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Giulio Portolan AUTOBIOGRAFIA DI UN PERFETTO SCONOSCIUTO ARMANDO EDITORE

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Giulio Portolan

AUTOBIOGRAFIA DI UN PERFETTO SCONOSCIUTO

ARMANDO EDITORE

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ISBN: 978-88-6992-740-9

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Sommario

Prefazione 9

Capitolo primoLa mia famiglia 11

Capitolo secondoLe fasi della mia crescita 15

Un’infanzia normale 15Un’adolescenza spensierata 16L’eterna tardoadolescenza 17Una giovinezza problematica: la scoperta del mondo 18L’età adulta, o quasi 20

Capitolo terzoIl computer in casa 21

Capitolo quartoCasamatta 23

Capitolo quintoIl percorso di studi 25

Il periodo a Modena 26Il periodo a Venezia 26La scoperta di un filosofo 27

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Capitolo sestoUn libro in biblioteca 29

Capitolo settimoIl convegno 31

Capitolo ottavoIl servizio civile 33

La vocazione 34

Capitolo nonoL’inizio del lavoro 35

Docente di sostegno 35L’esperienza professionale 36Il periodo di Milano 37

Capitolo decimoLa piscina 39

Sul treno 39Strade di città 40

Capitolo undicesimoI miei viaggi 41

Capitolo dodicesimoGli incontri della vita 43

Capitolo tredicesimoAlla ricerca della verità 45

Primi scritti e scambi epistolari 45Anno 2006: la fase dei blog 46Anno 2018: la fase dei libri 46

Capitolo quattordicesimoDue inviti 47

La biblioteca 48

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Capitolo quindicesimoLa passione per la politica 51

Il mio tentativo politico 51Il rapporto con il Corriere della Sera 52

Capitolo sedicesimoColazione da Tiffany: il salotto intellettuale 53

Capitolo diciassettesimoL’esperienza religiosa 55

Capitolo diciottesimo…ma la tua festa Ch’anco tardi a venir non ti sia grave… 57

I “grandi amori”… della mia vita 58La parentesi canora 58

Capitolo diciannovesimoPassioni, interessi, hobbies 59

Alla ricerca infinita del successo 60

Capitolo ventesimoIl futuro è un libro… aperto! 61

Vita quotidiana del signor Nessuno 62Piccoli grandi problemi familiari 62Una vita incompiuta 63Speranze e certezze 63

Bibliografia 64

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Prefazione Giulio Portolan

Sono una persona sconosciuta; ho scritto alcuni libri di filosofia, tema a cui oggi la gente non è interessata.

Le persone non perdono tempo nella lettura di queste cose, così prese dai problemi della vita quotidiana e dalle preoccupazioni della crisi economica.

Con la pubblicazione di questa mia autobiografia posso forse lasciare una traccia nella vita di qualcuno.

Pordenone, 13 dicembre 2019

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Capitolo primoLa mia famiglia

Sono figlio di un ingegnere meccanico e di una insegnan-te delle scuole superiori; hanno entrambi oltre ottant’anni. Ho una sorella che vive a Milano.

I genitori di mio padre sono stati benefattori di alcune Chiese, che portano sulle pareti i loro nomi e quelli dei loro avi. Mio nonno, padre di mio padre, aveva il senso degli affari e ha garantito la sicurezza economica per la mia fa-miglia. Prestava denaro senza chiedere gli interessi e senza anche farselo restituire. Ai suoi funerali c’era molta gente, affezionata e riconoscente.

Sua moglie, Silvia Lucia, proveniva da una famiglia di imprenditori agrari; lei e le sue sorelle non ricevettero l’ere-dità che loro spettava, a causa delle tradizioni contadine. Un giorno mio padre, da giovane, avendo poca voglia di studia-re, fu mandato a lavorare nei campi: subito cambiò idea… Incontrò mia madre poco prima della laurea.

Mia madre ha iniziato presto a insegnare.Nata ad Aviano, è figlia di un funzionario comuna-

le, che a rischio della perdita del lavoro non aderì al fa-scismo. Suo nonno fu presidente del locale ospedale. Aviano è una località in provincia di Pordenone, assai prestigiosa: dagli anni ’50 è la sede della base americana

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dell’Aeronautica militare statunitense, oggi la più grande degli USA all’estero.

È importante anche Porcia, sede della ex Zanussi. Lino Zanussi è stato, insieme a Luciano Savio e a Giulio Loca-telli, uno dei “capitani d’industria” della città, artefice della sua espansione industriale negli anni ’60. Mio padre mi ha raccontato che suo padre Luigi ha venduto a un importante industriale della città la terra su cui è sorta una famosa fab-brica tessile; egli ha venduto il terreno anche per la sede di un’altra importante industria del territorio.

Mio padre mi ha raccontato che ai Portolan appartene-vano un tempo il porto della città sul Noncello e un antico bosco (“Bosco Portolan”).

Portolan è cognome che contiene al suo interno la parola “porto”, come Pordenone (“porto della città sul Noncello”); è quindi possibile che le radici della mia famiglia risalgano alla fondazione della città di Pordenone.

Mio padre mi ha pure raccontato che a Zoppola, nell’ulti-ma fase della Seconda Guerra Mondiale, risiedeva segreta-mente nella casa di un suo stretto familiare di parte materna il generale Wolf, comandante in capo delle forze tedesche in Italia (con dimora ufficiale presso il Lago di Garda). Egli garantì l’uscita dell’esercito della Wermacht dal territorio italiano senza spargimento di sangue: tedeschi e partigiani di nascosto entravano e uscivano da quella casa, fatto che nessuno conosceva. Mio padre, allora bambino, è stato diret-to testimone degli eventi. In quella casa, nel secondo piano e in soffitta, era allocata una grande stazione radio.

Gli avi di mia madre appartengono alla città di Salò, e al-cuni si sono trasferiti ad Aviano. Il nonno di mia madre, l’ar-tista Giacomo Manovali, è stato un importante intagliatore

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della città sul Garda. Fece lavori per il Municipio e per il Duomo. Fu convocato da Gabriele D’Annunzio per dei lavori nel Vittoriale: non incontrando i gusti artistici del Vate, deca-dentistici, rifiutò l’appalto.

Mia madre Lucia è cugina di secondo grado di un famo-so medico, come lei nato ad Aviano, che è stato presiden-te dell’Ordine dei medici di Udine, accademico, e autore di scoperte scientifiche di rilievo internazionale.

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Capitolo secondoLe fasi della mia crescita

Un’infanzia normale

Nella mia infanzia sono stato sempre un bambino pro-tetto. Ho frequentato la scuola pubblica. Pur essendo i miei genitori di religione cattolica, essi hanno compiuto questa scelta per me.

L’asilo era gestito dalle suore elisabettine, da sempre pre-senti in città. Sono le stesse che hanno accompagnato l’in-fanzia e l’adolescenza di mia madre.

A scuola mi sono sempre collocato tra gli studenti di me-dia bravura. Ho avuto tre maestre alle elementari, la prima l’avrei rivista in età matura.

Nel pomeriggio frequentavo la parrocchia del mio quar-tiere, e andavo a catechismo. Alcune volte lo saltavo per le lezioni di inglese.

Facevo il chierichetto, e ricevetti una menzione di elogio perché ogni domenica mi alzavo al mattino per servire la messa delle sette.

Quando avevo due anni i miei genitori hanno cambiato casa, per sistemarsi nel condominio dove vivo insieme ad essi da 45 anni. Io ho una mia casa, ma l’ho affittata quando nel 2016 ho iniziato a lavorare a Milano.

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In questa casa grande e spaziosa ho vissuto un’infanzia spensierata. Vedevo in televisione i primi cartoni animati giapponesi con i loro robot, eroi e mostri spaziali, che assa-livano il pianeta terra. Riproducevo le astronavi con il gioco dei LEGO e rivivevo gli episodi simulandoli con i miei amici.

Un’adolescenza spensierata

Niente di particolarmente problematico nella mia adole-scenza, purtroppo (dico ora)… senza cotte!

Ricordo nel mio quartiere la battaglia delle pigne: gruppi di giovani, con i loro leader e gregari, si schieravano, quasi esso fosse quello di una grande metropoli; si facevano di-spetti, al limite della legalità…

Ricordo poi che insieme a due miei amici mi recai in un supermercato, in centro città (aperto ancora oggi), per ru-bare degli snack e delle gomme da masticare. L’episodio è divertente: quando stavo uscendo, la mia refurtiva mi cadde dalla giacca davanti a un commesso, ma questi non si accor-se di nulla, e riuscii a cavarmela. Rientrato a casa, salutata la mamma, potei depositarla e nasconderla nel cassetto della scrivania della mia camera da letto.

Il pomeriggio guardavo la televisione, o andavo in parroc-chia. Mai avuto passione per lo studio, con materie scolasti-che di cui non potevo comprendere il senso né l’importanza. Non avevo idea di alcun futuro nella mia vita.

Una frequentazione, quella della parrocchia, che abban-donai dopo la cresima.

Uscivo con i miei amici per giocare nel campetto della scuola a calcetto e a pallacanestro. Non ero bravo a scuola,

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me la cavavo nel gioco del basket. Tentai anche di iscrivermi a una squadra.

Ero attratto dalle ragazze, ma troppo immaturo per vivere una storia, anche solo per provarci. Ricevevo attenzione da alcune compagne di classe.Quando andai con la parrocchia in un campeggio estivo, mi misi con una ragazza, e una sera ci baciammo. In realtà, le sfiorai solo le labbra dicendole: “Non è peccato”.

Per me il liceo fu un guscio protettivo, inserito nella mia città di Pordenone, che dagli anni ’60 aveva conosciuto una grande accelerazione industriale e quindi benessere, grazie alla Zanussi, poi divenuta Electrolux.

Nel quinto anno l’insegnamento della storia si era ferma-to alla Seconda Guerra Mondiale. All’esame di maturità mi vennero chiesti la composizione del pentapartito e gli episo-di salienti della battaglia sul Piave.

Mi ero preso una cotta per una mia insegnante, tra le più belle della scuola, e scoprii nella cena di fine anno che que-sto mio sentimento era condiviso da tutti i miei compagni di classe…

L’eterna tardoadolescenza…

Per me il concetto di tardoadolescenza è sempre stato av-volto da un mistero. Parlo dei suoi contorni temporali.

Ancora oggi, all’età di 47 anni, fatico a considerarmi nell’età matura, e mi definisco un “giovane”, proprio per-ché ho dentro di me uno spirito di eterno adolescente; così nei miei approcci con le ragazze, che (purtroppo) sono già donne.

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Finito il tempo della adolescenza, e forse anche quello della giovinezza, rimpiango il tempo dell’adolescenza, per-ché in realtà non l’ho mai vissuta in tutta la sua pienezza. Condivido molti aspetti della mia vita con Giacomo Leo-pardi. Come lui, nonostante le mie amicizie a scuola, in par-rocchia e all’università, sono sempre stato un tipo solitario. Avevo i miei problemi, che avevano radici nella cultura, nel tentativo di comprendere la mia identità, anche in relazione a un mondo che stava cambiando e si andava evolvendo.

Una giovinezza problematica: la scoperta del mondo

Un evento centrale della mia vita è stata l’uscita dal liceo, una specie di guscio protettivo, ma non è avvenuta subito la scoperta del mondo.

Indeciso su quale percorso di studi universitario intra-prendere, ho scelto, quasi casualmente, senza idee chiare sul mio futuro, economia.

Il primo anno l’ho trascorso a Modena.Ho iniziato ad appassionarmi alla lettura del Corriere del-

la Sera.Il mondo si presentava allora ideologicamente diviso tra

capitalismo e comunismo, tra USA e URSS. In questa divi-sione io mi sentivo parte neutra, perché ero cristiano e il cri-stianesimo veniva rappresentato, all’università, nei libri e nei convegni, alternativo sia al capitalismo che al comunismo, percepito questo nella vulgata popolare, specie di parte catto-lica, come il nemico della civiltà, nella sua versione sovietica.

Ed ecco che, fatalmente, mentre ero Modena, nel 1991 l’URSS crolla.

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Prendevo il caffè in un locale del centro città e mi dicevo “adesso ci sarà solo progresso”. Invece, rientrato a casa, mi apparve chiara una tesi contraria: anche il blocco capitalisti-co insidiava la pace sociale perché caratterizzato da tecno-crazia e sfruttamento dei lavoratori, e quindi conclusi: “Ora che l’URSS non è più argine al capitalismo, agli USA, niente potrà fermare le politiche di potenza del loro imperialismo”.

La riflessione sulla tecnocrazia era ancora lontana, anche se già al liceo manifestavo una certa tecnofobia.

La svolta era quindi pessimistica: con il crollo dell’URSS crollavano le ideologie e cessava la mia pace interiore, la mia tranquillità in senso politico. Avevo chiaro che la condizione di benessere nella mia città, di cui avevo usufruito nell’ado-lescenza, era stata garantita dall’equilibrio tra le due super-potenze mondiali: cessata l’influenza sovietica sulla parte orientale del mondo, questo equilibrio veniva spezzato a fa-vore del capitalismo. Mi sentivo crollare il mondo addosso.

Sul finire degli anni ’90, l’economia di mercato si trasfor-mava in turbocapitalismo e globalizzazione. La Cina si era aperta all’economia di mercato, e pur rifacendosi alla tradi-zione maoista, quella che sarebbe diventata presto la mag-giore potenza asiatica iniziava uno spietato sfruttamento dei lavoratori, pagati a basso costo e con grandi ritmi di lavo-ro. Iniziava in Occidente l’era delle delocalizzazioni: molte aziende e multinazionali americane e europee spostavano la loro produzione nei paesi dell’Est e in Asia, per usufruire di questi vantaggi commerciali.

Scoprivo di essere una persona qualunque in balia delle grandi strutture, schiacciato dalle svolte epocali, capaci di incidere nella vita quotidiana dei milioni di individui inqua-drati nelle maglie del capitalismo.

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La politica non solo era divenuta impotente, ma favoriva questo processo.

L’età adulta, o quasi

Quando sono diventato una persona adulta? Non lo so, e forse non ho mai iniziato ad esserlo. Sono sempre stato protetto, e poi sono divenuto “autoprotetto”. Lo sono stato economicamente, socialmente, e infine culturalmente.

Ma la protezione culturale di cui sono dotato è dovuta a una mia precisa iniziativa personale. Infatti, uscito dal liceo osservavo che dopo 4000 anni di storia del pensiero il genere umano non aveva ancora raggiunto le risposte che da sempre cercava…

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