Jean-François Lyotard - La Condizione Postmoderna. Rapporto Sul Sapere

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JEAN-FRANÇOIS LYOTARD La condizione postmoderna Rapporto sul sapere < UNIVERSALE ECONOMICA FELTRINELLI/SAGGI

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La condizione postmoderna. Rapporto sul sapere

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JEAN-FRANÇOIS LYOTARD La condizione postmoderna Rapporto sul sapere

< U N I V E R S A L E E C O N O M I C A F E L T R I N E L L I / S A G G I

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"Il sapere cambia di statuto nel momento in cui le società entrano

nell'età detta postmoderna" Uscito nel 1979, il libro di Lyotard si è imposto fin da subito, e non solo nel dibattito filosofico, come un testo di riferimento. In questo libro l'autore, con radicalità, chiude i conti con la tradizione storico-filosofica del pensiero classico. Una tradizio-ne che aveva segnato con forza, nel bene e nel male, la storia del Novecento. Non più quindi sistemi filosofici e grandi nar-razioni basate sull'eredità dell'Illuminismo e sui grandi sistemi emancipativi - in primo luogo l'hegelismo e il marxismo -, ma comprensione piena e accettazione di un nuovo modello di pensiero che identifica una nuova idea di modernità, basata essenzialmente sulla rottura netta con il passato: il "postmo-dernismo" per l'appunto. Questa espressione del filosofo fran-cese fu immediatamente usatissima in tutto il dibattito cultu-rale. Nel cambiamento epocale di paradigma Lyotard identi-fica un fattore centrale di trasformazione: il sorgere e il muta-re di senso dell'apparato di pensiero tecnoscientifico, e con esso l'avanzare impetuoso delle nuove tecnologie, in grado di diventare vere e proprie protesi di linguaggio, cioè modi del pensiero dalla struttura innovativa. Lyotard non intendeva solo valorizzare la tecnoscienza, ma anche, e soprattutto, dare pari dignità a tutti i linguaggi, senza più porre una modalità di pensiero come "superiore" alle altre.

JEAN-FRANÇOIS LYOTARD (1924-1998), f i losofo di fo rmaz ione feno-menologica, passato attraverso l 'esperienza di "Social isme ou barba-rie", è stato, tra i pensator i francesi contemporanei , una del le f igure di maggior ril ievo.

Art director: Cristiano Guerri. Cover design: Ufficio grafico Feltrinelli. In copertina: © Joykix. Dalla serie "Senza Orizzonte".

euro 11,00

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JEAN-FRANÇOIS LYOTARD La condizione postmoderna Rapporto sul sapere

Traduzione di Carlo Formenti

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Titolo dell'opera originale LA CONDITION POSTMODERNE © 1979 by Les Editions de Minuit, Paris Traduzione dal francese di CARLO FORMENTI

© Giangiacomo Feltrinelli Editore Milano Prima edizione nella collana "I nuovi testi" gennaio 1981 Prima edizione in "Idee" febbraio 1985 Prima edizione neU'"Universale Economica" - SAGGI aprile 2014 Stampa Nuovo Istituto Italiano d'Arti Grafiche - BG ISBN 978-88-07-88396-5

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Introduzione

L'oggetto di questo studio è la condizione del sapere nelle società più sviluppate. Abbiamo deci-so di chiamarla "postmoderna". La definizione è cor-rente nella letteratura sociologica e critica del con-tinente americano. Essa designa lo stato della cul-tura dopo le trasformazioni subite dalle regole dei giochi della scienza, della letteratura e delle arti a partire dalla fine del XIX secolo. Tali trasformazio-ni saranno messe qui in relazione con la crisi delle narrazioni.

Originariameate la scienza è in conflitto con le narrazioni. Misurate col suo metro, la maggior par-te di queste si rivelano favole. Tuttavia, dato che non si limita ad enunciare regolarità utili ma ricerca il vero, la scienza si trova nella necessità di legittima-re le sue regole di gioco. È a tal fine che costruisce un discorso di legittimazione del proprio statuto, che si è chiamato filosofia. Si tratta di un metadi-scorso che, quando ricorre esplicitamente a qual-che grande referente narrativo, come la dialettica dello Spirito, l'ermeneutica del senso, l'emancipa-zione del soggetto razionale o lavoratore, lo svilup-po della ricchezza, conferisce l'appellativo di "mo-derna" alla scienza che ad esso si richiama per le-gittimarsi. Cosi avviene per esempio che la regola del consenso fra destinatore e destinatario di un enunciato con valore di verità venga considerata accettabile qualora si inscriva nella prospettiva di una possibile unanimità degli spiriti razionali: ta-le era la narrazione dei Lumi, dove l'eroe del sape-

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re lavora per un fine etico-politico buono, la pace universale. Da questo caso risulta evidente come legittimando il sapere attraverso una metanarra-zione, che implica una filosofia della storia, si è por-tati ad interrogarsi sulla validità delle istituzioni che governano il legame sociale: anch'esse richie-dono una legittimazione. La giustizia diviene in tal modo il referente di una grande narrazione, allo stesso titolo della verità.

Semplificando al massimo, possiamo considera-re "postmoderna" l'incredulità nei confronti delle metanarrazioni. Si tratta indubbiamente di un ef-fetto del progresso scientifico; il quale tuttavia pre-suppone a sua volta l'incredulità. Al disuso del di-spositivo metanarrativo di legittimazione corrispon-de in particolare la crisi della filosofia metafisica, e quella dell'istituzione universitaria che da essa dipende. La funzione narrativa perde i suoi funto-ri, i grandi eroi, i grandi pericoli, i grandi peripli ed i grandi fini. Essa si disperde in una nebulosa di elementi linguistici narrativi, ma anche denotativi, prescrittivi, descrittivi, ecc., ognuno dei quali vei-cola delle valenze pragmatiche sui generis. Ognuno di noi vive ai crocevia di molti di tali elementi. Noi non formiamo delle combinazioni linguistiche ne-cessariamente stabili, né le loro proprietà sono ne-cessariamente comunicabili.

Pertanto la società che ne deriva dipende meno da una antropologia newtoniana (come lo struttu-ralismo e la teoria dei sistemi) e più da una prag-matica delle particelle linguistiche. Esistono molti giochi linguistici differenti, che costituiscono l'etero-geneità degli elementi, ed i giochi possono generare istituzioni solo attraverso un reticolo di piastrine, che costituisce il determinismo locale.

Tuttavia il sistema decisionale si sforza di ge-stire queste nebulose di socialità attraverso matri-ci di input/output, secondo una logica che impli-ca la commensurabilità degli elementi e la deter-minabilità del tutto. La nostra vita è cosi votata 6

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alFaccrescimento della potenza. La sua legittima-zione in materia di giustizia sociale e di verità scien-tifica consisterebbe nella ottimizzazione delle pre-stazioni del sistema, nell'efficacia. L'applicazione di questo criterio a tutti i nostri giochi non è disgiun-ta da certi effetti terroristici, velati o espliciti: sia-te operativi, cioè commensurabili, o sparite.

Questa logica della miglior prestazione è indub-biamente inconsistente da molti punti di vista, in particolare da quello della contraddizione in cam-po socioeconomico: esso esige ad un tempo meno lavoro (per abbassare i costi di produzione) e più lavoro (per alleggerire il peso sociale della popola-zione inattiva). Ma l'incredulità è ormai tale che, contrariamente a Marx, nessuno si aspetta oggi che tale inconsistenza possa costituire una via di scampo.

La condizione postmoderna è tuttavia estranea al disincanto, cosi come alla cieca positività della delegittimazione. Dove può risiedere la legittimità, dopo la fine delle metanarrazioni? Il criterio di o-peratività è tecnologico, non è pertinente per giu-dicare del vero e del giusto. Forse nel consenso ot-tenuto attraverso la discussione, come ritiene Ha-bermas? È una soluzione che violenta l'eterogenei-tà dei giochi linguistici. E l'invenzione si produce sempre attraverso il dissenso. Il sapere postmoder-no non è esclusivamente imo strumento di potere. Raffina la nostra sensibilità per le differenze e raf-forza la nostra capacità di tollerare l'incommensu-rabile. La sua stessa ragione d'essere non risiede nell'omologia degli esperti, ma nella paralogia* de-gli inventori.

Il problema aperto è il seguente: una legittima-zione del legame sociale, una società giusta, è pra-ticabile secondo un paradosso analogo a quello del-l'attività scientifica? E in cosa consisterebbe?

* Abbiamo preferito mantenere il neologismo di Lyotard, in quanto l'autore con questo termine non si riferisce ad una falsa argomentazione razionale (paralogismo), bensì ad una categoria di "mosse* grammaticali del gioco linguistico scientifico; cfr. sezione 14, in particolare nota 211 lN.d.T.J.

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Il testo che segue è uno scritto su commissione. Si tratta di un Rapporto sul sapere nelle società più sviluppate che è stato proposto al consiglio univer-sitario che coadiuva il governo del Quebec, su ri-chiesta del suo presidente. Quest'ultimo ne ha gen-tilmente autorizzato la pubblicazione in Francia, cosa di cui lo ringrazio.

Occorre tener conto che l'estensore del rappor-to è un filosofo, non un esperto. L'esperto sa ciò che può e ciò che invece non può sapere, il filosofo no. Il primo conclude, il secondo interroga, si trat-ta di due giochi linguistici diversi. Qui essi sono mescolati, di modo che nessuno dei due è condotto a buon fine.

Il filosofo può almeno consolarsi affermando che l'analisi formale e pragmatica di determinati di-scorsi di legittimazione, filosofici ed etico-politici, che il Rapporto sottintende, nascerà dopo di lui. Egli l'avrà introdotta, ricorrendo ad una scorcia-toia un po' sociologizzante, che la riduce ma ne definisce il campo.

Comunque sia, la dedichiamo all'Istituto poli-tecnico di filosofia dell'Università di Parigi Vi l i (Vincennes), nel momento assai postmoderno in cui questa università rischia di sparire e questo isti-tuto di nascere.

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1. Il campo: il sapere nelle società informatizzate

La nostra ipotesi di lavoro è che il sapere cam-bi di statuto nel momento ir. cui le società entra-no nell'età detta postindustriale e le culture nell'e-tà detta postmoderna. 1 Questa evoluzione è iniziata almeno a partire dalla fine degli anni Cinquanta, che in Europa segnano la fine della ricostruzione. La sua rapidità varia in ogni paese, e nei paesi se-condo i settori di attività: ne deriva una discronia generale, che non rende agevole il quadro d'assie-me.2 Una parte delle descrizioni non può che es-sere congetturale. Ed è noto che è imprudente ac-cordare eccessivo credito alla futurologia. 3

Piuttosto che costruire un quadro necessaria-mente incompleto, partiremo da una caratteristi-ca che determina immediatamente il nostro ogget-to. Il sapere scientifico è una specie di discorso. Si può dire che da quarant'anni le scienze e le tecno-logie cosiddette di punta vertano sul linguaggio:

1 Cfr. A . TOUKAINE, La società postindustriale, Il Mulino, Bolo-gna 1970; D. BELL, The Coming of Post-Industrial Society, New York 1973; IHAB HASSAN, The Dismemberment of Orpheus: Toward a Post Modem Literature, Oxford U.P., New York 1971; M. BENAMOU, C. CARAMELLO (a cura di). Performance in Postmodern Culture, Center for XXth Century Studies e Coda Press, Wisconsin 1977; M . KÖHLER, Post-modernismus: ein begriff geschichtlicher Veberblick, in "Amerikastu-dien", 22, 1 (1977).

3 Una espressione letteraria ormai classica del fenomeno è stata data da M . BUTOR, Mobile. Étude pour une représentation des Etats-Unis, Gallimard, Paris 1962.

3 Cfr. J. FOWLES (a cura di), Handbook of Futures Research, Greenwood Press, Westport, Conn. 1978.

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la fonologia e le teorie linguistiche/ i problemi della comunicazione e la cibernetica,5 l'algebra mo-derna e l'informatica,6 gli elaboratori e i loro lin-guaggi,7 i problemi di traduzione dei linguaggi e la ricerca di compatibilità fra linguaggi-macchina,8 i problemi di memorizzazione e le banche di dati,® la telematica e la messa a punto di terminali "in-telligenti",10 la paradossologia": eccone alcuni e-sempi evidenti, e l'elenco non è esaustivo.

L'incidenza di queste trasformazioni tecnologi-che sul sapere sembra destinata ad essere conside-revole. Esso ne viene o ne verrà colpito nelle sue due principali funzioni: la ricerca e la trasmissio-

4 Cfr. N . S . THUBECKOJ, Fondamenti di fonologia, Einaudi, Torino 1971.

s Cfr. N . WIENER, Introduzione alta cibernetica, Boringhieri, To-rino 1966; W . R . ASHBY, Introduzione alla cibernetica, Einaudi, Torino 1971.

• Vedi l'opera di J. von Neumann (1903-1957). 7 Cfr. S . BEIXEKT, La formalisation des système cybernétiques,

in Le concept d'information dans la science contemporaine, Minuit, Paris 196S [il saggio di Bellert non è stato inserito nell'edizione ita-liana: Il concetto di informazione nella scienza contemporanea, De Donato, Bari 1971. N.d.T.1.

• Cfr. G. MOUNIN, Teoria e storia della traduzione, Einaudi, To-rino 1972. La rivoluzione degli elaboratori viene fatta risalire al 1965, anno in cui viene introdotta la nuova generazione dei computer 360 I B M : cfr. R. MOCH, Le tournant informatique, Documents contri-butifs, annexe IV, in L'informatisation de la société, La Documen-tation française, 1978; R. M . ASHBY, La seconde génération de la micro-électronique, in "La Recherche", 2, giugno 1970, pp. 127 sgg.

» Cfr. L. GAUDFERNAN, A . TAÏB, Glossario, in S . NORA, A . MINC, Convivere con il calcolatore, Bompiani, Milano 1979; R. BECA, Les banques de données, annexe I: Nouvelle informatique et nouvelle croissance, in L'informatisation..., cit. [Lyotard si riferisce qui, e nella nota precedente, ad un'unica pubblicazione: il rapporto sull'in-formatica al presidente della repubblica francese, curato da Nora e Minc. L'edizione italiana de L'informatisation de la société, (Convi-vere con il calcolatore, cit.) non comprende tuttavia gli annexe del-l'edizione francese. Nelle note successive faremo quindi riferimento ora all'una ora all'altra delle due edizioni, N.d.T.].

u Cfr. L. JOYEUX, Les applications avancées de l'informatique, Documents contributifs, loc. cit. I terminali domestici (Integrateli Video Terminais) saranno commercializzati a partire dal 1984, al prezzo di circa 1400 dollari Usa, secondo un rapporto dell'Internatio-nal Resource Development, The Home Terminal, I.R.D. Press, Corni. 1979.

1 1 Cfr. P . WATZLAWICK, J . HBLMICK-BEAVIN, D . JACKSON, Pragmatica della comunicazione umana, Astrolabio, Roma.

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ne delle conoscenze. Quanto alla prima, un esem-pio accessibile al profano è offerto dalla genetica, che deriva il suo paradigma teorico dalla ciberne-tica. Ne esistono altri cento. Riguardo alla seconda, è noto come standardizzando, miniaturizzando e commercializzando le apparecchiature, si siano già oggi modificate le operazioni di acquisizione, di classificazione, di messa a disposizione e di utiliz-zazione delle conoscenze.12 È ragionevole pensare che la moltiplicazione delle macchine per il tratta-mento delle informazioni investe ed investirà la circolazione delle conoscenze cosi com'è avvenuto con lo sviluppo dei mezzi di circolazione delle per-sone prima (trasporti), e di quelli dei suoni e delle immagini poi (media).1 3

Questa trasformazione generale non lascia in-tatta la natura del sapere. Esso può circolare nei nuovi canali, e divenire operativo, solo se si tratta di conoscenza traducibile in quantità di informazio-

1 2 J. M. Treille, del Gruppo di analisi e di prospezione dei siste-mi economici e tecnologici (G.A.P.S.E.T.), dichiara: "Non si parla abbastanza delle nuove possibilità di diffusione delle memorie, dovute soprattutto ai semiconduttori e al laser [...] Molto presto ognuno po-trà immagazzinare informazione dove vorrà, e disporre di un sovrap-più di capacità autonoma di elaborazione" ("La semaine media", 16, 15 febbraio 1979). Secondo un'inchiesta della National Scientific Foun-dation, oltre un allievo su due delle scuole superiori utilizza normal-mente i servizi di un elaboratore; ogni scuola ne avrà uno dal-l'inizio degli anni Ottanta ("La semaine media", 13, 25 gennaio 1979).

u Cfr. L. BRUNEL, Des machines et des hommes, Québec Science, Montréal 1978; J . L. MISSIKA, D . WOLTON, Les risaux pensants. Librarne technique et doc., 1978. La pratica delle videoconferenze fra il Québec e la Francia sta per divenire usuale: nel novembre-dicembre 1978 ha avuto luogo il quarto ciclo di videoconferenze in diretta (attra-verso il satellite Symphonie) f ra il Québec e Montréal da una parte, e Parigi (Université Paris Nord e Centre Beaubourg) dall'altra ("La semaine media", 5, 30 novembre 1978). Altro esempio, il giornalismo elettronico. Le tre grandi reti americane, A.B.C., N.B.C, e C.B.S., hanno talmente moltiplicato i loro studi di produzione sparsi per il mondo che quasi tutti gli avvenimenti possono ora essere trattati elettronicamente e trasmessi in Usa via satellite. Solo gli uffici di Mosca continuano a lavorare con i film, che vengono spediti da Francoforte per essere diffusi via satellite. Londra è divenuta il grande packing potiti ("La semaine media"/ 20, 15 marzo 1979).

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ne. 1 4 Se ne può trarre la previsione che tutto ciò che nell'ambito del sapere costituito non soddisfa tale condizione sarà abbandonato, e che l'orienta-mento delle nuove ricerche sarà condizionato dalla traducibilità in linguaggio-macchina degli eventua-li risultati. I "produttori" del sapere al pari dei suoi utenti devono e dovranno disporre dei mezzi per tradurre in tali linguaggi ciò che i primi cerca-no di inventare ed i secondi di imparare. Le ricer-che su queste macchine interpreti sono già avan-zate. 1 5 Attraverso l'egemonia dell'informatica, si im-pone una certa logica, cioè un insieme di prescri-zioni fondate su enunciati accettati come enuncia-ti "del sapere". -

Da ciò è possibile aspettarsi una radicale este-riorizzazione del sapere rispetto al "sapiente", qua-lunque sia la posizione occupata da quest'ultimo nel processo della conoscenza. L'antico principio secondo il quale l'acquisizione del sapere è inscin-dibile dalla formazione (Bildung) dello spirito, e anche della personalità, cade e cadrà sempre più in disuso. Questo rapporto fra la conoscenza ed i suoi fornitori ed utenti tende e tenderà a rivestire la forma di quello che intercorre fra la merce ed i suoi produttori e consumatori, vale a dire la for-ma valore. Il sapere viene e verrà prodotto per es-sere venduto, e viene e verrà consumato per essere valorizzato in un nuovo tipo di produzione: in en-trambi i casi, per essere scambiato. Cessa di es-

» L'unità di informazione ì il bit. Per questa definizione, cfr. GAUDFERNAN e TAIB, loc. cit. Per una discussione sul termine, vedi R. T H O M , Un protie de la sémantique: l'information, in Modèles mathimatiques de la morphogenise, 10/18, Paris 1974. La trascrizione dei messaggi in codice binario consente notoriamente di eliminare le ambivalenze: vedi WATZLAWICK e altri, op. cit.

1 9 Le ditte Craig e Lexicon annunciano l'immissione sul mercato di traduttori tascabili: quattro moduli in lingue diverse che possono essere accettate simultaneamente, dotati ognuno di 1500 parole, con memoria. La Weidner Communications Systems Inc. produce un Multilingual Word Processing che consente di accrescere la capacità di un traduttore medio da 600 a 2400 parole-ora. Esso incorpora una triplice memoria: dizionario bilingue, dizionario dei sinonimi, indice grammaticale ("La semaine media", 6, 6 dicembre 1978, 5).

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sere fine a se stesso, perde il proprio "valore d'uso". 1 6

È noto come negli ultimi decenni il sapere sia di-venuto la principale forza produttiva, 1 7 cosa che ha già notevolmente modificato la composizione della popolazione attiva nei paesi più sviluppati 1 8 e che costituisce il principale collo di bottiglia per i pae-si in via di sviluppo. Nell'età postindustriale e post-moderna, la scienza conserverà e indubbiamente svilupperà ulteriormente la propria importanza nel-la dotazione di capacità produttive degli Stati-na-zione. Questa situazione è anche uno dei motivi che fanno ritenere che il ritardo dei paesi in via di svi-luppo non cesserà in avvenire di aggravarsi.1 9

u Cfr. J. HABERMAS, Conoscenza e interesse, Laterza, Bari 1973. 1 7 "In questa trasformazione non è né il lavoro immediato,

eseguito dall'uomo stesso, né il tempo che egli lavora, ma l'appro-priazione della sua produttività generale, la sua comprensione della natura e il dominio su di essa attraverso la sua esistenza di corpo sociale — in una parola, è Io sviluppo dell'individuo sociale che si presenta come il grande pilone di sostegno della produzione e della ricchezza", per cui "il sapere sociale generale, knowledge, è diventato forza produttiva immediata", cosi scrive Marx nei Lineamenti fonda-mentali della critica dell'economia politica, La Nuova Italia, Firenze 1970, voi. 2°, pp. 401-403. Marx concede tuttavia che non è "solo nella forma del sapere, ma come organi immediati della prassi sociale" che le conoscenze divengono forze produttive, cioè come macchine, le quali sono "organi del cervello umano creati dalla mano umana; ca-pacità scientifica oggettivata" (ibidem). Cfr. P. MATTICK, Marx e Key-nes, Dedalo, Bari 1979. Vedi anche LYOTARD, La place de l'aliénation dans le retournement marxiste, in Dérive à partir de Marx et Freud, 10/18, Paris 1973 [il capitolo citato non è stato inserito nell'edizione parziale italiana: A partire da Marx e Freud, Multhipla, Milano 1979, Af.d.7".].

" La composizione della categoria dei lavoratori (labor force) negli Stati Uniti si è modificata come segue in vent'anni (1950-1971):

1950 1971 Operai di fabbrica, dei servizi o agricoli 62,5111 51,4% Liberi professionisti e tecnici 7,5% 14,2% Impiegati 30,0% 34,0% [Da Statistical Abstracts, 1971.]

1 9 Questo a causa della lunghezza del tempo medio di "produ-zione" di un tecnico di livello superiore o di uno scienziato in rap-porto al tempo di estrazione delle materie prime e di trasferimento del capitale finanziario. Alla fine degli anni Sessanta, Mattick valutava il tasso di investimento netto nei paesi sottosviluppati fra il 3 e il

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Ma questo aspetto non deve far dimenticare l'al-tro, ad esso complementare. Nella sua forma di merce-informazione indispensabile alla potenza pro-duttiva, il sapere è già e sarà sempre più una delle maggiori poste, se non la più importante, della competizione mondiale per il potere. Come gli Stati-nazione si sono battuti per dominare dei territori, e in seguito per controllare l'accesso e lo sfrutta-mento delle materie prime e della mano d'opera a buon mercato, è ipotizzabile che in futuro essi si batteranno per dominare l'informazione. Cosi vie-ne ad aprirsi un nuovo campo alle strategie indu-striali e commerciali ed alle strategie militari e po-litiche.2 0

Tuttavia questa prospettiva non è cosi sempli-ce come l'abbiamo delineata. La mercificazione del sapere non potrà infatti lasciare intatto il privile-gio che i moderni Stati-nazione detenevano e de-tengono ancora in materia di produzione e di dif-fusione delle conoscenze. Che queste ultime dipen-dano dallo Stato come "cervello" o come "spirito" della società, è un'idea che diverrà obsoleta in rap-porto al rafforzamento del principio inverso secon-do il quale la società può esistere e progredire solo se i messaggi che circolano in essa sono ricchi di informazione e facilmente decodificabili. Lo Stato comincerà ad apparire come un fattore di opaci-tà e di "rumore" per una ideologia della "traspa-renza" della comunicazione, che si sviluppa paral-lelamente alla commercializzazione del sapere. È da questo punto di vista che il problema dei rap-porti fra istanze economiche e istanze statuali ri-schia di porsi con acutezza sconosciuta.

5% del PNL, mentre nei paesi sviluppati esso era f ra il 10 e il 15% (op. cit.). 2 0 Cfr. NORA, M I N C , op. cit., in particolare la parte prima. Le

sfide; Y . STOURDZÉ, Les Btat-Unis et la guerre des communications, in "Le Monde", 13-15 dicembre 1978. Nel 1979 la stima del mercato mondiale delle apparecchiature di telecomunicazione era di 30 bilioni di dollari; si ritiene che entro dieci anni raggiunga i 68 bilioni ("La semaine media", 19, 8 marzo 1979, 9).

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Già nei decenni precedenti, le istanze economi-che hanno potuto mettere in pericolo quelle statua-li a causa delle nuove forme di circolazione dei ca-pitali, forme cui è stata data la definizione generi-ca di imprese multinazionali, e che implicano la sottrazione almeno parziale del controllo sulle de-cisioni di investimento agli Stati-nazione.21 Con lo sviluppo delle tecnologie per il trattamento delle informazioni e della telematica, la questione rischia di divenire ancora più spinosa. Ammettiamo per esempio che un'impresa come la IBM sia autoriz-zata ad occupare un corridoio orbitale attorno al-la Terra per piazzarvi dei satelliti di comunicazio-ne e/o delle banche di dati. Chi vi avrà accesso? Chi deciderà quali siano i canali e i dati riservati? Lo Stato? Oppure esso sarà un utente come tutti gli altri? Nascono in tal modo nuovi problemi giu-ridici ed attraverso di essi si pone la domanda: chi saprà?

La trasformazione della natura del sapere può dunque generare un effetto di retroazione nei con-fronti dei poteri pubblici stabiliti tale da costrin-gerli a riconsiderare i loro rapporti di diritto e di fatto con le grandi imprese e più in generale con la società civile. La riapertura del mercato mon-diale, la ripresa di una competizione economica as-sai vivace, la fine dell'egemonia esclusiva del capi-talismo americano, il declino dell'alternativa so-cialista, la probabile apertura del mercato cinese agli scambi, e molti altri fattori, hanno già contri-buito, in questa fine degli anni Settanta, a prepa-rare gli Stati ad una seria revisione del ruolo che si erano abituati a giocare a partire dagli anni Tren-ta, e che era un ruolo di protezione e di guida, e anche di pianificazione degli investimenti.2 2 In un

« Cfr. F. DE COMBRET, Le rediploiment industriel, in "Le Monde", aprile 1978; H . LEPAGE, Demain le capitalisme, Paris 1978; A. COTTA, La France et l'impératif mtmdial, P.U.F., Paris 1978.

B Si tratta di "indebolire l'amministrazione", di arrivare allo "Stato minimo". È il declino del Welfare State, concomitante alla "crisi" iniziata nel 1974.

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simile contesto, le nuove tecnologie, dato che e-spongono i dati utili per il processo decisionale (va-le a dire i mezzi di controllo) ad una mobilità an-cora maggiore ed a possibili atti di pirateria, non possono che rendere più urgente questa revisione.

Si può immaginare che le conoscenze, invece di essere diffuse in virtù del loro valore "formativo" o della loro importanza politica (amministrativa, diplomatica, militare), vengano fatte circolare ne-gli stessi circuiti della moneta, e che l'opposizione che le definisce cessi di essere sapere/ignoranza per divenire la stessa della moneta, "conoscenza dei mezzi di pagamento/conoscenza dei mezzi di inve-stimento", vale a dire: conoscenze scambiate nel-l'ambito della riproduzione della vita quotidiana (riproduzione della forza-lavoro, "sopravvivenza") versus credito di conoscenza per ottimizzare le pre-stazioni di un programma.

In questo caso la trasparenza farebbe la fine del liberalismo. Il quale non impedisce ai flussi di de-naro di dividersi fra quelli che servono a decidere e quelli che servono solo a comprare. Analogamente si possono immaginare dei flussi paralleli di co-noscenza della stessa natura e che sfruttano gli stessi canali, alcuni dei quali saranno però riser-vati ai "decisori", mentre gli altri serviranno a ri-scattare il debito perpetuo che ognuno contrae nei confronti del legame sociale.

2. Il problema: la legittimazione Tale è dunque l'ipotesi di lavoro che determina

il campo rispetto al quale intendiamo sollevare la questione dello statuto del sapere. Scenario analo-go a quello definito come "informatizzazione della società", anche se proposto in tutt'altro spirito, e senza pretese di originalità né di verità. Ciò che si richiede ad ima ipotesi di lavoro, è una forte capa-16

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cità discriminante. Lo scenario dell'informatizzazio-ne delle società più sviluppate consente di mettere in piena luce, sia pure al rischio di una eccessiva approssimazione, certi aspetti della trasformazio-ne del sapere ed i loro effetti sul potere pubblico e sulle istituzioni civili, effetti difficilmente percepi-bili da prospettive diverse. Non bisogna quindi at-tribuirgli un valore previsionale in rapporto alla realtà, bensì un valore strategico in relazione al problema che abbiamo qui sollevato.

Nondimeno, la sua credibilità è notevole, ed in questo senso l'ipotesi non è stata scelta arbitraria-mente. Gli esperti hanno già condotto ad un buon livello di elaborazione la sua descrizione 2 3 ed essa è già in grado di orientare certe decisioni delle pub-bliche amministrazioni e delle imprese più diret-tamente coinvolte, come quelle che gestiscono le telecomunicazioni. Esso è dunque già in parte nel-l'ordine delle realtà osservabili. Questo scenario in-fine, almeno se si esclude il caso di una stagnazio-ne o di una recessione generalizzata che potrebbe per esempio essere causata da una persistente in-capacità di risolvere il problema mondiale dell'e-nergia, ha buone probabilità di spuntarla: non si vede infatti quale altro orientamento capace di of-frire una alternativa all'informatizzazione della so-cietà potrebbero assumere le tecnologie contem-poranee.

Come dire che l'ipotesi è banale. Ma lo è soltan-to se non rimette in discussione il paradigma ge-nerale del progresso delle scienze e delle tecniche, al quale sembrano corrispondere naturalmente la crescita economica e lo sviluppo della potenza so-ciopolitica. Si tende ad ammettere còme evidente il carattere cumulativo del sapere tecnico e scien-tifico, si discute tutt'al più sulla forma di tale ac-cumulazione, che alcuni immaginano regolare, con-

2 3 Cfr. annexe I l i , La nouvetle informatique et ses utilisateurs, in L'informatisation... cit.

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tinua ed unanime, altri periodica, discontinua e con-flittuale. 2 4

Si tratta di false evidenze. In primo luogo, il sapere scientifico non è tutto il sapere, è sempre stato accanto, in competizione, in conflitto con un altro tipo di sapere, che noi definiamo per sempli-cità narrativo e che caratterizzeremo più avanti. Ciò non significa che quest'ultimo possa prevalere, ma esso si fonda su un modello legato a idee di e-quilibrio interno e di convivialità,25 di fronte alle quali il sapere scientifico contemporaneo fa una magra figura, soprattutto se è costretto a subire u-na esteriorizzazione nei confronti del "sapiente" ed una alienazione dai suoi utenti ancora maggiori di ieri. La demoralizzazione dei ricercatori e dei do-centi che ne deriva è cosi poco trascurabile che co-m'è noto essa è esplosa nel corso degli anni Sessan-ta in tutte le società più sviluppate, in coloro che erano destinati ad esercitare tali professioni, gli studenti, e che nello stesso periodo ha potuto ral-lentare il rendimento dei laboratori e delle univer-sità che non si sono potute preservare dalla sua contaminazione.2 6 Non si tratta né si trattava, co-m'è invece spesso avvenuto, di derivarne una pro-spettiva rivoluzionaria, sia che la si auspicasse sia che la si paventasse; il corso della civiltà postindu-striale non è destinato a mutare da un giorno al-l'altro. Ma quando si tratti di valutare lo statuto presente e futuro del sapere scientifico, non si può

2 i Cfr. B. P. LÉCUYER, Bilan et perspectives de la sociologie dts sciences dans les pays occidentaux, in "Archives européennes de so-ciologie", XIX (1978), bibliografia, pp. 257-336. L'articolo offre buone informazioni sulle correnti anglosassoni: egemonia della scuola di Merton fino all'inizio degli anni Settanta, attualmente situazione di frammentazione, in particolare sotto la spinta di Kuhn; scarse invece le informazioni sulla sociologia tedesca della scienza.

" Il termine è stato accreditato da I. Ilich (La convivialità, Mondadori, Milano 1974).

2 6 A proposito di tale demoralizzazione, vedi A. JAUBEKT, J. M. LÉVY-LEBLOND (a cura di), (Auto)critica della scienza, Feltrinelli, Milano 1976, parte prima.

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non prendere in considerazione questa componente maggiore, il dubbio degli scienziati.

A maggior ragione ciò vale se si tiene conto di una seconda considerazione che pone tale situazio-ne in rapporto col problema essenziale della legit-timazione. Termine che è qui usato in un senso più ampio di quello che gli viene attribuito dalla di-scussione dei teorici tedeschi contemporanei sulla questione dell'autorità. 2 7 Consideriamo una legge ci-vile; essa si enuncia in questa forma: una data ca-tegoria di cittadini deve compiere un certo tipo di azione. La legittimazione è il processo in ragione del quale un legislatore si sente autorizzato a pro-mulgare questa legge come norma. Consideriamo ora un enunciato scientifico; esso è sottoposto alla seguente regola: un enunciato deve soddisfare un certo insieme di condizioni per essere recepito co-me scientifico. In questo caso, la legittimazione è il processo che autorizza un "legislatore" che intervie-ne nel discorso scientifico a prescrivere le suddette condizioni (in generale, si tratta di condizioni di con-sistenza interna e di verificabilità sperimentale) che garantiscono che l'enunciato appartenga al discorso scientifico, e possa essere preso in considerazione dalla comunità scientifica.

L'accostamento può apparire forzato. Vedremo che non lo è affatto. A partire da Platone la questio-ne della legittimazione della scienza è indissolubil-mente, legata a quella della legittimazione del legi-slatore. In questa prospettiva, il diritto di decidere ciò che è vero non è indipendente dal diritto di de-cidere ciò che è giusto, anche se gli enunciati sotto-posti alle due autorità sono di natura differente. Il fatto è che esiste un rapporto di gemellaggio fra il tipo di linguaggio che chiamiamo scienza e l'altro che chiamiamo etica e politica: derivano entrambi

2 7 Cfr. J. HABERMAS, La crisi della razionalità nel capitalismo maturo, Laterza, Bari 1979.

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da una stessa prospettiva o, se si preferisce, da una stessa "scelta", che si chiama Occidente.

Analizzando l'attuale statuto del sapere scienti-fico, constatiamo che proprio nel momento in cui esso sembrerebbe più subordinato che mai ai giochi di potere e in cui corre anche il rischio di divenire una delle maggiori poste dei conflitti fra le nuove tecnologie, il problema della doppia legittimazione, lungi dallo sfumare, è necessariamente destinato a porsi in modo ancora più acuto. Esso si pone infatti nella sua forma più completa, quella della reversio-ne, che mette in luce come sapere e potere siano i due aspetti di una stessa domanda: chi decide cos'è il sapere, e chi sa cosa conviene decidere? La que-stione del sapere nell'era dell'informatica è più che mai la questione del governo.

3. Il metodo: i giochi linguistici Come si sarà già notato da quanto precede, per

analizzare il problema nel quadro che abbiamo de-terminato, abbiamo scelto una procedura: mettere cioè l'accento sui fatti linguistici, ed in particolare sul loro aspetto pragmatico.2 8 Per agevolare il pro-seguimento della lettura, è utile accennare sia pure sommariamente a cosa intendiamo usando tale ter-mine.

a Seguendo le tracce della semiotica di C. A. Pierce, la distin-zione fra i campi sintattico, semantico e pragmatico viene operata da C . W. MORRIS, Foundations of the Theory of Signs, in O. NEURATH, R . CARNAP, C . MORRIS (a cura di), International Encyclopedia of Unified Science, 1, 2 (1938), pp. 77-137. Nell'uso di questo termine facciamo soprattutto riferimento ai seguenti autori: L. WITTGENSTEIN, Ricerche filosofiche, Einaudi, Torino 1967; J. L. AUSTIN, Quando dire è fare, Marietti, Torino 1974; J. R. SEARLE, Atti linguistici, Boringhieri, Torino 1976; J. HABERMAS, Osservazioni propedeutiche per una teoria della competenza comunicativa, in J . HABERMAS, N . LUHMANN, Teoria della società o tecnologia sociale, Etas Kompass, Milano 1973 ; 0 . Du-CROT, Dire e non dire. Principi di semantica linguistica, Officina, Roma 1979; J. POULAIN, Vers une pragmatique nucléaire de la communication, dattiloscritto, Università di Montréal, 1977. Vedi anche WATZLAWICK e altri, op. cit.

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Un enunciato denotativo 2 9 come: L'università è malata, proferito nel quadro di una conversazione o di un colloquio, conferisce al suo destinatore (co-lui che lo enuncia), al suo destinatario (colui che lo recepisce) ed al suo referente (ciò di cui tratta l'enunciato) delle posizioni specifiche: il destinatore si situa e si espone in posizione di "sapiente" (egli sa cosa succede all'università), il destinatario viene messo nella situazione di chi deve dare o rifiutare il proprio assenso, ed anche il referente viene scel-to in modo conforme al gioco denotativo, in quan-to cosa che esige di essere correttamente identifi-cata ed espressa nell'enunciato che ad essa fa ri-ferimento.

Se consideriamo una dichiarazione del tipo: L'u-niversità è aperta, pronunciata da un preside o da un rettore al momento della riapertura dell'anno ac-cademico, è evidente che le specificazioni precedenti vengono a cadere. Naturalmente è necessario che la significazione dell'enunciato sia comprensibile, ma questa è una condizione generale della comunica-zione, che non consente di distinguere gli enunciati o i loro effetti. Questo secondo enunciato, chiamato performativo, 3 0 ha la particolarità di far coincidere la propria enunciazione col suo effetto sul referente: l'università è aperta per il fatto che viene dichiarata tale in questa circostanza. Esso non è quindi sog-getto a discussione o verificazione da parte del de-

» Denotazione corrisponde qui a descrizione nell'accezione clas-sica della terminologia logica. Quine sostituisce denotazione con true of (vero di). Vedi W. V. QUINE, Parola e oggetto. Il Saggiatore, Mi-lano 1970; mentre J . L . AUSTIN, op. cit., preferisce constativo a de-scrittivo.

3 0 Nella teoria linguistica, performativo ha assunto, a partire da Austin, un senso preciso (cfr. op. cit.). Lo si ritroverà successiva-mente associato ai termini performance e performatività (in partico-lare di un sistema) nel senso divenuto comune di efficienza misurabile come rapporto di input/output. Le due accezioni non sono recipro-camente estranee. Il performativo di Austin realizza la performance ottima. [Nella traduzione di questi termini, abbiamo seguito le indi-cazioni di M. Sbisà: vedi la traduzione del saggio di Austin — Per-formativo-constativo — in M. SBISÀ (a cura di). Gli atti linguistici, Feltrinelli, Milano 1978, in particolare nota 1, p. 49, N.d.T.].

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stinatario, il quale viene ad essere immediatamente posizionato nel nuovo contesto cosi creato. Quanto al destinatore, egli dev'essere dotato dell'autorità di proferirlo; tuttavia la condizione può essere rove-sciata: si è preside o rettore, si è cioè dotati dell'au-torità di proferire questo tipo di enunciati, solo per-ché proferendoli si ottiene il risultato immediato che abbiamo descritto, sia sul loro referente, l'uni-versità, che sul loro destinatario, il corpo, docente.

Diverso è il caso di enunciati del tipo: Date i mez-zi all'università, che sono delle prescrizioni. Que-st'ultime possono essere articolate in ordini, coman-di, istruzioni, raccomandazioni, domande, preghiere, suppliche, ecc. È evidente che qui il destinatore è situato in una posizione di autorità, nel senso lato del termine (che include per esempio l'autorità del peccatore su un dio che si dichiara misericordioso), egli si aspetta cioè dal destinatario che effettui l'a-zione che costituisce il referente. Le due ultime po-sizioni subiscono a loro volta effetti concomitanti nella pragmatica prescrittiva. 3 1

Ancora diversa è l'efficienza di una interrogazio-ne, di una promessa, di una descrizione letteraria, di una narrazione, ecc. Abbreviamo. Allorché Witt-genstein, riprendendo da zero lo studio del linguag-gio, concentra la sua attenzione sugli effetti dei di-scorsi, definisce giochi linguistici i diversi tipi di enunciati che viene individuando con questa analisi, e alcuni dei quali abbiamo appena esposto. 3 2 Con questo termine egli intende che queste differenti categorie di enunciati devono poter essere deter-minate mediante regole che specificano le loro pro-prietà e l'uso che se ne può fare, esattamente come il gioco degli scacchi si definisce mediante un grup-po di regole che determinano sia le proprietà dei pezzi, sia il modo corretto di collocarli.

Vale la pena di fare tre osservazioni sui giochi s l Una recente analisi di queste categorie si deve ad Habermas

(Osservazioni propedeutiche..., cit.) discussa da J. POULAIN, art. cit. » C f r . WITTGENSTEIN, op. cit., § 23 .

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linguistici. La prima è che le regole non contengono la loro legittimazione, ma che sono oggetto di un contratto più o meno esplicito fra i giocatori (il che però non significa che essi le inventino). La secon-da è che non esiste gioco senza regole,33 che una modificazione anche minima di una regola modifica la natura del gioco, e che una "mossa" o un enun-ciato che non soddisfano le regole non appartengo-no al gioco da esse definito. Stiamo ora per suggeri-re una terza connotazione: ogni enunciato dev'essere considerato come una "mossa" fatta nell'ambito di un gioco.

L'ultima osservazione ci porta ad ammettere un primo principio che sottende tutto il nostro me-todo: parlare è combattere, nel senso di giocare, e gli atti linguistici3 4 dipendono da una agonistica ge-nerale. 3 5 Ciò non significa necessariamente che si giochi per vincere. Si può fare una mossa per il pia-cere di inventarla: come interpretare diversamente il lavoro di disturbo della lingua che avviene nel lin-guaggio popolare o nella letteratura? L'invenzione continua di modi di dire, di parole e di sensi al livello della "parole", è ciò che fa evolvere la "langue", e procura una grande gioia. Ma indubbiamente anche questo piacere non è separato da un sentimento di successo, fosse solo strappato ad un avversario non

3 3 Cfr. J . VON NEUMANN, O . MORGENSTERN, Theory of Games and Economie Behavior, Princeton U.P., 1944, 3 ed., p. 49: "Il gioco con-siste nell'insieme di regole che lo descrivono." Formulazione estranea allo spirito di Wittgenstein, per il quale il concetto di gioco non si lascerebbe padroneggiare da una definizione, dato che quest'ultima è già a sua volta un gioco linguistico (cfr. op. cit., in particolare § 65-84).

3 4 II termine appartiene a J. H. Searle, op. cit.: "gli atti lingui-stici sono le unità minimali di base della comunicazione linguistica". Noi li collochiamo nell'ambito dell'agón (la sfida) piuttosto che della comunicazione.

3 3 Sull'agonistica si fondano l'ontologia di Eraclito e la dialet-tica dei sofisti, per non parlare dei primi tragici. Aristotele le dedica ampio spazio nella sua riflessione sulla dialettica nei Topici e nelle Confutazioni sofistiche. Vedi NIETZSCHE, Cinque prefazioni a cinque libri mai scritti (1872), in Opere, voi. I l i , tomo 3, Adelphi, Milano 1980.

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da poco, come la lingua stabilita, la connotazione.3 6

Questa idea di un'agonistica linguistica non deve far dimenticare il secondo principio che regge la nostra analisi, e che le è complementare: il legame sociale osservabile è costituito da "mosse" lingui-stiche. Per chiarire questa proposizione, dobbiamo entrare nel vivo del discorso.

4. La natura del legame sociale: l'al-ternativa moderna Volendo trattare del sapere nelle società contem-

poranee più sviluppate, esiste il problema prelimi-nare di decidere il metodo di rappresentazione di queste ultime. Semplificando brutalmente, possiamo affermare che, almeno nel corso dell'ultimo mezzo secolo, tale rappresentazione si è articolata in linea di principio secondo due modelli: la società come insieme funzionale, la società divisa in due. Il pri-mo può essere messo in relazione al nome di Talcott Parsons (almeno al Parsons del dopoguerra) e alla sua scuola, il secondo alla corrente marxista (tutte le scuole di cui essa si compone, per quanto diffe-renti, ammettono il principio della lotta di classe, e la dialettica come dualità che opera nell'unità so-ciale).37

* Nel senso fissato da L . HJBLMSLBV, Fondamenti delta teoria del linguaggio, Einaudi, Torino 1972 , e ripreso da R . BARTHES, Elementi di semiologia, Einaudi, Torino 1971.

3 7 Vedi in particolare T. PARSONS, Il sistema sodate, Edizioni di Comunità, Milano 1965, e, dello stesso autore. Teoria sociologica e società moderna, Etas Libri, Milano 1971. La bibliografia della teoria marxista della società contemporanea occuperebbe più di cinquanta pagine, E possibile consultare l'utile messa a punto che ne fa P. SOUYRX, Marxismo dopo Marx, Mursia, Milano 1973. Un interessante panorama del conflitto f ra queste due grandi correnti della teoria sociale e del loro mescolarsi, ci è offerto da A. W . GOULDNER, La crisi della sociologia, II Mulino, Bologna 1972. Tale conflitto occupa un posto importante nel pensièro di Habermas, ad un tempo erede della Scuola di Francoforte ed antagonista della teoria tedesca del sistema sociale, in particolare di quella di Luhmann.

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Questo spartiacque metodologico che delimita due grandi aree di discorso sulla società è una ere-dità del XIX secolo. L'idea secondo cui la società forma un tutto organico, ché altrimenti essa cessa di essere tale (e la sociologia è priva di oggetto), domi-nava lo spirito dei fondatori della scuola francese; il punto di vista si precisa con il funzionalismo, e prende un nuovo indirizzo nel momento in cui Par-sons, nel corso degli anni Cinquanta, assimila la so-cietà ad un sistema autoregolato. Il modello teori-co ed anche quello materiale non è più l'organismo vivente, ma è suggerito dalla cibernetica che ne mol-tiplica le applicazioni durante e dopo la seconda guerra mondiale.

In Parsons, il principio sistemico è ancora, per dir cosi, ottimista: corrisponde alla stabilizzazione delle economie di crescita e delle società affluenti sotto l'egida di un welfare state temperato. 3 8 Nei teo-rici tedeschi contemporanei, la systemtheorie è tec-nocratica, anzi cinica, per non dire disperata: l'ar-monizzazione dei bisogni e delle speranze individuali o di gruppo con le funzioni assicurate dal sistema è ormai ridotta ad un elemento implicito del funzio-namento del sistema stesso; la vera finalità del si-stema, dato che esso si autoprogramma come una macchina intelligente, è l'ottimizzazione del rappor-to globale fra i suoi inputs e outputs, vale a dire la sua performatività. Anche quando le sue regole mu-tano e si producono delle innovazioni, anche quando le sue disfunzioni, come gli scioperi o le crisi o la di-soccupazione o le rivoluzioni politiche, possono far credere ad una alternativa e suscitare delle speran-ze, non si tratta che di riaggiustamenti interni ed il loro risultato non può che essere il miglioramento

» Ottimismo che emerge chiaramente nelle conclusioni di un R . LYND, Conoscenza per che fare?, Le scienze sociali nella cultura americana, Guaraldi, Firenze, citato da M . HORKHEIMER in Eclisse della ragione, Einaudi, Torino 1969, p. 158: nella società moderna, la scienza deve sostituirsi alla religione che "mostra la corda" per definire gli scopi di vita.

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della "vita" del sistema, dato che l'unica alternati-va al miglioramento delle prestazioni è l'entropia, cioè il declino.3 9

Anche qui, pur cercando di non cadere nel sem-plicismo di una sociologia della teoria sociale, è dif-ficile evitare di stabilire una relazione almeno di pa-rallelismo fra questa versione tecnocratica "dura" della società e lo sforzo ascetico, presentato come "liberalismo avanzato", che si impone alle società industriali più sviluppate per rendersi competitive (e quindi per ottimizzare la loro "razionalità") nel contesto della ripresa della guerra economica mon-diale a partire dagli anni Sessanta.

In questo senso l'enorme spostamento dal pen-siero di un Comte a quello di un Luhmann si pro-duce nell'ambito di una stessa idea sociale: quella secondo cui la società è una totalità organica, una "unicità". Punto di vista chiaramente formulato da Parsons:

» Cfr. H. SCHELSKY, Der Mensch in der Wissenschaftlichen Zei-talter, Köln 1961, pp. 24 sgg.: "La sovranità dello stato non si mani-festa più esclusivamente per il fatto che esso detiene il monopolio dell'uso della violenza (Max Weber) o che decide dello stato di emer-genza (Cari Schmitt), ma soprattutto per il fatto che decide del grado di efficacia di tutti i mezzi tecnici che esistono in seno ad esso, che si riserva quelli di maggior efficacia e che può pratica-mente mettersi fuori dal campo di applicazione di questi mezzi tec-nici che impone agli altri." Si obietterà che è una teoria dello stato, non del sistema. Ma Schelsky aggiunge: "lo Stato stesso è sotto-messo al dato di fatto della civilizzazione industriale: sia che siano i mezzi a determinare i fini, sia piuttosto che le possibilità tecniche determinino l'uso che se ne può fare." A questa legge Habermas op-pone il fatto che l'insieme dei mezzi tecnici ed i sistemi di azione razionale finalizzata non si sviluppano mai in modo autonomo: cfr. Conseguenze pratiche del progresso tecnico-scientifico, in Prassi poli-tica e teoria critica della società, Il Mulino, Bologna 1973. Vedi anche J. ELLUL, Tecnica rischio del secolo, Giuffrè, Milano 1969, e, dello stesso autore. Le système technicien, Calmann-Lévy, Paris. Che gli scioperi, e in generale una forte pressione esercitata dalle po-tenti organizzazioni dei lavoratori, producano una tensione che si rivela in fondo benefica per la performatività del sistema, è quanto afferma chiaramente il dirigente sindacale C. Levinson; egli spiega con questa tensione lo sviluppo tecnico e gestionale dell'industria ame-ricana (citato da H. F . BE VIRIEU in "Le Matin", dicembre 1978, numero speciale: Que veut Giscard?).

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La condizione più decisiva perché un'analisi dinamica sia buona, è che in essa ogni problema venga continuamente e sistematicamente riferito allo stato del sistema conside-rato come una totalità [...]. Un processo o un insieme di condizioni o "contribuisce" alla conservazione (o allo svi-luppo) del sistema, oppure è "disfunzionale" nel senso che attenta all'integrità e all'efficacia del sistema. 4 0

È un'idea che anche i "tecnocrati" 4 1 condividono. Da ciò deriva la sua credibilità: essendo dotata dei mezzi per farsi realtà, è anche in grado di ammini-strare le proprie prove. È quella che Horkheimer chiamava la "paranoia" della ragione.4 2

Tuttavia non è possibile giudicare paranoici il realismo dell'autoregolazione sistemica ed il circolo perfettamente chiuso di fatti e interpretazioni se non a condizione di disporre o di pretendere di di-sporre di un punto di osservazione che per princi-pio si sottrae alla loro attrazione. Tale è appunto la funzione del principio della lotta di classe intro-dotto da Marx nella teoria della società.

Se la teoria "tradizionale" è continuamente espo-sta al pericolo di essere incorporata alla program-mazione della totalità sociale come mero strumento di ottimizzazione delle sue prestazioni, ciò avviene perché la sua aspirazione ad una verità unitaria e totalizzante si presta alla pratica unitaria e totaliz-

« T. PARSONS, Essays in Sociological Theory Pure - and Applied, Free Press, Glencoe 1957, pp. 46-47.

4 1 La parola è usata qui nel senso che J. K. Galbraith ha attri-buito al termine "tecnostruttura" ne II nuovo stato industriate, Einau-di, Torino 1978, o in quello dato da R. Aron al termine "struttura tecnico-burocratica" ne La società industriate, Edizioni di Comunità, Milano 1971, piuttosto che in quello evocato dal termine "burocrazia". Quest'ultimo è assai più "duro" perché è sociopolitico oltre che economico e nasce originariamente dalla critica condotta dall'Oppo-sizione operaia (Kollontai) al potere bolscevico, e successivamente dall'opposizione trockijsta allo stalinismo. Cfr. al proposito C. LE-FORT, Eléments d'une critique de la bureaucratie, Droz, Genève 1971, lavoro in cui la critica si estende alla società burocratica nel suo insieme.

« Cfr. Eclisse della ragione, cit., p. 151.

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zante dei gestori del sistema. La teoria "critica", 4 3

fondandosi su un dualismo di principio e diffidando delle sintesi e delle riconciliazioni, dovrebbe essere in grado di sfuggire a tale destino.

Il marxismo è dunque guidato da un altro model-lo della società (e da un'altra idea della funzione del sapere che può in essa prodursi e che di essa è pos-sibile acquisire). Modello che nasce nelle lotte che accompagnano l'investimento delle società civili tra-dizionali da parte del capitalismo. Non è qui il caso di seguirne le peripezie, che coprono la storia so-ciale, politica e ideologica di più di un secolo. Ci accontenteremo di richiamare il bilancio che se ne può trarre oggi, dato che il loro destino è ormai no-to: la trasformazione delle lotte e dei loro organi-smi in regolatori del sistema nei paesi a gestione liberale o liberale avanzata; il ritorno del modello totalizzante e dei suoi effetti totalitari, sotto il no-me stesso del marxismo, nei paesi comunisti, dove le lotte in questione sono st^te semplicemente pri-vate del diritto all'esistenza.44 Dovunque, sia pure a titoli diversi, la criticà dell'economia politica (che era il sottotitolo del Capitale di Marx) e la critica della società alienata che ne era il correlato vengo-no utilizzate come elementi nella programmazione del sistema. 4 5

Certo, a fronte di questo processo, il modello cri-tico si è conservato e raffinato nell'ambito di mino-ranze quali la Scuola di Francoforte e il gruppo di Socialisme ou barbarie.46 Ma non possiamo nascon-

« Cfr. M . HORKHEIMER, Teoria critica, Einaudi, Torino 1974, e la bibliografia ragionata sulla Scuola di Francoforte, curata da HOEHN e RAULET in "Esprit", 5 (maggio 1978) .

4 4 Vedi C. LETORT, op. cit., e, dello stesso autore. Un homme en trop, Seuil, Paris 1976; vedi anche C . CASTORIADIS, La società burocra-tica, SugarCo, Milano 1978.

4 5 Vedi ad es. J . P. GARNIER, Le marxisme linifiant. Le Sycomore, Paris 1979.

4 4 Era la testata de 1' "organe de critique et d'orientation révo-lutionnaire", pubblicato dal 1949 al 1965 da un gruppo i cui princi-pali redattori furono (sotto vari pseudonimi): C. de Beaumont, D. Blanchard, C. Castoriadis, S. de Diesbach, J. F. Lyotard, A. Maso, D. Mothé, P. Simon, P. Souyri.

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derci che essendo la base sociale del principio della divisione, la lotta di classe, ormai sfumata al punto di perdere qualsiasi radicalità, si è infine trovata e-sposta al rischio di perdere la sua consistenza teo-rica e di ridursi ad una "utopia", a una "speranza", 4 7

ad una protesta di principio agitata in nome del-l'uomo, o della ragione, o della creatività, oppure di qualche categoria sociale investita in extremis della funzione ormai improbabile di soggetto critico, co-me il terzo mondo o i giovani studenti. 4 8

Questo richiamo schematico (o addirittura sche-letrico) aveva esclusivamente la funzione di preci-sare la problematica in cui intendiamo situare la questione del sapere nelle società industriali avan-zate. Questo perché non si possono conoscere i de-stini del sapere, vale a dire i problemi che incontra-no oggi il suo sviluppo e la sua diffusione, senza co-noscere nulla della società in cui esso si colloca. E per conoscere quest'ultima si tratta, oggi più che mai, di scegliere in primo luogo il modo di interro-garla che è anche il modo in cui essa può risponde-re. Decidere che il ruolo principale del sapere è quel-lo di essere un elemento indispensabile del funzio-namento della società ed agire di conseguenza nei suoi confronti è possibile solo se si è deciso che la società è una grande macchina. 4 9

Inversamente, nessuno può contare su ima sua funzione critica e sognare di orientarne lo sviluppo e la diffusione in tal senso, se non ha deciso che la società non costituisce una totalità integrata e che

« Cfr. E. BLOCH, DOS Priniip Hoffnung, (1954-1959), Frankfurt am Main 1967. Vedi G. RAULET (a cura di), Vtopie-Marxisme selon E. Bloch, Payot, Paris 1975.

4 8 Alludo alle affrettate teorizzazioni che hanno fatto seguito alle guerre di Algeria e del Vietnam, ed al movimento studentesco degli anni Sessanta. Ne offrono un panorama storico A. SCHNAPP e P. VIDAL-NAQUET in Journal de la Comrnune étudiante, Seuil, Paris 1969, Presentazione.

« Vedi L . MUMFORD, Il mito della macchina, Il Saggiatore, Milano 1969.

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resta assillata da un principio di contestazione.5 0

L'alternativa sembra chiara, omogeneità o dualità intrinseca del sociale, funzionalismo o criticismo del sapere, ma la decisione appare difficile, o arbitraria.

Si è tentati di venirne fuori distinguendo due ti-pi di sapere, l'uno positivista che trova agevolmente la sua applicazione nelle tecniche relative agli uo-mini e ai materiali e che si presta a divenire una forza produttiva indispensabile al sistema, l'altro cri-tico o riflessivo o ermeneutico che, interrogandosi direttamente o indirettamente sui valori o sui fini, si oppone a qualsiasi "recupero". 5 1

5. La natura del legame sociale: la prospettiva postmoderna Non accettiamo questa suddivisione. La nostra

tesi è che l'alternativa che essa si sforza di risolvere, non ottenendo altro risultato che quello di ripro-durla, ha cessato di essere pertinente in relazione al-le società che ci interessano, e appartiene ancora ad un pensiero che procede per opposizioni e che non corrisponde ai modi più vivaci del sapere post-moderno. Il "raddoppiamento" economico nella fa-se attuale del capitalismo, favorito dalla mutazione delle tecniche e delle tecnologie, si accompagna, co-me abbiamo detto, ad un mutamento di funzione de-gli Stati: a partire da questa sindrome si forma ima immagine della società che impone una seria revi-sione degli approcci che abbiamo presentato come reciprocamente alternativi. Per abbreviare diciamo che le funzioni di regolazione e quindi di riprodu-zione vengono e verranno sempre più sottratti agli

5 0 L'esitazione fra queste due ipotesi caratterizza un appello comunque destinato ad ottenere la partecipazione degli intellettuali al sistema: vedi P. NEMO, La nouvelle responsabilità des clercs, in "Le Monde". 8 settembre 1978. si L'opposizione teorica f ra Naturwissenschaft e Geistwissenschaft trova origine dal pensiero di W. Dilthey (1863-1911).

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amministratori ed affidati agli automi. La questione di fondo diviene e diverrà quella di disporre di in-formazioni che quest'ultimi dovranno registrare in memoria perché siano prese le giuste decisioni. Di-sporre delle informazioni è e sarà l'interesse degli esperti di ogni tipo. La classe dirigente è e sarà quel-la dei decisori. Già adesso essa non è più costituita dalla classe politica tradizionale, bensì da uno stra-to eterogeneo formato da capi di impresa, da alti funzionari, da dirigenti di grandi organizzazioni pro-fessionali, sindacali, politiche, confessionali.5 2

La novità consiste nel fatto che in tale contesto i vecchi poli di attrazione costituiti dagli Stati-na-zione, dai partiti, dalle professioni, dalle istituzioni e dalle tradizioni storiche perdono il loro potere di centralizzazione. Né sembra che essi debbano essere sostituiti, almeno al livello che è loro caratteristico. La Commissione Tricontinentale non è un polo di ag-gregazione popolare. Le "identificazioni" coi grandi nomi, con gli eroi della storia contemporanea, si fan-no più difficili.53 Non è entusiasmante consacrarsi a "raggiungere la Germania", ciò che il presidente francese sembra offrire quale scopo di vita ai suoi compatrioti. Né si tratta effettivamente di uno scopo di vita, dato che questo viene lasciato alla buona vo-lontà individuale. Ognuno è rinviato a sé. E ognuno sa che questo sé è ben poco.5 4

5 2 M. Albert, commissario al Piano francese, scrive: "Il Piano è un ufficio studi governativo [...] E anche un grande incrocio della nazione, un incrocio dove si incontrano le idee, si confrontano i punti di vista e nascono i cambiamenti [...] Non dobbiamo restare isolati. Bisogna che altri ci illuminino..." (in "L'Expansion", novembre 1978). Sul problema delle decisioni, vedi G . GAFGEN, Theorie der wissenschaftlichen Bntscheidung, Tubingen 1963; L. SFEZ, Critique de la décision, Presses de la Fondation nationale des sciences politiques, 1976.

! J Basti considerare il declino dei nomi di Stalin, Mao e Castro quali eponimi della rivoluzione negli ultimi vent'anni, o l'incrinarsi dell'immagine presidenziale negli Stati Uniti dopo l'affare Watergate.

5 4 È il tema centrale di R. Musa ne l'Uomo senza qualità, Einau-di, Torino 1972. In un libero commento, J . Bouveresse sottolinea l'affinità di questo tema della "dissoluzione" del Sé con la "crisi" delle scienze all'inizio del XX secolo e con l'epistemologia di E. Mach; citandone i seguenti esempi: "Dato in particolare lo stato della

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Da questa decomposizione delle grandi Narrazio-ni, che analizzeremo più avanti, deriva ciò che alcuni analizzano come dissoluzione del rapporto sociale e passaggio delle collettività sociali allo stato di una massa composta di atomi individuali lanciati in un assurdo movimento browniano. 5 5 Tutto ciò non ha senso, si tratta di una visione che ci pare obnubi-lata dalla rappresentazione paradisiaca di una per-duta società "organica".

Il sé è poco, ma non è isolato, è coinvolto in un tessuto di relazioni più complesse e mobili che mai. Giovane o vecchio, uomo o donna, ricco o povero esso è sempre situato ai "nodi" dei circuiti di comu-nicazione, per quanto infimi questi siano. 5 6 Meglio sarebbe dire: situato in posizioni attraversate da messaggi di natura diversa. E non è mai, e questo vale anche per le posizioni più sfavorite, privo di potere sui messaggi che lo attraversano definendone la posizione, sia che si trovi nella condizione di de-stinatore, o di destinatario, o di referente. Perché il suo spiazzamento rispetto agli effetti dei giochi lin-guistici (è chiaro che è di questi che stiamo parlan-do) è tollerato, almeno entro certi limiti (anche se vaghi), ed è anche suscitato dalle regolazioni e soprat-tutto dai riaggiustamenti che il sistema produce per migliorare le proprie prestazioni. Potremmo anche dire che il sistema può e deve incoraggiare questi spiazzamenti perché è in lotta contro l'entropia che lo minaccia ed una novità corrispondente ad una "mossa" inattesa ed al relativo spiazzamento di que-scienza, un uomo non è fatto che di ciò che si dice che sia e di ciò che si fa con ciò che è [...] È un mondo in cui gli eventi vissuti si sono resi indipendenti dall'uomo [...] Ë un mondo dell'avvenire, un mondo di ciò che avviene senza che ciò avvenga a nessuno, e senza che nessuno sia responsabile." (La problématique du sujet dans "L'homme sans qualités", in "Noroît", Arras, 234 & 235, dicembre 1978-gennaio 1979; il testo pubblicato non è stato rivisto dall'autore.)

5 5 Cfr. J . BAUDRILLARD, All'ombra delle maggioranze silenziose, Nuova Cappelli, Bologna 1978.

5 6 E il lessico della teorìa dei sistemi; vedi ad es. P. NEMO, art. cit.: "Rappresentiamoci la società come un sistema, nel senso della cibernetica. Questo sistema è una rete di comunicazioni con dei nodi in cui la comunicazione confluisce e dai quali viene redistribuita."

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sto o quell'interlocutore o di questo o quel gruppo di interlocutori che vi sono implicati può apportare al sistema quel supplemento di performatività che esso non si stanca di ricercare e di consumare. 5 7

A questo punto è chiaro da quale prospettiva pro-ponevamo come metodo generale d'approccio quello dei giochi linguistici. Non pretendiamo che tutto il rapporto sociale sia di questo ordine, ciò resterà qui un problema aperto; ma per ammettere che i giochi linguistici siano il minimo di relazione ne-cessario perché si dia società, non c'è bisogno di ricorrere ad una robinsonata: fin dalla nascita, e non fosse altro per il nome che gli viene dato, il piccolo dell'uomo è già collocato come referente della storia narrata dal suo ambiente 5 8 in rapporto alla quale dovrà più tardi dislocarsi. O ancora più semplicemente: il problema del rapporto sociale, in quanto problema, è un gioco linguistico, quello del-l'interrogazione, che colloca immediatamente colui che interroga, colui che viene interrogato, e il refe-rente: tale problema è quindi già il legame sociale.

D'altra parte, in una società in cui la componen-te comunicativa diviene ogni giorno più evidente come realtà e come problema ad un tempo, 5 9 l'aspet-to linguistico assume inevitabilmente una nuova im-portanza, che sarebbe superficiale ridurre alla tra-dizionale alternativa fra parola manipolatrice o tra-smissione unilaterale del messaggio da un lato, e li-bera espressione o dialogo dall'altro.

37 J. P. GARNIE« (op. cit., p. 93) ne offre un esempio: "Il Centro d'informazione sull'innovazione sociale, diretto da H. Dougier e F. Bloch-Laìne ha il compito di censire, analizzare e diffondere le infor-mazioni sulle nuove esperienze di vita quotidiana (educazione, sanità, giustizia, attività culturali, urbanesimo e architettura, ecc.). Questa banca di dati sulle 'pratiche alternative' offre i suoi servizi agli organi statali incaricati di fare in modo che la 'società civile' resti una società civilizzata: Commissariato al Piano, Segretariato all'azione sociale, D.A.T.A.R., ecc."

» S. Freud ha particolarmente sottolineato questa forma di "predestinazione"; cfr. M . ROBERT, Roman des origines, origine du roman, Grasset, Paris 1972.

9 9 Vedi l'opera di M. Serres, in particolare le Hermis dall'I al IV, Minuit, Paris 1969-1977.

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Una parola su quest'ultimo punto. Affrontando il problema semplicemente nei termini della teoria del-la comunicazione, si dimenticherebbero due cose: in primo luogo, i messaggi sono dotati di forme ed effetti del tutto diversi a seconda per esempio che siano denotativi, prescrittivi, valutativi, performati-vi, ecc. È indubbio che essi non agiscono esclusiva-mente perché comunicano delle informazioni. Ridur-li a questa funzione significa assumere una prospet-tiva che privilegia indebitamente il punto di vista del sistema ed il suo esclusivo interesse. Natural-mente è la macchina cibernetica che tratta l'infor-mazione, ma i fini che le vengono assegnati al mo-mento della programmazione dipendono per esem-pio da enunciati prescrittivi e valutativi che essa non correggerà durante il suo funzionamento, come l'ottimizzazione delle sue prestazioni. Ma come ga-rantire che l'ottimizzazione delle prestazioni costi-tuisca sempre il fine migliore per il sistema sociale? Gli "atomi" di cui quest'ultimo si compone sono in ogni caso competenti in relazione a questi enunciati, ed in particolare a questo problema.

Inoltre la versione cibernetica triviale della teo-ria dell'informazione trascura un aspetto decisivo, già sottolineato, l'aspetto agonistico. Gli atomi sono piazzati agli incroci delle relazioni pragmatiche, ma vengono anche dislocati dai messaggi che li attraver-sano, secondo un movimento ininterrotto. Ciascun interlocutore linguistico subisce, a partire dalle "mos-se" che lo riguardano, uno "spiazzamento", una alte-razione di qualche tipo, e questo non solo in qua-lità di destinatario e di referente, ma anche come destinatore. Tali "mosse" suscitano inevitabilmente delle "contromosse"; è noto a tutti in base all'espe-rienza che quest'ultime non sono "buone" se sono di natura puramente reattiva. In questo caso si trat-ta infatti di effetti programmati nella strategia del-l'avversario, che ne favoriscono la realizzazione e vanno quindi a discapito di una modificazione dei rispettivi rapporti di forza. Da qui l'importanza di 34

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accentuare lo spiazzamento e anche di disorientare, in modo da effettuare una "mossa" (un nuovo enun-ciato) che risulti inattesa.

Per comprendere in questo modo i rapporti so-ciali, a qualsiasi livello li si consideri, non basta una teoria della comunicazione, ci vuole una teoria dei giochi, che include l'agonistica fra i suoi presup-posti. E già si indovina come, in questo contesto, la novità richiesta non sia semplicemente la "innova-zione". In molti sociologi dell'attuale generazione, per non parlare dei linguisti o dei filosofi del linguag-gio, è possibile trovare di che sostenere questo ap-proccio.60

Questa "atomizzazione" del sociale in una rete elastica di giochi linguistici può sembrare assai lon-tana da una realtà moderna che siamo piuttosto abi-tuati a rappresentarci come bloccata dall'artrosi bu-rocratica. 6 1 Come minimo si invocherà il peso delle istituzioni che impongono dei limiti ai giochi, e che limitano quindi l'inventività dei giocatori in materia di mosse. Ma ciò non ci sembra generare particolari difficoltà.

Nell'uso corrente dei discorsi, per esempio in una discussione fra due amici, gli interlocutori fan-no di ogni erba un fascio, cambiando di gioco da un enunciato all'altro: interrogazione, preghiera, asser-zione, racconto vengono gettati alla rinfusa nella bat-taglia. Tutto ciò non è senza regola,6 2 ma si tratta di una regola che autorizza ed incoraggia la più grande flessibilità degli enunciati.

4 0 Vedi ad es. E. GOFFMAN, La vita quotidiana come rappresen-tazione, Il Mulino, Bologna 1975; A. W. GOULDNER, op. cit., cap. 10; A. TOURAINE, La voix et le regard, Seuil, Paris 1978, e, dello stesso autore ed altri, Lutte étudiante, Seuil, Paris 1978; M . CALLON, Socio-logie des techniques?, in "Pandore", 2, (febbraio 1979), pp. 28-32; P. WATZLAWICK e altri, op. cit.

" Vedi sopra la nota 41. Il tema della burocratizzazione totale come avvenire delle società moderne è stato dapprima trattato da B. R I Z Z I , Il collettivismo burocratico, SugarCo, Milano 1977 (La bu-reaucratisatioti du monde, Paris 1939). 6 2 Cfr. H. P. GRICE, Logica e conversazione, in M. SBISA (a cura di), Gli atti linguistici, cit.

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Ora, da questo punto di vista, una istituzione dif-ferisce sempre da una discussione per il fatto che richiede delle condizioni supplementari perché gli enunciati siano dichiarati ammissibili al proprio in-terno. Tali condizioni agiscono come dei filtri sulle potenze del discorso, interrompono delle possibili connessioni sulle reti di comunicazione: ci sono co-se che non si devono dire. Privilegiano determinate classi di enunciati, a volte una sola, la cui predomi-nanza caratterizza il discorso dell'istituzione: ci so-no delle cose da dire e dei modi per dirle. Per esem-pio: gli enunciati di comando negli eserciti, di pre-ghiera nelle chiese, di denotazione nelle scuole, di interrogazione nelle filosofie, di narrazione nelle fa-miglie, di performatività nelle imprese... La buro-cratizzazione è il limite estremo di questa tendenza.

Tuttavia, questa ipotesi sull'istituzione è ancora troppo "pesante": muove da un punto di vista "co-sale" dell'istituito. Oggigiorno, sappiamo che il limi-te che l'istituzione oppone al potenziale linguistico misurato in "mosse" non è mai stabilito (anche quan-do lo sia formalmente). 6 3 Esso è piuttosto a sua volta il risultato provvisorio e la posta delle strategie lin-guistiche messe in atto dentro e fuori dall'istituzio-ne. Alcuni esempi: il gioco di sperimentazione sulla lingua (la poetica) è ammesso in ima università? Si possono raccontare delle storie nel consiglio dei mi-nistri? Fare delle rivendicazioni in una caserma? Le risposte sono chiare: si se l'università apre degli ateliers creativi; si se il consiglio lavora su degli sce-nari previsionali; si se i superiori accettano di deli-berare coi soldati. In altre parole: si se i limiti della vecchia istituzione vengono spostati. 6 4 Inversamente

" Per un approccio fenomenologico del problema, vedi i corsi dell'anno 1954-1955 in MERLEAU-PONTY (a cura di C. Lefort), Résumés de cours, Gallimard, Paris 1968. Per un approccio psicosociologico, vedi R. LOUREAU, L'analyse institutionnelle, Minuit, Paris 1970.

4 4 Cfr. M. CAUJON, toc. cit., p. 30: "La sociologia è il movimento per cui gli operatori costituiscono e istituiscono delle differenze, delle frontiere fra ciò che è sociale e ciò che non lo è, f ra ciò che è tecnico e ciò che non lo è, fra l'immaginario e il reale: il tracciato di queste frontiere è una posta in gioco e nessun consenso, salvo in

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diremo che essi non si stabilizzano che quando ces-sano di essere ima posta in gioco.

Crediamo che sia in questo spirito che conviene affrontare le istituzioni contemporanee del sapere.

6. Pragmatica del sapere narrativo All'accettazione acritica di una concezione stru-

mentale del sapere nelle società più sviluppate, ab-biamo già fatto (sezione 1) due obiezioni. Il sapere non si identifica con la scienza, soprattutto nella sua forma contemporanea; e la scienza è ben lon-tana dal poter nascondere il problema della sua le-gittimità, è anzi costretta a sollevarlo in tutta la sua estensione, sociopolitica non meno che episte-mologica. In primo luogo precisiamo la natura del sapere "narrativo"; ciò consentirà di distinguere meglio, attraverso il confronto, almeno alcune ca-ratteristiche formali del sapere scientifico nella so-cietà contemporanea; sarà inoltre d'aiuto per com-prendere come e in quale misura si ponga oggi il problema della legittimità.

Il sapere in generale non si riduce alla scienza, e nemmeno alla conoscenza. La conoscenza sarebbe l'insieme degli enunciati che denotano o descrivono degli oggetti,® escludendo qualsiasi altro enunciato, e suscettibili di essere dichiarati veri o falsi. La scienza sarebbe un sottoinsieme della conoscenza. Costituita anch'essa di enunciati denotativi, ai quali si imporrebbero tuttavia due ulteriori condizioni di caso di dominio totale, è possibile." Da confrontare con quella che Touraine chiama "sociologia permanente" (La voix et le regará, cit.).

« Aristotele delimita rigidamente l'oggetto del sapere, definendo i discorsi che egli chiama apofantici: "Ogni discorso è poi signifi-cativo (semantico), non già alla maniera di uno strumento naturale, bensì, secondo quanto sì è detto, per convenzione. Dichiarativi (apo-fantici) sono, però, non già tutti i discorsi, ma quelli in cui sussiste un'enunciazione vera oppure falsa. Tale enunciazione non sussiste certo in tutti: la preghiera, ad esempio, è un discorso, ma non risulta né vera né falsa." (Dell'espressione, in Organon, cit. 17a, p. 60.)

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accettabilità: che le condizioni di accesso agli og-getti cui si riferiscono siano ricorrenti, vale a dire che siano esplicite le condizioni di osservazione; che sia possibile decidere se i singoli enunciati apparten-gano o meno al linguaggio considerato pertinente dagli esperti. 6 6

Ma con il termine sapere non si intende affatto solamente un insieme di enunciati denotativi, in esso convergono le idee di saper fare, saper vivere, saper ascoltare, ecc. Si tratta quindi di una compe-tenza che eccede la determinazione e l'applicazione del solo criterio di verità, e che si estende a quelle dei criteri di efficienza (qualificazione tecnica), di giustizia e/o di felicità (saggezza etica), di bellezza sonora, cromatica (sensibilità auditiva, visuale), ecc. Cosi inteso, il sapere è ciò che rende capaci di pro-ferire "buoni" enunciati denotativi, ma anche "buo-ni" enunciati prescrittivi, "buoni" enunciati valuta-tivi... Non consiste in una competenza fondata su un tipo di enunciati, per esempio cognitivi, ad esclu-sione degli altri. Consente piuttosto di offrire delle "buone" prestazioni in relazione a diversi oggetti di discorso: nel conoscere, nel decidere, nel valutare, nel trasformare... Da tutto ciò deriva una delle sue principali caratteristiche: esso coincide con una "formazione" estesa di competenze, è la forma uni-taria incarnata in un soggetto composto dalle diver-se specie di competenze che lo costituiscono.

Un'altra caratteristica da sottolineare è l'affinità del sapere cosi inteso con il costume. Cos'è infatti un "buon" enunciato prescrittivo o valutativo, una "buona" prestazione denotativa o tecnica? Tutti so-no giudicati "buoni" perché conformi ai criteri (di giustizia, bellezza, verità, efficienza) rispettivamente accettati nell'ambiente formato dagli interlocutori del

6 6 Cfr. K . POPPER, Logica della scoperta scientifica, Einaudi, To-rino 1970, e, dello stesso autore, La scienza normale e i suoi peri-coli, in I. LAKATOS, A. MUSGRAVE (a cura di), Critica e crescita della conoscenza, Feltrinelli, Milano 1976.

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"sapiente". I primi filosofi67 hanno chiamato opinio-ne questa modalità di legittimazione degli enunciati. Il consenso che permette di circoscrivere un tale sapere e di distinguere chi sa da chi non sa (lo straniero, il bambino) è ciò che costituisce la cul-tura di un popolo.6 8

Questo breve richiamo sulla possibilità di inten-dere il sapere come formazione e cultura si fonda sulle descrizioni etnologiche.6' Ma una antropologia ed una letteratura che si rivolgono alle società in rapido sviluppo ne scoprono la persistenza, almeno in determinati settori. 7 0 L'idea stessa di sviluppo pre-suppone l'orizzonte di un non-sviluppo, dove le di-verse competenze si pensano intrecciate in ima uni-tà tradizionale e non si dissociano in articolazioni soggette ad innovazioni, dibattiti e analisi specifiche. Questa opposizione non implica necessariamente un mutamento di natura nello stato del sapere fra "primitivi" e "civilizzati",71 essa è compatibile con la tesi dell'identità formale fra "pensiero selvaggio" e pensiero scientifico,72 e anche con quella, appa-rentemente contraria, della superiorità del sapere consuetudinario sull'attuale dispersione delle com-petenze. 7 3

Possiamo affermare che tutti gli osservatori, qua-lunque sia lo scenario proposto per drammatizzare e comprendere lo scarto fra lo stato consuetudina-rio del sapere e quello dell'epoca scientifica, con-cordano su un fatto, la preminenza della forma nar-

« Vedi J . BEAUFRET, Le poéme de Parménide, P.U.F., Paris 1955. *• Ancora nel senso di Bildung (culture in inglese), cosi com'è

stato accreditato dal culturalismo. Il termine è preromantico e ro-mantico; cfr. il Volksgeist di Hegel.

6 9 Vedi la scuola culturalista americana: C. Du Bois, A. Kardi-ner, R. Linton, M. Mead.

w Vedi l'istituzione dei folclori europei a partire dalla fine del XVIII secolo in . rapporto col romanticismo: studi dei fratelli Grimm, di Vuk Karadic (racconti popolari serbi), ecc.

« Tale era, sommariamente, la tesi di L . LÉVY-BRUHI., La men-talità primitiva, Einaudi, Torino 1975.

" Cfr. C. LÉVI-STRAUSS, Il pensiero selvaggio, Il Saggiatore, Mi-lano 1979.

1 5 Cfr. R . JALXIN, La paix bianche, Seuil, Paris 1970.

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rativa nella formulazione del sapere tradizionale. Gli uni analizzano questa forma in se stessa, 7 4 gli altri vi scorgono il travestimento diacronico degli opera-tori strutturali che secondo loro costituiscono pro-priamente il sapere che in essa è in gioco,75 altri an-cora ne danno un'interpretazione "economica" in senso freudiano. 7 6 A noi basta assumere il dato di fatto della forma narrativa. Il racconto è la forma per eccellenza di questo sapere, e ciò da diversi pun-ti di vista.

In primo luogo, queste storie popolari racconta-no esse stesse quelle che potremmo chiamare delle formazioni {Bildungen) positive o negative, vale a dire i successi o le sconfìtte in cui si risolvono i tentativi degli eroi, e questi successi o queste scon-fitte legittimano determinate istituzioni sociali (fun-zione dei miti), oppure rappresentano modelli posi-tivi o negativi (eroi felici o infelici) di integrazione nelle istituzioni consolidate (leggende, favole). Da una parte questi racconti consentono dunque di de-finire i criteri di competenza propri della società in cui sono raccontati, dall'altra di utilizzare tali criteri per valutare le prestazioni che in essa si realizzano o possono realizzarsi.

In secondo luogo, la forma narrativa, a differen-za del sapere in forme discorsive sviluppate, acco-glie una pluralità di giochi linguistici: nel racconto sono tranquillamente ammessi enunciati denotativi, fondati per esempio sugli eventi del cielo, delle sta-gioni, della flora e della fauna; enunciati deontici che prescrivono ciò che deve essere fatto in rela-zione ai medesimi referenti oppure alla parentela, alla differenza fra i sessi, ai bambini, ai vicini, agli stranieri, ecc.; enunciati interrogativi che sono per

« Cfr. V. PROPP, Morfologia della fiaba, Einaudi, Torino 1971. « Cfr. C. LÉVI-STRAUSS, La struttura dei miti, in Antropologìa

strutturale, 11 Saggiatore, Milano 19>7g, e, dello stesso autore, La struttura e la forma, in Antropologia strutturale due, Il Saggiatore, Milano 1978.

'« Cfr. G. ROHEIM, Psicoanalisi e antropologia, Rizzoli, Milano 1974.

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esempio legati agli episodi di sfida (rispondere ad una domanda, scegliere un elemento di una serie); enunciati valutativi, ecc. Il racconto definisce o ap-plica criteri di competenze che appaiono intrecciate a formare un tessuto serrato, che è appunto quello del racconto, e organizzate in una prospettiva d'in-sieme che caratterizza questo tipo di sapere.

Ci occuperemo un po' più a lungo di ima terza proprietà, relativa alla trasmissione dei racconti. La narrazione obbedisce per lo più a delle regole che ne fissano la pragmatica. Ciò non significa che que-ste società assegnino il ruolo istituzionale di narra-tore all'una o all'altra categoria di età, di sesso, di gruppo familiare o professionale. Ci riferiamo ad una pragmatica dei racconti popolari che è, per cosi di-re, loro intrinseca. Un narratore cashinahua 7 7 per esempio comincia sempre il suo racconto con una formula fissa: "Ecco la storia di... cosi come l'ho sempre sentita. Ve la racconterò anch'io, ascoltate-la." E la conclude con un'altra formula, anche que-sta immutabile: "Qui finisce la storia di... Colui che ve l'ha raccontata è... [nome cashinahua], conosciu-to dai Bianchi come... [nome spagnolo o portoghe-se]." 7 8

Da un'analisi sommaria di questa duplice istru-zione pragmatica emerge come il narratore si di-chiari competente a raccontare la storia solo per averla egli stesso ascoltata. Il destinatario attuale del racconto, ascoltandolo, acquista potenzialmente la stessa autorità. Il racconto è assunto come riferito (anche se la prestazione narrativa è fortemente in-ventiva) e riferito "da sempre": il suo eroe, che è cashinahua, è stato dunque a sua volta destinatario e forse narratore dello stesso racconto. In ragione di questa analogia di condizione, il narratore attuale può essere egli stesso eroe di un racconto, come lo è stato l'Anziano. In effetti, lo è necessariamente,

" Cfr. A . M. D 'ANS, Le dit des vrais hommes, 10/18, Paris 1978. '» Ibid., p. 7:

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perché porta un nome, declinato alla fine della sua narrazione, che gli è stato attribuito conformemente al racconto canonico che legittima la distribuzione cashinahua dei patronimici.

Evidentemente la regola pragmatica cosi esem-plificata non è universalizzabile.79 Essa fornisce tut-tavia un indizio di una proprietà generalmente rico-nosciuta al sapere tradizionale: le "posizioni" narra-tive (destinatore, destinatario, eroe) sono distribui-te in modo che il diritto di occuparne una, quella del destinatore, si fonda sulla duplice condizione di avere occupato l'altra, quella del destinatario, e di essere, attraverso il proprio nome, già stato raccon-tato in un racconto, vale a dire situato in posizione di referente diegetico di altre contingenze narrati-ve.8 0 Il sapere trasmesso da queste narrazioni, ben lontano dal fissarsi nelle sole funzioni enunciative, determina ad un tempo sia ciò che bisogna dire per farsi capire, sia ciò che bisogna ascoltare per poter parlare, sia ciò che bisogna rappresentare (sulla sce-na della realtà diegetica) per poter divenire oggetto di una narrazione.

Gli atti linguistici8 1 pertinenti per questo sapere non sono dunque attuati esclusivamente dal locu-tore, ma anche dal destinatario come pure dalla terza persona di cui si parla. Il sapere che promana da un simile dispositivo può sembrare "compatto", in contrasto con quello che chiamiamo "sviluppato". Esso lascia chiaramente trasparire come la tradizio-ne narrativa sia nello stesso tempo quella dei criteri che definiscono una triplice competenza, saper dire, saper intendere, saper fare, che mette in gioco i rap-porti della comunità con se stessa e con il suo am-

" Lo abbiamo proposto per mettere in luce 1' "etichetta" prag-matica che accompagna la trasmissione dei racconti, di cui l'antro-pologo ci informa accuratamente: vedi P. CLASTRES, Le grand Parler. Mythes et chants sacrés des Indiens Guarani, Seuil, Paris 1974.

" Per una narratologia che fa intervenire la dimensione prag-matica, vedi G . GENETTE, Figure HI. Discorso del racconto, Einaudi, Torino 1976.

« Cfr. nota 34.

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biente. Ciò che viene trasmesso con i racconti, è il gruppo di regole pragmatiche che costituisce il le-game sociale.

Un quarto aspetto del sapere narrativo merite-rebbe di essere analizzato accuratamente: la sua in-fluenza sul tempo. La forma narrativa obbedisce ad un ritmo, essa è la sintesi di un metro che scandi-sce il tempo in perìodi regolari e di un accento che modifica la lunghezza o l'ampiezza di alcuni di tali periodi. 8 2 Questa caratteristica vibratoria e musicale traspare chiaramente nell'esecuzione rituale di certi racconti cashinahua: trasmessi in condizioni inizia-tiche, in una forma assolutamente immutabile, in un linguaggio creso oscuro dalle disarticolazioni les-sicali e sintattiche che gli vengono inflitte, essi sono salmodiati in interminabili melopee. 8 3 Strano sapere, si dirà, che non si fa comprendere nemmeno dai gio-vani cui si rivolge!

E tuttavia si tratta di un sapere ampiamente dif-fuso, quello dei raccontini infantili, quello che le musiche ripetitive hanno oggi tentato di riscoprire 0 almeno di avvicinare. Esso presenta una proprietà sorprendente: nella misura in cui il metro prevale sull'accento nelle contingenze sonore, parlate o no, il tempo cessa di essere il supporto della registra-zione mnemonica e si trasforma in un battito imme-morabile che, in assenza di differenze registrabili fra 1 periodi, impedisce di contarli e li consegna al-l'oblio.8 4 Basterebbe interrogarsi sulla forma delle sentenze, dei proverbi, delle massime, che sono come delle piccole schegge di possibili racconti o le ma-trici degli antichi racconti che continuano a circo-lare a certi livelli dell'edificio sociale contempora-

u II rapporto metro/accento che fa e disfa il ritmo è al centro della riflessione hegeliana sulla speculazione. Cfr. HEGEL, Fenomeno-logia dello spirito, La Nuova Italia, Firenze 1960, Prefazione, IV, pp. 48-61.

« Ringrazio A. M. d'Ans, alla cui cortesia devo queste infor-mazioni.

" Vedi le analisi di D. CHARLES, Le temps de la voix, Delarge, Paris 1978; e di D. AVRON, L'appareil musical, 10/18, Paris 1978.

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neo, per riconoscere nella prosodia il marchio di questa bizzarra scansione del tempo che cozza in pieno contro la regola aurea del nostro sapere: non dimenticare.

Ora ci deve essere un rapporto di congruenza fra questa funzione letargica del sapere narrativo da ima parte e le funzioni di formazione dei criteri, di unificazione delle competenze, e di regolazione so-ciale sopra citate dall'altra. Con uno sforzo di im-maginazione semplificatrice, possiamo supporre che una collettività che fa della narrazione l'archetipo della competenza non ha bisogno, contrariamente ad ogni aspettativa, di potersi ricordare del proprio passato. Essa non trova la sostanza del suo rapporto sociale esclusivamente nella significazione dei rac-conti che narra, ma anche nell'atto stesso della loro recitazione. La referenza delle narrazioni, può sem-brare appannaggio del tempo passato, in realtà essa è sempre contemporanea all'atto. È la presenza del-l'atto che dispiega ogni volta la temporalità effimera che si estende fra 17o ho sentito dire e il Voi state per ascoltare.

L'importante nei protocolli pragmatici di questo tipo di narrazione è che essi indicano l'identità di principio di tutte le contingenze del racconto. L'iden-tità può anche non esistere, caso frequente, e non dobbiamo nasconderci quel tanto di humour o di angoscia che si accompagna al rispetto dell'etichet-ta. Resta che l'attenzione è concentrata sul battito metrico delle contingenze della narrazione e non sul-la differenza d'accento di ogni prestazione. Ecco per-ché possiamo definire questa temporalità evanescen-te ed immemorabile ad un tempo. 8 5

Infine, cosi come non ha bisogno di ricordare il proprio passato, una cultura che attribuisce il pri-mato alla forma narrativa non ha indubbiamente nemmeno bisogno di procedure particolari per auto-

" Cfr. MIHCEA ELIADE, Il mito dell'eterno ritorno, Rusconi, Mi-lano 1975.

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rizzare le sue narrazioni. Male sarebbe immaginare che essa isoli l'istanza narratrice dalle altre accor-dandole un privilegio nella pragmatica dei racconti, o che si interroghi sul diritto del narratore, consi-derato separatamente dal destinatario e dalla die-gesi, di raccontare ciò che racconta, o infine che si impegni nell'analisi o nella anamnesi della propria legittimità. Ancora peggio sarebbe immaginare che essa possa attribuire ad un incomprensibile sogget-to d'ella narrazione l'autorità sui racconti. L'autorità è immanente ai racconti. In un certo senso il popolo non è che l'insieme di coloro che li attualizzano, e che non lo fanno solo raccontandoli, ma anche ascol-tandoli e facendosi raccontare da essi, vale a dire "rappresentandoli" nelle istituzioni: quindi piazzan-dosi anche nelle posizioni del destinatario e della diegesi oltre che in quella di narratore.

Esiste quindi una incommensurabilità fra la prag-matica narrativa popolare, che è immediatamente legittimante, ed il gioco linguistico che l'Occidente conosce come problema della legittimità, o meglio la legittimità come referente del gioco interrogativo. Abbiamo visto che i racconti determinano i criteri di competenza e/o ne illustrano l'applicazione. In tal modo essi definiscono ciò che può essere detto e fatto nella cultura, e, dal momento che ne sono an-che parte integrante, ne vengono per ciò stesso legit-timati.

7. Pragmatica del sapere scientifico Tentiamo di caratterizzare, sia pure sommaria-

mente, la pragmatica del sapere scientifico cosi co-me emerge dalla sua concezione classica. Distingue-remo il gioco della ricerca e quello dell'insegna-mento.

Copernico dichiara che la traiettoria dei pianeti 45

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è circolare.8 6 Vera o falsa, la proposizione comporta un insieme di tensioni ognuna delle quali si esercita sulle singole posizioni pragmatiche che essa pone in gioco, destinatore, destinatario, referente. Queste "tensioni" sono delle specie di prescrizioni che re-golano l'accettabilità dell'enunciato in quanto pro-prio "della scienza".

In primo luogo, si suppone che il destinatore af-fermi il vero a proposito del referente, la traietto-ria dei pianeti. Cosa significa ciò? Che lo si sup-pone capace da una parte di addurre delle prove di ciò che afferma e dall'altra di confutare qualsiasi enunciato contrario o contradditorio sullo stesso re-ferente.

Successivamente, si suppone che il destinatario sia validamente in grado di consentire con l'enun-ciato che ascolta (o di confutarlo). Ciò implica che sia egli stesso un potenziale destinatore, dato che, quando formulerà il suo assenso o il suo dissenso, sarà sottoposto al medesimo duplice vincolo della prova o della confutazione come il destinatore at-tuale, Copernico. Si suppone cioè che egli riunisca in potenza le sue stesse qualità: è un suo pari. Ma avrà questo potere solo quando parlerà, e a quelle condizioni. Prima non potrebbe essere definito scien-ziato.

In terzo luogo, si suppone che il referente, la traiettoria dei pianeti di cui parla Copernico, sia "espresso" dall'enunciato in modo conforme alla pro-pria natura. Ma, dato che la sua natura è compren-sibile solo attraverso enunciati dello stesso ordine di quello di Copernico, la regola di adeguazione costi-tuisce problema: ciò che dico è vero perché lo pro-vo; ma chi prova che la mia prova è vera?

La soluzione scientifica della difficoltà consiste nell'osservanza di due regole. La prima è dialettica

" Dobbiamo l'esempio a G . FREGE, Senso e significato, in Logica e aritmetica (a cura di C. Mangione), Boringhieri, Torino 1977.

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o anche retorica di tipo giudiziario87: referente è ciò che può costituire oggetto di prova, supporto di con-vinzione nel dibattito. Non è: posso provare per-ché la realtà è come io la dico, ma: in quanto posso provare, si può pensare che la realtà sia come io la dico.88 La seconda è metafìsica: lo stesso refe-rente non può fornire ima pluralità di prove con-tradditorie o inconsistenti; o ancora: "Dio" non in-ganna. 8 9

Su questa duplice regola si fonda ciò che la scienza del XIX secolo chiama verificazione e quella del XX falsificazione.90 Essa consente di offrire al dibattito degli interlocutori, destinatore e destinata-rio, l'orizzonte del consenso. Il consenso non è ne-cessariamente indice di verità; ma si suppone che la verità di un enunciato non possa mancare di su-scitare consenso.

Questo per quanto riguarda la ricerca. È eviden-te che questa implica l'insegnamento come suo com-plemento necessario. Perché allo scienziato occorre un destinatario che possa essere a sua volta destina-tore, oppure interlocutore. In caso contrario, la ve-rificazione del suo enunciato è impossibile per l'as-senza di un contradditorio, il quale non può a sua volta esistere che attraverso il rinnovamento delle competenze. Non è solo la verità dell'enunciato che è in gioco nel dibattito, ma anche la competenza; la competenza infatti non può mai essere data per acquisita, essa dipende dal fatto che l'enunciato pro-posto sia o meno considerato come discutibile in una sequenza di argomentazioni e di confutazioni fra pari. Verità dell'enunciato e competenza dell'enun-ciatore sono dunque sottomessi al consenso della

« Cfr. B. LATOUR, La rhitorique du discours scienlifiqve, in "Actes de la recherche en sciences sociales", 13, (marzo 1977).

« Cfr. G. BACHELARD, Il nuovo spirito scientifico, Laterza, Bari 1978.

» Cfr. CARTESIO, Meditazioni metafisiche, quarta meditazione. *> Vedi ad es. C . HHMPEL, Filosofia delle scienze naturali. Il Mu-

lino. Bologna 1968.

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collettività dei pari grado in competenza. È quindi necessario formare degli eguali.

La didattica garantisce questa riproduzione. Essa è differente dal gioco dialettico della ricerca. Per abbreviare, il suo primo presupposto è che il desti-natario, lo studente, non sappia ciò che sa il desti-natore; in effetti questo è il motivo per cui esiste qualcosa da imparare. Il secondo presupposto è che l'allievo possa imparare e divenire un esperto della stessa competenza del suo maestro. 9 1 Duplice vincolo che ne sottende un terzo: che esistano enun-ciati in relazione ai quali si ritiene che siano stati sufficienti lo scambio degli argomenti e l'amministra-zione delle prove, che costituiscono la pragmatica della ricerca, e che essi possano quindi essere tra-smessi cosi come sono a titolo di verità indiscutibili nell'insegnamento.

In altre parole, si insegna ciò che si sa: questo è l'esperto. Ma, nella misura in cui lo studente (il destinatario della didattica) migliora la sua compe-tenza, l'esperto può farlo partecipe di ciò che non sa, ma che cerca di sapere (almeno se l'esperto è anche un ricercatore). Lo studente viene cosi intro-dotto alla dialettica dei ricercatori, vale a dire al gioco della formazione del sapere scientifico.

Confrontando questa pragmatica a quella del sa-pere narrativo, si noteranno le seguenti proprietà:

1. Il sapere scientifico esige l'isolamento di un gioco linguistico, il denotativo; e l'esclusione di tutti gli altri. Il criterio di accettabilità di un enunciato coincide col suo valore di verità. Naturalmente nel sapere scientifico incontriamo altre classi di enun-ciati, come l'interrogazione ("Come spiegare che...?") e la prescrizione ("Data ima serie di elementi nu-merabili..."); ma essi non rappresentano qui altro che dei cavilli nell'argomentazione dialettica, la qua-

" Non è possibile affrontare qui le difficoltà sollevate da questo duplice presupposto. In proposito, vedi V . DESCOMBES, L'inconscient malgré lui, Minuit, Paris 1977.

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le deve comunque tendere ad un enunciato deno-tativo.9 2 Si è dunque sapienti (in questo senso) se si può proferire un enunciato vero in relazione ad un referente; e si è scienziati se si possono profe-rire degli enunciati verificabili o falsificabili in re-lazione a referenti accessibili agli esperti.

2. Questo sapere viene cosi a trovarsi isolato da-gli altri giochi linguistici che concorrono a formare il legame sociale. Non è più una componente im-mediata e condivisa di quest'ultimo come il sapere narrativo, è una componente indiretta, perché di-viene una professione e dà origine a delle istituzioni, e perché nelle società moderne i giochi linguistici si organizzano in forme istituzionali animate da soci qualificati, i professionisti. Il rapporto fra sapere e società (vale a dire l'insieme degli associati nell'ago-nistica generale, considerati in quanto non profes-sionisti della scienza) si esteriorizza. Nasce un nuo-vo problema, quello del rapporto dell'istituzione scientifica con la società. È possibile risolverlo con la didattica, per esempio in base al presupposto che ogni individuo sociale può acquisire la compe-tenza scientifica?

3. In seno al gioco della ricerca, la competenza richiesta si fonda esclusivamente sulla posizione di destinatore. Al destinatario non si richiedono com-petenze particolari (con l'unica eccezione della di-dattica: lo studente dev'essere intelligente). Né esi-stono competenze in quanto referente. Anche quan-do si tratti di scienze umane, nel qual caso il refe-rente è l'uno o l'altro aspetto delle condotte umane, si tratta di un oggetto situato per principio in po-sizione di esteriorità relativamente agli interlocutori della dialettica scientifica. Diversamente dal sapere

* L'osservazione nasconde una difficoltà importante, che emer-gerebbe anche dall'esame della narrazione: quella che riguarda la distinzione f ra gioco linguistico e generi di discorso. Qui non ce ne occupiamo.

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narrativo, non esiste qui la possibilità di essere ciò che il sapere afferma che si è.*

4. Un enunciato scientifico non trae alcuna vali-dità dal fatto di essere riferito. Anche in campo pe-dagogico, nulla viene insegnato se non per il fatto che si tratta di qualcosa attualmente verificabile at-traverso argomentazioni e prove. Nulla è mai di per sé al riparo da possibili "falsificazioni".93 In questo modo, il sapere che si accumula in enunciati prece-dentemente accettati può sempre essere concitato. Inversamente, ogni nuovo enunciato, se contraddice un enunciato precedentemente ammesso sullo stes-so referente, potrà essere accettato come valido solo se confuta l'enunciato precedente attraverso argo-mentazioni e prove.

5. Il gioco scientifico implica quindi una diacro-nia, vale a dire una memoria e un progetto. Si suppone che il destinatore attuale di un enunciato scientifico sia a conoscenza degli enunciati prece-denti sul medesimo referente (bibliografia) e che pro-ponga un nuovo enunciato solo perché esso è diffe-rente dai precedenti. Ciò che abbiamo definito "ac-cento" della singola prestazione è qui privilegiato rispetto al "metro", e rappresenta nello stesso tem-po la funzione polemica del gioco. Presupponendo la memoria e la ricerca del nuovo, questa diacronia delinea generalmente un processo cumulativo. Il "ritmo" di quest'ultimo, che coincide col rapporto fra accento e metro, è variabile. 9 4

Si tratta di proprietà note. Meritano tuttavia di essere richiamate per due motivi. In primo luogo, la messa in parallelo della scienza col sapere non scien-

* Gioco di parole: "Il n'y a pas ici, comme dans le narratif, à savoir être ce que le savoir dit qu'on est" [N.d.T.].

» Nel senso indicato in nota 90. « Cfr. T. K U H N , La struttura delle rivoluzioni scientifiche, Einau-

di, Torino 1969.

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tifico (narrativo) permette di comprendere, o almeno di intuire, che l'esistenza della prima non ha mag-giore o minore carattere di necessità di quella del secondo. L'uno e l'altra sono formati da insiemi di enunciati; questi sono delle "mosse" fatte da gioca-tori nell'ambito di regole generali; le regole sono specifiche per ciascun sapere, e le "mosse" giudicate buone in ognuno di essi non possono essere dello stesso tipo, se non per caso.

Non sarebbe dunque possibile esprimere giudizi né sull'esistenza né sul valore del narrativo a partire dal scientifico, o viceversa: i criteri pertinenti non sono gli stessi nei due casi. Al limite dovremmo solo meravigliarci di questa varietà di specie discorsive come facciamo di fronte a quella delle specie vege-tali o animali. Lamentarsi della "perdita di senso" nella postmodernità significa lasciarsi prendere dalla nostalgia per il fatto che il sapere ha perso il suo carattere principalmente narrativo. È una incon-gruenza. Ma ne esiste un'altra, non meno notevole, che consiste nella pretesa di derivare o far nascere (attraverso operatori come lo sviluppo, ecc.) il sa-pere scientifico dal sapere narrativo, come se il se-condo contenesse il primo allo stato embrionale.

Nondimeno le specie linguistiche, come le specie viventi, hanno fra loro dei rapporti, e questi sono ben lontani dall'essere armoniosi. L'altro motivo che può giustificare questa nota sommaria sulle proprie-tà del gioco linguistico scientifico riguarda precisa-mente il suo rapporto col sapere narrativo. Abbia-mo messo in luce come quest'ultimo non dia impor-tanza al problema della propria legittimazione, come si autolegittimi attraverso la pragmatica della sua trasmissione senza ricorrere all'argomentazione e al-l'amministrazione delle prove. Ecco il motivo per cui la sua incapacità di comprendere i problemi del discorso scientifico non è disgiunta da una certa tolleranza nei confronti dello stesso: lo considera in primo luogo come una varietà nella famiglia delle

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culture narrative.' 5 Non è vero l'inverso. Lo scien-ziato si interroga sulla validità degli enunciati nar-rativi e constata che non sono mai sottoposti al-l'argomentazione e alla prova. 9 6 Egli li classifica come prodotti di un'altra mentalità: selvaggia, primitiva, sottosviluppata, arretrata, alienata, fondata sull'opi-nione, sui costumi, sull'autorità, sui pregiudizi, sul-l'ignoranza, sulle ideologie. I racconti sono favole, miti, leggende, buoni per le donne e i bambini. Nel migliore dei casi, si cercherà di far penetrare la luce in questo oscurantismo, di civilizzare, di edu-care, di sviluppare.

Questo rapporto ineguale è un effetto intrinseco delle regole proprie di ciascun gioco. Se ne cono-scono i sintomi. Tale è tutta la storia dell'imperia-lismo culturale a partire dalle origini dell'Occidente. È importante riconoscerne il registro, che la distin-gue da ogni altra: essa è determinata dal vincolo della legittimazione.

8. La funzione narrativa e la legitti-mazione del sapere Oggi il problema della legittimazione non è più

considerato come una disfatta nel gioco linguistico della scienza. Potremmo dire che esso è stato a sua volta legittimato in quanto problema, o meglio in

*® Vedi l'attitudine dei bambini di fronte ai primi corsi scien-tifici, ed il modo in cui gli aborìgeni interpretano le spiegazioni degli etnologi (cfr. C. LÉVI-STRAUSS, Il pensiero selvaggio, cit., cap. 1, La scienza del concreto).

» Ecco come Métraux sì rivolge a Clastres: 'Pe r poter studiare una società primitiva, bisogna che essa sia già un po' corrotta." Infatti è necessario che l'informatore indigeno possa esaminarla con l'occhio dell'etnologo, ponendosi il problema del funzionamento delle sue istituzioni, e quindi della loro legittimità. Riflettendo sul suo insuccesso presso la tribù degli Achè, Clastres conclude: "E perciò, gli Achè, nello stesso istante in cui ricevevano doni che non chiede-vano, rifiutavano i tentativi di dialogo perché erano abbastanza forti per non averne bisogno: cominceremo a parlare quando saranno malati" (citato da M . CARTRY, Pierre Clastres, io "Libre", 4 . 1978) .

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quanto espediente euristico. Ma questo modo di affrontarlo, attraverso un rovesciamento di prospet-tiva, è recente. Prima di giungere a questo approdo (vale a dire a ciò che alcuni definiscono positivismo), il sapere scientifico ha cercato altre soluzioni. È im-portante rilevare come tali soluzioni, per un lungo periodo, non abbiano potuto evitare di fondarsi su procedure che, più o meno scopertamente, dipendo-no dal sapere narrativo.

Questo ritorno del narrativo nel non narrativo, in forme diverse, non deve essere considerato come superato una volta per tutte. Una prova grossolana: come si comportano gli scienziati chiamati alla te-levisione, o intervistati dai giornali, dopo qualche "scoperta"? Narrano l'epopea di un sapere che di suo non ha nulla di epico. In tal modo soddisfano le regole del gioco narrativo, che restano fortemente vincolanti, non solo per gli utenti dei media, ma an-che fra gli stessi scienziati. Un fatto di questo genere non è triviale né scontato: si tratta di qualcosa che concerne il rapporto del sapere scientifico col sa-pere "popolare", o con ciò che ne resta. Lo Stato è disposto a spendere molto affinché la scienza possa rappresentarsi come una epopea: ciò gli consente di acquistare credibilità, di creare il consenso pubbli-co che serve ai propri organi decisionali.97

Non è dunque escluso che il ricorso al narrativo sia inevitabile; almeno fino a quando il gioco lingui-stico della scienza esiga la verità dei propri enun-ciati e non sia in grado di legittimarla autonoma-mente. Se ciò è vero, dovremmo riconoscere l'esi-stenza di un bisogno di storia irriducibile, il quale, cosi come l'abbiamo abbozzato, non sarebbe da in-terpretare come un bisogno di ricordare e di pro-gettare (bisogno di storicità, di accento), ma al con-

n Sull'ideologia scientista vedi "Survivre", 9, agosto-settembre 1971, ripreso da JAUBEKT e LÉVY-LEBLOVD, op. elt. Alla fine del fascicolo si trova una bibliografia dei periodici e dei gruppi che si oppongono alle diverse forme di subordinazione della scienza al sistema.

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trario come un bisogno di oblio (bisogno di metro) (sezione 6).

Conclusioni premature. Nel corso delle conside-razioni che seguono, terremo tuttavia presente l'idea che le soluzioni apparentemente anacronistiche che si sono potute dare al problema della legittimazio-ne, non sono tali in linea di principio, ma solò in relazione al modo in cui si sono espresse, e che non vi è motivo di sorprendersi nel vederle persi-stere oggi sotto altre forme. Non abbiamo avuto noi stessi bisogno di creare, in questo istante, una nar-razione sul sapere scientifico occidentale per preci-sarne lo statuto?

Muovendo da tali presupposti, il nuovo gioco lin-guistico pone il problema della propria legittimità: siamo a Platone. Non è qui il caso di fare l'esegesi di quei brani dei Dialoghi in cui la pragmatica della scienza viene esplicitamente messa in campo come tema o implicitamente assunta come presupposto. Il gioco dialogico, con le sue esigenze specifiche, la riassume, includendo le due funzioni della ricerca e dell'insegnamento. Ritroviamo qui alcune delle re-gole enumerate in precedenza: l'argomentazione ai soli fini del consenso (homologia), l'unicità del refe-rente come garanzia della possibilità di accordo, la parità fra interlocutori, e persino il riconoscimento indiretto che si tratta di un gioco e non di un de-stino, dato che ne sono esclusi tutti coloro che non ne accettano le regole, per debolezza o rozzezza.98

Resta che il problema della legittimità del gioco, posta la sua natura scientifica, deve esso stesso far parte dei problemi sollevati dal dialogo. Un esempio noto, tanto più importante in quanto collega imme-diatamente il problema della legittimità a quello del-l'autorità socio-politica, ci è offerto nei libri VI e VII della Repubblica. Sappiamo che la risposta vie-ne, almeno in parte, da una narrazione, l'allegoria

» Cfr. V . GOLBSCHMIDT, Les Dialogues de Platon, P . U . F . , Paris 1947.

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della caverna, che spiega come e perché gli uomini vogliano dei racconti e non riconoscano il sapere. Quest'ultimo appare cosi fondato sulla narrazione del proprio martirio.

Ma vi è di più: è con la sua stessa forma, che lo sforzo di legittimazione nei Dialoghi scritti da Pla-tone, rende l'onore delle armi alla narrazione; l'uno e l'altra rivestono sempre infatti la forma del rac-conto di una discussione scientifica. Poco importa qui che la storia del dibattito sia più rappresentata che riferita, messa in scena piuttosto che narrata," e che appartenga dunque più alla tragedia che al-l'epica. Resta il fatto che il discorso platonico che inaugura la scienza, e malgrado il suo intento sia quello di legittimarla, non è scientifico. Il sapere scientifico non può sapere e far sapere che è il vero sapere senza ricorrere all'altro sapere, il racconto, che è per lui il non-sapere, in assenza del quale è costretto ad autopresupporsi incorrendo cosi in ciò che esso condanna, la petizione di principio, il pre-giudizio. Ma non vi incorre anche fondandosi sulla narrazione?

Non è questa la sede per inseguire il ritorno del narrativo nel sapere scientifico attraverso quei di-scorsi di legittimazione della scienza che sono, alme-no in parte, i grandi sistemi filosofici antichi, medie-vali e classici. È una sofferenza continua. Un pen-siero risoluto come quello di Cartesio non riesce ad esporre la legittimità della scienza che all'inter-no di quella che Valéry chiamava la storia di uno spirito, 1 0 0 o in quella specie di romanzo di forma-zione (Bildungsroman) che è il Discorso sul metodo. Aristotele è stato indubbiamente uno dei più mo-derni isolando la descrizione delle regole cui devono sottostare gli enunciati che si dichiarano scientifici

" Devo la terminologia a G . GENETTE, Figure III..., cit. ™ Cfr. P. VALÉRY, Introduction à la méthode de Léonard de

Vinci, (1894), Gallimard, Paris 1957. L'edizione contiene anche Mar-ginalia (1930), Note et digression (1919), Léonard et les philosophes (1929).

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(l'Organon), e della ricerca della loro legittimità al-l'interno di un discorso sull'Essere (la Metafìsica). Ma ancor più nel suggerire che il linguaggio scienti-fico, e la sua pretesa di affermare l'essere del refe-rente, è costituito esclusivamente di argomentazioni e prove, cioè a dire di dialettica. 1 0 1

Con la scienza moderna, compaiono due nuovi elementi nella problematica della legittimazione. In primo luogo, per rispondere alla domanda: come provare la prova?, o, più in generale: chi decide delle condizioni del vero?, ci si allontana dalla ricer-ca metafisica di una prova originaria o di ima auto-rità trascendente, si riconosce che le condizioni del vero, in altre parole le regole del gioco scientifico, sono immanenti al gioco stesso, che esse non pos-sono essere definite se non in seno ad un dibattito già esso stesso scientifico, e che non esiste altra prova della bontà delle regole che non sia il loro essere oggetto del consenso degli esperti.

Questa inclinazione generale della modernità a definire le condizioni di un discorso in un discorso sulle condizioni si accompagna ad una reintegrazio-ne della dignità delle culture narrative (popolari), già nell'Umanesimo rinascimentale, e successivamen-te con modalità diverse, nell'Illuminismo, nello Sturm uni Drang, nella filosofia idealista tedesca, nella scuola storica francese. La narrazione non è più un lapsus della legittimazione. Questo esplicito ricorso alla narrazione nella problematica del sapere coin-cide con l'emancipazione delle borghesie dalle auto-rità tradizionali. Il sapere narrativo ricompare in Occidente per offrire una soluzione alla legittima-zione delle nuove autorità. È naturale che, in un ambito problematico di tipo narrativo, la risposta che si attende consista nella declinazione di un no-me di eroe: chi ha il diritto di decidere per la so-

i»1 Cfr. P . AUBBNQUB, Le problemi de l'Etre chez Aristote, P . U . F . , Paris 1962.

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cietà? quai è il soggetto le cui prescrizioni hanno valore normativo per coloro che esse obbligano?

Questo modo di interrogare la legittimità socio-politica si combina con la nuova attitudine scienti-fica: il nome dell'eroe è il nome del popolo, il segno della legittimità è il consenso popolare, il modo della produzione normativa è la deliberazione. Ne deriva immancabilmente l'idea di progresso: essa non rap-presenta altro che il movimento in ragione del quale si suppone che si accumuli il sapere, movimento che viene però esteso al nuovo soggetto socio-poli-tico. Il popolo è impegnato in un confronto con se stesso su ciò che è giusto o ingiusto allo stesso modo in cui la comunità degli scienziati s'interroga sul vero e sul falso; il primo accumula le leggi civili come la seconda accumula le leggi scientifiche; il primo perfeziona le regole del proprio consenso at-traverso disposizioni costituzionali che la seconda riesamina alla luce delle sue conoscenze producen-do nuovi "paradigmi". 1 0 2

È evidente che questo "popolo" è del tutto di-verso da quello implicato nei saperi narrativi tra-dizionali, i quali, come già detto, non richiedono alcuna deliberazione istitutiva, o progressione cumu-lativa, o pretesa di universalità: queste sono cate-gorie operative del sapere scientifico. Nessuna mera-viglia quindi se i rappresentanti della nuova legit-timazione "popolare" sono anche gli affossatori dei saperi popolari tradizionali, concepiti ormai come minoranze o potenziali separatismi necessariamente votati all'oscurantismo. 1 0 3

Si può capire ugualmente come l'esistenza reale di questo soggetto forzatamente astratto (perché modellato sul paradigma del solo soggetto conoscen-te, cioè del destinatore-destinatario di enunciati de-

1 0 2 Cfr. P . D U H E M , Essai sur la notion de théorie physique de Platon à Galilée, Hermann, Paris 1908; A . KOYBS, Studi galileiani, Einaudi, Torino 1976, T. K U H N , op. cit.

I® Cfr. M . DB CERTEAU, D . JULIA, J . REVEL, Une politique de la langue. La Révolution française et les patois, Gallimard, Paris 1975.

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notativi con valore di verità, escludendo gli altri gio-chi linguistici) sia sospesa alle istituzioni in cui si suppone che esso deliberi e decida, e che abbracciano tutto o parte dello Stato. Ecco perché la questione dello Stato e quella del sapere scientifico si trovano strettamente intrecciate.

D'altro canto è anche evidente che tale intreccio non può essere semplice. Il "popolo" infatti, che si identifica con la nazione o anche con l'umanità, non si limita, soprattutto nelle sue istituzioni politiche, a conoscere; esso legifera, formula cioè prescrizioni che hanno valore normativo. 1 0 4 Non esercita dunque la sua competenza solo in materia di enunciati de-notativi che riguardano la verità, ma anche in ma-teria di enunciati prescrittivi con pretesa di giu-stizia. Ma è proprio questa, lo si è detto, la proprietà del sapere narrativo, su cui si fonda il suo stesso concetto, di comprendere entrambe le competenze, per non parlare delle altre.

Il modo di legittimazione di cui stiamo parlando, che reintroduce la narrazione come strumento di validazione del sapere, può quindi svilupparsi in due direzioni, a seconda che rappresenti il soggetto della narrazione come cognitivo o pratico: come un eroe della conoscenza oppure come un eroe della libertà. In ragione di questa alternativa, non solo la legittima-zione perde il suo senso univoco, ma lo stesso rac-conto appare già insufficiente a darne una versione completa.

9. Narrazione e legittimazione del sapere Prenderemo in esame due grandi versioni di nar-

razione legittimante, la prima più politica, la secon-m Sulla distinzione fra prescrizioni e norme, vedi G. KAUNOWSKI,

Du métalangage en logique. Réflexions sur la logique diontique et son rapport avec la logique des normes, Documento di lavoro 48, Università di Urbino, novembre 1975.

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da più filosofica, entrambe di grande importanza nella storia moderna, in particolare nella storia del sapere e delle sue istituzioni.

La prima è quella che ha per soggetto l'umanità rappresentata come eroe della libertà. Tutti i popoli hanno diritto alla scienza. Se il soggetto sociale non è anche soggetto del sapere scientifico, ciò avviene perché preti e tiranni gliel'hanno impedito. Il diritto alla scienza dev'essere riconquistato. E comprensi-bile come una simile narrazione prescriva una poli-tica dell'insegnamento primario piuttosto che di uni-versità e di scuole superiori. 1 0 3 La politica educativa della III Repubblica è fortemente rappresentativa di questi presupposti.

Quanto all'insegnamento superiore, questa pro-spettiva sembra doverne ridurre la portata. In questo senso vengono generalmente riportate le disposizioni assunte in riguardo da Napoleone nel-l'intento di produrre le competenze amministrative e professionali necessarie alla stabilità dello Stato. 1 0 6

Il che significa trascurare che lo Stato, considerato nella prospettiva della narrazione delle libertà, non riceve la propria legittimità da se stesso, ma dal popolo. Che le istituzioni di insegnamento superiore siano chiaramente votate dalla politica imperiale ad essere i vivai dei quadri dello Stato e solo accesso-riamente della società civile, è dunque perché si suppone che attraverso le amministrazioni e le pro-fessioni in cui si eserciterà la loro attività sarà la

1 0 5 Troviamo un riflesso di tale politica nell'istituzione di una classe di filosofia alla fine degli studi secondari. Come pure nel pro-getto del Gruppo di ricerca sull'insegnamento della filosofia per inse-gnare "della filosofia" a partire dal primo ciclo di studi secondari: G.R.E.P.H., La philosophie déclassée, in Qui a peur de la philoso-phie?, Flammarion, Paris 1977. Sembra essere lo stesso orientamento che ispira la struttura dei programmi dei C.E.G.E.P. nel Québec, in particolare quelli di filosofia (vedi ad es. i Cahiers de l'enseignement collégial 1915-1976 per la filosofia).

106 Vedi H. JANNE, L'Université et les besoins de la société con-temporaine, in "Cahiers de l'Association internationale des univer-sités", 10, ( 1 9 7 0 ) , 5 ; citato in COMMISSION D'ÉTUDE SUR LES UNIVERSITÉS. Document de consultation, Montréal 1978.

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nazione stessa a conquistare le sue libertà grazie alla diffusione dei nuovi saperi nella popolazione. Lo stesso ragionamento vale a fortiori per la fonda-zione delle istituzioni propriamente scientifiche. Ri-troviamo il ricorso alla narrazione delle libertà ogni volta che lo Stato si assume direttamente il compito della formazione del "popolo" in quanto nazione e della sua messa in marcia sulla via del progresso. 1 0 7

Nella seconda narrazione legittimante, il rap-porto fra scienza, nazione e Stato dà luogo ad una elaborazione completamente diversa. Ciò è apparso evidente nel momento della fondazione dell'univer-sità di Berlino fra il 1807 ed il 1810.108 L'influenza di tale avvenimento sull'organizzazione dell'insegna-mento superiore nei paesi giovani del XIX e del XX secolo sarà notevole.

In occasione di tale fondazione, il ministero prus-siano si trovò combattuto fra un progetto di Fichte e le considerazioni di opposta natura presentate da Schleiermacher. Wilhelm von Humboldt dovette ri-solvere il caso; decise a favore dell'opzione più "libe-rale" del secondo.

Leggendo le memorie di Humboldt, potremmo es-sere tentati di ridurre tutta la sua politica dell'isti-tuzione scientifica al celebre principio: "Cercare la scienza per se stessa." Ma ciò significherebbe equi-vocare sulla finalità di tale politica, assai vicina a quella esposta più compiutamente da Schleièrma-

1 0 7 Ne troviamo un'espressione "dura" (quasi mistico-militare) in JULIO DB MESQUITA Fimo, Discorso de Paraninfo da primeiro turma de licenciados pela Faculdade de Filosofia, Cièncas e Letras da Uni-versidade de SSo Paulo, (25 gennaio 1937); ed un'espressione adattata ai problemi moderni dello sviluppo in Brasile nel Relatorio do Grupo de, Trabalho, Reforma Universitaria, Ministeri dell'educazione e della cultura, del piano, ecc., Brasilia, agosto 1968. Questi documenti fanno parte di un dossier sull'università brasiliana che mi è stato gentilmente messo a disposizione da Helena C. Chamlian e Martha Ramos de Carvalho, dell'università di San Paolo, che ringrazio.

! M II dossier relativo è accessibile al lettore di lingua francese grazie alle cure di M. Abensour e del Collegio di filosofia: Philoso-phies de l'Vniversité. L'idealisme allemand et la question de l'univer-siti (testi di Schelling, Fichte, Schleiermacher, Humboldt, Hegel), Payot, Paris 1979.

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cher, e che domina il principio di legittimazione che ci interessa.

Certamente Humboldt afferma che la scienza ob-bedisce esclusivamente alle proprie regole, che l'isti-tuzione scientifica "vive e si rinnova continuamente da se stessa, senza vincolo alcuno né finalità deter-minata". Aggiunge però che l'università deve met-tere il suo materiale, la scienza, al servizio della "formazione spirituale e morale della nazione".1 0 9 Co-me può questo effetto di Bildung derivare da una ricerca disinteressata della conoscenza? Lo Stato, la nazione, l'intera umanità non sono forse indiffe-renti al sapere considerato per se stesso? E in effetti ciò che li riguarda non è, secondo quanto dichiara Humboldt, la conoscenza, bensì "il carattere e l'azione".

Il consulente del ministro si trova cosi di fronte ad un conflitto di ordine superiore, non privo di re-lazioni con la frattura fra conoscere e volere intro-dotta dalla critica kantiana, il conflitto fra un gioco linguistico fondato su enunciati denotativi che si rifanno esclusivamente al criterio della verità ed un gioco linguistico che comanda la pratica etica, sociale, politica, e che implica necessariamente de-cisioni ed obbligazioni, enunciati cioè da cui non ci si attende che siano veri, ma giusti, e che in ultima analisi non appartengono dunque al sapere scientifico.

In ogni caso l'unificazione di questi due insiemi di discorso è indispensabile alla Bildung perseguita dal progetto humboldtiano, la quale non consiste solo nell'acquisizione di conoscenze individuali, ma anche nella formazione di un soggetto pienamente legittimato del sapere e della società. Humboldt si appella dunque ad uno Spirito, che Fichte definiva anche Vita, mosso da una triplice aspirazione, o me-glio, da ima aspirazione triplicemente unitaria:

Sur t'organisation interne et externe des établissements scien-tifiques supérieurs à Berlin, (1810), in Philosophies de l'Vniversité, cit., p. 321.

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"quella di derivare tutto da un principio originario", cui risponde l'attività scientifica; "quella di ricon-durre tutto a un ideale", che governa la pratica etica e sociale; "quella di unificare questo principio e questo ideale in una sola Idea", che garantisce la necessaria identità fra la ricerca scientifica delle ve-re cause ed il perseguimento dei giusti fini nella vita morale e politica. Il soggetto legittimo si costituisce attraverso quest'ultima sintesi.

Di passaggio Humboldt aggiunge che questa tri-plice aspirazione appartiene di natura al "carattere intellettuale della nazione tedesca". 1 1 0 Concessione, peraltro discreta, all'altra narrazione, all'idea cioè del popolo come soggetto del sapere. In verità si tratta di una idea ben lontana dall'essere conforme alla narrazione legittimante del sapere proposta dal-l'idealismo tedesco. Ne sia il segno la diffidenza di Schleiermacher, di Humboldt e dello stesso Hegel nei confronti dello Stato. Se Schleiermacher teme il nazionalismo in senso stretto, il protezionismo, l'utilitarismo, il positivismo che guida l'atteggiamen-to dei pubblici poteri in materia di scienza, è perché il principio della seconda non risiede, nemmeno in-direttamente, nei primi. Il soggetto del sapere non è il popolo, bensì lo spirito speculativo. Esso non si incarna, come in Francia dopo la Rivoluzione, in uno Stato, ma in un Sistema. Il gioco linguistico della legittimazione non è politico-statale, ma filosofico.

La grande funzione cui le università devono adem-piere, consiste nell' "esporre l'insieme delle cono-scenze ed esplicitare contemporaneamente i principi ed i fondamenti di ogni sapere", perché "non esiste capacità scientifica creatrice senza spirito specula-tivo". 1 1 1 Speculazione è qui il nome che fonda il di-scorso sulla legittimazione v del discorso scientifico. Le scuole superiori sono funzionali, l'università è

"» Ibid., p. 323. 1 1 1 F . SCHLEIERMACHER, Pensées de circonstance sur les universitis de conception allemande, (1808), ibid., pp. 270-271.

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speculativa, cioè filosofica.112 La filosofia deve riuni-ficare le conoscenze disperse in scienze particolari nei laboratori e nei corsi di insegnamento preuni-versitari; ciò che può fare solo mediante un gioco linguistico che le ricolleghi come momenti del dive-nire dello spirito, quindi mediante una narrazione, o piuttosto una metanarrazione razionale. L'Enciclo-pedia di Hegel (1817-27) sarà un tentativo di soddi-sfare questo progetto di totalizzazione, già presente in Fichte e in Schelling come idea di Sistema.

È là, nel dispositivo di sviluppo di una Vita che è nello stesso tempo Soggetto, che si staglia il ri-torno del sapere narrativo. Esiste una "storia" uni-versale dello spirito, lo spirito è "vita", e questa "vita" è rappresentazione e formulazione della sua stessa natura, essa si serve della conoscenza orga-nizzata in tutte le sue forme nelle scienze empiriche. L'enciclopedia dell'idealismo tedesco è la narrazione della "storia" di questo soggetto-vita. Ma ciò che ne nasce è un metaracconto, perché il racconto non deve essere narrato da un popolo immerso nella positività particolare dei suoi saperi tradizionali, e neppure dalla comunità dei sapienti limitati dai pro-fessionalismi che corrispondono alle loro discipline.

Il narratore non può essere che un metasoggetto impegnato nella formulazione tanto della legittimità dei discorsi scientifici empirici che di quella delle istituzioni immediate delle culture popolari. Affer-mandone il fondamento comune, il metasoggetto rea-lizza il loro fine implicito. La sua dimora è l'univer-sità speculativa. Scienza positiva e popolo sono solo le sue forme brute. Nemmeno lo Stato-nazione è in grado di esprimere validamente il popolo se non attraverso la mediazione del sapere speculativo.

Era necessario affinare la filosofia che doveva legittimare la fondazione dell'università berlinese e costituire nello stesso tempo il motore del suo svi-

l u "L'insegnamento filosofico è riconosciuto generalmente come il fondamento di ogni attiviti universitaria" (ibid., p. 272).

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luppo e di quello del sapere contemporaneo. Come si è detto, questa organizzazione universitaria è ser-vita di modello per la costituzione o la riforma del-l'insegnamento superiore nel XIX e nel XX secolo in molti paesi, a partire dagli Stati Uniti. 1 1 3 Ma so-prattutto, questa filosofìa, che è lontana dall'essere sparita, particolarmente nell'ambiente universita-rio, 1 1 4 suggerisce una rappresentazione particolarmen-te vivace di una soluzione donata al problema della legittimità del sapere.

La ricerca e la diffusione della conoscenza non si giustificano in base ad un principio utilitaristico. Non si pensa in alcun modo che la scienza debba servire gli interessi dello Stato e/o della società ci-vile. Il principio umanista in base al quale si ritiene che l'umanità si elevi in dignità e libertà grazie al sapere viene dimenticato. L'idealismo tedesco ricor-re ad un metaprincipio che fonda contemporanea-mente lo sviluppo della conoscenza, della società e dello Stato nel compimento della "vita" di un Sog-getto che Fichte chiama "Vita divina" ed Hegel "Vita dello spirito". In questa prospettiva, il sapere trova la sua legittimità prima di tutto in se stesso, è lui che può dire cosa sia lo Stato e cosa sia la società. 1 1 5

Ma può interpretare questo ruolo solo mutando, per dir cosi, di grado, abbandonando la sua natura di conoscenza positiva del proprio referente (la natura, la società, lo Stato, ecc.) per divenire anche il sapere dei suoi saperi, speculativo cioè. Col nome di Vita, di Spirito, è se stesso che nomina.

Un notevole risultato del dispositivo speculativo, è il fatto che tutti i discorsi conoscitivi su qualsiasi possibile referente non ne fanno parte con il loro valore di verità immediata, ma con il valore che as-

1 , 3 A. TOURAINE analizza le contraddizioni di questa trasposizione in Universiti et soditi aux Stats-Unis, Seuil, Paris 1972, pp. 32-40. 1 1 4 Riscontrabile fino nelle conclusioni di R . NISBET, The Degra-dation of the Academic Dogma: the University in America, 1945-1970, Heinemann, London 1971. 1 1 5 Cfr. HEGEL, Lineamenti di filosofia del diritto, Laterza, Bari 1965'.

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suraono perché occupano una certa posizione nel percorso dello Spirito o della Vita, o, se si preferi-sce, nell'Enciclopedia che racconta il discorso specu-lativo. Per parte sua, quest'ultimo li cita esponendo ciò che sa, vale a dire esponendo se stesso. In que-sta prospettiva il vero sapere è sempre un sapere indiretto, formato da enunciati riferiti, e incorporati nella metanarrazione di un soggetto che ne assicura la legittimità.

Lo stesso avviene per tutti i discorsi, anche se non si tratta di discorsi conoscitivi, come quelli sul diritto o sullo Stato per esempio. Il discorso erme-neutico contemporaneo 1 1 6 nasce da tale presupposto, che garantisce finalmente l'esistenza di un senso da conoscere e che conferisce ugualmente legittimità alla storia, in particolare alla storia della conoscen-za. Gli enunciati sono assunti come propri autoni-m i , m e collocati in un movimento in cui si suppone che si generino l'un l'altro: tali sono le regole del gioco linguistico speculativo. L'università, come in-dica il suo nome, ne è l'istituzione esclusiva.

Ma, lo si è detto, il problema della legittimità può essere risolto con l'altra procedura. Dobbiamo sottolinearne la differenza, oggi che questa versio-ne — la prima — della legittimazione ha trovato nuovo vigore nel momento in cui lo statuto del sa-pere appare squilibrato e la sua unità speculativa frantumata.

Secondo questa procedura, il sapere non trova la sua validità in se stesso, in un soggetto che si svi-luppa attualizzando le proprie possibilità di cono-scenza, bensì in un soggetto pratico che si identifica con l'umanità. Il principio di movimento che anima il popolo non è il sapere nella sua autolegittimazio-

1 1 6 Cfr. P . RICOEUR, Il conflitto delle interpretazioni, Jaca Book, Milano 1977; H. GADAMER, Verità e metodo, Fabbri, Milano 1972. 1 1 7 Siano due enunciati: (1) B sorta la luna; (2) L'enunciato / è sorta la luna / è un enunciato denotativo. Si dice che in (2) il sin-tagma / è sorta la luna / è l'autonimo di ( 1 ) . Cfr. X. REY-DEBOVE, Le métalangage. Le Robert, Paris 1978, parte IV.

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ne, ma la libertà nella sua autofondazione, o, se si preferisce, nella sua autogestione. Il soggetto è un soggetto concreto o supposto tale, la sua epopea è quella della sua emancipazione da tutto ciò che gli impedisce di autogovernarsi. Si suppone che si dia leggi giuste, non perché conformi a qualche natura esteriore, ma perché i legislatori si identificano per costituzione con i cittadini sottomessi alle leggi, e quindi perché la volontà, che è quella del legislatore, che la legge sia giusta, è sempre identica alla vo-lontà del cittadino che consiste nel volere la legge e quindi nell'osservarla.

Questa modalità di legittimazione per autonomia della volontà 1 1 8 privilegia, come appare evidente, un gioco linguistico del tutto differente, che Kant definiva imperativo, e che i contemporanei chiamano prescrittivo. Importante non è, o non è solo, legit-timare enunciati denotativi, fondati sul vero, quali: La Terra ruota attorno al sole, ma (legittimare) enunciati prescrittivi, fondati sul giusto, quali: biso-gna distruggere Cartagine, oppure: bisogna fissare il salario minimo a x franchi. In questa prospettiva, il ruolo del sapere positivo è esclusivamente quello di informare il soggetto pratico della realtà in cui dev'essere inscritta l'esecuzione della prescrizione. Esso deve consentirgli di circoscrivere ciò che può essere eseguito, ciò che si può fare. Non gli appar-tiene invece la definizione del dover eseguire, di ciò che si deve fare. Che una azione sia possibile è una cosa, che sia giusta è un'altra. Il sapere non si identifica più col soggetto, è al suo servizio; la sua legittimità consiste esclusivamente (ma non è poco) nel consentire alla moralità di divenire realtà.

Viene cosi introdotto un rapporto fra il sapere 1 1 1 Che risponde, almeno in materia di etica trascendentale, ad un principio kantiano: vedi la Critica della ragion pratica. In materia di politica e di etica empirica, Kant è prudente: dato che nulla può identificarsi al soggetto normativo trascendentale, è teoricamente più corretto giungere ad un compromesso con le autorità esistenti. Vedi ad esempio: Risposta alla domanda: che cos'i l'illuminismo, in Scritti politici, UTET, Torino 1956.

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la società e il suo Stato che è in linea di principio quello di mezzo a fine. Inoltre gli scienziati devono accettare di esservi coinvolti solo se giudicano giu-sta la politica dello Stato, cioè l'insieme delle sue prescrizioni. Possono rifiutare le prescrizioni dello Stato in nome della società civile di cui sono mem-bri qualora valutino che la seconda non è ben rap-presentata dal primo. Questo tipo di legittimazione riconosce loro l'autorità, in quanto soggetti umani concreti, di rifiutare di offrire la propria coopera-zione di scienziati ad un potere politico che essi giudicano ingiusto, cioè non fondato sull'autonomia in senso proprio. Essi possono addirittura arrivare a fare uso della loro scienza per dimostrare come l'autonomia non sia effettivamente realizzata nella società e nello Stato. Riappare cosi la funzione cri-tica del sapere. Non muta però il fatto che in ultima istanza la legittimità di quest'ultimo consiste esclu-sivamente nel servire i fini indicati dal soggetto pratico che è la collettività autonoma. 1 1 9

Dal nostro punto di vista, una simile distribu-zione dei ruoli nell'impresa della legittimazione è interessante perché presuppone, contrariamente alla teoria del sistema-soggetto, l'impossibilità di unifi-cazione e di totalizzazione dei giochi linguistici in un metadiscorso. Il privilegio accordato agli enun-ciati prescrittivi, che sono quelli proferiti dal sog-getto pratico, li rende qui invece in linea di princi-pio indipendenti dagli enunciati scientifici, che nei confronti del soggetto in questione non hanno ormai che una funzione informativa.

Due annotazioni:

Vedi Kant, loc. cit.; J . HABERMAS, Storia e critica dell'opinione pubblica (Öffentlichkeit), Laterza, Bari 1974. Il termine pubblica è inteso come nelle espressioni: "rendere pubblica una corrispondenza privata", "dibattito pubblico", ecc. Questo principio di öffentlichkeit ha guidato l'azione di molti gruppi di scienziati alla fine degli anni Sessanta, in particolare il movimento "Survivre", il gruppo "Scien-tists and Engineers for Social and Politicai Action" (USA) ed il gruppo "British Society for Social Responsibility in Science» (GB).

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1. Sarebbe facile dimostrare che il marxismo ha oscillato fra le due modalità di legittimazione appe-na descritte. Basta mettere il partito al posto del-l'università, il proletariato a quello del popolo o del-l'umanità, il materialismo dialettico a quello del-l'idealismo speculativo, ecc.; può risultarne lo stali-nismo, ed il suo particolare rapporto con le scienze, che in questo caso si riducono a citazioni della meta-narrazione sulla marcia verso il socialismo che equi-vale alla vita dello spirito. È invece possibile che, in conformità alla seconda versione, vi sia uno svi-luppo verso il sapere critico, assumendo che il so-cialismo si identifica con la costituzione del soggetto autonomo e che la giustificazione delle scienze con-siste esclusivamente nell'offrire al soggetto empirico (il proletariato) i mezzi della sua emancipazione dal-l'alienazione e dalla repressione: tale è stata som-mariamente la posizione della Scuola di Franco-forte.

2. Il Discorso pronunciato' da Heidegger il 27 maggio 1933 in occasione della sua nomina a rettore dell'Università di Fribourg-en-Brisgau può essere let-to come un episodio disgraziato della legittimazio-ne. 1 2 0 La scienza speculativa è qui divenuta la do-manda dell'essere. L'essere è il "destino" del popolo tedesco, definito "popolo storico-spirituale". Questo è il soggetto cui si devono i tre servizi: del lavoro, della difesa, e del sapere. L'università garantisce il metasapere dei tre servizi, cioè la scienza. La legit-timazione avviene dunque come nell'idealismo attra-verso un metadiscorso chiamato scienza, con prete-se ontologiche. Ma si tratta di un discorso proble-matico, e non totalizzante. D'altra parte l'università, che è il luogo in cui esso si tiene, deve questa scienza ad un, popolo che ha la "missione storica" di rea-lizzarla lavorando, combattendo e sapendo. Questo

G. Granel ne ha offerto una traduzione francese in "Phi", supplemento agli "Annales de l'université de Toulouse-Le Mirail", Toulouse (gennaio 1977).

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popolo-soggetto non è votato all'emancipazione del-l'umanità, ma alla realizzazione del suo "vero mon-do dello spirito", che è "la potenza di conservazione più profonda delle sue forze di terra e di sangue". Questa inscrizione del racconto della razza e del lavoro in quello dello spirito, che deve legittimare il sapere e le sue istituzioni, è doppiamente disgra-ziata: teoricamente inconsistente, è tuttavia riuscita a trovare una eco disastrosa nel contesto politico.

10. La delegittimazione Nella società e nella cultura contemporanee, so-

cietà postindustriale, cultura postmoderna, 1 2 1 il pro-blema della legittimazione del sapere si pone diver-samente. La grande narrazione ha perso credibilità, indipendentemente dalle modalità di unificazione che le vengono attribuite: sia che si tratti di racconto speculativo, sia di racconto emancipativo.

Questo declino del narrativo può essere interpre-tato come un effetto del decollo delle tecniche e delle tecnologie a partire dalla seconda guerra mon-diale, che ha posto l'accento sui mezzi piuttosto che sui fini dell'azione; oppure del rinnovato sviluppo del capitalismo liberale avanzato dopo la sua riti-rata protetta dal keynesismo fra gli anni 1930-1960, rinnovamento che ha liquidato l'alternativa comuni-sta e valorizzato il godimento individuale dei beni e dei servizi.

La ricerca di questi nessi causali è sempre fuor-viarne. Supponendo di accettare l'una o l'altra di queste ipotesi, resta da spiegare la correlazione fra le tendenze evocate ed il declino della potenza unifi-

ui Vedi nota 1. Alcuni aspetti scientifici del postmodernismo sono inventariati da I . HASSAN, Culture, Indeterminacy and Immanence: Margins of the (Postmodern) Age, in "Humanities in Society", 1, (inver-no 1978), pp. 51-85.

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catrice e legittimante delle grandi narrazioni specu-lative ed emancipative.

Naturalmente, l'impatto che la ripresa e la pro-sperità capitalistica da una parte, e l'effetto depi-stante del decollo tecnologico dall'altra, possono eser-citare sullo statuto del sapere, è chiaro. Ma è in pri-mo luogo necessario rintracciare i germi di "dele-gittimazione" 1 2 2 e di nichilismo che erano già imma-nenti alle grandi narrazioni del XIX secolo per com-prendere come la scienza contemporanea fosse già esposta a simili impatti assai prima che essi aves-sero luogo.

Soprattutto il dispositivo speculativo nasconde una specie di equivoco in rapporto al sapere. Esso dimostra che quest'ultimo non è degno del suo nome se non quando si raddoppia ("viene fuori", hebt sich auf) nell'autocitazione dei propri enunciati in seno ad un discorso di secondo grado (autonimia) che li legittima. Come dire che, nella sua immediatezza, il discorso denotativo fondato su un referente (un or-ganismo vivente, una proprietà chimica, un feno-meno fisico, ecc.) non sa in realtà ciò che crede di sapere. La scienza positiva non è sapere. E la specu-lazione si nutre della sua soppressione. In tal modo, il racconto speculativo hegeliano racchiude, e ne sia testimone lo stesso Hegel,1 2 3 uno scetticismo nei con-fronti della conoscenza positiva.

Una scienza che non ha trovato la sua legittimità non è vera scienza, essa cade al più basso dei ran-ghi, quello di ideologia o di strumento di potenza, se il discorso che doveva legittimarla si è esso stesso presentato come prodotto da un sapere pre-scientifico, allo stesso modo di un "volgare" raccon-to. Ma questo è inevitabilmente il suo destino se gli

1 2 2 C. Mueller usa l'espressione "processo di delegittimazione" in The Politici of Communication, Oxford University Press, London 1976, p. 164. 1 2 3 Nella Prefazione della Fenomenologia dello spirito, per descri-vere l'effetto della pulsione speculativa sulla conoscenza naturale, Hegel parla di "via del dubbio", "via della disperazione", "scetti-cismo".

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si ritorcono contro le regole del gioco scientifico che denuncia come empiriche.

Consideriamo l'enunciato speculativo: un enun-ciato scientifico è sapere se, e soltanto se, si situa a sua volta in un processo generativo universale. La domanda è: questo enunciato è sapere nel senso che esso stesso determina? È tale soltanto se può essere a sua volta collocato in un processo genera-tivo universale. Ebbene ciò è possibile. Basta sup-porre che tale processo esista (la Vita dello spirito) e che l'enunciato ne sia una espressione. Si tratta di un presupposto indispensabile per il gioco lingui-stico speculativo. In sua assenza, il linguaggio della legittimazione non sarebbe legittimo, e piombereb-be come la scienza nel nonsenso, almeno a dar retta all'idealismo.

Il presupposto può essere però interpretato in un senso del tutto diverso, che ci avvicina alla cul-tura postmoderna: potremmo dire, conservando la prospettiva sopra adottata, che esso definisce il grup-po di regole che devono essere accettate per giocare il gioco speculativo.1 2 4 Un simile giudizio presuppone in primo luogo che si accetti come forma generale del linguaggio del sapere quello delle scienze "positive", e secondariamente che si stimi che tale linguaggio implichi dei presupposti (formali e assiomatici) che esso deve sempre esplicitare. Su un piano diverso, Nietzsche si comporta esattamente cosi quando di-mostra che il "nichilismo europeo" discende dal-l'autoapplicazione dell'esigenza scientifica di verità all'esigenza stessa. 1 2 5

Si fa cosi luce l'idea di prospettiva, che non è lontana, almeno in questo contesto, da quella di

1 2 4 Nel timore di appesantire l'esposizione, rinviamo ad uno studio successivo l'analisi di questo gruppo di regole. 1 2 5 Cfr. NIETZSCHE, Der Nihilism, ein normaler Zustand, e Zum Plane, (1887-1889) traduzione italiana in Opere, vol. V I L I , tomo 2 , Adelphi, Milano 1971. Questi e altri frammenti (Der europäische Nihi-lismus e Kritik des Nihilism) sono oggetto di un commento di K.

RYJIK, Nietzsche, le manuscrit de Lenzer, dattiloscritto, Dipartimento di filosofia, Università di Parigi Vili (Vincennes).

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gioco linguistico. Siamo di fronte ad un processo di delegittimazione mosso dall'esigenza di legittimazio-ne. La "crisi" del sapere scientifico, i cui sintomi si sono moltiplicati dalla fine del XIX secolo, non na-sce da una proliferazione casuale delle discipline scientifiche che sarebbe a sua volta effetto del pro-gresso delle tecniche e dell'espansione del capitali-smo. Essa è il prodotto dell'erosione interna del principio di legittimazione. Questa erosione è già al lavoro nel gioco speculativo, è lei che consente l'emancipazione delle singole discipline scientifiche, allargando le maglie della rete enciclopedica in cui ognuna di esse doveva essere collocata.

Nello stesso tempo le delimitazioni classiche dei diversi campi scientifici sono sottoposte ad un pro-cesso di revisione: certe discipline spariscono, si producono sconfinamenti alle frontiere, da cui han-no origine nuovi territori. La gerarchia speculativa delle; conoscenze lascia il campo ad una rete imma-nente e per cosi dire "piatta" di investigazioni le cui rispettive frontiere sono in continuo movimento. Le antiche "facoltà" si disintegrano in istituti e fonda-zioni di ogni genere, le università perdono la loro funzione di legittimazione speculativa. Spogliate dal-la responsabilità della ricerca, affossata dal raccon-to speculativo, esse si limitano a trasmettere i saperi giudicati come acquisiti e garantiscono attraverso la didattica la riproduzione dei professori piuttosto che degli scienziati. È in questo stato che Nietzsche le trova, e le condanna. 1 2 6

Quanto all'altra procedura di legittimazione, quel-la che nasce dall' Aufklärung, il dispositivo emanci-pativo, la sua potenza intrinseca d'erosione non è minore di quella operante nel discorso speculativo. Ma esso si fonda su un altro aspetto. La sua caratteri-stica è quella di fondare la legittimità della scienza, la verità, sull'autonomia degli interlocutori impegnati

In Sull'avvenire delle nostre scuole, <1872) in Opere, vol. I l i , tomo 1, Adelphi, Milano 1972.

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nella prassi etica, sociale e politica. Orbene, come abbiamo visto, questa legittimazione è immediata-mente problematica: fra un enunciato denotativo di valore cognitivo ed un enunciato prescrittivo di va-lore pratico, la differenza è di pertinenza, dunque di competenza. Nulla prova che, se un enunciato che definisce una realtà è vero, l'enunciato prescrittivo, che dovrà necessariamente modificare la realtà, sia giusto.

Consideriamo una porta chiusa. Fra La porta è chiusa e Aprite la porta, non esiste rapporto di con-sequenzialità nel senso della logica proposizionale. I due enunciati derivano da due insiemi di regole autonomi, che determinano pertinenze differenti, e quindi competenze differenti. Il risultato di questa divisione della ragione in cognitiva e teoretica da una parte e pratica dall'altra è in questo caso un attacco alla legittimità del discorso scientifico, non diretto, ma indiretto, che consiste nello svelare che esso è un gioco linguistico dotato di proprie regole (le condizioni a priori della conoscenza in Kant ne sono un primo accenno), ma privo di qualsiasi voca-zione a regolamentare il gioco pratico (ma anche este-tico, del resto). In questo modo esso viene messo in condizioni di parità con gli altri giochi.

Questo tipo di "delegittimazione", se la si perse-gue anche limitatamente, e se se ne coglie la portata, e Wittgenstein a modo suo lo fa, come a modo loro lo fanno pensatori come Martin Buber e Emmanuel Lévinas,1 2 7 spiana la strada ad una corrente impor-tante della postmodernità: la scienza gioca il suo gioco, non può legittimare altri giochi linguistici. Per esempio, gli sfugge il gioco prescrittivo. Ma so-prattutto essa non può autolegittimarsi, contraria-mente a quanto supponeva l'ipotesi speculativa.

1 2 7 Cfr. M. BUBER, Je et Tu, Aubier, Paris 1938; dello stesso autore, Dialogisches Leben, Muller, Ziirich 1947; E . LÉVINAS, Totalità e infi-nito, Saggio sull'esteriorità. Jaca Book, Milano 1980; e, dello stesso autore, Martin Buber et la théorie de la connaissance, in Noms pro-pres, Fata Morgana, Montpellier 1976.

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Lo stesso soggetto sociale sembra dissolversi in questa disseminazione di giochi linguistici. Il le-game sociale è linguistico, ma non è fatto di un'uni-ca fibra. È una trama in cui si intrecciano almeno due, in realtà un numero indefinito, tipi di gioco linguistico, governati da regole differenti. Wittgen-stein scrìve:

Il nostro linguaggio può essere considerato come una vecchia città: un dedalo di stradine e di piazze, di case vecchie e nuove, e di case con parti aggiunte in tempi di-versi; e il tutto circondato da una rete di nuovi sobborghi con strade diritte e regolari, e case uniformi.'2«

E, per meglio dimostrare che il principio di uni-totalità, o della sintesi autorizzata da un metadiscor-so del sapere, è inapplicabile, sottopone la "città" linguistica al vecchio paradosso del sorite, chieden-dosi: "E quante case o strade ci vogliono perché una città cominci ad essere città?" 1 2 9

Nuovi linguaggi vengono affiancandosi agli anti-chi, formando i sobborghi della vecchia città, "il simbolismo chimico, la notazione infinitesimale".1 3 0

A trentacinque anni di distanza possiamo aggiunge-re i linguaggi-macchina, le matrici della teoria dei giochi, le nuove notazioni musicali, le notazioni delle logiche non denotative (logiche temporali, deontiche, modali), il linguaggio del codice genetico, i grafi del-le strutture fonologiche, ecc.

Questa esplosione può generare un'impressione pessimistica: nessuno parla tutte queste lingue, esse non ammettono un metalinguaggio universale, il pro-getto del sistema-soggetto è fallito, quello emanci-pativo non ha nulla da spartire con la scienza, sia-mo immersi nel positivismo delle singole conoscen-ze particolari, i sapienti sono divenuti scienziati, le mansioni del lavoro di ricerca si sono moltiplicate

M WITTGENSTEIN, Ricerche..., cit., § 18. "» Ibid. Ibid.

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trasformandosi in mansioni parcellizzate che nessu-no è in grado di padroneggiare 1 3 1; la filosofìa specu-lativa o umanista dal canto suo deve rinunciare alle sue funzioni di legittimazione,1 3 2 il che spiega la stia crisi là dove pretende ancora di assumerle, e la sua riduzione a studio delle logiche o delle storie delle idee là dove essa vi ha rinunciato per realismo. 1 3 3

Di questo pessimismo si è nutrita la generazione viennese all'inizio del secolo: gli artisti, Musil, Kraus, Hofmannsthal, Loos, Schonberg, Broch, ma anche i filosofi Mach e Wittgenstein.1 3 4 Essi hanno indubbia-mente portato il più lontano possibile la coscienza e la responsabilità teorica e artistica della delegitti-mazione. Oggi possiamo affermare che il lavoro del lutto è compiuto. Non è il caso di ricominciarlo. La forza di Wittgenstein è stata quella di non esserne uscito dalla parte del positivismo sviluppato dal Cir-colo di Vienna 1 3 5 e di aver delineato attraverso la sua ricerca sui giochi linguistici la prospettiva di ima legittimazione di tipo diverso dalla performati-

m Vedi ad es. La taylorizzazione della ricerca, in (Auto)critica della scienza, cit., e, soprattutto, D . J . DB SOLLA PRICB, (Little Science, Big Science, Columbia U.P., New York 1963) il quale sottolinea la differenza fra un piccolo numero di ricercatori ad elevata produtti-vità (valutata in numero di pubblicazioni) e la gran massa di ricer-catori a bassa produttività. Il numero dei secondi aumenta in misura del quadrato del numero dei primi, il quale non aumenta veramente che ogni vent'anni. Price ne trae la conclusione che la scienza in quanto entità sociale è undemocratic (p. 59) e che the eminent sden-tisi ha cent'anni di vantaggio su the minimal one (p. 56). M CFR. J . T . DESUNTI, Sur le rapport traditionnel des sciences et de la philosophie, in La philosophie silencieuse, ou critique des phi-losophies de la science, Seuil, Paris 1975. U J A tale riguardo la riclassificazione della filosofia universitaria nell'insieme delle scienze umane riveste un'importanza che va ben al di là delle preoccupazioni dei professori. Non crediamo che la filosofia come lavoro di legittimazione sia condannata; ma è possi-bile che essa non possa compiere tale lavoro, o almeno portarlo avanti, se non riesaminando i suoi legami con l'istituzione universi-taria. In questo senso, vedi il Preambolo al Projet d'un institut poly-technique de philosophie, dattiloscritto, Dipartimento di filosofia. Uni-versità di Parigi Vi l i (Vincennes), 1979. 1 5 4 Cfr. A. JANIK, S. TOULMIN, La grande Vienna, Garzanti, Milano 1975; J. PIEL (a cura di) Vienne début d'un siicle, in "Critique", 339-340, (agosto-settembre 1975). 1 3 5 Vedi J . HABERMAS, Dogmatismo, ragione e decisione. Teoria e prassi nella dvUtà sdentifidzzata, in Prassi politica..., cit., p. 387.

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vità. È con tale prospettiva che il mondo postmo-derno ha a che fare. La nostalgia della narrazione perduta è anch'essa perduta per la maggior parte della gente. Ciò non significa in alcun modo che .essa sia votata alla barbarie. Ne è tenuta lontana dal fatto che sa che la legittimazione può avvenire esclu-sivamente attraverso la pratica linguistica e la inte-razione comunicativa. Contro ogni altra illusione, la scienza che "sorride sotto i baffi" gli ha insegnato la rude sobrietà del realismo.' 3 6

11. Ricerca, legittimazione, perfor-matività Ritorniamo alla scienza per analizzare innanzi

tutto la pragmatica della ricerca. Le sue regole es-senziali subiscono oggi due importanti modificazio-ni: l'arricchimento delle argomentazioni e la com-plicazione dell'amministrazione delle prove.

Aristotele, Cartesio, Stuart Mill, sono fra coloro che hanno tentato volta a volta di fissare le regole in base alle quali un enunciato di valore denotativo può ottenere l'adesione del destinatario. 1 3 7 La ricerca scientifica non tiene gran conto di simili metodi. Essa può ricorrere, ed effettivamente ricorre, a lin-guaggi le cui proprietà dimostrative sembrano, co-me abbiamo già detto, vere e proprie sfide alla ra-gione classica. Bachelard ne ha fatto un bilancio che è già incompleto.13"

L'uso di simili linguaggi non è tuttavia arbitrario. È legato ad una condizione che potremmo definire

136 La scienza sorride sotto i baffi è il titolo di un capitolo de l'Uomo senza qualità di Musil, citato e commentato da J . BOUVERESSE, La problematique du su jet..., cit. Aristotele negli Analitici, Cartesio nelle Regulae ad directio-nem ingenii, Stuart Mill nel Sistema della logica. Cfr. G . BACHELARD, Il razionalismo applicato, Dedalo, Bari 1975; M. SERRES, La riforme et les sept péchis, in "L'Are", 42 (numero speciale su Bachelard), 1970.

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pragmatica, quella di esplicitare le proprie regole e di chiederne l'accettazione al destinatario. Per ri-spettare tale condizione, si definisce una assiomatica che comprende: la definizione dei simboli che sa-ranno impiegati nel linguaggio proposto, la forma che le espressioni di questo linguaggio dovranno ri-spettare per poter essere accettate (espressioni ben formate), e le operazioni che sarà consentito con-durre su tali espressioni e che definiscono gli assio-mi propriamente detti. 1 3 9

Ma come si fa a sapere cosa contiene o cosa dovrebbe contenere una assiomatica? Le condizioni appena enumerate sono formali. Deve esistere un metalinguaggio che decide se un linguaggio risponde alle condizioni formali di una assiomatica: questo metalinguaggio è quello della logica.

Si impone qui di passaggio una precisazione. Che lo scienziato cominci col fissare l'assiomatica per poi ricavarne degli enunciati accettabili in base ad essa, oppure che al contrario cominci con lo sta-bilire dei fatti e con l'enunciarli, cercando poi di scoprire l'assiomatica del linguaggio di cui si è ser-vito per enunciarli, non costituisce una alternativa logica, ma esclusivamente empirica. Naturalmente essa ha grande importanza per il ricercatore, e anche per il filosofo, ma il problema della validazione degli enunciati si pone ugualmente in entrambi i casi."0

Un interrogativo più pertinente riguardo alla le-gittimazione è il seguente: in base a quali criteri il logico definisce i requisiti di una assiomatica? Esiste un modello di linguaggio scientifico? Si tratta di un modello univoco? È verificabile? Le proprietà gene-rali della sintassi di un sistema formale 1 4 1 sono: la consistenza (per esempio un sistema privo di con-

"» Cfr. D. HILBERT, Fondamenti della geometria, Feltrinelli, Milano 1970; N. BOURBAKI, L'architecture des mathématiques, in LE LIONNAIS (a cura di), Les grandi courants de la pensée mathématique, Her-mann, Paris 1948; R. BLANCHÉ, L'axiomatique, P.U.F., Paris 195S. 1 4 0 Vedi BLANCHÉ, op. cit., cap. 5. 1 4 1 Seguiamo qui R . MARTIN, Logique contemporaine et formali-sation, P.U.F., Paris 1964, pp. 33-41 e 122 sgg.

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sistenza in rapporto alla negazione potrebbe am-mettere indifferentemente una proposizione e il suo contrario), la completezza sintattica (il sistema per-de consistenza se gli si aggiunge un assioma), la de-cidibilità (esiste una procedura effettiva che consen-te di decidere se una qualsiasi proposizione appar-tenga o meno al sistema), e l'indipendenza reciproca degli assiomi. Ebbene Godei ha stabilito in modo ef-fettivo l'esistenza, nel sistema aritmetico, di una proposizione che non può essere dimostrata né con-futata nell'ambito del sistema; ciò comporta che il sistema aritmetico non soddisfa la condizione di completezza.1 4 2

Dato che questa caratteristica può essere gene-ralizzata, bisogna riconoscere l'esistenza di limiti interni ai formalismi. 1 4 3 Ciò significa che il metalin-guaggio di cui il logico si serve per descrivere un linguaggio artificiale (assiomatica) è il "linguaggio naturale", o "linguaggio quotidiano"; tale linguaggio è universale, dato che tutti gli altri si lasciano tra-durre in esso; ma non è consistente riguardo alla negazione: ammette infatti la formazione di para-dossi. 1 4 4

A partire da ciò, il problema della legittimazione del sapere si pone diversamente. Quando si afferma che un enunciato a carattere denotativo è vero, si suppone che sia stato formulato il sistema assioma-tico in cui esso può essere deciso e dimostrato, che sia noto agli interlocutori e che essi lo accettino come formalmente soddisfacente nei limiti del pos-

1 4 2 CFR. K . GODEL, Über formal unentscheidbare Sätze der Prin-cipia Mathematica und verwandter Systeme, in "Monatschrift für Ma-thematik und Physik", ( 1 9 3 1 ) . Per una esposizione accessibile al pro-fano del teorema di Godei, vedi D . LACOMBB, Les idées actuettes sur la structure des mathématiques, in AA.W., Notion de structure et structure de la connaissance, Albin-Michel, Paris 1957, pp. 39-160. 1 4 3 Cfr. J. LADRIÈRE, Les limitations internes des formaiismes, Louvain, Paris 1957. 1 4 4 Cfr. A. TARSKI, Logique simantique, mitamathématique, vol. I, Armand-Colin, Paris 1972; J . P. DESCLÈS, Z . GUENTCHEVA-DESCLÈS, Mita-langue, mitalangage, mitalinguistique, Documento di lavoro 60-61, Uni-versità di Urbino (gennaio-febbraio 1977) .

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sibile. È in questo spirito che si è per esempio sviluppata la matematica del gruppo Bourbaki. 1 4 5 Ma si possono fare osservazioni analoghe per le altre scienze: esse devono il loro statuto all'esistenza di un linguaggio le cui regole di funzionamento non possono essere dimostrate in se stesse, ma costitui-scono oggetto di consenso da parte degli esperti. Tali regole, almeno alcune di esse, sono delle do-mande. La domanda è una modalità della prescri-zione.

L'argomentazione esigibile per l'accettazione di un enunciato scientifico è quindi subordinata ad una accettazione "preliminare" (che in realtà si rin-nova ogni volta in virtù del principio di ricorrenza) delle regole che fissano i mezzi dell'argomentazione. Ne derivano due notevoli proprietà del sapere di questo tipo: la flessibilità dei suoi mezzi, vale a dire la molteplicità dei suoi linguaggi; il suo carat-tere di gioco pragmatico, l'accettabilità delle "mos-se" che vi son fatte (l'introduzione di nuove propo-sizioni), la quale dipende da un contratto stipulato in precedenza fra gli interlocutori. Ne deriva pari-menti la differenza fra due tipi di "progresso" del sapere: l'uno corrispondente ad una nuova mossa (una nuova argomentazione) nel quadro delle regole stabilite, l'altro all'invenzione di nuove regole, e quindi ad un mutamento del gioco.146

Alla nuova disposizione corrisponde evidentemen-te un maggiore dislocamento dell'idea di ragione. Il principio di un metalinguaggio universale è rim-piazzato da quello della pluralità dei sistemi formali e assiomatici capaci di argomentare gli enunciati denotativi, sistemi descritti da un metalinguaggio universale ma non consistente. Ciò che passava per

1 4 5 Cfr. N. BOURBAKI, Elementi di storia della matematica, Feltri-nelli, Milano 1963. Le origini lontane di questo lavoro si trovano nei primi tentativi di dimostrazione di alcuni "postulati" della geometria euclidea. Vedi L. BRUNSCHVICG, Les ¿tapes de là philosophie mathima-tique, P.U.F., Paris 19471. 1 4 4 Cfr. T. K U H N , La struttura..., cit.

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paradosso o anche per paralogismo nel sapere della scienza classica e moderna può assumere in taluno di questi sistemi nuova forza di convinzione e otte-nere l'assenso della comunità degli esperti. 1 4 7 Il me-todo dei giochi linguistici che abbiamo qui seguito si ispira modestamente a questa corrente di pen-siero.

In tutt'altra direzione ci trascina l'altro impor-tante aspetto della ricerca, che riguarda l'ammini-strazione della prova. Quest'ultima è per principio ima parte dell'argomentazione destinata a far accet-tare un nuovo enunciato come la testimonianza o il corpo del reato nel caso della retorica giudizia-ria. 1 4 8 Ma essa solleva un problema particolare: at-traverso di lei il referente (la "realtà") viene chiama-to in causa e citato nel dibattito fra scienziati.

Abbiamo detto che la prova costituisce problema, nel senso che si dovrebbe provare la prova. Si pos-sono rendere pubblici gli strumenti della prova, di modo che gli altri scienziati possano assicurarsi del risultato replicando il processo che lo ha prodotto. Resta che amministrare una prova significa far con-statare un fatto. Ma cosa significa constatare? La registrazione del fatto attraverso gli occhi, le orec-chie, un organo dei sensi? 1 4 9 I sensi ingannano, e sono limitati in estensione, nel loro potere di discri-minazione.

A questo punto intervengono gli strumenti tec-nici. Inizialmente essi sono delle protesi degli organi o dei sistemi fisiologici umani che hanno la funzio-ne di registrare dati o di operare sul contesto. 1 5 0

1 4 7 £ possibile trovare una classificazione dei paradossi logico-matematici in F. P . RAMSEY, 1 fondamenti della matematica e altri scritti di logica, Feltrinelli, Milano 1964. »» Vedi ARISTOTELE, Retorica, (a cura di A . Pieretti), Minerva Ita-lica, Bergamo 1971, 1393a sgg. 14» E il medesimo problema della testimonianza e delle fonti storiche: il fatto è noto per sentito dire o de visu? La distinzione appare in Erodoto. Vedi F. HARTOG, Hérodote rapsode et arpenteur, in "Hérodote", 9, (dicembre 1977), pp. 56-65. '» Cfr. A . GEHBLEN, Die technik in der Sichtweise der Anthropo-logie, in Anthropologische Forschung, Hamburg 1961.

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Obbediscono ad un principio, l'ottimizzazione delle prestazioni: aumento dell'output (informazioni o modificazioni ottenute), diminuzione dell'input (ener-gia spesa) per ottenerlo. 1 5 1 Si tratta dunque di giochi la cui pertinenza non è il vero, né il giusto, né il bello, ecc., ma l'efficiente: una "mossa" tecnica è "buona" quando produce di più e/o quando spende meno di un'altra.

Questa definizione della competenza tecnica è tardiva. Per un lungo periodo le invenzioni proce-dono a sbalzi, in occasione di ricerche casuali o che riguardano piuttosto e allo stesso titolo le arti (tech-nai) che il sapere: i classici greci per esempio non stabiliscono alcuna relazione fondamentale fra sa-pere e tecniche. 1 5 2 Nei secoli XVI e XVII i lavori dei "prospettivisti" appartengono ancora al campo del-le curiosità e dell'innovazione artistica. 1 5 3 La situa-zione resta immutata fino alla fine del XVIII seco-lo. 1 5 4 Ed è possibile sostenere che ancora ai giorni nostri sussista un'attività "selvaggia" di invenzione tecnica, talvolta imparentata al bricolage, svincolata dalle esigenze dell'argomentazione scientifica.1 5 5

Tuttavia, l'esigenza dell'amministrazione della prova si fa sentire più vivamente a mano a mano che la pragmatica del sapere scientifico si sostitui-sce ai saperi tradizionali o rivelati. Già Cartesio, alla fine del suo Discorso, esige crediti di laboratorio. A questo punto il problema è posto: gli strumenti che ottimizzano le prestazioni del corpo umano ai fini dell'amministrazione della prova esigono un in-

1 5 1 CFR. A. LEROI-GOURHAN, II gesto e la parola. Tecnica e linguag-gio. La memoria e i ritmi, Einaudi, Torino 1977. Cfr. J. P. VEKNANT, Mito e pensiero presso i Greci, Einaudi, Torino 1978, in particolare la sezione 4: Il lavoro e il pensiero tecnico. '» Cfr. J . BALTRUSAITIS, Anamorfosi, Adelphi, Milano 1978 . 1 5 4 Cfr. L. MUMFORD, Technics and civilization, New York 1954; B. GILLE, Histoire des techniques, Gallimard (Plèiade), Paris 1978. 1 5 5 Un esempio sorprendente è studiato da M . J . MULKAY e E . D .

EDGB, Cognitive, Technical and Social Factors in the Growth of Radio-astronomy, in "Social Science Information", (1973), pp. 25-61: si tratta dell'utilizzo dei radio amatori per verificare certe implicazioni della teoria della relatività.

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vestimento supplementare. Quindi, niente prove e niente verificazioni degli enunciati, e niente verità, senza soldi. I giochi linguistici della scienza diven-tano giochi dei ricchi, in cui il più ricco ha più probabilità di aver ragione. Si delinea un'equazione fra ricchezza, efficienza, verità.

Ciò che) si produce alla fine del XVIII secolo, al momento della prima rivoluzione industriale, è la scoperta della reciprocità: niente tecnica senza ric-chezza, ma anche niente ricchezza senza tecnica. Un dispositivo tecnico esige un investimento; ma, dato che ottimizza la prestazione cui è applicato, può anche ottimizzare il plusvalore che risulta da que-sta prestazione migliorata. Basta che il plusvalore sia realizzato, cioè che il prodotto della prestazione sia venduto. E possiamo completare il sistema nel modo seguente: una parte del prodotto della ven-dita è assorbito dai fondi di ricerca destinati a mi-gliorare ulteriormente la prestazione. È in questo preciso momento che la scienza diviene forza pro-duttiva, vale a dire un momento della circolazione del capitale.

E più il desiderio di arricchimento che quello del sapere ad imporre alla tecnica l'imperativo del miglioramento delle prestazioni e della realizzazione dei prodotti. La coniugazione "organica" della tec-nica col profitto precede la sua congiunzione con la scienza. Le tecniche assumono importanza nel sa-pere contemporaneo esclusivamente attraverso la mediazione dello spirito di performatività generaliz-zata. Anche al giorno d'oggi, la subordinazione del progresso del sapere a quello dell'investimento tec-nologico non è immediata. 1 5 6

>* Mulkay sviluppa un modello elastico di indipendenza relativa di tecnica e sapere scientifico: The Model of Branching, in "The Socio-logica! Review", XXXIII, (1976), pp. 509-526. H. Brooks, presidente del Scieace and Public Committee della National Academy of Sciences, coestensore del Rapporto Brooks (OCDE, giugno 1971), criticando le modalità di investimento in Ricerche e Sviluppo nel corso degli anni Sessanta, affermava: "Uno degli effetti della corsa alla luna è stato quello di aumentare i costi dell 'innovazi one tecnologica fino

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Ma il capitalismo offre la sua soluzione al pro-blema scientifico del credito alla ricerca: direttamen-te, finanziando i dipartimenti di ricerca nelle im-prese, dove gli imperativi di produttività e di com-mercializzazione orientano gli studi verso priorità "applicative"; indirettamente, creando le fondazioni di ricerca privata, statale o mista, che accordano credito ai programmi dei dipartimenti universitari, dei laboratori di ricerca o dei gruppi di ricercatori indipendenti senza aspettarsi un profitto immediato dal loro lavoro, ma stabilendo il principio secondo cui occorre finanziare ricerche a fondo perduto per un certo periodo per aumentare le probabilità di ottenere una innovazione decisiva, dunque altamen-te redditizia. 1 5 7 Gli Stati-nazione, soprattutto durante il loro periodo keynesiano, si attengono alla stessa regola: ricerca applicata, ricerca di base. Essi colla-borano con le imprese attraverso agenzie di tutti i tipi. 1 5 8 Le norme di organizzazione del lavoro che prevalgono nelle imprese penetrano nei laboratori di ricerca applicata: gerarchia, decisioni sul lavoro, formazione di équipes, valutazione dei rendimenti

a renderla veramente troppo cara [...] La ricerca è propriamente un'attività a lungo termine: un'accelerazione rapida o un rallenta-mento implicano delle spese incontrollate e molte incompetenze. La produzione intellettuale non può superare un certo ritmo" (Les Btats-Vnis ont-ils une politique de la science?, in "La recherche", 14, luglio 1971, 611). Nel marzo 1972 E. E. David Jr., consigliere scientifico della Casa Bianca, lanciando l'idea di una "Ricerca Applicata ai Biso-gni Nazionali" (R.A.N.N.) concludeva allo stesso modo: strategia ela-stica e a maglie larghe per la ricerca, tattica più stringente per lo sviluppo ("La recherche", 21, marzo 1972, 211). 1 5 7 Questa fu una delle condizioni che Lazarsfeld pose al mo-mento di accettare di dar vita a quello che divenne poi il Mass Com-munication Research Center a Princeton nel 1937. Il che non avvenne senza contrasti. Le industrie radiofoniche si rifiutarono di investire nel progetto. Di Lazarsfeld si diceva che egli avviava le cose ma non concludeva poi nulla. Lui stesso diceva a Morrison: "I usually put thinks together and hoped they worked." Citato da D. MORKISON, The Beginning of Modem Mass Communication Research, in "Archives européennes de sociologie", XIX, 2 (1978), pp. 347-359. l s a Negli Stati Uniti l'ammontare dei fondi dedicati dallo stato federale alla ricerca e sviluppo è stato pari a quello dei capitali privati nell'anno 1956; da allora lo ha sempre superato (O.C.D.E., 1965).

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individuali e collettivi, elaborazione di programmi commercializzabili, ricerca del cliente, ecc.' 5 9 I cen-tri di ricerca "pura" ne soffrono meno, ma benefi-ciano anche di crediti minori.

L'amministrazione della prova, che in linea di principio non è che ima parte di un'argomentazione destinata a sua volta ad ottenere l'assenso dei desti-natari del messaggio scientifico, cade cosi sotto il controllo di un altro gioco linguistico, la cui posta non è la verità, ma la performatività, vale a dire il miglior rapporto input/output. Lo Stato e/o l'im-presa abbandonano la narrazione legittimante idea-lista o umanista per giustificare il nuovo gioco: per il discorso dei finanziatori contemporanei, esiste un solo gioco credibile, quello della potenza. Non si assumono scienziati e tecnici, né si acquistano apparecchiature per sapere la verità, ma per accre-scere la potenza.

Il problema sta nello scoprire in cosa possa con-sistere il discorso della potenza, e se esso possa produrre legittimazione. Ciò che sembrerebbe a pri-ma vista impedirlo, è la distinzione operata dalla tradizione fra forza e diritto, fra forza e saggezza, cioè fra ciò che è forte, ciò che è giusto, ciò che è vero. È a questa incommensurabilità che abbiamo precedentemente fatto riferimento, nei termini del-la teoria dei giochi linguistici, distinguendo il gioco denotativo che pertiene all'opposizione vero/falso, il gioco prescrittivo che compete del giusto/ingiusto, il gioco tecnico il cui criterio è: efficiente/inefficien-te. La "forza" sembrava riguardare esclusivamente quest'ultimo. Fa eccezione il caso in cui la forza opera attraverso il terrore. Caso che esula dal gioco linguistico, dato che qui l'efficacia della forza si

Nisbet (op. cit., cap. 5) fa un'amara descrizione della pene-trazione dello higher capitalìsm nell'università sotto forma di centri di ricerca indipendenti dai dipartimenti. Le relazioni sociali nei centri indeboliscono la tradizione accademica. Vedi anche in (Auto)-critica della scienza, cit., i capitoli II proletariato scientifico, e / ricercatori.

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fonda esclusivamente sulla minaccia di eliminare l'interlocutore, e non sulla possibilità di giocare una "mossa" migliore della sua. Ogniqualvolta l'efficien-za, vale a dire l'ottenere l'effetto voluto, si fonda sull'ingiunzione "Di' o fai questo, altrimenti non par-lerai più", siamo di fronte al Terrore, alla distru-zione del legame sociale.

Ma è vero che la performatività, aumentando la capacità di amministrazione della prova, aumenta anche la capacità di aver ragione: il criterio tecnico introdotto massicciamente nel sapere scientifico non resta senza influenze sul criterio di verità. Altrettan-to dicasi del rapporto fra giustizia e performatività: le probabilità che un ordine sia considerato giusto aumenteranno assieme a quelle che esso ha di es-sere attuato, e queste ultime con la performatività di chi lo prescrive. Tale è il motivo per cui Luhmann ritiene di constatare la sostituzione della normati-vità delle leggi con la performatività delle procedure nelle società postindustriali. 1 6 0 Il "controllo dell'am-biente", vale a dire il miglioramento delle presta-zioni ottenuto contro gli interlocutori di cui l'am-biente è costituito (che si tratti di "natura" o di uomini) potrebbe valere come una specie di legitti-mazione.1 6 1 Si tratterebbe di una legittimazione di fatto.

L'orizzonte di tale procedura è il seguente: es-sendo la "realtà" ciò che fornisce le prove per l'ar-gomentazione scientifica ed i risultati per le prescri-zioni e le promesse d'ordine giuridico, etico e poli-tico, ci si impadronisce delle une e degli altri impa-dronendosi della "realtà", ciò che è consentito dalle

1 6 0 Cfr. N. LUHMANN, Legitimation durch Verfahren, Luchterhand, Neuwied 1969. 1 , 1 Commentando Luhmann, C. Mueller scrive: "Nelle società in-dustriali sviluppate la legittimazione legale-razionale è sostituita da una legittimazione tecnocratica, che non attribuisce alcuna importanza (significance) alle credenze dei cittadini né alla moralità in se stessa" (The Politics of Communication, cit., p. 135). Per una bibliografia te-desca sulla questione della tecnocrazia vedi HABERMAS, Prassi poli-tica..., cit.

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tecniche. Rinforzando queste ultime, si "rinforza" la realtà, dunque le probabilità di essere giusti e di aver ragione. Inversamente, è tanto più agevole rin-forzare le tecniche quanto più si dispone del sapere scientifico e dell'autorità decisionale.

Prende cosi forma la legittimazione attraverso la potenza. Questa non è solo la buona performati-vità, ma anche la buona verificazione ed il buon giudizio. Essa legittima la scienza e il diritto attra-verso la loro efficienza, e la seconda attraverso i primi. Si autolegittima apparentemente allo stesso modo di un sistema regolato sull'ottimizzazione del-le proprie prestazioni. 1 6 2 Ora ciò che dev'essere ga-rantito dall'informatizzazione generalizzata *è preci-samente questo controllo sull'ambiente. La perfor-mativi tà di un enunciato, sia esso denotativo o pre-scrittivo, si accresce proporzionalmente alle infor-mazioni di cui può disporre sul proprio referente. Attualmente quindi l'accrescimento della potenza, e la sua autolegittimazione, passa attraverso la pro-duzione, la memorizzazione, l'accessibilità e l'opera-bilità delle informazioni.

Il rapporto fra scienza e tecnica si inverte. La complessità delle argomentazioni sembra quindi in-teressante soprattutto perché costringe a rendere più sofisticati gli strumenti di prova, e la performa-tività ne trae vantaggio. La distribuzione dei fondi di ricerca da parte degli Stati, delle imprese e delle società miste obbedisce a questa logica dell'incre-mento di potenza. I settori di ricerca che non pos-sono invocare un proprio contributo, sia pure indi-retto, alla ottimizzazione delle prestazioni del siste-ma, sono abbandonati dai flussi creditizi e votati alla senescenza. Il criterio di performatività viene espli-citamente invocato dalle amministrazioni per giusti-

Un'analisi linguistica del controllo della verità si trova in G . FAUCONNIER, Comment contrôler la vérité? Remarques illustrées par des assertions dangereuses et pernicieuses en tout genre, in "Actes de la recherche en sciences sociales", 25, (gennaio 1979), pp. 1-22.

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ficare il rifiuto di abilitare determinati centri di ricerca. 1 6 3

12. Insegnamento, legittimazione, performatività Non sembra difficile descrivere come il prevalere

del criterio di performatività venga coinvolgendo an-che l'altro versante del sapere, quello della sua tra-smissione, vale a dire l'insegnamento.

Una volta ammessa l'idea di conoscenza stabilita, il problema della sua trasmissione si articola prag-máticamente in una serie di domande: chi trasmet-te? che cosa? a chi? sfruttando quali supporti? in quale forma? con quale effetto? 1 6 4 Una politica uni-versitaria è formata da un insieme coerente di rispo-ste a tali domande.

Nel momento in cui il criterio di pertinenza di-viene la performatività del sistema sociale presup-posto, nel momento cioè in cui si adotta la prospet-tiva della teoria dei sistemi, l'insegnamento supe-riore si presenta come un sotto-sistema del sistema

'« E cosi che lo University Grants Conimittee britannico si è visto chiedere nei 1970 di "giocare un ruolo più positivo nei campi della produttività, della specializzazione, della concentrazione dei sog-getti e del controllo degli impianti, limitando i costi di questi ultimi" (The Politics of Bducation: E. Boyle et A. Crosland parlent à M. Kogan, Penguin Education Special, Harmondsworth 1971). Ciò può sembrare in contraddizione con le dichiarazioni di Brooks citate in precedenza (nota 156). Ma: (1) la "strategia" può essere liberale e la "tattica" autoritaria, come afferma altrove Edwards; (2) la re-sponsabilità in seno alle gerarchie dei pubblici poteri è spesso intesa nel senso più rigido, cioè come capacità di rispondere della perfor-matività misurabile di un progetto; (3) i pubblici poteri non sono al riparo dalle pressioni dei gruppi privati i cui criteri di performa-tività sono immediatamente vincolanti. Se il potenziale di innovazione della ricerca sfugge al calcolo, l'interesse pubblico sembra essere quello di aiutare ogni ricerca, ponendo condizioni diverse dall'efficacia misurabile a tempi brevi. 1» E nel corso dei seminari del Princeton Radio Research Cen-ter, diretti da Lazarsfeld nel 1939-1940, che Laswell definì il processo di comunicazione con la seguente domanda-formula: "Who says what to whom in what channel with wath effect?" Vedi MORMSON, art. cit.

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sociale, e tutti i suoi problemi vengono risolti ap-plicando il medesimo criterio di performatività.

L'effetto che ci si propone di ottenere è il con-tributo ottimale dell'insegnamento superiore ad una migliore performatività del sistema sociale. Si trat-terà dunque di formare le competenze di cui que-st'ultimo non può fare a meno. Esse sono di due tipi. Quelle del primo tipo sono destinate in parti-colare ad affrontare la competizione mondiale. Esse variano a seconda delle "specializzazioni" che i sin-goli Stati-nazione o le singole grandi istituzioni for-mative sono rispettivamente in grado di vendere sul mercato mondiale. Se la nostra ipotesi generale è vera, si accrescerà la domanda di esperti, quadri su-periori ed intermedi dei settori di punta indicati in apertura di questo studio, che rappresentano la posta in gioco degli anni a venire: tutte le discipline che interessano una formazione "telematica" (infor-matici, cibernetici, linguisti, matematici, logici) si vedranno riconoscere la priorità in materia di inse-gnamento. Tanto più che la proliferazione di esperti di questo genere dovrebbe accelerare i progressi del-la ricerca in altri settori della conoscenza, come si è visto in relazione alla medicina ed alla biologia.

D'altra parte l'insegnamento superiore, sempre tenendo ferma la medesima ipotesi generale, dovrà continuare a fornire al sistema sociale le competenze che rispondono alle sue specifiche esigenze, che sono quelle di conservare la propria coesione interna. In precedenza tale compito comportava la formazione e la diffusione di un modello generale di vita, che serviva nella maggior parte dei casi a legittimare la narrazione sull'emancipazione. Nel nuovo contesto di delegittimazione, le università e gli istituti di inse-gnamento superiore sono ormai sollecitati a formare delle competenze piuttosto che degli ideali: tot me-dici, tot professori di questa o quella disciplina, tot ingegneri, tot amministratori, ecc. La trasmissione del sapere non appare più destinata a formare una élite in grado di guidare la nazione nel suo processo 88

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di emancipazione, bensì a fornire al sistema i gioca-tori in grado di capire convenientemente i ruoli le-gati alle posizioni pragmatiche di cui le istituzioni hanno bisogno.1 6 5

Se i fini dell'insegnamento superiore sono fun-zionali, che ne è dei suoi destinatari? Lo studente è già cambiato e dovrà cambiare ancora. Non è più un giovane prodotto delle "élites liberali" 1 6 6 investito più o meno da vicino del grande compito del pro-gresso sociale inteso come emancipazione. In que-sto senso, l'università "democratica", dagli accessi non selettivi, poco costosa per lo studente, ma an-che per la società, se si tiene conto del costo-stu-dente pro capite, che accoglie un numero elevato di iscrizioni,1 6 7 il cui modello era quello dell'umani-smo emancipativo, appare al giorno d'oggi poco per-formativa. 1 6 8 In effetti l'insegnamento superiore vede

im E quello che Parsons definisce "attivismo strumentale", elo-giandolo al punto da confonderlo con la "conoscenza razionale": "L'orientamento verso la conoscenza razionale è implicito nella cultura comune dell'attivismo strumentale, ma esso non diviene più o meno esplicito, né appare degno del massimo apprezzamento, se non nelle categorie sociali più istruite, che ne fanno un uso più evidente nelle loro attività professionali" (T. PARSONS, G. M. PLATT, Considerations on the American Academic System, in "Minerva", VI, (estate 1968), p. 507; citato da A. TOURAINE, Université et société..., loc. cit., p. 146). >« Quella che Mueller chiama professional intelligentsia opponen-dola alla technical intelligentsia. Seguendo Galbraith, egli ne descrive la crisi e la resistenza di fronte alla legittimazione tecnocratica (op. cit., pp. 172-177). " 7 All'inizio degli anni Settanta, la percentuale degli iscritti al-l'insegnamento superiore per la classe di età di 19 anni, oscillava fra il 30 e il 40% in Canada, Stati Uniti, Unione Sovietica e Jugosla-via; attorno al 20% in Germania, Francia, Gran Bretagna, Giappone e Paesi Bassi. In tutti questi paesi essa era raddoppiata o triplicata in rapporto a quella del 1959. Secondo la stessa fonte (M. DEVÉZE, Histoire contemporaine de l'université, SEDES, Paris 1976, pp. 439-440), il rapporto popolazione studentesca/popolazione totale era pas-sato dal 1950 al 1970 da circa il 4% a circa il 10% in Europa occi-dentale, dal 6,1% al 21,3 in Canada, dal 15,1% al 32,5 negli Stati Uniti. In Francia, dal 1968 al 1975, il bilanciò complessivo dell'in-segnamento superiore (escluso il C.N.R.S.) è passato (in migliaia di franchi) da 3075 a 5454, cioè dallo 0 , 5 5 % allo 0 , 3 9 % del PNL. Gli aumenti in cifra assoluta riguardano le seguenti voci: retribuzioni, spese correnti, borse; la voce sovvenzioni alla ricerca è rimasta sen-sibilmente stazionaria (cfr. DEVÉZE, op. cit., pp. 447-450) . Riguardo agli anni Settanta E. E. David affermava che le esigenze di ricerca

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già una rivalutazione della propria importanza, do-vuta ad un tempo a misure amministrative e a ima domanda sociale scarsamente controllata che provie-ne dai nuovi utenti, e che tende a disarticolare le sue funzioni in due grandi tipi di servizi.

Per quanto riguarda la sua funzione di professio-nalizzazione, l'insegnamento superiore si indirizza ancora ai giovani prodotti delle élites liberali ai quali viene trasmessa la competenza giudicata necessaria dalla professione; a costoro vengono ad aggiungersi, per vie diverse (per esempio dagli istituti tecnici), ma in base allo stesso modello didattico, i destina-tari dei nuovi saperi legati alle nuove tecniche e tec-nologie, i quali possono essere egualmente conside-rati dei giovani non ancora "attivi".

Al di fuori di queste due categorie di studenti, che riproducono 1' "intelligencija professionale" e 1' "intelligencija tecnica", 1 6 9 gli altri giovani univer-sitari sono per la maggior parte disoccupati non re-gistrati nelle statistiche della domanda di occupa-zione. Essi sono infatti in sovrannumero in rapporto agli sbocchi che si offrono alle loro disciplinè (let-tere e scienze umane). Malgrado la loro età appar-tengono alla nuova categoria dei destinatari della trasmissione del sapere.

Infatti, oltre alla funzione di formazione profes-sionale, l'università comincia o dovrebbe cominciare a giocare un nuovo ruolo nel quadro del migliora-mento delle prestazioni del sistema, che è quello del riciclaggio o educazione permanente. 1 7 0 Fuori dalle non avrebbero superato di molto quelle del decennio precedente (art. cit., p. 212).

1 6 9 La terminologia è quella di Mueller, op. cit. ™ fi ciò che M. Rioux e J. Dofny classificano nella rubrica "Formazione culturale" (J. DOFNY, M. RIOUX, lnventaire et bilan de quelques expériences d'intervention de l'université, in L'université dans son milieu: action et responsabiliti, colloquio a cura del-l'A.U.P.E.L.F., Università di Montréal, 1971, pp. 155-162). Gli autori criticano quelli che definiscono i due tipi di università del Nord America: i liberal art cotleges, dove insegnamento e ricerca sono del tutto sganciati dalla domanda sociale, e la multiversity, disposta ad offrire qualsiasi insegnamento di cui la comunità accetti di assu-

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università, dipartimenti o istituzioni a vocazione pro-fessionale, il sapere non viene né verrà più trasmes-so in blocco e una volta per tutte a dei giovani de-stinati ad entrare nella vita attiva; esso viene e verrà trasmesso "alla carta" ad adulti già attivi o in attesa di divenire tali, ai fini di migliorare la loro competenza e la loro promozione, ma anche perché possano acquisire informazioni, linguaggi e giochi linguistici che gli consentano di ampliare l'orizzonte della loro vita professionale e di articolare la loro esperienza tecnica ed etica. 1 7 1

Il nuovo corso assunto dalla trasmissione del sa-pere non è scevro da conflitti. Ciò perché, se è vero che è interesse del sistema, e dunque dei suoi "de-cisori", incoraggiare la promozione professionale, poiché essa non può che migliorare le prestazioni complessive, è anche vero che la sperimentazione sui discorsi, le istituzioni ed i valori, accompagnata dagli inevitabili "disordini" nei curriculum, nel con-trollo delle conoscenze e nella pedagogia, per non parlare delle retroazioni sociopolitiche, appare scar-samente operativa e si vede rifiutare ogni credito, in nome della serietà del sistema. Tuttavia, vediamo qui delinearsi una via d'uscita dal funzionalismo tan-to meno trascurabile in quanto è proprio il funzio-nalismo che l'ha tracciata. 1 7 2 Ma possiamo supporre mere le spese (sul secondo modello, cfr. C . KERR, A che serve l'uni-versità, Armando, Roma 1969). In una direzione analoga, ma senza l'interventismo universitario nella società auspicato da Dofny e Rioux, si muove M. Alliot, il quale, descrivendo l'università del futuro nel corso dello stesso colloquio (Structures optimales de l'institution universitaire, ibid., pp. 141-154), conclude: "Noi crediamo alle strut-ture, mentre in fondo dovrebbero esisterne il minor numero possi-bile." Tale è anche la vocazione del Centro sperimentale, poi divenuto Università di Parigi VIII (Vincennes), dichiarata al momento della sua fondazione, nel 1968. In proposito, vedi il dossier Vincennes ou le desir d'apprendre, Alain-Moreau, Paris 1979.

1 7 1 L'autore offre qui la testimonianza della propria esperienza in numerosi dipartimenti dì Vincennes. m La legge per l'orientamento dell'insegnamento superiore del 12 novembre 1968, annovera la formazione permanente (professionalmente intesa) fra i compiti di tale insegnamento, il quale: "dev'essere aperto agli ex studenti come a coloro che non hanno avuto la possibilità di proseguire gli studi, perché sia loro consentito di migliorare, se-

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che ne venga affidata la responsabilità a dei circuiti extrauniversitari. 1 7 3

In ogni caso il principio di performatività, anche se non consente di decidere chiaramente in tutte le circostanze la politica da seguire, produce l'effetto globale di subordinare le istituzioni di insegnamen-to superiore al potere. A partire dal momento in cui il sapere non ha più in se stesso il proprio fine come realizzazione ideale o come emancipazione umana, la sua trasmissione si sottrae all'esclusiva responsabilità degli scienziati e degli studenti. L'idea di "franchigia universitaria" appare ormai arcaica. Il peso delle "autonomie" riconosciute alle univer-sità dopo la crisi della fine degli anni Sessanta è irrilevante di fronte a quello del fatto che non esi-stono quasi situazioni in cui i consigli dei docenti detengano il potere di decidere l'entità del bilancio destinato alle loro istituzioni 1 7 4; dispongono solo del potere, e anche questo solo alla fine degli iter, di distribuire ciò che viene loro attribuito. 1 7 5

Che cosa si trasmette oggi negli insegnamenti su-periori? Se si tratta di professionalizzazione, e se ci si attiene ad un punto di vista strettamente funzio-condo capacità, le loro prospettive di promozione o di convertire la loro attività professionale."

1 7 3 In un'intervista rilasciata a "Telé-sept-jours ", 981, (17 marzo 1979), il ministro francese dell'educazione, che aveva ufficialmente raccomandato la serie Olocausto, (iniziativa senza precedenti), diffusa dal secondo canale, agli allievi dell'insegnamento superiore, afferma che il tentativo del settore educativo di crearsi uno strumento audio-visivo autonomo è fallito, e che: "il primo compito educativo è inse-gnare ai ragazzi come scegliere i loro programmi." 1 7 4 In Gran Bretagna, dove la partecipazione dello stato alle spese correnti e di capitale dell'università è passata dal 30 ali'80% fra il 1920 e il 1960, è l'University Grants Committee, associato al ministero per la scienza e l'università, che, dopo aver esaminato i bisogni e i piani di sviluppo presentati dalle università, ripartisce fra di esse la sovvenzione annuale. Negli Stati Uniti, i monopoli sono al riguardo onnipotenti. 1 7 5 Cioè, in Francia, di distribuirli fra i dipartimenti per le spese correnti e quelli per le spese di attrezzatura. Non sono invece di loro competenza le remunerazioni ad eccezione di quelle del per-sonale supplente. Il finanziamento dei progetti, delle nuove strutture di ricerca, ecc., è prelevato dal fondo per l'attività didattica attri-buito all'università.

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nalista, il nucleo essenziale è costituito da uno stock organizzato di conoscenze. L'applicazione del-le nuove tecniche alla gestione di tale stock può incidere considerevolmente sul supporto comunica-tivo. Non sembra indispensabile che esso consi-sta in un corso tenuto dalla viva voce di un pro-fessore ad un pubblico silenzioso di studenti, dato che il momento delle domande viene rinviato alle riunioni di "lavoro" dirette da un assistente. Dal momento che le conoscenze sono traducibili in lin-guaggio informatico, e dal momento che il docente tradizionale è assimilabile ad una memoria, la didat-tica può essere affidata a macchine collegate a delle memorie classiche (biblioteche, ecc.) cosi come le banche di dati possono essere collegate a terminali intelligenti messi a disposizione degli studenti.

La pedagogia non ne dovrà necessariamente sof-frire, ché in ogni caso bisognerà insegnare qualcosa agli studenti: non i contenuti, ma l'uso dei termi-nali, cioè dei nuovi linguaggi, da una parte e dall'al-tra un uso più raffinato del gioco linguistico interro-gativo: dove indirizzare la domanda, vale a dire qual è la memoria pertinente per ciò che si vuole sapere? Come formularla per evitare errori? ecc.1 7 6

In questa prospettiva una formazione informatica ed ancor più telematica elementari dovranno necessa-riamente far parte di una propedeutica superiore, al-lo stesso titolo per esempio dell'acquisizione di una pratica corrente di una lingua straniera. 1 7 7

È solo nella prospettiva delle grandi narrazioni legittimanti, vita dello spirito e/o emancipazione del-l'umanità, che la parziale sostituzione dei docenti con delle macchine può sembrare una perdita, anzi un fatto intollerabile. Ma è probabile che • queste

™ Cfr. M . MCLUHAN, D'oeil à oreille, Denoel-Gonthier, Paris 1977; P. ANTOINB, Comment s'informer?, in "Projet", 124 , (aprile 1978) , pp. 395-413 .

1 7 7 È noto che in Giappone viene insegnato agli scolari l'uso dei terminali intelligenti. In Canada i centri universitari isolati ne fanno uso corrente.

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narrazioni non costituiscano già più la molla princi-pale dell'interesse nei confronti del sapere. Se la molla diviene la potenza, questo aspetto della didat-tica classica non è più pertinente. La domanda più o meno esplicita che si pongono lo studente aspi-rante professionista, lo Stato o l'istituzione di inse-gnamento superiore, non è più: è vero? ma: a che cosa serve? Nel contesto della mercificazione del sa-pere, tale domanda significa nella maggior parte dei casi: si può vendere? E, nel contesto dell'incremento di potenza: è efficace? Ebbene la formazione di una competenza performativa sembra essere sicuramen-te vendibile nelle condizioni descritte in prece-denza, ed è efficace per definizione. Ciò che non lo è più, è la competenza definita in base ad altri cri-teri, quali vero/falso, giusto/ingiusto, ecc., ed anche evidentemente la scarsa performatività in generale.

Si apre la prospettiva di un vasto mercato per le competenze operative. I detentori di questo tipo di sapere saranno oggetto di offerte, se non la posta in gioco di politiche di seduzione.1 7 8 Da questo punto di vista non è la fine del sapere che si prospetta, tutto al contrario. L'Enciclopedia del domani sono le banche di dati. Esse eccedono la capacità di ogni utilizzatore. Rappresentano la "natura" per l'umani-tà postmoderna. 1 7 9

Si noterà nondimeno che la didattica non con-siste esclusivamente nella trasmissione di informa-zione, e che la competenza, sia pure performativa, non si esaurisce nel possesso di una buona memoria di dati o di una buona capacità d'accesso a delle memorie meccaniche. È banale sottolineare l'impor-tanza della capacità di attualizzare i dati pertinenti

1 7 1 I centri di ricerca americani seguono tale politica da prima della seconda guerra mondiale. "» Nora e Mine (Convivere.... cit., p. 28), scrivono: "il problema principale nei decenni a venire non sta più, almeno per i settori più avanzati dell'umanità, nella capacità di dominare la materia. Questa è ormai una capacità acquisita. Il problema sta nella difficoltà di tessere una rete di legami che facciano progredire insieme informa-zione e organizzazione."

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al problema da risolvere "qui ed ora" e di organiz-zarli in una strategia efficiente.

Finché si tratta di un gioco ad informazione in-completa, il vantaggio è di chi sa e può.ottenere un supplemento d'informazione. È per definizione il caso di uno studente in situazione di apprendi-mento. Ma, nei giochi ad informazione completa, 1 8 0

l'acquisizione di una migliore performatività non può consistere, per ipotesi, nell'acquisizione di un tale supplemento. Essa deriva da una nuova organizza-zione dei dati, il che costituisce propriamente una "mossa". Ciò si ottiene per lo più attraverso il col-legamento di serie di dati ritenute fino ad allora indipendenti. 1 8 1 Possiamo definire immaginazione questa capacità di mettere in relazione ciò che non lo era. La velocità ne è un attributo. 1 8 2

Ora possiamo rappresentarci il mondo del sapere postmoderno come diretto da un gioco ad informa-zione completa, nel senso che per principio i dati vi sono accessibili a tutti gli esperti: non esiste se-greto scientifico. Il sovrappiù di performatività, a parità di competenza, nella produzione, e non più nell'acquisizione, del sapere, dipende dunque final-mente da questa "immaginazione", che consente sia di effettuare ima nuova mossa, sia di cambiare le regole del gioco.

Se l'insegnamento non deve assicurare solo la riproduzione delle competenze, ma anche il loro pro-gresso, ne consegue che la trasmissione del sapere non dovrebbe limitarsi alla trasmissione di infor-mazioni, ma anche comportare l'apprendimento di tutte le procedure in grado di migliorare la capacità

Cfr. A. RAPOPOKT, Fights, Games and Debates, Un. of Michigan Press, Ann Arbor I960. È il Branching Model di Mulkay (vedi sopra nota 156). G. De-leuze ha analizzato l'evento come intreccio di serie in Logica del senso, Feltrinelli, Milano 1975, e in Differenza e ripetizione, Il Mu-lino. Bologna 1971. m II tempo è una variabile che entra nella determinazione del-l'unità di potenza in dinamica. Vedi anche P. VIRILIO, Vitesse et poli-tique, Galilée, Paris 1976.

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di collegare i campi che l'organizzazione tradizionale del sapere tiene gelosamente separati. La parola d'ordine dell'interdisciplinarità, diffusasi soprattutto dopo la crisi del '68, ma preconizzata già molto pri-ma, sembra andare in tale direzione. Alcuni di-rebbero che si è scontrata coi feudalismi univer-sitari. In realtà si è scontrata con ben altro.

Nel modello humboldtiano dell'università, ogni scienza occupa il suo posto in un sistema coronato dalla speculazione. Uno sconfinamento di una scien-za nel campo di un'altra non può che provocare delle confusioni, dei "rumori", nel sistema. Le collabora-zioni non possono aver luogo che a livello specula-tivo, nella testa dei filosofi.

Al contrario, l'idea di interdisciplinarità appar-tiene propriamente all'epoca della delegittimazione ed al suo empirismo spinto. Il rapporto col sapere non è quello della realizzazione della vita dello spi-rito o dell'emancipazione dell'umanità; ma quello degli utilizzatori di uno strumento concettuale e ma-teriale complesso e dei beneficiari delle sue presta-zioni. Costoro non dispongono di un metalinguaggio né di una metanarrazione per formularne la finalità e l'uso corretto. Ma hanno il brain storming per raf-forzarne le prestazioni.

La valorizzazione del lavoro di équipe è propria di questo prevalere del criterio performativo nel sapere. Infatti, quando si tratti di dire il vero o di prescrivere il giusto, il numero non conta; conta solo se giustizia e verità sono concepiti in termini di probabilità di riuscita. In effetti, le prestazioni vengono generalmente migliorate dal lavoro in équi-pe, se si rispettano delle condizioni che le scienze sociali hanno precisato già da tempo. 1 8 3 A dire il vero queste ultime hanno stabilito il successo del lavoro di équipe dal punto di vista della performa-tività nel quadro di un modello ben definito, vale a

'»> Cfr. J . L . MORENO, Who shall Survive?, ( 1 9 3 4 ) , Beacon, New York 1953».

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dire nell'esecuzione di un compito; il miglioramento sembra meno sicuro quando si tratti di "imma-ginare" nuovi modelli, cioè nella concezione. Pare se ne abbiano degli esempi.1 8 4 Ma resta difficile distin-guere fra ciò che dipende dal dispositivo di équipe e ciò che va attribuito al genio dei singoli compo-nenti del gruppo.

Si osserverà che tale orientamento riguarda più la produzione (ricerca) che la trasmissione del sa-pere. Ma separarle completamente, anche nel quadro del funzionalismo e del professionalismo, è una ope-razione astratta e probabilmente nefasta. Tuttavia, la soluzione di fatto verso cui si stanno orientando dovunque nel mondo le istituzioni del sapere con-siste nel dissociare questi due aspetti della didat-tica, quello della riproduzione "semplice" e quello della riproduzione "allargata", applicando la distin-zione ad entità di ogni tipo, che si tratti di istituzio-ni, di livelli o di cicli interni alle istituzioni, di rag-gruppamenti di istituzioni, di raggruppamenti di di-scipline, di cui alcuni vengono votati alla selezione e alla riproduzione delle competenze professionali, gli altri alla promozione e alla "incentivazione" degli spiriti "immaginativi". I canali di trasmissione messi a disposizione dei primi potranno essere semplifi-cati e massificati; i secondi hanno diritto ad una struttura di piccoli gruppi retti da un egalitarismo aristocratico. 1 8 5 Per quanto riguarda questi ultimi

m Fra i pili noti ricordiamo: il Mass Communication Research Center (Princeton), il Mental Research Institule (Palo Alto), il Mas-sachussett Institute of Technology (Boston), e l'Institut fiir Soziai-forschung (Francoforte). Parte dell'argomentazione di Kerr a favore di quella che egli chiama Vldeopolis, si fonda sul principio del gua-dagno di inventività ottenuto attraverso le ricerche collettive (op. cit.). D . J . DE SOLLA PRICF. (Little Science, Big Science, cit.) tenta di costituire una scienza della scienza. Egli stabilisce delle leggi (stati-stiche) della scienza considerata come oggetto sociale. Nella nota 131 abbiamo segnalato il principio antidemocratico di classificazione. Un'altra legge, quella dei "collegi invisibili", descrive l'effetto della moltiplicazione delle pubblicazioni e della saturazione dei canali di informazione nelle istituzioni scientifiche: gli "aristocratici" del sapere tendono a reagire stabilendo delle reti permanenti di comunicazione interpersonale che coinvolgono al massimo un centinaio di membri

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poco importa che facciano parte o meno ufficialmen-te delle università.

Ma ciò che pare certo, è che in ambo i casi la delegittimazione ed il prevalere della performatività suonano a morte per l'era del professore: costui non è più competente delle reti di memoria per la tra-smissione del sapere stabilito, né è più competente delle équipe interdisciplinari per inventare nuove mosse o nuovi giochi.

13. La scienza postmoderna come ri-cerca delle Instabilità Abbiamo indicato in precedenza come la prag-

matica della ricerca scientifica, soprattutto sotto l'aspetto di ricerca di nuove argomentazioni, ponga in primo piano l'invenzione di nuove "mosse" e an-che di nuove regole dei giochi linguistici. Si tratta ora di sottolineare tale aspettq, che è decisivo nello stato attuale del sapere scientifico. Di quest'ultimo potremmo affermare parodisticamente che è alla ri-cerca delle "vie d'uscita dalla crisi", crisi che è quella del determinismo. Il determinismo è l'ipotesi su cui riposa la legittimazione attraverso la perfor-matività: dato che questa si definisce attraverso un rapporto input/output, il sistema in cui si introdu-ce l'input deve essere supposto allo stato stabile; esso segue una "traiettoria" regolare di cui è pos-sibile definire la funzione continua e derivabile che consentirà di anticipare correttamente l'output.

Tale è la "filosofia" positivista dell'efficienza. Op-ponendole qui qualche importante esempio, si inten-de facilitare la discussione finale sulla legittimazio-ne. Si tratta insomma di dimostrare, sfruttando al-

per cooptazione. D. Crane ha dato un'interpretazione sociometrica di questi "collegi" in Invisible Colleges, The Un. of Chicago Press, Chicago & London 1972. Cfr. Lécuyer, art. cit.

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cuni elementi di documentazione che, in se stessa, la pragmatica del sapere scientifico postmoderno ha scarsa affinità con l'obiettivo della performatività.

L'espansione della scienza non si produce grazie al positivismo dell'efficienza. Al contrario: lavorare alla prova, significa ricercare ed "inventare" il con-tro-esempio, vale a dire ciò che è inintelligibile; lavo-rare alla argomentazione, significa ricercare il "para-dosso" e legittimarlo attraverso nuove regole del gioco del ragionamento. In entrambi i casi, l'effi-cienza non viene ricercata per se stessa, essa viene per eccesso, a volte tardi, quando i finanziatori si interessano finalmente al caso. 1 8 6 Ma ciò che non può mancare di presentarsi e ripresentarsi con una nuova teoria, una nuova ipotesi, un nuovo enuncia-to, una nuova osservazione, è il problema della le-gittimità. Perché è la scienza stessa che se lo pone e non la filosofia che glielo impone.

Anacronistico non è domandarsi ciò che è vero e ciò che è giusto, ma rappresentarsi la scienza come positivista, condannata alla conoscenza illegittima, al mezzo-sapere, con cui la identificavano gli idealisti tedeschi. La domanda: che vale il tuo argomento, che vale la tua prova? fa talmente parte della pragma-tica del sapere scientifico che è precisamente lei a garantire la metamorfosi del destinatario dell'argo-mento, e della prova in questione, in destinatore di un nuovo argomento e di una nuova prova, dunque il rinnovamento dei discorsi e delle generazioni scien-tifiche ad un tempo. La scienza si sviluppa, e nulla può contestare che essa si sviluppi, sviluppando tale domanda. E questa stessa domanda, sviluppandosi, conduce alla domanda delle domande, vale a dire

1 M Cfr. B . MANDELBROT, Les objets fractats. Forme, hasard, et di-mension, Flammarion, Paris 1975, il quale propone (Appendice, pp. 172-183) degli "schizzi biografici" di ricercatori matematici e fisici tardivamente gratificati di un riconoscimento o rimasti sconosciuti a causa della singolarità dei loro interessi e malgrado la fecondità delle loro scoperte.

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alla metadomanda o domanda della legittimità: che vale il tuo "che vale"?1*1

L'abbiamo detto, il tratto sorprendente del sape-re scientifico postmoderno è l'esistenza di un discor-so ad esso immanente, ma esplicito, sulle regole che lo convalidano.1 8 8 Ciò che alla fine del XIX secolo ha potuto passare per perdita di legittimità e caduta nel "pragmatismo" filosofico o nel positivismo logico non è stato che un episodio, dal quale il sapere si è risollevato grazie all'inclusione nel discorso scienti-fico del discorso sulla validazione degli enunciati a valore di legge. Questa inclusione non è un'opera-zione semplice, l'abbiamo visto., essa dà luogo a "pa-radossi" che vengono assunti come eminentemente seri e a delle "limitazioni" della portata del sapere che coincidono in effetti con delle modificazioni del-la sua natura.

La ricerca metamatematica che fa capo al teorema di Godei è un vero e proprio paradigma di questo mu-tamento di natura. 1 8 9 Ma la trasformazione della di-namica non è meno esemplare del nuovo spirito scientifico, e ci interessa particolarmente perché co-stringe a correggere una nozione che abbiamo visto massicciamente introdotta nella discussione sul prin-cipio di prestazione, particolarmente in materia di teoria sociale: la nozione di sistema.

L'idea di prestazione implica quella di sistema ad elevata stabilità perché riposa sul principio di un rapporto, il rapporto per principio sempre calcola-bile fra calore e lavoro, fra sorgente calda e sorgente fredda, fra input e output. È un'idea che viene dalla termodinamica. Essa è associata alla rappresenta-

1 , 7 Ricordiamo il noto esempio della discussione sul determinismo provocata dalla meccanica quantistica. Vedi ad es. la presentazione della corrispondenza fra M. Born e A. Einstein (1916-1955) da parte di J. M. LÉVY-LEBLOND, Le grand débat de la mécanique quantìque, in "La recherche", 20, (febbraio 1972), pp. 137-144. La storia delle scienze umane dell'ultimo secolo è ricca di questi passaggi del discorso an-tropologico sul piano metalinguistico. I. Hassan offre una "immagine" di quella che chiama imma-nence in Culture, Indeterminacy, and Immanence, art. cit. •» Vedi nota 142.

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zione di una evoluzione prevedibile delle prestazioni del sistema, a condizione che ne siano note tutte le variabili. Tale condizione è chiaramente espressa a titolo di limite dalla finzione del "demone" di La-place1 9 0: essendo a conoscenza di tutte le variabili che determinano lo stato dell'universo in un istante t, può prevederne lo stato nell'istante t'>t. Questa immagine è sostenuta dal principio secondo cui i sistemi fisici, ivi compreso il sistema dei sistemi che è l'universo, ottemperano a delle regolarità, e conseguentemente la loro evoluzione descrive una curva prevedibile e dà origine a delle funzioni con-tinue "normali" (e alla futurologia...).

Con l'avvento della meccanica quantistica e della fisica atomica l'estensione di tale principio deve essere limitata. E ciò in due modi, le cui rispettive implicazioni non hanno la stessa portata. In primo luogo, la definizione dello stato iniziale di un siste-ma, cioè di tutte le variabili indipendenti, se doves-se essere effettiva, richiederebbe un dispendio di energia almeno pari a quella consumata dal sistema da definire. Una versione profana di questa impossi-bilità di fatto di effettuare la misurazione completa di uno stato del sistema ci è offerta da una nota di Borges: un imperatore desidera far compilare una carta dell'impero di assoluta precisione. Il risultato è la rovina del paese: l'intera popolazione consacra tutte le sue energie alla cartografia. 1 9 1

In base all'argomento di Brillouin,1 9 2 l'idea (o l'ideologia) di controllo perfetto di un sistema, che dovrebbe consentire di migliorarne le prestazioni, appare inconsistente di fronte alla contraddizione

Cfr. P . S . LAPLACE, Exposition du systéme du monde, I e II, 1796. Cfr. BORGES, Historia universa! de la infamia, Alianza, Madrid 1978. Borges attribuisce la nota in questione a SUAREZ MIRANDA, Viajes de Varane Prudentes, IV, 14, Lerida 1658. Il riassunto che ne abbiamo qui dato è parzialmente infedele.

" J L'informazione costa essa stessa energia, l'entropia negativa che essa costituisce genera entropia. M. Serres ricorre frequentemente a questo argomento, ad es. in Hermes III. La traduction, Minuit, Paris 1974, p. 92.

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per cui essa riduce la performatività che dichiara di aumentare. Questa inconsistenza rende conto in particolare della debolezza delle burocrazie statali e socioeconomiche: esse soffocano i sistemi o i sot-tosistemi che controllano, e si asfissiano assieme ad essi (feed-back negativo). L'interesse di una simile spiegazione consiste nel fatto che essa non ha biso-gno di ricorrere ad una legittimazione diversa da quella del sistema, per esempio a quella della libertà degli agenti umani che si sollevano contro un'auto-rità eccessiva. Ammettendo che la società sia un si-stema, il suo controllo, che implica la definizione precisa del suo stato iniziale, non può essere effet-tivo, dato che una simile definizione non può essere effettuata.

Tuttavia tale limitazione non pone in discussione che l'effettività di un sapere preciso, e del potere che ne deriva. La loro possibilità di principio resta intatta. Il determinismo classico continua a costi-tuire il limite, dispendiosissimo, ma concepibile, del-la conoscenza dei sistemi. 1 9 3

La teoria quantistica e la microfisica impongono una revisione assai più radicale dell'idea di traiet-toria continua e prevedibile. La ricerca della preci-sione non si scontra più con un limite dovuto al suo costo, ma alla natura della materia. Non è vero che l'incertezza, vale a dire l'assenza di controllo, dimi-nuisce a mano a mano che aumenta la precisione: aumenta invece anch'essa. Jean Perrin propone l'esempio della misurazione della densità relativa (quoziente massa/volume) dell'aria contenuta in uria sfera. Essa varia notevolmente quando il volume del-la sfera passa da 1000 m 3 ad 1 cm 3; varia assai poco se si passa da 1 cm 3 a 1/1000 di mm 3, ma già in que-sto intervallo è possibile osservare l'apparizione di variazioni di densità dell'ordine del miliardesimo, che

1 , 3 Seguiamo qui I . PRIGOGINE e I . STENGERS, La dynamique, de Leibniz à Lucrèce, in "Critique", 380, (numero speciale su Serres) (gennaio 1979), p. 49.

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si producono irregolarmente. A mano a mano che la sfera si contrae, l'importanza di tali variazioni aumenta: per un volume dell'ordine di 1/10 di mi-cron cubo, le variazioni raggiungono le dimensioni del millesimo; per 1/100 di micron cubo, esse sono dell'ordine di un quinto.

Diminuendo ancora il volume, si raggiungono le dimensioni del raggio molecolare. Se la sferula si trova nello spazio vuoto fra due molecole d'aria, la densità relativa dell'aria è nulla. Tuttavia può acca-dere, una volta su mille, che il centro delle sferule "cada" all'interno di una molecola, nel qual caso la densità media è comparabile a quella che chiamia-mo la densità relativa del gas. Se si scende fino alle dimensioni intra-atomiche, la sferula ha notevoli probabilità di ritrovarsi nel vuoto, il che determina nuovamente una densità nulla. Tuttavia, in un caso su un milione, il suo centro può venire a trovarsi in un corpuscolo o in un nucleo atomico, e allora la densità diverrebbe molti milioni di volte maggiore di quella dell'acqua.

Se la sferula si contrae ancora [...], la densità media probabilmente ritornerà presto e resterà nulla, lo stesso avverrà per la densità relativa, ad eccezione di determinate posizioni assai rare nelle quali essa raggiungerà valori e-normemente più elevati dei precedenti."*

La conoscenza sulla densità dell'aria si risolvè dunque in una molteplicità di enunciati assoluta-mente incompatibili, e che possono essere resi com-patibili solo se vengono relativizzati rispetto alla scala scelta da chi li enuncia. D'altra parte, a deter-minate scale, l'enunciato di misura non è sintetizza-bile in una asserzione semplice, ma in una asserzione modalizzata del tipo: è plausibile che la densità sia uguale a zero, ma non è escluso che essa sia del-

« I. PERRIN, Les atomes, (1913), P.U.F., Paris 1970, pp. 14-22. Mandelbrot mette il testo nella Introduzione ad Objets fractals, op. cit.

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l'ordine di 10°, dove il valore di n è assai elevato. In questo caso, la relazione dell'enunciato dello

scenziato con "quello che dice", la "natura", sem-bra derivare da un gioco a informazione incompleta. La modalizzazione dell'enunciato del primo esprime il fatto che l'enunciato effettivo, singolare (il token) che sarà proferito dalla seconda non è prevedibile. Ciò che è calcolabile, è la probabilità che questo enunciato dica ima cosa piuttosto che l'altra. A li-vello microfisico non è possibile ottenere una "mi-gliore" informazione, vale a dire una informazione più performativa. Il problema non è quello di sco-prire chi sia l'avversario (la "natura"), bensì quello di sapere a che gioco gioca. Einstein si ribellava all'idea che "Dio gioca a dadi". 1 9 5 E purtuttavia si tratta di un gioco che consente di fissare delle rego-larità statistiche "sufficienti" (tanto peggio per l'im-magine che ci si era fatta del supremo Determina-tore). Se il gioco fosse il bridge, gli "azzardi pri-mari" incontrati dalla scienza non dovrebbero più essere imputati all'indifferenza del dado riguardo alle sue facce, ma all'astuzia, vale a dire ad una scelta che appare a sua volta affidata al caso che decide fra le molte strategie omogenee possibili.1 9 6

In generale, si ammette che la natura sia un av-versario indifferente, non astuto, ed è a partire da questa differenza che si distingue fra scienze natu-rali e scienze umane. 1 9 7 In termini pragmatici ciò

'» Citato da W. HEISENBERG, Physics and beyond, New York 1971 . m In una comunicazione all'Accademia delie scienze (dicembre

1921) , Borei suggeriva: "nei giochi in cui non esiste un modo ottimale di giocare" (giochi a informazione incompleta), "ci si può domandare se non sia possibile, in assenza di un codice scelto una volta per tutte, giocare in modo vantaggioso variando il proprio gioco." È a partire da questa distinzione che von Neumann dimostra che questa probabilizzazione della decisione è essa stessa, in determinate con-dizioni, "il modo ottimale di giocare". Cfr. T. GUIBAUD, Eléments de la théorie mathématique des jeux, Dunod, Paris 1968, pp. 17-21; e P. SÉRIS, La théorie des jeux, P.U.F., Paris 1974 (antologia di testi). Gli artisti "postmoderni" fanno uso corrente di questi concetti; vedi ad es. J. CAGE, Silenzio. Antologia da "Silence" e "A Year From Monday", Feltrinelli, Milano 1971. Cfr. I . EPSTEIN, logos, dattiloscritto, Funda$2o Armando Alva-res Penteado, settembre 1978.

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significa che, per quanto riguarda le prime, la "na-tura" è lo stesso referente, muto ma anche costante, di un dado lanciato innumerevoli volte, a proposito del quale gli scienziati si scambiano degli enunciati denotativi che sono come delle mosse reciproche, mentre nel caso delle seconde, dato che il referente è l'uomo, ci si trova di fronte ad un interlocutore che, parlando, sviluppa una strategia, anche eteroge-nea, che si contrappone a quella dello scienziato: a questo punto quest'ultimo non si scontra più con un rischio oggettuale o casuale, bensì deve fare i conti con dei comportamenti o delle strategie, 1 9 8 è cioè coinvolto in un rapporto agonistico.

Si dirà che si tratta di problemi concernenti la microfisica, i quali consentono di stabilire funzioni continue con un grado di approssimazione sufficiente per una buona previsione probabilistica della evo-luzione dei sistemi. In tal modo i teorici dei sistemi, che sono anche quelli della legittimazione per presta-zioni, credono di ristabilire i loro diritti. Tuttavia, assistiamo al delinearsi di ima corrente nella mate-matica contemporanea che rimette in discussione la possibilità umana di misurazione precisa e di pre-visione dei comportamenti oggettuali.

Mandelbrot corrobora le sue ricerche con l'auto-rità del testo di Perrin da noi già commentato. Egli ne amplia tuttavia la portata in una direzione inat-tesa:

Le funzioni derivabili — scrive — sono le più semplici, le più facili da elaborare, rappresentano tuttavia l'eccezio-ne; o, se si preferisce un linguaggio geometrico, le curve che non hanno tangenti sono la regola, mentre le curve re-golari, come il cerchio, sono casi interessanti, ma molto particolari.1 9 9

"La probabilità è quindi ricomparsa, non più come principio costitutivo di una struttura d'oggetto, ma come principio regolatore di una struttura di comportamento" (G. G . GRANGER, Strutturalismo e pensiero formale, Guida, Napoli 1977, p. 185). L'idea che gli dei gio-chino, diciamo, a bridge sarebbe piuttosto una ipotesi greca pre-platonica. '» Op. cit., p. 4.

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La constatazione non è interessante solo per un'astratta curiosità, essa vale per la maggior parte dei dati sperimentali: i contorni di un fiocco di saponaria salata presentano tali anfrattuosità che l'occhio non può fissare una tangente su nessun pun-to della sua superficie. In tale caso il modello è offerto dal moto browniano, di cui è nota la pro-prietà che il vettore di spostamento di una particella a partire da un punto è isotropico, vale a dire che tutte le direzioni possibili hanno lo stesso grado di probabilità.

Ma ritroviamo lo stesso problema in situazioni abituali: per esempio se vogliamo misurare con pre-cisione la costa della Bretagna, la superficie della Luna ricoperta di crateri, la distribuzione dei mate-riali stellari, quella delle "raffiche" dei rumori nel corso di una conversazione telefonica, le turbolenze in generale, la forma delle nuvole, in breve la mag-gior parte dei contorni e delle distribuzioni delle cose che non abbiano subito interventi regolarizza-toli per mano dell'uomo.

Mandelbrot dimostra che il diagramma che que-sto tipo di dati presentano li mette in relazione con delle curve corrispondenti a funzioni continue non derivabili. La curva di von Koch ne rappresenta un modello semplificato2 0 0; essa è potata di una omo-tetia interna; è possibile dimostrare formalmente che la dimensione omotetica su cui è costruita non è pari ad un intero ma al rapporto log4/log3. Si ha il diritto di affermare che ima tale curva si colloca in uno spazio il cui "numero dimensionale" sta fra 1 e 2, e che si tratta quindi intuitivamente di una entità intermedia fra linea e superficie. Dato che la loro dimensione pertinente di omotetia è una fra-zione, Mandelbrot chiama "frazionali" (fractals) que-sti oggetti.

*» Curva continua non rettificabile ad omotetia interna. Descritta da MANDELBROT, op. cit., p. 30. H. von Koch l'ha definita nel 1904, cfr. Objets fractals, cit., bibliografia.

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Nello stesso senso si muovono i lavori di René Thom, 2 0 1 interrogando direttamente la nozione di si-stema stabile, che è presupposta nel determinismo laplaciano come in quello probabilistico.

Thom stabilisce il linguaggio matematico che con-sente di descrivere come in determinati fenomeni possano prodursi delle discontinuità dando luogo a forme inaspettate: tale linguaggio costituisce quella che si definisce la teoria delle catastrofi.

Consideriamo l'aggressività come variabile di sta-to in un cane; essa cresce in funzione diretta della sua rabbia, variabile di controllo. 2 0 2 Supponendo che quest'ultima sia misurabile, arrivata ad una soglia, essa si traduce in attacco. La paura, seconda varia-bile di controllo, avrà l'effetto inverso: arrivata ad una soglia, si tradurrà in fuga. In assenza di rabbia e paura, la condotta del cane è neutra (picco della curva di Gauss). Ma se le due variabili crescono as-sieme, le due soglie saranno avvicinate contempora-neamente: la condotta del cane diviene imprevedi-bile, può passare bruscamente dall'attacco alla fuga e viceversa. In questo caso il sistema è definito instabile: le variabili di controllo mutano secondo valori continui, quelle di stato secondo valori di-scontinui.

Thom dimostra che è possibile scrivere l'equazio-ne di questa instabilità, e disegnare il grafico (tridi-mensionale, perché esistono due variabili di control-lo ed una di stato) che determina tutti i movimenti del punto che rappresenta il comportamento del ca-ne, e fra di essi il brusco passaggio da un compor-tamento all'altro. Tale equazione caratterizza un ti-po di catastrofe che è determinato dal numero delle variabili di controllo e da quello delle variabili di stato (in questo caso 2+1).

w l Cfr. R . THOM, Modèles mathématiques de la morphogenise, 10/18, Paris 1974. Per una esposizione accessibile al profano della teoria delle catastrofi, vedi K . POMIAN, Catastrophes et diterminisme, in "Libre", 4, (1978), Payot, pp. 115-136. 2 0 2 Pomian deve l'esempio a E . C . ZEBMAN, The Geometry of Cata-strophe, in "Times Literary Supplement" (10 dicembre 1971).

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La discussione sui sistemi stabili o instabili, prò o contro il determinismo, trova qui un esito, che Thom formula in un postulato: "il carattere più o meno determinato di un processo è individuato dal-lo stato locale di tale processo". 2 0 3 Il determinismo è una specie di modo di funzionamento che è a sua volta determinato: in tutte le circostanze la natura realizza la morfologia locale meno complessa, che sia nondimeno compatibile coi dati locali di parten-za. 2 0 4 Esiste però la possibilità, ed è il caso più fre-quente, che questi dati impediscano la stabilizzazio-ne di una forma. Ciò perché essi sono per lo più in conflitto:

Il modello delle catastrofi riduce tutti i processi causali ad un unico modello, la cui giustificazione intuitiva non po-ne problemi: il conflitto, padre, secondo Eraclito, di ogni cosa.3®

Il caso che le variabili di controllo siano incom-patibili è più probabile del caso inverso. Non esisto-no dunque che delle "isole di determinismo". L'an-tagonismo catastrofico è la regola, in senso proprio: esistono delle regole di agonistica generale delle se-rie, che si definiscono per il numero di variabili in giòco.

Nulla vieta di trovare un'eco (a dire il vero atte-nuata) ai lavori di Thom nelle ricerche della scuola di Palo Alto, in particolare nella applicazione della paradossologia allo studio della schizofrenia, cono-sciuta sotto il nome di Doublé Bind Theory?06 Qui ci accontenteremo di notare questo possibile accosta-mento. Esso consente di dare un'idea dell'estensione di queste ricerche centrate sulle singolarità e sulle "incommensurabilità" che si protende fin nel domi-nio pratico delle difficoltà più quotidiane.

*» R . T H O M , Stabilità strutturale e morfogenesi, Einaudi, Torino 1980, p. 136. * * R . T H O M , Modèles mathimatiques..., cit., p. 24 . » Ibid., p. 25. 3 0 6 Vedi in particolare WATZLAWICK e altri, op. cit., cap. VI.

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L'idea che ci facciamo a partire da simili ricer-che (come da molte altre) è che il primato della funzione continua derivabile come paradigma della conoscenza e della previsione è in via di estinzione. Interessandosi dell'indecidibile, dei limiti della pre-cisione del controllo, dei quanti, dei conflitti ad in-formazione incompleta, dei fracta, delle catastrofi, dei paradossi pragmatici, la scienza postmoderna co-struisce la teoria della propria evoluzione come di-scontinua, catastrofica, non rettificabile, paradossa-le. Cambia il senso della parola sapere, e dice come tale cambiamento può aver luogo. Non produce il noto, ma l'ignoto. E suggerisce un modello di legit-timazione che non è affatto quello della miglior prestazione, ma quello della differenza compresa co-me paralogia. 2 0 7

Come dice molto bene uno specialista della teo-ria dei giochi, i cui lavori vanno nella stessa dire-zione:

Dov'è dunque l'utilità di questa teoria? Pensiamo che la teoria dei giochi sia utile, come qualsiasi altra teoria ela-borata, nel senso che fa nascere delle idee. 2 0 8

Dal canto suo P. B. Medawar 2 0 9 affermava che "avere delle idee è la suprema riuscita per imo scien-ziato", che non esiste un "metodo scientifico" 2 1 0 e che uno scienziato è in primo luogo qualcuno che

2 0 7 "E necessario distinguere le condizioni di produzione del sa-pere scientifico dai sapere prodotto [...] Vi sono due tappe costitu-tive della pratica scientifica, rendere ignoto il noto, riorganizzare que-sta ignoranza in un metasistema simbolico indipendente [...] La specificità della scienza consiste nella sua imprevedibilità'' (P. BRE-TON, "Pandore", 3, aprile 1979, p. 10). x* A. RAPOPORT, Thèorie des jeux à deux personnes, Dunod, Paris 1969, p. 159. 2 0 9 Cfr. P. B. MEDAWAR, L'immaginazione scientifica, De Donato, Bari 1968, in particolare i capitoli: Due concezioni della scienza, e Ipotesi e immaginazione. 2 1 0 È quanto spiega Feyerabend (Contro il metodo, Feltrinelli, Milano 1979) basandosi sull'esempio di Galileo, punto di vista che egli rivendica come "anarchismo" e "dadaismo" epistemologico contro Popper e Lakatos.

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"racconta delle storie", avendo semplicemente in più l'obbligo di verificarle.

14. La legittimazione per paralogia A questo punto i dati dello stato attuale del pro-

blema della legittimazione del sapere sono sufficien-temente chiari per il nostro proposito. Il ricorso alle grandi narrazioni è escluso; non si sarebbe più in grado di ricorrere né alla dialettica dello Spirito né all'emancipazione dell'umanità per la validazione del discorso scientìfico postmoderno. Ma, l'abbiamo appena visto, la "piccola narrazione" resta la forma per eccellenza dell'invenzione immaginativa, innanzi tutto nella scienza.211 D'altra parte, anche il princi-pio del consenso parrebbe insufficiente come crite-rio di validazione. O si tratta dell'accordo fra uomini in quanto intelligenze cognitive e libere volontà ot-tenuto attraverso il dialogo. È sotto questa forma che lo troviamo elaborato da Habermas. Ma tale concezione riposa sulla validità della narrazione emancipativa. Oppure viene manipolato dal sistema come uno dei suoi componenti per mantenere e mi-gliorare le proprie prestazioni, 2 1 2 costituisce l'ogget-to di procedure amministrative, nel senso di Luh-

2 1 1 Nell'ambito di questo studio non è stato possibile analizzare la forma assunta dal ritorno del narrativo in discorsi di legittima-zione quali: il metodo dei sistemi aperti, il localismo, l'antimeiodo, e, in generale, tatti quelli che sono qui riuniti sotto il nome di paralogia. «2 Nora e Mine (op. cit.) attribuiscono ad es. alla "intensità del consenso sociale", che essi giudicano propria della società giappo-nese, i successi ottenuti da questo paese in campo informatico. Nelle loro conclusioni essi inoltre scrivono: "la società alla quale essa [la dinamica di una informatizzazione sociale diffusa] conduce è fragile: fatta in modo da favorire l'elaborazione del consenso, una tale società esige che questo esista e si blocca se non riesce ad ottenerlo" (ibid., p. 147). Y. STOURDZÉ, art. cit., insiste sul fatto che la tendenza attuale a destrutturare, destabilizzare e indebolire le amministrazioni, si alimenta della perdita di fiducia della società nei confronti della performatività dello stato.

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mann. Nel qual caso vale esclusivamente in quanto mezzo per il vero fine, ciò che legittima il sistema, la potenza.

Il problema è dunque sapere se sia possibile ima legittimazione fondata esclusivamente sulla paralo-gia. Bisogna distinguere ciò che è propriamente pa-ralogia dall'innovazione: la seconda è controllata o in ogni caso utilizzata dal sistema per migliorare la propria efficienza, la prima è una mossa, di im-portanza spesso misconosciuta sul campo, effettuata nella pragmatica dei saperi. Il fatto che nella realtà si trasformino l'una nell'altra è frequente ma non necessario, né mette necessariamente in difficoltà l'ipotesi.

Se ripartiamo dalla descrizione della pragmatica scientifica (vedi sezione 7) dobbiamo ormai mettere l'accento sul dissenso. Il consenso è un orizzonte, non è mai acquisito. Le ricerche che si sviluppano sotto l'egida di un paradigma 2 1 3 tendono alla stabi-lizzazione; sono un po' come lo sfruttamento di una "idea" tecnologica, economica, artistica. Non è poco. Ma si è colpiti dal fatto che arriva sempre qual-cuno che scompiglia l'ordine della "ragione". Biso-gna supporre che esista una potenza che destabiliz-za le capacità di spiegazione e che si manifesta at-traverso la promulgazione di nuove norme di intel-ligenza o, se si preferisce, attraverso la proposta di nuove regole del gioco linguistico scientifico che circoscrivono un nuovo campo di ricerca. Si tratta, nell'ambito del comportamento scientifico, dello stes-so processo che Thom chiama morfogenesi. An-ch'esso non è privo di regole (esistono diverse classi di catastrofi) ma la sua determinazione è sempre locale. Trasposta nella discussione scientifica e col-locata in una prospettiva temporale, tale proprietà implica l'imprevedibilità delle "scoperte". In rap-porto ad un ideale di trasparenza, essa costituisce

"J Nel senso di K U H N , op. cit.

I l i

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un fattore di opacità, che rinvia il momento del consenso. 2 1 4

Questa messa a punto fa apparire chiaramente come la teoria dei sistemi ed il tipo di legittima-zione da essa proposto non abbiano alcuna base scientifica: né la scienza stessa funziona pratica-mente secondo il paradigma sistemico ammesso da tale teoria, né tale paradigma consente di descrivere la società nei termini della scienza contemporanea.

Prendiamo in esame a questo proposito due punti importanti dell'argomentazione di Luhmann. Da una parte il sistema non può funzionare che riducendo la complessità, dall'altra deve suscitare l'adattamen-to delle aspirazioni (cxpectations) individuali ai suoi propri fini.215 La riduzione di complessità è imposta dalla competenza del sistema in materia di potenza. Se tutti i messaggi potessero circolare liberamente fra tutti gli individui, la quantità delle informazioni di cui tener conto per effettuare le scelte pertinenti ritarderebbe considerevolmente la scadenza della de-cisione, e quindi la performatività. In effetti la velo-cità è una componente della potenza complessiva.

Si obietterà che bisogna pur tener conto di que-ste opinioni molecolari se non si vogliono rischiare gravi perturbazioni. Luhmann risponde, ed è il se-condo punto, che è possibile orientare le aspirazioni individuali con un processo di "quasi-apprendista-to", "libero da ogni perturbazione", in modo che esse divengano compatibili con le decisioni del si-stema. Queste ultime non devono rispettare le aspi-razioni: bisogna che siano le aspirazioni ad aspirare

2 1 4 P O M M N , art. cit., dimostra che questo modo di operare (per catastrofi) non deriva in alcun modo dalla dialettica hegeliana. 1 1 5 "La legittimazione delle decisioni implica fondamentalmente un processo affettivo di apprendimento che sia libero da ogni per-turbazione. È un aspetto del problema generale: come mutano le aspirazioni, come può il sottosistema politico e amministrativo ristrut-turare attraverso delle decisioni le aspirazioni della società quando non è esso stesso che un sottosistema di quest'ultima? Questo seg-mento sociale avrà un'azione efficace solo se sarà capace di generare nuove aspirazioni negli altri sistemi esistenti" (Legitimation durch Verfahren, loc. cit., p. 35).

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alle decisioni, o almeno ai loro effetti. Le procedure amministrative faranno "volere" agli individui ciò di cui il sistema necessita per essere performativo. 2 1 6

Si vede quale possa e potrà essere l'uso delle tecni-che telematiche in questa prospettiva.

Non sapremmo negare ogni forza di persuasione all'idea che il controllo ed il dominio dell'ambiente valgano di più della loro assenza. Il criterio della performatività ha i suoi "vantaggi". Esclude per prin-cipio l'adesione ad un discorso metafìsico, richiede l'abbandono delle favole, esige spiriti chiari e volon-tà fredde, mette il calcolo delle interazioni al posto della definizione delle essenze, fa assumere ai "gio-catori" la responsabilità non solo degli enunciati che propongono ma anche delle regole cui li sottomet-tono per renderli accettabili. Pone in piena luce le funzioni pragmatiche del sapere, almeno per quanto esse sembrano accettare il criterio di efficienza: fun-zioni di argomentazione, di amministrazione della prova, di trasmissione del noto, di apprendistato al-l'immaginazione.

Contribuisce anche ad elevare tutti i giochi lin-guistici, anche quelli che non dipendono dal sapere canonico, all'autoconoscenza, tende a rovesciare il discorso quotidiano in una sorta di metadiscorso: gli enunciati ordinari segnano una propensione al-l'autocitazione e le diverse posizioni pragmatiche a rapportarsi direttamente al messaggio comunque at-tuale che le riguarda. 2 1 7 Ciò può suggerire che i pro-blemi di comunicazione interna incontrati dalla co-munità scientifica nel suo lavoro, che consìste nel fare e disfare i suoi linguaggi, siano di natura com-parabile a quelli della comunità sociale allorché, pri-

2 1 4 Un'articolazione di questa ipotesi si trova negli studi meno recenti di D . RIBSMAN (La fotta solitaria, I I Mulino, Bologna 1967) . di W . H . WHITB (L'uomo dell'organizzazione, Einaudi, Torino 1973 ) e di H . MARCUSE (L'uomo a una dimensione, Einaudi, Torino 1971) . 217 J. REY-DEBOVE (op. cit., pp. 2 2 8 sgg.) sottolinea la. moltiplica-zione dei segni di discorso indiretto o di connotazione autonimica nel linguaggio quotidiano contemporaneo, e ricorda che "il discorso indiretto non è affidabile".

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vata della cultura narrativa, essa deve mettere alla prova la sua comunicazione con se stessa, interro-gandosi nello stesso tempo sulla natura e la legit-timità delle decisioni prese in suo nome.

A rischio di scandalizzare, possiamo annoverare fra i vantaggi del sistema la sua durezza. Nel qua-dro di un criterio di potenza, una domanda (vale a dire una forma di prescrizione) non riceve alcuna legittimità per il fatto di nascere dalla sofferenza di un bisogno inappagato. Il diritto non viene dalla sofferenza, bensì dal fatto che affrontandola il si-stema diviene più performativo. I bisogni più sfavo-riti non devono servire da principio regolatore del sistema, dato che essendo già noto il modo per soddisfarli, soddisfandoli esso non può migliorare le sue prestazioni ma solo appesantire il suo bi-lancio. La sola controindicazione è che la mancata soddisfazione può destabilizzare tutto l'insieme. Re-golarsi sulla debolezza è contrario alla natura della forza. Ma le è conforme suscitare nuove domande che si ritiene debbano dare luogo alla ridefinizione delle norme di "vita". 2 1 8 In questo senso, il sistema si presenta come la macchina avanguardista che si tira dietro l'umanità, disumanizzandola per riuma-nizzarla ad un altro livello di capacità normativa. I tecnocrati dichiarano di non poter fare affidamen-to su ciò che la società designa come propri biso-gni, essi "sanno" che lei stessa non è in grado di conoscerli perché non si tratta di variabili indipen-denti rispetto alle nuove tecnologie.219 Tale è l'orgo-glio dei decisori, e la loro cecità.

Come dice G. Canguilhem: "l'uomo è veramente sano solo quando è capace di sottoporsi a diverse norme, quando cioè è più che normale" (II normale e il patologico, in La conoscenza della vita, II Mulino, Bologna 1976, p. 235). E . E . DAVID (art. cit.) nota che la società non può conoscere che i bisogni che essa prova nello stato attuale del suo ambiente tecnologico. E proprio della ricerca scientifica di base scoprire pro-prietà sconosciute destinate a modificare l'ambiente tecnico e a generare bisogni imprevedibili. Cita l'uso di materiale solido come amplificatore e il decollo della fisica dei solidi. Una critica di questa "regolazione negativa" delle interazioni sociali e dei bisogni attraverso

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Questo "orgoglio" significa che essi si identifica-no col sistema sociale concepito come una totalità alla ricerca di una propria unità il più performativa possibile. Se ci volgiamo verso la pragmatica scien-tifica, essa ci insegna precisamente che tale identi-ficazione è impossibile: per principio, nessuno scien-ziato incarna il sapere né trascura i "bisogni" di una ricerca o le aspirazioni di un ricercatore col pretesto che non sono performativi per la "scienza" intesa come totalità. La risposta normale del ricer-catore è piuttosto: bisogna vedere, raccontate la vostra storia. 2 2 0 Ancora per principio, non costituisce pregiudizio il fatto che il caso sia già risolto, né si ritiene che la scienza debba subire riduzioni di po-tenza se esso viene riesaminato. Il comportamento è del tutto opposto.

Ben inteso, nella realtà non va sempre cosi. Non si contano gli scienziati le cui "mosse" sono state neglette o represse, a volte per decenni, perché de-stabilizzavano troppo violentemente delle posizioni acquisite, non solo nelle gerarchie universitarie e scientifiche, ma anche nelle problematiche. 2 2 1 Più una "mossa" è forte, più è agevole rifiutarle il consenso minimo proprio perché cambia le regole del gioco su cui vi era consenso. Ma, quando l'istituzione scientifica funziona in tal modo, essa si conduce l'oggetto tecnico contemporaneo si trova in R. JAULIN, Le mythe technologique, in "Revue de l'entreprise", 26, (numero speciale: L'ethno-lechnologie, marzo 1979, pp. 49-55). L'autore analizza e spiega le posi-zioni di A . G . HAUDRICOURT, La technologie culturelle, essai de la méthodologie, in B. GILLE, Histoire des techniques, loc. cit.

MEDAWAR (op. cit., pp. 162-163) mette in opposizione stile scien-tifico scritto e stile scientifico orale. Il primo dev'essere "induttivo", se vuole essere preso in considerazione; quanto al secondo, Medawar ne sottolinea una serie di espressioni correnti nella pratica di labo-ratorio, quali: "I miei risultati non fanno ancora una storia." Egli conclude: "Gli scienziati costruiscono strutture esplicative, raccontano storie." v Per un famoso esempio, vedi L. S. FEUER, The Conflict of Generations, (1969). Come sottolinea Moscovici nella prefazione alla traduzione francese (Alexandre, Einstein et le . conflit des génerations, Complexe, Bruxelles 1979): "La relatività è nata in una 'accademia' di fortuna, formata da amici nessuno dei quali era un fisico, niente più che degli ingegneri e dei filosofi dilettanti."

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come un potere ordinario, il cui comportamento è regolato dall'omeostasi.

Questo comportamento è terroristico, come quel-lo del sistema descritto da Luhmann. Intendiamo per terrore l'efficienza ottenuta attraverso l'eliminazione o la minaccia di eliminazione di un interlocutore dal gioco linguistico in cui si era impegnati con lui. Egli tacerà o darà il suo assenso non perché è stato confutato, ma perché minacciato di esclusione dal gioco (esistono molti tipi di esclusione). È l'orgoglio dei decisori, di cui non dovrebbe per principio esi-stere l'equivalente nelle scienze, ad esercitare que-sto terrore. Esso dice: adattate le vostre aspirazioni ai nostri fini, altrimenti... 2 2 2

Anche la permissività in rapporto ai diversi gio-chi è subordinata alla condizione di performatività. La ridefinizione delle norme di vita consiste nel mi-glioramento della competenza del sistema in mate-ria di potenza. Ciò diviene particolarmente evidente con l'introduzione delle tecnologie telematiche: i tec-nocrati vi scorgono la promessa di una liberaliz-zazione e di un arricchimento delle interazioni fra interlocutori, ma l'effetto interessante è che ne deri-veranno nuove tensioni nel sistema, che ne miglio-reranno le prestazioni. 2 2 3

In quanto differenziante, la pratica scientifica of-fre l'antimodello di un sistema stabile. Qualsiasi enunciato dev'essere conservato nel momento in cui comporti una differenza rispetto a ciò che è noto, e sia argomentabile e provabile. Essa rappresenta

m E il paradosso di Orwell. 11 burocrate parla: "A noi non basta l'obbedienza negativa, né la più abbietta delle sottomissioni. Allorché tu ti arrenderai a noi, da ultimo, sarà di tua spontanea volontà ( G . ORWELL, 1984, Mondadori, Milano 1980, p. 2 8 3 ) . Come gioco linguistico, il paradosso si esprìmerebbe con un: "Sii libero", oppure con un: "Devi volere ciò che vuoi*. Analizzato da WATZLAWICK e altri, op. cit. A proposito di simili paradossi, vedi anche J. M. SALANSKIS, Genises "actuelles" et genises "sirielles" de l'inconsistant et de Vhétérogine, in "Critique", 3 7 9 , (dicembre 1978) . 2 1 3 Vedi la descrizione delle tensioni che l'informatizzazione di massa non mancherà di produrre nella società francese, fatta da

NORA e M I N C (op. cit., Presentazione).

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un modello di "sistema aperto" 2 2 4 in cui la perti-nenza dell'enunciato consiste nel fatto che esso "fa nascere delle idee", vale a dire altri enunciati e altre regole del gioco. Non esiste nella scienza un metalin-guaggio generale in cui tutti gli altri possano essere trascritti ed in relazione al quale possano essere va-lutati. Questo è ciò che vieta l'identificazione col sistema e, in fin dei conti, il terrore. La separazione fra decisori ed esecutori nella comunità scientifica, se esiste (ed esiste), appartiene al sistema socioeco-nomico, non alla pragmatica scientifica. Essa rap-presenta uno dei maggiori ostacoli allo sviluppo del-l'immaginazione nel sapere.

L'interrogativo generale della legittimazione di-viene: qual è il rapporto fra l'antimodello offerto dalla pragmatica scientifica e la società? È possibile applicare tale modello alle immense nebulose di ma-teriali linguistici che costituiscono le società? Op-pure esso resta limitato al gioco cognitivo? Ed in tal caso qual è il suo ruolo nei confronti del legame sociale? Ideale inaccessibile di comunità aperta? Componente indispensabile del sottosistema dei de-cisori, che accetta per la società quel criterio di performatività che rifiuta per se stesso? O, al contra-rio, rifiuto di collaborazione col potere e passaggio alla controcultura, col rischio dell'estinzione di ogni possibilità di ricerca per mancanza di credito? 2 2 5

Fin dall'inizio di questo studio, abbiamo sottoli-neato la differenza non solo formale, ma pragma-tica, che separa i diversi giochi linguistici, in parti-colare quelli denotativi o cognitivi, e quelli prescrit-tivi o legati all'azione. La pragmatica scientifica è fondata sugli enunciati denotativi, è in forza di ciò che essa dà luogo alle istituzioni della conoscenza

» Vedi nota 181. Cfr. in WATZLAWICK e altri, op. cit., la discus-sione sui sistemi aperti. La nozione di sistema aperto è oggetto di uno studio di J. M . SALANSKIS, Le systématique ouvert, à parattre, 1978. m Dopo la separazione fra stato e chiesa, FEYERABEND (op. cit.) rivendica, nello stesso spirito "laico", quella fra scienza e stato. E quella fra scienza e denaro?

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(istituti, centri, università, ecc.). Ma il suo sviluppo postmoderno pone in primo piano un "fatto" deci-sivo: che anche la discussione di enunciati denota-tivi esige delle regole. Ora le regole non sono enun-ciati denotativi, ma prescrittivi, che meglio sarebbe chiamare metaprescrittivi per evitare confusioni (es-si prescrivono come debbano essere le mosse dei giochi linguistici perché siano ammissibili). L'attivi-tà differenziante, o immaginativa o paralogica nel-l'attuale pratica scientifica, ha la funzione di far emergere queste metaprescrizioni (i "presuppo-sti" 2 2 6) e di farne accettare altre agli interlocutori. Ciò che in fin dei conti può legittimare tale accetta-zione è solo che ne nascano delle idee, cioè dei nuovi enunciati.

La pragmatica sociale non ha la "semplicità" di quella scientifica. È un mostro formato dalla em-bricazione di reti di classi di .enunciati eteromorfi (denotativi, prescrittivi, performativi, tecnici, valu-tativi, ecc.). Non vi è alcun motivo di pensare che sia possibile determinare metaprescrizioni comuni a tutti questi giochi linguistici e che un consenso rive-dibile, come quello che regna in un dato momento nella comunità scientifica, possa comprendere l'in-sieme delle metaprescrizioni che regolano il com-plesso degli enunciati che circolano nella collettività. È anche all'abbandono di questa credenza che è le-gato l'attuale declino delle narrazioni legittimanti, siano esse tradizionali o "moderne" (emancipazione dell'umanità, divenire dell'Idea). È parimenti la per-dita di questa fede che l'ideologia del "sistema" si appresta ad un tempo a colmare con la sua pretesa totalizzante e ad esprimere col cinismo del suo cri-terio di performatività.

Per questo motivo non sembra possibile, e nem-meno prudente, orientare, come fa Habermas, l'ela-borazione del problema della legittimazione nel sen-

Tale almeno è uno dei modi di intendere il termine, proprio della problematica di O . DUCROT, op. cit.

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so della ricerca di un consenso universale 2 2 7 attra-verso ciò che egli chiama il Diskurs, cioè il dialogo delle argomentazioni. 2 2 8

Ciò infatti presuppone due cose. La prima è che tutti gli interlocutori possano trovare un accordo su delle regole o delle metaprescrizioni che siano universalmente valide per tutti i giochi linguistici, quando è chiaro che questi sono eteromorfi e dipen-dono da regole pratiche eterogenee.

Il secondo presupposto è che la finalità del dia-logo sia il consenso. Ma noi abbiamo dimostrato, analizzando la pragmatica scientifica, che il consenso è uno stato delle discussioni e non il loro fine. Tale è piuttosto la paralogia. Ciò che scompare con que-sta duplice constatazione (eterogeneità delle regole, ricerca del dissenso), è una convinzione che anima ancora la ricerca di Habermas, ossia che l'umanità come soggetto collettivo (universale) ricerchi la pro-pria emancipazione comune attraverso il disciplina-mento delle "mosse" consentite in tutti i giochi lin-guistici, e che la legittimità di qualsiasi enunciato

227 La crisi della razionalità..., cit., passim, in particolare, pp. 13-14: "Il linguaggio funziona a mo' di trasformatore: [...] gli episodi o esperienze interiori si trasformano in contenuti- intenzionali, e per la precisione le cognizioni in enunciati, i bisogni e i sentimenti in aspettative normative (in precetti o in valori). Questa trasformazione ingenera la differenza, gravida di conseguenze, tra la soggettività del ritenere, del volere, del piacere e del dispiacere da una parte, e le affermazioni e le norme con pretesa di universalità dall'altra. Univer-salità significa oggettività della conoscenza e legittimità delle norme vigenti; entrambe assicurano la comunanza (Gemeinsamkeit) costitu-tiva per il mondo vitale sociale." Si vede come circoscrivendo in tal modo la problematica, ancorando il problema della legittimità ad un tipo di risposta, l'universalità, si presupponga da una parte l'identità della legittimazione fra soggetto della conoscenza e soggetto dell'azione, all'opposto della critica kantiana che dissociava l'univer-salità concettuale, propria del primo, dall'universalità ideale (la "na-tura soprasensibile") che costituisce l'orizzonte del secondo; e si man-tenga dall'altra il consenso (Gemeinschaft) come unico orizzonte pos-sibile della vita umana. 221 Ibid. La subordinazione degli enunciati metaprescrittivi alla prescrizione, cioè alla normalizzazione delle leggi, al Diskurs, è espli-cita, vedi ad es. p. 116: "la pretesa di validità normativa stessa è cognitiva nel senso del presupposto [...] che la si possa soddisfare discorsivamente, che cioè la si possa fondare su un consenso dei partecipanti, raggiunto con l'argomentazione."

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risieda nel suo contributo a tale emancipazione.2 2 9

È facile capire quale sia la funzione di questo ricorso nell'argomentazione di Habermas contro Luhmann. Il Diskurs vi gioca il ruolo di ultimo osta-colo opposto alla teoria del sistema stabile. La cau-sa è buona, non altrettanto gli argomenti. 2 3 0 Il con-senso è divenuto un valore desueto, e sospetto. Lo stesso non si può dire per la giustizia. Occorre dun-que pervenire ad una idea e ad una pratica di giu-stizia che non siano legate a quelle del consenso.

Il riconoscimento dell'eteromorfìa dei giochi lin-guistici è un primo passo in questa direzione. Esso implica evidentemente la rinuncia al terrore, che suppone e si sforza di realizzare la loro isomorfìa. Il secondo passo è il principio in base al quale, se esiste consenso sulle regole che definiscono ciascun gioco e sulle "mosse" che vengono in esso effettuate, tale consenso deve essere locale, ottenuto cioè dagli interlocutori momento per momento, e soggetto a eventuale reversione. Ci si orienta dunque verso degli insiemi finiti di meta-argomentazioni, con que-sto intendiamo dire delle argomentazioni fondate su metaprescrizioni e limitate nello spazio-tempo.

Tale orientamento corrisponde all'evoluzione delle interazioni sociali, dove il contratto limitato nel tempo si sostituisce di fatto all'istituzione perma-nente nel campo professionale, affettivo, sessuale, culturale, familiare, internazionale come negli affari politici. L'evoluzione è certo equivoca: il contratto temporaneo è favorito dal sistema per la sua mag-giore elasticità, per il suo minor costo, e per l'effer-vescenza delle motivazioni che l'accompagnano, tutti fattori che contribuiscono ad una migliore operati-

2 2 9 G. KORTIAN, in Métacritique, Minuit, Paris 1979, Parte V, esa-mina criticamente questo aspetto aufklarer dei pensiero di Habermas. Vedi anche, dello stesso autore, Le discours philosophique et son objet, in "Critique", 1979. 2 1 0 Vedi J . POULAIN (art. cit. in nota 28 ) ; e, per una discussione più generale della pragmatica di Searle e di Gehlen, J . POULAIN, Pragmatique de la parole et pragmatique de la vie, in "Phi zèro* 7, 1 (settembre 1978) , Università di Montréal, pp. 5-50.

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vità. Ma non si tratta, in ogni caso, di proporre una alternativa "pura" al sistema: noi tutti sappiamo, al-la fine di questi anni Settanta, che essa gli assomi-glierebbe. Dobbiamo rallegrarci che la tendenza al contratto temporaneo sia equivoca: essa non appar-tiene esclusivamente alla finalità del sistema ma que-sto la tollera, ed essa indica al suo interno un'altra finalità, quella della conoscenza dei giochi linguistici in quanto tali e della decisione di assumere la re-sponsabilità delle loro regole e dei loro effetti, il principale dei secondi essendo quello che convalida l'adozione delle prime, la ricerca della paralogia.

Quanto all'informatizzazione della -società, si ve-de infine come essa coinvolga questa problematica. Essa può divenire lo strumento "sognato" del con-trollo e della regolazione del sistema di mercato, esteso fino al sapere stesso, e retto esclusivamente dal principio di performatività. Essa comporta allo-ra inevitabilmente il terrore. Ma essa può anche ser-vire i gruppi di discussione sulle metaprescrizioni dando loro le informazioni di cui per lo più difet-tano per decidere con cognizione di causa. La linea da seguire perché la biforcazione si risolva in que-quest'ultimo senso si riduce ad un principio assai semplice: il pubblico deve avere libero accesso alle memorie ed alle banche di dati. 2 3 1 I giochi linguistici

2 1 1 Cfr. TRICOT e altri. Informatique et libertés, Rapporto al go-verno, La Documentation française, 1975; L. JOINET, Les "pièges liber-ticides" de l'informatique, in "Le Monde diplomatique", 300, (marzo 1979): queste trappole (pièges) sono: "l'applicazione della tecnica dei 'profili sociali' alla gestione di massa delle popolazioni; la logica di sicurezza prodotta dall'automatizzazione della società". Vedi anche il dossier e le analisi raccolte in "Interférences" 1 e 2 (inverno 1974, primavera 1975), il cui tema è la messa in opera di reti popolari di comunicazione multimediale: radioamatori (in particolare in rela-zione al ruolo da essi sostenuto nel Québec al momento dell'affare dello F.L.Q., nell'ottobre 1970, e del Fronte comune nel maggio 1972); radio comunitarie negli Stati Uniti e in Canada; impatto del-l'informatica sulle condizioni del lavoro redazionale nella stampa; radio pirata (prima del loro sviluppo in Italia); schedari elettronici amministrativi; monopolio IBM; sabotaggio informatico. La munici-palità di Yverdon (Cantone di Vaud), dopo aver votato l'acquisto di un elaboratore (operativo nel 1981) ha promulgato un certo numero di norme: competenza esclusiva del consiglio municipale per deci-

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saranno allora dei giochi ad informazione completa in un dato momento. Ma si tratterà anche di giochi il cui risultato non sarà nullo, ed in tal modo le discussioni non rischieranno di non riuscire mai a fissarsi su posizioni minime di equilibrio, per man-canza di posta. Infatti le poste saranno allora co-stituite dalle conoscenze (o dalle informazioni, se si vuole), e la riserva di conoscenze che è la riserva di enunciati della lingua è inesauribile. Si delinea una politica in cui saranno ugualmente rispettati il desi-derio di giustizia e quello di ignoto.

dere i dati da raccogliere, a chi e a quali condizioni trasmetterli; possibilità di accedere a tutti i dati per qualsiasi cittadino su sua domanda (a pagamento); diritto per ogni cittadino di prendere vi-sione dei dati della sua scheda (una cinquantina), di correggerli, di formulare in relazione ad essi un reclamo al consiglio municipale ed eventualmente al Consiglio di Stato; diritto per ogni cittadino di sapere (su sua domanda) quali dati che lo riguardano vengono tra-smessi, e a chi ("La semaine media", 18, 1 marzo 1979, p. 9).

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Indice

5 Introduzione 9 1. Il campo: il sapere nelle società infor-

matizzate 16 2. Il problema: la legittimazione 20 3. Il metodo: i giochi linguistici 24 4. La natura del legame sociale: l'alter-

nativa moderna 30 5. La natura del legame sociale: la pro-

spettiva postmoderna 37 6. Pragmatica del sapere narrativo 45 7. Pragmatica del sapere scientifico 52 8. La funzione narrativa e la legittimazio-

ne del sapere 58 9. Narrazione e legittimazione del sapere 69 10. La delegittimazione 76 li. Ricerca, legittimazione, performatività 87 12. Insegnamento, legittimazione, perfor-

matività 98 13. La scienza postmoderna come ricerca

delle instabilità HO 14. La legittimazione per paralogia