“L’aiuto concreto” di P&G: una risposta tangibile al consumatore che va oltre le promozioni
Scuola Grande di San Rocco Chiesa Santa Maria Gloriosa dei ... · La Ca’ d’Oro fu il tangibile...
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Transcript of Scuola Grande di San Rocco Chiesa Santa Maria Gloriosa dei ... · La Ca’ d’Oro fu il tangibile...
I have, many and many a time, thought since, of this strange dream upon the water: Venice … Charles Dickens
J'ai, beaucoup et beaucoup pensé à ce rêve étrange sur l'eau: Venise ...
Molto ho pensato a questo strano sogno sull’acqua: Venezia …
“Venezia è un sogno”, hanno scritto i poeti. E’ romantica, triste, sensibile, decadente, notturna, fragile, vaporosa, evanescente. E’ la città col tasso di innamorati più alto del mondo. Un itinerario romantico? Davvero si potrebbe andare ovunque senza una meta ben precisa. L’atmosfera della laguna è tale da coinvolgere anche gli spiriti più refrattari a cedimenti sentimentali. E quale scenario migliore per una passeggiata mano nella mano di quello offerto dalla città lagunare con le sue calli, i ponti, i canali, le facciate dei palazzi dietro le quali potrebbe celarsi un’alcova testimone degli amori di Casanova?
La Ca’ d’Oro fu il tangibile dono che, nel 1420, un marito
ricco e innamorato, il patrizio Marino Contarini, fece “confezionare” per la dolce Soradamor
sua sposa. Passano i secoli, cambiano i proprietari, ma nel 1846 l’edificio è di nuovo
pegno d’amore: il principe russo Trubeckoj ne fa dono a Maria Taglioni, la famosa
danzatrice classica.
“Veni etiam” …
A Venezia, chi si perde ha ragione, perché incontrerà sul suo cammino, per quanto
tortuoso e complesso, sempre nuove meraviglie. Insomma, verrà davvero voglia di
credere alla fantasiosa ricostruzione filologica per la quale il nome di Venezia deriverebbe
dal latino Veni etiam, “vieni ancora”, e troverai sempre nuove bellezze ad aspettarti.
Venezia è un oceano di opere d’arte, uno scrigno infinito di capolavori.
E il problema, per chi la visita, è sempre lo stesso: da che parte cominciare? Non resta
che munirsi di una buona guida turistica e iniziare l’avventura, Venezia è da scoprire a piedi: orientarsi non è difficile, anche perché la città conserva la suddivisione in sestieri (San Marco, Cannaregio, S.Polo, Dorsoduro, S.Croce e S.Marta), percorrerla leggendo i nomi dei luoghi scritti sulle facciate delle case e cercando di capirne l’etimologia è un gioco davvero divertente. Serve qualche indizio: la calle è una strada più lunga che larga; la fondamenta, chiamata così perché ha la funzione di fondamenta per gli edifici che vi sorgono, è una strada che costeggia un canale (le più grandi prendono il nome di rive); la salizzada è una strada molto larga (furono le prime a essere lastricate), mentre la ruga è una via fiancheggiata da ambo i lati da botteghe e abitazioni. Il ramo è un vicolo che si dirama dalla calle principale; il rio è un piccolo canale: in alcuni si possono notare ancora tracce dei sistemi che impedivano alle imbarcazioni il passaggio durante la notte. Il rio terà è la strada sorta dopo l’interramento di un canale. Anche le piscine, dove un tempo i veneziani andavano a nuotare, sono state interrate e hanno l’aspetto di piazzette.
A Venezia 446 ponti scavalcano con i loro eleganti archi 176 canali in un intreccio
labirintico di acque. Tutti, già a partire dal 1600, erano costruiti in pietra e privi delle
protezioni laterali (bande), eccezion fatta per quelli dove si svolgeva un intenso traffico o
dove passavano le processioni ducali. Questa tipologia venne mantenuta più o meno così
fino al secolo scorso quando, per ovvie ragioni di sicurezza, furono tutti dotati di parapetto.
I ponti sopravvissuti senza bande sono due: uno è il Ponte del Chiodo e l’altro il Ponte del
Diavolo che si trova nell’isola di Torcello.
Ponte del Chiodo Ponte del Diavolo
Palazzo Ducale Sala del Maggior Consiglio Chiesa di Santa Maria Gloriosa dei Frari Paolo Veronese “Trionfo di Venezia circondata Tiziano da divinità e incoronata dalla Vittoria”
Chiesa Santa Maria dei Miracoli Scala Contarini del Bovolo
VENEZIA
Diego Valeri
C'è una città di questo mondo,
ma così bella, ma così strana,
che pare un gioco di fata Morgana
o una visione del cuore profondo.
Avviluppata in un roseo velo,
sta con sue chiese, palazzi, giardini,
tutta sospesa tra due turchini,
quello del mare, quello del cielo.
Così mutevole! A vederla
nella mattina di sole bianco
splende d'un riso pallido e stanco,
d'un chiuso lume, come la perla;
ma nei tramonti rossi affocati
è un'arca d'oro, ardente, raggiante,
nave immensa veleggiante
a lontani lidi incantati.
Quando la luna alta inargenta
torri snelle e cupole piene,
e serpeggia per cento vene
d'acqua cupa e sonnolenta,
non si può dire quel ch'ella sia,
tanto è nuova mirabile cosa:
isola dolce, misteriosa,
regno infinito di fantasia...
Cosa di sogno, vaga e leggera;
eppure porta mill'anni di storia,
e si corona della gloria
d'una grande vita guerriera.
Cuor di leonessa, viso che ammalia,
o tu, Venezia, due volte sovrana:
pianta di forte virtù romana,
fiore di tutta la grazia d'Italia.
Curiosità
Gli angeli sulla città Venezia è tutta un fruscio d’ali. Ali di tela, di marmo, di bronzo. Ali dipinte e scolpite.
Legioni di angeli popolano infatti le facciate o i campanili delle chiese, sorreggono
candelabri sugli altari, volteggiano sulle volte affrescate dei soffitti.
Nella città lagunare si noterà la predominanza di due arcangeli, Gabriele e Michele. Non è
un caso: la festività dell’annunciazione a Maria, di cui fu messaggero Gabriele, cade il 25
marzo, lo stesso giorno in cui, nel 421 secondo la tradizione, nasceva Venezia.
L’arcangelo Michele invece, in genere ritratto con vesti di guerriero, è colui che protegge
dai mali del corpo e dello spirito.
Sulla fiancata di una delle arcate del Ponte di Rialto, sulle piastre di pietra d’Istria, sono incastonate le figure di Gabriele e Maria.
Misteriose per la fissità dello sguardo sono le due dorate icone bizantine dell’arcangelo Michele custodite nel Tesoro della Basilica di San Marco.
In pietra chiara, sull’angolo del frontone della Chiesa di Santa Maria del Giglio, l’angelo
musicante lancia nell’etere il suo sacro richiamo soffiando in una lunga tromba.
Sulla facciata della Basilica di San Marco si contano ben sei angeli che fanno ala alla statua benedicente dell’evangelista, nei giorni di sereno il profilo delle loro belle ali dorate riluce netto contro la volta celeste.
Il più libero e vicino al cielo è l’arcangelo Gabriele che spalanca le ali sulla punta del
Campanile che svetta di fronte alla gotica Porta della Carta di Palazzo Ducale.
Quanto agli angeli dipinti, uno dei più sfolgoranti è l’adolescente alato che, impugnando
una torcia fiammeggiante, percorre su un cocchio dorato i cieli del Tiepolo, affrescati sulle
volte di una sala di Palazzo Querini Stampalia.
Nella Chiesa dei Santi Giovanni e Paolo nel Polittico di Giovanni Bellini, in uno dei riquadri,
si riconosce un giovane arcangelo Gabriele dalle ali di variopinto piumaggio, che annuncia
a Maria la divina maternità.
Nella Galleria dell’Accademia, si trova lo splendido arcangelo Michele ritratto da Michele
Giambono con una bruna veste di guerriero, i ricci ramati a corona sulla nuca, la spada e il
giavellotto che trafigge il maligno.
Andar per ombre Non è una caccia ai fantasmi: a Venezia le ombre sono i bicchieri di vino. L’etimologia del
termine deriva dal fatto che anticamente le botti venivano conservate all’aperto, nei luoghi
che godevano di un’ombra, e quindi di una frescura, perenne. Nei bacari, tipiche osterie
veneziane, per stuzzicare l’appetito (ed evitare la balla, ovvero l’ubriacatura) vengono
serviti i cicheti, spuntini generalmente a base di pesce o di salumi.
In tavola
In una città dove un aperitivo si chiama Bellini e una pietanza Carpaccio, dove le sarde
stanno bene con l’uva passa, dove le ombre si bevono e i cicheti si mangiano, dove un
vino, che non è un vino, ha l’allettante nome di “fragolino” e un pesce come il baccalà si
presenta mantecato come una crema, dove la frutta è ancor più dolce perché ricoperta di
caramello, il minimo che si possa fare è di volerne sapere di più.
sarde baccalà frutta caramellata
Risi e bisi, pasta e fagioli, fegato alla veneziana sono un tris d’assi
che la Serenissima gioca a tavola con secolare sicurezza. Risi e bisi è, il piatto offerto ai
Dogi il 25 aprile, giorno della Festa di San Marco, patrono della città. Addirittura in questa
densa minestra i piselli devono essere in maggioranza o per lo meno in quantità non
inferiore al riso (il detto popolare dice “ogni riso un biso”), mentre il brodo va ricavato dalla
cottura dei baccelli. Pasta e fagioli sono invece una minestra di consistenza ancor più
spessa, tanto che a cottura ultimata un mestolo di legno dovrebbe restare in piedi al centro
della pentola. Quanto al fegato alla veneta la dose classica indica che le cipolle devono
essere la metà del suo peso. Si racconta che questo piatto sia nato nel Ghetto della città
lagunare dove pare che gli ebrei lo consumassero abitualmente. I veneziani ne scoprirono
la saporita bontà e l’adottarono. E’ sapore di timbro orientale quello delle sarde in saor con
le sardine fritte alternate a strati di cipolle (prima lasciate sfinire nell’olio poi sfumate con
l’aceto), uva passa e pinoli e lasciate marinare al fresco due giorni prima di consumarle.
Anche se ricavato da una vite americana e poiché non raggiunge almeno i 10 gradi che la legge impone per i vini, non può essere chiamato vino: così è stato battezzato “fragolino”. Questo nettare d’uva dal sapore vellutato e dall’aroma di fragola che può essere rosso e più raramente bianco, si beve in piccoli bicchieri a fine pasto sgranocchiando i biscotti chiamati baicoli.
“No gh’è a sto mondo, no, più bel biscotto, più fin, più dolce, più lisiero e san per mogiar nela
cìcara o nel goto del Baicolo nostro Veneziàn” che tradotto significa “Non c'è a questo mondo, no, più bel
biscotto, più sottile, più dolce, più leggero e sano da intingere nella tazzina o nel bicchiere del baicolo nostro
veneziano” .
Ancora i bussolai, deliziosi biscotti secchi e friabili, tipici
dell’isola di Burano, si vedono nelle vetrine delle pasticcerie di Venezia insieme agli zaeti,
agli ossi da morto, al pan del Doge, alle sbreghette.
Sembra ieri quando Carmelina Palmisano lavorava nel panificio di famiglia, ancor oggi esistente e funzionale, collocato a Burano nel cuore del territorio Veneziano, iniziando a mescolare e miscelare farina, uova, burro e aromi e dando forma ad una serie di dolcetti tipici: Bussolà, Esse, Zaletti, Moretti, Limoncini, Cocchini…diventati oggi uno dei simboli dolciari veneziani. Con il tempo, grazie all'esperienza acquisita, Carmelina Palmisano ha curato passo per passo l'ampliamento della propria produzione, sempre mantenendo costante comunque un metodo di lavorazione artigianale e proponendo ricette che sono l'espressione dell'amore per le cose buone.
Chiunque si trovi nell'Isola ha la possibilità di visitare il punto vendita di Carmelina Palmisano, un antico
panificio dove il tempo sembra essersi fermato e dove ancora oggi vengono prodotti e venduti dolcetti tipici
veneziani, da sempre punto di riferimento per gli abitanti del luogo e per tutti quei turisti in cerca di
prelibatezze, prodotti tipici e genuini.
Nel 1931 Giuseppe Cipriani apre a Venezia quello che diventerà il mitico Harry’s Bar. Nel
frattempo nascono il long drink Bellini per celebrare la grande mostra veneziana che, nel
1948, viene dedicata al pittore Giovanni Bellini e, nel 1950, la pietanza Carpaccio,
battezzata con il nome del grande artista dopo la storica mostra dedicatagli dalla
Serenissima. Oggi in tutto il mondo Bellini (un terzo di frullato di pesca bianca e due terzi
di vino Prosecco) e Carpaccio (sottili fettine di filetto condite con una salsa a base di
maionese, Worcester, limone, latte, sale e pepe bianco) vogliono dire Cipriani.
Durante l'inverno tra il 1949 e il 1950 lo scrittore americano Ernest Hemingway divenne un cliente fisso del
locale, al punto da avere un tavolo personale esclusivo, stringendo anche un rapporto di amicizia con
Giuseppe Cipriani. All'epoca stava finendo la stesura del suo romanzo “Di là dal fiume e tra gli alberi”, fa da
affascinante sfondo al racconto un ambiente in gran parte veneziano, dall'Hotel Gritti all'Harry's Bar, dalla
laguna ai palazzi della buona società.
« Quattro barche risalivano il canale principale verso la grande laguna a nord... Era tutto ghiacciato, gelato di fresco durante il freddo improvviso della notte senza vento»
L’acqua racconta Una, dieci, cento isole disseminate nella Laguna. Piccole, grandi; abitate, disabitate; alcune famose, altre sconosciute da scoprire navigando lungo la rete dei canali dalla topografia sommersa, ma disegnata in superficie da due o più pali di legno conficcati sul fondo (bricole) le cui punte emergono ben visibili dallo specchio dell’acqua.
Murano quella dei maestri soffiatori per oltre mille anni insuperati artisti del vetro decorato. Nel ‘500 luogo privilegiato di villeggiatura per artisti, letterati e ricchi veneziani, era conosciuta come la “piccola Venezia” per la bellezza delle sue architetture e il suo “Canal Grande”.
Burano dove le basse case dai colori vivacissimi si specchiano nelle acque dei canali. L’isola del cosiddetto “punto in aria”, tanto lieve era il pizzo che nasceva dalle mani delle abilissime merlettaie.
Merletti di mare
Nella città dell’acqua persino i merletti hanno un’origine marina. Secondo un’antica leggenda, gli splendidi trafori creati dalle merlettaie di Burano nacquero grazie al singolare dono di un marinaio che, di ritorno da
mari lontani, portò all’amata invece di un fiore una bellissima alga raccolta su esotici fondali. La donna ne fu talmente affascinata che per conservare per sempre il souvenir ricreò la fragile trama dell’alga usando ago e
filo. Una storia che rispecchia la fluttuante leggerezza del tipico punto di Burano, chiamato “punto in aria” perché si lavora “in aria”, senza alcuna base di tessuto. Nel 1665 il punto in aria, portato in Francia, diventò il
“Point de France”: grazie a un gruppo di maestre veneziane trapiantate Oltralpe, il merletto divenne una sorta di industria. E cominciò una spietata concorrenza: attraverso forti dazi, si tentò di fermare
l’importazione dei merletti italiani, che nonostante tutto continuarono a prosperare fino alla fine del Settecento. Anche la rinascita del merletto è indirettamente legata al mare: nel 1872, dopo un inverno
freddissimo, la popolazione di Burano, che viveva di pesca, era allo stremo. L’arte del merletto, i cui segreti erano stati custoditi da una donna ormai ottantenne, servì a risollevare l’economia dell’isola.
Torcello L’atmosfera sognante e sospesa che aleggia su quest’isola la rende davvero unica nel dedalo della laguna. E qui, intorno a una piccola piazza erbosa che richiama quasi lo scenario di un teatro, è d’obbligo una visita alla Cattedrale dell’Assunta con il grandioso mosaico in stile veneto-bizantino del “Giudizio Universale” che occupa tutta la parete di fondo, alla Chiesa di Santa Fosca che risale al 1100 e ai trecenteschi palazzi del Consiglio e quello dell’Archivio.
San Lazzaro degli Armeni Ospita uno dei maggiori centri di cultura armena del mondo. Un luogo che non conosce affanno né frastuono, sull’isola comandano infatti pace e tranquillità, arte e natura, alberi e fiori, scienza e spiritualità, fede e amore per la bellezza. Una boccata d’ossigeno per chiunque, il turista come il veneziano, lo studioso come il cacciatore di souvenir. Qui un giorno del 1715 la tollerante generosità della Serenissima si incontrò con il genio di un sacerdote e intellettuale armeno: l’abate Mechitar a cui il Doge regalò la piccola isola lagunare che in pochi anni venne trasformata dall’abate e dai suoi monaci in un centro religioso e culturale dedito a conservare, arricchire e diffondere lo spirito armeno. Qui tra il 1816 e il 1817 visse il poeta George Byron, pieno di ammirazione, scrisse che il monastero " sembrava unire tutti i vantaggi dell'istruzione monastica senza i suoi vizi ... Le virtù dei fratelli ... sono tali da indurre un uomo di mondo a credere che ci sia un altro e migliore mondo anche in questa vita ".
Il Lido
La bellezza della sua spiaggia di sabbia finissima veniva celebrata da Goethe e da scrittori romantici come Byron, Shelley, De Musset e Gautier, mentre Thomas Mann ambientava il suo “La morte a Venezia” nel Grand Hotel Des Bains che, con il Grand Hotel Excelsior dona ancora lustro e fama al Lido. Centro di gran moda tra il 1850 e gli anni trenta, l’isola emana oggi il fascino di quel passato prossimo, che si illude di far rivivere ogni anno in occasione del Festival del Cinema.