Sculture lignee di Giacomo Colombo ad Aversa e dintorni · L’anno successivo lo scultore fu...

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Sculture lignee di Giacomo Colombo ad Aversa e dintorni In attesa che un saggio-catalogo metta finalmente ordine sulla produzione artistica dello scultore veneto-napoletano Giacomo Colombo, gli studi sull’artista proseguono numerosi, ancorché in ordine sparso, senza che non passi, peraltro, saggio singolo o contributo più generale sulla scultura napoletana a cavallo tra i secoli XVII e XVIII, dove non si segnalino nuove opere collegate alla sua incessante attività 1 . A questa precisa connotazione, che sembra contraddistinguere tutta la storiografia moderna sul Colombo non sfugge neanche questo scritto, dove, non prima di aver tracciato un breve profilo artistico e biografico dell’artista, ci occuperemo di alcune opere - di cui qualcuna inedita - conservate in chiese di Aversa e dintorni; talune di sicura attribuzione perché firmate o documentate; altre - la più parte - attribuite allo scultore atestino, sia pure con le dovute riserve, o perché vicine nello stile e nella resa a sculture sicuramente autografe o, molto più semplicemente, perché tradizionalmente ritenute tali dalla storiografia locale. Giacomo Colombo nacque ad Este, presso Padova, nel 1663. Venuto giovanissimo a Napoli fu allievo, secondo la testimonianza del De Dominici, di Domenico Di Nardo 2 . La sua prima opera documentata - risalente al 1688, ma purtroppo distrutta - fu la decorazione a intaglio dorato per l’organo della chiesa della Croce di Lucca a Napoli. L’anno successivo lo scultore fu ammesso alla Corporazione dei pittori, nella quale ricoprì successivamente, nel 1701, l’importante incarico di prefetto. In questi anni egli realizzò alcune tra le sue opere più importanti tra cui due Crocefissi, l’uno per la chiesa di San Pietro a Cava dei Tirreni, d’impianto prettamente barocco, e l’altro per la chiesa di Santo Stefano a Capri che già annuncia - in antitesi con le coeve affermazioni berniniane e fanzaghiane - l’eleganza neo manieristica che caratterizzerà la sua opera per tutto il decennio successivo. Intorno al 1700 si colloca pure l’opera di legno più monumentale dello scultore: la Pietà della Collegiata di Eboli, assai prossima nella resa formale alle opere dello spagnolo Pietro de Mena. E ancora, negli anni successivi scolpì una Madonna delle Grazie per la chiesa di Santa Maria della Santella a Capua, e nel 1703-04 i monumenti funebri dei principi di Piombino nella chiesa di San Diego all’Ospedaletto di Napoli. Nel 1705 poi lo ritroviamo tra il folto gruppo di artisti che operarono per la costruzione dell’altare maggiore della certosa di San Martino, su progetto del Solimena. Nel 1706 scolpì il Sant’Andrea nella chiesa omonima di 1 Per un orientamento di massima sulla produzione del Colombo si consultino G. G. BORRELLI, Giacomo Colombo, in «Civiltà del Seicento a Napoli», Catalogo della Mostra di Napoli, Museo di Capodimonte, 24 ottobre 1984 - 14 aprile 1985, Firenze 1984, II, pp. 167-171 e il più recente saggio di L. GAETA, Riconsiderando Giacomo Colombo, ne «Il Cilento ritrovato La produzione artistica nell'antica Diocesi di Capaccio», Catalogo della Mostra di Padula, Certosa di San Lorenzo, Luglio - Ottobre 1990, Napoli 1990, pp. 166-172. 2 B. DE DOMINICI, Vite de' pittori scultori ed architetti napoletani..., Napoli 1742-45, III, p. 391

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Sculture lignee di Giacomo Colombo ad Aversa e dintorni In attesa che un saggio-catalogo metta finalmente ordine sulla produzione artistica dello scultore veneto-napoletano Giacomo Colombo, gli studi sull’artista proseguono numerosi, ancorché in ordine sparso, senza che non passi, peraltro, saggio singolo o contributo più generale sulla scultura napoletana a cavallo tra i secoli XVII e XVIII, dove non si segnalino nuove opere collegate alla sua incessante attività1. A questa precisa connotazione, che sembra contraddistinguere tutta la storiografia moderna sul Colombo non sfugge neanche questo scritto, dove, non prima di aver tracciato un breve profilo artistico e biografico dell’artista, ci occuperemo di alcune opere - di cui qualcuna inedita - conservate in chiese di Aversa e dintorni; talune di sicura attribuzione perché firmate o documentate; altre - la più parte - attribuite allo scultore atestino, sia pure con le dovute riserve, o perché vicine nello stile e nella resa a sculture sicuramente autografe o, molto più semplicemente, perché tradizionalmente ritenute tali dalla storiografia locale. Giacomo Colombo nacque ad Este, presso Padova, nel 1663. Venuto giovanissimo a Napoli fu allievo, secondo la testimonianza del De Dominici, di Domenico Di Nardo2. La sua prima opera documentata - risalente al 1688, ma purtroppo distrutta - fu la decorazione a intaglio dorato per l’organo della chiesa della Croce di Lucca a Napoli. L’anno successivo lo scultore fu ammesso alla Corporazione dei pittori, nella quale ricoprì successivamente, nel 1701, l’importante incarico di prefetto. In questi anni egli realizzò alcune tra le sue opere più importanti tra cui due Crocefissi, l’uno per la chiesa di San Pietro a Cava dei Tirreni, d’impianto prettamente barocco, e l’altro per la chiesa di Santo Stefano a Capri che già annuncia - in antitesi con le coeve affermazioni berniniane e fanzaghiane - l’eleganza neo manieristica che caratterizzerà la sua opera per tutto il decennio successivo. Intorno al 1700 si colloca pure l’opera di legno più monumentale dello scultore: la Pietà della Collegiata di Eboli, assai prossima nella resa formale alle opere dello spagnolo Pietro de Mena. E ancora, negli anni successivi scolpì una Madonna delle Grazie per la chiesa di Santa Maria della Santella a Capua, e nel 1703-04 i monumenti funebri dei principi di Piombino nella chiesa di San Diego all’Ospedaletto di Napoli. Nel 1705 poi lo ritroviamo tra il folto gruppo di artisti che operarono per la costruzione dell’altare maggiore della certosa di San Martino, su progetto del Solimena. Nel 1706 scolpì il Sant’Andrea nella chiesa omonima di 1Per un orientamento di massima sulla produzione del Colombo si consultino G. G. BORRELLI, Giacomo Colombo, in «Civiltà del Seicento a Napoli», Catalogo della Mostra di Napoli, Museo di Capodimonte, 24 ottobre 1984 - 14 aprile 1985, Firenze 1984, II, pp. 167-171 e il più recente saggio di L. GAETA, Riconsiderando Giacomo Colombo, ne «Il Cilento ritrovato La produzione artistica nell'antica Diocesi di Capaccio», Catalogo della Mostra di Padula, Certosa di San Lorenzo, Luglio - Ottobre 1990, Napoli 1990, pp. 166-172. 2 B. DE DOMINICI, Vite de' pittori scultori ed architetti napoletani..., Napoli 1742-45, III, p. 391

Gricignano, di cui si parlerà più diffusamente in seguito, cui seguirono negli anni successivi, oltre ad un certo numero di piccole figure presepiali, alcune sculture per il presepe della chiesa napoletana di Santa Maria in Portico. Dal secondo decennio del secolo inizia un periodo più caratterizzato dallo spirito settecentesco, con il gruppo dell’Annunciazione nella chiesa di Santa Maria Maggiore a Sant’Arsenio (1712), in provincia di Salerno, il San Pietro nella parrocchiale dell’omonima località sul Tanagro (1713), il Sant’Agostino nella cattedrale di Troia e il Ritratto di Carlo V d’Asburgo nella chiesa di Santa Teresa degli Scalzi a Napoli, entrambi datati al 1715 come il Sant’Antonio col Bambino della chiesa di San Cesario a Cesa, che qui si presenta per la prima volta. Nello stesso anno il nostro è impegnato con Lorenzo Tortora, Giovanni Ragozzino e Marco Bottiglieri nella realizzazione della cappella di San Domenico nella chiesa di Santa Caterina a Formiello a Napoli, per la quale realizzerà le statue della Religione e della Verità per le nicchie laterali, e l’Eterno Padre nell’edicola della cona. Nell’ultimo periodo di attività, lo scultore aderì ai modi arcadici - rococò che si andavano sviluppando in città. La nuova ricerca produrrà la Santa Caterina d’Alessandria nella chiesa di Santa Chiara in Santa Lucia di Serino (1718), l’Assunta nella parrocchiale di Carano, presso Sessa Aurunca (1724) e il Sant’Antonio, ora disperso, per la chiesa di San Lorenzo Maggiore a Napoli, nel 1731, anno nel quale probabilmente morì. La prima delle sculture lignee aversane di sicura autografia di cui ci occuperemo in questo saggio è costituita dall’Arcangelo Raffaele che si conserva nella cappella dell’Angelo Custode, sita nella chiesetta della Madonna della Pietà ad Aversa, e sede dell’omonima confraternita (fig. 1). Il manufatto, in legno scolpito, intagliato e policromato, misura cm. 200 x 100 x cinquanta e fu realizzato, come si legge in margine alla base, dallo scultore nel 16913. Posta nell’attuale collocazione alla metà di questo secolo, la scultura proviene dalla dismessa chiesetta dell’Angelo Custode, antica sede della confraternita - tuttora esistente- benché ridotta a ripostiglio dell’attigua chiesa parrocchiale di San Giovanni a Savignano4. Raffigura l’arcangelo, che, con veste dorata e manto azzurro, è colto nell’atto di puntare l’indice della mano sinistra verso l’alto. Gli è a fianco, sulla destra, un fanciullo che gli tende la mano indicando, anch’egli, il cielo. Sulla sinistra è il demonio dipinto tutto di nero. La scultura, pertanto, tenendo altresì conto dell’originaria collocazione, si prefigura, dal punto di vista iconografico, come la rappresentazione - invero piuttosto rara - di un tema di più antica data: quello dell’arcangelo Raffaele nel ruolo di Angelo Custode che protegge il bambino (allusione simbolica dell’anima), dalle cattive tentazioni5.Tale iconografia, che ha dei precedenti nel più antico soggetto del Tobiolo e l’Angelo, cui è strettamente legata, ebbe, infatti,

3 GIACOMO COLOMBO FECE NEL 1691. 4 R. VITALE, Quasi un secolo di storia aversana, Aversa 1954, p. 49. 5 J. HALL, Dizionario dei soggetti e dei simboli nell'arte, Milano 1989, p. 347.

Fig. 1 Aversa, Chiesa di Santa Maria della Pietà, G. Colombo, Angelo Custode

una breve diffusione solo tra la fine del XVI secolo e gli inizi del secolo successivo in ambienti di devozione controriformata e soprattutto tra i pittori di cultura tardo - manierista (Giovan Battista Azzolino, Giovanni Balducci) e para - caravaggesca (Carlo Sellitto, Andrea Vaccaro). L’opera, che si può ritenere inedita se si esclude la breve menzione del Parente, che, peraltro, la giudica «mediocre», è coeva al grande Crocefisso ligneo della chiesa di Santo Stefano a Capri, che il Borrelli inserisce - dopo averne sottolineato il carattere classico - «nell’inedito filone della scultura napoletana neo - cinquecentesca»6. L’unica scultura del Colombo conservata nell’Aversano già nota alla letteratura artistica è il Sant’Andrea, firmato e datato 1706, che si osserva sull’altare maggiore dell’omonima parrocchiale di Gricignano (fig. 2). La statua fu realizzata con il contributo economico della popolazione come ben testimonia una breve dicitura posta in calce all’opera7. Una consolidata tradizione locale tramanda pure la notizia secondo cui, per scolpire la statua di Sant’Andrea pare fosse stato utilizzato un pezzo di legno proveniente da un giardino, ora scomparso, sito nell’attuale via Sant’Antonio abate meglio noto come «il giardino di zio Abramo»8. Originariamente posta in una coeva scarabattola a muro che occupa la terza cappella laterale sinistra della chiesa, la statua fu trasferita nell’attuale collocazione nel 1970. Il Sant’Andrea fu pubblicata una prima volta - peraltro senza alcun commento critico - nel 1974 in una nota dell’Alparone apparsa in margine ad un saggio del Macaluso su Frate Umile da Petralia9. Più tardi, nel 1980, il Fittipaldi, in un primo organico studio sulla scultura napoletana del Settecento ritornò sul Sant’Andrea, osservando - non prima di aver ricordato che esso è «...tratto con trascurabili varianti ma con lo schema ribaltato [...] dal S. Andrea di Francesco Duquesnoy, nella Basilica di S. Pietro» - che «le leggere varianti del drappeggio, l’inclinazione languida del sentimento e l’accenno ad un timido passo di danza nell’impostazione al suolo della figura, abbastanza chiaramente, volgono in cadenze peculiari rococò»10. Successivamente, la scultura, recentemente restaurata dalla dott.ssa Flavia Sansone che l’ha ricondotta all’antico splendore, è stata più volte menzionata, senza ulteriori apporti critici, ma solo con intenti comparativi, in alcune rassegne espositive11.

6 G. BORRELLI, Colombo scultore per il presepe napoletano, in «Orizzonti economici», 67 (1967), pp. 15-43, p. 31. 7 EX UNIVERSITATE POPULI GRICINIANI JACOBUS COLOMBO FECIT 1706. 8 D. VERDE, Gricignano Cenni storici, Curti 1993, p. 47. 9 G. MACALUSO, Petralia Soprana: paese natale di Frate Umile. Un paese ricco di opere d'arte, che scompare, in «Rassegna d'arte», a. III (1974), nn. 7 - 8, pp. 32-35, con nota aggiunta di G. Alparone, pp. 36-38, p. 38, foto a p. 36. 10T. FITTIPALDI, Scultura napoletana del Settecento, Napoli 1980, p. 21. 11 Civiltà del Seicento a Napoli, op. cit., p. 167; AA. VV., Restauri a Solofra La Collegiata di San Michele, Roma 1987, p. 92.

Fig. 2 Gricignano d'Aversa, Chiesa di S. Andrea, G. Colombo, S. Andrea

E forse, E contemporaneamente alla statua di Sant’Andrea il Colombo scolpì pure per la parrocchiale di Gricignano la statua di San Giuseppe, rubata da ignoti alcuni anni fa, e il piccolo busto ligneo con l’Ecce Homo che ancora si conserva in un ridotto attiguo

all’ingresso della chiesa (fig. 3). Quest’ultima scultura, modellata secondo un’iconografia molto consueta a Napoli tra la fine del XVII e gli inizi del secolo successivo, si segnala per i drammatici accenti espressivi desunti direttamente da esempi iberici; quegli stessi accenti pietistici che ritroviamo nella Pietà della Cappella di Montevergine a Frattaminore, ritenuta di un allievo del Colombo e che ricalca nello schema l’omonimo gruppo scultoreo di mano del maestro nella Collegiata di Santa Maria della Pietà di Eboli12. Non molto lontano da Gricignano, nella confinante Cesa, si conserva un’altra scultura del Colombo di sicura autografia: il Sant’Antonio col Bambino posto sull’altare della seconda cappella destra della chiesa Parrocchiale di San Cesario;

realizzata nel 1715 ma pesantemente restaurata nel 1872 come si legge in margine alla base13 (fig. 4). Il santo, con reliquia sul petto, è raffigurato a figura intera e, secondo la consueta iconografia, indossa il saio; nella mano sinistra tiene il giglio, simbolo della purezza, mentre con la destra regge il Bambino. Quest’ultimo, va sottolineato, non è il manufatto originale, sottratto con un furto sacrilego qualche anno fa, e di cui alcuni fedeli hanno ancora ben presenti i preziosi lineamenti fisionomici che ricordavano «le carnose fattezze di un bambino di pochi mesi». Altre aggiunte posteriori risultano essere

12 L. GAETA, op. cit., p. 172. 13 GIACOMO COLOMBO 1715. RISTAORATO AL 1872.

Fig. 3 Gricignano d'Aversa, Chiesa di S. Andrea, Ecce Homo

ancora l’aureola, il giglio e gli ex-voto in argento che pendono dalle mani del Santo14. Al Colombo e bottega vanno altresì ricondotte alcune sculture della chiesa di Sant’Elpidio a Sant’Arpino; in particolare il San Francesco da Paola, che occupa una delle nicchie del transetto sinistro ma che proviene dalla chiesa dell’ex Monastero dei Paolotti, sorta nel secolo XVII in luogo di una precedente chiesa dedicata alla Madonna di Atella e attualmente adibita a cappella cimiteriale15 (fig. 5). Il santo, a figura intera, è raffigurato con la barba scura. E’ vestito con l’abito del suo ordine, di color bruno, cinto dal cordone dei francescani; sul petto ha un medaglione col sole raggiato. La statua, alla pari di quasi tutte le rappresentazioni pittoriche e plastiche del santo corrisponde alla descrizione che di Lui ne fa un anonimo discepolo, suo primo biografo, altrimenti noto come Padre Lorenzo delle Chiavi da Regina. Egli scrive: «Il buon padre S. Francesco di Paola aveva la barba e i capelli abbastanza lunghi, cioè né troppo lunghi né troppo corti; non se li fece mai tagliare. Era di corporatura sufficientemente grossa e di forte costituzione e benché vivesse in straordinaria astinenza, godeva tuttavia florida salute, e aveva il volto rubicondo come se ogni giorno avesse mangiato cibi squisiti. Esternamente sembrava

grosso, mentre in realtà era ossa e pelle»16. A questa fonte si rifà d’altronde la più antica immagine del santo che si conserva nella chiesa

dell’Annunziata a Montalto Uffugo, in provincia di Cosenza, e che la tradizione indica come il suo vero ritratto, dipinto nel 1483 su commissione del re di Napoli, Ferdinando I

14 F. PEZZELLA, Le chiese della Diocesi di Aversa, in corso di preparazione. 15 F. P. MAISTO, Memorie storico-critiche sulla vita di S. Elpidio Vescovo Africano e patrono di S. Arpino con alcuni cenni intorno ad Atella, antica città della Campania, al villaggio di Santarpino ed all'Africa nel secolo V, Napoli 1884, p. 77. 16 P. N. LUSITO (a cura di), Vita di San Francesco di Paola, dell'anonimo discepolo contemporaneo del santo, Paola 1967, p. 36.

Fig. 4 Cesa, Chiesa di S. Cesario, G. Colombo S. Antonio

Fig. 5 Sant'Arpino, Chiesa di S. Elpidio, G. Colombo (attr.), S. Francesco da Paola

d’Aragona, quando il santo fu ospite in Castel Nuovo nel suo viaggio verso la Francia17. Il San Francesco di Sant’Elpidio va datato tra la fine del XVII secolo e gli inizi del secolo successivo, il periodo forse meno fecondo dal punto di vista produttivo per

l’artista, ma anche quello contrassegnato da una più viva vena creativa. Il modellato della scultura si caratterizza, infatti, per la vivacità, ma soprattutto per presenza di quella tensione espressiva così tipica delle opere giovanili, quale si ritrova ad esempio nell’altro gruppo plastico, conservato nella nicchia posta sul primo altare a sinistra della stessa chiesa, pure attribuibile allo scultore: la Sant’Anna con la Madonna Bambina (fig. 6). Anche qui bisogna purtroppo registrare, che la figura della Vergine è un’aggiunta moderna resasi necessaria per le conseguenze di un furto sacrilego. Una tradizione popolare, riportata in un manoscritto datato 1759 - e quindi successivo di appena qualche decennio alla morte dello scultore - indica in Giacomo Colombo l’artefice del veneratissimo Cristo Trasfigurato (fig. 7) che si conserva nella chiesa eponima a Succivo : «...Dentro al muro sull’altare (della cappella del SS. Salvatore, N.d.A.) c’è una gran nicchia in mezzo, foderata di tavole e dipinta di color celeste, dov’è riposta

la statua in legno di Gesù Cristo in atto di trasfigurarsi, assai bella, formata per quanto si ave dalla tradizione fra questo popolo, dal celebre scultore Giacomo Colombo, che ferma i piedi su di un piccolo monticello ...»18

17 D. VIZZARI, San Francesco di Paola e Montalto Uffugo La chiesa Il convento Il ritratto, Montalto Uffugo 1985, p. 29. 18 Notizie della Chiesa Parrocchiale di Soccivo 1759, ms., fol. 113, Succivo, Archivio Parrocchiale. Devo la notizia al parroco Don Carlo Cinquegrana, che qui ringrazio, anche per avermi fornito la foto della statua.

Fig. 6 Sant'Arpino, Chiesa di S. Elpidio, G. Colombo (attr.), S. Anna e la Madonna Bambina

Fig. 7 Succivo, Chiesa della Trasfigurazione, G. Colombo, Gesù trasfigurato

Per quanto abbondantemente restaurata già nel secolo scorso fin quasi a farle perdere i caratteri originari - in parte poi ripristinati da un accorto intervento operato dai fratelli Lebro una quindicina di anni fa - la scultura replica, con consumato e raffinato mestiere, analoghe composizioni giovanili dell’artista veneto - napoletano. Poco ha a che fare, invece, con il nostro scultore la statua di San Sebastiano che si conserva nella chiesa di San Pietro Apostolo a Caivano, che gli fu attribuita, agli inizi di questo secolo da Domenico Lanna, uno storico locale19. L’opera denota, a nostro avviso, caratteri cinquecenteschi; secondo un’analisi stilistica che trova ulteriore conferma nella notizia documentaria - riportata dallo stesso storico e desunta (a dir suo) dai fascicoli relativi alla Santa Visita del Vescovo Ursino - secondo cui la statua fu trasportata in chiesa già prima del 1591, prelevandola dall’antica cappella dedicata al Santo, all’epoca pressoché diruta20. Appare evidente, alla luce dei fatti, come il Lanna non tenesse ben presente il periodo storico in cui il nostro scultore visse ed operò. E però nella stessa Caivano si osserva, nella chiesa di Santa Barbara, un San Giuseppe col Bambino, posto sull’altare a destra dell’altare maggiore - un tempo di patronato della congrega dei Santi Lucia ed Aniello - che, almeno ad uno sguardo sommario, essendo stata impossibile una visione ravvicinata, si mostra più degno di sopportare l’attribuzione al Colombo avanzata dallo dai fini lineamenti e barba

19 D. LANNA, Caivano Frammenti storici, Giugliano in Campania 1903, p. 150. 20 Santa Visita del Vescovo Pietro Ursino 1591, ms., Aversa, Archivio Vescovile.

Fig. 8 Frattamaggiore, Chiesa dell'Annunziata e di S. Antonio da P. G. Colombo, S. Antonio abate

scura, è ritto in piedi vestito di tunica e manto giallo stesso storico e da altri studiosi21. Il santo anch’esso con bordura dorata; regge sul braccio sinistro il Bambino Gesù, vestito di seta azzurra lavorata in oro, e nella destra ha un sottile e lungo bastone; in terra a destra un angioletto regge anch’egli il bastone del santo. La scultura, alta poco più di 160 cm. e in buone condizioni di conservazione, sembrerebbe prodotto della tarda attività dello scultore. Più convincente sembra essere l’attribuzione al Colombo del Sant’Antonio Abate che adorna il secondo altare di destra della chiesa dell’Annunziata e di Sant’Antonio da Padova a Frattamaggiore (fig. 8), impropriamente attribuita a Giovanni da Nola dagli studiosi locali22e solo recentemente ricondotta all’attività del Colombo da Gian Giotto Borrelli23. Il santo è raffigurato come un monaco anziano con barba bianca. Regge un bastone a forma di stampella, con il manico a T. La scultura, di fattura raffinatissima e di notevole forza espressiva è definita dal Borrelli una «eccezionale opera di gusto plateresco dal forte ed elegante valore plastico nella caratterizzata testa del santo». Alta poco più di 160 cm., è dallo stesso studioso datata al 1690 circa. E, infatti, il filone culturale della statua è senza dubbio quello neo - manierista; a giudicare dagli sfolgoranti ornati distribuiti sulla tonaca che riproducono fedelmente gli "estrofados" di ascendenza iberica. Si ricorda, infine, che, sempre a Frattamaggiore, nella Chiesa Madre, si conservavano fino al 1945, anno in cui il tempio fu devastato da un pauroso incendio, due altre sculture del Colombo, la Vergine e San Giovanni Evangelista che, unitamente al Gesù Crocefisso di altro ignoto autore seicentesco, componevano il gruppo del Calvario andato completamente distrutto24.

Franco Pezzella

21 D. LANNA, op. cit., pag. 164; D. LANNA J. Cenni storici della Parrocchia di S. Barbara V. e M., Napoli 1951, p. 67 (dubitativamente). 22 F. FERRO, Frattamaggiore Sacra, Ivi 1974, p. 69. 23 G. BORRELLI, Il Presepe napoletano, Roma 1970, p. 197. 24 S. CAPASSO, Memoria della Chiesa Madre di Frattamaggiore distrutta dalle fiamme, Napoli 1946, p. 20.