della CIE risultano inadeguate e le misura-

zioni gonio-radiometriche del fattore di riflessione o trasmissione sono più signi-

ficative per una valutazione realistica del colore. La specificazione del colore ri-

sultante, espressa nei sistemi XYZ o CIELAB, deve essere data unitamente alla

geometria di misurazione e alla temperatura. Inoltre, poiché i colori interferenziali

sono generalmente visti nella regione maculare della retina, l’osservatore da pre-

ferirsi è il CIE 1931.

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Oleari – Esperienze visive a colori, psicofisica e fisiologia ... 133

Figura 18. Questa figura propone due sequenze uguali di strisce acromatiche aventi chiarezza

crescenti dal nero al bianco. Nella sequenza di destra le varie strisce contigue sono a contatto

mentre nella sequenza di sinistra sono separate da una linea acromatica di chiarezza media. La

contiguità tra le strisce della sequenza di destra comporta che ogni striscia appaia non unifor-

me, più chiara dalla parte della striscia meno luminosa e più scura dalla parte della striscia più

chiara. Il fatto che le strisce di sinistra siano isolate dal contesto con una linea acromatica uni-

forme comporta che queste appaiano uniformi quali esse sono. Inoltre, poiché la linea di sepa-

razione ha chiarezza uguale in tutti i suoi punti, le strisce al di sotto di tale chiarezza appaiono

più scure e quelle al di sopra appaiono più chiare. Quest’ultimo fenomeno è noto col nome in-

glese “crispening”. Questi fenomeni sono dovuti al contrasto di brillanza.

6. “Colour Appearance”

Quanto è stato fin qui detto vale in situazioni visive controllate, in cui il campione

di colore, che è uniforme, si trova isolato e separato dal contesto e la regione di

separazione è acromatica. La “colour appearance” vuole specificare il colore di

uno stimolo di colore posto in un contesto vario in luminanza e in cromaticità

[23]. Il problema è arduo per complessità. Ciononostante numerosi modelli sono

stati proposti. Qui non si entra nella presentazione di questi modelli e ci si limita a

proporre visivamente i fenomeni più appariscenti della percezione, comunemente

noti come contrasto di brillanza e contrasto cromatico simultaneo.

Le figure 18, 19, 20 e 21 propongono in diversi contesti campioni di colore

dotati di radianze spettrali uniformi e uguali, a cui corrispondono uguali stimoli di

colore, ma che a causa del diverso contesto inducono sensazioni cromatiche e

sensazioni luminose differenti. Questi fenomeni sono esposti nelle didascalie del-

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Figura 19. Figure uniformi di diversa radianza (la stessa per ogni tipo di figure) proposte su

fondo degradante dal colore rosso-arancio al verde. Tale sfondo realizza con le figure un con-

trasto simultaneo di brillanza e cromatico che induce in queste alterazioni di chiarezza e croma-

tiche.

Figura 20. Insieme dei campioni di colore riproducibili con un monitor a tubo a raggi catodici

relativi a una coppia di tinte opposte del sistema CIELAB per l’osservatore CIE 1931 e

l’illuminante standard D65 (“daylight”, temperatura di colore 6500 K). Le tinte considerate so-

no hab=140° (parte destra di tinta verde) e hab=320° (parte sinistra di tinta magenta), separate

dalla scala di campioni acromatici. La chiarezza cresce dal basso verso l’alto assumendo valori

multipli di 10 e la croma cresce a partire dalla colonna acromatica con passo 10. In questa figu-

ra i vari campioni sono separati da una linea acromatica e appaiono uniformi. Confronta con la

figura 21.

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Oleari – Esperienze visive a colori, psicofisica e fisiologia ... 135

Figura 21. Confronta con la figura 20. In questa figura i campioni già proposti in Fig. 20 sono

a contatto e, in accordo col contrasto di brillanza della Fig. 18, appaiono più chiari in basso e

più scuri in alto, nonostante che siano uniformi. Questo fenomeno è dovuto al contrasto di bril-

lanza. Inoltre i campioni appaiono contenere a desta un poco della tinta dei campioni di sinistra

e a sinistra un poco della tinta dei campioni di destra. Ciò vale per tutti i campioni esclusi quelli

ai bordi. Questo fenomeno è prodotto dal contrasto cromatico simultaneo ed è una induzione

dovuta ai colori circostanti a ogni campione.

le figure stesse. Secondo la “colour apperance” sensazioni di colore uguali, anche

se dovute a stimoli di colore diversi proposti in opportuni contesti, devono essere

specificate dalla stessa terna di numeri.

References

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Quaderni di Ricerca in Didattica (Science), n. speciale 10, 2016

137

Il Sole che cambia

Fabio Reale

Dipartimento di Fisica e Chimica, Universita` di Palermo

E-mail: [email protected]

Abstract. For its long life, the Sun has slightly changed, its size

has slightly increased. However, on the Earth the average climate

conditions do not seem to have changed accordingly: how can we

explain this? Its an open issue and here they are illustrated a few

hypotheses, such as a higher greenhouse effect and/or a higher

solar activity in the past. Planet Venus might be similar to the

young Earth, and a present-day study has measured the height of

its ionosphere, by using the transit of 2012. Solar eruptions are

typical manifestations of the solar activity and a recent study has

highlighted analogies with the flows accreting to the young stars

from the disks leftover of the original cloud.

Sommario. Il Sole, nella sua lunga vita, ha subito piccoli cam-

biamenti, e` leggermente cresciuto di dimensioni. Tuttavia, sulla

Terra le condizioni climatiche medie sembrano essere cambiate

molto poco nel tempo: come si spiega? E` un problema aperto e

vengono illustrate qui alcune ipotesi, come un maggiore effetto

serra e/o una maggiore attivita` solare nel passato. Il pianeta Ve-

nere potrebbe avere alcune caratteristiche della giovane Terra e

uno studio attuale ne ha misurato l’altezza della ionosfera, sfrut-

tanto il transito del 2012. Le eruzioni solari sono tipiche manife-

stazioni dell’attivita` solare e uno studio recente ne ha evidenzia-

to le analogie con i flussi di accrescimento che precipitano sulle

giovani stelle dai dischi residui della nube originaria.

1. La luce del Sole

In questo brano ripercorriamo la storia del Sole e come essa possa avere influen-

zato la storia biologica della Terra. In particolare, cio` che a noi interessa e` se e

come sia variata la luminosita` del Sole nel corso della sua vita, dalla nascita fino

all’eta` attuale. Il Sole e` la nostra stella e ad esso dobbiamo la nostra presenza

sulla Terra. La sua energia alimenta tutte le attivita` sulla superficie terrestre,

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dall’atmosfera alla vegetazione, alla dinamica marina. L’energia emessa dal Sole

ci perviene per lo piu` attraverso la sua radiazione, la luce. Il Sole emette la mag-

gior parte della sua radiazione nella banda elettromagnetica del visibile, intorno ai

500 nm. Tale radiazione e` emessa per lo piu` dalla sua superficie.

Essendo il Sole interamente gassoso, per superficie si intende quello strato di at-

mosfera al di la` del quale non riusciamo a penetrare con le osservazioni Questo

strato viene detto fotosfera. La fotosfera e` costituita da gas ad una temperatura di

circa 6000 gradi Kelvin. Nella luce visibile il Sole appare come un disco bianco,

pressocche` uniforme, punteggiato di tanto in tanto da zone piu` scure di forma ir-

regolare, dette macchie solari. Le macchie sono regioni dove il campo magnetico

del Sole e` piu` intenso. Nelle macchie, per bilanciare la maggiore pressione ma-

gnetica, la pressione termica del gas deve diminuire e con essa la temperatura. A

piu` basse temperature, circa 4000 K, il gas emette luce meno intensa e per questo

motivo le macchie appaiono scure. Il numero di macchie solari, come anche

l’attivita` magnetica, varia periodicamente tra un massimo e un minimo con un

ciclo di 11 anni circa (ciclo solare). In questo momento (2016), dopo aver attra-

versato un massimo fino al 2014, ci si avvia verso un nuovo minimo.

2. Vita del Sole

Come tutte le stelle, il Sole e` costituito per lo piu` da idrogeno ed elio e si e`

formato da una nube primordiale simile ad esempio alla nebulosa di Orione, dove

si stanno formando tuttora stelle. Parte della nube si contrasse gravitazionalmente

assumendo forma sferica. Una volta diventata opaca, la pressione della nube an-

do` aumentando e con essa la temperatura interna. All’esterno si formo` un disco

di gas e polveri che in parte ha continuato ad alimentare l’accrescimento della

stella, in parte si e` frammentato formando i pianeti, come la Terra.

Il processo di contrazione si arresto` quando le forze di pressione interna bilancia-

no la forza di gravita` e il Sole raggiunse una condizione di equilibrio. Le forze di

pressione sono differenziali: la pressione deve diminuire in direzione della super-

ficie per avere una forza netta verso l’esterno che bilanci la forza di gravita` diret-

ta verso l’interno. L’enorme massa del Sole e conseguente gravita` produce enor-

mi pressioni al suo centro, dove le temperature raggiungono valori intorno ai 15

milioni di gradi. Alla fine la temperatura e la pressione raggiunsero valori tali da

innescare reazioni di fusione termonucleare che riescono a mantenere nel tempo

queste pressioni e temperature elevate senza ulteriori contrazioni. Le reazioni tra-

sformano 4 nuclei di idrogeno, cioe` 4 protoni, in un nucleo di elio, costituito da 2

protoni e 2 neutroni, liberando energia per lo piu` sotto forma di radiazione e neu-

trini. La somma delle masse dei 4 protoni e` infatti leggermente superiore a quella

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139 Reale – Il Sole che cambia...

del nucleo di elio, e la differenza e` proprio quella che viene trasformata in ener-

gia secondo la formula di Einstein E = mc2. Dal momento che il Sole e` per la

maggior parte (~75 % in massa) composto da idrogeno, questo fornisce

un’enorme quantita` di combustibile, in grado di manterlo in equilibrio per mi-

liardi di anni. Il Sole ha un’eta di circa 4,5 miliardi di anni, e continuera` nello

stato attuale per altrettanti, trovandosi quindi grosso modo a meta` della sua esi-

stenza.

3. Cambiamenti del Sole

La struttura del Sole e` rimasta grosso modo invariata in tutto questo periodo.

Possiamo identificare un nucleo centrale dove avvengono le reazioni termonucle-

ari, una zona radiativa intorno, dove l’energia prodotta nel nucleo viene trasmessa

per radiazione, e infine uno strato convettivo dove l’energia viene trasportata per

moti convettivi a bolle e che si estende fino alla superficie.

Ma il Sole e` cambiato nel tempo? Abbiamo detto che la struttura e` rimasta la

stessa, ma al passare del tempo c’e` un fattore che deve determinare dei cambia-

menti: il consumo di carburante. L’idrogeno viene trasformato in elio all’interno

del nucleo. All’inizio le reazioni erano concentrate proprio al centro, dove la tem-

peratura e` ovviamente piu` alta. Tuttavia, al passare del tempo, l’idrogeno al cen-

tro veniva trasformato in elio, venendo quindi a mancare per ulteriore combustio-

ne. Il centro del nucleo quindi si va trasformando tutto in elio e la fusione

dell’idrogeno si va spostando dove l’idrogeno e` ancora disponibile, cioe` in strati

del nucleo via via piu` esterni.

L’energia prodotta rimane grosso modo invariata, in quanto dipende sostanzial-

mente dalla massa totale del Sole che non cambia nel tempo. Tuttavia la struttura

interna del Sole risente un po’ di questo progressivo spostamento delle reazioni

termonucleari. Questo spostamento e` dunque dall’interno verso l’esterno; ovvero

in altri termini, la fonte di energia del Sole si va avvicinando, sia pure a poco a

poco, alla sua superficie. Temperature elevate a distanze maggiori dal centro fan-

no si` che la pressione diminuisca piu` gradualmente verso l’esterno, cioe` la stes-

sa differenza di pressione di presenta su distanze maggiori. La conseguenza e` che

la superficie di allontana dal centro: il Sole si va gonfiando leggermente nel tem-

po! Modelli di struttura stellare [1] ci dicono che il Sole oggi ha un raggio circa il

10% piu` grande che alla sua nascita (Figura 1). Anche la sua temperatura super-

ficiale e` leggermente aumentata (circa 200 K). In conseguenza anche la sua lu-

minosita` e` aumentata, si parla di circa un 30%. Il Sole appena formato doveva

essere circa il 30% meno luminoso che adesso!

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Figura 1. Come sono cambiate le dimensioni del Sole dall’origine ad oggi. Il Sole va

aumentando di dimensioni nel tempo.

4. Il paradosso del Sole giovane tenue e l’effetto serra

Abbiamo detto che l’energia luminosa proveniente dal Sole determina le caratteri-

stiche della superficie terrestre. Ci si aspetterebbe che un Sole meno luminoso,

quindi un minore irraggiamento, si traduca in una temperatura piu` bassa sulla su-

perficie terrestre. Sappiamo che, ad esempio, la presenza di acqua liquida sulla

Terra sia legato ad un piccolo intervallo di temperature. Per temperature piu` bas-

se, gia` di qualche decina di gradi, l’acqua dovrebbe essere allo stato solido; quin-

di ci si aspetta una giovane Terra con acque interamente ghiacciata. Invece, ci so-

no evidenze che l’acqua sia presente allo stato liquido almeno fin da 3,8 miliardi

di anni fa, e la vita da circa 3,5 miliardi di anni. Questo costituisce il cosiddetto

“paradosso del Sole giovane tenue” (per ulteriori informazioni si veda

https://en.wikipedia.org/wiki/Faint_young_Sun_paradox), per la prima volta sol-

levato da Sagan e Mullen nel 1972 [2], e che rappresenta a tutt’oggi un problema

aperto per la scienza. Sono state fornite una serie di possibili spiegazioni piu` o

meno probabili. Elenchiamo qui quelle principali.

L’ipotesi principale e` quella dell’effetto serra, quell’effetto per cui l’atmosfera e`

trasparente alla radiazione in entrata che viene riemessa a lunghezze d’onda mag-

giori alle quali l’atmosfera e` opaca, rimanendo quindi intrappolata e producendo

riscaldamento. Si ritiene infatti che sulla Terra appena formata l’atmosfera potes-

se contenere piu` gas serra, e in particolare l’anidride carbonica (CO2) e il metano

(CH4). Anche l’intensa attivita` vulcanica sarebbe responsabile di questo arric-

chimento (Figura 2). E` comunque altrettanto acclarato che la Terra abbia attra-

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141 Reale – Il Sole che cambia...

versato ciclicamente dei periodi in cui gli oceani si sono interamente ghiacciati, le

ere glaciali.

Figura 2. L’effetto serra nell’atmosfera terrestre puo` essere accentuato da un intenso

vulcanismo (Tratta da http://www.meteoweb.eu)

5. Venere, una giovane Terra

Un esempio delle informazioni che e` possibile trarre sulla Terra in origine ci vie-

ne dallo studio di altri pianeti simili come Venere. Su Venere sono presenti con-

dizioni fortemente influenzate dall’effetto serra e potrebbe costituire un esempio

di giovane Terra. L’atmosfera di Venere e` infatti composta prevalentemente da

anidride carbonica (95%) e la temperatura sulla sua superficie rocciosa supera i

400° C. Della superficie rocciosa di Venere abbiamo informazioni solo da osser-

vazioni nella banda radio, che riescono a penetrare la spessa coltre di nubi che ri-

copre interamente il pianeta.

Osservazioni in bande ad alta energia come l’estremo ultravioletto (EUV) e i rag-

gi X forniscono informazioni sugli alti strati dell’atmosfera di Venere. Un caso

ingegnoso e` quello di uno studio recente dell’osservazione dell’ultimo transito di

Venere avvenuto nel 2012, effettuato da un gruppo guidato da ricercatori del Di-

partimento di Fisica e Chimica dell’Universita` di Palermo, pubblicato sulla rivi-

sta Nature Communications [3]. In questo studio si e` appurato che Venere appare

leggermente piu` grande osservato in bande ad alta energia di quanto non lo sia

nella banda del visibile. Il suo raggio e` circa 50 km maggiore. Quando misuria-

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142 Reale – Il Sole che cambia ...

mo il raggio di Venere nella banda del visibile stiamo in realta` misurando

l’altezza degli strati piu` esterni delle nubi. Quando facciamo lo stesso nelle bande

X ed EUV stiamo misurando l’altezza alla quale viene bloccata questa radiazione

ad alta energia, cioe` gli strati piu` alti della ionosfera, quello strato dell’atmosfera

in cui gli atomi e le molecole vengono ionizzate dalla radiazione proveniente dal

Sole (Figura 3).

La ionosfera e` presente anche nell’atmosfera terrestre. Informazioni sulla iono-

sfera di Venere sono molto utili per vari motivi. A parte il dato utile alla verifica

dei modelli stessi di atmosfera di Venere, una giovane Terra, esso costituisce un

dato importante per le missioni spaziali che sorvolano Venere. Esso permette di

effettuare previsioni sull’effetto di frenamento da parte degli strati piu` alti

dell’atmosfera.

In piu`, costituisce un interessante banco di prova per future osservazioni di pia-

neti extrasolari nelle bande ad alta energia. Molti pianeti extrasolari vengono oggi

rivelati grazie ai loro transiti davanti alle stelle intorno a cui orbitano. Questi tran-

siti provocano dei piccoli affievolimenti nell’intensita` luminosa della stella, da

cui si deduce la presenza del pianeta, ma anche le sue dimensioni. Un giorno sara`

possibile percepire le differenze tra le dimensioni misurate in varie bande e questo

sara` un ulteriore strumento per rivelare la presenza di atmosfere intorno ai piane-

ti. Lo studio di questo transito di Venere ha aperto la strada a questa possibilita`.

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143 Reale – Il Sole che cambia...

Figura 3. Ionosfera di Venere rivelata durante il transito del 2012. Nello sfondo il Sole

nella banda EUV. Il disco di Venere osservato del visibile (nubi). La ionosfera e` il sottile

anello color fucsia intorno al disco di Venere.

6. Attivita` solare

Un’altra ipotesi che potrebbe spiegare una Terra con acqua liquida nonostante un

Sole di luminosita` inferiore e` quella di una maggiore attivita` solare. Le stelle da

poco formate ruotano di solito piu` velocemente di quelle di eta` maggiore, che

vengono frenate per varie cause, tra cui i getti di gas che fuoriescono dalla loro

atmosfera, simili al vento solare e alle tempeste solari. Una rotazione piu` veloce

determina la formazione di campi magnetici piu` intensi e quindi, ad esempio, un

maggior numero di macchie solari, come succede in corrispondenza dei massimi

del ciclo solare. In prossimita` delle macchie si verificano spesso esplosioni solari

di grande violenza (brillamenti) che fanno partire enormi quantita` di gas e radia-

zioni verso lo spazio interplanetario e quindi anche verso la Terra. La grande atti-

vita` magnetica produrrebbe anche un piu` intenso vento solare. Il vento avrebbe

potuto proteggere maggiormente la Terra dai raggi cosmici, i quali sembra possa-

no avere un effetto di raffreddamento sull’atmosfera terrestre. Questo, insieme a

un moderato effetto serra, potrebbero spiegare l’acqua liquida sulla giovane Terra.

Anche l’attivita` del Sole e` visibile al meglio nelle bande ad alta energia. Il

Sole nelle bande EUV e X appare molto diverso da quello uniforme nella banda

del visibile. Infatti in queste bande stiamo osservando gas a temperature molto

piu` elevate, oltre il milione di gradi. A queste temperature il gas e` completamen-

te ionizzato, e viene chiamato plasma. Il plasma e` quindi interamente costituito

da cariche elettriche libere. Cariche positive e negative comunque si bilanciano e

quindi rimane neutro anche su piccola scala. Tuttavia le cariche sono in forte mo-

vimento e quindi piu` che dei campi elettrici risentono fortemente dell’interazione

con il campo magnetico solare.

Nelle bande EUV e X viene osservata la parte piu` esterna dell’atmosfera sola-

re, che viene chiamata corona solare, perche` e` anche quella visibile durante le

eclissi totali [4]. Il plasma della corona, oltre a essere caldo, e` estremamente te-

nue e viene facilmente confinato dal campo magnetico. La corona che osserviamo

ad alta energia assume quindi un po’ proprio la forma del campo magnetico, e per

questo osserviamo strutture luminose a forma di arco, dette archi coronali. A cau-

sa delle tensioni a cui e` soggetto il campo magnetico, si possono verificare delle

esplosioni (brillamenti) durante le quali a volte questi archi coronali si spezzano e

plasma viene eruttato verso l’esterno.

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144 Reale – Il Sole che cambia ...

Figura 4. Grande eruzione solare osservata il 6 giugno 2011 nella banda EUV con il

satellite USA Solar Dynamics Observatory. Molti frammenti scuri ricadranno sulla

superficie del Sole. Il resto viene espulso verso lo spazio interplanetario, provocando

tempeste solari sulla Terra.

Una di queste eruzioni solari, verificatasi nel giugno del 2011 (Figura 4), e` sta-

ta studiata nel dettaglio da un gruppo coordinato da ricercatori del Dipartimento di

Fisica e Chimica dell’Universita` di Palermo. E` un’eruzione molto particolare

perche` una parte dei frammenti eruttati sono ricaduti sulla superficie del Sole e

hanno dato luogo a impatti sorprendentemente luminosi nelle bande ad alta ener-

gia. L’idea originale e` stata quella di associare questi impatti luminosi all’impatto

dei flussi di materia che precipitano dai dischi presenti intorno alle stelle in for-

mazione sulle stelle stesse (cf. Sezione 2). Questi ultimi non riusciamo a osservar-

li nel dettaglio, perche` troppo lontani, e quindi quelli sul Sole diventano dei pre-

ziosi esempi da prendere a modello. Un comunicato stampa della NASA recita:

“Gli scienziati che hanno studiato il materiale in caduta hanno concluso che

stiamo vedendo una versione ridotta di cio` che succede quando le stelle si for-

mano e raccolgono gas per gravita`. (Il telescopio solare EUV) AIA ha permesso

di studiare un processo coinvolto nella creazione stellare in dettaglio maggiore di

quanto si possa vedere altrove nell’Universo.” Ci sono infatti forti evidenze indi-

rette che dai dischi circumstellari partano dei notevoli e continui flussi di materia

che precipitano sulle stelle. Ci sono evidenze anche che i punti di impatto sulla

superficie della stella siano luminosi e caldi. Ultimamente si sono anche rivelati

eccessi di emissione nella banda X che sono stati interpretati come evidenza di

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145 Reale – Il Sole che cambia...

impatto di flussi di accrescimento ad alta velocita`, di centinaia di km/s. Ecco

quindi l’analogia con l’evento solare, anche se questo e` su scala minore e di pic-

cola durata. I frammenti dell’eruzione solari ricadono infatti sul Sole a qualche

centinaio di km/s e sono di densita` confrontabile con quelle dedotte nei flussi

stellari.

Lo studio ha analizzato l’osservazione solare per costruire un modello e ripro-

durre l’osservato tramite una simulazione al computer. In questo modo e` stato

possibile capire i dettagli del fenomeno e soprattutto i meccanismi che originano

quest’emissione luminosa degli impatti. Ad esempio si e` capito che i flussi stella-

ri non devono necessariamente essere continui, ma impatti luminosi possono esse-

re prodotti da serie di frammenti densi e freddi. L’idea originale di creare questo

ponte tra il Sole e suoi analoghi giovani e` stata ritenuta di grande interesse e lo

studio e` stato pubblicato sulla rivista Science [5]. Lo studio dei dischi circumstel-

lari e` esso stesso di grande interesse perche`, come accennato sopra, dai dischi si

originano i pianeti, anche se la loro formazione avviene ovviamente in tempi suc-

cessivi.

Riconoscimenti. L’autore ringrazia G. Peres, A. F. Gambino (Universita` di Pa-

lermo), S. Orlando, G. Micela, A. Maggio (INAF – Osservatorio Astronomico di

Palermo), T. Widemann (Universite` de Versailles-Saint-Quentin, Francia), P. Te-

sta (Harvard-Smithsonian Center for Astrophysics, USA), E. Landi (University of

Michigan, USA), C. J. Schrijver (Lockheed Martin Advances Technoogy Center,

USA), G. Piccioni (INAF – Istituto di Astrofisica e Planetologia Spaziali) per col-

laborazione scientifica. Solar Dynamics Observatory e` la prima missione lanciata

per il programma Living With a Star della NASA.

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Astrochimica: un percorso affascinante per

l’insegnamento delle scienze integrate

Mariano Venanzi

Laboratorio di Chimica Fisica delle Biomolecole, Dipartimento di

Scienze e Tecnologie Chimiche, Università di Roma ‘Tor Vergata’,

Roma ECSIN.

E-mail: [email protected]

Riassunto. In questo contributo verranno descritti i meccanismi di forma-

zione di atomi e molecole a partire dai primi minuti successivi al Big Bang

fino alla generazione di composti molecolari complessi, introducendo i pro-

cessi fisici e chimici alla base della evoluzione della materia in condizioni

critiche di densità e temperatura. L’obiettivo è quello di proporre un percor-

so didattico fortemente interdisciplinare in cui la fisica, la chimica e la bio-

logia concorrono a descrivere e comprendere i processi che hanno portato

alla comparsa della vita sulla Terra.

Introduzione

Lo studio della nascita e dell'evoluzione dell’Universo è una disciplina affasci-

nante, che da sempre colpisce e stimola la curiosità e l’immaginazione degli stu-

denti. Questo campo di ricerca e d'insegnamento è storicamente appannaggio del-

la fisica. Tuttavia, negli ultimi due decenni la chimica, con la scoperta di molecole

anche complesse come gli idrocarburi aromatici policiclici nelle comete e nello

spazio interstellare, ha di fatto imposto di diritto il suo ingresso in questo ambito,

definendo una propria regione propria di interesse, semplicemente denominata a-

strochimica.[1]

Di più, il sacro graal della ricerca di possibili forme di vita nell’Universo o di

possibili origini extraterrestri della vita ha dato luogo alla nascita della astrobiolo-

logia. E’ possibile dunque immaginare un percorso didattico interdisciplinare che

abbia il suo centro di interesse nello studio della struttura e dell'evoluzione

dell’Universo nei suoi diversi aspetti fisici, chimici e biologici.

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147

Venanzi - Astrochimica: un percorso affascinante per l'insegnamento ...

Qui si vuole affrontare alcuni aspetti di questo percorso, dal punto di vista mol-

to particolare dell'evoluzione dei processi chimico-fisici che hanno portato alla

formazione degli elementi (nucleosintesi) e delle molecole, da quelle più semplici

alle molecole di interesse biologico (amminoacidi e acidi nucleici).

I. Nucleosintesi: La formazione degli elementi

Nella figura 1 è riportata la abbondanza degli elementi chimici nel sistema solare

(attenzione alla scala logaritmica decimale). Dal grafico si può notare come gli e-

lementi di gran lunga più abbondanti siano Idrogeno ed Elio, con un minimo ca-

ratteristico per il Litio, il Berillio e il Boro, e una diminuzione esponenziale delle

abbondanze a partire da Carbonio, Azoto ed Ossigeno fino ai pesi atomici più ele-

vati. Si osservano pure alcuni picchi caratteristici per il Ferro e il Piombo.

La netta predominanza di Idrogeneo ed Elio è il risultato dei proceessi innescati

dal Big Bang. Secondo il modello standard, la formazione degli elementi chimici

può avere inizio solo quando nel processo di raffredamento globale le temperature

raggiungano valori al di sotto dei 109 K (180 s dopo il Big Bang), dando luogo al-

la produzione di H, He, D e Li. E’ solamente a temperature intorno ai 3000K (3-

7·105 s), che si formano stabilmente gli elementi più leggeri.[2]

E’ proprio questa profonda asimmetria della distribuzione degli elementi chi-

mici che fa pensare a George Gamow nel 1946 che l’Universo primordiale doveva

trovarsi inizialmente in uno stato di forte disequilibrio. Nel famoso articolo αβγ,

così denominato dal nome degli autori, Gamow ipotizza un processo di sintesi de-

gli elementi per successiva cattura di protoni e neutroni. [3] Gli elementi si sa-

rebbero quindi formati a partire dall’Idrogeno, per formare via via Deuterio per

addizione di un neutrone, Elio(3) per ulteriore cattura di un protone, Elio(4) per

cattura neutronica, e così via.

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Figura 1. Abbondanza relativa degli elementi nel sistema solare (valori normalizzati ri-

spetto a 106 atomi di Silicio).

In realtà, questo processo si arresta rapidamente al Li. E’ lo stesso successo dell

ipotesi del Big Bang che rende poco probabile questo meccanismo, poichè il raf-

freddamento dell’Universo previsto dal modello standard è troppo veloce per con-

tinuare a produrre reazioni nucleari di questo tipo.

I reattori chimici più efficienti sono in realtà le stelle. La formazione di una

stella e la sua evoluzione dipende da un delicato equilibrio tra collasso gravitazio-

nale e temperatura. Al crescere della massa di una stella, aumentano la sua pres-

sione e temperatura interne, innescando via via processi termonucleari che condu-

cono alla formazione di atomi più pesanti.

Il sole, ad esempio, è una stella troppo piccola per dare luogo a reazioni che

portino alla formazione di elementi pesanti. Il 91% dell’energia solare proviene

infatti da processi di fusione protonica che coinvolgono idrogeno ed elio.

1H +

1H →

2H + e

+ + ν

2H +

1H →

3He + γ

3He +

3He →

4He + 2

1H

L’energia liberata per ogni ciclo di reazione è di ca. 26.8 MeV (4.3·10-12

J).

(Appendice A)

La tabella 1 elenca alcuni dei processi termonucleari più efficienti, legandoli

alla temperatura che si realizza nel nocciolo interno di una stella, a sua volta de-

terminata essenzialmente dalla sua massa (espressa nella tabella in unità di massa

solare).

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149

Venanzi - Astrochimica: un percorso affascinante per l'insegnamento ...

Tabella 1. Processi termonucleari di generazione degli elementi nelle stelle

Processo Prodotti T(K) (core) Massa minima

(m.s.)

H-burning He 2·107 0.1

He-burning C, O 2·108 1

C-burning O, Ne, Na, Mg 8·108 1.4

Ne-burning O, Mg 1.5·109 5

O-burning Mg to S 2·109 10

Si-burning Fe 3·109 20

Il meccanismo più efficiente in stelle sufficientemente pesanti è la cattura di

particelle alfa (4He), come esemplificato nelle reazioni seguenti per temperature

dell’ordine di 108-10

9 K:

12

C + 4He →

16O + γ

16O +

4He →

20Ne + γ

20Ne +

4He →

24Mg+ γ

24Mg +

4He →

28Si + γ

28Si +

4He →

32S + γ

32S +

4He →

36Ar + γ

Una serie di reazioni molto interessanti dal punto di vista degli elementi coin-

volti riguarda il ciclo Carbonio-Azoto-Ossigeno, riportato in figura 2, che ha luo-

go a temperature maggiori di 1.6·107 K e per masse stellari maggiori di 1.1 in uni-

tà di massa solare.

Processi di cattura protonici e di decadimento β regolano le abbondanze relati-

ve di questi elementi così importanti per la costruzione di molecole complesse.

Tutti i nuclei fino al Ferro si formano dunque mediante processi termonucleari

che avvengono all’interno di stelle massive (tabella 1).

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150 Venanzi - Astrochimica: un percorso affascinante per l'insegnamento...

Figura 2. Ciclo CNO (T > 1.6·107 K, M > 1.1 m.s.).

La formazione di Fe esaurisce tutti i processi nucleari di nucleosintesi che han-

no luogo all’interno delle masse stellari (da qui il massimo relativo nella distribu-

zione delle abbondanze degli elementi riportata in figura 1).

Gli elementi più pesanti si formano a partire da altri processi, tipicamente da

processi di cattura di neutroni.[2] Questi ultimi si dividono in processi di cattura

neutronica lenti (s-process), che hanno luogo durante il collasso del nucleo ferro-

so di stelle pesanti, o processi di cattura neutronica rapidi (r-process), innescati

generalmente durante l’espulsione di materiale nella fase supernova di una stella

pesante. Elementi come Cu, Zn, Br, I, Ag, Au, Pt, Pd, lantanidi e attinidi si for-

mano generalmente durante gli eventi che accompagnano l’evoluzione di una

supernova fino alla sua esplosione finale.

Fino ad ora, abbiamo analizzato i processi di formazione di nuclei più pesanti a

partire dai nuclei più leggeri. In realtà l'abbondanza relativa degli elementi è de-

terminata anche dai percorsi di decadimento radioattivo di elementi instabili pe-

santi. L’Uranio-238, Uranio-235, Torio-232 innescano dei processi radioattivi che

terminano invariabilmente con isotopi più o meno stabili del Piombo [Ex. U-

238→Th-234→Pd-234→U-234→Th-230→Ra-226→Rn-222→Po-218→Pb-

214(26.8 min)→Bi-214→Po-214→Pb-210 (22.3 anni)→Bi-210→Po-210→Pb-

206 (stabile)].

Questi processi spiegano il massimo misurato per il Pb nella distribuzione delle

abbondanze relative degli elementi riportate in figura 1.

I processi radioattivi aprono la possibilità di disegnare dei veri e propri orologi

atomici, utili per determinare i tempi-scala di molti processi astronomici (tabella

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151

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2). Nella Appendice B viene ottenuta facilmente la relazione che lega la costante

di velocità dei processi radioattivi ai loro tempi scala caratteristici.

Tabella 2. Tempi scala di alcuni processi di decadimento radioattivo

Isotopo radioattivo parente Isotopo stabile prodotto Tempo di decadimento/anni

U-238 Pb-206 4.5 miliardi

U-235 Pb-207 704 milioni

Th-232 Pb-208 14.0 miliardi

Rb-87 Sr-87 48.8 miliardi

K-40 Ar-40 1.25 miliardi

Sa-147 Nd-143 106 miliardi

La cosa interessante che si evince dai dati riportati in tabella 2 è che alcuni dei

tempi di decadimento di elementi radioattivi sono nella stessa scala temporale di

processi astronomici come il Big Bang, la cui origine è stimata intorno ai 15 mi-

liardi di anni, o la formazione del sole, datata intorno ai 4.5 miliardi di anni.

Nella Appendice C viene dimostrato come è possibile dallo spettro di emissio-

ne dell’atomo di idrogeno risalire alla temperatura della corona solare (termometri

atomici).

II. Molecole nello spazio

Se la genesi degli elementi chimici è sostanzialmente compresa, molto più pro-

blematica è la comprensione della formazione di molecole, soprattutto alla luce

degli ultimi risultati sperimentali che hanno evidenziato la presenza nello spazio

interstellare di molecole anche complesse, come ad esempio idrocarburi aromatici

policiclici (PAH==polycyclic aromatic hydrocarbons).

La tabella 3 riporta un elenco di molecole, in ordine di complessità molecolare,

la cui presenza nello spazio interstellare si può dare per assodata.

La presenza di molecole ha un profondo effetto nella evoluzione dei processi

astronomici. Mentre gli atomi infatti possono portare ad un raffreddamento delle

temperature dell’Universo fino ad un minimo di 8000K, le molecole sono molto

più efficienti nel guidare tale raffreddamento. Con le molecole entrano in gioco

vibrazioni e rotazioni con la possibilità di assorbire ed emettere radiazione nella

regione infrarossa e nelle microonde. L’universo del profondo ultravioletto è

quello degli atomi, l’universo del visibile, dell’infrarosso e delle microonde è

quello delle molecole.

Nell’appendice D è discusso un effetto puramente quantistico che determina la

maggiore efficienza di molecole deuterate nel determinare il raffreddamento delle

temperature dell’universo, mentre nell’appendice E è mostrato come dallo spettro

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rotovibrazionale di una molecola (CO) si possono ottenere informazioni sulle

temperature locali di una nebulosa (termometri molecolari).

Tabella 3. Molecole nello spazio interstellare

a

2 2 3 3 4 5 6

H2 NaCl C3, C2H,

CH2

N2H+,

N2O,

NH2

c-C3H

l-C3H

C5,

H2COH+

C5H,

l-H2C4

AlF, AlCl OH C2O, C2S NaCN C3N,

C3O,

C3S

C4H,

C4Si,

SiH4

C2H4,

CH3CN

C2, CH,

CH+

PN HCN, HCO,

HCO+

OCS,

CO2,SO2

C2H2,

SiC3,

H3O+

l-C3H2,

c-C3H2

CH3OH,

CH3SH,

CN, CO,

CO+

SO, SO+

HCS+,

HOC+

c-SiC2 HCCN,

HCNH+

CH2CN,

CH4

HC3NH+,

HC2CHO

CP, CSi SiN, SiO,

SiS

H2O, H2S H3+

HNCO,

HNCS

HC3N,

HC2NC

NH2CHO,

C5N

HCl, KCl CS HCN, HNO HOCO+,

H2CO

HCOOH,

H2CHN

NH, NO,

NS

HF MgCN,

MgNC

H2CN,

H2CS

NH3+

H2C2O,

H2NCN,

HNC3

7 8 9 10 11 13

C6H CH3C3N CH3C4H (CH3)2CO HC9N HC11N

CH2CHCN HCOOCH3 CH3CH2CN

CH3C2H C7H (CH3)2O

HC5N H2C6 CH3CH2OH

HCOCH3 HC7N

NH2CH3 C8H

C-C2H4O

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Tabella 3. Molecole nello spazio interstellare

a

2 2 3 3 4 5 6

H2 NaCl C3, C2H,

CH2

N2H+,

N2O,

NH2

c-C3H

l-C3H

C5,

H2COH+

C5H,

l-H2C4

AlF, AlCl OH C2O, C2S NaCN C3N,

C3O,

C3S

C4H,

C4Si,

SiH4

C2H4,

CH3CN

C2, CH,

CH+

PN HCN,

HCO,

HCO+

OCS,

CO2,SO2

C2H2,

SiC3,

H3O+

l-C3H2,

c-C3H2

CH3OH,

CH3SH,

CN, CO,

CO+

SO, SO+

HCS+,

HOC+

c-SiC2 HCCN,

HCNH+

CH2CN,

CH4

HC3NH+,

HC2CHO

CP, CSi SiN, SiO,

SiS

H2O, H2S H3+

HNCO,

HNCS

HC3N,

HC2NC

NH2CHO,

C5N

HCl, KCl CS HCN, HNO HOCO+,

H2CO

HCOOH,

H2CHN

NH, NO,

NS

HF MgCN,

MgNC H2CN,

H2CS

NH3+

H2C2O,

H2NCN,

HNC3

7 8 9 10 11 13

C6H CH3C3N CH3C4H (CH3)2CO HC9N HC11N

CH2CHCN HCOOCH3 CH3CH2CN

CH3C2H C7H (CH3)2O

HC5N H2C6 CH3CH2OH

HCOCH3 HC7N

NH2CH3 C8H

C-C2H4O a Ref. [4]

III. Reazioni chimiche nello spazio interstellare

Lo svolgersi di reazioni chimiche con la relativa formazione di molecole stabili,

pone una serie di problemi legati alle condizioni fisiche e chimiche nelle quali

queste reazioni si svolgono tipicamente.

Innazitutto, le concentrazioni estremamente basse dei reagenti. In fondo

due reagenti devono pur incontrarsi per reagire e nello spazio interstellare,

nel quale tipicamente le densità molecolari sono dell’ordine di 100 molecole

per cm3 e le temperature dell’ordine di qualche decina di Kelvin, la frequenza di

collisione è intorno a 5·10-8

s-1

(1 collisione ogni anno e mezzo).

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Le basse temperature hanno un’altra conseguenza immediata. Secondo la legge di

Arrhenius, la costante di velocità di reazione dipende in maniera esponenziale dal-

la energia di attivazione Ea e dalla temperatura.

RT

EATk aexp)(

Ad esempio, la semplice reazione di isomerizzazione CH3NC → CH3CN ha una

energia di attivazione di 160 kJ·mol-1

. Alle temperature chimiche di una nebulosa

(30K) RT è uguale a 0.25 kJ·mol-1

ed il rapporto Ea/RT=279. A temperatura am-

biente (298K) Ea/RT=28, mentre nella corona solare (T=5780K) Ea/RT=2.

Queste considerazioni portano alla drastica conclusione che nello spazio, reazioni

che richiedano una energia di attivazione maggiore del prodotto RT (generalmen-

te molto piccolo), abbiano velocità del tutto trascurabili. Né il termine pre-

esponenziale A, legato alla frequenza di collisione, riesce a rendere la costante di

velocità sufficientemente grande.

Queste considerazioni portano immediatamente ad escludere reazioni che coin-

volgano specie neutre. Le uniche reazioni che avvengono con una certa probabili-

tà sono dunque reazioni a energia di attivazione ‘zero’, come reazioni radicaliche:

CH2· + CH2· → prodotti

o reazioni ione-molecola:

H2+ + H2 → H3

+ + H

Prendiamo in esame un tipico ciclo di reazioni che avvengono nello spazio:

I. H + H → H2 (su polvere stellare)

II. H2 → H2+ + e

- (raggi cosmici)

III. H2 + H2+ → H3

+ + H (rapida)

IV. H3+ + CO → HCO

+ + H2

La prima reazione ha un'energia di attivazione non trascurabile e le concentrazioni

dei reagenti nello spazio interstellare sono bassissime. L’unico modo perchè que-

sta reazione abbia effettivamente luogo è quello di farla avvenire su grani di pol-

vere interstellare, in cui la superficie del grano funziona da catalizzatore eteroge-

neo. In questo modo, gli atomi d'idrogeno hanno la possibilità di rimanere in

contatto per tutto il tempo necessario a reagire [ tempo e spazio sono le uniche co-

se che ci sono in abbondanza nelle nuvole molecolari, le cui dimensioni si conta-

no in anni luce (9.46·1012

km)].

Il secondo passaggio è costituito dalla reazione di ionizzazione della molecola d'i-

drogeno, evento tipicamente innescato da raggi cosmici (fotoionizzazione). Il ter-

zo passaggio è rapido, trattandosi di una reazione ione-molecola con energia di at-

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tivazione trascurabile (è il contributo elettrostatico a guidare la rapida evoluzione

della reazione). Il quarto passaggio, ancora una reazione ione-molecola, coinvolge

una molecola di CO, con formazione di HCO+ e idrogeno molecolare,

quest’ultimo pronto a rientrare nel ciclo II→IV. Le concentrazioni di HCO+ e CO

sono facilmente misurabili mediante spettroscopia rotovibrazionale nella regione

infrarossa e delle microonde dello spettro.

In figura 3 sono riassunti i tipi di reazione che avvengono nello spazio interstella-

re e alcune delle più comuni reazioni ione-elettrone ed elettrone-molecola:

Figura 3. Reazioni nello spazio interstellare (rif. [5]).

III.A Processi fotochimici

Un ruolo decisivo nell’innesco di reazioni chimiche fotoindotte è giocato

dall’assorbimento di raggi cosmici di appropriata lunghezza d’onda. L’energia as-

sociata ad una radiazione di lunghezza d’onda λ per mole di fotoni assorbiti è:

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)(

119625)( 1

nm

hcNmolkJE A

Uno dei processi di interesse per la reattività chimica è la fotodissociazione, la

rottura di legami chimici indotta dall’assorbimento di radiazione. La tabella 4 ri-

porta alcuni esempi di legami chimici, le energie di legame associate e le lun-

ghezze d’onda necessarie per la loro rottura.

Tabella 4. Legami chimici, energie di legame e lunghezze d’onda associate

Legame chimico Energia di legame (kJ·mol-1

) Lunghezza d’onda (nm)

C≡O 1075 105

N≡N 943 120

C≡N 754 149

C≡C 838 134

C=O 612 184

C-C 348 323

C-H 415 271

H-H 436 274

Secondo la legge di Wien, una stella con una temperatura superficiale di 28000K

emette radiazioni con un massimo di intensità ad una lunghezza d’onda di 104

nm. Nessuna molecola potrebbe sopravvivere ad una radiazione così energetica, e

la chimica risultante sarebbe estremamente povera: una molecola appena formata

(e abbiamo visto con quali difficoltà) sarebbe rapidamente distrutta dalla radia-

zione cosmica.

Lo stesso sole con una temperatura superficiale di 5780K e una lunghezza d’onda

di massima intensità di 501 nm, come ben noto genera una sensibile emissione di

raggi UV, con una frazione non trascurabile di lunghezze d’onda intorno a 323

nm, l’energia necessaria a rompere un legame C-C. E’ lo strato di ozono che filtra

questa radiazione a rendere possibile la vita sulla Terra.

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Nello spazio interstellare questo schermo non esiste, e solo le molecole protette

dallo strato di ghiaccio che ricopre i grani di polvere stellare sono in grado di so-

pravvivere stabilmente e dar luogo alla produzione di molecole organiche.

L’altro processo d'interesse per la reattività chimica innescato dall’assorbimento

di radiazione è la fotoionizzazione:

A + hν A+ + e

-

La produzione di specie cariche è, come abbiamo visto, indispensabile per pro-

muovere reazioni chimiche ad energia di attivazione ‘zero’, le uniche possibili al-

le temperature dello spazio interstellare.

In tabella 5 sono state riportate le energie di ionizzazione di alcuni atomi e mole-

cole e le relative lunghezze d’onda di ionizzazione.

Tabella 5. Energie di ionizzazione e lunghezze d’onda associate

Atomo o moleco-

la

Energia di ionizzazione

(eV)

Lunghezza d’onda di ionizzazione

(nm)

H 13.6 90.73

He 24.59 50.48

Li 5.32 233.3

C 11.26 110.2

O 13.62 93.19

H2 15.43 80.45

CO 14.01 88.60

C2 12.0 103.4

CN 13.8 89.9

CH4 12.6 98.5

III.B Reazioni chimiche sui grani di polvere stellare. Catalisi eterogenea

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Come abbiamo visto, un aspetto decisivo della cinetica delle reazioni chimiche

che avvengono nello spazio interstellare, è il ruolo catalitico svolto da granelli di

polvere interstellare.

La composizione chimica di un granello di polvere e alcuni dei processi chimici e

fotochimici che si svolgono sulla sua superficie sono illustrati in figura 4.

Figura 4. Struttura e composizione chimica di un grano di polvere stellare. In figura

vengono anche riportati alcuni processi fotochimici che si svolgono in superficie.

L’interno di un grano di polvere stellare è composto essenzialmente da silicati e carbo-

nati, prodotti tipicamente dall’esplosione di una supernova ricca di ossigeno. Questo nu-

cleo minerale è protetto da un guscio sottile di ghiaccio contenente un certo numero di

molecole organiche.

Inoltre, il bombardamento di raggi cosmici innesca tutta una serie di processi fotochi-

mici in superficie, illustrati in figura 5.

Figura 5. Processi chimici sulla superficie di un grano di polvere stellare (rif. [5]).

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Il tutto è governato da quanto fortemente atomi e molecole sono adsorbite sulla super-

ficie, dalla loro concentrazione e mobilità diffusionale.

La capacità di una superficie di ridurre l’energia di attivazione di molte reazioni chimi-

che è ben nota (catalisi eterogenea). L’energia di interazione con la superficie favorisce

infatti la rottura di legami chimici, l’incontro di specie reattive, la formazione di stati di

transizione reattivi.

La principale fonte di formazione di idrogeno molecolare a partire da idrogeno atomico

è proprio costituita da reazioni che si sviluppano sulla superficie di grani di polvere stella-

re.

C’è una reazione elementare molto importante che rende conto della presenza di nume-

rose molecole organiche nel mantello ghiacciato che ricopre i grani di polvere stellare: la

reazione di inserzione di atomi di carbonio.

I. C+ + CH4 → C2H2

+ + H2

II. C2H2+ + e

- → C2H2

III. C2H2 + C+ → C3

+ + H2

Le reazioni che costituiscono questo ciclo reattivo sono considerate essere le reazioni

elementari che danno luogo alla formazione di catene di atomi di carbonio e di composti

aromatici policiclici. Sono, come indicato, tutte reazioni di tipo ione-molecola e quindi a

bassa energia di attivazione.

La catena reattiva può comunque essere molto complicata. Nella nuvola molecolare

TMC-1 sono state identificate 218 specie atomiche e molecolari, legate tra loro da 2747

diverse reazioni chimiche. In figura 6 è stato riportato il network di reazioni utilizzato per

descrivere l’insieme di reazioni chimiche che si svolgono all’interno di TMC-1.

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Figura 6. Network di reazioni chimiche proposto per descrivere l’insieme di reazioni

in TMC-1 (rif. [6]).

IV. Chimica prebiotica

Il sacro graal della astrochimica è trovare tracce nell’Universo delle molecole che possano

aver dato origine alla vita per come noi la conosciamo sulla Terra. Ad esempio nello spa-

zio interstellare è stato identificato lo spettro caratteristico della glicina mediante spettro-

scopia a microonde.

Nei grani di polvere interstellare è stata provata la presenza di tutta una serie di mole-

cole formate dai quattro elementi (C, N, O, H), fondamentali nella sintesi di molecole d'in-

teresse biologico. Abbiamo già visto come fotoprocessi nella regione UV possano scate-

nare migliaia di reazioni chimiche che coinvolgono mattoni di possibili architetture

molecolari complesse.

Perché non pensare ai grani di polvere stellare come ‘semi’ ricchi di molecole organi-

che che in un ambiente con condizioni chimiche favorevoli possano dar luogo alla forma-

zione di biomolecole (figura 7)?

E’ casuale che C, N, O, al centro del primo periodo della Tavola Periodica, siano gli e-

lementi più reattivi e soprattutto in grado di dar luogo alle molteplici combinazioni neces-

sarie alla costruzione di molecole complesse?

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Figura 7. Un grano di polvere stellare visto come seme ‘CHON’(rif. [7]).

In un interessante esperimento di laboratorio sono state ricreate le condizioni fisiche

(temperatura, irradiazione) e chimiche (concentrazione di specie atomiche e molecolari,

ghiaccio) presenti in un grano di polvere stellare. In figura 8 è stato riportato il gas-

cromatogramma misurato a diversi tempi. E’ da notare la ricchezza delle specie chimiche

rivelate e la presenza di un cerro numero di amminoacidi o di loro derivati (Gly, Ala, Val,

Pro, Asp, Ser).

Un aspetto interessante dei risultati ottenuti riguarda la sostanziale uguaglianza di con-

centrazione tra enantiomeri dello stesso amminoacido (L- e D-Ala nell’inserto di figura

8). Questo risultato lascia aperto uno dei grandi quesiti della origine della vita, e cioè la

causa della chiralità preferenziale delle molecole biologiche (gli amminoacidi naturali so-

no tutti in configurazione levogira).

Figura 8. Gas-cromatogramma ottenuto in laboratorio ricreando le condizioni chimico-

fisiche presenti in un grano di polvere interstellare in una nuvola molecolare di alta densi-

tà (rif.[8]).

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Nella Figura 9 è stato delineato un possibile percorso chimico che, a partire

dall’eccitazione di raggi cosmici, porta attraverso un network di reazioni elementari alla

formazione di molecole complesse. Le condizioni chimico-fisiche sono quelle di una nu-

vola molecolare relativamente densa.

Figura 9. Network chimico per la formazione di molecole complesse in una nuvola

molecolare relativamente densa (rif. [6]).

Questo percorso può essere completato in opportune condizioni di reazione dallo

schema delineato in figura 10 fino alla sintesi dei mattoni chimici (peptidi e nucleotidi)

necessari alla costruzione di biomolecole funzionali (proteine e acidi nucleici).

Figura 10. Un possibile percorso chimico da molecole semplici a biomolecole funzio-

nali (rif. [9]).

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Gli schemi riportati nelle figure 9 e 10 individuano un percorso chimico plausibile e

certamente possibile. E’ anche quello realmente seguito nell’evoluzione chimica del no-

stro universo dai primi minuti successivi al Big Bang alla comparsa della vita nel nostro

sistema solare?

Più modestamente, siamo convinti che il percorso che abbiamo sommariamente discus-

so in queste pagine possa davvero essere oggetto di un percorso didattico interdisciplinare

che coinvolga in maniera integrata la fisica, la chimica e la biologia.

Le leggi della chimica operanti nell’Universo non sono diverse da quelle che abbiamo

imparato ad utilizzare nel nostro laboratorio terrestre, e i protagonisti dei processi che ab-

biamo provato a delineare sono sempre gli elementi che abbiamo classificato nella Tavola

Periodica (come potrebbe essere altrimenti?).

Prima che nei programmi ministeriali, le scienze sono veramente integrate nel grande

libro dei processi evolutivi dell’Universo.

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Riferimenti bibliografici

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Appendice A. Energia e massa

Un nucleo di 4He è formato da 2 protoni e 2 neutroni. La massa totale dovrebbe essere:

2mp + 2mn = 2x1.6726·10-27

+ 2x1.6749·10-27

kg = 6.69688·10-27

kg

In realtà il peso di 4He è pari a 6.64446·10

-27 kg, con un conseguente difetto di massa di

5.242·10-29

kg. Secondo la nota relazione di Einstein: E = mc2, questo difetto di massa

corrisponde ad una energia pari a:

E = 5.242·10-29

x ( 3·108)

2 = 4.72·10

-12 J = 29.5 MeV

Appendice B. Orologi atomici

Tempi di decadimento di processi radioattivi

I processi radioattivi sono generalmente descritti da cinetiche del I ordine, per le quali

la variazione nel tempo di un dato numero di molecole (N) è proporzionale al numero di

molecole stesse.

kNdt

dN

kdtN

dN

Integrando separatamente tra un tempo 0 [N(t=0)=N0] e un tempo t [N(t)], si ottiene:

ttN

N

dtkN

dN

0

)(

0

ktN

tN

0

)(ln

kteNtN 0)(

Questa espressione, conoscendo la costante di velocità k, permette di ottenere il nume-

ro di molecole al tempo t a partire da un numero di molecole N0 al tempo t=0.

Il tempo di decadimento (o di dimezzamento) è definito come il tempo necessario a

diminuire della metà il numero di molecole iniziali.

Quindi al tempo t=τ, N(τ) = N0/2

Dalla soluzione generale del problema si ottiene:

keNN

N 0

0

2)(

ke2

1 k

2

1ln k2ln

k

2ln

Dalla quale si può notare subito che il tempo di decadimento radioattivo è una costante

caratteristica dell’elemento atomico in esame.

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Appendice C. Termometri atomici

Spettro dell’Idrogeno atomico

Alla fine dell’800 le evidenze più clamorose della inadeguatezza della fisica classica a

spiegare tutta una serie di osservazioni sperimentali, vennero dalla misura degli spettri di

emissione solare eseguita nei laboratori spettroscopici di Lord Rutherford.

In particolare, lo spettro di emissione dell’Idrogeno atomico mostrò una serie di righe

spettroscopiche, la cui posizione seguiva una equazione fenomenologica molto semplice

in cui l’energia era funzione di soli numeri interi:

2

1

2

2

12

11

nnREE R=109.000 cm

-1

La interpretazione di questa legge avrebbe dovuto aspettare il modello di Bohr (1911),

mentre la sua soluzione analitica sarebbe venuta solo dalla soluzione della Equazione di

Schrödinger (1927).

Già al tempo degli esperimenti di Rutherford questa espressione, unita alla distribuzio-

ne di Boltzmann, aveva fornito una misura corretta della temperatura della corona solare.

La misura delle intensità relative delle righe di emissione del sole costituiva in realtà

una misura della popolazione dei livelli n=2 e n=1 dell’atomo di idrogeno.

Dalla distribuzione di Boltzmann si aveva:

2

1

2

21

2 1expexp 12

nnkT

R

kT

EE

n

n nn= 5.15·10

-9 (sperimentale)

Da cui si ottiene per n2=2 e n1=1: T=5780K in ottimo accordo con il dato sperimentale.

Appendice D. Il refrigerante migliore: un effetto puramente quantistico

L’abbondanza del deuterio nello spazio interstellare può essere anche 5000 volte mag-

giore di quella naturale sulla Terra. Questo ha un effetto molto importante nei processi di

raffreddamento dell’Universo guidato dall’assorbimento ed emissione di radiazione infra-

rossa.

Il rilassamento vibrazionale intramolecolare è un processo molto efficiente che ha luo-

go generalmente nella regione temporale dei picosecondi. Di conseguenza, le molecole

popolano quasi esclusivamente il loro stato vibrazionale fondamentale. Un risultato pura-

mente quantistico (non previsto dalla fisica classica) è che le molecole nel loro stato fon-

damentale vibrazionale abbiano un'energia non nulla (energia di punto zero).

Secondo la meccanica quantistica un oscillatore armonico ha una energia pari a:

hvv

2

1

dove v è il numero quantico vibrazionale. Per v=0 (stato fondamentale):

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h2

10

La frequenza di un oscillatore armonico è pari a:

k

2

1

Dove k è la costante di forza dell’oscillatore e μ la sua massa ridotta:

21

21

mm

mm

Le molecole H2, HD e D2 hanno in prima approssimazione la stessa costante di forza,

poiché quest’ultima è determinata essenzialmente dall’energia di legame molecolare.

L’energia di legame è determinata dalla condivisione della densità elettronica nella regio-

ne internucleare, che è sostanzialmente non influenzata dalla sostituzione isotopica (Ap-

prossimazione di Born-Oppenheimer). Secondo questa approssimazione:

k(H2)=k(HD)=k(D2).

Ne consegue:

2

2

H

HD

HD

H

2

2

2

2

H

D

D

H

Poiché:

22

H

HH

HHH

m

mm

mm

H

DH

DHHD m

mm

mm

3

2

H

DD

DDD m

mm

mm

2

155.13

42

HD

H

414.12

2

2 D

H

Sperimentalmente si trova:

100.110090.1

10320.114

14

2

HD

H

212.1

1098.8

10320.113

14

2

2

D

H

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Alle tre energie di punto zero corrispondono temperature molecolari pari rispettiva-

mente a 6600K (H2), 5450K (HD) e 4490K (D2).

Appendice E. Un termometro molecolare

Spettro rotazionale del CO

La soluzione quantistica della rotazione di una molecola biatomica, assimilata ad un ro-

tatore rigido, trova un’equazione molto semplice per l’energia rotazionale in funzione del

numero quantico J:

1 JBJJ

Dove B è la costante rotazionale, una proprietà molecolare legata al momento di inerzia

della molecola:

cr

hB

22 8

Dove μ è la massa ridotta e r è in prima approssimazione la lunghezza di legame mole-

colare.

La popolazione dei vari livelli rotazionali segue la distribuzione di Boltzmann:

kT

JhcBJJ

N

N

J

J )1(exp)12(

0

Per la molecola 12

CO: B=1.92 cm-1

.

Dall’intensità relativa delle righe dello spettro rotazionale osservato nelle microonde si

ottiene T=40K.

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ISBN: 978-88-941026-1-1