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Home » Il falsificazionismo di Popper Il falsificazionismo di Popper Premessa Secondo Popper la scienza si distingue dalle altre forme di sapere in quanto conoscenza falsificabile. Questa idea, anche se contraria ad un’opinione corrente che vede nella scienza un modello di conoscenza indiscutibile, è tuttavia dotata di una sua forza persuasiva ed è quasi diventata, almeno per le persone culturalmente informate, un nuovo senso comune. L’epistemologia di Popper e il suo criterio di demarcazione della scienza sono molto conosciuti anche perché apparentemente semplici e facilmente divulgabili. Ad un’analisi appena ravvicinata, tutto il discorso di Popper, che muove da alcune intuizioni giovanili a cui egli (pur con aggiustamenti e integrazioni) volle restare sempre fedele, dà però origine ad una proliferazione di problemi e di sottoproblemi dei quali era consapevole lo stesso Popper e che sono ancora oggetto di critiche e di discussioni. La genesi del criterio di demarcazione Il criterio di demarcazione di Popper, che fa coincidere la scientificità delle teorie con la loro falsificabilità, nasce – come ricorda Popper stesso – sotto l’impressione del grande rivolgimento portato nella Fisica dalla teoria della relatività di Einstein. La teoria della gravitazione di Newton (basata sull’azione a distanza delle masse) che aveva conosciuto grandi successi per più di due secoli, trovando conferme nella caduta dei gravi, nel moto dei pianeti e delle maree, nelle misure di Cavendish con la bilancia di torsione, nella scoperta del pianeta Nettuno, fu soppiantata all’inizio del Novecento dalla Fisica relativistica. Le spedizioni nell’emisfero australe, organizzate dall’astronomo inglese Sir Arthur Eddington durante l’eclissi di Sole del 1919, in cui fu constatato che i raggi luminosi delle stelle, pur privi di massa in senso classico, incurvano la loro traiettoria quando passano in prossimità della grande massa del Sole, costituirono l’evidenza più rilevante per la confutazione della teoria della gravitazione di Newton in favore di quella di Einstein. Non si può dunque escludere che ogni teoria, indipendentemente dalla affidabilità che sembra possedere, possa andare incontro al rischio della confutazione. Anche la Fisica relativistica potrebbe essere a sua volta confutata e lo stesso Einstein ne era consapevole. L’anno 1919, fondamentale per l’affermazione della relatività generale, fu anche un anno cruciale per la formazione del pensiero di Popper. In HOME CHI SIAMO CONTATTI Carlo Veronesi Ha insegnato Matematica e Fisica nei licei e ha tenuto corsi di Epistemologia nelle Scuole di Specializzazione per l'Insegnamento Secondario (SSIS). Attualmente è cultore della materia di Logica e Filosofia della scienza presso l'Università di Verona. Fra le sue pubblicazioni ricordiamo la monografia Popper filosofo della matematica della collana Pristem/Storia (2007). Dallo stesso autore RICORDANDO FRANCESCO SPERANZA PERCHÉ LA MATEMATICA HA BISOGNO DELLA FILOSOFIA Dello stesso argomento Ipazia, quando il dialogo fa paura RICORDANDO FRANCESCO SPERANZA PERCHÉ LA MATEMATICA HA BISOGNO DELLA FILOSOFIA Matematica a colpi di maggioranza Il realismo di Hilary Putnam Navigazione Argomenti Articoli Autori Dossier Eventi Giochi Matematici Libri recensiti News Pubblicazioni Stai cercando un vecchio articolo? Ricerca... (sensibile alle maiuscole)

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Home » Il falsificazionismo di Popper

Il falsificazionismo di Popper

Premessa

Secondo Popper la scienza si distingue dalle altre forme di sapere in

quanto conoscenza falsificabile. Questa idea, anche se contraria ad

un’opinione corrente che vede nella scienza un modello di conoscenza

indiscutibile, è tuttavia dotata di una sua forza persuasiva ed è quasi

diventata, almeno per le persone culturalmente informate, un nuovo

senso comune.

L’epistemologia di Popper e il suo criterio di demarcazione della scienza

sono molto conosciuti anche perché apparentemente semplici e

facilmente divulgabili. Ad un’analisi appena ravvicinata, tutto il discorso

di Popper, che muove da alcune intuizioni giovanili a cui egli (pur con

aggiustamenti e integrazioni) volle restare sempre fedele, dà però

origine ad una proliferazione di problemi e di sottoproblemi dei quali era

consapevole lo stesso Popper e che sono ancora oggetto di critiche e di

discussioni.

La genesi del criterio di demarcazione

Il criterio di demarcazione di Popper, che fa coincidere la scientificità

delle teorie con la loro falsificabilità, nasce – come ricorda Popper

stesso – sotto l’impressione del grande rivolgimento portato nella

Fisica dalla teoria della relatività di Einstein. La teoria della gravitazione

di Newton (basata sull’azione a distanza delle masse) che aveva

conosciuto grandi successi per più di due secoli, trovando conferme

nella caduta dei gravi, nel moto dei pianeti e delle maree, nelle misure

di Cavendish con la bilancia di torsione, nella scoperta del pianeta

Nettuno, fu soppiantata all’inizio del Novecento dalla Fisica relativistica.

Le spedizioni nell’emisfero australe, organizzate dall’astronomo inglese

Sir Arthur Eddington durante l’eclissi di Sole del 1919, in cui fu

constatato che i raggi luminosi delle stelle, pur privi di massa in senso

classico, incurvano la loro traiettoria quando passano in prossimità

della grande massa del Sole, costituirono l’evidenza più rilevante per la

confutazione della teoria della gravitazione di Newton in favore di

quella di Einstein. Non si può dunque escludere che ogni teoria,

indipendentemente dalla affidabilità che sembra possedere, possa

andare incontro al rischio della confutazione. Anche la Fisica

relativistica potrebbe essere a sua volta confutata e lo stesso Einstein

ne era consapevole.

L’anno 1919, fondamentale per l’affermazione della relatività generale,

fu anche un anno cruciale per la formazione del pensiero di Popper. In

HOME CHI SIAMO CONTATTI

Carlo Veronesi

Ha insegnato Matematica e Fisica

nei licei e ha tenuto corsi di

Epistemologia nelle Scuole di

Specializzazione per

l'Insegnamento Secondario

(SSIS). Attualmente è cultore

della materia di Logica e Filosofia

della scienza presso l'Università di

Verona. Fra le sue pubblicazioni

ricordiamo la monografia Popper

filosofo della matematica della

collana Pristem/Storia (2007).

Dallo stesso autore

RICORDANDO FRANCESCO

SPERANZA PERCHÉ LA

MATEMATICA HA BISOGNO DELLA

FILOSOFIA

Dello stesso argomento

Ipazia, quando il dialogo fa paura

RICORDANDO FRANCESCO

SPERANZA PERCHÉ LA

MATEMATICA HA BISOGNO DELLA

FILOSOFIA

Matematica a colpi di maggioranza

Il realismo di Hilary Putnam

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quello stesso anno Einstein tenne una conferenza a Vienna, a cui il

giovane Popper ebbe modo di assistere e da cui confessa di essere

rimasto sbalordito, sia per il fatto che fosse venuta alla ribalta una

nuova teoria della gravitazione che sembrava un reale miglioramento

rispetto a quella di Newton, sia per il fatto che Einstein non avesse

presentato la sua teoria come definitiva (cfr. [4], pp. 39-40). In effetti,

in un’opera pubblicata nel 1916, cioè qualche anno prima delle

spedizioni britanniche di cui abbiamo detto, Einstein aveva già scritto

che in base alla sua teoria un raggio di luce avrebbe dovuto subire una

deflessione passando accanto ad un corpo celeste e che, durante

un’eclisse di sole, sarebbe stato possibile controllare la “correttezza o

non correttezza di questa deduzione” ([7], p. 101). Einstein aveva

individuato anche un’altra conseguenza controllabile della relatività

generale: “uno spostamento dello spettro della luce proveniente dalle

grandi stelle, in confronto a quello della luce prodotta sulla terra in

maniera analoga (cioè da corpi della stessa struttura molecolare)”

(ibid., p. 122). Anche questo effetto sarebbe stato confermato negli

anni successivi ma già nel 1916 Einstein aveva scritto esplicitamente

che, “se non esistesse lo spostamento delle righe spettrali verso il

rosso a opera del campo gravitazionale, allora la teoria della relatività

generale risulterebbe insostenibile” (ibid., p. 140).

Fu questo atteggiamento di Einstein, disposto a prendere in

considerazione situazioni che avrebbero potuto sia sostenere che

confutare la sua teoria, ad impressionare Popper, specialmente se

messo a confronto con l’atteggiamento dei seguaci di teorie che pure

aspiravano alla qualifica di scienze come il marxismo, la psicanalisi di

Freud e la psicologia individuale di Adler. Popper aveva familiarità con

queste dottrine, essendo stato membro di una associazione di studenti

socialisti delle scuole secondarie e avendo collaborato con lo psicologo

Alfred Adler in un progetto di orientamento sociale per ragazzi dei

quartieri operai di Vienna (cfr. [4], p. 35; [2], pp. 62-63). E tuttavia ad

un certo punto si convinse che questi sistemi teorici sembravano come

impermeabili ai fatti: i loro sostenitori vedevano conferme delle loro

credenze praticamente in ogni avvenimento e in ogni notizia ma non

avrebbero saputo specificare situazioni in cui queste teorie sarebbero

cadute in difetto. Proprio il confronto fra questa diversità di

atteggiamenti tra Einstein e i seguaci del marxismo e della psicanalisi

portò Popper alla conclusione che per la scienza fosse essenziale un

atteggiamento critico, diverso dall’atteggiamento dogmatico, proprio

perché non va alla ricerca di verifiche delle proprie teorie ma piuttosto

di situazioni che possano eventualmente confutarle (cfr. ancora [2], p.

90). Dunque, secondo Popper, un sistema teorico deve essere

considerato scientifico soltanto se fa asserzioni che possono entrare un

conflitto con i fatti e con le osservazioni. Altrimenti deve essere

trattato come una dottrina metafisica o una pseudoscienza.

L’idea che la falsificabilità debba essere una caratteristica essenziale

delle teorie scientifiche può nascere anche per motivi puramente logici,

cioè dalla constatazione di un’asimmetria logica fondamentale fra la

verifica e la confutazione di una teoria. Se da una legge L segue un

fatto f, l’occorrenza di f non garantisce la verità di L: la regola

sarebbe una fallacia dal punto di vista logico (fallacia dell’affermazione

del conseguente). Invece, dalla falsità di f posso inferire la falsità di L.

Lo schema deduttivo:

è una regola di inferenza corretta, il modus tollens. Questa asimmetria,

a cui “siamo costretti dalla logica” ([5], p. 201), è evidente se

pensiamo che le leggi di natura sono generalmente asserti universali

del tipo “Tutte le orbite dei pianeti sono ellittiche” oppure “Ogni carica

elettrica è multipla della carica elementare” o “Tutti i cigni sono

bianchi” (l’esempio ornitologico preferito da Popper). L’osservazione di

un numero qualsiasi, ma finito, di cigni bianchi non può servire

secondo Popper a formulare o a giustificare con un procedimento di

induzione una legge universale, cioè valida per un insieme

potenzialmente infinito di casi. L’osservazione di un cigno che non sia

bianco, l’osservazione per esempio di un cigno nero proveniente

dall’Australia, può invece falsificarla.

Karl Popper

L’antiinduttivismo estremo di Popper

Secondo Popper, il metodo induttivo non può servire in nessuna fase

dell’impresa scientifica. In primo luogo non serve nel contesto della

scoperta. La scienza non ricava le proprie leggi partendo

dall’osservazione ripetuta di fatti puri; una serie di osservazioni è

sempre preceduta da una ipotesi, da una aspettativa almeno inconscia.

Popper sostiene che l’atto del concepire o inventare una teoria

scientifica non è di natura logica. Può essere frutto di un “elemento

irrazionale” o di una “intuizione creativa” nel senso di Bergson o, per

dirla ancora con le parole di Einstein, di una sorta di

“immedesimazione” con gli oggetti di esperienza (cfr. [1], p. 11). Il

processo misterioso attraverso cui gli scienziati arrivano a formulare

processo misterioso attraverso cui gli scienziati arrivano a formulare

nuove ipotesi riguarda più la psicologia che la logica della scienza. Più

tardi Popper avrebbe scritto che, avendo insegnato Logica e metodo

scientifico, era stato professore di una disciplina inesistente (cfr. [5], p.

35). Seguendo quest’ordine di idee, la stessa sua opera principale –

Logica della scoperta scientifica o Logic of Scientific Discovery

nell’edizione inglese del 1959 – sarebbe stata intitolata

impropriamente perché il metodo della scoperta non è suscettibile di

analisi logica. (Il titolo dell’edizione originale tedesca Logik der

Forschung (1935), letteralmente “Logica della ricerca”, non sarebbe

molto migliore).

Ma il compito dello scienziato – chiarisce Popper – non è solo quello di

scoprire teorie. È anche quello di metterle alla prova. Perciò la teoria

sviluppata nella sua opera fondamentale può essere descritta come

un’analisi dettagliata dei metodi dei controlli deduttivi (cfr. ancora [1],

p. 9 e p. 13). Le ipotesi scientifiche, ovviamente, possono essere

controllate soltanto dopo che sono state proposte. Tuttavia, secondo

Popper, l’induzione non può servire nemmeno a questo scopo, cioè nel

cosiddetto contesto della giustificazione. La scienza, come già detto, è

interessata a proposizioni universali del tipo “Ogni carica elettrica è

multipla della carica elementare” o “Tutti i cigni sono bianchi”. Per

rendere più chiaro il fatto che un’asserzione universale non può mai

essere provata, cioè verificata in modo conclusivo, dalle osservazioni

particolari, per quanto elevato sia il loro numero, Popper ricorre ad

un’equivalenza della Logica classica. L’asserzione “Ogni carica è

multipla della carica elementare” equivale a “Non esiste una carica che

non sia multipla

della carica elementare”. L’asserzione universale “Tutti i cigni sono

bianchi” è logicamente equivalente a ”Non esiste un cigno non-bianco”

o “Non esiste un cigno scuro” (in simboli ∀x (C(x) => B(x)) è

equivalente ¬∃ x (C(x) ^ ¬ B(x)), dove C(x) sta per “x è un cigno”,

B(x) sta per “x è bianco”, ¬ B(x) sta per “x è scuro”). Dunque,

un’affermazione universale affermativa è logicamente equivalente a

un’affermazione esistenziale negativa. Ma un’affermazione esistenziale

negativa – argomenta Popper – è un’affermazione di non-esistenza.

Mentre l’esistenza può essere verificata in modo conclusivo e la ricerca

di un cigno scuro può giungere a una conclusione, l’inesistenza non

può essere provata: non posso setacciare tutto l’universo spazio-

temporale per affermare che una certa cosa, cioè un cigno scuro, non

esiste, non è esistita o non esisterà mai (cfr. [1], pp. 54-56). A questo

punto, anche se si può essere d’accordo con Popper sul fatto che gli

esempi a favore non possano stabilire con certezza la verità di una

asserzione universale, sembra tuttavia ragionevole pensare che la

probabilità di una legge, in assenza di esempi negativi, cresca con il

numero degli esempi positivi trovati. Popper nega anche questa

ulteriore possibilità: in un universo infinito la probabilità di una legge

universale dovrà risultare sempre zero, se si parte dall’idea che le

prove favorevoli non possano essere altro che in numero finito, mentre

le prove possibili della legge o delle sue conseguenze sono

potenzialmente infinite (cfr. ancora [1], p. 407 e segg.).

Pertanto, Popper non crede che l’induzione possa fornire in alcun modo

il metodo della scienza. Tuttavia ritiene che questo non debba spingere

allo scetticismo riguardo alla possibilità della scienza empirica. Esiste,

infatti, un “tipo di inferenza strettamente deduttiva che proceda, per

così dire nella «direzione induttiva»; cioè da asserzioni singolari ad

asserzioni universali” ([1], p. 23) e questo è il modus tollens. Questo

principio, come tutta la logica deduttiva, secondo Popper, è “fuori

discussione” (ibid., p. 25). Proprio dalle possibilità che ci offrono la

logica deduttiva (di ricercare i punti deboli di una teoria che

generalmente si trovano nelle sue conseguenze logiche più remote) e

il modus tollens (di falsificare una legge generale) parte tutta

l’elaborazione di Popper. Si potrebbe anche dire che il manifesto

programmatico di Popper è quello di esplorare i confini estremi a cui si

può giungere nell’analisi dell’impresa scientifica facendo soltanto uso

della logica deduttiva classica.

Problemi della corroborazione

Popper, ritenendo che gli esempi a favore non possano rendere né vera

né probabilmente vera una teoria scientifica, deve comunque trovare

un modo per indicare almeno il suo grado di accettabilità provvisoria.

Per dare una stima di come una teoria ha retto ai controlli e ai tentativi

di confutazione, Popper usa il termine corroborazione (e non conferma,

onde evitare connotazioni verificazioniste). Secondo il suo punto di

vista, gli esempi favorevoli non possono rendere più probabile una

teoria universale, ma le confutazioni fallite possono aumentare il suo

grado di corroborazione. Tuttavia si potrebbe subito obiettare che

anche una confutazione fallita è pur sempre una verifica, un esempio a

favore. Dunque un problema dell’elaborazione di Popper è quello di

precisare in cosa un tentativo fallito di confutazione sia diverso da un

esempio favorevole puro e semplice.

E.L. Kirchner, Cinque donne per strada (1913)

Per argomentare a favore del fatto che le verifiche banali non contano,

Popper utilizza anche il paradosso della conferma di Hempel.

L’asserzione “Tutti i cigni sono bianchi” è logicamente equivalente a

“Se una cosa non è bianca, allora non è un cigno”. In simboli: ∀x (

C(x) => B(x)) è equivalente a ∀x (¬ B(x) => ¬ C(x)). Ora l’ultima

asserzione può essere positivamente esemplificata da un cormorano

nero, da una rosa rossa o da un’auto blu. Ma allora un cormorano nero

e una rosa rossa dovrebbero essere esempi a favore anche

dell’affermazione che tutti i cigni sono bianchi. Questo tipo di esempi

confermanti, imbarazzanti e paradossali per i sostenitori della logica

induttiva, non crea nessun disagio a Popper che anzi ne ricava un

argomento a favore delle sue tesi antiverificazioniste: “un

argomento a favore delle sue tesi antiverificazioniste: “un

verificazionista coerente dirà che anche l’osservazione di un cormorano

nero fornisce un sostegno all’osservazione che tutti i cigni sono

bianchi” ([5], p. 250).

Gli esempi confermanti suggeriti dal paradosso di Hempel sono ”troppo

a buon mercato” per contare qualcosa per la corroborazione, non

essendo in generale il risultato di seri tentativi di confutazione. Per la

stessa ragione Popper ritiene, come detto, che ai fini della

corroborazione generalmente non serva nemmeno un esempio

favorevole, a prima vista più serio, come l’osservazione di un cigno

bianco. Tuttavia, in particolari circostanze, sia l’osservazione di un

cigno bianco, sia l’osservazione di un cormorano nero, possono

entrambe sostenere la tesi che tutti i cigni siano bianchi. “Così se, ad

esempio, abbiamo delle buone ragioni per pensare – alla luce di teorie

precedentemente accettate – che la cosa in questo stagno è un cigno

nero, allora il fatto di scoprire che si tratta di un cigno bianco o di un

cormorano nero potrebbe realmente fornire sostegno alla teoria che

tutti i cigni sono bianchi” (ibid.). Ai fini della corroborazione non conta

tanto il numero delle verifiche, quanto il loro “peso”: gli esempi a

favore diventano “dati corroboranti” se sono il risultato di previsioni

rischiose o se possono essere presentati come il risultato di controlli

severi, cioè di tentativi seri, benché falliti, di confutazione (cfr. [2], pp.

66-67). Un controllo conta quanto più è severo e la severità di un

controllo si collega al verificarsi di un evento inaspettato: se si verifica

un evento f che non dovremmo attenderci in assenza della teoria L,

allora il fatto corrobora positivamente L. La previsione che la distanza

angolare fra due stelle fisse in posizioni opposte rispetto al disco del

Sole, se misurata di giorno, dovesse essere diversa da quella ottenuta

con misurazioni del cielo notturno sarebbe stata del tutto impensabile

senza la teoria della gravitazione di Einstein (che prevedeva che la luce

dovesse essere attratta dal Sole esattamente come i corpi materiali).

La posizione delle due stelle, inosservabile di giorno a causa

dell’eccessivo splendore del Sole, fu fotografata proprio durante

l’eclisse del 1919 e il confronto fra le diverse posizioni – notturna e

diurna – delle due stelle permise di confermare la deviazione prevista

dalla teoria einsteniana. Questa previsione, incompatibile con i risultati

che tutti si sarebbero aspettati prima di Einstein, conteneva secondo

Popper un elemento di rischio impressionante e il suo successo,

difficilmente attribuibile a una coincidenza casuale, aumentò

enormemente il grado di corroborazione (cfr. [2], p. 66; [5], p. 261).

Dunque, un controllo è corroborante se scaturisce da una previsione

rischiosa o – come dice Popper per rendere più preciso il concetto –

dalla previsione di un fatto improbabile rispetto alla sola conoscenza di

sfondo, cioè alla conoscenza non illuminata dalla teoria sotto controllo.

Il grado di corroborazione fornito a una legge L da un fatto f viene

definito, in prima approssimazione, a partire dalla differenza p(f, L γ) -

p(f, γ) o, con notazione più usuale, p(f/L^γ) - p(f/γ). Il primo termine

della differenza indica la probabilità di f in presenza della legge L e del

resto della conoscenza γ; il secondo termine indica la probabilità di f

data la sola conoscenza di sfondo γ. Si noti che, nel caso che f sia una

conseguenza logica di L e γ, risulta p(f/L^γ) = 1 e che la

corroborazione è alta se la seconda probabilità della differenza è bassa.

Il successo di previsioni vaghe e imprecise, come quelle di indovini e

astrologi, ha scarso potere corroborante perché la mancanza di

precisione si accompagna usualmente a un’alta probabilità dei fatti

previsti (cfr. ancora [5], p. 261). Tuttavia queste probabilità sono

difficili da stimare e anche la corroborazione risulta difficile da definire o

formalizzare, come dimostrano le tre appendici alla Logica della

scoperta scientifica ad essa dedicate e le successive precisazioni di

Popper sull’argomento. Il concetto di corroborazione è problematico

non solo dal punto vista formale, ma anche da quello filosofico. Popper,

infatti, afferma che il grado di corroborazione di una teoria è un

infatti, afferma che il grado di corroborazione di una teoria è un

resoconto valutativo dei controlli superati, delle prove passate, che non

dice nulla sulla sua “affidabilità” cioè sulla sua idoneità a sopravvivere

ai controlli futuri (cfr. [3], p. 38). Se affermasse il contrario, Popper

potrebbe essere accusato a ragione di far uso a sua volta, nonostante il

conclamato rifiuto, di una inferenza di tipo induttivo. Tuttavia Popper

ritiene che una teoria altamente corroborata possa almeno candidarsi

ad essere una buona approssimazione della verità o ad essere più

vicina alla verità di una teoria con un minor grado di corroborazione.

“Se due teorie rivali – scrive Popper – sono state criticate e controllate

nel modo più completo possibile, con il risultato che il grado di

corroborazione di una è maggiore di quello dell’altra, avremo, in

generale, motivo di credere che la prima è una migliore

approssimazione alla verità della seconda” ([5], pp. 83-84). Ma anche

questa tesi, a prima vista ragionevole ed anche fondata sul piano

storico, è piuttosto impegnativa e sembra non sfuggire del tutto al

rischio di ricadere nell’induzione.

Problemi della confutazione

Se è vero che sia la conferma, sia la più debole corroborazione, sono

entrambe problematiche, le cose non vanno molto meglio per la

confutazione.

Pierre Duhem

Prima di Popper, Pierre Duhem (1861-1916) aveva osservato che

generalmente al vaglio dell’esperienza non viene sottoposta una legge

fisica isolata ma tutto un insieme di ipotesi (cfr. [6], p. 211). Quando i

fatti non si accordano con una teoria, il modus tollens non ci dice quale

parte della teoria debba essere rigettata. Solo il “bon sens” dello

scienziato riesce talvolta a individuarla. Seguendo Duhem, si può

vedere che il modus tollens potrebbe non essere conclusivo per la

refutazione se la teoria L sotto controllo si accompagna ad ipotesi

ausiliarie Hi e a condizioni iniziali Ci:

La falsità di f implica la falsità della congiunzione (L^H1^….^Cn) e

questa può essere falsa non solo se è falsa la legge L sottoposta a

controllo, ma anche se lo è qualcuna delle ipotesi ausiliarie o delle

condizioni iniziali. Si può imputare la falsità di f alla falsità di L solo se si

è certi che le Hi e le Ci sono vere, cosa non sempre scontata. Se, per

fare ancora lo stesso esempio, sottoponiamo a controllo la teoria della

gravitazione di Newton con osservazioni astronomiche, è probabile che

vengano usati telescopi o altri strumenti che presuppongono

quantomeno le leggi dell’Ottica. Perciò le osservazioni che non si

accordano alla teoria di Newton potrebbero trovare spiegazioni che non

mettono in dubbio la teoria stessa.

Per chiarire il discorso, si può ricordare che John Flamsteed (1646-

1719), astronomo di Greenwich, comunicò a Newton una tabella di

dati sul moto lunare che mostrava come le teorie newtoniane fossero

errate. Newton lo invitò a rifare i calcoli tenendo conto dell’effetto della

rifrazione dei raggi di luce lunari nell’atmosfera terrestre. In questo

modo i calcoli tornarono e l’anomalia sparì. Un’altra anomalia storica

della teoria newtoniana emerse qualche secolo dopo relativamente

all’orbita di Urano, settimo pianeta del sistema solare. Qualche

decennio dopo la sua scoperta, era stato notato che il nuovo pianeta

deviava dall’orbita prevista ricavabile dalla Meccanica celeste di Newton

e dalle condizioni iniziali accettate fino a quel momento, cioè che i

restanti pianeti fossero sei. Tuttavia, se si fosse postulata l’esistenza di

un ulteriore pianeta, la deviazione di Urano si sarebbe potuta spiegare

salvando la teoria newtoniana. J.C. Adams (1819-1892) e U.J. Le

Verrier (1811-1877) giunsero entrambi, in modo indipendente l’uno

dall’altro, alla soluzione del problema individuando massa e posizione

di un nuovo pianeta sconosciuto. La ricerca dell’ottavo pianeta ebbe

successo e portò alla scoperta di Nettuno. L’anomalia del perielio di

Mercurio, osservata successivamente, diede ancora luogo a ricerche di

un nuovo pianeta che sarebbe stato chiamato Vulcano, ma questo

pianeta non fu mai scoperto. Nel 1915 Einstein riuscì a spiegare

l’anomalia dell’orbita di Mercurio sulla base della sua teoria della

relatività generale e senza ricorrere ad ipotesi supplementari. E questa

fu realmente una prima evidenza che portò a scalzare la teoria di

Newton a favore di quella di Einstein.

Popper riconosce che la falsificazione può essere difficoltosa e che in

effetti sono generalmente i sistemi di teorie ad essere sottoposti al

controllo dell’esperienza, più che singoli asserti isolati da un contesto.

L’attribuzione della falsità ad un singolo asserto nell’ambito di un

sistema teorico è sempre estremamente incerta e l’intuito dello

scienziato gioca un grande ruolo nell’indirizzare la confutazione verso

una parte o un’altra del sistema. Questo anche se Popper ritiene che

generalmente si riesca a individuare quali parti delle teorie implicate in

un controllo siano più rischiose e più esposte alla confutazione e quali

invece si possano trattare come una sorta di “conoscenza di sfondo”,

relativamente non problematica. Comunque le difficoltà della

falsificazione empirica delle teorie - aggiunge Popper - non possono

toccare la falsificabilità logica. Il fatto che “non tutto sia logico”

nell’impresa scientifica non deve impedirci di usare la logica per gettare

su di essa la maggior luce possibile (cfr. [5], pp. 204-205).

Alle difficoltà della falsificazione empirica si deve aggiungere il fatto che

una teoria può sempre essere salvata dalla confutazione mediante

l’aggiunta di opportune ipotesi ausiliarie. Per fare un esempio vicino ai

casi storici che abbiamo citato, la perturbazione dell’orbita di un

pianeta p rispetto a quella calcolabile con le leggi di Newton potrebbe

essere attribuita alla presenza di un pianetino perturbatore p’; se però

questo nuovo pianetino non fosse scoperto nella posizione prevista, lo

scienziato newtoniano potrebbe pensare che i telescopi non siano

abbastanza potenti da osservarlo. Se nemmeno un telescopio di nuova

abbastanza potenti da osservarlo. Se nemmeno un telescopio di nuova

costruzione e più potente dei precedenti riuscisse ad osservare il

pianetino, il fisico newtoniano potrebbe ipotizzare che una nube di

polvere cosmica nasconda il pianeta sconosciuto. Se fosse lanciato un

satellite artificiale a cercare la nube e se questa non fosse trovata, si

potrebbe ancora pensare che gli strumenti del satellite siano disturbati

da un campo magnetico nelle vicinanze della nube. Dunque, si

potrebbe decidere di inviare un altro satellite per una nuova ricerca e

così via. Questo esempio immaginario (cfr. [8], pp. 174-175) dovuto a

Imre Lakatos, l’allievo più noto di Popper, spesso polemico con il suo

maestro, illustra in modo colorito come possano essere adottate molte

strategie di salvataggio nei confronti di una teoria scientifica. Di fronte

a questa possibilità, la raccomandazione di Popper è che le ipotesi

aggiuntive non siano ipotesi ad hoc, cioè non siano ipotesi che si

fermino alla spiegazione del solo fatto contrario, ma che aumentino il

contenuto empirico della teoria. “Per quanto riguarda le ipotesi

ausiliarie, – scrive Popper – decidiamo di enunciare la regola secondo

cui sono accettabili soltanto quelle la cui introduzione non diminuisce il

grado di falsificabilità o di controllabilità del sistema in questione, ma al

contrario l’accresce” ([1], p. 72).

Problemi della demarcazione

Popper ritiene che le critiche viste nel precedente paragrafo non

possano scalfire né la fondamentale asimmetria logica fra verifica e

confutazione, né il criterio di demarcazione della scienza che si basa su

di essa. Ma a questo punto si può osservare che proprio il criterio di

demarcazione, basato sulla falsificabilità, rischia di essere al tempo

stesso troppo forte e troppo debole. Troppo forte perché, per esempio,

esclude dalla scienza, in quanto non falsificabili, gli asserti

strettamente esistenziali: infatti, per falsificare un asserto esistenziale,

cioè per escludere che una certa cosa esista, si dovrebbe riuscire a

scandagliare tutto l’universo spazio-temporale e questa impresa è

manifestamente impossibile. In questo modo si escludono dalla

scienza sia asserti screditati come “Esiste l’araba fenice”, sia asserti

banalmente veri come “Esiste un cigno bianco”, sia un enunciato come

“Esiste un elemento con numero atomico 72” che, oltre che vero, è

considerato da tutti genuinamente scientifico (cfr. [1], p. 56). Il

criterio di demarcazione di Popper può anche sembrare troppo debole

perché rischia di includere tutte le leggi che sono state dimostrate

false: se una teoria è stata falsificata, è certamente falsificabile e

perciò è scientifica. E questo dovrebbe riguardare sia teorie grandiose

come la Meccanica newtoniana, sia le falsità più banali.

Popper risponde in vario modo a queste obiezioni. Il suo criterio di

demarcazione esclude dalla scienza solo gli asserti esistenziali “isolati”.

Anche un asserto esistenziale può essere falsificato, se è parte

integrante di un sistema teorico: l’asserzione che esiste un elemento

con numero atomico 72 è scientifica perché non è isolata, ma è stata

avanzata all’interno di una teoria che permise di specificare come

trovare questo elemento (cfr. [5], p. 195). Inoltre l’asserto

strettamente esistenziale, cioè l’asserto isolato “Esiste un cigno

bianco”, anche se vero, non è interessante per la scienza a causa del

suo scarso contenuto informativo. Il fatto che esista un cigno bianco

da qualche parte è un’affermazione poco impegnativa e per esempio è

logicamente più debole dell’affermazione singolare “Il cigno che

osservo in questo luogo e in questo momento è bianco”. Anche questa

proposizione fattuale elementare, che è sia verificabile sia falsificabile,

non fa parte secondo Popper della scienza teorica ma soltanto della sua

“base empirica”. A differenza degli asserti universali, che hanno

rilevante potere esplicativo (in correlazione a condizioni iniziali,

possono spiegare eventi o asserti singolari) gli asserti esistenziali sono

troppo deboli per spiegare qualcosa e quindi non sono interessanti per

lo scienziato (cfr. ancora [5], p. 200).

E.L. Kirchner, Postdamer Platz (1914)

Seguendo lo stesso ordine di idee si può rispondere anche alla seconda

obiezione avanzata all’inizio di questo paragrafo, cioè che la scienza

falsificabile debba includere anche leggi false a prima vista. Così come

la scienza non è interessata a verità banali del tipo “Esiste un cigno

bianco”, allo stesso modo non può comprendere teorie banalmente

false. Perché una teoria sia accettata nella scienza occorre che superi

controlli severi, serve cioè un po’ di corroborazione. Questo discorso

viene sviluppato da Popper specialmente negli scritti a partire dal

1960: “se avessimo successo soltanto nel confutare le teorie e non

nell’ottenere verifiche delle previsioni di nuovo tipo, dovremmo certo

riconoscere che i problemi scientifici sono diventati per noi troppo

difficili, perché la struttura del mondo (se ve ne è una) va oltre le

nostre capacità di comprensione. (…) Credo, tuttavia, che dovremmo

renderci conto che (…) sono essenziali entrambi i tipi di successo: il

buon esito della confutazione delle teorie, e il successo di alcune di

queste nel resistere almeno ad alcuni dei più risoluti tentativi di

confutarle” ([2], p. 420). Quest’ultimo requisito è necessario non solo

per eliminare le teorie banali, ma anche per una ragione non meno

importante: lo scopo della scienza, attraverso congetture, confutazioni

e corroborazioni, è quello di portare ad una sempre maggiore

approssimazione alla verità. Allora “se è nostra intenzione rafforzare la

verosimiglianza delle teorie, cioè avvicinarci alla verità, dovremmo

aspirare non solo a ridurre il contenuto di falsità delle teorie, ma anche

a rafforzarne il contenuto di verità” (ibid., p 421). Con questo discorso

Popper cerca di precisare l’idea intuitiva di avvicinamento alla verità, o

di “verosimiglianza”, a partire dal “contenuto di verità” (insieme delle

conseguenze vere di una teoria) e dal “contenuto di falsità” (insieme

delle conseguenze false), ma nello stesso tempo apre un nuovo fronte

di difficoltà. Proprio partendo da questi contenuti, di verità e di falsità,

Popper ritiene di poter confrontare formalmente la verosimiglianza di

due teorie, anche se sono entrambe false, e di definire inoltre una

misura della verosimiglianza di una singola teoria. Sfortunatamente

alcuni critici hanno mostrato che le proposte di Popper non sono

logicamente sostenibili e quindi non sono idonee a catturare l’idea

intuitiva di avvicinamento alla verità. Popper riconosce l’insuccesso

scrivendo di aver accettato le critiche alla sua proposta pochi minuti

dopo che gli furono presentate. Tuttavia si dice convinto del fatto che

una definizione formale di verosimiglianza potrebbe non essere

necessaria per parlarne sensatamente e che l’idea di verosimiglianza

potrebbe essere usata nell’ambito della sua teoria come concetto non

definito (cfr. [5], p. 25).

Osservazioni finali

A questo punto è lecito chiedersi se si possa trarre qualche conclusione

da questa analisi dei problemi e delle difficoltà del falsificazionismo.

Popper, anche negli scritti della maturità, ha sempre difeso la sua

intuizione giovanile che nella scienza hanno diritto di cittadinanza solo

quelle teorie che prestano il fianco alla falsificazione e possono essere

accettate provvisoriamente solo quelle che sono passate indenni

attraverso i tentativi di confutazione. Queste tesi di Popper sembrano

molto ragionevoli. Così come sembra plausibile l’idea che la scienza,

attraverso la sostituzione di congetture confutate con altre ancora

confutabili, ma non allo stesso modo delle precedenti, porti a una

sempre migliore approssimazione della verità. Ma abbiamo visto che

molti aspetti dell’elaborazione di Popper sono stati criticati o giudicati

impraticabili. Ovviamente è difficile dire se queste lacune siano fatali

per l’impianto generale del suo pensiero. Molti ritengono che la

concezione di Popper, nonostante le difficoltà, continui a gettare molta

luce sull’impresa scientifica e che da essa ormai non si possa

prescindere. Potrebbe essere ancora attuale un giudizio espresso da

Lakatos all’inizio degli anni Settanta (cfr. [9], p. 177, n. 2) quando

scrive di aver ripetutamente criticato la filosofia di Popper proprio

perché convinto che essa rappresenti la filosofia più avanzata del

nostro tempo e che qualsiasi progresso filosofico possa essere basato

solo, anche se “dialetticamente”, sui suoi risultati.

BIBLIOGRAFIA

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