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PROFESSIONE INSEGNANTE Collana diretta da Franco Frabboni LE VIE DELLA FORMAZIONE Scuola e sfide educative nella società del cambiamento FRANCO FRABBONI

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professione insegnanteCollana diretta da Franco Frabboni

le vie della formazione

Scuola e sfide educative nella società del cambiamento

franco frabboni

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7 Presentazione

9 Introduzione

PRIMA PARTELa triplice via della formazione Una rivoluzione copernicana

17 Introduzione

19 CAP. 1 Società del cambiamento e sfide educative

31 CAP. 2 Una Superstrada a tre corsie

37 CAP. 3 Per un curricolo europeo della Formazione

53 Bibliografia

SECONdA PARTELa Scuola Corsia delle competenze

59 Introduzione

61 CAP. 4 Torneranno le rondini al nido?

77 CAP. 5 Riscriviamo il domani della Scuola

83 CAP. 6 I capitoli pedagogici

95 CAP. 7 Sul ponte di Brooklyn: il Tempo pieno

107 Bibliografia

TERzA PARTEL’oltrescuola Corsia delle conoscenze nascoste

113 Introduzione

indice

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117 CAP. 8 Se il ponte Scuola-Oltrescuola è transennato

127 CAP. 9 Via libera al transito Scuola-Ambiente. E ritorno

151 Bibliografia

qUARTA PARTEil Postscuola Corsia di nuove conoscenze

157 Introduzione

159 CAP. 10 Se il ponte Scuola-Postscuola è inagibile

169 CAP. 11 Via libera al transito Scuola-Postscuola. E ritorno

177 CAP. 12 due righe per concludere

181 Bibliografia

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presentazione

Con gli occhi spalancati e pieni di futuro, il presente saggio prono-stica un Ventunesimo secolo intitolato alla Formazione. Cioè a dire, al prossimo capitale di Conoscenze erogate dalla Scuola e dalla cultura diffusa nell’Oltrescuola: nei contesti urbani ed ecologici.

La domanda è un po’ questa. La mongolfiera della Formazione di quali mutamenti epocali sarà titolare? A quali linee di trasformazio-ne della società allude quando chiama la Scuola, il Fuoriscuola e il Postscuola (gli universi giovanili, adulti e senili) a un’epocale triplice/alleanza per fronteggiare l’emergenza del cambiamento?

A questi interrogativi, sarà possibile rispondere se le forze progres-siste e democratiche sapranno difendere — con determinazione — un nobile «paletto» costituzionale di nome Cultura: la Scuola, l’Università e l’Arte (teatro, musica, danza, cinema, biblioteche, musei, mostre et al.).

Dal nostro balcone interpretativo, la Cultura fa preliminarmente rima con Scuola. Proprio perché è declinabile con il «superdiritto» delle sue giovani utenze:• sia all’entrata, sia all’uscita dal sistema formativo: «no» pertanto a una

Scuola discriminatoria e selettiva nascosta sotto il giudaico mantello della Meritocrazia;

• a un’istruzione diffusa, in grado di nutrire una mente plurale e un pensiero libero: «no» pertanto a una Scuola che civetta con un Me-diatico fabbrica di menti uniche, prive di parole e di idee;

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le vie della formazione

• all’amicizia, alla cooperazione, alla solidarietà: «no» pertanto a una Scuola blindata nel banco, vuota di pensieri e rinchiusa nel culto della Competitività;

• all’inclusione e all’integrazione: «no» pertanto a una Scuola che separa quote della sua utenza in classi speciali e/o etniche alimentando il razzismo dell’indifferenza e dell’intolleranza verso il diverso-da-me.

Sono macro-idee che vorremmo sventolassero sul pennone più alto della scuola di domani. Sono gonfie di ideali pedagogici: l’opzione per una cultura critica e antidogmatica; l’opzione per un’alfabetizzazione attiva e antiautoritaria; l’opzione per dinamiche conviviali, cooperative e solidaristiche.

Per questo, chiediamo al sistema di istruzione una marcia-in-più in modo che possa trasferire alle giovani generazioni solide compe-tenze culturali: sia di immediata spendita sociale (in quanto moneta cognitiva in corso), sia fondate sull’imparare a imparare. Capaci di accompagnare per mano gli allievi nelle loro curiosità, nei loro in-terrogativi, nelle loro inquietudini profonde. Parliamo delle chiavi di accesso nel mondo-dei-perché. In questo soltanto si possono elaborare le congetture di chiarificazione delle «domande» di senso e di significato (culturali ed esistenziali) che popolano la vita quotidiana del mondo infantile e giovanile.

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introduzione

Le tre vie della Formazione

Nella società dall’economia immateriale (informatica, telematica, robo-tica) occorre, con solerzia, dare il primo giro di manovella a un convoglio della Formazione che sappia attraversare i mondi dell’emisfero boreale e dell’emisfero australe. È una speranza urlata alla luna. Del resto, nel Ventesimo secolo dieci autorevoli chiromanti — Giovanni Maria Bertin, Jerome Bruner, John Dewey, Paulo Freire, Serge Latouche, Jean Francois Lyotard, Maria Montessori, Edgar Morin, Karl Popper e Amartya Sen — colsero nella sfera-di-cristallo un possibile luminoso futuro per il Pianeta.1

In particolare, detti mentori fiutarono l’arrivo di un «trenino» della Formazione dotato di numerose scatole nere (teste-ben-fatte)

1 Si veda, in proposito: G.M. Bertin, Educazione alla ragione, Roma, Armando, 1968; J.S. Bruner, La cultura dell’educazione, Milano, Feltrinelli, 1997; J. Dewey, Il mio credo pedagogico, Firenze, La Nuova Italia, 1954; P. Freire, La pedagogia degli oppressi, Milano, Arnoldo Mondadori, 1971; S. Latouche, Come sopravvivere allo sviluppo, Torino, Bollati Boringhieri, 2005; J.F. Lyotard, La condizione postmoderna, Milano, Feltrinelli, 1994; M. Montessori, La mente del bambino, Milano, Garzanti, 1952; E. Morin, La testa ben fatta, Milano, Raffaello Cortina, 2000; K. Popper, Logica della scoperta scientifica, Torino, Einaudi, 1970; A. Sen, La democrazia degli altri. Perché la libertà non è un’invenzione dell’occidente, Milano, Mondadori, 2005.

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da regalare ai passeggeri: bambini, giovani, adulti e anziani. Parliamo delle forme-del-pensiero che selezionano e preservano le conoscenze di lunga durata.

Un convoglio che il nuovo Secolo vorrebbe sempre in servizio per equipaggiare — chi lo frequenta — di «bussole» che segnalano la strada che conduce sia alle intelligenze che pensano criticamente, sia alle utopie che riscaldano il mondo interiore, sia ai rifugi solidali che riparano dalle onde/tsunami del qualunquismo e dell’individualismo sollevate da una società sempre più decerebrata e vuota di futuro.

A partire dall’immagine futurologica stampata nella loro sfera di cristallo, gli illustri aruspici chiesero al Ventunesimo secolo di dare volo a una Formazione per-tutta-la-vita: per chi abita a nord/ovest e per chi abita a sud/est dell’Equatore. Ben certi che tali percorsi lunari, se interrelati e consociati tra loro, saranno capaci di conquistare la montagna incantata di nome Lifelong learning.

Siamo al cospetto — oggi — della lunga marcia dell’Educazione permanente fin sulla vetta dove convivono le tante culture e le tante cittadinanze di chi popola il Pianeta.

Nel Novecento, la Formazione ha costruito il suo viaggio attorno a una-sola-rotonda: la Scuola. Con l’avvento del terzo Millennio il suo cammino ne reclama altre/due, alle quali assegnare il nobile compito di triplicare il sentiero che porta sulla cima della Conoscenza e della Cittadinanza: sia per coloro che vivono nei territori del benessere economico, sia per coloro che vivono nei territori dell’indigenza ma-teriale e sociale.

Parliamo dell’avveniristico traguardo — culturale e civile — sul quale vorremmo transitasse il presente secolo al debutto: abitato da soggetti/persone dal pensiero plurale (intellettualmente non conformista) e dall’etica solidaristica (socialmente non competitiva).

Sui fotogrammi più significativi del convoglio dell’educazione che sta attraversando nuove praterie della cultura, la sfera-di-cristallo profetizza che la Formazione non fruirà più soltanto della guida della stella polare di nome Scuola (se restasse sola, tramonterebbe), ma anche di altre due stelle profetiche di nome Extrascuola e Postscuola.

L’una e le altre sono chiamate a porsi in cordata, mano-nella-mano, lungo l’impervia parete che porta in cima a una montagna finora ine-splorata: la Formazione lungo tutte le stagioni della vita.

Rinforziamo la tesi. In questi anni d’esordio del nuovo Secolo ci troviamo al cospetto di una maxibussola che predice l’arrivo — tramite il suo ago/trasversale (est/ovest) — di un Sistema formativo integrato tra la Scuola e l’Ambiente extramœnia e — tramite il suo ago/longitudinale (sud/nord: dimora storica dei Sistemi pubblici di

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Introduzione

istruzione) — di una Formazione continua irrorata da una salutare pioggia intergenerazionale. Crocevia di incontro tra più-linguaggi, più-pensieri, più-utopie.

Dunque, una Superstrada a-tre-corsie. Percorsa dagli attori dei tempi e dei luoghi di un’educazione vissuta sia nella Scuola, sia nell’Oltre-il-banco (l’Ambiente-città e l’Ambiente-natura: sedi di aule didattiche decentrate), sia nell’età Postscolastica (teatro di cura della mente e del cuore in età adulta e anziana).

In sintesi. La bussola dispone di una freccia trasversale (dalla Scuola all’Extrascuola e viceversa) e di una freccia longitudinale (dalla Scuola alla Formazione continua).

Con la rabbia nel cuore

Da oltre due lustri, siamo in cordata sulle insidiose pareti del Ven-tunesimo secolo. Dai suoi balconi sospesi nel vuoto, noi pedagogisti percepiamo un sentimento di impotenza e di rabbia. Il viaggio verso i cieli stellati della dignità della Persona — a partire dal diritto delle giovani generazioni alla Vita e alla Formazione — si sta rabbuiando, al punto da raggelare i nostri cuori.

Dall’alto, lo sguardo pedagogico coglie (e soffre) la distanza crescente tra l’antico suo ideale educativo (la Persona/valore: destinataria del diritto alla vita; e poi alla casa, al lavoro, alla salute, alla formazione, alla fede) e la tragica condizione esistenziale della metà dell’umanità (la Persona/merce: i milioni di bambini lasciati morire tra carestie ed epidemie oppure abbandonati-venduti-prostituiti) che popola il sud del Pianeta.

Sul banco degli imputati siede una stagione contemporanea sempre più impassibile e indifferente dinanzi vuoi ai macroconflitti accesi dalle superpotenze occidentali per derubare i Paesi poveri del terzo mondo, vuoi ai cronici focolai bellici (tendenzialmente tribali e reli-giosi) che devastano l’emisfero australe, vuoi alle migrazioni bibliche che lasciano sul terreno tributi enormi di vite umane. Parliamo dei massacri senza/titolo — neocoloniali ed etnici — che perpetuano una ricorrente ingiustizia: le «povertà» sociali e culturali (destino di molti) aumentano in funzione della crescita delle «ricchezze» economiche (a disposizione di pochi).

Per questo, vorremmo che il mondo occidentale (bianco, benestante, alfabetizzato, sazio) rivolgesse occhi solidali e generosi verso il sud della Terra. E lanciasse al Pianeta una sfida stellare investendo senza risparmio sulla vita, sulla scolarizzazione e sulla cittadinanza delle popolazioni nere, povere, analfabete, disperate.

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le vie della formazione

Aggiungiamo una ulteriore nostra certezza. I cambiamenti epocali del mondo in cui viviamo non potranno più avere un raggio soltanto occidentale, perché saranno chiamati a investire e a scuotere — in tempo reale — l’intera mappa intercontinentale. Soprattutto ai Paesi dell’emisfero australe va garantito il diritto alla Vita. Se tradito, questa metà-della-luna si troverebbe a rischio/umanità.

Per non dimenticare, ricordiamo che due miliardi di Persone non hanno cibo a sufficienza e vivono in condizione di permanente sot-toalimentazione, e che mezzo miliardo di esseri umani muore ogni anno per malattie infettive provocate da acqua inquinata e da smog.

Sono diritti/negati, rapinati da criminose organizzazioni inter-nazionali che hanno estinto un quarto delle specie animali e delle varietà arboree, nonché distrutto un terzo dei patrimoni forestali e delle barriere coralline.

Brandendo l’arma del diritto-di-tutti-all’istruzione, Paulo Freire ha combattuto gli scenari dell’oppressione che avvolgono nella povertà e nell’analfabetismo la metà-della-luna del Pianeta.

Ogni azione culturale, scrive, è sempre una forma sistematica e deliberata di azione che incide sulla struttura sociale: ora nel senso di mantenerla com’è, ora nel senso di trasformarla [...]. L’azione culturale o è al servizio della dominazione [...] o è al servizio della liberazione degli uomini [...]. Ciò spiega perché la struttura sociale per essere, deve essere-in-divenire; in altre parole, essere-in-divenire è la maniera che la struttura sociale ha a sua disposizione per durare. (Freire, 1971, pp. 217-218)

Palcoscenico alla Pedagogia e alla Didattica

Con gli occhi spalancati e pieni di futuro, osserviamo una avve-niristica conquista emancipativa del Ventunesimo secolo: assicurare una triplice/corsia alla superstrada della Formazione. Rinforziamo la profezia. Oltre alla storica corsia di nome Scuola dovrà essere garantita un’ampia viabilità a due/new-entry. Parliamo del debutto di due per-corsi aggiuntivi — da riconoscere in ogni Paese tramite risorse copiose negli anni a venire — corredati di specifiche identità sociali e cultu-rali. Quindi, una triplice-via: alla quale va assegnata la responsabilità pedagogica e didattica di nobilitare gli angoli-di-cielo dove brilla la frontiera universale della Formazione. Da attrezzare lungo le stagioni della vita con pratiche di manutenzione sia dei dispositivi cognitivi (la voglia di apprendere), sia delle pulsioni affettive (la voglia di amare). Sono stelle polari chiamate a guidare l’umanità verso frontiere più colte e più solidali.

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Introduzione

In questo Secolo al debutto, si è detto, le età generazionali (l’infanzia come l’adolescenza, l’età adulta come l’età senile) dovranno essere cul-turalmente equipaggiate per affrontare i tortuosi tornanti dell’esistenza umana. Se nella volta celeste splenderà il sole dell’istruzione (nei paesi ricchi come in quelli poveri), allora il suo cielo porterà scritto, a lettere cubitali, i nomi della Pedagogia e della Didattica: l’una motore, l’altra volante della vettura targata-Formazione.

Bibliografia

Bertin G.M., Educazione alla ragione, Roma, Armando, 1968.Bruner J.S., La cultura dell’educazione, Milano, Feltrinelli, 1997. Dewey J., Il mio credo pedagogico, Firenze, La Nuova Italia, 1954. Freire P., La pedagogia degli oppressi, Milano, Arnoldo Mondadori, 1971. Latouche S., Come sopravvivere allo sviluppo, Torino, Bollati Boringhieri, 2005. Lyotard J.F., La condizione postmoderna, Milano, Feltrinelli, 1994. Montessori M., La mente del bambino, Milano, Garzanti, 1952. Morin E., La testa ben fatta, Milano, Raffaello Cortina, 2000. Popper K., Logica della scoperta scientifica, Torino, Einaudi, 1970. Sen A., La democrazia degli altri. Perché la libertà non è un’invenzione dell’oc-

cidente, Milano, Mondadori, 2005.

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società del cambiamento e sfide educative

Capitoli narrativi di un mondo che cambia

Il tandem teoria/prassi. Negli anni di debutto del Duemila abbiamo percepito nitidamente il rincorrersi di suoni e di parole che annunciavano l’avvento del Secolo della Formazione. Traguardo tran-sitabile a patto che i sistemi/Scuola siano energicamente richiamati al compito istituzionale di trasferire alle giovani generazioni solide competenze culturali: sia di immediata spendita sociale (in quanto moneta cognitiva in corso), sia fondate sull’imparare a imparare. Ca-paci di accompagnare per mano gli allievi nelle loro curiosità, nei loro interrogativi, nelle loro inquietudini profonde. Parliamo delle chiavi di accesso nel mondo-dei-perché. In questo soltanto si costruiscono le congetture di chiarificazione delle domande di senso e di significato (culturali ed esistenziali) che popolano la vita quotidiana del mondo giovanile. Sono i «perché» del cambiamento economico e sociale, etico e culturale, scolastico ed extrascolastico che si propongono da capitoli narrativi di una telenovela il cui copione è disseminato di chiaro-scuri: di speranze e di tragedie umane. Sono rumori e suoni che danno mega-fono a uno slogan profetico. Lo facciamo nostro. Sarà la dirompente ed inarrestabile sovraestimazione di cui sta godendo l’economia immateriale (informatica telematica robotica) a provocare cambi vistosi nei paesaggi intercontinentali. Una rivoluzione più spettacolare e dirompente nei

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le vie della formazione

Paesi ricchi (economicamente floridi, socialmente progrediti, cultu-ralmente evoluti) e molto meno visibile e tellurica nei Paesi poveri. Questi, sempre più territori di sfruttamento coloniale: ruota di scorta delle leadership industriali che governano il Mercato e il Mediatico.

Il nostro punto di osservazione — dal quale filmeremo la rivoluzione planetaria di cui siamo spettatori — è il balcone della Formazione. Cioè a dire, il capitale di conoscenze amministrate ed erogate dalla Scuola e dalla cultura diffusa nell’Oltrescuola.

La domanda è un po’ questa. La mongolfiera della Formazione (traboccante di economia immateriale) di quali mutamenti epocali sarà titolare? A quali linee di trasformazione della società allude quando chiama la Scuola, il Fuoriscuola e il Postscuola (gli universi giovanili, adulti e senili) a un’epocale triplice/alleanza per fronteggiare l’emer-genza del cambiamento?

Gettiamo lo sguardo nella sfera-di-cristallo dove scorrono le im-magini futurologiche dei punti di cambio — i trend — che chiamano la mongolfiera della Formazione (pilotata verso il cielo da due scienze regine: la Pedagogia e la Didattica) a dare risposta alle domande di mutamento della società contemporanea. A tal fine, invitiamo le Scienze dell’educazione a prendere posizione sulle rive, non più tanto misteriose, del terzo Millennio. In particolare, la Pedagogia.

La duplice sponda (il tandem teoria-prassi), scrive Massimo Baldacci,

rappresenta uno dei nodi cruciali di questa nobile scienza dell’educa-zione. Si tratta, indubbiamente, di un rapporto da concepire in chiave di unità dialettica: la teoria senza prassi è vuota, così come la prassi senza teoria è cieca. In altre parole, una teoria senza relazione con i problemi delle pratiche educative finisce per risultare astratta e ineffi-cace; ma, al tempo stesso, una prassi che si esaurisce nel far fronte in maniera immediata a tali problemi, senza lumi teorici, rischia di vagare nel buio, di andare per tentativi. L’unità tra teoria e prassi implica lo spostamento dal paradigma della conoscenza contemplativa a quello della conoscenza attiva: si passa da una forma di sapere che è tipica di uno spettatore disinteressato delle cose dell’educazione, alla forma di sapere che è propria dell’attore, di colui che è impegnato attivamente a far fronte ai problemi educativi. L’unità dialettica teoria-prassi appare, dunque, come un criterio regolativo fondamentale dell’epistemologia pedagogica come pure del lavoro educativo sul campo. (Baldacci, 2010, p. 11)

La riclassificazione delle età della vita. Pur persistendo una spietata forbice economica, sociale e culturale che taglia brutalmente il Pianeta in Paesi ricchi e in Paesi poveri, non si può non riconoscere una generale lievitazione della qualità-della-vita sia nell’emisfero bo-reale (a nord/ovest dell’Equatore), sia nell’emisfero australe (a sud/est

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Società del cambiamento e sfide educative

dell’Equatore). Merito indubbio della ricerca tecnologica e scientifica (a partire dalle scienze mediche), delle conquiste salariali e normative (redditi più elevati, riduzione dell’orario e più accettabili condizioni di lavoro) nonché dell’incremento dell’obbligo scolastico e della durata complessiva dell’istruzione.

Tutto questo ha contribuito a dilatare la durata della vita fino a riclassificare — a partire dall’emisfero boreale — le età generazionali.

Diamo microfono e voce, allora, a cinque capitoli che narrano un mondo che sta visibilmente mutando sia nell’emisfero boreale (bianco, alfabetizzato, benestante), sia nell’emisfero australe (nero, analfabeta, povero). Le loro linee di tendenza espongono cifre positive e cifre negative allo sguardo di chi abita l’emisfero boreale (ricco: il nord del Pianeta) o l’emisfero australe (povero: il sud del Pianeta).

Attenzione, però. I processi di cambiamento che stanno avvolgendo il mondo della Formazione segnalano una pericolosa ambivalenza. Sono cosparsi di valori positivi e negativi. Come dire, sul loro petto brillano medaglie dalle immagini contrastanti e financo di segno opposto. Illu-minano — contestualmente — sia le frontiere della democratizzazione e dell’emancipazione sociale, sia le frontiere della manipolazione e dell’omologazione culturale.

A partire dal citato scenario contrastivo, la Formazione è chiamata — con urgenza — a mettere in fuori gioco i dispositivi di catramazione e di appiattimento di cui è stracarico il mercato della cultura di massa.

Riflettori puntati, pertanto, sui cinque/trend di cambiamento so-cioculturale presenti nella contrada storica da poco sbarcata sul terzo Millennio.

L’allungamento dei cicli della vita

Domanda: Il primo/trend quali cifre positive e quali punti negativi accumula rispetto alla linea-di-cambiamento socioculturale intitolata all’allungamento dei cicli della vita?

Le cifre più. Senz’ombra di dubbio, va conteggiata positiva la protrazione degli stadi iniziali (infanzia) e conclusivi (senilità) delle età generazionali.

Anzitutto, va salutata con favore una più ampia e solida Formazione di base del cittadino. Nel senso che l’estensione dell’obbligo scolastico si fa garante, in prospettiva, sia di un equilibrato e integrale sviluppo della personalità infantile e giovanile, sia di una formazione tecnico-professionale flessibile e convertibile: capace di adattarsi rapidamente ai mutamenti che stanno investendo il mondo del lavoro sotto l’incalzare della globalizzazione dei mercati.

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le vie della formazione

Poi, va salutata con favore una più prolungata e qualitativa stagione pensionistica nella quale l’anziano possa coltivare il nobile giardino dell’Educazione permanente. Se assaporati, i suoi frutti si offrono da terapia efficace (vero e proprio controveleno) alla malattia dell’invec-chiamento.

In questa prospettiva, la Lifelong education assicura al Pianeta della quinta/età un allenamento quotidiano delle facoltà che presiedono sia i potenziali cognitivi, sia la salute mentale. Parliamo della memoria, della comprensione, dell’intuizione e dell’invenzione. Il footing giornaliero della mente è sicuramente una medicina miracolosa perché rallenta gli irreversibili processi di perdita della memoria e delle connessioni neuroniche.

Di più. L’aumento della popolazione anziana potrebbe giocare da miccia esplosiva per scuotere l’opinione pubblica a prendere coscienza della centralità della qualità-della-vita nell’odierna contrada storica. A partire, per l’appunto, dalla condizione sociale di chi è in età senile e dal suo essere soggetto-di-diritto di servizi sociali (la casa, la sanità, la sicurezza, la convivialità et al.) spesso insufficienti e a volte persino inesistenti. Il tutto a difesa dei diritti sanciti dalla Carta europea degli anziani: la salute fisica, la sussistenza economica, le opportunità ag-gregative e comunitarie.

I punti rischio. Senz’ombra di dubbio, va conteggiata negativa la crescente rimozione collettiva verso le età generazionali marginali: infantili e senili. Una «indifferenza» che ha concorso a consacrare le attuali discriminatorie politiche scolastiche (rivolte ai bambini) e sociali (rivolte agli anziani). Sono opzioni che stanno mettendo in-cassa-integrazione (sotto l’incalzare di un neoliberismo selvaggio) il modello sociale del Welfare State. E conseguentemente la difesa dei diritti di cittadinanza. Tant’è che nel nome del contenimento della spesa pubblica, le Destre europee — liberiste e senz’anima — hanno progressivamente chiuso i rubinetti dei finanziamenti ai servizi sociali e formativi (assistenza, salute, scuola, lavoro) per le fasce deboli (infanzia, vecchiaia, disabili, extracomunitari), povere (disoccupati ed emarginati sociali) e a rischio (devianza, tossicodipendenza). In altre parole. Le politiche neocapitalistiche, anziché mirare a riconvertire in direzione di efficienza e di produttività l’arcipelago dei servizi socioculturali, preferiscono azionare la mannaia del taglio indiscriminato della spesa pubblica. Questa scelta di politica economica si fonda su un falso ide-ologico. Il trucco sta nell’idealizzare collettività nazionali sommatorie di soggetti «uguali» per status economico e sociale, quando invece le età generazionali (di cui l’infanzia e la vecchiaia sono stagioni marginali) e le radici familiari, etniche, sessuali sono variabili generatrici di soggetti

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Società del cambiamento e sfide educative

diseguali. Morale. La mannaia neoliberista consacra la «naturalità» delle disuguaglianze tramite un aberrante teorema discriminatorio: dare-di-più-a-chi-ha-già-di-più! Spegnere la luce dello Stato sulle politiche assistenziali e formative significa tradire il diritto al garantismo sociale e culturale di cui i deboli, i poveri e i soggetti a rischio dovrebbero godere in collettività democratiche e civili.

Diamo la parola alle politiche a rischio. Nei confronti dell’infanzia, ogniqualvolta lo Stato si fa aventiniano

quanto a sviluppo delle politiche educative. Cioè a dire, se diventa responsabile di selezione-discriminazione scolastica tramite la mannaia della mortalità curricolare: ripetenza, dispersione, espulsione.

Nei confronti della quinta età, ogniqualvolta lo Stato si fa dimis-sionario quanto a sviluppo delle politiche assistenziali e sociali. Cioè a dire, se avvolge nel buio la vecchiaia negandole servizi, cura e sicurezza esistenziale.

L’esplosione della cultura simbolica

Domanda: Il secondo/trend quali cifre positive e quali punti negativi accumula rispetto alla linea-di-cambiamento socioculturale generata dell’esplosione della cultura simbolica?

Da oltre un decennio, il megafono del Duemila risuona con insisten-za una predizione: è imminente una spettacolare rivoluzione planetaria causata dall’avvento di una cultura diffusa in ogni angolo della terra. I paesaggi della comunicazione e della formazione esporranno — questo è l’annuncio — un volto nuovo, frutto della spettacolare esplosione dei consumi culturali che culminerà nel passaggio di testimone (e di egemonia) da un sistema di saperi molecolari su intere popolazioni (i mass/media: stampa, radio, cinema, TV) a un sistema di saperi «per-sonalizzati» a domanda individuale disseminati sul singolo cittadino (i personal/media: informatica, telematica, robotica).

Risultato: Il Mediatico consegnerà il primato delle sue conoscenze parcellari agli incalzanti alfabeti computerizzati dotati di una poderosa invadenza digitale per via dell’iteratività e della capillarità delle sue campane semiotiche e dei suoi megafoni simbolici.

Quali sono i punti-più e i punti-rischio da conteggiare a carico di questa linea di mutamento epocale?

Le cifre più. Sicuramente, è da considerare positiva la crescita esponenziale dell’odierna galassia semiologica e logico-formale. Que-sta, galleggiando su onde elettroniche sta mettendo a disposizione del fruitore (bambino, adolescente, adulto, anziano) — seduto in poltrona, di fronte al proprio visore e con il telecomando in mano — miliardi

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di pagine di informazione memorizzate in gigantesche banche dati. Siamo al cospetto di uno straripante e aggiornato libro di testo (un software cognitivo) dotato di registri comunicativi e interpretativi ritagliati sulla domanda del singolo consumatore. L’esplosione della cultura simbolica, di cui è testimone la galassia digitale, siglerà la sua rivoluzione epocale sia mondializzando l’alfabetizzazione primaria, sia periferizzando capillarmente forme di autoistruzione, sia divulgando, in tempo reale, saperi freschi di giornata.

I punti rischio. Sicuramente, è da addebitare come cifra negativa una pseudocultura simbolica che spaccia un’alfabetizzazione debole. Dedicheremo a questa cifra/no il prossimo terzo/trend per l’eccezionale rilevanza che assume in campo pedagogico e didattico.

L’alfabetizzazione debole

La faccia annerita della cultura simbolica segna il punto di caduta di un’alfabetizzazione primaria (intesa come capacità di trasmettere, ricevere e comprendere le conoscenze) smagrita in forme riduzioni-stiche e di sterilizzazione mentale. Generate, per l’appunto, da micro-saperi mnemonici e ripetitivi. Accerchiata e martellata senza sosta da una gigantesca nube elettronica, l’alfabetizzazione primaria troverà sempre più sbarrata la strada per salire ai piani alti delle conoscenze dove abitano le forme superiori del pensiero. Cioè a dire, dove abita l’alfabetizzazione secondaria: intesa come elaborazione-ricostruzione delle conoscenze, osservazione-scoperta di nuovi saperi, padronanza di molteplici metodi di approccio ai problemi della cultura umanistica e scientifica. Di qui la resa: perché costretta a lasciare via libera alle forme «deboli» della mente, nutrite da registri linguistici ristretti e da congegni argomentativi e inquisitivi mutuati dal monitor/pensiero. Pertanto, affermiamo che le frontiere dell’alfabetizzazione elettronica e computerizzata nascondono — dietro l’angolo — insidie che aprono la strada all’esondazione di saperi omologati e catramati. Ne citiamo tre.

Insidia/1. Il consumo dei nuovi alfabeti sembra inesorabilmente porre l’infanzia (come le altre età generazionali) in situazione no-stop di isolamento/solitudine dal contesto sociale e dal gruppo dei pari. In altre parole. Gli alfabeti computerizzati stanno sgambettando la vita sociale delle giovani generazioni: l’aggregazione interpersonale, la convivialità, il solidarismo. Provocando una caduta verticale fino alla sua scomparsa.

Il moltiplicarsi di situazioni di dialogo-a-pulsante e di colloquio-con-il-robot sembrano destinate a sterilizzare la naturale voglia del mondo infantile e adolescenziale a dialogare, a giocare e a pensare insieme.

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Insidia/2. Il rifornimento personalizzato presso gigantesche banche-dati di bisogni e di domande individuali di conoscenza rischia di sommer-gere le giovani generazioni sotto i flutti di saperi sbriciolati e molecolari. Bombardati da una torrentizia pioggia informativa, le prime età della vita difficilmente saranno in grado di capire i nessi che legano insieme i tanti anelli sparsi delle conoscenze. Se presi singolarmente e isolati da un quadro logico/formale d’insieme, i nuovi alfabeti potrebbero dare via-libera a un’erudizione dai contorni magici, irrazionali, superstiziosi.

Insidia/3. I nuovi visori (televideo, videotel, pay TV et al.) stanno mettendo sul mercato mediatico un’esondazione di immagini e di parole scritte tendenzialmente senz’anima. Siamo al cospetto di una cultura surgelata che espropria il fruitore dal consumo di forme di conoscenza sintonizzate con l’azione, la manipolazione delle cose, il contatto diretto con la realtà.

Per concludere. Il primato degli alfabeti-a-pulsante sta mettendo in cassa/integrazione sia il linguaggio parlato, sia il linguaggio della corpo-reità. Di più. Nella vita quotidiana l’oralità, la gestualità e la motricità sono sempre più represse e mutilate. Il deragliamento della parola e del corpo dai binari della comunicazione provoca inesorabilmente la mutilazione della forza culturale dei linguaggi: che sta nella «plura-lità» dei loro codici e delle loro funzioni. Parliamo della funzione di comunicazione sociale (la rotaia per parlare con gli altri), di elaborazione cognitiva (la rotaia per pensare: per rappresentare simbolicamente il mondo) e di sensibilizzazione emotiva (la rotaia per traslocare sensazioni, affetti e per confessare sentimenti).1

L’alfabetizzazione debole è figlia di primo letto del trionfo della civiltà digitale. Parliamo della nube elettronica che sollecita sì a co-noscere e a fantasticare, ma troppo spesso su piani che esigono uno minimo sforzo intellettuale, una ridotta concentrazione ed elaborazione mentale. Tanto da favorire e moltiplicare forme di pensiero ripetitive, superficiali e dispersive.

L’aumento del Tempo libero

Domanda: Il quarto/trend — intitolato al Tempo libero — quali cifre positive e quali punti negativi accumula sulla scia della linea-

1 Sul ruolo cruciale della codificazione emozionale Howard Gardner sostiene «che oggi il ruolo formativo delle emozioni nell’apprendimento viene riconosciuto sempre più apertamente. Le esperienze che hanno conseguenze emozionali (o che vengono registrate come tali) con ogni probabilità verranno memorizzate e successivamente utilizzate». Si veda H. Gardner, Sapere per comprendere, Milano, Feltrinelli, 1999, p. 84.

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di-cambiamento dei tempi giornalieri del lavoro? E ancora. La sua dilatazione comprimerà anche il monte/ore dell’istruzione pubblica già resa priva di voce e di linguaggi della corporeità in aule sommerse di software informatico e telematico?

Mettere nel mirino dell’educazione il Tempo libero significa scattare alcuni fotogrammi su un Pianeta disseminato di potenzialità positive, ma anche di non pochi punti rischio. Il suo segno distintivo, si è detto, è la prorompente domanda di ridurre le ore di precettazione sotto il tetto della Scuola.

Le cifre più. È sicuramente da conteggiare come cifra più la crescente espansione del free-time. Questo, risponde al variegato repertorio dei bisogni personali: più relax, più divertimento, più informazione-accultu-razione (sono le tre «D» auspicate negli anni Sessanta da J. Dumazedier: il délassement, il divertissement, il développement).2 Siamo al cospetto di consumi individuali il cui pregio sta nel massimizzare le singole opzioni di un ventaglio ricco di possibilità fruitive. Di conseguenza, il Tempo libero si fa simbolo di vissuti-di-libertà: mille miglia lontani da quelli, sempre più assenti, che presidiano i circuiti della Scuola e del Mondo del lavoro.

Parliamo delle frontiere della fantasia e dell’inattuale che potreb-bero essere illuminate da un intelligente uso del free-time: una sorta di clic, di meccano gigante della creatività infantile come giovanile, adulta come senile.

In proposito, J.P. Guilford distingue due modalità logiche di pensiero produttivo: convergente e divergente.3

La prima modalità, punta diritto verso il campo delle risposte pos-sibili: plausibili e corrette. È il pensiero che viene per lo più chiamato in causa nel tempo del lavoro.

La seconda modalità non si preoccupa tanto di fornire risposte corrette, quanto piuttosto di scoprire soluzioni inconsuete e originali tramite le quali potere inventare problemi nuovi. Se lasciato divergere, il pensiero sa cogliere aspetti inediti del mondo rispetto a quelli scontati e convenzionali: fino a costruirsi un personale dizionario-della-fantasia. Siamo al pensiero da chiamare in causa quando si vivono occasioni inedite di Tempo libero.

I punti rischio. È sicuramente da addebitare come cifra meno la soggettività di una domanda mutabile e instabile generata dalla pioggia torrenziale e accattivante dei loisir parcellari. Accade quando il free-time viene imprigionato in arcipelaghi molecolari di tempi e di spazi (indi-

2 J. Dumazedier, Vers une civilisation du loisir, Paris, Gallimard, 1962, pp. 15 ss.3 J.P. Guilford, Elementi caratteristici della creatività, in H.H. Anderson (a cura di),

La creatività e le sue prospettive, Brescia, La Scuola, 1972.

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viduali e collettivi) alluvionati da offerte precostituite e prefabbricate. Parliamo dell’industria dei consumi-di-massa che da tempo irrompe nei luoghi del loisir dall’elevato rendimento dei profitti. Sembra sufficiente innescare — attraverso una sapiente regia dell’offerta — meccanismi di induzione delle scelte, di minimizzazione delle opzioni, di sagace uniformizzazione dei consumi collettivi per ottenere un’alta redditività dell’investimento economico. L’incursione del mercato-dei-consumi crea pertanto i presupposti per un fertile sbocco della produzione in un terreno — il Tempo libero — di sicuro e proficuo rendimento.

Rinforziamo l’analisi pedagogica. Il segno distintivo dei consumi di massa è l’asfissiante e totalizzante presidio esercitato sull’intero arcipelago del free-time. Mentre la Famiglia e la Scuola invadono e decidono sul quanto (l’estensione del loisir), sul quando (il suo palinsesto quotidiano), sul dove (gli ambienti di gioco), sul con chi (quali compagni) — ma lasciano nelle mani delle giovani generazioni il che/cosa (se interagire con i giocattoli, con il video, con i fumetti o altro) — da parte loro, i nuovi padroni del vapore (l’industria del Tempo libero) non solo si appropriano il diritto di decidere sul quanto-quando-dove-e-con-chi, ma pretendono anche di invadere stabilmente il fronte del che cosa (le esche ludiche) vestendo il fruitore dei panni di un attonito e indifeso spettatore.

Ci sembra particolarmente corrosiva e devastante l’irruzione delle agenzie private (del mercato a-pagamento) negli spazi del Tempo libero infantile e giovanile. Il loro effetto devastante è il suo sbriciolamento: polverizzato, tramite una sapiente pianificazione industriale, in micro-consumi-a-tassametro. Invaso da una dilagante soggettività fruitiva, il Tempo libero sta tramutandosi in un puzzle dalle mille opportunità ludiche. Costretto a fare i conti con logiche di mercato proprie della domanda/offerta. Parliamo di strategie industriali che il più delle vol-te fanno da sponda alla creazione indotta del bisogno-domanda del giovane consumatore.

Per concludere. Ci sembra di potere affermare che la crescita espo-nenziale del free-time porta alla moltiplicazione e alla ramificazione — in direzione policentrica — dei tempi e dei luoghi ludici. Questi, tendenzialmente saranno effimeri e riconvertibili dipendendo dalla soggettività di una «domanda» instabile e mutabile che modificherà totalmente l’offerta del mercato: proprio perché questa dovrà sintoniz-zarsi con i nuovi bisogni e le nuove richieste dei giovani consumatori.

L’irruzione di una società multiculturale

Domanda: Il quinto/trend quali cifre positive e quali punti negativi accumula rispetto alla-linea-di-cambiamento socioculturale intitolata all’irruzione di una società multiculturale?

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Da tempo, i tam tam dei tamburi che rullano a nord e a sud dell’Equatore urlano alla luna un accorato e drammatico messaggio. Questo, il testo. È in atto una migrazione biblica — imprevedibile e inarrestabile — di intere nazioni povere verso i vagheggiati eldoradi dei Paesi ricchi. Di più. Stanno andando in scena nuove sceneggiature intercontinentali di vita sociale e culturale che chiamano il vecchio Continente a farsi regista e voce narrante.

È l’Europa il «crocevia» delle migrazioni, in ondate successive, dal sud e dall’est del Pianeta. Sono milioni di donne e di uomini pieni di speranze e di rabbia che sognano libertà agognate e condizioni dignitose di vita. Sono pronti ad affrontare ogni sacrificio, a patire ogni frustra-zione, a sfidare ogni illegalità pur di varcare le porte di un’Europa che ai loro occhi prende le sembianze di una città del sole: vera e propria terra dei miracoli.

Le cifre più. Sicuramente, è da conteggiare positiva la metamor-fosi del vecchio Continente in un mosaico socioculturale dalle cento etnie e dai cento colori. Un cocktail di antropologie che non può non allertare le coscienze più vigili — democratiche e progressiste — del mondo dell’economia, della politica e della cultura. Mobilitandole, in particolare, a progettare e a costruire un sistema formativo europeo dagli elevati coefficienti di interconnessione e di cooperazione edu-cativa. Una rete formativa integrata, dallo sguardo rivolto verso una diffusa coscienza multiculturale, risulta indifferibile per una politica economica e civile che persegua il traguardo di un Continente open: solidale e rispettoso nei confronti dei popoli che provengono da terre/altre e da culture/altre. Soltanto un’Educazione permanente, volta alla nascita di una coscienza multiculturale, potrà dare vento — in Europa — alle bandiere della «diversità»: di pelle come di ceto, di etnia come di sesso, generazionali come fisiche e psichiche. Siamo al cospetto di opzioni civili ed esistenziali che chiedono ai sistemi pubblici di istru-zione di promuovere, senza incertezze, modelli formativi in grado di non opacizzare e non scorticare mai la pelle antropologica (testimone di storie, di memorie, di linguaggi e di valori) che i bambini e gli adolescenti si portano da casa: dal proprio focolare domestico e dalla propria contrada di vita. Per conquistare questo prestigioso obiettivo culturale, la Scuola del vecchio Continente ha il dovere di evitare ogni marginalizzazione/schiacciamento dei dispositivi cognitivi e valoriali delle nuove generazioni.

I punti rischio. Sicuramente, è da cifrare come negativo un pro-cesso di «integrazione» europea che miri (avrebbe un esito tragico!) alla sterilizzazione etnica dei nuovi gruppi razziali. Ondate imprevedibili e sfrenate di migrazioni di massa verso i giardini di una sognata felicità

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provocherebbero strappi dolorosi: la rinuncia alle proprie radici cultu-rali (linguaggi, memorie, costumi, fedi) e l’immediato trapianto delle antropologie native nell’eldorado eudemonistico delle terre promesse. Come dire, l’umanità povera — migrante, apolide, profuga — rischie-rebbe di venire inghiottita e omologata nel frantoio/Europa.

Il rispetto della pelle colorata e l’adesione a una civiltà e a una so-cietà multiculturale è possibile a patto di promuovere, su larga scala, una precoce e diffusa mentalità multirazziale. Entra in scena un altro modello educativo: fondato su valori planetari, tollerante e aperto nei confronti delle culture di provenienza delle popolazioni migranti. E la Scuola — certo, non quella che presume di essere l’unica banca di capitalizzazione e di erogazione della cultura e dei valori — potrebbe concorrere, con indubbio profitto, a sterilizzare le prime formazioni di stereotipi (pregiudizi) che stampano — in negativo — le identità sociali e culturali delle altre etnie, degli altri gruppi razziali.

Per farsi teatro di decondizionamento etnocentrico, il Sistema pubbli-co di istruzione ha il compito urgente di archiviare eventuali modelli formativi chiusi e isolanti nei confronti dell’Oltrescuola. E di accendere disco/verde a un curricolo fondato su un’ampia e profonda conoscenza-coscienza multiculturale: fino alle frontiere dell’interculturalità e della transculturalità.

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una superstrada a tre corsie

Un quadrante planetario

Una bussola/più. Questa, l’argomentazione. Negli anni di esordio del Duemila, ci troviamo al cospetto di una maxi-bussola che predice l’arrivo lungo il suo ago/trasversale (est-ovest) di un Sistema formativo integrato tra la Scuola e l’Ambiente extramœnia, e, lungo il suo ago/longitudinale (sud-nord: dimora storica della Scuola) di una Formazione continua investita da un salutare uragano intergenerazionale. Crocevia di incontro tra più linguaggi, tra più-pensieri, tra più-utopie.

Un replay sulla tesi esposta, al fine di convalidare il paradigma peda-gogico di una Superstrada-a-tre-vie percorsa dagli attori dei tempi e dei luoghi di un’educazione vissuta nella Scuola, Oltre-il-banco (l’Ambiente-città e l’Ambiente-natura in guisa di aule decentrate) e nel Postscuola (teatro di cura della mente e del cuore in età adulta e anziana).

Siamo al cospetto di una bussola/più. Dispone sia di una freccia trasversale (dalla Scuola all’Oltrescuola e ritorno), sia di una freccia longitudinale (dalla Scuola al Postscuola e ritorno). Con occhi stralunati, siamo attratti da questa avveniristica conquista emancipativa del terzo Millennio. Il suo nome? Lifelong education: ovvero, una Superstrada collaudata per tre/corsie.

Una via-storica, di nome Scuola, alla quale vengono allineate due/new-entry di scorrimento. Siamo al debutto di un duplice percorso

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le vie della formazione

aggiuntivo — da riconoscere in ogni Paese tramite risorse copiose negli anni a venire — corredato di specifiche identità sociali e culturali. A questo, va delegata la responsabilità pedagogica di nobilitare i tre-angoli-di-cielo dove brilla la frontiera universale della Formazione. Attrezzata delle strategie didattiche necessarie per la sua manutenzione lungo le stagioni della vita. Ovvero, sia dei dispositivi cognitivi (la voglia di apprendere), sia delle pulsioni affettive (la voglia di amare). Sono le stelle comete che guideranno l’umanità verso frontiere colte e solidali.

Più cultura più società più democrazia. Soltanto la «busso-la» citata (dall’ago orizzontale e verticale) sarà abilitata a rifornire le competenze democratiche e civili sia per esercitare i diritti/doveri di cittadinanza, sia per azzardare le affascinanti frontiere del possibile. Percorrendo questo duplice asse formativo la Cultura si farà capitale sociale, palestra di democrazia sociale e officina di coesione sociale.

Nel prendere in mano il testimone che nel 2000 Bruxelles consegnò alle nuove generazioni — parliamo del Report/UE sull’Istruzione e l’educazione permanente — le Scienze umane (Pedagogia, Psicologia, Sociologia, Antropologia e Didattica), in compagnia di Nazioni virtuose per investimenti sull’Istruzione e sulla Cultura, stanno progettando una Superstrada della Formazione lungo la quale (in aggiunta alla storica corsia di nome Scuola) debutteranno due-ulteriori-vie-ufficiali corre-date, negli anni a venire, di specifiche identità socioculturali. Stiamo parlando, da una parte, della corsia-di-scorrimento dell’Extramœnia (i patrimoni urbani e naturalistici da elevare a fonti-di-cultura in vista di un sistema Scuola/Oltrescuola) e, dall’altra parte, della corsia-di-scorrimento di un Postscuola da asfaltare per il transito veloce della Formazione continua in età adulta e senile.

L’Extramœnia e il Postscuola sono invitate a candidarsi — assieme alla Scuola — a vetture di Formula/1 sulla triplice corsia che porterà al traguardo un’umanità capace di pensare con la propria testa e di sognare con il proprio cuore.

La Scuola baluardo di alfabeti e di competenze

La sfida della Formazione. Replichiamo la precedente asser-zione. La Formazione ha l’impegnativo compito di inondare i cieli dell’emisfero boreale (ricco) e dell’emisfero australe (povero) tramite un’epocale rivoluzione copernicana quanto a filosofia della vita, a pluralismo culturale, a linguaggi democratici e a paradigmi valoriali.

Una innovazione dalle ali larghe, una sfida coraggiosa che azzarda il passo lungo della Formazione permanente. Sul suo vessillo al vento è stampato, a lettere cubitali, il richiamo alle cinque età generazionali

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Una Superstrada a tre corsie

(infanzia, adolescenza, giovinezza, età adulta e senile) ad accumulare un’alfabetizzazione-di-base (fornita di un bagaglio di conoscenze di lunga durata cognitiva) che garantisca agli abitanti del Pianeta una sicura navigazione lungo le rotte del Lifelong learning. Si tratta di un viaggio intergenerazionale chiamato a fornire le conoscenze e le competenze irrinunciabili sia per esercitare i propri diritti e doveri di cittadinanza, sia per testimoniare — da protagonisti — i valori uni-versali della dignità e del rispetto della Persona.

La Formazione lungo le età della vita diventerà realtà soltanto se l’istruzione disporrà di padronanze alfabetiche di lunga durata. Ovvero, se le sue conoscenze resteranno in vita nell’età adulta e nell’età senile.

Purtroppo, l’auspicata Superstrada è rimasta finora transennata per il fatto che la Lifelong education ha sempre incontrato enormi difficoltà a dare le ruote a un progetto di profondo respiro culturale. Le cause? Non ci sono dubbi: il rapido svuotamento dello zaino cognitivo degli studenti (l’evaporazione delle conoscenze) qualche anno dopo l’uscita dalla Secondaria.

La Scuola è l’imputata numero/1 del precoce sfarinamento dei saperi curricolari. È colpevole del neoanalfabetismo-di-ritorno e del precoce fuori-uso delle scatole nere delle giovani generazioni. La comunicazione giudiziaria le rimprovera di essere una fabbrica di dispersione intellet-tuale. Nel senso che i suoi prodotti di conoscenza (gli apprendimenti) soffrono di una scarsa conservazione temporale tanto da sfarinarsi già all’alba del giorno dopo.

Un replay ancora sulla chiamata della Scuola al banco degli im-putati. Nell’odierna stagione di convulsa scolarizzazione di massa, il sistema di istruzione non sembra in grado di promuovere i dispositivi cognitivi «superiori» — di analisi e di sintesi, di induzione e di dedu-zione, di metaconoscenza e di problem solving — irrinunciabili per alimentare la macchina del pensiero dei cibi culturali che nutrono le capacità operative, logiche e generative della mente. Questi soltanto assicurano un’elevata conservazione sia dell’alfabetizzazione primaria (i saperi esogeni), sia dell’alfabetizzazione secondaria (i saperi endogeni).

Pertanto, i sistemi di istruzione del vecchio Continente vanno energicamente richiamati al compito istituzionale di trasferire alle giovani generazioni solide competenze culturali. Le sole in grado di conservare a lungo le conoscenze.

Di qui il perentorio richiamo all’istruzione pubblica. Nell’odierna stagione della standardizzazione delle conoscenze, la Scuola deve ergersi da scudo, da ultimo baluardo a difesa dell’autonomia e della libertà di pensiero delle giovani generazioni. Una difesa possibile. A patto che sappia garantire alla sua utenza competenze fondate sull’imparare a imparare: capaci di dare la mano agli allievi nelle loro curiosità, nei

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le vie della formazione

loro interrogativi, nelle loro inquietudini cognitive. Parliamo delle chiavi di accesso nel mondo-dei-saperi dove si elaborano le congetture di chiarificazione delle «domande» di senso e di significato (culturali ed esistenziali) che popolano la condizione quotidiana del mondo infantile e giovanile.

La triplice cordata. Si è detto. Nel Novecento, il «trenino» della Formazione ha disegnato il suo viaggio continentale prevedendo una/sola stazione di sosta: la Scuola.

Nel nuovo Millennio, il gabbiano della conoscenza è sempre più consapevole che dovrà nidificare sui rami non solo dell’albero scolasti-co, ma anche nelle piante inedite e sempreverdi di nome Oltrescuola e Postscuola.

Una primavera possibile, a patto che la sfida sia accompagnata dal passo lungo di un’educazione per-tutta-la-vita. Questa bandiera al vento — la Lifelong education — porta scritto, a lettere cubitali, che tutte le età generazionali saranno al più presto in possesso di una solida alfabetizzazione primaria e secondaria. Irrinunciabile per assicurare agli abitanti del Pianeta una fruttuosa navigazione lungo le rotte della Formazione extrascolastica e postscolastica. Parliamo dell’affascinan-te viaggio culturale che regalerà alle età della vita le conoscenze e le competenze sia per esercitare i diritti/doveri di cittadinanza, sia per testimoniare — da protagoniste — i valori universali della dignità e del rispetto della Persona: l’eguaglianza, la giustizia, la cooperazione, la solidarietà, la pace. A tal fine, le prossime pagine del saggio daranno visibilità ai tre angoli-di-cielo dove navigano le stelle che illuminano la frontiera ultima dell’educazione. Vale a dire, la Formazione di Persone dall’etica solidaristica (socialmente non-competitiva) e dal pensiero plurale (intellettualmente non-conformista).

Se Città e Scuola sono inagibili

Da oltre un decennio, l’Europa — sull’onda della scommessa Scuola più Extrascuola più Postscuola — ha dato il primo giro di manovella sia alla nascita di Sistemi formativi integrati tra i curricoli prescrittivi (espliciti) dei sistemi di istruzione e i curricoli discrezionali (impliciti) inscritti nella cultura urbana e paesaggistica, sia alla disseminazione di percorsi di Formazione continua lungo le età adulte e senili.

Nella stagione di debutto del nuovo Secolo, le bandiere al vento dell’Extrascuola e del Postscuola rischiano di restare ammainate an-cora a lungo. Le loro corsie si presentano inagibili perché dissestate e allagate. Quindi, impercorribili. Inondate vuoi dai gas tossici emessi da Città mercantili e consumistiche, vuoi dal passo-di-lumaca di una

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Una Superstrada a tre corsie

Scuola sempre più fabbrica di neoanalfabetismo. Di conseguenza, sul banco degli imputati fanno mostra-di-sé una Città mercato e una Scuola nozionistica.

Prima inagibilità. Le Città europee (tendenzialmente metropolitane) fungono da cassa di risonanza di un Pianeta extrascolastico subalterno al profitto-per-il-profitto: governato dal grimaldello della domanda e dell’offerta. Se è assente la domanda formativa (per esempio, l’interesse per il libro e per la lettura) non si accende l’offerta: non si inaugurano biblioteche. Oppure, se esistono, vengono convertite in sale gioco dove domanda e profitto sono garantiti. Questo mercificato paesaggio dell’Oltrescuola — dove la fruizione è solitaria (non crea socializzazio-ne) e priva di appeal cognitivo (non crea alfabetizzazione) — potrebbe suggerire alla Scuola un’autolesionistica scelta claustrale. Chiudere i propri portoni per non fare entrare il «benzene» di una cultura-di-mercato irrespirabile per la sua tossicità nei confronti della mente del cuore delle giovani generazioni. Uno scenario rovinoso che potrebbe suggerire al sistema di istruzione di blindarsi per scommettere i propri gettoni formativi soltanto sulla roulette scuolacentrica. Una scelta da evitare, perché ci troveremmo al cospetto di una opzione tutto-Scuola di marca difensivistica che sillaberebbe un tesi inaccettabile: soltanto nelle aule-classi si può cucinare un appetitoso menu culturale.

Detto dei pericoli inscritti in un’istruzione barricata nei banchi, sia-mo ben consapevoli che l’Oltrescuola raffigura sempre più un’umanità dal volto pallido, muto, senza sorriso: ammanettata nei tempi, negli spazi e nei prodotti di mercato di una città/nemica. Un’umanità desa-parecida, dunque, perché non dispone delle chiavi che danno accesso ai territori urbani.

Seconda inagibilità. La Scuola europea (a partire dal postobbligo, secondo un’indagine/OCSE: l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) trasmette saperi mnemonici che invecchiano rapidamente.

Le conoscenze stappa-e-bevi poste sul banco — cucinate nel forno della lezione del docente e della digitazione elettronica — soffrono un allarmante sfarinamento. Al punto che l’istruzione (i saperi erogati) scivola lungo la deriva di una modesta conservazione temporale: ha vita breve.

Il sistema di istruzione eroga conoscenze enciclopediche inidonee a cucinare quei cibi cognitivi superiori (di analisi e di sintesi, di induzione e di deduzione, endogeni ed esogeni) che alimentano di competenze la macchina della mente. Questa infatti chiede di essere nutrita tramite le forme logiche, operative e generative della conoscenza. Rinforziamo il concetto. I saperi coccodè, stracolmi di pasticche-quiz e vuoti di pensiero, sono del tutto inefficaci per la manutenzione della mente adulta e senile.

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le vie della formazione

Domanda: È possibile progettare percorsi formativi lungo le citate tre/vie?

Sì è possibile. A patto che siano frequentate da conoscenze Extramœ-nia e postcurricolari collegate tra loro da ponti-di-transito.

Questa, la finalità culturale. Prefigurare una scalata congiunta — in cordata — della parete insidiosa che porta sulla vetta della Formazione permanente (Lifelong learning) per i bambini, per gli adolescenti, per i giovani, per gli adulti e per gli anziani.

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per un curricolo europeo della formazione

La Conoscenza fonte di civiltà

Cultura e Cittadinanza. Il Report dell’UE/2000 (Verso una società della conoscenza) chiede con forza al vecchio Continente di porre la cultura alla rotonda dei sistemi democratici e progressisti impegnati a difendere la qualità della Conoscenza e dei valori di Cittadinanza delle proprie comunità territoriali. Ben consapevole che la capacità competitiva di un Paese (quanto a sistema socioeconomico) dipende — anche — dallo stock di alfabeti di cui dispone il proprio capitale umano. Siamo all’ecologia della Conoscenza e, conseguentemente, nel secolo della Formazione. Rinforziamo il teorema.

I sistemi pubblici di istruzione dovranno diventare, in ogni Paese, erogatori pubblici di Cultura. Questa, intesa come il bene/immateriale di cui ogni Nazione non potrà più fare a meno. Da apprezzare come un sontuoso conto-in-banca, come una corona regale che brilla di luce intensa in quanto risorsa economica, risorsa sociale e risorsa umana.• La Conoscenza è un solido capitale economico perché la competitività

dei sistemi industriali si gioca tutta sul prato verde delle competenze alfabetiche accumulate lungo i comparti scolastici. Soltanto dispo-nendo del carburante/super dei saperi e della cultura la macchina economica potrà dare futuro a un mondo in grado di garantire a tutti i cittadini il diritto alla studio: non-uno-di-meno.

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le vie della formazione

Siamo sulla sponda opposta a quella delle destre populiste e regressive sulla quale crescono le erbacce della selezione classista dell’utenza scolastica.

• La Conoscenza è un solido capitale sociale a patto che la Formazione sia protagonista lungo tutte le età della vita: dall’infanzia alla senilità. Rinforziamo la tesi. I saperi possono convertirsi in un ricco deposito bancario da spendere in un mondo che assicuri, a chi lo popola, le conoscenze generatrici di un pensiero-che-pensa: aperto al pluralismo delle idee e ai linguaggi della cooperazione, del solidarismo e della pace.

Siamo sulla sponda opposta a quella delle destre populiste e regressive sulla quale mai è cresciuta la pianta sempreverde della Cittadinanza. Sulla loro riva non c’è traccia di identità sociali e culturali delle giovani generazioni: irrinunciabili, per fare libere/scelte in mari popolati dalle sirene seduttive della pubblicità e dei consigli per gli acquisti.

• La Conoscenza è un solido capitale umano perché i sistemi pubblici di istruzione hanno il compito di formare giovani che sappiano pensare con la propria testa e sognare con il proprio cuore. I saperi dovranno tramutarsi in una potente vettura culturale che salvaguardi la Persona dal baratro — esistenzialmente devastante — della massificazione collettiva. Pertanto la Scuola non può abbassare la guardia dal compito di formare un’umanità non-duplicabile, non-manipolabile, non-utile.

Siamo sulla sponda opposta a quella delle destre populiste e regressive sulla quale campeggia un soggetto/manichino con gli occhi chiusi per sempre sugli incanti, sui sogni, sulle utopie.

L’aquilone lusitano. Consapevole del pericolo di un’egemonia mediatica (la TV, in primis) che apra la botola della massificazione collettiva, il Rapporto portoghese ha giocato, all’alba del Ventunesimo secolo, tutti i gettoni pedagogici di cui disponeva sulla roulette di una Mente endogena, riflessiva, di non-immediato uso e utilità sociale. Traguardo perseguibile a patto che la Scuola ponga alla rotonda della sua mission educativa la costruzione di un’umanità equipaggiata sia di valori culturali (cólta: perché capace di pensare con la propria testa), sia di valori civili (responsabile: perché consapevole della non-delegabilità dei propri diritti di cittadinanza), sia di valori esistenziali (solidale: perché impegnata a promuovere luoghi di incontro tra più-linguaggi, tra più-intelligenze, tra più-culture).

In particolare, la capitale lusitana plaude calorosamente alla Conoscenza. Apprezzata per la sua straordinaria forza liberatrice ed emancipatrice per le donne e per gli uomini che ancora non godono del diritto al leggere e allo scrivere. Il Documento di Lisbona/2000 entra nei giardini inondati da una pioggia di saperi e di metasaperi che

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Per un curricolo europeo della Formazione

potrebbe umanizzare ogni abitante del Pianeta attraverso l’incontro, il dialogo, il confronto tra più/intelligenze.

In sintesi. I paesaggi del nuovo Secolo — sempre più praterie per le scorribande della globalizzazione culturale (dal bollente termome-tro mediatico ed elettronico) — chiedono ai sistemi di istruzione di formare allievi dotati di robuste gambe cognitive e di profondi sguardi etico-valoriali.

Siamo all’ecologia della conoscenza. Al cospetto di un motore di sviluppo e di progresso del Pianeta che abbandonerà al loro destino (alla rottamazione) i propulsori — l’acciaio e il petrolio — ancorati al/solo «sviluppiamo» industriale. Questi, difficilmente potranno generare un autentico progresso economico, etico-sociale e culturale spalmato a nord come a sud dell’Equatore: occasione di incontro tra più-linguaggi, tra più-intelligenze, tra più-culture.

Per concludere. All’alba del nuovo millennio, l’Unione Europea ha riproposto il grido d’allarme del grande pedagogista di Chicago — J. Dewey — rullando a Lisbona i propri tamburi per raccogliere l’opinione del vecchio Continente sul seguente teorema. La tenuta di un sistema democratico, la qualità della vita e la profondità delle assiologie di una comunità sociale, la capacità competitiva di un Paese quanto a sistema economico dipendono — anche — dal bagaglio alfabetico di cui dispone il proprio capitale umano: il cittadino. Di qui l’importanza strategica che la conoscenza assume nella stagione di debutto del terzo Millennio.

Un baule pieno di abiti problematici e plurali

In queste righe, è nostro proposito accendere i riflettori della Formazione sui compiti del nostro sistema di istruzione (dell’obbligo e del postobbligo) alla voce ecologia della Conoscenza. Soprattutto, parleremo dei due zaini — etichettati Pedagogia e Didattica — posti nel baule degli alfabeti che il sistema di istruzione si dovrà porre sulle spalle prima di inoltrarsi lungo gli impervi sentieri culturali del nuovo Secolo.

L’abbigliamento pedagogico

Si è detto. I sistemi di istruzione dovranno essere inondati di conoscenze in grado di generare teste-ben-fatte. E non teste-piene di pasticche cognitive da assumere a occhi chiusi. Di più. Vorrem-mo che il loro guardaroba venisse confezionato nella boutique — a noi molto cara — del Problematicismo pedagogico (si veda il box successivo). Sulla scia del suo sguardo scientifico, auspichiamo alla

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le vie della formazione

il Problematicismo pedagogico

Giovanni Maria Bertin è il padre del Problematicismo pedagogico. La sua Pedagogia espone una carta d’identità siglata da un triplice segno-di-riconoscimento. Cioè a dire, la sua Teoria della formazione pone a baricentro tre idee pedagogiche: l’idea di Ragione, l’idea di Confutazione e l’idea di Impegno.• Il principio di ragione. Una Pedagogia orientata in direzione

problematicista impone la scelta razionale di un modello edu-cativo (teorico ed empirico) in grado di rispondere alle esigenze trascendentali della vita educativa (piano di massima apertura della Formazione lungo le età della vita), e, nello stesso tempo, di coniugarsi con la realtà storico-sociale (piano della contingenza, della resistenza educativa) con la quale dovrà quotidianamente confrontarsi e interagire.

Il modello prescelto, pertanto, è rivolto al futuro ma è anche cultu-ralmente determinato: proprio perché deve testimoniare — insieme — fedeltà alla ragione e aderenza alla realtà.

Il processo di integrazione dialettica tra il modello trascendentale (piano della filosofia dell’educazione) e le strutture socioculturali entro cui dovrà maturare l’esperienza educativa (il sistema storico-culturale) si attua percorrendo sentieri formativi di interdipendenza, non di separazione-subordinazione-identificazione. È un’equazione da risolvere nel senso di un adeguamento del piano teoretico alle resistenze della contingenza sociale e culturale. Dare a questa la prima/guida, significa imboccare un tunnel senza ritorno: il conso-lidamento e la legittimazione — in continuità — dei saperi canonici e dei modelli di vita proposti e consacrati dalle ideologie dominanti nelle innumerevoli latitudini del Pianeta. La cifra che il modello razionale paga al suo storicizzarsi, se vuole preservare l’orizzonte della possibilità, va investita — al contrario — nell’operazione di ripristino dei vissuti e dei valori esistenziali che nelle varie stagioni storiche soffrono di mutilazioni e/o esclusioni.

A partire da questo paradigma logico-formale, la Pedagogia si schiera senza incertezze per i modelli culturali declassati e/o negati che si pongono sui crinali di orizzonti/altri: di superamento rispetto alle cifre di culture legittimate nelle singole contrade sociali.

• Il principio di confutazione. Al cospetto di un Pianeta vuoto di stelle e di bagliori di luce (oscurato dalla notte dell’incomunicabilità, dell’emarginazione e dell’alienazione), Giovanni Maria Bertin invita a indossare l’abito della confutazione che si fa dissenso ogniqualvolta il viaggio dell’educazione viene costretto al passo-del-gambero: allor-quando non dispone di gambe robuste per correre verso il futuro, il possibile e l’inattuale. In proposito, Bertin afferma che la Pedagogia si colloca stabilmente in alternativa al quadro dei valori consacrati nei singoli contesti socioculturali, politici ed economici. Un’alter-

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Per un curricolo europeo della Formazione

nativa che trae la propria forza dirompente dalla speranza di potere rivoluzionare alle radici il mondo dell’educazione in direzione della massima espansione esistenziale della Persona. A partire da questa consegna formativa, la Pedagogia indossa, senza titubanze, l’abito del dissenso: balcone critico sulla società, perennemente rivolto sul domani, sul possibile, sull’utopia. Peraltro, il sommo pedagogista ve-neziano — di cui siamo discepoli — è ben consapevole che il modello sociale verso cui rivolge il proprio sguardo può essere trasfigurato e trasceso soltanto nel nome della Ragione. A patto che questa eserciti un’azione di incessante conciliazione, pacificazione e integrazione delle forme antinomiche e conflittuali della vita quotidiana. Sono piani contrastivi dell’esperienza che possono rivolgere gli aghi della bussola educativa vuoi in direzione di risoluzione dialettica (di conciliazione e superamento) delle polarità e degli opposti, vuoi in direzione di rivoluzione (di rottura, di centrifugazione) delle polarità e degli opposti.

Viceversa, quando la Pedagogia viene costretta a recitare il copione dell’educazione su palcoscenici esistenziali statici e regressivi non può che incamminarsi — senza se e senza ma — lungo la strada del dissenso. E farsi scienza del no. Il primo/no radicale è contro le sirene antipedagogiche — in guisa di specchietti per le allodole — che mirano subdolamente a impoverire e a mutilare lo sviluppo «integrale» della Persona.

Questo no/assiologico genera cinque rifiuti esistenziali. Primo rifiuto. La Pedagogia è contro le discriminazioni, le inibizioni

e le solitudini della sfera socioaffettiva. Secondo rifiuto. La Pedagogia è contro la manipolazione, il confor-

mismo e l’omologazione della sfera cognitiva. Terzo rifiuto. La Pedagogia è contro il dogmatismo, il filisteismo e

l’indottrinamento della sfera etica. Quarto rifiuto. La Pedagogia è contro la stereotipia, il cattivo gusto

e la massificazione della sfera estetica. Quinto rifiuto. La Pedagogia è contro l’automazione, l’alienazione

e lo sfruttamento della sfera economica quando viene elevata a dio-maggiore.

Siamo al cospetto di un bilancio amaro. Nel senso che il duplice repertorio confutazione/dissenso si presenta perennemente in crisi. Chiamato a scegliere incessantemente tra posizioni opposte, a tendere alla conciliazione e alla soluzione di situazioni complesse, spesso contrastive. A dilatare al limite l’esperienza educativa in uno specifico contesto storico-sociale allo scopo di farla il più possibile aderire all’orizzonte trascendentale

Ne consegue che il Problematicismo pedagogico è sempre «im-pegnato» a combattere tutto ciò che porta a rimpicciolire (perché interpretato unilateralmente) e a depauperare (perché non interpre-tato integralmente) le sfere esistenziali della donna e dell’uomo della

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le vie della formazione

nostra contrada storica. Suo compito è di preservarle e di espanderle in tutta la loro ricchezza. Assicurando loro quella vitalità che funge da ingrediente dinamico per neutralizzare ogni forma di cristallizzazione e di impoverimento dell’umanità.

La confutazione e il dissenso, dunque, come coscienza critica e forza della ragione: le sole in grado di progettare e sperimentare una nuova umanità. Frontiera perseguibile a patto che le nuove generazioni sappiano uscire dall’angusto tunnel della necessità e dell’alienazione (marcusianamente intese: sono l’incubo di un’umanità a-una-dimensione) dove è possibile ancora guardare un cielo punteggiato di stelle luminose. Parliamo di infanzie e di adolescenze equipaggiate di un binocolo — lo scavo interpretativo, il dubbio, la confutazione — oggi irrinunciabile se si vuole prendere coscienza (pedagogica, per l’appunto) dei possibili modelli attraverso cui è stata (o potrebbe essere) organizzata la vita educativa. Questo assunto gode di una feconda funzione antidogmatica perché rivolto a denunciare la parzialità dei modelli pedagogici espressi dalla storia dell’educazione. Ciò in seguito alla loro tendenza a sostenere versanti interpretativi pregiudicati aprioristicamente dai valori/guida celebrati dai sistemi socioculturali dominanti.

In sintesi. La ferma denuncia bertiniana è contro ciò che paralizza lo sviluppo integrale della Persona: il filisteismo e il conformismo intellettuale, l’intolleranza e la falsificazione etica, il cattivo gusto e la deprivazione estetica, l’indisponibilità e il disimpegno civile.

• Il principio di impegno. Da quanto precedentemente affermato, ne consegue che la coppia confutazione/dissenso ha il compito di creare le condizioni formative per dare le ruote all’impegno etico-sociale e, conseguentemente, alla «scelta» di un modello pedagogico frutto di una diffusa presa di coscienza e di una decisione partecipata di largo coinvolgimento comunitario. Intendiamo argomentare che ogni modello formativo va ricoperto di una pelle/sociale. Possibile, se il suo alfabeto pedagogico è permeato di disponibilità, cooperazione, solidarietà, impegno etico e sociale. Siamo al cospetto di una Pedago-gia problematica e critica che chiede all’azione educativa di attingere sempre nel cesto dove risiedono sia le esigenze esistenziali di un soggetto/Persona storicamente determinato, sia i problemi concreti di uno specifico territorio socioculturale. Il tutto con l’obiettivo di assicurare uno sviluppo razionale ai piani dell’esperienza che, nelle diverse contrade sociali, soffrono di vistose restrizioni e mortificazioni esistenziali.

L’esigenza di assicurare alla Pedagogia una legittimazione filosofica non conduce di certo nei labirinti di un dover/essere astratto e illuministico. Al contrario, la Ragione problematicista reclama una Pedagogia normativa e pratica per la quale il corredo teoretico non funge da stampo per coniare soluzioni metodologiche universali e

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assolute. La Pedagogia normativa a cui alludiamo implica semmai un prendere posizione di fronte alla concretezza dei problemi culturali e formativi dell’odierna contingenza storica. Se poi la normatività pedagogica è anche presa di coscienza della relatività di qualsivoglia opzione contingente, allora il prendere posizione si fa anche principio di legittimazione di una prassi educativa (quindi, di una Didattica) elastica, duttile, attenta alla particolarità delle situazioni e alla con-cretezza dei problemi educativi. Siamo alle frontiere ultime di una Pedagogia dell’impegno. Al cospetto di un modello educativo che vuole agire nella storia per realizzare in essa l’infinita ricchezza della vita e dell’esperienza.

Se le donne e gli uomini dell’impegno scelgono l’integralità della Persona (e non la sua alienazione), allora la Pedagogia engagée si fa azione e partecipazione comunitaria. Dando la mano alle donne e agli uomini lungo le frontiere dell’integralità e della ricchezza esistenziale da contrapporre alle derive della massificazione e dell’alienazione. Soltanto la Persona/valore simboleggia un’umanità che si impegna nella vita sociale, civile, politica e culturale per non farsi rimpicciolire dalla deriva di un lavoro acefalo che ha oggi la sua micidiale tenaglia spersonalizzante nel binomio produzione-consumo.

L’onda lunga delle economie neoliberiste (senz’anima e vuote di futuro) si regge deterministicamente sull’equazione meccanizzazione/automazione industriale uguale espansione/conquista dei mercati. Siamo allo slogan neocapitalistico del produrre sempre di più per con-sumare sempre di più. Questo metro di misura ossessivo rendiconta soltanto cifre quantitative, mai qualitative della fruizione-consumo di un prodotto.

La donna e l’uomo dell’impegno sono chiamati a opporsi al binomio liturgico produzione-consumo al fine di non pietrificarsi in esseri senza voce e senza sguardo. Una deriva imparabile qualora il binomio citato approdasse a occhi chiusi su spiagge merceologiche (egemonizzate dai mercati e dai poteri industriali) e non su spiagge riscaldate da valori etico-sociali. Parliamo della conquista di cifre di umanità e di integralità della vita personale anche attraverso il lavoro.

La vasta letteratura scientifica che correda e nobilita il Problema-ticismo pedagogico gode — alla sua rotonda — degli studi e dei saggi di Giovanni Maria Bertin. Dal suo copioso scaffale, ricordiamo: G.M. Bertin, Etica e pedagogia dell’impegno, Milano, Marzorati, 1953; Idem, L’idea pedagogica e il principio di ragione in A. Banfi, Roma, Armando, 1961; Idem, La morte di Dio, Roma, Armando, 1973; Idem, L’ideale estetico, Firenze, La Nuova Italia, 1974; Idem, Nietzsche. L’inattuale, idea pedagogica, Firenze, La Nuova Italia, 1977; Idem, Disordine esistenziale e istanza della ragione, Bologna, Cappelli, 1981; Idem, Costruire l’esistenza (in coll. con M. Contini), Roma, Armando, 1983; Idem, Ragione pro-teiforme e demonismo educativo, Firenze, La Nuova Italia, 1987.

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se il ponte scuola-oltrescuola è transennato

Una Scuola allergica ai saperi impliciti

L’evaporazione delle conoscenze. Abbiamo profetizzato a questo Secolo al debutto un rischio epocale. Lo spettro è che alle nuove gene-razioni si apra la botola della foresta-dei-consumi. I bambini e i giovani potranno essere costretti ad abbandonare gli antichi loro paradisi dove hanno potuto bere — fino all’ultima goccia — le bollicine di un calice pieno di immaginari, di emozioni e di sogni. E a ripiegare — senza idee e senza voce — nell’omologazione dell’incultura mercantile e mediatica. Siamo al cospetto di matrigne dotate di poteri diabolici tramite i quali stanno trasformando i bambini e i giovani in galline-dalle-uova-d’oro: «terminali» di ghiotti profitti e di sicuri investimenti ideologici. Al cospetto di questo diroccato scenario, la Scuola non sembra essere in grado di garantire competenze culturali capaci di automanutenzione. Nel senso che l’istruzione-da-banco non eroga saperi di lunga durata: determinanti, se si intende percorrere anche le strade dell’età adulta e dell’età senile. Lungo la quarta e la quinta stagione della vita non sembra possibile dare le ruote — come auspica l’UE — a un Progetto di profondo respiro culturale nel nome del Lifelong learning. La causa? L’elevata perdita dei saperi (per via dello sfarinamento precoce delle conoscenze) che si verifica dopo l’uscita dal Sistema di istruzione. È un olocausto che chiama sul banco degli imputati il meteorite del

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le vie della formazione

neoanalfabetismo. Come dire, la Scuola è colpevole del precoce svuo-tamento delle scatole-nere delle giovani generazioni: è un male oscuro la cui cartella clinica è tutta occidentale.

Le ricerche più accreditate informano quanto sia preoccupante il virus inedito di cui è portatrice infetta una cultura in pillole che invec-chia rapidamente. Parliamo dell’illitteralismo che ospedalizza l’intero emisfero boreale (a nord dell’Equatore) dell’alfabetizzazione diffusa. Ovvero, l’addio precoce della competenza del leggere (come capacità di comprendere e descrivere un testo scritto) e dello scrivere (come capacità di trasferire in cartaceo o in elettronico i propri pensieri e i propri sentimenti).

Non ci sono dubbi: sul banco degli imputati va chiamata una Scuola — e l’italiana occupa le prime file — colpevole di dispersione intellettuale. Questa, l’incriminazione. Le conoscenze che dà in pasto agli adolescenti e ai giovani — cucinate prevalentemente nel forno del Manuale e della Lezione — soffrono uno sfarinamento che produce una perdita massiccia dei saperi accumulati negli anni di reclusione nel banco.

Dunque, il Sistema pubblico di istruzione è perlopiù recalcitrante quando viene invitato a introdurre nel proprio menù i piatti necessari per nutrire menti/plurali. Al punto che i saperi erogati accusano una scarsa conservazione temporale, soffrono di una inarrestabile dissolu-zione cognitiva. Il bilancio è catastrofico. La Scuola non sembra più in grado di mettere al forno i cibi cognitivi superiori — di analisi e di sintesi — irrinunciabili per nutrire la mente infantile e giovanile. Non solo di accumuli nozionistici, ma anche di strutture meta cognitive. Le sole idonee a maturare le capacità logiche e generative del pensiero.

Metropoli Far West? Diamo voce a un monito, che è anche una speranza. Le metropoli occidentali — pur disponendo di alfabeti civili e culturali — non possono chiamarsi/fuori dal dramma delle megalopoli del sottosviluppo, dove un miliardo di esseri umani (nel 2020 potrebbero raddoppiare!) vive in baraccopoli: senza acqua, luce, servizi igienici, riscaldamento e arredi.

Progettare e costruire metropoli a-misura di chi le abita (in famiglia, nella scuola, nel lavoro, nelle strade, nei negozi, nei luoghi dello svago e della cultura) significa, si è detto, dare volo ad una città-dalle-cento-idee. Con uno scopo dichiarato: mettere a disposizione dei bambini e dei giovani (ma anche degli adulti e degli anziani) angoli/urbani attrezzati e specializzati. Sono spazi collettivi da difendere e da moltiplicare se si vuole spedire all’inferno il fantasma neoliberista che sogghigna sui tetti di metropoli nemiche della propria cittadinanza. Parliamo di un Belzebù due volte devastante. Sia perché genera città-dei-consumi

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Se il ponte Scuola-Oltrescuola è transennato

prive di Piani regolatori per la convivialità comunitaria, sia perché è l’artefice della «scomparsa» dei bambini e degli adolescenti (ma anche degli anziani) in tessuti urbani sempre più ritagliati a-misura di chi lavora e produce: l’Adulto. Parliamo degli anonimi territori metro-politani sepolti da parcheggi, da negozi, da dehors privi di sorrisi e di parole al vento. Siamo al cospetto di strade e di piazze che idolatrano mondi sregolati e selvaggi fino a riecheggiare un lontano Far West. Se la città santifica i luoghi dell’intrattenimento e del consumo adulto sarà ovviamente refrattaria a investire un solo/Euro sulle stagioni della vita non ancora inserite nel mondo del lavoro (l’infanzia, l’adolescen-za, la giovinezza) oppure già uscite dalle professioni (l’anziano). Nei nostri occhi prende corpo lo spettro di un mondo popolato di città/mercato che elevano il «consumo» a termometro e a metro-di-misura della vivibilità comunitaria. Per questo urliamo, a tutta-gola, la tragica scomparsa dell’infanzia nella metropoli contemporanea.

In proposito, è lapidario il verdetto delle ricerche sociopedagogiche più accreditate nel documentare le condizioni esistenziali delle giovani generazioni negli agglomerati urbani. Questo, l’urlo alla luna. Nella città/mercato la bambina e il bambino vivono in «gabbia» i loro 700 minuti giornalieri al netto del mangiare e del dormire. L’orologio della loro quotidianità rintocca beffardo, senza mai scomporsi: tot ore in famiglia, tot-ore a scuola, tot-ore per i compiti a casa, tot-ore per le attività pomeridiane a pagamento per la frequenza in Corsi da status symbol. Poi, il ritorno a casa che regala tot-ore in silenzio davanti al video e al computer. Una catena di vissuti quotidiani temporalizzata in micro/ore che si rincorrono sempre uguali: prive di sorprese e vuote di incanti. Dove non è ammissibile la trasgressione: l’imprevisto, l’altrove, la testa all’ingiù.

Una Città in ostaggio ai consumi

Il cittadino muto e invisibile

I paesaggi della disintegrazione. La letteratura scientifica che popola gli scaffali dell’educazione ha ripetutamente acceso i riflettori su una duplice visione della metropoli contemporanea.

Da una parte, un’immagine conservatrice: localistica e dallo sguardo consumistico. Protesa a dare risposta alle domande, singole e contin-genti, dei suoi abitanti. Ma poco propensa — per scelta politica — ad alzare gli occhi sullo schermo di una progettualità collettiva, la cui muta deriva si chiama città dei consumi e dei silenzi.

Dall’altra parte, un’immagine progressista: olistica e dallo sguardo solidaristico. Protesa a risolvere le istanze quotidiane della propria

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le vie della formazione

cittadinanza e con gli occhi rivolti a una città/Progetto attenta ai diritti-doveri di chi la abita. La sua spiaggia sonora si chiama città-delle-idee e dalle cento/voci.

Tra i problemi urgenti che travagliano i contesti urbani del Ventu-nesimo secolo campeggia, si è detto, la Formazione delle giovani gene-razioni. Al riguardo, la nostra adesione è senza riserve per una politica formativa a-tutto-campo: possibile inaugurando Progetti nel nome di città educative. Sosteniamo l’urgenza di uno sguardo alto e profetico di chi governa i territori urbani. Con questo obiettivo pedagogico: impedire che le giovani generazioni siano travolte dal vortice delle politiche neoliberiste che asfaltano di bisogni e di consumi artificiali metropoli sempre più sregolate.

L’antagonista numero/1 dell’infanzia e dell’adolescenza — oggi — è la perversa filosofia della deregulation. Cioè a dire, l’avvento di una città dimissionaria e aventiniana nei confronti del suo inalienabile compito di guida dello sviluppo socioeconomico, civile e culturale del proprio territorio urbano.

Quando lo città abbandona il timone-di-guida della sua collettività, di fatto contribuisce a rendere incomunicanti tra loro le «isole» del proprio arcipelago formativo: la Famiglia, la Scuola, gli Enti locali, l’Associazionismo, il Privato sociale, il Mondo del lavoro.

È sullo sfondo dei paesaggi della disintegrazione che entrano in scena i bambini e gli adolescenti: protagonisti di età generazionali nevralgiche per il Ventunesimo secolo. Se fatte scivolare lungo le derive del silenzio, dovranno forzatamente indossare il mantello sdrucito di un’umanità dal volto pallido e senza sorriso. Destinata ad essere ammanettata e rinchiusa nei tempi, negli spazi, nei prodotti di mercato di metropoli nemiche. Dunque, i bambini e i giovani rischiano di scomparire: ovvero, di vivere desaparecidi senza le chiavi della città. Sono nuove generazioni sempre più invisibili e irrintracciabili nei percorsi e nei luoghi topici e conviviali dei tessuti urbani.

L’unica visibilità a loro concessa è dentro alle gabbie specializzate (ultra-istituzionali) dei contesti metropolitani: davanti al televisore e al computer in Famiglia, nel banco a Scuola, a «parchimetro» nelle attività corsuali pomeridiane.

Siamo al cospetto di nuove generazioni rinchiuse in riserve ana-grafiche: i bambini con i bambini, gli adolescenti con gli adolescenti, i giovani con i giovani. Il tutto — preferibilmente — con un’esplicita distinzione e separazione dei sessi. In omaggio ad un mercato che pre-dispone accuratamente su tavoli «separati» le proprie offerte cognitive e ludico-ricreative. L’esito sarà catastrofico: nella città/mercato — dei consumi e del silenzio — l’infanzia e l’adolescenza si tramuteranno senza scampo in galline-dalle-uova-d’oro, in «oggetti» della mercifica-

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Se il ponte Scuola-Oltrescuola è transennato

zione contemporanea. Saranno bambini e ragazzi usa e getta, ai quali verranno ripetutamente scippati i loro sacrosanti diritti.

L’idolatria adultismo e consumismo

Il Mercato formativo a pagamento. L’immagine della città self-service appare ai nostri occhi come un oceano smisurato, una gi-gantesca onda lunga. Capace per la sua natura pervasiva e totalizzante di avvolgere il fruitore — il bambino come l’anziano — dentro a una nube stracolma di alfabeti iconici ed elettronici. Tendenzialmente, il suo megafono amplifica parole antieducative che fungono da cassa di risonanza in città subalterne alle leggi del profitto: governate dal grimaldello della domanda e dell’offerta. Se manca la domanda for-mativa (per esempio, l’interesse per la lettura, per la scrittura, per il gioco all’aperto) non si accende l’offerta. Non si propongono pertanto biblioteche e ludoteche: oppure — se esistono — vengono convertite in sale/gioco dove la domanda e il guadagno risultano sicuri.

Questi scenari mercificati dell’Extrascuola — dalla fruizione so-litaria (non-socializza) e priva di appeal cognitivo (non-alfabetizza) — potrebbe suggerire al Sistema di istruzione una scelta «claustrale». Questa. Chiudere i suoi portoni per non fare entrare il benzene di una cultura-di-mercato irrespirabile per la tossicità che scarica nella mente e nel cuore delle giovani generazioni. In altre parole. La Scuola potrebbe blindarsi e scommettere tutti i propri gettoni formativi su una roulette istruzione-centrica. Saremmo di fronte a un’opzione «difensivistica» tutto/Scuola che sillaba una discutibile tesi: soltanto nella aule scola-stiche si cucina un qualitativo menù educativo.

Dunque, le medaglie del Sistema non-formale raffigurano città tendenzialmente popolate di bambini e di adolescenti dal volto pallido, muto e senza sorriso. Ammanettati e rinchiusi nei tempi, negli spazi e nei prodotti di mercato di metropoli nemiche. Costretti a scomparire: a vivere desaparecidi senza le chiavi della città. Parliamo di umanità sempre più invisibili, irrintracciabili, inesistenti nei loro luoghi topici e conviviali.

Il nostro immaginario pedagogico dà le ali ad una città laboriosa, disinquinata, abitabile. Siamo alla metafora di una metropoli cospar-sa di cifre di coesione sociale e di autonomia intellettuale: solidale e amica verso le giovani generazioni. Molte città del vecchio Continente si fanno belle specchiandosi nell’emisfero ricco (boreale) del nostro Pianeta, il cui virtuoso sviluppo ha dato volto a territori urbani attenti alla vivibilità dell’edilizia abitativa e alla mobilità/sostenibile: percorsi urbani pedonabili e un efficiente trasporto pubblico. In una parola: massimo rispetto della dignità della Persona.