COOLTO nov11 116pag 1 28 - MARIOVILLANI.COM · Valenza ospita la più antica corporazione orafa...

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LLa parola italiana “gioiello” deriva dal termine

“joel” che in francese antico significa “gioco” e de-

riva, a sua volta dal termine latino “jocus” cioè scher-

zo, gioco… per rivalutare e ridimensionare il nostro

un po’ sbrigativo concetto di “futile” e magari an-

che di “effimero”, riferito ai gioielli, dovremmo ri-

flettere sul fatto che uomini, e soprattutto donne,

sin dalla remotissima notte dei tempi, si sono pre-

occupati di adornarsi e abbellirsi... molto prima

di imparare a ripararsi dal freddo. Il gioiello, la prin-

cipale forma di ornamento conosciuto, è nato quin-

di insieme con noi, e da sempre ci accompagna la-

sciando dietro di sé (e di noi...) una lunghissima scia

di leggerezza, meraviglia e creatività. Il gioiello

è sempre stato identificato con qualcosa di molto

particolare, raro, creato con oggetti di difficile re-

peribilità, se non addirittura “unici” che potessero

in qualche modo accrescere l’importanza,la bellezza

e il prestigio di chi li avrebbe indossati. All’inizio

si trattava di semplici manufatti ricavati lavorando

in modo artistico le conchiglie, le ossa degli animali

o le semplici pietre che in qualche modo stuzzica-

vano la fantasia per le loro forme o i colori particolari.

Il bacino del Mediterraneo fu la vera culla dell’arte

orafa, i manufatti più antichi risalgono alla fine del

IV millennio a.C. e furono rinvenuti in Mesopotamia,

venne poi il momento degli abilissimi artigiani egi-

ziani e fenici ma la vera svolta del gioiello come

ornamento arrivò a partire dal 2500 a.C. quando

finalmente gli egiziani impararono a fondere il pre-

ziosissimo oro e a lavorarlo in modo artistico.

In Italia, a partire dall’Alto Medioevo venne istitui-

ta, a Milano la “via degli Orafi”, a testimonianza

del fatto che già in quel periodo la città ospitava ben

150 botteghe per la lavorazione dei metalli preziosi.

Il famosissimo “altare d’oro di Sant’Ambrogio”

nasce proprio in uno di questi primi laboratori mi-

lanesi: quello di Franco Vuolvino. Vuolvino fu uno

dei più famosi orafi e scultori del IX secolo ed è co-

nosciuto soprattutto per l'attività da lui svolta a Mi-

lano. La sua provenienza e formazione è molto dub-

bia. Con certezza si sa che nacque all’incirca negli

ultimi anni dell'VIII secolo e si formò probabilmen-

te nella città di Tours in Francia. A prescindere dal-

le incertezze circa le sue origini, di certo tutti gli stu-

diosi concordano che l’artista creò uno dei capola-

vori più straordinari dell'arte carolingia, ancor oggi

perfettamente conservato integro, dove era stato ori-

ginariamente collocato: nella Basilica di Sant'Am-

brogio a Milano. Vuolvino è anche uno dei pochis-

simi e più antichi artisti italiani, dopo l'età classica,

ad aver apposto la propria firma sulla sua opera.

Nel Rinascimento, i continui e repentini mutamen-

ti della moda hanno fatto sì che ben pochi esemplari

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di questa nobile arte ar-

rivassero fino a noi:

i tempi esigevano che

anche i gioielli, così

come gli abiti, ve-

nissero frequente-

mente rifatti, sosti-

tuiti e... rimoderna-

ti. Ma è in questi

anni così fecondi che

l’oreficeria diventa

una vera e propria arte

e nomi importanti come

quelli di Donatello, Botti-

celli, Brunelleschi e Cellini

fanno il loro ingresso come sem-

plici apprendisti nelle misteriose e pre-

stigiose “Botteghe” dei grandi Maestri orafi.

Grazie all’uso del “punzone” per marchiare e firmare

le proprie opere, siamo oggi in grado di risalire alla

paternità di alcuni capolavori di quell’epoca, come

la famosissima “saliera” creata per Francesco I°,

Re di Francia e realizzata tra il 1540 e il 1543 da Ben-

venuto Cellini. Si tratta di un capolavoro di oro, smal-

ti ed ebano, che fu protagonista, alcuni anni

fa di un rocambolesco “rapimento” con tanto di ri-

chiesta di riscatto, conclusosi con un altrettanto

comico ritrovamento: la preziosissima saliera gia-

ceva sepolta in un bosco austriaco chiusa in una sca-

tola da scarpe! Le straordinarie opere e la vita av-

venturosa, sotto molti aspetti addirittura “border-

line” di questo artista geniale e “maledetto”, meri-

terebbero un articolo a parte

per le pennellature a tinte for-

ti che le sue gesta tracciano nel

panorama artistico ed uma-

no della sua epoca.

Non solo il design, ma

anche il tipo di gioiel-

lo ha seguito

e assecondato i capricci

della moda e della sto-

ria. Durante il XVI se-

colo, per esempio,

i braccialetti erano

indossati molto ra-

ramente: gli abiti

di quel periodo dal-

le maniche lunghis-

sime e bordate

di pizzi ricchi e son-

tuosi, nascondevano

completamente i polsi

delle signore. All’inizio

dell’ottocento, nella Roma

papale, gli alti e potenti prelati

cattolici commissionavano grandi

e importanti lavori alle più prestigiose Bot-

teghe orafe. Il Maestro più noto e intraprendente

fu certamente Fortunato Pio Castellani, che studiò

e approfondì l’arte orafa antica, interessandosi

in particolare ai segreti dei raffinatissimi gioiellie-

ri etruschi. Dopo anni di studi riuscì finalmente,

attraverso un complesso procedimento basato sul

principio dell’elettrolisi chimica, a ottenere il colo-

re tipico dell’oro usato nei gioielli etruschi, che lui

chiamava “oro giallone” per il suo colore caldo e ca-

rico. Con la preziosa collaborazione dell’amico Mi-

chelangelo Gaetani, abilissimo e fantasioso dise-

gnatore di gioielli, riuscì a riprodurre alcune anti-

che tecniche di lavorazione come la granulazione

(granuli di oro o argento saldati su lamina) e la fi-

ligrana (oro lavorato e mo-

dellato in fili sottili), creando

incredibili capolavori di gio-

ielleria. Verso la fine del-

l’ottocento, il mercato dei

gioielli esce dalla

piccola

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èlite delle botteghe orafe e inizia a concentrare ca-

pitali e risorse sufficienti per creare una vera e pro-

pria attività industriale. Alcune lavorazioni vengo-

no ottenute con tecniche via via più sofisticate

e si è così in grado di produrre con facilità semila-

vorati in lamina o in fili che possono arrivare a spes-

sori inferiori a 0,10 millimetri di diametro. Tra i poli

dell’eccellenza orafa italiana dei nostri giorni

ricordiamo Valenza, Vicenza, Arezzo, Milano

e Caserta, ognuna di queste città si è specializza-

ta in un settore diverso e particolare.

Valenza ospita la più antica corporazione orafa d’Ita-

lia (Associazione Orafa Valenzana, istituita nel

1945) e raggruppa oltre mille aziende che, con mo-

dernissime tecnologie, lavorano circa trenta ton-

nellate d’oro l’anno e l’80% delle pietre preziose im-

portate in Italia.

Vicenza è specializzata in una produzione di livel-

lo medio-alto, e vanta un fatturato annuo medio

che si aggira intorno ai tre miliardi di euro. Più del-

la metà dei gioielli prodotti è destinata all’espor-

tazione in tutto il mondo. Arezzo è il centro orafo

più industrializzato, già all’inizio del XX secolo

vi si sperimentavano le prime tecniche di placcatu-

re galvaniche, ed è dal 1926 che il mercato inizia

a crescere in modo esponenziale grazie alle intui-

zioni e all’intraprendenza imprenditoriale di Leo-

poldo Gori e Carlo Zucchi ( i fondatori della Uno-

AErre). Milano rappresenta un punto nevralgico

e di fondamentale “scambio” tra quella che è la crea-

tività legata al mondo della moda e ciò che deter-

mina la nascita dello “stile” dei gioielli, creando con-

tinue ed incessanti contaminazioni e influenze tra

queste due “Arti”.

Caserta infine, con il suo “Tarì”, il famosissimo Cen-

tro Orafo Polifunzionale, raggruppa oltre trecen-

to aziende del settore orafo e organizza con

instancabile energia, fiere ed eventi espositivi per

promuovere le numerose eccellenze italiane.

Nonostante la notevole importanza economica

che i gioielli rappresentano, malgrado l’ingente mo-

vimento di capitali che determinano, a dispetto

dei loro proibitivi prezzi a più zeri che spesso

ce li allontanano.... rimane sempre e comunque af-

fascinante osservarli, sognarli ed abbinare l’idea

di un gioiello ideale ai nostri momenti più giocosi,

e leggeri…

Ed è questo senso di stupore, di desiderio e d’in-

fantile euforia, questa meraviglia che proviamo

osservandone la delicatezza e la grazia, che ci por-

ta, forse, a capire e motivare davvero la struttura eti-

mologica di questa parola: gioiello, joel, gioco…

Dopotutto, come cantava una giovane e giocosissima

Marylin :”Diamonds are a girl’s best friend...”.

(da “Gli uomini preferiscono le bionde” film del 1953

diretto da Howard Hawks)

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