SCIENZA&GUERRA - Officina di Fisica 'Roberto Perciballi ... · scienza e della tecnologia come arma...

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1 Collettivo “resistenzaFISICA” SCIENZA&GUERRA I rapporti tra la Comunit` a Scientifica, il potere e la gestione interna del potere DOCUMENTAZIONE INTRODUTTIVA I Scritti di: Daniel Amit, Angelo Baracca, Carlo Bernardini e altri resistenzaFISICA

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Collettivo “resistenzaFISICA”

SCIENZA&GUERRA

I rapporti tra la Comunita Scientifica,

il potere e la gestione interna del potere

DOCUMENTAZIONE INTRODUTTIVA I

Scritti di:

Daniel Amit, Angelo Baracca,

Carlo Bernardini e altri

resistenzaFISICA

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Indice

Introduzione 4

1 Amit VS American Physical Society 6

2 Arab News intervista Daniel Amit 9

3 Per la guerra ci vuole il fisico

di P ietro Greco 13

4 La scienza nei tempi del neo-liberismo

di Daniel Amit 16

4.1 Lo scientismo ‘hard’ . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 164.2 Un primo esame della posizione ‘hard’ . . . . . . . . . . . . . . . . . 174.3 Esiste una Scienza? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 184.4 Le difese ‘tecnologiche’ della Scienza . . . . . . . . . . . . . . . . . . 194.5 Riflessioni in mo’ di conclusione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 23

5 La scienza nella logica della mercificazione

di Angelo Baracca 25

5.1 Scienza e potere . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 275.2 Sfruttamento della natura e parzialita della scienza . . . . . . . . . . 285.3 Rifiutare la logica del profitto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 30

6 Stato di Guerra

di Laser Manchester 32

7 Neanche in guerra fredda

di Carlo Bernardini 35

8 La nuova fase della proliferazione nucleare

di Angelo Baracca 38

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Introduzione

I documenti raccolti sono tutti stati trovati in rete e sono molto diversi tra loro.Se qualcuno visto il materiale postato da Emanuele in lista si accorgera che non tuttoe finito in questa documentazione, mentre ci sono anche cose nuove. Questo perchee stata fatta una selezione del materiale in base agli argomenti che sembravano piuinteressanti e strettamente attinenti. Sembra comunque un bel malloppo ma non enecessario leggere tutto, si puo scegliere in base all’interesse personale visto che nonc’e nessuna consequenzialita.

Nel primo capitolo e riportata la traduzione in italiano della corrispondenza cheAmit ha avuto con il capo redattore della Physical Review, una prestigiosissima rivi-sta di settore americana per la quale da decenni faceva refree degli aspiranti articolinell’ambito delle reti neurali e con la quale ha rotto ogni rapporto all’inizio dellaguerra in Iraq proprio con queste letterine.

Nei due capitoli successivi si possono trovare due conseguenze del gesto di Amit:l’intervista via email che gli ha fatto un quotidiano arabo (in inglese), in cui gliaspetti rilevanti sono - piu che non quelli propriamente scientifici - il rapporto delmondo accademico con la societa, la cittadinanza Israeliana di Amit e le sue ideepiu propriamente politiche; nel capitolo 3 invece e riportato un articolo di commentoalla faccenda pubblicato su un sito di scienziati “impegnati”.

Segue un embrione di saggio ancora di Amit - precedente l’episodio con la rivi-sta - in cui fa a pezzetti la scienza contemporanea con un certo stile, esprimendo unpensiero personale interessante.

Nel capitolo successivo un’analisi analoga e condotta da Angelo Baracca, un fi-sico di scuola marxiana, che tra l’altro cita Cini. Un po’ pesante. . . si consiglia unalettura veloce, ma sarebbe interessante confrontare direttamente le sue idee sullacomunita (o corporazione, come la chiama lui) scientifica con quelle di Amit, magariin un incontro. . .

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INTRODUZIONE 5

Nel capitolo 6 c’e una recensione di un libro (un tomone. . . ) fatta dal gruppodi Manchester del collettivo Laser. Si parla di come i soldi della ricerca scientificain Gran Bretagna servano da molto tempo di fatto alla ricerca militare e sono spesia discapito dello stato sociale. . . Linea storiografica sull’Inghilterra del VentesimoSecolo insolita, piuttosto inquietante.

Nel capitolo 7 Bernardini ci racconta di un episodio per certi versi analogo aquello di Amit con la Physical Review ma a parti scambiate. . . Le opinioni di Ber-nardini e quelle di Amit non sembrano molto vicine.

Nell’ultimo capitolo torna Baracca con uno scritto piu tecnico sulla proliferazio-ne nucleare.

Auguri.

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Capitolo 1

Amit VS American Physical

Society

5 Ottobre 2003Traduzione dello scambio epistolare tra Daniel Amit e American Physical SocietyOriginale preso dahttp : //www.dissidentvoice.org/Articles4/Amit American− Science.htm

∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗Trasmesso: Venerdı, 21 Marzo 2003 6:11Oggetto: Review request AMIT EA8932Da: Physical Review EA: Dr Daniel AmitUniv. di Roma La Sapienza, P.le Aldo Moro, 2 - Roma 00185, ITALIA

Titolo: Transitions in oscillatory dynamics of two connected neurons with exci-tatory synapsesElectronic URL-Download Referral - Code: EA8932

Caro Dr Amit,apprezzeremmo una Sua valutazione dell’allegato manoscritto, che e stato presenta-to al nostro giornale Physical Review E.Questo messaggio e l’INVIO COMPLETO. Nessuna copia stampata sara trasmessaa meno che non sia da Lei richiesta esplicitamente.∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗Da: Daniel Amit < [email protected] >

A: Physical Review E < [email protected] >

Trasmesso: Venerdı, 21 Marzo 2003 18:11Oggetto: Risposta al messaggio “Review request AMIT EA8932” Da questo mo-

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CAPITOLO 1. AMIT VS AMERICAN PHYSICAL SOCIETY 7

mento non collaborero piu con alcun’istituzione americana. Alcuni di noi hannovissuto il 1939.NdT: Il 21 Marzo e il giorno seguente all’inizio della guerra anglo-americana in Irak.∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗Da: Martin Blume < [email protected] >

A: Daniel Amit < [email protected] >; < [email protected] >

Oggetto: il Suo email a Physical ReviewData: Martedı, 08 Aprile 2003 22:31

Caro Dr Amit,abbiamo ricevuto il Suo messaggio con la Sua decisione di non valutare un articoloper conto nostro, alla luce delle azioni americane nel Medio Oriente.Riconosciamo che la revisione dei manoscritti sia un’attivita volontaria, effettuatacome servizio alla comunita di Fisica e La ringraziamo per il Suo contributo.Data la natura volontaria della Sua partecipazione, naturalmente rispettiamola Suadecisione di cessare tale attivita ed abbiamo aggiornato il nostro archivio in modoche nessun ulteriore articolo Le sia trasmesso per la revisione, fino ad un Suo avvisocontrario. Le chiediamo, tuttavia, di riflettere su quanto segue nella speranza che,in un (non troppo distante) futuro, Ella possa decidere di collaborare nuovamentecon noi.Consideriamo la scienza un’impresa internazionale e facciamo del nostro meglio permettere da parte i disaccordi politici, nell’interesse della promozione della scienzastessa.Non abbiamo mai utilizzato nulla che non fossero criteri scientifici nel giudicare l’ac-cettabilita di un articolo per la pubblicazione, indipendentemente dal paese d’originedell’autore.Abbiamo fatto questo perfino nei casi in cui alcuni di noi erano forte mente in di-saccordo con le politiche di quel paese, e continueremo questa pratica. Crediamoche sia essenziale che tutte le parti in causa facciano ogni sforzo per separare le dif-ferenze sociali e politiche dalla loro partecipazione alla ricerca ed alle pubblicazioniscientifiche. Il conseguimento della conoscenza scientifica necessita di trascendereda tali questioni.

Distintamente,Martin BlumeCapo redattore.∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗Da: Daniel Amit < [email protected] >

A: Martin Blume < [email protected] >

Data: Mercoledı, 09 Aprile 2003

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CAPITOLO 1. AMIT VS AMERICAN PHYSICAL SOCIETY 8

Caro Dr Blume, capo redattore di Physical Review,La ringrazio per la Sua lettera del 8 aprile. Vorrei poter condividere i nobili sen-timenti da Lei espressi, cosı come il Suo ottimismo nel ruolo futuro della scienza edella Comunita scientifica. Francamente, e con molta tristezza e dolore, dopo 40 an-ni di attivita e di collaborazione, trovo pochissimi motivi per tale ottimismo. Quelloche stiamo guardando oggi, credo sia il culmine di 10-15 anni di crescente imbarba-rimento della cultura americana nei riguardi del mondo, coronato dai successi dellascienza e della tecnologia come arma importante di distruzione totale.Cio che stiamo testimoniando e una caccia all’uomo, uno sterminio gratuito -di ca-ratteristiche e dimensioni mai viste dalla fine delle incursioni sulle popolazioni nativeamericane - condotta da una potenza dotata di supremazia tecnologica, ma in pos-sesso di cultura e valori inferiori.Non c’e forza correttiva che possa recuperare l’insanita,la purezza autoproclamatae la mancanza di rispetto per la vita umana (di civili e militari) di un altro popolo.La scienza non puo rimanere neutrale, particolarmente dopo che sia stata usata cosıcinicamente nelle mani degli ispettori per disarmare un paese e prepararlo per ladecimazione delle bombe a grappolo laser-guidate. No, il tipo americano di scienzanon ha scampo. Personalmente, non posso continuare ad essere parte della stessacomunita a cui appartiene la scienza americana.Purtroppo, appartengo ad una cultura di simile deviazione spirituale (Israele) laquale sembra essere ugualmente incorreggibile.Con disperazione non posso che rivolgere la mia attenzione ad altri periodi tragici incui altre societa importanti, alcune delle quali rivendicando contributi fondamentalialla cultura e alla scienza, hanno deviato a tal punto da essere condannate all’ostra-cismo ed alla quarantena. A questo punto penso che la societa americana dovrebbeessere considerata in questa categoria.Non ho particolari illusioni, circa la portata e le possibilita del mio atteggiamento.Ma, il ruolo secondario del mio atto e un modo semplice di affermare - di frontea questa intollerabile e crescente enormita – che esercitero tale minuscolo atto didisobbedienza per potere guardare dritto negli occhi dei miei nipoti e dei miei allievie poter affermare che sapevo.

Distintamente,Daniel AmitPS: Intendo distribuire il nostro scambio epistolare il piu possibile. La autorizzo

e, anzi, La invito a fare lo stesso.

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Capitolo 2

Arab News intervista Daniel

Amit

13.05.2003JEDDAH: Dr. Daniel Amit, a prominent Israeli professor at the University

di Roma, refused a request in March to review a study by te American PhysicalSociety. In explaining his refusal, he wrote: “I will not at this point correspond withany American institution. Some of us have lived through 1939.”

What followed was an exchange between Dr. Amit and the editor in chief of theAmerican Physical Society, which dealt with everything from the second Gulf Warto the merits of scientific research for the good of mankind.

“What we are watching today, I believe, is a culmination of 10 to 15 yearsof mounting barbarism of the American culture the world over,” he wrote. “It iscrowned by the achievements of science and technology as a major weapon of massdestruction.”

“We are witnessing a manhunt and wanton killing of a type and scale not seensince the raids on American-Indian populations by a superior technological powerof inferior culture and values. We see no corrective force to restore the insanity, theself-righteousness and the lack of respect for human life -civilian and military- ofanother race,” he added, in reference to the US-led war on Iraq.

In the end both parties agreed to disagree, and the exchange was posted online.Arab News interviewed Dr. Amit by e-mail about his exchange with the Ameri-

can Physical Society.ARAB NEWS: Why did you refuse to review a paper for the American Phy-

sical Society?

DR. AMIT: The reason I took this step is that, with the beginning of theinvasion of Iraq, all hope against hope that this pure aggression could be avoided

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CAPITOLO 2. ARAB NEWS INTERVISTA DANIEL AMIT 10

were dashed. I felt that the basic values of enlightened culture were destroyed in amost blatant way, in a world where such values are increasingly needed. One of thecentral problems of modern global society is that the culture that publicizes itself asthe example of democracy, enlightenment, modernity, culture, and freedom, is theone that puts global survival in danger. It does that by robbing the environment,and the war indicates that it can put such destruction into open military practice,with no internal (American) corrective forces.

Q: Please elaborate on your refusal to correspond with any American institutions.

A: I felt, and since then have felt ever more, that the myth must be shatteredand that it can be uncovered by symbolic acts, because culture and civilization areabout symbols. We must confront the dominant idea that American culture is thesource of all good and wisdom, in all fields of culture. I chose the field of sciencefor this particular personal revolt because the American domination in this fieldis especially apparent and effective (both materially and spiritually); because thewar has exposed, in a double way, the horror in which science participates on bothsides of the aggression: First, to expose and destroy Iraqi weapons (inspections),and then to develop technology which renders an entire people a hunting groundfor raving technological cowboys (in the style they hunted the Native AmericanIndians); because my colleagues in the scientific universe must open their eyes tothe implications of their “pure” activity, which produces such weapons, allows thedevelopment of biological weapons, bigger and more devastating bombs (and this isdone in universities).

Moreover, while all major Christian churches have taken a principled standagainst the war, academic and scientific institutions were essentially absent.

Yes, I will continue. The crime is not over: Iraq is occupied and its peopleand its resources are treated like the Wild West, with total impunity. What isgoing on in Iraq (and in Afghanistan and Palestine for that matter) is against everyinternational convention, and exceeds the horrors imagined when such conventionswere formulated.

My wish and hope is to serve as an example for others, especially the young.Though in the hundreds of responses I receive I notice the awaking conscience ofmany who (like myself) are no longer young.

Q: Do you see a link between scientific progression, and the development of wea-pons of mass destruction?

A: There can be absolutely no doubt that science has been directly linked to

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CAPITOLO 2. ARAB NEWS INTERVISTA DANIEL AMIT 11

weapons of mass destruction for at least two centuries. But the responsibility hasbecome much more acute since the development of nuclear weapons in the 1940s. To-day this problem is particularly grave because every aspect of existence has becomea weapon, not only physics.

Chemists are working on ever more powerful bombs; biologists on mutated spe-cies and weapon viruses; engineers and physicists on guided systems and space con-trol; information science and mathematics on controlling international communica-tion systems; the social sciences on providing ideological cover etc. etc..

This globalization of scientific application is pushed and sold the world over, bythe US. By now even the most abstract and naive line of research is required to bedescribed, in the grant proposals, as potential application-oriented.

Q: The argument was that Iraq was a threat to its neighbors, including Israel.How did you feel about that as a Jew?

A: I think the idea of the threat was ridiculous from the start. Only the Ame-ricans could believe this type of crude propaganda, aimed at getting their sheepishconsent for a horrible aggression. As a physicist friend of mine (an American, alsoof Jewish origin) wrote: A country that could not launch even one bomb on massiveconcentrations of an invading army was considered a threat by a power that claimsto dominate the entire information space of Iraq, from satellites to overflying planes.It is really a crude joke, had it not implied such a human and institutional disaster.

Q: Your exchange with the American Physical Society was displayed on the web.What kind of a response did you get from America and the Middle East?

A: I got several hundred responses, about 95 percent of them supportive. Theonly hostile ones came from the US. But also, much sincere support came from there.The majority of response comes from women. The most touching debate seems tohave taken place in India. But the reactions covered the Philippines, Turkey, Au-stralia, New Zealand, Bangladesh, Europe, Latin America. A few -too few- from theMiddle East. None from Japan or China. It could serve as a basis for an interestingstudy.

Q: Do you think any good came out of the war with Iraq?

A: No, absolutely not. If we consider the situation in the former Yugoslavia orin Afghanistan, we cannot but admire the foresight of Gandhi, who said that thebenefits from violence are short lived. The damage persists.

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CAPITOLO 2. ARAB NEWS INTERVISTA DANIEL AMIT 12

The war in Iraq, like the other American wars of the last half a century, do noteven have a short-term benefit. On the other hand, the damages are all apparent,with the human suffering, before and during the war; the destruction of the UN; thetheft of oil and other resources and the pillage of Iraq, by who knows who.

Q: Are you optimistic about the road map for Middle East peace?

A: Unfortunately, not at all. After 36 years of occupation it should be totallyclear that the Middle East needs a just peace, or there will be no peace. Thecombination of the people in power in Israel (my country) and the US have no suchvalues to contribute.

The requirement that cessation of violence must be a precondition for politicalprogress is a sure formula for no progress. So many of us, including hundreds ofmilitary officers and expert journalists, have come to the conclusion that it is anintended policy of the Israeli government to provoke Palestinian violence, wheneverit senses a political process that may threaten the continuation of the occupationand the settlements.

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Capitolo 3

Per la guerra ci vuole il fisico

di P ietro Greco

Interrompendo le relazioni con la comunita scientifica statunitense, Daniel Amit ri-propone il tema del rapporto fra scienza potere militare

http : //www.scienzaesperienza.it

18 settembre 2003

Il piu drastico e stato Daniel Amit, fisico statistico in forze all’Universita La Sa-pienza di Roma, che nello scorso mese di aprile, mentre le truppe alleate entravanoa Baghdad, ha deciso di interrompere una quarantennale collaborazione con la Phy-sical Review E, rivista dell’American Physical Society e di troncare ogni rapportoufficiale con la comunita scientifica statunitense.Ma il malessere e piuttosto diffuso nella comunita scientifica internazionale. Moltirilevano, insieme ad Amit, non solo che gli Stati Uniti stanno edificando la loroiperpotenza militare sull’alta tecnologia e sulle nuove conoscenze scientifiche, nonesitando, come in Iraq, a usarla per intero sul campo. Ma anche che una parte con-sistente della comunita scientifica statunitense partecipa attivamente e, a differenzadal passato, senza molti se e senza molti ma alla costruzione di quell’iperpotere.Insomma cio che rilevano Daniel Amit e molti suoi colleghi e che l’intreccio trascienza, politica e militare negli USA e piu stretto e pervasivo che in passato. Tantoda rendere corresponsabile la comunita scientifica statunitense o, almeno, una suaparte consistente della realizzazione e dell’uso di armi micidiali.Il disagio manifestato da Daniel Amit in maniera cosı clamorosa solleva una do-manda antica e, tuttavia, drammaticamente attuale: qual e (quale deve essere) ilrapporto tra scienza e guerra? Qual e (quale deve essere) oggi il rapporto tra la

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PER LA GUERRA CI VUOLE IL FISICO 14

comunita scientifica statunitense e un’amministrazione - quella di George W. Bush -che fonda sulla forza ipertecnologica delle armi la sua strategia di sicurezza e, sembraad alcuni, la sua strategia politica complessiva? Per rispondere a queste domandeoccorre chiedersi se quella di Amit e di molti suoi colleghi sul coinvolgimento de-gli scienziati nella nuova dottrina militare dell’amministrazione Bush sia un’analisifondata. Molti fatti inducono a ritenere di sı. Soprattutto dopo l’11 settembre,una parte cospicua della comunita scientifica statunitense, la piu grande e ricca delmondo, si sente“embedded” coinvolta direttamente, nella politica di sicurezza dellanazione. Due esempi chiariranno quanto e come.Lo scorso anno un gruppo cospicuo di riviste scientifiche statunitensi (ma ancheinglesi), su sollecitazione delle autorita politiche, ha deciso di darsi un regolamentoche, per ragioni di sicurezza, avrebbe limitato la libera circolazione delle conoscenzascientifica in settori considerati delicati. Il fine dichiarato era impedire che quelleconoscenze potessero essere usate da gruppi terroristici contro gli Stati Uniti. Moltiosservatori hanno considerato quella decisione un eccesso di zelo politico.L’altro esempio viene dal Massachusetts Institute of Technology (MIT) di Boston,il tempio dell’innovazione tecnoscientifica, dove pochi mesi fa e nato l’Institute forSoldier Nanotechnologies, un istituto dedicato allo sviluppo delle nanotecnologie conlo scopo, sostiene il suo direttore, il chimico Ned Thomas esperto di scienza e tec-nologia dei materiali, di“incrementare la protezione e la sopravvivenza dei soldati difanteria usando le nanoscienze e le nanotecnologie”. E gia si parla di“tute invisibili”corazze leggere e imperforabili, scarponi avveniristici per creare intere divisioni diguerrieri invulnerabili come l’omerico Achille. Per fare tutti questo gli scienziati del-l’Institute for Soldier Nanotechnologies potranno contare nei prossimi cinque annisu fondi molto generosi: 50 milioni di dollari stanziati dal governo federale e altri 40milioni messi a disposizione di privati.I due esempi dimostrano che il crescente coinvolgimento della comunita scientifi-ca“civile” statunitense in progetti di sicurezza nazionale e evidente. E, sostieneDaniel Amit, sempre meno critico. Pochi sanno opporsi al crescendo di pressionipolitiche e di lusinghe finanziarie.Che cosa devono fare gli scienziati di tutto il mondo di fronte al coinvolgimentodi una parte sempre piu rilevante dei colleghi statunitensi nella costruzione dell’i-perpotenza militare? La scienza, sostiene Daniel Amit, non puo rimanere neutrale.Gli scienziati responsabili devono fare una scelta e interrompere i rapporti con leistituzioni scientifiche USA.La scelta non avrebbe precedenti nella storia delle relazioni scientifiche tra paesi de-mocratici. E, infatti, molti colleghi contestano il linea di principio non tanto l’analisi,quanto la proposta di Amit. Gli scienziati possono avere tutte le visioni politicheche credono e possono legittimamente avversare la politica degli Stati Uniti, sostiene

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PER LA GUERRA CI VUOLE IL FISICO 15

per esempio Martin Blume, il direttore della Physical Review E. Tuttavia devonocompiere ogni sforzo“per tenere separate le differenze politiche e sociali dalla par-tecipazione alla ricerca scientifica e dalla comunicazione della scienza. Lo sviluppodella conoscenza scientifica ha bisogno che si trascendano le differenze politiche esociali tra gli scienziati”L’argomento usato da Blume non e affatto banale. Il rischioche il conflitto politico entri nella comunita scientifica e la frammenti in comunitaideologiche o nazionali e gravissimo.Tanto piu se le istituzioni scientifiche non sono corresponsabili in alcun modo dellepolitiche dei governi nei paesi in cui risiedono. Insomma, perche prendersela con laPhysical Review E se a sbagliare sono George W. Bush e la sua amministrazione?Tuttavia Blume non risponde all’altro tema di fondo sollevato da Daniel Amit: ilcrescente coinvolgimento di una parte consistente della comunita scientifica statu-nitense nella costruzione della potenza militare nazionale. Da un punto di vistapolitico si puo giudicare in diverso modo questo coinvolgimento, criticandolo e ap-provandolo. Ma il mero fatto che questo marcato coinvolgimento esista rompe la(pur imperfetta) dimensione neutrale della scienza e crea disagio in molte coscienze.Riproponendo in una nuova variante il tema antico della responsabilita sociale dellascienza. Un tema decisivo nell’era della conoscenza. E delle guerre preventive.

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Capitolo 4

La scienza nei tempi del

neo-liberismo

di Daniel Amit

Una versione preliminare e’ stata presentata al convegno Modena,10.11.2003Pubblicato: Prometeo 2005

“Spesso ci sembra che il mondo sia tutto e noi niente e altre volte che noi siamotutto e il mondo un nulla ... pero in nessun momento dell’esistenza la nostra co-noscenza e la nostra pratica giungono ad un punto dove cessa il conflitto ed diventatutt’uno”

(Hoelderlin, Hyperion, Introduzione)

4.1 Lo scientismo ‘hard’

Probabilmente non sara considerato molto controverso sostenere che uno dei prin-cipali doveri intellettuali di uno scienziato sia applicare il metro glorioso della suaprofessione, alla propria attivita (di ricerca), qua attivita sociale. Il canone pro-prio degli scienziati, e uno dei loro meriti morali-intellettuali e’ il libero giudiziovicendevole, applicato a tutte le teorie, le affermazioni, le scoperte etc. A volte siafferma pure che la scienza sia anche un pilastro del sistema liberal-democratico. Ilnoto matematico-fisico e pensatore politico Jean Bricmont, scrive: “In effetti, dallarivoluzione scientifica del 17o secolo, abbiamo imparato a diffidare del ragionamentod’autorita e di verita rivelate cosi come di tutte le legittimazioni del potere tempo-rale basate su tali argomenti. ... il fatto che l’idea della democrazia esista, ... e ingran parte dovuto a questa rivoluzione. ... Infatti, la sfida all’autorita della scienza,o degli scienziati, ha senso solo alla base delle idee democratiche che presuppongono

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LA SCIENZA AI TEMPI DEL NEO-LIBERISMO 17

l’atteggiamento scettico nei confronti dell’autorita.” 1 Eppure, nonostante i presuntimeriti c’e un senso diffuso di scontentezza verso la scienza, al quale Bricmont rea-gisce: “Pero, con la crescita dell’atteggiamento critico nei confronti delle scienze,si e sviluppata una crescente simpatia verso cio che e chiamato a volte “altri modidi conoscenza”, il che chiaramente significa religioni e superstizioni tradizionali ...Detto brutalmente, mi sembra che ci sia qui una delle versioni del paternalismo, checonsiste nel considerare le credenze irrazionali, assurde da non credere, nonostantesiano “buone per le masse”, in particolare quelle che si dominano” (op .cit.).Purtroppo nella difesa della posizione egemone dello scientismo non si risparmianocolpi, neanche bassi. Quelli che ritengono che ci siano, necessariamente, delle altreconoscenze, che non sono disposti a fidarsi delle risposte tecnologiche (per esempio,ambientalisti) vengono categorizzati paternalisti del tipo coloniale. Cosı suggerisceFreeman Dyson scienziato modello, e uomo di coscienza,2 cosı intimano molti notiscienziati in Italia, nel Manifesto Galileo 2001.3

4.2 Un primo esame della posizione ‘hard’

L’idea che la scienza liberi la gente dalla sottomissione all’autorita sembra non deltutto convincente. Le affermazioni scientifiche, per la quasi totalita della gente,vengono accettate o per autorita o per la divulgazione. La suddetta quasi totalitainclude anche i scienzati stessi che nella maggior parte dei casi non ha ne la mo-tivazione, ne la capacita tecnica, per controllare la veridicita delle affermazioni inun campo un po’ discosto dal proprio. D’altronde, la divulgazione della scienza fapensare piuttosto agli affreschi nelle chiese di paese, intese a comunicare la verita aicredenti incolti. Non viene nemmeno preso in considerazione che questi altri modidi sapere e conoscere potrebbero essere utili, e necessari, inevitabili, soprattutto anoialtri (non per quelli “che si dominano”), al fine di confrontarsi da pari a pari conil terzo mondo anche in nome della scienza; per poter valutare l’effetto sociale delledistorsioni della scienza e soprattutto della tecnologia. L’idea che non ci siano modialternativi o complementari di sapere (conoscere) al di fuori delle scienze e di unainaccettabile presunzione estrema. Le scienze hanno mostrato di non avere nessunmeccanismo interno per guidare il loro sviluppo, le loro scelte o le loro implicazioni,in nessun campo. O dobbiamo accettare l’idea, che i valori, l’etica, la morale e cosivia, siano lemmi dei sillogismi cartesiani? Detto nelle parole di uno scienziato pre-occupato: “Ma l’etica della conoscenza non puo fornire una base solida e completa(capace di fondare un’etica generale) poiche, pure nel suo proprio ambito, incontra

1Reflexions critiques sur la critique des sciences, 2003 http : //dogma.free.fr/txt/JBCritique−Science.htm, tr. DA.

2New York Review of Books, May, 2003.3 Viz. http : //www.galileo2001.it/identita/manifesto.php.

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problemi che non e in grado di risolvere, da se stessa.”4 Bricmont cita un passaggiomolto rilevante di Brecht: “Sembrerebbe che non siamo noi che dominiamo le cose,ma che le cose che dominino noi. ... Non saremo liberati dalle forze naturali fin aquando non saremo liberi dalla violenza degli uomini. Se vogliamo approfittare ...della nostra conoscenza della natura dobbiamo aggiungere ... la conoscenza dellasocieta umana.”5 Quanto e giusta questa osservazione e quanto e applicabile all’at-tivita degli scienziati. Chi domina l’attivita degli scienziati? Le “cose”? o forsele forze sociali? E questa questione come va studiata, e come va giudicata? Coni metodi della scienza naturale? O forse con altri metodi, “altre conoscenze”? Mitrovo in pieno accordo con Bricmont quando punta il dito sull’aspetto miracolosodel fenomeno scienza.

Ma gia il linguaggio usato (miracolo) implica un altro tipo di conoscenza, cheviene invece rigettato con tanta veemenza. Nel film ‘Parla Con Lei’ di Pedro Alma-dovar, il protagonista, un uomo semplice, dice sorpreso all’uomo ‘moderno’:“Ma se non crede nei miracoli, come si accorgera quando ne avverra uno?” Unaparafrasi per il nostro contesto sarebbe:

Non riconoscendo altri modi di conoscenza, non sarebbe possibile convincerenessuno di stare di fronte ad un miracolo (tale la scienza).

4.3 Esiste una Scienza?

Una questione preliminare ad un’esame dettagliato delle difese della Scienza, o dellescienze, sarebbe appunto una considerazione di tipo meta-narrativo: ovvero, esi-ste veramente una Scienza? Oppure ci troviamo davanti ad un’insieme di attivitaintellettuali disparate, munite di metodologie assai diverse e non delimitabili?

Presumo che quando Bricmont si riferisce alla scienza e al “miracolo” avra pre-sente la fisica-matematica. E’ vero, che quando la fisica-matematica (o la fisicateorica) non si allontani troppo dall’esperimento, rappresenta una prodezza intellet-tuale “senza se e senza ma”. Tanto e vero, che in cerca di una definizione dignitosadell’attivita scientifica par excellence, spesso si tira avanti la congiunzione dei feno-meni naturali resi prevedibili (dominati) dalla matematica. Pero, gia allontanandosidi pochissimo, sfogliando l’attivita nella gran parte della fisica sperimentale, questaaffinita tra natura e matematica si dissolve. Se poi uno segue la catena: chimi-ca, chimica organica, biochimica, biologia molecolare, biologia di sistemi viventi,morfologia, anatomia, neuro-biologia, il diverso supera il comune; il ruolo della ma-tematica viene circoscritto all’analisi statistica di dati. E il Darwinismo potrebbe

4Gerard Toulouse, Regard sur l’ethique des sciences, Hachette Editions5Bertolt Brecht. Ecrits sur le theatre 1939, da Bricmont op cit.

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sembrare, almeno a un osservatore ingenuo, piu vicino al freudismo o al marxismoche all’elettrodinamica di Maxwell.

Niente di quanto detto sopra va inteso come una scala normativa. Non e nemme-no mia intenzione sottovalutare il valore dell’originalita, la creativita o la saggezzainvestita e espressa in tutta questa gamma di attivita. Vorrei piutosto eliminareun elemento spurio dalla discussione, la rappresentazione di un’unita metodologica,introdotto per coprire i difetti delle varie componenti in nome di questa presuntaunita, che non c’e. Ci sono stati nella lunga storia della filosofia delle scienze deitentativi valorosi a trovare un principio metodologico astratto in grado di separareScienza da ‘non-Scienza’. Ma nessuno e riuscito a sopravvivere a lungo. L’ultimo,prima di diventare un argomento sociologico, e stata la proposta di Carl Popper,della rifiutabilita delle affermazioni associate con un discorso tenuto scientifico. Maanche questa ricetta e’ stata subito messa in crisi dai suoi stessi allievi, e ne rimanesoltanto una traccia “fossile” in alcune zone della biologia e dell’astrofisica.

4.4 Le difese ‘tecnologiche’ della Scienza

Tra le difese popolari della Scienza si possono individuare diversi elementi:a. Che l’attivita umana chiamata “Scienza” abbia un significato chiaro, univoco

e immutabile, e che quando uno si riferisce alla Scienza oggi si riferisca ad unatradizione gloriosa, permanente e ben definita;

b. Che il motore principale della tecnologia sia la scienza, ovvero che senza la“Scienza” non ci sia tecnologia;

c. Che l’accento posto sullo sviluppo tecnologico non possa che far progredire illivello intellettuale della “Scienza”;

d. Che lo sviluppo della tecnologia abbia in fin dei conti (con alcuni sconti) uneffetto sociale positivo, ovvero che un stretto rapporto scienza-tecnologia non puoche fornire una buona difesa del ruolo sociale della scienza;

Esaminiamo una per una queste ipotesi:a. Il senso dell’attivita scientifica: Una volta, alla domanda cosa e la Fisica,

si rispondeva, quello che fanno i fisici.6

Carino, ma o la domanda non ha senso, o non siamo arrivati ad una risposta sensa-ta. Sembra un tentativo di nascondersi dietro dei nomi celebri, Newton, Maxwell,Einstein etc. Pero, e questo quello che fanno i fisici oggi? Sono almeno consapevolidelle motivazioni che animavano questi scienziati, i loro metodi? Lo stesso puo es-sere detto per la biologia, Darwin, Crick, Watson, Huxley. O la medicina, Pasteur,Sabin (polio) etc.

6Recentemente, in una trasmissione televisiva, il prof Giorgio Parisi ha proposto la definizione:la fisica e l’attivita che tenta di spiegare la natura con la matematica.

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Siamo stati educati all’idea che la scienza moderna sia stata spontaneamentegenerata, ex novo, a partire dal Rinascimento, da Copernico, Galileo, Newton etc.Ma l’eccezionale libro di Lucio Russo7 presenta ampia e convincente testimonianzadell’esistenza di una scienza, giustamente chiamata moderna, nella Grecia ellenistica.E, inoltre, una cosa che raramente ci viene raccontata a scuola, e che i pionieri dellascienza moderna, (Leonardo, Galileo, Newton, Darwin) conoscevano, e apprezzavanoquesta scienza, e si consideravano i suoi eredi, impegnati nell’estenderla.

Cosa significa? Che c’e stato uno iato di piu di 1500 anni in cui si faceva talmentepoco di questo tipo di attivita da consentire la nascita del mito che la scienza nonesistesse affatto. Allora, durante quel periodo cosa si faceva mentre si parlava discienza?

Un’altra indicazione che qualcosa di fondamentale sia mutato, arriva da un’auto-rita niente meno, di Sir Michael Atiyah, ex presidente della Royal Society: “Rischia-mo di perdere la nostra strada e la nostra identita. L’ethos scientifico sta diventandosempre piu difficile da discernere.”8 La mia preoccupazione e che la perdita odiernadell’identita sia una versione moderna del quello che e accaduto alla scienza elleni-stica sotto l’impatto della Roma tecnologica, provocata da un’America ossessionatada tecnologia da paura e da guerra, come risposta alla paura.

b. Il motore della tecnologia: Anche a questo proposito la storia e moltomeno chiara, e non sempre conforme alle verita a cui siamo sottoposti. Edison nonsi e basato sulla scienza per fare una delle scoperte tecnologiche piu fondamentalidella storia moderna; neanche il motore a vapore (o a calore) non lo e stato. Anzi, lafisica dell’epoca si fortemente opposta all’idea. E nemmeno la tecnologia principaledell’aggricultura (la selezione della specie) aveva dovuto aspettare Darwin. Russo(op .cit.) descrive un modello affascinante di si e arrivati ad una scienza modernanel periodo ellenistico. Secondo Russo, saranno state le conquiste di AlessandroMagno a mettere in contatto l’altissima tecnologia dell’oriente (Persia, Egitto) conla civilta della Grecia classica, che aveva una curiosita infinita e strumenti speculativistraordinari. La miscela e stata esplosiva.

Per il nostro discorso la conclusione rilevante e che c’e stata alta tecnologia inassenza di scienza sistematica, sviluppata. Per conseguenza non si puo sostenere,senza altri ragionamenti e ulteriori dati, che la “Scienza” sia la condizione sine-qua-non dello sviluppo tecnologico.

c. Il feedback della tecnologia sulla scienza: Uno degli effetti problematicidell’attivita politica radicale degli anni 60–70 e stata la pressione verso la ‘rilevanzasociale’ della scienza, e contro le ’torri d’avorio’. Questa, come tante altre idee buone,e stata cooptata dalle forze egemoni, per rendere la scienza un elemento accessorio del

7La Rivoluzione Dimenticata, Feltrinelli.88 Anniversary Address, 1995 (tr. DA): vedi: http : //titanus.roma1.infn.it/sitopol/WAR −

Science/Atiya.htm.

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sistema prevalente di sviluppo economico. In questa direzione spingono le autoritaamericane, e in Europa stiamo copiando questo approccio in un modo poco critico.

Lucio Russo (op. cit.) descrive come l’impero romano, forte e tecnologico, e riu-scito a debilitare la scienza ellenistica. Il risultato fu una ibernazione della scienzaper 1500 e passa anni. Basterebbe guardare che tipo di progetti vengono promos-si dalle agenzie nazionali e internazionali, per rendersi conto che la maggior partedei finanziamenti vengono assegnati a progetti che giovano ad un’idea sbagliata odiscutibile di sviluppo economico, che promuove il virtuale, il superfluo, il militare,a spese del sociale e della conservazione ecologica. Basterebbe menzionare che nellaUE 4.3 miliardi di Euro vengono stanziati alla ricerca in nanotecnologia. La bio-tecnologia gode di piu di 8 miliardi di dollari (pubblico e privato) nei soli USA, e avolte la distanza tra le due tecnologie diventi assai ambigua. 9

Il mondo della ricerca collabora, grosso modo, spinto dalla facilita di ottenere finan-ziamenti, e dell’esposizione mediatica accoppiata al odierno processo di produzione-commercializzazione.

La tecnologia, come si e detto, ha sostituito il concetto della ‘rilevanza sociale’dell’attivita scientifica. Negli ultimi decenni, l’amalgama (la lega) scienza-tecnologiasignifica sempre meno scienza, sempre piu tecnologia. Basterebbe riflettere sul fattoche quasi non esista una facolta di scienza di un livello dignitoso che non conti tra isuoi dipartimenti (centri, istituti) uno di biotecnologia.10 Lo stesso si potrebbe diredell’attivita universitaria intorno alla nanotecnologia.Ma in questi due casi (e non sono gli unici) non si propone nemmeno un’eufemismoda dare all’attivita tecnologica una facciata scientifica.L’infante si chiama per il proprio nome e cognome.Quello che si fa in molte attivita, classificate scientifiche, e lavoro di sviluppo tecno-logico a basso costo per l’industria (in piu, costo quasi interamente sociale). Non elavoro scientifico, certamente non nel senso che i migliori “platonici” tra noi (Bric-mont, Chomsky) difenderebbero. Una caratteristica dei nostri tempi e che afferma-

9 Dal discorso all’assegnazione di una borsa di ricerca all’Universita di California Davis: The$50,000-per-year Graduate Research and Education in Adaptive bioTechnology (GREAT) traininggrants are among the highest individual awards given for graduate education and training anywherein the nation. They will fund cross-disciplinary biotechnology-related research into such areas asstem cells, protein mapping, and cell-membrane modeling. “Rapid advancements in technologyare catalyzed by providing an environment to nurture diverse fields of study,” said Martina NewellMcGloughlin, director of the UC system wide biotechnology program, headquartered at UC Davis.“Examples are found in the areas of nanotechnology and modeling of biological materials.” Grantrecipients were selected according to their demonstrated ability to understand and solve problemsthat cross varied disciplines.

10In no other industry has the dependence on university research been greater, and the par-ticipation of professors in the management and direction of startup firms more evident, than inbiotechnology. Extensive university-industry ties in the form of movement of researchers, financialgains sought by the universities and specific arrangements such as longterm private funding of uni-versity research are the key ingredients of the technology transfer taking place between US privateand public sector. Fonte: http : //www.biotech−monitor.nl/2403.htm

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zioni come quelle citate, non creano nemmeno un imbarazzo (nano dettagli).11 Chequesta situazione non venga chiamata in causa, e in gran parte dovuto ad uno strettacooperazione tra il mondo economico con il sistema politico, mediatico, e anche conquello della ricerca, purtroppo.Questa collaborazione non puo essere ingenua.Fa parte di un concetto supeficiale che ritiene qualsiasi mezzo legittimo purche pro-metta una “crescita” economica.A qualcuno cio potrebbe sembrare il massimo del percorso dell’evoluzione umana.Ma pare invece piuttosto rientrare nell’ambito di rischio che si sarebbe provocato dauna evoluzione genetica che portasse ad una singola specie (richiamando, per meta-fora, l’agricoltura della FMI nei paesi africani), contrapposta ad una evoluzione cheproducesse la diversita.12

d. Lo sviluppo tecnologico e il bene sociale: Anche questo aspetto dipendemolto, come la definizione dell’attivita scientifica, dal periodo storico.Servirebbero degli studi dettagliati e quantitativi della questione, e in parte sicura-mente esistano gia.Almeno dall’inizio degli anni 90, la gran parte dello sviluppo tecnologico ha moltopoco a che fare con il bene sociale.La tecnologia e indirizzata in primo luogo a trovare sbocchi alla sovrapproduzionedi un sistema industriale in crisi ed un sistema finanziario stagnante.Mi sembra che questo sia vero per tutte le aree della tecnologia, da quella dell’a-strofisica (satelliti,spazio13, analisi delle immagini); della comunicazione (cellulari14,internet, etc); dell’informatica (computer, software sterminato, virus anti-virus, etc);della sanita e la biologia (manipolazione genetica, clonazioni etc) (farmaci cronici,farmaci fittizi, brevetti segreti, macchinari costosissimi che servono poca gente, etc);dell’alimentazione (OGM da controllare i semi, brevetti su specie, distribuzione del-l’acqua, etc).Tutti questi sviluppi vengono poi difesi, pubblicizzando i benefici drammatici ai po-chi dalla prosperita virtuale che ci circonda.Il principale problema odierno non e la collaborazione della scienza con i militari, dasempre attuata, almeno dai tempi della gloriosa scienza ellenistica (viz. Archimede).Le guerre e la centralita dell’apparato militare (anche in tempi di pace) derivano daun sistema economico-sociale che difende globalmente i suoi privilegi accumulati.Il problema e piuttosto l’integrazione della scienza con questo sistema, la sua cre-

1112 Neanche l’associazione stretta tra l’istituto academico e la macchina di guerra si fe-steggia apertamente: MIT to use nanomaterials to clothe, equip Army soldiers (http ://web.mit.edu/newsoffice/2002/nanosoldier − 0320.html).

12 vedi, F. Dyson, ‘The Origins of Life’, Cambridge University Press.13Vedi, per esempio, Marco Cervino, http : //www.bo.cnr.it/www −

sciresp/bacheca/msg00048.html,14L’anno scorso, negli soli USA sono stati smaltiti 60 milioni di cellulari.

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scente identificazione con esso, cosi come la sua acquiescenza nel essere usato comefoglia di fico.Nelle parole di Sir Michael Atiyah: “Gli scienziati sono spesso considerati una elitesegreta, una parte minacciosa dell’establishment, una componente di ‘loro’ non di‘noi’.” (op. cit.)La sovrapproduzione in campi come la comunicazione, l’informatica, i macchinari diricerca biologica, i medicinali cronici, gli OGM per controllo della nutrizione, clonifortuiti e identificata con la scienza, e difesa da essa e delle sue piu gloriose riviste.Accettare priorita di ricerca dettate dai produttori, attraverso le istituzioni politi-che, mette a repentaglio la posizione sociale ed intellettuale della scienza.A questo contribuisce anche un rapporto perverso con i media che stanno vendendola scienza come un elemento di copertura del progetto economico-sociale prevalente,offrendo agli scienziati la tentazione dell’esposizione pubblica come alle ragazze deitele-show.Quasi tutte le barriere fra riviste di alto prestigio, da un lato, e media di alto ‘tur-nover’, dall’altro, sono scomparse, e pubbliche relazioni e gestione dei media sonodiventate componenti consuete delle istituzioni di elevato prestigio accademico. Laconfusione, accennata sopra, tecnologia-scienza e la difesa autoritaria di un concettoideale di scienza (che un miracolo), escludendo altri modi di conoscere, serve comecopertura perfetta per un sistema sempre piu in crisi, sempre piu violento.Dovrebbe essere un sorprendente avvertimento che gia nel 1917, Einstein, cui fe-steggiamo quest’anno, ha scritto “l’intero venerato progresso tecnologico – l’interanostra civilizzazione – e come un’ascia nelle mani di un criminale patologico”.15

4.5 Riflessioni in mo’ di conclusione

Questa non e una condanna della scienza. E piuttosto un avvertimento, se la scienzanon apre gli occhi e non genera una nuova credibilita, rischia di perdere molto.Noi tutti, a cui la scienza e cara, dobbiamo evitare di santificare un’attivita umanasolo perche viene istituzionalmente chiamata scienza.La scienza potrebbe recuperare il suo prestigio compromesso, proprio riconoscendole sue debolezze.Come dice Sir Michael Atiyah “avere amici ricchi non e un male ma uno rischia diacquisire gusti fastosi”, una metafora adeguata per descrivere lo stile invadendo lascienza dall’avvicinamento eccessivo alla tecnologia e all’imprenditoria.La scienza dovrebbe promuovere il dialogo con le altre conoscenze, in primo luogocon la coscienza, con la sensibilita ecologica, e con quella etico-religiosa.

15Lettera a Heinrich Zangger, Dec. 1917, durante la seconda guerra mondiale, (tr dall’inglese,DA), Albert Einstein collected papers Vol 8/A (only in German).

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Non per convincere la gente ad andare in chiesa (benche, non sia un passatempopeggiore del dopo lavoro medio), ma per cercare di arricchirsi di altre esperienze daprendere in considerazione nella scelta delle ricerche nelle quali partecipare, e pervalutare i modelli sociali sottostanti ai finanziamenti. Tutte cose che dovrebberoessere valutate e giudicate con strumenti che sono esteriori alla scienza.Invece, per ora, la comunita scientifica, ai suoi massimi livelli (Regge, Boncinelli,Dyson, Bricmont, Amati e tanti altri) ha assunto un atteggiamento belligerante, po-co critico, facilmente identificabile con gli interessi dominanti, e poco coerente con ivalori interni della cultura scientifica stessa.“Il nostro ruolo non puo essere equiparato a quello del medico e sarebbe fuori luogoun’estensione del giuramento ippocratico”, scrive il noto fisico Daniele Amati.16 In-vece la sensibilita pubblica, spesso ostile alla scienza, di cui sono preoccupati tantiscienziati, e non pochi letterati, 17 richiederebbe una riflessione nella direzione op-posta.Cioe di prendere una pausa di riflessione, per cercare ad individuare un ‘etos’ da sot-toporre alla comunita scientifica, per aiutarla ad uscire da un labirinto senza uscitadi sospetti e ostilita, sempre in aumento.Non sono dell’avviso che ci sia una ricetta sul che fare e che non fare.L’idea stessa crea la sensazione di un oximoron.C’e stato di recente, nella scia del ultimo referendum in Italia, un timido tentativo diGiovanni Berlinguer18 per delineare delle regole di buona condotta, basate in primoluogo sull’aderenza alla coerenza metodologica.Ci sono due difficolta di fondo: la prima, che non c’e una metodologia universale,ma le metodologie vengono inventate con l’operare della ricerca stessa. E questouno dei motivi principali della frammentazione dell’attivita scientifica.Se la metodologia non e prescritta, le invenzioni metodologiche potrebbero (e fannodifatti) eliminare qualsiasi vincolo esterno.La seconda difficolta e che anche all’interno di una metodologia, con le carte in re-gola (tale la fisica), l’esplosione di una bomba atomica potrebbe benissimo essereconsiderata un’esperimento coerente.Pero qualcosa si deve e si puo fare, anche di molto modesto: per esempio, in contrastocon la posizione di Amati, un passo simile al giuramento di Ippocrate potrebbe con-sistere nell’impegno a leggere e a sottoscrivere un documento composto da citazionicome quella di Einstein o di Atyiah riportate nel testo.

16 Ulisse, (Sissa) maggio 2003.17“Claudio Magris e Roberto Finzi chiedono a noi scienziati di non lasciare soli letterati e umanisti

nel rifiuto della pseudocultura irrazionalista e misticheggiante che sta permeando la nostra societae mettendo sotto accusa l’etica e la logica stessa della nostra ricerca.” In Daniele Amati, Ulisse,Sissa, maggio 2003.

18Aprile, maggio 2005.

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Capitolo 5

La scienza nella logica della

mercificazione

di Angelo Baracca

http : //www.odradek.it/giano/archivio/2000/Baracca34.html

Dubbi e cautele non derivano da diffidenza ideologica, ma dal postulato dellaresponsabilita e dal ripensamento della linearita dei sistemi naturali.

Credo che ci stiamo veramente avviando, con profonda (o calcolata) incoscienza,a superare il limite. Quel limite dopo il quale i cambiamenti diventano irreversibili,la Natura non sara piu in grado di riparare, di recuperare.Non sono mai stato un “catastrofista” ho polemizzato contro coloro che da vari de-cenni prevedono da lı a poco il collasso ambientale (Quale? Come? Un cataclismacome immaginava Buffon?): da un lato, perche gli allarmismi, le minacce terrificantiottenebrano la volonta, chiamano l’impotenza, rischiano di distogliere anziche mo-bilitare la gente; dall’altro perche ho sempre pensato (e continuo a pensare) che ilproblema vero sia individuare le cause dei processi, renderle comprensibili, affronta-bili.Mi sembra che la logica sfrenata del profitto, nel quadro di questo neoliberismo sel-vaggio, stia abbattendo alcune barriere inimmaginabili solo una decina di anni fa: eil processo ha assunto ritmi talmente incalzanti da spiazzare completamente qual-siasi nostro metro di valutazione e spostare continuamante i confini del possibile e inostri criteri. Recentemente Marcello Cini ha analizzato in modo molto convincenteil nuovo salto del dominio dell’uomo:

�Nel secolo appena finito l’uomo ha instaurato il suo pieno dominio sulla materia

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inerte [...] in modo da riuscire a progettare e costruire un mondo artificiale fatto disostanze, macchine, apparati, destinati a soddisfare i suoi crescenti bisogni di benie di strumenti materiali. [...] Il nuovo secolo sara il secolo del dominio dell’uomosulla materia vivente e del controllo sui fenomeni mentali e sulla coscienza. [...] gliuomini si apprestano dunque a progettare un biosfera artificiale fatta di organismitrnsgenici, chimere, cloni, [...] regolata da una rete di menti artificiali di complessitacrescente, [spinti] dalla tentazione faustiana ad estendere incessantemente i confinidi cio che e possibile fare.�

Il ragionamento di Cini si sviluppa poi in direzione di una valutazione criticadel pensiero di Marx, che gli pare inevitabilmente datato dall’ideologia dell’oggetti-vita scientifica dominante alla fine del secolo XIX. Ma il ragionamento sull’influenzadell’ideologia (ed ovviamente anche della pratica) scientista puo essere attualizzatoe guidarci ad individuare i veri limiti della scienza moderna che sono alla radicedell’impatto drammatico di questo progresso umano.Premessa, a mio parere, perun’analisi di questi processi che possa essere all’altezza della sfida che essi pongono.

Troppo spesso si dice che la Scienza come tale (magari, appunto, con la“S” ma-iuscola) non porta la responsabilita dei guai dell’umanita, poiche essa e pura ricercadella verita, studio disinteressato delle leggi della natura, che poi altri (chi?) pos-sono usare bene o male. Un bel modo per tranqullizzarsi la coscienza, continuareindisturbati il proprio lavoro e, soprattutto, mantenere l’autorita e il potere dellacorporazione scientifica! Non sembra che i giornali siano pieni di notizie di scienziatiche hanno rifiutato ricerche con fini militari, o che hanno denunciato le conseguenze,o gli usi distorti delle loro ricerche e dei loro risultati, o l’uso di un farmaco nonsufficientemente testato! O, nel caso che qui ci interessa, che si siano fatti eccessiviscrupoli per la manipolazione del codice genetico, fornendo anzi alle multinazionalile terrificanti possibilita di brevettare tutti i nostri geni.

Questa storia della scienza come ricerca disinteressata della verita deve veniresmontata dalle fondamenta: e cio puo essere fatto senza giungere a posizioni di purorifiuto o di luddismo scientifico, che rischiano di portare fuori dal cammino dellastoria. Vi sono realizzazioni tecnico–scientifiche delle quali gli scienziati portanoinequivocabilmente la responsabilita: Ronald Reagan non avrebbe certo promossol’inziativa ormai nota come “Guerre Spaziali ” se non l’avessero elaborata tecni-camente i ricercatori dei laboratori militari; attualmente gli Usa non potrebberoattuare i folli progetti di realizzazione di nuove testate nucleari se gli scienziati nonproponessero ed elaborassero tecniche di simulazione con i super–computers; le mul-tinazionali del settore alimentare non potrebbero aver programmato la loro strategiadi sfruttare ed affamare i contadini dei paesi poveri con le sementi geneticamente

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modificate sterili, se gli scienziati non avessero proposto e realizzato queste mostruo-se innovazioni.

5.1 Scienza e potere

La scienza e attivita concreta, e per questo interessata; gli scienziati sono uominicome gli altri, con la differenza non trascurabile che hanno in mano un potere enor-me: e non sembrano purtroppo aver mostrato un livello maggiore di coscienza nelsuo uso.Un primo punto che e necessario sottolineare e che il potere della corporazione scien-tifica si manifesta in modo molto peculiare. Storicamente gli scienziati si sono postipropriamente come “complici” del potere: nel senso che hanno sempre sviluppatola loro attivita (come ha fatto, peraltro, la grande maggioranza del genere umano:anche se, appunto, con strumenti molto piu limitati) nelle direzioni di volta in voltautili al potere, di sostegno alle sue esigenze, di soluzione delle sue difficolta nelle fasidi crisi.

Sarebbe molto lungo – ma anche interessante e istruttivo – analizzare questoaspetto in dettaglio e con rigore storico. Ho appena menzionato il ruolo consape-vole, lucidamente propositivo degli scienziati dei laboratori di ricerca militare, o deibiotecnologi.L’esempio delle ricerche militari e sin troppo “facile”. Un esempio al quale gia miriferivo nell’articolo citato nella nota 2 e quello degli ultimi decenni dell’800: era inatto una crisi profonda della struttura e dei meccanismi economici del capitalismo,tanto che i contemporanei vissero quel periodo come “Grande Depressione” e lasocialdemocrazia preconizzava il crollo del capitalismo; in realta era in atto una ra-dicale rivoluzione scientifico-tecnica che stava, quasi sommessamente, ristrutturandole tecniche e i modi di produzione, i meccanismi economici, l’orizzonte culturale, lamentalita, le relazioni sociali, la vita quotidiana della gente.

Da questo ruolo di complicita la corporazione scientifica ha consapevolmentetratto enormi vantaggi, un ruolo assolutamente privilegiato nella societa, quel po-tere che sistematicamente rivendica in nome del suo “sapere” (e di cui abusa: chinon ricorda, ad esempio, gli atteggiamenti sprezzanti dei fisici nuclearisti – cioe lamaggioranza – ai tempi dei dibattiti infuocati sull’energia nucleare?) .Il punto che e necessario riconoscere ed analizzare e che gli scienziati e i tecnici nonhanno acquisito o realizzato semplici conoscenze o dispositivi, ma hanno propostonuovi rapporti tra l’uomo e la natura e tra gli uomini, hanno profondamente ristrut-

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turato le relazioni sociali ed economiche, i rapporti di sfruttamento, i processi dimercificazione, forse come o piu di quanto abbiano fatto le rivoluzioni (o, meglio,le rivoluzioni non avrebbero potuto attuare questi cambiamenti senza l’apporto del-l’innovazione tecnico–scientifica). Ho avuto occasione di ricordare altre volte comela storia delle sconfitte delle lotte delle classi subalterne e del movimento operaiosi potrebbe leggere alla luce delle innovazioni tecnico–scientifiche, le quali sconvol-sero la struttura e i rapporti di produzione, espropriando le classi subalterne deglistrumenti di controllo che avevano acquisito sul ciclo economico e produttivo, e cheavevano consentito appunto il livello e l’incisivita delle lotte.

5.2 Sfruttamento della natura e parzialita della scienza

Dietro tutti questi aspetti vi e una caratteristica di fondo della scienza moderna cheoggi e piu che mai necessario tenere presente e sviluppare.

In primo luogo, la scienza moderna, quantitativa e formale, e stata un prodottospecifico della societa occidentale e della classe borghese.Altre societa, che pure avevano dato apporti scientifici paragonabili o superiori aquelli della societa occidentale (cinesi, arabi, indiani, ecc.), proprio per la loro strut-tura, non svilupparono una simile necessita.Ma forse l’aspetto piu rilevante di questi sviluppi e che questa scienza moderna hanon solo fatto proprio e introiettato nello spirito e nei metodi l’atteggiamento e lefinalita della societa borghese di sfruttamento indiscriminato, e quindi di mercifica-zione, di ogni aspetto della natura e delle sue risorse: ma soprattutto gli ha fornito,oltre che nuovi e sempre piu efficaci strumenti, una giustificazione e un fondamentoculturale ed ideologico.L’ideologia scientista e cosı divenuta la base per intervenire in modo sempre piuprofondo e distruttivo sulla natura: tutto e legittimo, purche abbia una base “scien-tifica”In tal modo qualsiasi modificazione della natura viene non solo legittimata,ma proclamata un nuovo successo dell’uomo, e naturalmente trasformata in ulterio-re mezzo di mercificazione: i limiti del processo vengono completamente occultatie stravolti. Questo e forse l’aspetto sostanziale della complicita degli scienziati colpotere e dei modi, diretti o mediati, in cui si manifesta. E di fatto, non sono “scien-tifiche” le giustificazioni che ci vengono date della clonazione, della mappatura delgenoma umano, degli organismi geneticamente modificati: e la scienza, con i suoimetodi rigorosi e raffinati, che li produce, e pertanto devono essere buoni. E percarita, non si ritorni ad oscurantismi anti–scientifici di infausta memoria!

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LA SCIENZA NELLA LOGICA DELLA MERCIFICAZIONE 29

Il guaio di fondo e che, mentre tutti riconoscono ed osannano il potere della scien-za, le meraviglie delle sue realizzazioni, la sua presunta capacita di risolvere tuttii problemi dell’umanita, quasi nessuno si occupa invece seriamente dei suoi limiti:neppure l’epistemologia piu radicale sembra, a mio parere, avere colto il limite difondo del cosiddetto“metodo” scientifico (forse qualcuno potrebbe dire, ancora unavolta per salvare la scienza, di come esso e stato inteso ed applicato: ma la scienzache si e sviluppata storicamente, quella che abbiamo, e questa e non altra, anche seuna scienza diversa e sicuramente non solo possibile, ma anche auspicabile).Sembra davvero difficile sottrarsi all’ideologia dominante e riconoscere che la scien-za e solo una particolare, tra le tante, forme di conoscenza: ancor piu difficile fareil passo successivo, cioe concludere che la conoscenza scientifica non e affatto unaforma superiore, piu generale, o universale, di consoscenza.

Dunque, l’approccio quantitativo della scienza occidentale comporta inevitabil-mente di separare e isolare, dall’insieme integrato che la natura ci presenta, alcuniaspetti, che vengono concettualizzati secondo lo spirito del tempo, definiti quanti-tativamente e sottoposti a rigorosi procedimenti di misura e ad esperimenti che licollegano tra di loro. Procedimento perfettamente legittimo, oltre che inevitabile perle basi metodologiche della scienza: ed indubbiamente importante, per le conoscenzeche ci permette di raggiungere. Il guaio, pero, e che la scienza poi ha sempre asso-lutizzato i risultati raggiunti, ed esclusi quei fattori che erano semplicemente statiignorati inizialmente: tanto che la grande maggioranza degli scienziati si impegna infiere, quanto corporative, battaglie per escludere come“anti–scientifica” come fruttodi“superstizione” “ciarlataneria” “oscurantismo” qualsiasi cosa non rientri in cio chela scienza fino ad oggi ha studiato e sa sottoporre all’analisi dei sui strumenti (chesono stati progettati solo per osservare quelle cose, e non possono rilevare cose nuoveeventualmente esistenti a dispetto di tutto il rigore e lo straordinario progresso dellascienza) .

Questo argomento non e capzioso, e anzi ampiamente riscontrabile, e costitui-sce il trait d’union con il tema di cui qui ci stiamo occupando. Lo dimostrano, adesempio, i foglietti illustrativi dei farmaci quando menzionano gli “effetti collaterali”o eufemisticamente “indesiderati”: che altro non sono che altri aspetti delle mani-festazioni complessive del farmaco, che oltre (poniamo) che curare il mal di testa,spacca il fegato o provoca il cancro, a dispetto del fatto che il suo effetto cancerogenoo sul fegato non fosse stato inizialmente preso in considerazione (un buon esempioe il Talidomide di infausta memoria). Lo dimostrano gli sconvolgimenti in atto delclima del Pianeta, dopo secoli in cui non si sono tenuti in nessun conto i residui chei processi di trasformazione della natura e delle risorse scaricavano nell’ambiente: e

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LA SCIENZA NELLA LOGICA DELLA MERCIFICAZIONE 30

ora vi sono paesi soggetti a sistematica siccita ed altri a non meno micidiali ciclonied alluvioni.Risulta poi quasi superfluo osservare ancora che questo processo di parcellizzazionedella realta risulta perfettamente funzionale ai processi di mercificazione delle rea-lizzazioni che via via si susseguono, isolate dalle altre e dal contesto generale. Inquesto meccanismo e ancor piu facile confondere e smarrire le coordinate generali,i principi morali, i riferimenti giuridici. Nella miriade di notizie scoops sulle mira-bili conquiste della scienza, l’opinione pubblica finisce per non meravigliarsi moltose una multinazionale brevetta, e trasforma potenzialmente in merci, geni umani opiante che da sempre hanno avuto un valore d’uso per popolazioni locali.

5.3 Rifiutare la logica del profitto

Allora, il modo a mio parere corretto di porre il tema di cui stiamo discutendo edi chiedersi ad esempio: sappiamo quali possono essere, come e quando potrebberomanifestarsi, gli effetti dei cibi transgenici che non sono stati presi in considerazio-ne (anzi, vengono tutt’ora caparbiamente esclusi dalle multinazionali, che portanol’argomento “scientifico” che queste sostanze sono “in tutto” identiche a quelle na-turali)?Oppure, abbiamo alimentato con mangimi a base di carni animali che i lunghi pro-cessi naturali di evoluzione hanno reso erbivori: possibile che non si debba dubitareche questo possa provocare conseguenze nefaste e imprevedibili per quegli animali eper noi che li mangiamo?La precisione davvero incredibile che hanno raggiunto le tecniche scientifiche con-sentono di modificare gli elementi del codice genetico, aggiungere ulteriori geni,attivare sequenze silenti, e cosı via: per quale motivo, ancorche attualmente pocochiaro, queste manipolazioni non dovrebbero avere effetti “indesiderati”? Del resto,le mutazioni sulle quali opera la selezione naturale, non sono solo vantaggiose o utili:per quale motivo l’uomo dovrebbe fare meglio della natura?

Naturalmente il porsi queste domande ed assumere un atteggiamento prudenzia-le non significa abbracciare atteggiamenti “oscurantisti” ne contraddice uno spiritoscientifico correttamente inteso. Significa semplicemente rifiutare la logica del pro-fitto e della mercificazione, l’idea che la natura sia solo un serbatoio dal quale l’uomopuo attingere, modificarla e trasformarla a suo piacimento: logica alla quale pero lascienza, come prodotto storicamente determinato, si e sempre totalmente adeguata,ed ha anzi fornito gli strumenti pratici piu efficaci ed una massiccia base di giustifi-cazione.

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LA SCIENZA NELLA LOGICA DELLA MERCIFICAZIONE 31

Sono personalmente convinto che avremmo molto da imparare riprendendo l’at-teggiamento di altre civilta di rispetto della natura, dei suoi equilibri e dell’equilibriotra noi e la natura. Oggi si suole contrapporre un atteggiamento olistico al tradizio-nale riduzionismo scientifico.E pero importante sottolineare che non si tratta solo di un atteggiamento ideologico(o, peggio,“non scientifico”).All’interno stesso della scienza, e probabilmente anche sotto la spinta dei problemidrammatici che sono sorti, si stanno sviluppando concetti nuovi. Si sta afferman-do cioe l’idea che i sistemi naturali siano di norma non–lineari: l’indeterminazione,anche limitata, dello stato effettivo in cui si trova il sistema, puo avere conseguenzedrammatiche, facendolo evolvere in modo imprevedibile verso stati molto lontani daquella che potrebbe apparire la loro evoluzione normale.Si tratta di una conclusione scientifica, rigorosa: eppure una parte ancora prepon-derante dell’ambiente scientifico non ne raccoglie l’insegnamento.Anche sulla base di queste nuove acquisizioni – che certo meriterebbero di venireben diversamente sviluppate – e piu che mai necessario prendere molto seriamentela domanda che ponevo all’inizio: stiamo superando qualche limite? Anche per-che potremmo anche non accorgercene prima che le sue conseguenze irreparabili simanifestino! (O, peggio, perche non vogliamo vederle).

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Capitolo 6

Stato di Guerra

di Laser Manchester

“Blair ha portato l’Inghilterra in una guerra sbagliata e criminale. Ma alle sue spallec’e la storia di un paese che mentre costruiva un solido welfare, spendeva spendevagran parte dei suoi soldi per i militari. E gli scienziati non stavano a guardare.”

David Edgerton, Warfare State. Britain, 1920-1970, Cambridge: CambridgeUniversity Press, 2006, pp. 364+xv.

Perche il governo britannico ha fin troppo spesso sollecitato la risoluzione ma-nu militari delle controversie internazionali negli eventi bellici dell’ultimo decennio?Questa tendenza al militarismo viene spesso spiegata con la strategia“atlanticista”del New Labour di Tony Blair e la ricerca di nuove alleanze con gli Stati Uniti.Questo saggio di David Edgerton, professore al Centro di Storia della Scienza, Tec-nologia e Medicina dell’Imperial College di Londra, ci mostra invece come lo sviluppodi un apparato militare e di una industria bellica siano tratti distintivi della storiacontemporanea della Gran Bretagna. In esso vi si sostiene che – molto prima cheBlair diventasse il primo ministro - una sorta di “sovrastruttura” industrial - milita-re avrebbe diretto le scelte politiche ed economiche del paese trasformandolo in unostato votato alla guerra (o warfare state).

Questo lavoro certamente segna una inversione di tendenza nella storiografia bri-tannica (e non solo), visto che la gran parte dei saggi storici attribuiscono alla GranBretagna un ruolo di primo piano come potenza militare solo fino alla fine dell’Ot-tocento, quando il declino dell’Impero britannico apre la strada ad altre potenzecome la Germania o gli Stati Uniti. Edgerton dimostra che l’immagine “declinista”non convince, visto che l’investimento in strumenti di guerra rimane costante nella

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STATO DI GUERRA 33

prima parte del Novecento e cresce enormemente dopo la seconda guerra mondiale.Il peso della Gran Bretagna nello scacchiere internazionale certamente cambia, macio non corrisponde affatto ad un disimpegno dallo sviluppo della Gran Bretagnacome potenza bellica. Anzi, coincide con il suo rafforzamento, espansione (la bombaatomica ad esempio) e persino la creazione di un commercio internazionale di armi“made in Britain”.Lo sviluppo dell’industria bellica e qui visto sia come motore di scelte politiche,ma anche come elemento determinante nelle scelte economiche del paese. Uno degliaspetti piu importanti di questo libro e il confronto tra i concetti di “welfare” (statodel benessere) e “warfare”. Il primo viene generalmente descritto come una del-le conquiste del partito laburista diventando una caratteristica fondamentale dellostato inglese nel dopoguerra. Edgerton non nega che nell’ultimo secolo vi sia unosviluppo eccezionale della istruzione e sanita pubblici, e dell’assistenza sociale. Madimostra che mentre questa immagine di una Gran Bretagna “welfarista” dominanella letteratura storico-economica, gli investimenti nello “stato di guerra” sorpas-sano di gran lunga quelli dello “stato del benessere”. Dunque, se vi fu una crescitanella spesa pubblica, questa fu diretta soprattutto alla produzione di nuove armi.

Benche l’analisi storico-economica occupi la prima parte di questo volume, glistudiosi di questioni scientifico-tecnologiche troveranno la seconda parte di questosaggio utilissimo per comprendere la funzione degli esperti nella pianificazione dellaricerca pubblica. Anche in virtu del ruolo che l’industria militare gioca nella vitadel paese britannico, nel corso del Novecento una nuova generazione di “tecnocrati”avverte l’esigenza di espandere le istituzioni per la ricerca. Edgerton legge il loroproblema non come una semplice richiesta di modernizzazione del paese, quantopiuttosto come un tentativo di usare la scienza e la tecnologia come leve per la loropresa del potere. Per questo, nuovi tecnocrati chiederanno a gran voce maggiorifondi per la ricerca, spesso entrando in conflitto con i vecchi mandarini della buro-crazia. Nel quadro di questa analisi emerge anche una critica sferzante del famosodiscorso sulle “due culture” che lo scrittore C. P. Snow formulo a Cambridge nel1959. In quella sede, Snow fece riferimento ad un divario incolmabile tra disciplineumanistiche e scientifiche e ritenne che la presenza di amministratori di formazioneumanistica nella struttura dello stato rappresentava un pericolo per la modernizza-zione del paese. Non solo Edgerton denuncia la analisi di Snow come “antistorica”,ma asserisce inoltre che, essendo Snow una delle voci piu illustri dei nuovi tecnocra-ti, la sua critica aveva appunto il compito di rappresentare un declino della scienzae della tecnologica britanniche per indirizzare verso la ricerca maggiori finanziamenti.

Puntuale e rigoroso, ma soprattutto “velenoso ” nei confronti della storiografia

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britannica contemporanea, il saggio di Edgerton sicuramente aiuta a riflettere sullarelazione tra stato, scienza e apparati militari nel contesto del ventesimo secolo. Inparticolare la critica del discorso sulle due culture di Snow e di grande interesse spe-cialmente tenendo conto degli usi che del discorso sono stati fatti specialmente neglistudi di divulgazione scientifica, e dimenticando invece le sue finalita propagandisti-che. Proprio la tensione costante a leggere la storia come veicolo di nuove ideologiepermette invece ad Edgerton di dimostrare con successo che la storia contemporaneadel Regno Unito e soprattutto la storia di uno stato che, alle volte in gran segreto,ha usato i soldi dei contribuenti per fini del tutto differenti da quelli di assicurare illoro benessere.

Certo, un lavoro cosı minuzioso si rende possibile soprattutto se esiste la possibi-lita di accedere a documenti d’archivio anche relativi ad aspetti recenti della storiadel paese. Difficilmente si sarebbe potuto documentare il ruolo dello “stato di guer-ra” inglese senza un archivio nazionale come quello britannico capace di mettere adisposizione una mole enorme di documenti.Un saggio come questo dunque non solo rivela aspetti importanti del passato dellostato inglese, ma indirettamente ci fa anche riflettere sull’importanza dell’accesso aidocumenti di archivio. Abbiamo iniziato con un interrogativo. Poniamocene ora unaltro: se uno storico volesse documentare la storia recente dello “stato di guerra” inItalia, quali documenti d’archvio avrebbe a disposizione per farlo?

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Capitolo 7

Neanche in guerra fredda

di Carlo Bernardini

Il commento all’embargo editoriale americano di Carlo Bernardini, direttore di Sa-pere, ovvero la piu antica rivista italiana di divulgazione scientifica.

di Daniela CipolloniDomanda: Qualcosa e cambiato. Il provvedimento americano contro gli arti-

coli scientifici di Iran, Sudan, Libia e Cuba e rientrato, ma il tentativo di alzarebarriere nella scienza di base rappresenta, secondo Carlo Bernardini, una fratturacon il passato. Parlarne e importante, su giornali e riviste. Che non sempre dannoabbastanza risonanza a temi di politica della scienza.Sapere ha affrontato il tema della scienza sotto embargo, pubblicando nel mese diaprile un articolo che faceva luce sull’intera vicenda. Cosa vi ha spinto a parlarne?

Risposta: La comunita scientifica europea ha sempre sostenuto che il migliormodo di penetrare in mondi diversi, come quello occidentale e quello islamico, e farparlare il linguaggio della cultura. La ricerca di base non aveva mai subito nessuntipo di embargo o impedimento prima di questo episodio. Tutti sono liberi di man-dare alle riviste di tutto il mondo le proprie idee, che saranno valutate da personecompetenti in merito alla loro validita. Non certo in base al paese di provenienzadi chi le scrive. Prendere una misura per interrompere questo cordone culturale diconnessione fra i paesi e una cosa incivile. Per quanto riguarda gli aspetti storico-scientifici quello che e accaduto e tanto piu grave, in quanto rappresenta la violazionedi una tradizione forte che neanche in situazioni critiche di politica internazionaleera stata tradita.

D: Sı riferisce alla guerra fredda, immagino...

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R: Sı. All’epoca della guerra fredda le due superpotenze, Russia e America, sicontendevano il primato tecnologico per dimostrare la propria supremazia. Sonostati momenti delicati, ma, nonostante il clima di tensione politica, le conferenze deifisici si sono tenute lo stesso e vi sono andati sia i fisici russi, sia i fisici americani.E stato un esempio di internazionalismo scientifico straordinario.

D: Quali erano le posizioni della rivista Sapere in merito a scienza e politica inquel periodo? Se ne parlava?

R: Allora c’era un collettivo, che aveva idee completamente diverse da quelleattuali. La rivista aveva un altro taglio e si occupava soprattutto di problemi am-bientali, i problemi della guerra fredda li ha vissuti solo in modo marginale. Io ne hopreso la direzione nel 1983. In seguito e stata inaugurata una rubrica fissa di scienzae armamenti, oggi seguitata da Francesco Calogero, dove si trattano problemi discienza legati a conflitti bellici.Torniamo all’attualita.

D: Come si deve interpretare questo tentativo di censura degli articoli scientificidei ricercatori provenienti dai “paesi canaglia ”?Bisogna fare una precisazione. Ci sono cose che non vengono pubblicate. Funzionacosı dai tempi della bomba atomica, da quando si e rivelato cruciale mantenere segre-te le tecnologie d’interesse militare. Nei settori rilevanti per le applicazioni militaric’e stata sempre una politica di riservatezza. Tuttavia la ricerca di base e una cosaseparata e non ha mai rappresentato ne un motivo di conflitto ne un impedimentoculturale nei paesi meno sviluppati.

R: Gli americani ora hanno visto il pericolo di allevare persone con competenze,poi trasferibili al settore tecnologico. Hanno visto nella ricerca di base il pericolodi ritorsioni di carattere militare e hanno esteso la censura indistintamente a rivisteche non hanno nulla a che vedere. Questo e assurdo. Significa impedire una comu-nicazione di carattere strettamente culturale, non rilevante per il mercato o per losviluppo di tecnologie. La scienza e internazionale e deve rimanere tale.D: La notizia di quanto avvenuto tra l’Ieee e l’Ofac e rimbalzata sulla stampa estera.Da Nature a Science, dal New York Times a Le Monde, dal New Scientist a Sci-dev.net, in diversi articoli e in diverse forme e stato espresso il disappunto versoquell’ordinanza. In Italia se ne e parlato pochissimo. Perche?

R: Perche la cultura dominante di questo paese e ancora di tipo idealistico cro-ciano. Che esista un’attivita degna del nome di cultura, che e l’attivita scientifica,non e ancora un concetto che circola con facilita. E anche chi si occupa piu da

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vicino della divulgazione scientifica troppo spesso cerca lo scoop. Non se ne e par-lato per una questione di disinteresse. E la logica del mercato, sono notizie che noncolpiscono, e allora non si pubblica quello che non si vende.

D: Prendere posizione, o comunque sollevare un dibattito, su temi che riguar-dano i rapporti tra scienza e politica puo essere considerato come uno dei doveri diuna rivista che fa comunicazione della scienza? Oppure no?Certamente e un dovere. Ormai si discute da tempo di quanto sta accadendo almondo della ricerca scientifica in Italia, dal blocco delle assunzioni, al tentativo diintrodurre logiche di mercato all’interno di istituzioni nazionali. Su Sapere, ne par-liamo da almeno tre anni.

( 26 agosto 2004 )Articolo pubblicato sul numero 34 di Giano. Pace ambiente problemi globali,

gennaio-aprile 2000

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Capitolo 8

La nuova fase della

proliferazione nucleare

di Angelo Baracca

Ho argomentato altre volte la gravita dei rischi di guerra nucleare. I trattati deglianni ’90 - di riduzione delle armi strategiche (Start) e messa al bando dei test nucleari(Ctbt), e la proroga quinquennale del Tnp - hanno costituito il culmine di una fasedella proliferazione e del rischio nucleare: ma si e aperta una fase radicalmentenuova, che non ricade nei limiti di quei trattati.

La visione attuale della proliferazione mostra almeno tre contraddizioni.Da un lato, i presunti rischi sembrano venire dall’Iran o della Corea del Nord: gli

arsenali dell’India (50-100 testate) e del Pakistan (25-50) in soli sei anni sembranoentrati nel senso comune, per non parlare di quello super-moderno di Israele, unavergogna internazionale che tutti i paesi coprono. D’altro lato, gli Usa (ma ancheFrancia, Cina, Russia, per quanto puo) dichiarano impunemente - come ci informacon regolarita Manlio Dinucci - di stare sviluppando testate nucleari radicalmentenuove, di potenza molto piccola, la cui minaccia maggiore e di cancellare il discriminetra convenzionale e nucleare.

Questa contrapposizione cela la terza contraddizione: la disponibilita di uranioarricchito o di plutonio, su cui sorveglia l’Aiea (che si guarda bene dal sorvegliareIsraele, per quanto non aderisca al TNP, il manifesto,7 luglio 2004), e certo unproblema non indifferente, ma e solo il piu eclatante, e ve ne sono altri piu subdoli.L’evoluzione delle armi nucleari e stata profonda:

oggi e possibile assemblare una testata avanzata che dia ottime garanzie di esplo-dere senza bisogno di test; le fasi intermedie possono essere realizzate senza violarei trattati internazionali esistenti; si cerca di sviluppare armi radicalmente nuove(di “quarta generazione”) e nuovi processi che aggirino anche la definizione (molto

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LA NUOVA FASE DELLA PROLIFERAZIONE NUCLEARE 39

vaga) di arma nucleare in quei trattati.Non mi sto riferendo a gruppi terroristici (discorso da affrontare a parte), ma

a paesi di medio sviluppo: India e Pakistan sono casi emblematici, in pochi annihanno sviluppato testate avanzate e di piccola potenza. Oggi viene proposto unnuovo concetto, di proliferazione latente o virtuale riferito a paesi che non hannoarmi nucleari, ma sono in grado di realizzarle nel giro di pochi mesi senza necessitadi test: Giappone e Germania sono al primo posto, ma l’elenco e ben piu lungo.

Scheda L’evoluzione delle testate ha portato in primo luogo al principio delboosting (spinta): la fissione di una massa di uranio arricchito o di plutonio vie-ne amplificata ed accelerata dai neutroni generati nel suo centro dalla fusione diuna piccolissima quantita (2 grammi) di DT (deuterio-trizio). Questo ha consentito,riducendo l’esplosivo convenzionale esterno ed eliminando il riflettore di neutroni,di realizzare testate piu leggere (lanciabili con i missili che molti paesi hanno svi-luppato) e piu sicure, e di utilizzare il plutonio “sporco” generato nei reattori: essepossono essere sviluppate con test subcritici che non violano il Ctbt. India e Paki-stan hanno testate boosted.Nelle testate a due stadii raggi X generati nell’esplosione precedente servono a com-primere una massa di deuterio e litio, mentre i neutroni innescano la fusione nucleare,che viene contenuta da un apposito schermo, ed eventualmente ulteriormente am-plificata ed accelerata dalla fissione indotta (e boosted) di una massa subcritica alsuo interno.e piu delicato del plutonio, la sua tecnologia e complessa essendo un gas leggero,radioattivo, che va quindi prodotto con continuita, meno controllabile poiche ne ba-stano pochi grammi. Esso viene prodotto bombardando il litio-6 con gli intensi flussidi neutroni prodotti in un reattore nucleare, o da un acceleratore di particelle.Possedere la tecnologia del trizio risulta oggi non meno importante dell’arricchimen-to dell’uranio o della separazione del plutonio per realizzare armi nucleari modernee compatte.L’India e il Pakistan se ne sono dotati (il secondo attraverso la Germania e la Cina).

Orbene, la tecnologia del trizio e fondamentale nelle ricerche civili sulla fusionenucleare controllata per confinamento inerziale: l’energia da super-laser o fasci diparticelle (sembrano promettenti fasci di anti-materia) dovrebbe comprimere e pro-vocare la fusione di un pellet contenente pochi milligrammi di DT (un milligrammogenera un’energia di 340 milioni di Joule, una centrale di energia da mille MW elet-trici “brucerebbe” 1,5 g di DT all’ora). Queste ricerche “civili” racchiudono grandiimplicazioni militari: il processo della fusione nucleare ha ancora aspetti fisici e tec-nici non chiariti, e queste ricerche certamente contribuiranno a capirli; a questo siaccompagna la disponibilita di trizio e il controllo della sua tecnologia.

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Grandi impianti per il confinamento inerziale sono in costruzione negli USA (Natio-nal Ignition Facility, 192 laser) e in Francia (Megajoule, 240 laser), ma molti paesisono impegnati su questo fronte.

Ma queste ricerche possono avere un’implicazione militare ben piu diretta.Sembra di capire che la ricerca di bombe nucleari nuove di bassissima potenza (centoo mille volte inferiore alle testate attuali) segua questa strada: se si realizza la fusioneper confinamento inerziale di un pellet, questo realizzerebbe anche potenzialmenteuna micro bomba a pura fusione, del peso di una frazione di grammo e potenzaesplosiva equivalente a quasi una tonnellata di tritolo (le bombe convenzionali arri-vano a qualche tonnellate di esplosivo).Rimane ovviamente il problema di realizzare un super-laser o un acceleratore minia-turizzato (un apparecchio di uso singolo e comunque molto piu piccolo uno strumentoriutilizzabile).Su questa strada si stanno comunque compiendo passi da gigante.Negli ultimi decenni i grandi laboratori di ricerca militare degli USA hanno svilup-pato nanotecnologie, che operano su dimensioni dell’ordine di un miliardesimo dimetro, controllando insiemi di pochi atomi (la microelettronica opra su dimensionidell’ordine del milionesimo di metro, su insiemi dell’ordine del migliaio di atomi):la maggior parte dei risultati sono ovviamente coperti da segreto, e le applicazionicivili delle nanotecnologie sono appena agli esordi.

Si moltiplicano insomma le implicazioni di ricerche “civili” d’avanguardia (fusio-ne nucleare controllata, super-laser, nanotcnologie, super-computers, supercondutto-ri, nuove specie e processi nucleari, ecc.); e si complicano le vie della proliferazionenucleare.

Intendiamoci: e inutile, o ipocrita, scandalizzarsi per questi sviluppi, che sono laconseguenza logica dello statuto internazionale che si volle dare nell’ultimo mezzosecolo, non solo o non tanto alle armi nucleari, ma all’intera ricerca nucleare.Ci rifletta chi si leva a sostenere a spada tratta i sacrosanti principi della libertaassoluta della ricerca scientifica.Oggi e molto difficile arrestare questi processi.Chi puo impedire a qualsiasi paese di sviluppare una ricerca di fusione nucleare, unacceleratore o un super-laser (Giappone e Germania sono all’avanguardia)?O imporre di mantenere segreti i risultati e le tecniche? (Anzi, considerazioni diquesto genere furono alla base dell’appoggio degli Usa alla costruzione del Cern, edel lancio dell’“atomo per la pace”).

A questo punto vale la pena di ricordare una scadenza cruciale e molto vicina,sulla quale grava almeno da noi il piu assoluto silenzio-stampa e la totale ignoranzadell’opinione pubblica: nel maggio del 2005 si terra la conferenza quinquennale di

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revisione del TNP.Il trattato appare a rischio come non lo e mai stato, dalla sua entrata in vigore nel1970.Gli USA sono in aperta e clamorosa violazione di tutte le norme del trattato e degliimpegni aggiuntivi sottoscritti nel 1995, in 13 punti specifici, di fare passi concretiverso un disarmo nucleare totale.Invece Washington ha ormai deciso in modo esplicito che non intende liberarsi maidelle armi nucleari (Nuclear Posture Review e altri documenti ufficiali), e in par-ticolare sta sviluppando testate nucleari di nuova generazione.Il nuclear sharing attuato dalla NATO (che nel “Nuovo Concetto Strategico” adot-tato nel 1999 riconosce la possibilita della risposta nucleare anche ad un attacco conarmi di distruzione di massa, o convenzionale) viola le norme del TNP che vietanoil trasferimento di armi nucleari a paesi non nucleari.Washington ha abbandonato il concetto di non-proliferazione per quello di controproliferazione,sostenendo che non puo procedere sulla strada del TNP finche non vi saranno misureche impediscano ad altri stati di realizzare armi nucleari.La pretestuosita di questo argomento e evidente: oggi la proliferazione non dipende(o non dipende principalmente) dall’Iran o dalla Corea del Nord, ma soprattuttodagli USA e da Israele, il cui arsenale costituisce uno dei fattori piu destabilizzantinel Medio Oriente.Oltre alla violazione esplicita del TNP, le tendenze che abbiamo discusso minaccianodi minarne le fondamenta, di renderlo insomma un trattato obsoleto e inadeguatoalla realta del XXI secolo.Vi e addirittura chi pensa che sarebbe forse meglio se la conferenza del 2005 fallissee il TNP decadesse.Ci si sta avvicinando ad un punto di non ritorno.

Il problema e la minaccia delle armi nucleari sono diventati, e diverranno semprepiu, striscianti, subdoli, dilaganti. O la comunita internazionale avra uno scattodi dignita e di ribellione e sapra fasi carico del problema alla radice e prendereprovvedimenti radicali (che, oltre che contrastare ovviamente giganteschi interessi,potrebbero avere anche risvolti indigesti per molti settori), oppure rischiamo davverodi vedere legittimato il ricorso “convenzionale” ad armi verso le quali sembravaesservi una discriminante assoluta: morale, giuridica, e di civilta.Un passo ulteriore verso l’imbarbarimento dell’umanita, e forse verso il baratro.

Inserito: 30 settembre 2004Scienza e Democrazia/Science and Democracywww.dipmat.unipg.it/ mamone/sci− dem